J’ACCUSE!
Giustizia, avete detto Giustizia?
Non si può morire a 16 anni!
di
Daniela
Zini
a tutte le Donne e
alle mie Piccole Grandi Donne, Adriana, Alessia, Angela, Anna Maria, Arianna, Caterina, Catia, Cesira, Cristiana, Daniela, Donatella S., Donatella T., Evelina, Federica, Francesca L., Francesca R., Gioia, Giuliana, Irene, Margherita, Maria, Maria Pia, Monica, Rita, Roberta, Rosetta,
Sarah, Selenia, Shirin, Simona, Sonia, Teresa, Tiziana e Valentina
“Quando si
violentano, picchiano, storpiano, mutilano, bruciano, seppelliscono,
terrorizzano le Donne, si distrugge l’energia essenziale della Vita su questo
Pianeta. Si forza quanto è nato per essere aperto, fiducioso, caloroso, creativo
e vivo a essere piegato e domato.”
Eve
Ensler
Io
credo che ogni Essere Umano dovrebbe avere il coraggio di sedersi a un tavolo e
scrivere una lettera a chi è stato violento verso di lui.
Ma,
non sempre, gliene viene dato il tempo…
Désirée Mariottini insieme alla Mamma Barbara Mariottini.
Così,
ho deciso di scriverla io, questa lettera, per ricordare Désirée Mariottini, la
16enne di Cisterna di Latina, trovata senza
vita, nella notte tra il 18 e il 19 ottobre, in un edificio abbandonato di via
dei Lucani, nel quartiere San Lorenzo, a Roma.
Una
morte che ha sconvolto l’intero Paese e sollevato non poche polemiche dopo la decisione del
Tribunale del Riesame di Roma.
Il
13 novembre scorso, infatti, il Tribunale, accogliendo le istanze della difesa, fa
cadere, nei confronti di Chima “Sisco” Alinno, 47enne nigeriano, e Brian
Minteh, 43enne senegalese, arrestati per la morte di Désirée, l’accusa
di omicidio volontario e derubrica l’accusa di violenza
sessuale di gruppo in abuso
sessuale, aggravato dalla minore età della vittima.
“Sono
contenta per il mio assistito nella cui innocenza, alla luce delle indagini
svolte, ho sempre creduto. Mi dispiace perché, indagini condotte in tal modo,
rischiano di non rendere giustizia a quella povera ragazza.”,
commenta
l’avvocato Pina Tenga, legale del nigeriano Chima “Sisco” Alinno.
L’indomani, a sorpresa, lo stesso Tribunale del Riesame, sposando in pieno l’impianto accusatorio, messo in piedi dalla
Procura di Roma, riconosce l’omicido volontario nel caso del senegalese Mamadou
“Paco” Gara, 26enne, fermato nei pressi della stazione Pigneto della Metro C.
Come gli altri due imputati, Chima “Sisco” Alinno
e Brian Minteh, Mamadou “Paco” Gara,
per il quale il suo avvocato Ilaria Angelini chiede l’affidamento a una
comunità religiosa, resta in carcere.
Per
il ghanese Yousif Salia, 32enne,
fuggito in tutta fretta da Roma e catturato nella baraccopoli di
Borgo Mezzanone, una frazione di Manfredonia, il 26 ottobre, in possesso di 11
chilogrammi di marijuana, l’accusa
di omicidio è, invece, caduta in sede di convalida del fermo.
Perché i giudici si sono orientati
verso questa decisione, che è sembrata incomprensibile ai più, alla
luce degli elementi di prova raccolti dall’accusa?
Le toghe ritengono che non
vi sia stata volontà di uccidere e che gli stupri sono stati singoli, per cui non vi è l’aggravante
di avere agito in gruppo.
“Siamo ancora nella fase degli indizi e quindi è
giusto che il tribunale faccia le sue valutazioni. Aspettiamo di conoscere le
motivazioni del provvedimento. Il nostro quadro accusatorio però non cambia di
una virgola. Anzi.”
si apprende dalla Procura.
