“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

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venerdì 24 gennaio 2014

LETTERA APERTA A SUA SANTITA’ PAPA FRANCESCO I di Daniela Zini


“Iniziate con il fare ciò che è necessario, poi, ciò che è possibile.
E, all’improvviso, vi sorprenderete a fare l’impossibile.”
San Francesco di Assisi




Roma, 7 dicembre 2013

In certi momenti della Storia, il destino sembra esitare tra ora e malora, come se attendesse la venuta di qualcuno, ma, solitamente, non viene nessuno. Ed è in questi momenti di incertezza che l’Umanità si domanda, sempre, cosa riservi l’avvenire.
Ogni imprenditore sa, perfettamente, che, quando esiste una domanda, vi è, sempre, qualcuno disposto a farsi avanti per soddisfarla. Nel gergo aziendale, se si può trarre anche un solo centesimo, qualcuno, di certo, ne approfitterà. Fino dai primi giorni degli Anni Novanta è apparso chiaro che questo ventennio sarebbe stato destinato a essere agitato.
Perché il mondo occidentale sperimenta un senso di insoddisfazione dopo la grande vittoria sul nemico comunista?
Quali alternative esistono, oggi, al modello occidentale?
Tra i rischi che dobbiamo affrontare, quali debbono essere considerati prioritari?
Quali azioni dovrebbe intraprendere l’Occidente?
Quali dei nostri comportamenti dovremmo rivedere?
Quale sarà il futuro dell’Occidente?
Con l’emergere, in ogni settore, di problemi incontrollabili non corriamo il rischio di vedere precipitare nel caos o collassare l’intero sistema occidentale?

Dalla sera del 13 marzo scorso, la Chiesa Cattolica ha un nuovo Papa: Jorge Mario Bergoglio.
Lei, Sua Santità.
Il primo Papa non-europeo dal 741, il primo Papa venuto dal continente americano e il primo argentino.
Il primo gesuita a divenire Sommo Pontefice della Chiesa Universale.
Quella sera, con milioni di credenti e non, io ho formulato il desiderio che Francesco I divenga, sulla Terra, il Papa dei Poveri e della Pace e faccia sentire la Sua voce per mettere un termine all’abuso del nome di Cristo.

Tutte le parole si consumano con il tempo. Usiamole, dunque, con cautela, altrimenti rischieremo di cogliere solo una piccola parte di ciò che vogliono dire. È necessario servirsene, precisando, sempre, il loro senso.
La Chiesa appartiene a quel genere di vocaboli di cui si sente parlare molto, ma accade, spesso, che evochi un concetto più banale che sacro.
Chiesa – inutilizzabile per il credente, per il cristiano, senza chiarire cosa intenda – da un lato, evoca una costruzione architettonica, un edificio, ai nostri giorni, spesso, vuoto; dall’altro, assume l’accezione di un apparato teocratico, circondato da un fasto insolito anche per i sovrani e i capi di Stato.
In nome degli ideali più puri si costruiscono le migliori cattedrali, ma se gli ideali proposti non vivono nel nostro animo al servizio di ciascuno di noi sono destinati a venire traditi e le belle cattedrali si trasformano in vuote conchiglie.
Progressivamente l’evoluzione può sfociare nelle peggiori atrocità.
La Chiesa, con l’Inquisizione, il processo a Giovanna d’Arco, la condanna di Galileo Galilei, non è stata risparmiata.

