“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

venerdì 29 dicembre 2023

ANTONIO NEGRI intervistato da Enzo Biagi (1983) INEDITO

Moni Ovadia: "Netanyahu dovrà essere processato. Il nostro pensiero sia ...

La Palestina Dimenticata: Intervento di MONI OVADIA

Michele Santoro: Proiettili e Bugie

Crosetto: “Altre armi all'Ucraina? Non posso dirlo”. Ma Tajani lo ha ant...

Biden ADMITS Ukraine CANNOT Win War, Giving Up Territory: Lt Col Davis R...

Tucker Carlson Takes ZELENSKY TO TASK, Prez DISSAPEARS Before Meeting Wi...

OBAMA Swoops in to SAVE Claudine Gay? Harvard President REFUSING to Resi...

WOW! Possible UFO spotted tailing President Biden and Air Force One? Wha...

Jeffrey Epstein, Bill Gates Alleged Emails REVEAL CREEPY Conversations: ...

They're Pouring Fuel On U.S. Politics And The Situation Is About To Blow! 🔥

sabato 23 dicembre 2023

A Christmas Carol: The Musical | FULL MOVIE | 2004 | Kelsey Grammer, Jan...

domenica 17 dicembre 2023

BREAKING: US senator Ben Cardin staffer has gay sex in US Senate chambers

Senate staffer who allegedly filmed public sex in Congress ousted | New ...

martedì 12 dicembre 2023

André Rieu - Home for Christmas

mercoledì 6 dicembre 2023

Covid, Paolo Mieli: "I morti per trombosi da vaccino Pfizer sono stati p...

Vaccini: il confronto tra un professore no vax e gli ospiti in studio - ...

Arianna Di Stadio (Neuroscienziata): "La vaccinazione con Pfizer negli S...

Spot "Se ami tuo figlio, lo vaccini"

Spot di sensibilizzazione contro il Papilloma virus umano

sabato 2 dicembre 2023

Dickens la più bella storia 1970.Film completo in italiano.

giovedì 30 novembre 2023

CARISSIMO BABBO NATALE di Daniela Zini

 

 

Eccomi qui, il Natale è, oramai, alle porte – speriamo ricco di Amore, di Pace e di Serenità per il Mondo intero! – ed è giunta per me l’ora di scrivere la mia Letterina a Babbo Natale.

Le cose da preparare sono tante, ma Bea e io abbiamo, già, iniziato a addobbare la casa e abbiamo aperto la Porticina Magica per accogliere Babbo Natale nella nostra Casa.

La tanto cara Letterina…

Uno dei momenti più attesi e più magici del Natale, un’occasione per tornare Bambina, per lasciare spazio ai Sogni e per condividere una Festa unica con Bea e con Voi…

Per ringraziarvi tutti dell’affetto che ci dimostrate ogni giorno!

B&D

 

Carissimo Babbo Natale, 

è da molto tempo che io non Ti scrivo…

Ed è da molto tempo che io non Ti chiedo nulla.

Ma, oggi, a venticinque giorni dal Natale, io mi sono decisa a scriverTi, dopo molti anni.

Io so che Tu sei molto occupato a preparare con TUTTI i Tuoi Folletti i Doni per TUTTI i Bambini di TUTTO il Mondo, che sono stati Buoni e, ogni tanto, anche per i Bambini che non sono stati Buoni…

A volte, io credo che Tu sia, perfino, molto indulgente…

Ma è la festa dei Bambini, non è così?

Io so che Tu riceverai Lettere da TUTTI i Bambini di TUTTO il Mondo.

È incredibile come TUTTI i Bambini di TUTTO il Mondo, a pochi giorni dal Natale, siano pronti a mettere nero su bianco di essere stati buoni TUTTO l’Anno, non trovi?

Ma è la Festa dei Bambini, non è così?

Io non sono sicura che Tu leggerai me, una inguaribile Bambina che non vuole crescere, perché sta, ancora, aspettando di vedere un Mondo Migliore… avrai talmente tanto da fare…

Io so, già, cosa Tu mi obietterai:

“Ma è la Festa dei Bambini!” 

Non è così?

E, nonostante ciò, io voglio spedirti la mia Lettera, con la Speranza che Tu possa realizzare TUTTI i miei Desideri.

Allora, cercherò di non dimenticare proprio nulla nella lista dei miei Desideri.

Ecco:

 

Io vorrei che TUTTI i Bambini di TUTTO il  Mondo non fossero più dimenticati.

 

Io vorrei che TUTTI i Bambini di TUTTO il Mondo non dovessero più lavorare per guadagnarsi il loro tozzo di pane quotidiano.

 

Io vorrei che TUTTI i Bambini di TUTTO il Mondo, in Paesi colpiti dalla guerra, dalla carestia e dalla siccità, non patissero più la sofferenza, la fame e la sete a casa loro, privati di cure mediche, cibo adeguato e acqua potabile e perdessero, così, irrimediabilmente, la loro Infanzia, alla quale hanno diritto.

 

Io vorrei che TUTTI i Bambini di TUTTO il Mondo non conoscessero più la guerra.  “Ogni guerra è una guerra contro i Bambini!”, sono parole di Eglantyne Jebb, pronunciate 100 anni fa, che, ancora oggi, risuonano con la stessa forza. Quanti Bambini uccisi, mutilati, feriti, nati malformati? 

 

Io vorrei che TUTTI i Bambini di TUTTO il Mondo non fossero più abusati da Orchi, protetti da un muro di omertà, che rimangono impuniti a causa di un vuoto legislativo non ancora colmato. E, se tu mi dai una mano, vedrai che insieme, Tu e io, picconata dopo picconata, prima o poi, riusciremo ad abbattere questo muro di omertà, che protegge gli autori di questi atti vergognosi!

 

Io vorrei che TUTTI i Bambini di TUTTO il Mondo non dovessero più rovistare, ogni giorno, nelle discariche in cerca di un po’ di cibo.

 

Io vorrei che TUTTI i Bambini di TUTTO il Mondo non morissero di malnutrizione al seno senza latte delle loro Madri.

 

Io vorrei che TUTTI i Bambini di TUTTO il Mondo avessero un tetto per ripararsi dal freddo che sta arrivando.

 

Io vorrei che TUTTI i Bambini di tutto il Mondo vivessero nella spensieratezza la loro età. 

 

Io vorrei che TUTTI i Bambini di TUTTO il Mondo avessero piccole faville di Luce scintillante nei loro occhi, come Notti in bianco, il Giorno di Natale.

 

È chiederTi troppo?

Sì, so, già, che Tu mi obietterai, ancora una volta, che vi è un Dio per tutto ciò…

Ma, da molto tempo, Dio li ha dimenticati, i Bambini…

TUTTI i Bambini di TUTTO il Mondo…

Allora, io mi rivolgo a Te.