I pm di Piazzale Clodio sono convinti che gli
elementi raccolti a carico degli indagati diano forza all’iniziale pista
investigativa seguita dalla polizia. Vi è, soprattutto, una
frase che è stata evidenziata durante le udienze per dare riscontro alla
volontà dei quattro indagati di uccidere Désirée:
“Meglio lei morta che noi in galera.”
Chima Alinno
Yousif Salia
Prima dell’attuale codice penale vi
era e vi è, ancora, nelle parti non modificate, il Codice Rocco, elaborato e promulgato in pieno ventennio fascista. I
reati di violenza sessuale e di incesto erano rispettivamente parte Dei delitti contro la moralità pubblica e il
buon costume – divisi in Delitti contro la libertà sessuale e Offese al
pudore e all’onore sessuale – e Dei
delitti contro la morale familiare.
La violenza sessuale, dunque, non
offendeva la persona, coartandola nella sua libertà, ma ledeva una generica
moralità pubblica.
Solo
nel 1996, dopo una lunga gestazione di venti anni di iter legislativo, la legge contro la violenza sessuale – che,
peraltro, affermava cose ovvie, ma in una società
sorretta principalmente dalla morale il senso della ovvietà cambia a partire
dal punto di vista di chi lo interpreta – classifica questo reato come crimine contro la persona, e
non più delitto contro la moralità pubblica e il buon costume.
In tal senso, un contributo significativo perviene dal
coraggioso gesto di una 18enne siciliana di Alcamo, Franca Viola – alla
quale io, ma credo tutte noi Donne dobbiamo una infinita gratitudine –, la prima Donna a rifiutare il
matrimonio riparatore e a denunciare il suo rapitore,
Filippo Melodia, in odore di Mafia, e i suoi complici.
“16 E
alla Donna disse: “Io moltiplicherò i
tuoi affanni e le tue gravidanze: con dolore partorirai i tuoi figlioli, sarai
sotto la potestà del marito, ed egli ti dominerà.”
Bibbia, Genesi
3:16-18, Edizioni Paoline 1969
La riforma delle
norme contro la violenza sessuale era all’ordine del giorno da un decennio, dal
processo per i delitti del Circeo. Ritardi che sono espressione evidente delle
resistenze e della difficoltà di estirpare nel nostro Paese la violenza di
genere.
Il 15 febbraio 1996, viene approvata
la Legge n. 66, che, nel dettare nuove Norme
sulla violenza sessuale, trasferisce questo reato dal Titolo IX Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume
al Titolo Dei delitti contro la persona
del Codice Penale.
609 bis Violenza sessuale
Chiunque con violenza o minaccia
o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti
sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Alla stessa pena soggiace chi
induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1] abusando delle condizioni di
inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
2] traendo in inganno la persona
offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravità la
pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.
609 ter Circostanze aggravanti
La pena è della reclusione da
sei a dodici anni se i fatti di cui all’articolo 609 bis sono commessi:
1] nei confronti di persona che
non ha compiuto gli anni quattordici;
2] con l’uso di armi o di
sostanze alcoliche narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze
gravemente lesivi della salute della persona offesa;
3] da persona travisata o che
simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio;
4] su persona comunque
sottoposta a limitazioni della libertà personale;
5] nei confronti di persona che
non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l’ascendente, il
genitore anche adottivo, il tutore.
La pena è della reclusione da
sette a quattordici anni se il fatto è commesso nei confronti di persona che non
ha compiuto gli anni dieci.
609 quater Atti sessuali con minorenne
Soggiace alla pena stabilita
dall`articolo 609 bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto
articolo, compie atti sessuali con persona che. al momento del fatto:
1] non ha compiuto gli anni
quattordici;
2] non ha compiuto gli anni
sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il
tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di
istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con
quest’ultimo, una relazione di convivenza.