Santo Padre,
il mio nome è D, come Donna, Diritti, Doveri. E, come scrive Fatima Naseef, in ogni tempo e in ogni luogo, “i miei doveri hanno, sempre, avuto la meglio sui miei diritti”. Per nascita, educazione e caso, ho potuto, in certa misura, sfuggire alle pressioni della società.
Sono una privilegiata.
Io non ho fatto l’esperienza del freddo e della fame.
Io non ho subito la tortura.
Io non ho conosciuto la schiavitù.
Possiedo radici vaghe e culture multiple, perché da quando sono nata mi hanno spostata o mi sono spostata da un luogo all’altro. Da piccola ne ho sofferto. Oggi ne sono felice, perché le radici forti alimentano una gabbia di soffocanti predestinazioni. L’educazione cattolica delle scuole private mi aveva reso una bambina cupa, profondamente infelice, che non mi somigliava. Mi avevano parlato del diavolo, dell’inferno, raccomandandomi di essere giudiziosa, altrimenti sarei stata punita. Non ho, mai, sentito associare le parole religione, amore e libertà. Tutte le cose che mi rendevano viva erano peccato, veniale o mortale: leggere libri messi all’indice, fare scorribande con i miei coetanei in bicicletta fino a sera.
Certe dottrine vengono insegnate con l’imposizione. Forse, possono essere di aiuto per vivere meglio. Ma proprio perché siamo stati costretti ad apprenderle, le rifiutiamo molto presto e facilmente. 
Mi liberai dalla religione cattolica!
La scoperta di altre culture, altri racconti di storia, altre divinità trasformò il mio sguardo sul mondo da assoluto a relativo. Non eravamo la verità, noi occidentali, noi cristiani, noi cultura greco-romana. Eravamo una minoranza nel mondo. Se il potere era solo nostro, era un potere d’élite, privo di democrazia. Se il regno dei cieli era solo cattolico, era un regno disumano, giacché escludeva la maggioranza degli uomini, delle donne e dei bambini del pianeta. La scoperta della relatività della verità, della relatività della storia, della relatività dello stesso concetto di religione o cultura o nazione è stata per me la via maestra verso la libertà. Scoprivo che libertà è innamorarsi senza rimorso delle piccole verità che ogni cultura contiene e che qualsiasi relazione può contenere.
Quale fede, alla mia età, rimane nel fondo del mio spirito?
La parola atea mi è, sempre, dispiaciuta e, con Thomas Henry Huxley, sono del parere che il termine agnostica sia più corrispondente alla mia condizione spirituale, se è agnosticismo dire che l’origine prima, la sostanza e il fine ultimo delle cose siano inaccessibili all’intelletto umano. In ogni caso, quantunque l’idea di un Dio come entità sia scomparsa dalla mia coscienza, mi rimane, ancora, la fede nello sviluppo lento e graduale di una vita sociale più elevata, più nobile. Credo sia dovere degli uomini obbedire a leggi di bontà e di amore, sforzarsi di porre fine alle guerre e alle epidemie, alla povertà, alla miseria, alle malattie, e crearsi, così, un Paradiso in terra, che trasformi il pellegrinaggio della vita in una crociata, nella quale ogni croce sia coronata di rose.
Ritengo di aver saputo trarre profitto da tutti i naufragi della vita. E, se, talvolta, il prezzo è stato esorbitante, era quello il prezzo che la vita esigeva. Chi ha paura di pagare un prezzo troppo alto, muore a se stesso!
So che il corso del mondo è il tessuto stesso della mia vita e ne seguo, con attenzione, il movimento. Un uomo o una donna che scrive non appartiene più al suo sesso. Sfugge, perfino, all’umano. Letteratura e potere non sono mai andati d’accordo. Il potere è dalla parte dell’ordine e della responsabilità, la letteratura dalla parte del “disordine” e dell’”irresponsabilità”. Il potere comanda, la letteratura “disobbedisce”. Il potere inclina, per sua natura, alla perpetuazione, la letteratura al rinnovamento. Rifiutando il passato, o più esattamente, legandosi al momento presente, nella sua qualità essenziale, fugace, il moderno respinge la tradizione, si lega alla sensazione dell’Hic et nunc.

Viaggiando, per anni, in lungo e in largo per il globo e assimilandone, senza mai staccarmi dalla mia terra di origine, le lingue,  i miti, i riti e i cibi, mi sono chiesta se esistano, davvero, una cultura occidentale e una cultura orientale o piuttosto, provenendo entrambe dallo stesso magma iniziale, che ha dato vita alle varie etnie e alle varie classi sociali all’interno delle singole etnie, chiamiamo cultura l’insieme di elementi specifici che il potere di turno ha fatto emergere dal magma, ha valorizzato secondo canoni precostituiti, ha rafforzato attraverso le leggi e ha tramandato nell’educazione attraverso una deliberata manipolazione dei documenti storici, letterari, filosofici e religiosi.
Non è necessario uscire dai confini del proprio Paese per scoprire un’altra visione del mondo. Si può rivelare uno straniero il proprio padre, il proprio fratello, il proprio marito, il proprio figlio.
Alla fine di questo viaggio una certezza ha trovato dimora in me. La scelta primaria di ogni essere umano, che va al di là del proprio sesso, della propria etnia, della propria lingua, della propria cultura, della propria religione e della propria classe sociale, è:
Da quale parte stare? 
Dalla parte dei potenti o degli oppressi?
Dalla parte dei colonialisti o dei colonizzati?
Dalla parte di chi scrive la storia, il vincitore di turno, o dalla parte di chi non ha voce, pur avendo fatto, egualmente, la storia?
A quali popolazioni e a quali classi sociali si riferiscono i nostri governi, quando parlano dei popoli e dei loro bisogni?