Perché Tu sei sensibile e attento al Dolore e alla Sofferenza di TUTTI i Bambini di TUTTO il Mondo, che, in questo stesso momento, sono, in strada, gli occhi impauriti, pieni di dolore, in cerca della loro Famiglia, di un segno di Vita e di un Senso di tutto ciò che accade loro.

Possa Tu esaudire tutti i miei Desideri, al fine di rendere felici TUTTI i Bambini di TUTTO il Mondo, il Giorno di Natale!

Io so che il Tuo compito è un compito molto grande, per un Uomo solo, ma, forse, Tu potresti delegarlo a TUTTI i Governanti di TUTTO il Mondo, non è così?

Natale è il Tempo dell’Attesa e del Miracolo, se non si può avere un Grande Sogno, in questo periodo dell’Anno, quando si può, non è così? 

Carissimo Babbo Natale, io spero che Tu possa leggere la mia Lettera ed esaudire TUTTI i miei Desideri. 

 

Daniela (Zini)

mercoledì 29 novembre 2023

Festival Salute 2023. Vaia: "Il vaccino deve diventare uno stile di vita"

martedì 14 novembre 2023

Israele, l'Esercito: "Non temiamo le minacce dal mar Rosso"

sabato 11 novembre 2023

Il mondo americano è in frantumi

mercoledì 8 novembre 2023

L’OBLIO DELLA MEMORIA I. La Bibbia giustifica l’attentato? di Daniela Zini

lunedì 6 novembre 2023

KING DAVID HOTEL BLOWN UP

AIFA - Il consenso informato nelle sperimentazioni dei vaccini Covid-19:...

giovedì 2 novembre 2023

How Israel Was Created

Israel Was Created By Terrorism 1 of 2

Arendt - L'amicizia e la Shoah

Hannah Arendt - Riflessioni sul processo Eichmann

Israeli video trend mocks Palestinians’ suffering | Al Jazeera Newsfeed

President Reagan Meeting with Prime Minister Menachem Begin on June 21, ...

Hannah Arendt FilmCompleto

SYND 10-1-72 INTERVIEW WITH MENACHEM BEGIN

Zeev Jabotinsky at establishment of Jewish Legion

PALESTINE/ISRAEL: Haganah troops occupy Jaffa (1948)

PALESTINE: Jewish terrorist group attacks Officers' Club (1947)

A large fire has broken out at the Israeli town of Kiryat Shmona after m...

There is a humanitarian disaster in Gaza. Congress must act.

Ta-Nehisi Coates Speaks Out Against Israel's "Segregationist Apartheid R...

“Genocide”: Top U.N. Official Craig Mokhiber Resigns, Denounces Israeli ...

giovedì 19 ottobre 2023

Invading Gaza Will Be Israel’s Biggest Ever War Crime: Haaretz Columnist...

Palestina e Israele: parla Gideon Levy giornalista di Haaretz

giovedì 12 ottobre 2023

Oded Yinon: A Strategy For Israel In The 1980s (Does It Work Now?)

מחסום ווטש: הצבא מונע חריש בשטח פרטי של פלסטיני

Daniella Yoel

MachsomWatch women

Between Israel and Palestine, "Things are going to get a lot worse" | Th...

Sharon's Legacy Includes Massacres of Palestinians and Lebanese -- Pt. 1

Eyewitness: Ellen Siegel recalls the horror of Sabra and Shatila massacre

lettera a obama

martedì 10 ottobre 2023

Grave errore di calcolo: Perché i servizi segreti israeliani sono stati ...

lunedì 9 ottobre 2023

La verità sul Piano Kalergi. Presentazione del libro con l'autore Matteo...

sabato 7 ottobre 2023

10th World Health Summit Berlin 2018:SAHIN BIONTECH: Zusammenarbeit der ...

Grand Challenges Meeting 2018: Spotlight Talk I

BERLIN: Gates wirbt auf Weltgesundheitsgipfel für mehr Innovationen

martedì 3 ottobre 2023

ALMANYA'da neler oluyor? Bill Gates, Prof. Dr. Uğur Şahin'e neden para g...

lunedì 25 settembre 2023

IMPERDIBILE - Confessione del direttore della CIA John Brennan sulla Geo...

venerdì 15 settembre 2023

Dr Serge Rader - "On achève nos personnes âgées dans les ehpad par séda...

lunedì 11 settembre 2023

Coronavirus, l'appello della rianimatrice: «State a casa»

lunedì 4 settembre 2023

Un mercoledì da Leone, Falcone e Borsellino e la crociera sul Britannia:...

Giuliano Amato alla vedova Barsacchi, senatore Psi: "Zitta coi giudici, ...

domenica 3 settembre 2023

Vaccini, Meloni: «Invito ad anziani e fragili, gli altri chiedano al med...

martedì 29 agosto 2023

Cicchitto: "Non consideriamo Berlusconi un rinco... Con Putin? Si amano"

venerdì 25 agosto 2023

The Hague: Kosovo ex-president Thaci on trial for war crimes | DW News

Kosovo : cinq condamnations pour trafic d'organes

Interrogé sur la "maison jaune", Bernard Kouchner nie toujours le trafic...

Trafic d'organes au Kosovo: un rapport demande la "vérité"

domenica 20 agosto 2023

Joe Bonanno's book led to [ the commission case ]

1983 SPECIAL REPORT: "JOE BONANNO"

Bonanno 1 The youngest godfather part 2

Bonanno 1 The youngest godfather part 1

Joe Bonanno (e la famiglia Castellamarese)

mercoledì 16 agosto 2023

PERCHE' GIORGIA MELONI E' SOCIA DELL' ASPEN INSTITUTE?

mercoledì 2 agosto 2023

Johns Hopkins faces lawsuit over STD study

Inside The Life of Jordan's Richest Family

Nigerian Pfizer victims' compensation fears

Pfizer to Pay Record $2.3B Penalty

venerdì 14 luglio 2023

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI di Daniela Zini

LETTERA APERTA


al Presidente del Consiglio

GIORGIA MELONI

 

“Il fatto che l’uomo sappia distinguere tra il bene e il male dimostra la sua superiorità intellettuale rispetto alle altre Creature; ma il fatto che possa compiere azioni malvagie dimostra la sua inferiorità morale rispetto a tutte le altre Creature che non sono in grado di compierle.”

Mark Twain

 

Children of World War 2 | The Effects of War on Children | Award Winning Documentary | 1946 [https://www.youtube.com/watch?v=C2ixACfhiBI].