Non è punibile il minorenne che,
al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 609 bis compie atti sessuali
con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di età
tra i soggetti non è superiore a tre anni.
Nei casi di minore gravità la
pena è diminuita fino a due terzi.
Si applica la pena di cui
all`articolo 609 ter, secondo comma, se la persona offesa non ha compiuto gli
anni dieci.
609 quinquies Corruzione di minorenne
Chiunque compie atti sessuali in
presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere, é
punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
609 sexies Ignoranza dell’età della
persona offesa
Quando i delitti previsti negli
articolo 609 bis, 609 ter, 609 quater e 609 octies sono commessi in danno di
persona minore di anni quattordici, nonché nel caso del delitto di cui
all`articolo 609 quinquies, il colpevole non può invocare, a propria scusa, l’ignoranza
dell’età della persona offesa.
609 septies Querela di parte
I delitti previsti dagli
articoli 609 bis, 609 ter e 609 quater sono punibili a querela della persona
offesa.
Salvo quanto previsto dall’articolo
597, terzo comma, il termine per la proposizione della querela è di sei mesi.
La querela proposta e
irrevocabile.
Si procede tuttavia d’ufficio:
1] se il fatto di cui al
l`articolo 609 bis è commesso nei confronti di persona che al momento del fatto
non ha compiuto gli anni quattordici;
2] se il fatto è commesso dal
genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore, ovvero da altra
persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di
istruzione, di vigilanza o di custodia;
3] se il fatto è commesso da un
pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell`esercizio delle
proprie funzioni;
4] se il fatto é connesso con un
altro delitto per il quale si deve procedere d`ufficio;
5] se il fatto è commesso nell’ipotesi
di cui all`articolo 609 quater, ultimo comma.
609 octies Violenza sessuale di gruppo
La violenza sessuale di gruppo
consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di
violenza sessuale di cui all`articolo 609 bis.
Chiunque commette atti di
violenza sessuale di gruppo è punito con la reclusione da sei a dodici anni.
La pena è aumentata se concorre
taluna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 609 ter.
La pena è diminuita per il
partecipante la cui opera abbia avuto minima importanza nella preparazione o
nella esecuzione del reato. La pena è altresì diminuita per chi sia stato
determinato a commettere il reato quando concorrono le condizioni stabilite dai
numeri 3] e 4] del primo comma e dal terzo comma dell’articolo 112.
609 nonies Pene accessorie ed altri
effetti penali
La condanna per alcuno dei
delitti previsti dagli articoli 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies e
609 octies comporta:
1] la perdita della potestà del
genitore, quando la qualità di genitore è elemento costitutivo del reato;
2] l’interdizione perpetua da
qualsiasi ufficio attinente alla tutela ed alla curatela;
3] la perdita del diritto agli
alimenti e l’esclusione dalla successione della persona offesa .
609 decies Comunicazione al tribunale
per i minorenni
Quando si procede per alcuno dei
delitti previsti dagli articoli 609 bis, 609 ter 609 quinquies e 609 octies
commessi in danno di minorenni, ovvero per il delitto previsto dall’articolo
609 quater il procuratore della Repubblica ne dà notizia al tribunale per i minorenni.
Nei casi previsti dal primo
comma l’assistenza affettiva e psicologica della persona offesa minorenne è
assicurata, in ogni stato e grado del procedimento, dalla presenza dei genitori
o di altre persone idonee indicate dal minorenne e ammesse dal l’autorità
giudiziaria che procede.
In ogni caso al minorenne è
assicurata l’assistenza dei servizi minorili dell’Amministrazione della
giustizia e dei servizi istituiti dagli enti locali.
Dei servizi indicati nel terzo
comma si avvale altresì l’autorità giudiziaria in ogni stato e grado del
procedimento.
Nel corso degli anni
è stata la Corte di Cassazione a stabilire – laddove il Codice Penale non era sufficientemente chiaro e consentiva una
interpretazione discrezionale del giudice – numerose forme di lettura della
legge e del reato di stupro.