L’Umanità sta laboriosamente cercando la sua strada attraverso un agitato periodo di transizione. Le istituzioni politiche e sociali debbono, ancora una volta, essere trasformate: un nuovo mondo sta per nascere. Il vecchio mondo, da qualsiasi lato si guardi, appare nel suo letto di morte. Non vediamo intorno a noi che diffidenza, incertezza e fanatismo. Viviamo sotto il regime della grande paura. Per decine di milioni di esseri umani la fame e la disperazione sono più che una paura, sono la realtà della vita giornaliera. Per cecità da una parte, per impotenza dall’altra, le soluzioni della disperazione sembrano essere le sole adottabili e realiste.
Che cosa dobbiamo pensare di tutto ciò?
Il problema dell’ordine internazionale è il problema più urgente, quello che deve avere una priorità assoluta nella nostra considerazione, in quanto solo una sua razionale soluzione può dare un senso a tutte le soluzioni proposte per i particolari problemi politici, economici, spirituali che, oggi, si presentano nell’ambito dei singoli Stati. Se non arriveremo a un assetto internazionale che metta fine alle guerre a ripetizione, che coinvolgono tutti i Paesi del mondo, non potremo salvare la nostra civiltà: entreremo in un nuovo Medioevo.
La guerra non è più un urto tra eserciti. È una conflagrazione tra popoli che, nella lotta, impegnano tutti i loro beni, tutte le loro vite. È la guerra totale, in cui ciascuna delle parti cerca, con i più efficienti strumenti forniti dalla scienza moderna, di distruggere il potenziale bellico e di abbattere il morale del nemico, come mezzo indiretto per annientarne l’esercito. È la negazione di ogni sentimento umano, il definitivo ripudio del diritto come regola di vita. È un turbine che sradica intere popolazioni dalle terre sulle quali risiedevano da secoli, per gettarle senza più case, senza più mezzi per vivere, a migliaia di chilometri di distanza; che non rispetta né ospedali, né luoghi di culto, né asili di infanzia; che riduce in macerie fumanti biblioteche, musei, opere d’arte, i più preziosi patrimoni ereditati da innumerevoli generazioni passate.
La cosiddetta Intelligentia risulta composta di propagandisti e di esperti, perché non si apprezzano più le opere di significato universale, né le ricerche disinteressate, ma solo le opere che esaltano i sentimenti nazionalisti e i ritrovati tecnici che possono tradursi in armi efficienti.
Discorsi, giornali, televisione, fanno appello alle forze irrazionali dell’animo umano, per creare uno stato di follia collettiva che unifichi tutto il popolo in una sola volontà diretta a un unico fine: la vittoria, a qualunque costo, sopportando qualsiasi sacrificio.  Non ci si deve neppure più domandare cosa la vittoria possa significare. Si vuole la vittoria per la vittoria, si vuole la distruzione del nemico, si vuole sopravvivere, anche se quello che di noi sopravvivesse non meriterebbe, in alcun modo, essere difeso.
Le falsificazioni, le menzogne sono, sistematicamente, adoperate come strumenti di guerra al pari delle bombe e dei missili.
Chi ragiona, chi dubita, è un nemico della patria.
Tutti i valori morali sono sovvertiti: la violenza, il misconoscimento di ogni regola di vita civile, l’odio che non ammette alcuna attenuante a favore dell’avversario, il conformismo e l’obbedienza cieca agli ordini che vengono dall’alto, sono lodati, premiati, divengono abiti spirituali, in luogo del rispetto della vita umana, dell’ossequio alle leggi, della tolleranza, dello spirito critico e del senso di responsabilità individuale.
Il mio padre confessore, un gesuita spagnolo, faceva comprendere questa idea con una immagine semplice, ma molto forte. Raccontava che un giorno, camminando, aveva visto su una collina di fronte, un essere mostruoso, che, appressandosi, si era rivelato un uomo e, da vicino, suo fratello. Aveva esercitato, per lunghi anni, il ministero in America Latina, in condizioni austere e difficili, proprio come Lei, Santo Padre. Si era rivelato un teologo eccezionale e la sua disquisizione sul Verbo Incarnato mi appassionò profondamente. Iniziai, in quel periodo, a comprendere qualcosa del mistero di Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo, che, con la sua rivelazione, cambiava radicalmente il volto di Dio:
“Il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti.” [Marco 10, 45]
Questa affermazione mi ha, sempre, colpito.  