 

Cari Ragazzi, 

mentre guardavo questo filmato ho pensato a Voi Ragazzi, piccoli e grandi dei cinque Continenti, Voi, che siete pieni di vita, che studiate, che giocate, che lavorate…

Voi siete gli animatori delle nostre Case, delle nostre Scuole, nel Mondo intero…

Sì, ho pensato, subito, a Voi, perché Voi siete sensibili e attenti al dolore e alla sofferenza di quei Ragazzi che, in questo stesso momento, sono, gli occhi impauriti, pieni di dolore, in cerca della loro Famiglia, di un segno di Vita e di un senso di ciò che accade loro.

La guerra in Ucraina ha riportato il tema della Pace al centro del dibattito internazionale e ha rivelato, con più chiarezza, come in tante aree del Mondo, vicine e lontane, siano aperti conflitti. Secondo i dati dell’Upsala Conflit Data Program [UCDP], un programma di ricerca sui conflitti, realizzato dall’Università svedese di Uppsala, nel Mondo si conta che siano in atto 170 conflitti. 

E in Yemen è in atto uno dei conflitti più brutali al Mondo.

La crisi umanitaria più grave al Mondo.

Tra il marzo del 2015 e il settembre del 2021, nel Paese sono stati registrati circa 10 attacchi aerei al giorno, che hanno causato l’uccisione o il ferimento di oltre 18mila civili.

Eppure non fa notizia!

Non è una “guerra dimenticata”.

È una guerra volutamente ignorata e sottolineo volutamente.

Il 27 febbraio scorso, il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres ha chiesto ai donatori internazionali 4,3 miliardi di dollari per le operazioni umanitarie in Yemen. Più di 21 milioni di persone, due terzi della popolazione del Paese, hanno bisogno di assistenza e protezione.

La Commissione Europea ha considerato finanziamenti per oltre 193 milioni di euro a favore delle persone più vulnerabili nello Yemen a fronte degli oltre 77 miliardi di euro – 38,3 miliardi di euro in assistenza economica, 17 miliardi di euro in sostegno ai rifugiati all’interno dell’Unione Europa, 21,16 miliardi di euro in sostegno militare, 670 milioni di euro nel meccanismo di protezione civile dell’Unione Europea [https://www.consilium.europa.eu/it/policies/eu-response-ukraine-invasion/eu-solidarity-ukraine/] – concessi, dall’inizio della guerra, dall’Unione Europea e dagli Stati Membri all’Ucraina che, al pari dello Yemen, non è Stato Membro né dell’Unione Europea né della NATO.

All’appello mancano oltre due terzi dei finanziamenti: 3,1 miliardi sui  4,3 miliardi richiesti. Un baratro che rischia di lasciare 17,3 milioni di yemeniti, circa due terzi della popolazione, senza aiuti urgenti e salvavita.

Un disimpegno dei Governi che ha spinto le organizzazioni umanitarie attive nel Paese, inclusa INTERSOS, a lanciare un forte allarme.

Tutti i Bambini del Mondo hanno diritto alla Pace.

Non esistono Bambini di serie B!

In Yemen, si contano 4 milioni e mezzo di sfollati.

I Paesi europei, tra cui l’Italia, alimentano il conflitto e traggono profitto da questa sofferenza, fornendo armi alla coalizione.

Tra il 2015 e il 2019, grandi quantità di armi sono state esportate da aziende italiane in Arabia Saudita, nonostante le segnalazioni dell’ONU dei rischi di crimini di guerra [https://www.romasette.it/armamenti-italiani-in-yemen-il-20-dicembre-ludienza-decisiva/].

Il divario di impunità di cui beneficiano tutti gli attori del conflitto – compresa l’industria europea delle armi – deve essere colmato.

Come parte di un’ampia rete di organizzazioni, Mwatana for Human Rights, Rete Pace e Disarmo ed ECCHR lavorano, dal 2018, per chiedere conto agli attori europei del loro coinvolgimento in potenziali crimini di guerra e violazioni dei diritti umani in Yemen.

Erano le 3 di notte dell’8 ottobre 2016 quando l’attacco aereo condotto dalla Coalizione guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti contro il villaggio yemenita di Deir Al-Hajari, nel Governatorato di Al-Hudaydah, una delle aree più povere dello Yemen Nord-Occidentale, abitata da contadini e pescatori, disintegrava la modesta casa della famiglia Husni, uccidendo i suoi 6 abitanti:  Husni Ali Ahmed Jaber Al-Ahdal, sua moglie Qaboul Mohammed Hussain Mahdi, incinta al quinto mese, le loro quattro bambine Taqia, Fatima, Sarah e il piccolo Mohammed.

I numeri di matricola sui resti degli ordigni rinvenuti sul luogo confermarono che le bombe utilizzate nell’attacco aereo illegale erano state prodotte da RWM Italia, una filiale della società tedesca Rheinmetall AG, la cui esportazione era in evidente violazione della Legge 9 luglio 1990, n. 185 sull’export bellico a Paesi in guerra. Inoltre il prolungato periodo di licenza di esportazione, rilasciato dalle autorità italiane e le successive esportazioni di armi da parte di RWM verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti [EAU] configuravano una violazione del Trattato sul Commercio delle Armi [ATT]. 

I funzionari dell’Autorità Nazionale per l’Esportazione di Armamenti [UAMA] presso il Ministero degli Esteri, che decide sulle richieste di esportazioni delle industrie belliche italiane, e l’amministratore delegato della RWM Italia SPA non sono stati incriminati per il loro ruolo nella fornitura di armi che hanno contribuito agli attacchi aerei illegali nello Yemen. Il giudice per le indagini preliminari Maria Gaspari non li ha ritenuti perseguibili in quanto non considera dimostrabile che l’azienda abbia tratto profitto dall’abuso di ufficio, un reato abrogato dallo stesso Governo Meloni.

Rifiutandosi di indagare sulle responsabilità delle autorità e delle aziende i cui armamenti sono collegati a potenziali crimini di guerra sotto la sua giurisdizione, l’Italia non solo ha legittimato queste esportazioni di armi e ha limitato l’accesso alla Giustizia per le vittime, ma ha anche violato i suoi stessi obblighi di proteggere il diritto alla vita, come sancito dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani.

Che senso hanno le norme nazionali e internazionali sull’esportazione di armi, con criteri e procedure trasparenti, se possono essere ignorate senza conseguenze?

L’Italia, dunque, vende armi e chiude gli occhi di fronte alle conseguenze sui civili?

I parenti delle vittime e l’unico sopravvissuto all’attacco aereo hanno presentato ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo [CEDU]. I tre ricorrenti sostengono che la magistratura italiana non ha ritenuto il produttore di armi RWM Italia SPA e gli alti funzionari dell’Autorità nazionale per l’esportazione di armamenti [UAMA] responsabili della violazione del diritto alla vita, come stabilito dall’articolo 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.  

La denuncia offre alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo l’opportunità senza precedenti di garantire l’accesso alla Gustizia alle vittime di crimini di guerra commessi con armi prodotte in Europa.