In questo quadro si può leggere la
sentenza di assoluzione pronunciata, il 30 giugno 1982, dal Tribunale di
Bolzano nei confronti di 2 pusteresi, entrambi accusati di violenza sessuale:
“Qualche iniziale atto di forza
o di violenza da parte dell’uomo, secondo una diffusa concezione, non
costituisce violenza vera e propria, dato che la Donna, soprattutto fra la
popolazione di bassa estrazione sociale e di scarso livello culturale, vuole
essere conquistata anche in maniere rudi, magari per crearsi una sorta di alibi
al cedimento ai desideri dell’uomo.”
In altri termini, usare le maniere
forti per un approccio era una forma di corteggiamento che non costituiva una
violenza vera e propria.
Da
un anno, era stata abrogata la rilevanza penale
del delitto d’onore e abolito il matrimonio riparatore, ma
venivano, ancora, pronunciate sentenze di questo tipo!
Nel 1984, il giurista maceratese
Luigi Domenico Cerqua, presidente della Quinta Sezione della Corte di Appello
di Milano e docente di diritto penale, riservava parole durissime alla sentenza
bolzanina sulla rivista giuridica Giurisprudenza
di merito:
“La violenza carnale, secondo un insidioso ed
erroneo convincimento tipico di una certa mentalità, è associata all’idea del
piacere sessuale piuttosto che a quella dell’aggressione compiuta da una
persona nei confronti di un’altra.”
Si traspone così la responsabilità
dall’aggressore alla vittima, che avrebbe provocato l’aggressione “magari
dimostrandosi disponibile ad un invito, una compagnia, un ballo o un passaggio
in auto”. La violenza sessuale è il reato di cui “l’autore
si sente innocente e la vittima prova vergogna, perché l’atto sessuale viene
inteso come la conclusione normale per un certo atteggiamento tenuto dalla Donna”
o come una specie di ricompensa per una assunzione, una promozione…
La posizione di Cerqua è chiarissima:
“Pur in presenza di un
atteggiamento seduttivo, se il rapporto sessuale avviene senza il pieno e
chiaro consenso della Donna, ci sarà pur sempre un’aggressione alla sua libertà
sessuale e quindi violenza carnale.”
“L’uomo ha il dovere di
assicurarsi che la Donna acconsenta effettivamente e sino in fondo ad un
rapporto di natura sessuale.”
Libertà, ancora, troppo spesso
negata.
Miti antichi, credenze erronee e idee obsolete
tardano a morire…
Una sentenza quella del Tribunale di
Bolzano che ne ricorda, purtroppo, moltissime altre.
Altrettanto imbarazzante è, infatti,
leggere la sentenza della Corte di Cassazione n. 1636 del 1999, che negò
l’esistenza di uno stupro perché la vittima indossava i jeans. I giudici, all’epoca, rilevarono che “i
jeans non possono essere sfilati nemmeno in parte se chi li indossa non dà una
fattiva collaborazione”, evidenziando che è impossibile togliere i
jeans a una Donna che si oppone “con tutte le sue forze”, dato
questo di “comune esperienza”.
Il verdetto indignò,
giustamente, il mondo politico e il mondo giudiziario. La stessa Corte di Cassazione
si dissociò, da subito, dalla sentenza, con tutti gli accorgimenti tecnici, perché
restasse un caso isolato. Nel novembre dello stesso anno, infatti, nella sentenza
n. 13070, veniva precisato che la testimonianza di una Donna che asserisce di
aver subito uno stupro “non può essere messa in dubbio perché lei
indossava i pantaloni e per esserseli sfilati”.