Da una scintilla accesa in Palestina si è sprigionata una fiamma che è impossibile domare. Senza mai estinguersi, quale ultima ratio regum, ha compiuto il suo percorso da nazione a nazione, e ha operato, silenziosamente, le sue conquiste. L’Umanità se ne è ritrovata trasformata senza quasi avvedersene, ha acquistato la conoscenza dei suoi diritti curando, secondo giustizia, i suoi interessi, e ha scoperto, infine, che la forza e il potere del dispotismo consistono, unicamente, nel timore di opporvi resistenza, e che, per essere liberi, è sufficiente volerlo.
Qualunque sia la sua forma o la sua costituzione, un governo non deve avere altro oggetto che il benessere generale. Quando, al contrario, tende a creare e ad accrescere la miseria in una parte della società, è basato su un sistema errato, che è necessario riformare.
Il linguaggio abituale ha classificato la condizione umana sotto le due categorie di vita civile e vita non civile. Alla prima ha associato il benessere e l’opulenza; alla seconda, la miseria e l’indigenza. Ma, per quanto le immagini e i paragoni possano colpire la nostra immaginazione, è pur vero che una larga parte dell’Umanità, nei Paesi cosiddetti civili, versa in condizioni di miseria e di indigenza.
È così in Italia.
È così nel resto del mondo.
La causa?
Non risiede in qualche difetto naturale dei principi della civiltà, ma nell’impedire che questi principi abbiano una efficacia universale; ne consegue un sistema perpetuo di guerre e di spese, che esauriscono il Paese e distruggono il benessere generale che la civiltà è in grado di generare.
Di tutti i governi, nessuno si fonda su un principio di civiltà universale, ma sul suo opposto. Nei loro rapporti reciproci, si trovano nelle stesse condizioni che noi immaginiamo essere quelle della vita selvaggia e incivile e si pongono al di sopra sia delle leggi di Dio sia di quelle umane, quanto ai loro principi e alla loro condotta reciproca, si comportano come altrettanti individui in uno stato di natura.
In ogni Paese, sotto l’influenza civilizzatrice delle leggi, gli abitanti comunicano, agevolmente, tra loro, ma i governi, essendo ancora in uno stato incivile, e, ormai, continuamente in guerra, distorcono il benessere prodotto dalla vita civile per promuovere la parte incivile. Innestando, in tale modo, la sua barbarie sulla civiltà interna di un Paese, il governo stesso trae da quest’ultimo e, in particolare, dai poveri, una buona parte di quei profitti che dovrebbero essere impiegati per il loro sostentamento e per il loro benessere. A parte ogni riflessione morale o filosofica, è ben triste che più di un quarto della fatica umana sia consumato, ogni anno, da questo sistema barbaro. Il tornaconto, che comporta, per tutti i governi, il mantenimento di questo stato incivile, ha permesso che si perpetuasse questo male. Fornisce, infatti, a quei governi pretesti per ottenere maggiori poteri ed entrate, di cui non vi sarebbe necessità e giustificazione se il cerchio della civiltà fosse, finalmente, completo. Da solo, il governo civile o governo delle leggi non esige molte imposte; agisce all’interno e direttamente sotto gli occhi del Paese e non permette troppi inganni. Ma quando prendiamo in considerazione la contesa incivile tra i governi, il campo delle pretese si estende, e il Paese, non esercitando più il suo giudizio, è soggetto a ogni abuso che al governo piaccia compiere. 
Solo chi si arresti all’apparenza esteriore può immaginare che, nei Paesi cosiddetti civili, domini il benessere, ma, nascosta all’occhio dell’osservatore comune, esiste una massa di infelici, che non hanno quasi altra aspettativa che quella di perire nella povertà e nell’infamia. Il loro ingresso nella vita è accompagnato dal presagio della loro sorte.  Un governo civile provvede al sostegno degli anziani e alla istruzione dei giovani, così da preservare gli uni dalla disperazione e gli altri dalla dispersione, per quanto è possibile. Invece, le risorse della nazione vengono profuse per i “re”, per le “corti”, per i “mercenari”, per gli “impostori” e per le “meretrici” e gli stessi poveri, nonostante tutte le privazioni di cui soffrono, sono obbligati a sostenere questo sistema fraudolento che li opprime. I milioni che si sprecano, inutilmente, per i governi sarebbero più che sufficienti a sanare questi mali e a migliorare le condizioni di ogni abitante di una nazione, che viva al di fuori delle “corti”.
Avere fatto tirocinio della vita è tornato a mio vantaggio: io conosco il valore della educazione morale, come conosco i pericoli che la sua mancanza comporta. E, nel momento in cui, di fronte al male, per proteggere i più deboli non si presentino strumenti alternativi, non si può rifiutare la mischia. Se, in nome della mitezza, si ritenga che non sia giusto battersi e si passi dall’altro lato della via, allora, non è vero che si è miti.
Si è codardi!
Quello che io difendo non è elemosina, ma diritto; non dono, ma giustizia!
Lo stato attuale della civiltà è odioso quanto ingiusto. È l’opposto di quello che dovrebbe essere ed è necessario che si effettui una “rivoluzione”.
Il contrasto tra ricchezza e povertà che offende, continuamente, la vista è come lo spettacolo di un vivo e di un morto incatenati l’uno all’altro. Per quanto mi interessi meno che a chiunque altro, non demonizzo, certo, la ricchezza, perché è suscettibile di fare del bene. Non mi importa quanto possano essere ricchi alcuni, purché nessuno sia povero per causa loro.