Nell’estate del 2019, il Governo Conte aveva deciso di sospendere la vendita di bombe aeree e missili, oltre alla loro componentistica, ad Abu Dhabi e a Riad a causa dei crimini di guerra commessi contro la popolazione civile yemenita, una decisione sopravvenuta per la forte pressione della società civile e la sottolineatura della chiara violazione delle norme nazionali e internazionali che regolano il commercio di armi. 

Il 31 maggio scorso, il Governo Meloni ha approvato, con procedura d’urgenza, un disegno di legge volto all’introduzione di disposizioni organiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela del Made in Italy [https://www.governo.it/it/articolo/consiglio-dei-ministri-n-37/22766], che revoca le limitazioni all’export di bombe e missili verso l’Arabia Saudita, disposte dal Governo Conte I:

“Le limitazioni all’esportazione verso l’Arabia Saudita di alcuni materiali di armamento per prevenirne l’utilizzo nella guerra in Yemen sono state decretate tra il 2019 e il 2020, in conformità con atti di indirizzo del Parlamento.

Le motivazioni alla base di tali provvedimenti sono oggi venute meno. Il contesto regionale in Yemen è cambiato, a cominciare dagli sviluppi sul terreno. Da aprile 2022, anche grazie alla tregua convenuta tra le parti, le attività militari sono fortemente rallentate e circoscritte. La significativa riduzione delle operazioni belliche comporta un’attenuazione altrettanto significativa del rischio di uso improprio di bombe d’aereo e missili, in particolare contro obiettivi civili. Riad ha portato avanti una intensa attività diplomatica a sostegno della mediazione delle Nazioni Unite e al contempo ha agito anche sul fronte economico e dell’assistenza umanitaria in maniera determinante. 

Su questo sfondo e alla luce della mutata situazione del conflitto, in linea con la scelta fatta nell’aprile scorso nei confronti degli Emirati Arabi Uniti, il Consiglio dei Ministri ha attestato che l’esportazione di bombe e missili verso l’Arabia Saudita non ricade nei divieti di esportazione stabiliti dall’articolo 1, commi 5 e 6, della legge 9 luglio 1990, n. 185, essendo conforme alla politica estera e di difesa dell’Italia.”

Una scelta pericolosa e insensata, che potrà avere impatti negativi in futuro, considerando che la situazione attuale dello Yemen. A smuovere l’indirizzo politico di Palazzo Chigi è la volontà di rafforzare le relazioni bilaterali con l’Arabia Saudita e gli Emirati. Il Ministro della Difesa Guido Crosetto si è recato, nel mese di febbraio, ad Abu Dhabi per rilanciare la “cooperazione bilaterale nei settori della Difesa e della Sicurezza”, temi trattati anche durante il colloquio telefonico tra la Presidente del Consiglio Meloni e il Principe Ereditario saudita, Mohamed bin Salman, il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi.

Seppure con il Cuore straziato per quanto accade in Ucraina, più volte Papa Francesco, ricordando le guerre dimenticate in Yemen, in Siria, in Etiopia… e  ribadendo che “chi fa guerra dimentica l’Umanità”, ha chiesto di porre fine ai conflitti e ha insistito perché si aprissero corridoi umanitari per gli anziani, i più piccoli, tutte le Creature in cerca di rifugio:

“Ripeto: tacciano le armi! Dio sta con gli operatori di Pace, non con chi usa la violenza.”

Nel Mondo lacerato da guerre e violenze, occorre “rimboccarsi le maniche per costruire la Pace”.

Io mi rivolgo a Voi Ragazzi perché Voi Ragazzi siete generosi, capaci di gesti coraggiosi.

La gatta ama i suoi piccoli. Ma non li distingue più, una volta che sono divenuti adulti. Invece, nel corso del suo cammino, l’Uomo è, costantemente, obbligato a scegliere.

Può decidere di far mangiare, prima di lui, Chi ama.

Mi piace ripetere questa frase:

“L’Uomo è l’immagine di Dio.”

Alcuni ci scherzano su, rispondendo:

“Beh, allora, Dio non è molto bello!”

Ma io paragono l’Uomo a Dio come il “Sigillo” che viene impresso nella ceralacca.

Non conosco il “Timbro”, forse, non lo vedrò mai, ma se osservo, con attenzione, me stessa in profondità, scopro l’Infinito.

L’Uomo è immagine di Dio in negativo, perché tutto ciò che grida in lui, tutto ciò che tende a superare la legge naturale, che è soggetta a istinti brutali, rappresenta una scelta.

Non esiste la generosità istintiva.

Se non esistesse nel Cosmo quella piccola nullità che è l’Uomo, dotato della Libertà che gli permette o di raccogliere, da egoista, tutto ciò che trova, anche a scapito degli Altri, o di sforzarsi di aiutare gli Altri a condurre una Vita migliore; se non esistesse l’Uomo, ripeto, che non è altro che polvere infinitesimale del cosmo, l’Universo nella sua totalità sarebbe assurdo.

E questo cosa significa?

Se la Libertà non fosse in grado di sprigionarsi in qualche momento cruciale – quel momento che io chiamo “Attenzione” – la Vita sarebbe assurda…

Io Vi domando di trasmettere questo messaggio alle Vostre Case, alle Vostre Scuole, affinché la catena di solidarietà cresca nel Mondo intero e divenga un segno di Speranza e di Amore concreti.

Io sono sicura che il Vostro Cuore Vi suggerirà le parole per fare delle Vostre Case, delle Vostre Scuole, luoghi di solidarietà.

Restiamo uniti con tutti i Ragazzi del Mondo e tra noi: l’unione fa la forza!

 Vi ringrazio e crediate in tutto il mio affetto.

Daniela Zini

 

10 Conflicts to Watch in 2023 [https://www.youtube.com/watch?v=SRU5Vd7NCgI&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.buonenotizie.it%2F&feature=emb_title].

 

 

 




 

 



 

“Vi sono momenti, nella vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre.”

Oriana Fallaci

 

Presidente Giorgia Meloni,

 


Io credo che ogni Donna dovrebbe avere il coraggio di sedersi a un tavolo e scrivere una lettera a chi le ha usato violenza fisica, sessuale, psicologica, ma, non sempre, gliene viene dato il tempo…

Così, io ho deciso di scriverLe questa lettera aperta, Presidente,  per condurre la mia modesta lotta a viso scoperto, non nascosta dall’anonimato della tastiera.

Mi chiamo Daniela Zini.

Noi non ci conosciamo, tuttavia, dal 22 ottobre scorso, seguo attentamente il Suo operato di governo e, grazie ai media, ho io una più vasta conoscenza del Suo status, che Lei del mio. 

Io non ho votato per Lei.

Io non ho votato il Suo schieramento politico.

Io non ho votato la coalizione di centro-sinistra.

Semplicemente, io non ho votato.