Che
indossare pantaloni stretti e aderenti non può essere considerato un ostacolo a
una violenza sessuale, lo rileva, altresì, la sentenza della Corte di Cassazione n. 30402
del 21 luglio 2008, con la quale la Terza Sezione Penale confermava la condanna
alla pena, sospesa, di un anno di reclusione, inflitta dalla Corte d’appello di
Venezia per violenza sessuale a un uomo imputato di avere “compiuto con violenza atti di
libidine” nei confronti della figlia della sua compagna, “toccandola
sul seno, sui fianchi, sul sedere e nelle parti intime, entrando con le mani sotto
i pantaloni della Donna”. La Corte di Cassazione aveva rigettato il
ricorso dell’uomo, osservando che “il fatto che la ragazza indossasse
pantaloni di tipo jeans non era ostativo al toccamento interno delle parti
intime, essendo possibile farlo penetrando con la mano dentro l’indumento, non
poteva essere paragonabile ad una specie di cintura di castità”. La
Sezione Terza Penale attestava, così, una dottrina che, saggiamente, prendeva
le distanze dalla molto discussa e molto discutibile sentenza n. 1636 del 1999.
Nel 2009, con l’approvazione da parte
del Parlamento della legge di contrasto alla violenza sessuale a causa del
diffuso allarme sociale, creatosi per l’incremento del fenomeno, non veniva consentito
al giudice, salvo esigenze cautelari, applicare, ai presunti stupratori, con a
carico gravi indizi di colpevolezza, misure cautelari diverse dal carcere.
Ma, nell’estate del 2010, con
sentenza n. 265, la Corte Costituzionale riteneva la norma in contrasto con gli
Articoli 3 [eguaglianza davanti alla
legge], 13 [libertà personale] e 27 [funzione della pena] della Costituzione e diceva SÌ alle alternative al carcere “nell’ipotesi
in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai
quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfate con altre
misure”.
La Terza Sezione Penale della Corte
di Cassazione, infatti, con la sentenza n. 4377 del 2012, accoglieva il ricorso
di 2 giovani 19enni R. L. e L. B., accusati di violenza sessuale di gruppo – nei
confronti dei quali il Tribunale di
Roma, il 5 agosto 2011, aveva confermato la custodia in carcere, ritenendo
fosse l’unica misura cautelare applicabile – in quanto i principi
interpretativi che la Corte Costituzionale aveva fissato per i reati di
violenza sessuale e atti sessuali su minori fossero applicabili anche agli
stupri di gruppo in ragione degli Articoli
3 [eguaglianza davanti alla legge], 13
[libertà personale] e 27 [funzione
della pena] della Costituzione,
dal momento che quest’ultimo reato “presenta caratteristiche essenziali non
difformi” da quelle che la Consulta aveva individuato per le altre
specie di reati sessuali sottoposti al suo giudizio. I due giovani erano stati denunciati dalla squadra mobile di
Frosinone dopo il racconto di una minore, che aveva trascorso la serata in un pub e, mentre stava tornando a casa, era
stata avvicinata dai due, che l’avevano fatta salire in auto, portandola, poi,
in una zona di campagna e violentandola a turno.
Con la sentenza 40565 del 16 ottobre
2012 la Corte di Cassazione ha deciso che, in caso di violenza
di gruppo, uno sconto di pena deve essere concesso a chi “non
abbia partecipato a indurre la vittima a soggiacere alle richieste sessuali del
gruppo, ma si sia semplicemente limitato a consumare l’atto”.
Nel dicembre del 2015, andava,
definitivamente, in archivio il caso di una studentessa 16enne modenese, che
aveva denunciato di essere stata stuprata, nell’estate del 2013, da 4 ragazzi
18enni e un ragazzo 17enne, durante una festa in piscina tra compagni di
scuola, poi, degenerata sotto i fumi dell’alcol. Il Tribunale dei Minori di
Bologna scagionava, infatti, anche l’ultimo imputato, minore all’epoca dei
fatti, che era stato giudicato dal Tribunale dei Minori, ovviamente secondo un
iter separato.