Santo Padre,
conoscendo il mio cuore e sentendomi, come io mi sento, superiore a ogni schermaglia di partito e all’odio di avversari sviati dall’interesse o dall’errore, senza replicare alle falsità e agli insulti, procederò all’esame dei difetti dei governi.
Inizierò dai privilegi e dalle caste.
Affermare che un privilegio conferisca dei diritti significa pervertire i termini; ha un effetto opposto, vale a dire quello di privare dei diritti. I diritti ineriscono a tutti i cittadini; ma i privilegi, annullando tali diritti nella maggioranza, li lasciano, per esclusione, nelle mani di pochi. Se i privilegi fossero istituiti in modo da sancire, in termini espliciti, che ogni cittadino, che non fosse membro di una casta, non potesse esercitare il diritto di voto, tali privilegi si presenterebbero, evidentemente, non come delle concessioni di diritti, ma come esclusioni.
In passato, quando nascevano dei contrasti in tema di governo, si ricorreva alla spada, dando luogo alla guerra civile. Quella usanza barbara è stata estirpata dal nuovo sistema; ora, si fa appello alle “larghe intese”. Arbitra della questione è la volontà generale, cui le opinioni personali si sottomettono di buon grado e l’ordine è preservato da ogni violazione. 

“Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte. Così il titolo nei giornali. Quando, alcune settimane fa, ho appreso questa notizia, che, purtroppo, tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E, allora, ho sentito che dovevo venire qui, oggi, a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze, perché ciò che è accaduto non si ripeta, non si ripeta, per favore. Prima, però, vorrei dire una parola di sincera gratitudine e di incoraggiamento a voi, abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza, che avete mostrato e mostrate attenzione a persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore.
Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà!
Grazie!”
Santo Padre,
senza se e senza ma, Lei ha deciso di piacermi.
Il suo richiamo, nella omelia dell’8 luglio scorso, sulla spiaggia di Lampedusa, alla globalizzazione dell’indifferenza, in fedeltà alla parola di Cristo:
“Ero forestiero e mi avete ospitato.” [Matteo 25, 35],
dovremmo sentirlo tutti come uno schiaffo per ciò che non abbiamo fatto.
Che dire davanti al massacro di innocenti che fuggono la guerra, la fame e la dittatura?
Che dire davanti alle salme di quei 300 disperati, morti per la sola ragione di aver avuto la folle idea di passare da un continente all’altro, in nome del diritto alla libertà di circolazione?
Lei sogna “una Chiesa povera, per i poveri” e non esita a denunciare nel capitalismo una “eutanasia silenziosa”. Come colpi di cannone, che avvertono del pericolo, risuonano i Suoi accenti contro un “liberismo selvaggio [che] rende i forti più forti, i deboli più deboli e gli esclusi più esclusi”.
Quelle vittime al largo della Spiaggia dei Conigli erano i poveri dei poveri.
I leaders europei non possono occultare la realtà cruda e ignobile. Quei 300 morti accusano l’Europa di non-assistenza a persone in pericolo.
“Mi viene la parola vergogna: è una vergogna!”
Questa idolatria del capitalismo e del potere statale, martellata, ogni giorno, alle masse dai media, non è una eresia aperta?