Questa scelta non è affatto ideologica, è circostanziale.

Io non ho votato perché non sapevo a chi dare il mio voto.

Ne ho solo uno.

E ci tengo.

Non posso, onestamente, dare il mio voto a chi non rappresenta i miei ideali politici. E di ideali politici, io ne ho da vendere, ma devono essere eccessivamente utopistici se non riesco a trovare, a tutt’oggi, “Qualcuno” in grado di incarnarli.

Tutti i partiti si equivalgono.

Io so bene che, nel nostro sistema elettorale, l’astensione o l’annullamento del proprio voto non ha valore. Contano solo i voti di uno dei candidati. E non votare equivale a lasciare ad Altri di decidere per me chi governerà il mio Paese.

Come dire pilatescamente:

“Me ne lavo le mani!”

Non è il mio caso, mi creda, Presidente, e credo che non sia neppure il caso degli altri 16,5 milioni, più di un terzo degli Italiani, che, come me, hanno deciso di disertare le urne, il 25 settembre scorso, e, stando alla matematica, avrebbero potuto cambiare il risultato elettorale finale. Io non ho votato l’invio di armi in Ucraina e la destinazione del 2% del PIL agli armamenti. Fino al 1992, gli Stati Uniti avevano scelto di non toccare lo spazio post-sovietico. Il brusco cambio di rotta del Presidente americano Bill Clinton ha gettato le basi per l’attuale crisi tra Russia e Occidente. E parte di quella classe dirigente governa ancora…

Secondo i dati pubblicati dallo Stockholm International Peace Research Institute [SIPRI], nel 2022, la spesa per le armi in Europa è arrivata a 345 miliardi di dollari, con un incremento rispetto all’anno precedente del 13%. Non si registrava nel continente europeo un aumento delle spese militari così significativo, dalla caduta del Muro di Berlino. Più comprensibile, ma decisamente più preoccupante l’aumento delle spese militari nel perimetro di tre potenze: Stati Uniti, Cina e Russia, che, complessivamente, costituiscono, su scala globale, il 56% degli investimenti militari, vale a dire 2.240 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti, da sempre, considerati guerrafondai, hanno aumentato la spesa per le armi, nel 2022, dello 0,7%; la Cina del 4,2% [un aumento del 63% nell’ultimo decennio]; la Russia del 640%, ovviamente per effetto dell’invasione dell’Ucraina. Questi numeri ci dicono solo una cosa: intorno alla corsa agli armamenti si sta consumando un conflitto tra potenze che mette a rischio la sicurezza nel Mondo.

E l’Italia?

In occasione dell’approvazione della Legge di Bilancio del 2023 [https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2022/12/29/22G00211/sg], il Parlamento italiano ha deciso di portare al 2% del PIL la spesa militare, vale a dire circa 38 miliardi di euro all’anno, quasi il doppio dei 21,4 miliardi di euro stanziati, nel 2019, prima della pandemia. 

 

“L’annuncio del Governo britannico, per bocca della Viceministra della Difesa Annabel Goldie, della fornitura di munizioni all’uranio impoverito alle forze armate ucraine è l’ennesima prova del fatto che a Stati Uniti, NATO e cancellerie europee della sorte degli ucraini non importa nulla.

L’uso del metallo pesante da parte di Stati Uniti, Regno Unito e NATO in trent’anni di guerre illegali ma definite “umanitarie” ha già causato una strage silenziosa e prolungata in tutti i territori bombardati con queste armi. Dai Balcani, all’Iraq passando per l’Afghanistan le patologie tumorali sono aumentate a dismisura come conseguenza diretta dell’esposizione all’uranio impoverito rilasciato dalle munizioni. Ci troviamo di fronte ad una epidemia da metallo pesante che appare come provocata deliberatamente.

IN ITALIA AD AMMALARSI gravemente e a morire per l’esposizione al metallo pesante sono gli stessi soldati dell’esercito usati come carne da cannone nelle missioni di “pace” all’estero e a cui ancora oggi il ministero della Difesa, nonostante oltre trecento cause risarcitorie perse, continua a negare verità e giustizia. Al momento parliamo di 8mila militari italiani ammalati e di circa 400 deceduti a causa dell’uranio impoverito, una strage che non ci stancheremo di denunciare. Nell’omertà imperante sulle vittime da Uranio impoverito nei territori bombardati.

Un esempio? La NATO, chiamata in causa dall’Alta Corte di Belgrado per le conseguenze devastanti dei bombardamenti all’uranio impoverito effettuati nel 1999, ha risposto al tribunale esigendo l’immunità. Grazie ad un memoriale che ci ha fornito l’avvocato Tartaglia, legale rappresentante dei veterani italiani vittime del metallo pesante, abbiamo appreso che la NATO non solo rivendica l’immunità per un ecocidio e per ciò che si configura come un crimine di guerra ma intima al governo serbo di intervenire presso l’Alta Corte di Belgrado per chiudere ogni procedimento a suo carico.

Ecco la democrazia di cui si millanta l’“esportazione.” Se la Corte Penale Internazionale, avesse un minimo di autorevole indipendenza dovrebbe indagare anche su questi ed altri crimini di guerra commessi dal blocco euro-atlantico.

ORA ANCHE IN UCRAINA, dopo le devastazioni della guerra convenzionale, sta per scatenarsi l’epidemia da uranio impoverito: dal 2019 anche la Federazione Russa ha deciso di dotarsi di questo tipo di armi criminali giustificandosi col fatto che non sono vietate da nessuna convenzione internazionale e soprattutto sono impiegate da tempo dal blocco atlantico. La scelta altrettanto criminale del governo britannico ne innescherà credibilmente l’uso.

“Credo che il governo italiano – dichiara al manifesto Gian Piero Scanu, ex-Presidente della Quarta Commissione Parlamentare d’Indagine sull’Uranio Impoverito –, di propria iniziativa o a seguito di un provvedimento parlamentare, dovrebbe chiedere a Londra di recedere dalla decisione di inviare a Kiev “proiettili perforanti che contengono uranio impoverito”. Non ci sarebbe alcuna ragione per non esercitare una convinta offensiva di persuasione in ambito UE e NATO. Convincere i nostri partner della insostenibilità etica e politica di una scelta che, ineluttabilmente, attiverebbe un pericoloso innalzamento del livello di scontro bellico. Lo dice la tra realtà fattuale: circa 400 militari morti – ma sono molti di più – e 8mila ammalati, in quasi tre lustri, con gli immensi danni all’ambiente.”

“CI SI AMMALA e si muore – prosegue Scanu – , come ampiamente dimostrato dalla quarta Commissione Parlamentare d’inchiesta di cui sono stato presidente, nella Relazione finale del febbraio 2018, dove sono indicati dati e riferimenti oggettivamente riscontrati, e tali da condurre al cosiddetto “nesso di causalità” esistente fra l’esposizione all’uranio impoverito ed alcune gravi o letali patologie. A dispetto delle menzogne spudorate che, con disumano cinismo, vengono ancora invocate, pur di non dover rinunciare a questi strumenti di morte.”