Il 23 giugno 2015, il Tribunale di
Modena aveva, già, assolto gli altri 4 imputati di violenza sessuale con la
motivazione che “se è vero che il comportamento passivo della vittima e il fatto che
scivolasse nella doccia avrebbero dovuto indurli a sospettare che la stessa
avesse perso la lucidità necessaria per presentare un valido consenso all’atto
sessuale è altrettanto vero che l’assenza di azioni di respingimento e di
invocazioni di aiuto avrebbero potuto ingenerare la convinzione che la
sedicenne fosse consenziente” .
La sentenza n. 4532 del 2008 della Corte
di Cassazione ha stabilito che “il consenso agli atti sessuali deve
perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità, con la
conseguenza che integra il reato di violenza sessuale la prosecuzione di un
rapporto nel caso in cui il consenso originariamente prestato venga poi meno a
seguito di un ripensamento o della non condivisione delle forme o modalità di
consumazione dell’amplesso.”
Nella sentenza n. 37916 del 2012, la Corte
di Cassazione confermava la condanna a 3 anni e mezzo di reclusione di un uomo,
decisa dalla Corte d’Appello di Ancona, in quanto “andava condannato per violenza
sessuale chi impone pratiche sessuali estreme a una persona che mostrandosi
consenziente all’inizio del rapporto, a un certo punto manifesti di non voler
andare oltre”.
Queste sentenze così
lunghe e, spesso, contraddittorie, mortificano la dignità della Donna che
affronta processi interminabili, e che viene, sovente, esaminata con la lente
di ingrandimento, come se fosse compartecipe.
Ancora oggi, è un fattore
determinante non il consenso della Donna, ma il giudizio che l’opinione
pubblica manifesta verso la sua condotta, il suo abbigliamento, l’energia da
lei profusa per tentare di respingere lo stupratore...
Donne che possono essere stuprate!
Non
è facile provare uno stupro e, se sei costretta ad ammettere che eri fuori casa
e hai bevuto o assunto droghe, inevitabilmente ti scontri con chi pensa che te
la sei cercata e che la denuncia del giorno dopo non è che un tentativo goffo e
disperato di ridarti una verginità alla vagina e alla coscienza!
Nel sentire comune stuprare una Donna
tossicodipendente sembra come di minore rilevanza penale. Lei stessa ha non
poca difficoltà a sentirsi vittima, come se la tossicodipendenza le destinasse
un ruolo in cui una tale esperienza non solo non è inconsueta, ma perfino
scontata e inevitabile.
Se
l’uso di droghe può indurre chi ne fa uso a divenire soggetto di uno o più
reati, chi fa uso di droghe ha, anche, maggiori probabilità di divenire oggetto
di uno o più reati.
Sappiamo
tutti, infatti, che le molestie, gli abusi, le violenze, i maltrattamenti in
famiglia, sono, molto sovente, tra i fattori predittivi al consumo di droghe.
E
sappiamo, altresì, tutti che le stesse droghe, la ricattabilità della
condizione, l’ambiente di vita, il bisogno di una dose spalancano la porta a sempre
nuovi reati e ad abusi agiti contro il tossicodipendente, maggiormente se Donna.
Alla legge non scritta del
rifornimento di droghe fa da contraltare la legge non scritta di quanti, in una
sorta di appostamento paziente, attendono l’effetto dell’assunzione per profittare
della passività e dell’arrendevolezza dettate dall’alterazione dello stato di
coscienza.
E, così, si fa largo l’idea che la
violenza sessuale perde la sua riconoscibilità mel momento in cui si frappone la
droga e la sua dipendenza.
Se è difficile per una Donna
denunciare di avere subito violenza, lo è molto di più per una Donna tossicodipendente.
Dovrebbe riconoscere l’aggressione in quanto tale, denunciarla e rendere nota,
contemporaneamente la propria condizione di salute. Dovrebbe farlo, sperando di
essere ritenuta credibile, meritevole di una tutela pari a quella riconosciuta alle
altre Donne.
È assai poco probabile!
Tiene tutto per sé, cercando di
“abituarsi” all’idea di essere e meritare di meno, perseverando in un processo
profondo e continuo di disvalore di sé.