Non è in contraddizione totale con l’atteggiamento di Cristo, che pregava sulla croce per i suoi persecutori?
Per tutta risposta alla miseria del mondo, gli Stati ricchi non adottano che la via repressiva, erigono barriere e torri, come a Ceuta e a Melilla; spendono centinaia di milioni, ogni anno, in dispositivi Frontex ed Eurosur, per controllare e dare la caccia agli immigrati; sovvenzionano gli Stati africani perché controllino, in pieno deserto, i loro cittadini; sviluppano centri di accoglienza in Africa e in Europa.
Come i muri eretti tra Grecia e Turchia, tra Stati Uniti e Messico, tra Africa del Sud e Mozambico, tra Cina e Corea del Nord, tra Uzbekistan e Afghanistan, tra Botswana e Zimbabwe…
E tutto ciò in pura perdita!
La generalizzazione di questi recinti e reticolati antimigranti dovrebbe, tuttavia, farci riflettere.
Quale cortina di ferro o di bambù, quale cordone culturale, etnico o religioso potrebbe mai contenere la pressione crescente che i 5 miliardi di poveri del Sud del mondo esercitano verso il miliardo di privilegiati del Nord?
A che servono questi ostacoli che non dissuaderanno mai coloro che preferiscono rischiare la loro vita su barconi di fortuna piuttosto che restare nei loro Paesi devastati dalla violenza e dalla miseria?
Queste linee Maginot del XXI secolo sono inutili oltre che illusorie. Servono, innanzitutto, a ingannare le popolazioni degli Stati che li erigono e si rifiutano di ammettere una semplice verità: i flussi migratori non sono invasioni, ma meri movimenti di popolazione, normali in un mondo aperto. Non si può, al tempo stesso, erigere a dogma la libera circolazione delle finanze e delle merci e vietare agli esseri umani di circolare e, perfino, di insediarsi.
È negare il diritto di ospitalità, il diritto di asilo, il diritto dei migranti!
Io so che mi si accuserà, ancora una volta, di angelismo, incapace di comprendere le preoccupazioni popolari. Ma io difenderò, sempre, una visione del mondo che rifiuta le finzioni ed esige la verità. I migranti detti “illegali” non sono più nemici di quanto non lo siano stati gli italiani, gli spagnoli, i portoghesi, i francesi, i belgi, gli olandesi, gli inglesi, gli irlandesi, gli scozzesi, i tedeschi, gli svedesi, i polacchi, i russi, a partire dal XVI secolo.
Secondo le stime dell’ONU, nel 2003, i migranti sono stati circa 175 milioni, circa il 3% dell’intera Umanità; nel 2013, 232 milioni, pari al 3,2%, di cui 35mila sbarcati in Italia.
L’Occidente non si definisce per la sua “bianchezza” o per la sua religione, ma per la sua storia e per la sua cultura, prodotto della sua diversità. L’Occidente, è il crogiuolo di una civiltà co-scritta da migranti. E ciò non ha, mai, cessato dai barbari ai romani, dagli unni ai vichinghi, dai musulmani andalusi agli ebrei venuti dall’Europa Centrale.  
Oggi, l’Unione Europea si nasconde dietro le sue mura per proteggere i suoi “ricchi” dai “dannati della Terra”. 
Si è trasformata in fortezza.
Costituita per preservare la pace al suo seno, fa la guerra ai poveri del resto del mondo… e ai suoi stessi cittadini.
Se una crisi esaspera, sempre, i sentimenti di rigetto, questi stessi sentimenti di rigetto sono rafforzati dalla situazione di ineguaglianza e di declassamento che incrudelisce in numerosi Paesi europei.