Avvelenare il Popolo ucraino con l’uranio impoverito non è un modo per aiutarlo.”

Gregorio Piccin, Guerra ucraina. Parla l’ex-Presidente della Quarta Commissione Parlamentare d’Indagine sull’Uranio Impoverito. 400 nostri militari morti, 8mila malati. Tartaglia, il legale delle vittime: “La Nato rivendica l’immunità per l’uso di questi proiettili.” [https://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:hkU1hbA0TxoJ:https://ilmanifesto.it/scanu-litalia-chieda-a-londra-di-non-inviare-armi-alluranio-impoverito&cd=8&hl=it&ct=clnk&gl=it&client=firefox-b-d].

 

 

Vincenzo Accattatis, A che serve l’Alleanza atlantica, Strumento imperialistico o «umanitario»? Il no di Calamandrei e lo stato dell’arte alla luce della vicenda ucraina Il Manifesto, 25 aprile 2014 [https://ilmanifesto.it/a-che-serve-lalleanza-atlantica].

 

 Politica internazionale: il Patto Atlantico.

[https://www.youtube.com/watch?v=phQR5XTgxCM]

 


“Onorevoli colleghi, dirò brevemente le ragioni per cui voteremo contro il Patto Atlantico: cercherò di riassumere in sintesi quello che è già stato detto in questa discussione ampia, profonda e serena. Noi siamo contro il Patto Atlantico, prima di tutto perché questo Patto è uno strumento di guerra. Abbiamo ascoltato con attenzione la replica del Presidente del Consiglio e speravamo che egli ci dicesse qualche cosa di nuovo, ma tre quarti del suo discorso li ha dedicati esclusivamente ad esaminare la eventualità di una nuova guerra. Quindi maggiormente adesso, dopo la sua replica, onorevole Presidente del Consiglio, noi siamo persuasi che il Patto Atlantico è uno strumento di guerra.

Basterebbe leggere i giornali. Proprio su quelli di stamane ci si comunica che mai come oggi in Inghilterra si è constatata, dopo il Patto Atlantico, una così diffusa psicosi di guerra. Esso è quindi uno strumento di guerra per noi, ed abbiamo il dovere, perciò, di votare contro.

Ha ragione l’onesto amico Rocco di dire che, se oggi il vecchio Turati fosse qui con noi, voterebbe contro il Patto Atlantico e farebbe sentire da questa Aula ancora il suo grido pieno di passione e di angoscia: “Guerra al regno della guerra, morte al regno della morte!”

Ma il nostro voto è ispirato anche ad un’altra ragione. Questo Patto Atlantico in funzione antisovietica varrà a dividere maggiormente l’Europa, scaverà sempre più profondo il solco che già separa questo nostro tormentato continente. Non si illudano i federalisti – mi rivolgo naturalmente ai federalisti in buona fede – di poter costruire sulla Unione europea la Federazione degli Stati uniti d’Europa; essi costruiranno una Santa Alleanza in funzione antisovietica, un’associazione di nazioni, quindi, che porterà in sé le premesse di una nuova guerra e non le premesse di una pace sicura e duratura. Noi siamo contro questo Patto Atlantico dato che esso è in funzione antisovietica. Perché non dimentichiamo, infatti, come invece dimenticano i vostri padroni di oltre Oceano, quello che l’Unione Sovietica ha fatto durante l’ultima guerra. Essa è la Nazione che ha pagato il più alto prezzo di sangue: 17 milioni di morti ha avuto. Senza il suo sforzo eroico le Potenze occidentali non sarebbero riuscite da sole a liberare l’Europa dalla dittatura nazifascista. Questo noi non dimentichiamo.

No, soprattutto per lo sforzo eroico dell’Unione Sovietica: lo stesso Churchill lo ha riconosciuto.

Siamo contro questo Patto Atlantico in funzione antisovietica, perché ormai ci siamo avveduti che la lotta di classe ha valicato i confini delle Nazioni per trasferirsi in modo violento ed evidente sul terreno internazionale. Vi sono da una parte le forze imperialistiche e plutocratiche, dall’altra le forze del lavoro. Allora, noi prendiamo la stessa posizione che presero nel secolo scorso i liberali. Quando la Santa Alleanza cercò di stroncare la rivoluzione francese, i liberali di tutti i Paesi insorsero in difesa della Francia, perché consideravano giustamente quella rivoluzione come la loro rivoluzione. E noi socialisti sentiamo che se domani, per dannata ipotesi – soltanto per dannata ipotesi, non illudetevi – dovesse crollare l’Unione Sovietica sotto la prepotenza della nuova Santa Alleanza, con l’Unione Sovietica crollerebbe il movimento operaio e crolleremmo noi socialisti.

Ma vi è un’altra ragione che ci induce a votare contro questo Patto Atlantico: è l’aspetto che questo Patto Atlantico ha in rapporto alla politica interna, come è già stato detto ampiamente dai colleghi di questa parte. La prima conseguenza che deriverà da questo Patto sarà una lotta più aspra – e lo sa, naturalmente, nel suo intimo l’Onorevole Scelba – e più dura contro l’estrema sinistra del proletariato. Io lo so quello che voi volete dirmi: noi non ce l’abbiamo con voi socialisti; noi ce l’abbiamo soltanto col Partito Comunista. E l’eterna storia che abbiamo sentito dire, adolescenti, nel 1919, ‘20 e ‘21 e allora, in quell’epoca, il Partito comunista non esisteva. Si agitava, allora, lo spauracchio del pericolo rosso. E parecchi han creduto al pericolo rosso ed hanno assecondato il fascismo sul suo nascere: parecchi di voi, credendo a questo pericolo, aprirono la strada alla dittatura fascista; parecchi di voi si rallegrarono quando videro distrutto, per opera delle squadre d’azione fasciste, tutto ciò che la classe operaia aveva costruito pazientemente in 50 anni di lotta. Parecchi di voi si rallegrarono quando videro piegata sotto la dittatura fascista la classe operaia italiana e costoro non compresero che, quando in una Nazione crolla la classe operaia, o tosto o tardi, con la classe operaia, finisce per crollare la Nazione intera.

In proposito non vi devono essere esitazioni da parte di nessun socialista. Guai se qualcuno tra noi avesse in questo momento delle riserve mentali, guai se accettasse la discriminazione insidiosa quanto offensiva che ci offrono le forze della conservazione, quando affermano che il loro bersaglio sono i comunisti. Non dimenticate che le forze della reazione, con la stessa arma di cui si serviranno per colpire i comunisti, finirebbero poi per colpire noi socialisti e tutte le forze progressive del Paese!