Come può non essere un aggravante sfruttare
la condizione di vulnerabilità che l’uso di droghe determina, sia che le stesse
siano state offerte, promesse come premio in cambio di prestazioni sessuali, per
annientare la resistenza della Donna, o assunte dalla stessa?
Come può essere valutata una tale situazione
o sulla scorta del consenso espresso, espresso fino a un certo punto o negato?
Quell’odiosa espressione:
“Se l’è cercata...”
non smette di tenere banco…
Sigmund Freud non aveva torto quando
rimproverava alle Donne di avere contribuito in una misura eccezionalmente
scarsa alla conoscenza della psicologia femminile.
Dunque, circolare non c’è nulla da vedere!
L’adolescenza è un periodo particolare, segnato da profondi
cambiamenti psicologici e biologici.
Gli adolescenti vivono nel momento presente e le emozioni sono
vissute in modo intenso e globale.
Per loro, gli eventi della Vita sono, molto sovente, fattori
precipitanti, anche se possiamo giudicarli inappropriati. Gli
adolescenti comunicano più attraverso ciò che fanno che attraverso ciò che
dicono. Soprattutto quando hanno un malessere, una pena o un problema, hanno
difficoltà a trovare le parole per esprimersi. Si esprimono, dunque, con il
loro modo di comportarsi. E, in questo caso, il loro comportamento è, sovente,
inaccettabile. Si può reagire ai comportamenti sbagliati con metodi di
disciplina, ma questi metodi non funzioneranno, fintanto che non si sarà data
loro una risposta.
Se
solo potessero spiegarsi, chiaramente, con le parole!
Ma
gli adolescenti non hanno queste parole. O se le hanno, non sono capaci del
ragionamento necessario per applicare le parole appropriate alla loro
situazione. Sono gli adulti che debbono
sapere decifrare i loro messaggi per potere colmare i loro bisogni e correggere
i loro comportamenti sbagliati.
Dietro
i comportamenti sbagliati, quali l’aggressione, la mancanza di collaborazione,
la crisi di collera, l’assunzione di collera, può, infatti, nascondersi ogni
sorta di messaggio.
Nonostante i segnali
di allarme, i media, che amano interrogarsi sul modo di sfondare porte aperte,
si sono posti, subito, la domanda di rito:
“La morte di Désirée avrebbe
potuto essere evitata?”
Solo perché una Donna non si oppone o,
perfino, accetta di subire atti violenti e degradanti che ledono la sua dignità,
l’uomo è autorizzato a compierli?
Solo perché una Donna accetta di essere
uccisa o mutilata, l’uomo che la uccide o la mutila non è considerato un
criminale?
Esigiamo Giustizia per le Donne vittime di
stupro!
Esigiamo Giustizia per gli stupratori perché
non beneficino più di una tolleranza colpevole e di una impunità scandalosa!
Esigiamo Giustizia per i processi, rispettosi
dei diritti e difensori delle vittime!
In Italia il Codice Penale punisce come violenza sessuale, all’Articolo 609-bis,
la condotta di colui che con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità
costringa taluno a compiere o subire atti sessuali e quella di colui che induca
un altro soggetto a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni
di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto o
traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad
altra persona.
L’articolo 609-ter c.p., invece,
prevede delle circostanze [dette aggravanti] al ricorrere delle quali la pena
prevista in generale per la violenza sessuale è aumentata. È inoltre prevista
un aggravante della pena se i fatti sono commessi nei confronti di persona con
l’uso di sostanze alcoliche.
Negli ultimi anni sulla questione del
consenso sono stati fatti molti passi avanti, grazie in particolare alle
convenzioni internazionali ed europee approvate in materia, come la Convenzione di Istanbul che è il
documento più autorevole, cui fare riferimento.
Lasciamo alla Giustizia fare il suo corso
e restiamo solidali contro ogni forma di violenza.
Nessuna più, dolce Principessa Désirée!
Daniela Zini
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