Tuttavia, il modo di vita occidentale fa sognare centinaia di milioni di uomini e di donne nel mondo. Le immagini rimandate dagli schermi creano l’illusione di un mondo dove il lusso sia facile; dove si trovi lavoro; dove si mangi, assecondando la propria fame; dove si viva in sicurezza.
Noi sappiamo che non è così, ma, per i giovani maghrebini, somali, eritrei, siriani, questa illusione permette di conservare una speranza. Quando il mare non li inghiotte, li getta in una avventura, alla fine della quale scoprono il rovescio della medaglia: una Europa della paura e dello smarrimento, dove l’ultimo arrivato non è il benvenuto, una Europa del “ciascuno per sé”.
Siamo o siamo stati tutti migranti, Ronald Reagan, Barack Obama, Donald Henry Rumsfeld, Herbert Norman Schwarzkopf, Henry Kissinger, Zbigniew Brzezinski, Colin Luther Powell, Paul Wolfowitz, Nicolas Sarkozy, Manuel Carlos Valls, Benjamin Netanyahu…
Abramo, Mosè, Gesù, gli stessi Apostoli…
Lei, Santo Padre, e io…
I migranti sono sotto la protezione internazionale, ma le leggi nazionali, redatte in fretta, sotto la pressione della crisi e dell’opinione, creano le condizioni della tragedia di Lampedusa.
Se i migranti attraversano il Mediterraneo a rischio della propria vita è perché i visti sono impossibili da ottenere.
Se i trafficanti li abbandonano in mare aperto è perché non vogliono essere considerati responsabili del trasporto.
Se le barche non li soccorrono è perché i pescatori temono di essere considerati complici.
Le catene dell’ipocrisia debbono essere spezzate e le leggi illiberali rigettate.
Le diverse centinaia di milioni, che si spendono per equipaggiare i Paesi rivieraschi e frontalieri, si potrebbero impiegare meglio in progetti di co-sviluppo.
In luogo di vendere armi ai dittatori, si potrebbero costruire ospedali.
Corridoi umanitari potrebbero essere organizzati, a partire dalla Siria.
Il diritto di asilo potrebbe essere esteso, meglio diviso da tutti i Paesi dell’Unione Europea…
Ma gli Stati dell’Unione Europea non faranno mai nulla di tutto ciò.
Troppo difficile da “vendere” alle loro opinioni rispettive, non abbastanza redditizio!
E si dimenticherà Lampedusa fino alla prossima volta.
I dimenticati della Storia passeranno per perdite e profitti, come sempre!

Siamo, ora, agli inizi di dicembre. Se andassi in giro per la campagna, gli alberi si mostrerebbero nel loro aspetto invernale: senza foglie. Si usa spezzare piccoli rami, camminando, e, forse, se ne spezzassi uno anche io, potrei osservare su quel ramoscello una unica piccola gemma iniziare a germogliare. Sarebbe presuntuoso e, perfino, insensato se supponessi che quella piccola gemma fosse l’unica gemma nel mondo. Penserei, al contrario, che quel miracolo della natura stia accadendo, anche, altrove.
Il letargo vegetativo di alcuni alberi si protrarrà più a lungo rispetto ad altri e certi non fioriranno che tra due o tre anni, ma, in estate, tutti saranno adorni di foglie, a eccezione dei morti.
Nessun pronostico può stabilire se l’estate politica terrà il passo con quella naturale.
E nonostante ciò, non è difficile accorgersi che la “Primavera” sia alle porte.

Buon Natale, Sua Santità!

Assunta Daniela Zini, per tutti semplicemente D

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