D’altra parte – e mi avvio alla fine – oggi, in Italia, appare chiaro a tutti come le forze della reazione e della conservazione si vadano coalizzando contro le forze del lavoro. I termini della lotta di classe, che oggi appaiono in tutta la loro evidenza, erano stati offuscati in un primo tempo da quella collaborazione leale e sincera che noi abbiamo dato nei Comitati di liberazione nazionale e quando eravamo al Governo. Ormai questa lotta appare in modo evidente a tutti e ne abbiamo avuto l’esempio anche qui questa sera in quest’Aula. Abbiamo visto degli uomini, che noi, sin dalla nostra adolescenza, abbiamo ammirato per il loro ingegno, abdicare al loro pensiero politico, umiliare la loro mente, mutilare la propria coscienza, dare prova di una suprema incoerenza politica e ideologica, pur di stringersi a fianco delle forze clerico-conservatrici. Cattivo esempio della gioventù d’Italia voi avete dato oggi! Comunque noi dobbiamo assumere la nostra posizione. L’assumete voi con tanta decisione, perché non dovremmo fare altrettanto noi? Lo sappiamo, onorevole De Gasperi, che la nostra sarà una posizione dura e difficile; ma voi un po’ ci conoscete e sapete che noi, per il nostro temperamento, non siamo adatti per le situazioni di ordinaria amministrazione. Le posizioni pericolose ci seducono e le assumiamo con fermezza, come abbiamo fatto sotto il fascismo e contro i tedeschi. Pagheremo, se sarà necessario, ma sappiate che noi preferiremmo sempre cadere con la classe operaia piuttosto che trionfare con le forze clerico-conservatrici.

Mi consenta, onorevole Presidente, di dire ancora una parola in nome dei partigiani d’Italia – ne sono autorizzato quale uno dei Presidenti onorari dell’ANPI – una parola in nome di questi partigiani, onorevole De Gasperi, che hanno veramente riscattato l’onore d’Italia.

Non escludo nessuno: parlo per l’ANPI, Onorevole Presidente del Consiglio, parlo di quei partigiani che si sono veramente battuti per l’indipendenza dell’Italia. Oggi noi abbiamo sentito gridare “Viva l’Italia” quando voi avete posto il problema dell’indipendenza della Patria. Ma non so quanti di coloro che oggi hanno alzato questo grido, sarebbero pronti domani veramente ad impugnare le armi per difendere la Patria. Molti di costoro non le hanno sapute impugnare contro i nazisti. Le hanno impugnate invece contadini e operai, i quali si sono fatti ammazzare per la indipendenza della Patria!

Onorevole Presidente del Consiglio, domenica scorsa a Venezia, in Piazza San Marco, sono convenuti migliaia di partigiani da tutta l’Italia – donne e uomini – ed hanno manifestata precisa la loro volontà contro la guerra, contro il Patto Atlantico e per la pace. Questi partigiani hanno manifestato la loro decisione di mettersi all’avanguardia della lotta per la pace, che è già iniziata in Italia; essi sono decisi a costituire con le donne, con tutti i lavoratori una barriera umana onde la guerra non passi. Questi partigiani anche un’altra volontà hanno manifestato, ed è questa: saranno pronti con la stessa tenacia, con la stessa passione con cui si sono battuti contro i nazisti, a battersi contro le forze imperialistiche straniere qualora domani queste tentassero di trasformare l’Italia in una base per le loro azioni criminali di guerra.

Per tutte queste ragioni noi voteremo contro il Patto Atlantico. Sentiamo che votando contro questo Patto, votiamo contro la guerra e per la pace, serbando fede, in questo modo, al mandato che abbiamo ricevuto dai nostri elettori. Votando contro il Patto sentiamo di compiere onestamente il nostro dovere di rappresentanti del popolo, di socialisti e di italiani!”

[Intervento del Senatore Sandro Pertini in Senato il 7 marzo 1949, http://www.centrogramsci.it/?p=1973]

 

La dichiarazione di voto di Piero Calamandrei nella seduta della Camera dei Deputati del 18 marzo 1949, prima dell’appello nominale sul Patto Atlantico, pubblicata sulla rivista Il Ponte [n. 4, aprile 1949], con il titolo Ragioni di un no [https://www.ilponterivista.com/blog/2022/04/19/ragioni-di-un-no/], è un intervento di straordinaria attualità da rileggere oggi:

“A nome dei socialisti indipendenti, dei quali sono rimasto l’unico rappresentante nel gruppo di Unità socialista, ritengo che sulla soglia di una decisione che ci turba e quasi ci schiaccia col suo peso, e che noi dovremmo prendere qui ad occhi chiusi senza poter esaminare il testo di un patto, che ormai tutti i cittadini italiani, fuori di qui, ma non i deputati in quest’aula, hanno il diritto di discutere, non sia abbastanza chiara, anche se motivata, l’astensione: e sia doveroso un voto esplicito e netto. Dichiaro quindi serenamente che il mio voto sarà contrario.

Dopo che un numero così grande di colleghi, mossi tutti dalla stessa ispirazione politica, hanno esposto i motivi del loro voto contrario al patto atlantico, permettete a me, per evitare equivoci e confusioni, di esprimere i motivi in parte diversi del voto egualmente contrario che sto per dare; il quale soprattutto si distingue dal loro per questa fondamentale diversità: che mentre essi muovono da una concezione politica che logicamente li porta, nell’urto tra i due blocchi contrapposti, ad opporsi a questa scelta che il patto propone perché essi hanno già fatto potenzialmente la scelta contraria, io per mio conto sono contrario in questo momento a qualsiasi scelta, e non sono favorevole al patto atlantico proprio perché esso forza l’Italia a questa scelta preventiva, che io ritengo pericolosa e non necessaria in questo momento.

Né d’altra parte potrei sentirmi solidale con alcune delle dichiarazioni udite finora, le quali, mentre hanno espresso la loro solidarietà col popolo russo, hanno in termini talvolta assai aspri accentuato la loro ostilità contro l’America. Non posso pensare che gli italiani della Resistenza abbiano già dimenticato che, se la libertà ci fu restituita perché l’eroico popolo russo seppe compiere il miracolo di Stalingrado, essa ci fu restituita anche perché nell’agosto del 1940 il popolo inglese resisté eroicamente all’uragano di fuoco che infuriava sul cielo di Londra, e perché l’America portò nella mischia lo schiacciante peso delle sue armi formidabili. Né possiamo scordare che per molti di noi il ritorno della libertà fu annunciato dall’apparire lungamente invocato, nel polverone di una strada, del primo brillio di un carro armato americano.

E tuttavia io sono contrario a questo patto. E i motivi, schematicamente, sono di tre ordini.

Primo: sotto l’aspetto della politica europea, noi socialisti federalisti pensiamo che un patto militare, anche se difensivo, che trasforma gli stati europei in satelliti di uno dei blocchi che si fronteggiano, e dà al suolo europeo la funzione di un trinceramento di prima linea di eserciti che stanno in riserva al di là dell’Atlantico, allontani la nascita di quella Federazione occidentale europea, politicamente e militarmente unita e indipendente, che noi auspichiamo, non alleata né ostile, ma mediatrice tra i due blocchi opposti, e capace di conciliare in una sua sintesi di democrazia socialista due esigenze per noi ugualmente preziose e irrinunciabili, quella della libertà democratica e parlamentare, e quella della giustizia sociale.

Secondo: sotto l’aspetto della politica interna italiana, noi temiamo che l’adesione data dall’Italia a questo patto, anche se esso non minaccerà la pace internazionale, costituirà però un ostacolo immediato alla pacificazione interna e al funzionamento normale della nostra democrazia; perché la contrapposizione militare di due schieramenti, che difendono due contrapposte concezioni sociali, darà sempre maggiore asprezza alla lotta interna dei corrispondenti partiti, e sempre piú ai dissensi politici darà minacciosi aspetti di guerra civile. E questo potrà rimettere in discussione le libertà costituzionali che sono scritte per il tempo di pace e non per la vigilia di guerra, per gli avversari politici e non per supposte quinte colonne; e darà sempre più ai provvedimenti di polizia il carattere di repressioni di emergenza, che si vorranno giustificare colle rigorose esigenze della preparazione militare. Auguriamoci che mentre la costituzione repubblicana attende ancora il suo compimento, la firma di questo patto atlantico non sia il primo colpo di piccone dato per smantellarla.

Ma soprattutto ciò che ci angustia è una terza ragione: cioè le conseguenze di carattere militare. Se per tutti gli altri stati europei la firma del patto sarà accompagnata da rischi ma anche da vantaggi, c’è da temere che solo per l’Italia essa possa significare pericoli senza corrispettivo. Diventare alleato militare di uno dei due blocchi in conflitto significa assumere fin da ora la posizione di nemico potenziale dell’altro blocco: firmando quel patto colle potenze occidentali noi ci saremo condannati a non poter essere più amici degli Stati orientali, dei quali, per l’ipotesi di guerra, saremo fin d’ora predestinati nemici. Anche se il patto è difensivo, bisogna vedere se sembrerà difensivo a coloro da cui ci apprestiamo a difenderci: e quali saranno le loro reazioni contro i firmatari del patto, e soprattutto contro l’Italia che di tutti i firmatari è il più debole ed il più esposto. All’Italia questo patto non solo non dà la garanzia di allontanare dal nostro territorio la catastrofe della guerra, ma dà, anzi ad essa la certezza della immediata invasione anche se il conflitto sarà provocato da urti extraeuropei; se la nostra posizione geografica è tale che anche ad un’Italia neutrale lascerebbe assai poche probabilità di rimaner fuori dal flagello, son proprio queste pochissime superstiti probabilità di salvezza, poniamo anche una su mille, che saranno perdute, quando l’Italia si sarà schierata tra i nemici dei possibili invasori e avrà assunto la tragica missione di un avamposto sperduto destinato a riceverne il primo urto. Ed anche se l’ammissione al patto atlantico può dar l’illusione di aver così conseguito una prima revisione del trattato di pace da alcune delle potenze firmatarie, troppo a caro prezzo si pagherà questo vantaggio quando contemporaneamente il nostro riarmo, sospettato anche se non vero, ci porrà, nei confronti delle altre potenze, nella pericolosa condizione di ritenuti trasgressori degli obblighi da noi assunti con quel trattato.

Ma più che argomenti logici e politici, qui sono in giuoco motivi morali e religiosi. Questa è una scelta che impegna la nostra anima. Il problema di coscienza che ciascuno di noi si pone, è lo stesso: mentre su di noi si addensa l’ombra di un’altra catastrofe, che posso fare io, quale contributo posso portare io, piccolo uomo, atomo effimero, per allontanare dal mio paese questo flagello? Son certo, voglio esser certo, che tutti gli uomini che seggono in quest’aula, e primi quelli che sono al banco del governo, si pongono il problema in questi stessi termini: si tratta di fare il bene dell’Italia e di salvare la pace.

Tutti su questo siamo d’accordo. Ma io temo che quando si dice che con questo patto militare la guerra si allontana, si ricada in quel tremendo equivoco del vecchio motto illusorio si vis pacem para bellum, che gli uomini ciechi continuano a ripetere, senza accorgersi da cento tragiche esperienze che per voler la pace non c’è altra via che quella di prepararla coi trattati di commercio e di lavoro, che stringono tra gli uomini legami di solidarietà; e che chi prepara la guerra, anche a fini che crede difensivi, non fa altro, senza accorgersene, che volere la guerra.

Mi auguro di tutto cuore che le previsioni che spingono il governo a questo patto siano esatte; e che sbagliate siano le nostre. Ma queste son decisioni, in verità, che non si possono prendere con criteri di politica elettorale e di cui si debba render conto alle direzioni dei partiti o dei gruppi. Son decisioni solenni e gravi, delle quali ognuno di noi risponde individualmente, per proprio conto, non solo di fronte al popolo, ma di fronte alla memoria dei suoi morti, di fronte ai verdetti dell’avvenire e soprattutto di fronte a quella voce segreta che è in fondo alla nostra coscienza, e che i filosofi chiamano la storia e i credenti chiamano Dio.

Io so che qualcuno della maggioranza, prima di decidersi a votare, si è raccolto lungamente in preghiera. Lo ricordo con rispetto e con commozione: se egli voterà a favore, vuol dire che in tal senso la risposta della sua intima voce avrà messo in pace la sua coscienza. Ma per pregare non ci si raccoglie soltanto nelle chiese: anche noi, dopo essere stati lungamente raccolti con noi stessi, abbiamo udito in fondo alla nostra coscienza una voce che ci mette tranquilli.

E la voce ci ha detto: – No.”

 

 




Almirante, la ratifica del Patto Atlantico – 14 luglio 1949 [http://giorgioalmirante.altervista.org/almirante-la-ratifica-del-patto-atlantico-14-luglio-1949/].

 

 

 

NATO 60th Anniversary: 1949 Footage of the Original Signing Session of the North Atlantic Treaty [https://www.youtube.com/watch?v=LdaABYlmWzU].

 

Ivan Rioufol, Union Européenne: un passé qui empeste, Le Figaro, 4 marzo 2019

[https://www.lefigaro.fr/blogs/rioufol/2019/03/la-peste-brune-racine-aux-raci.html].


L’Europe est-elle une création des États-Unis?

[https://www.youtube.com/watch?v=8sUFqQZbSY8].

 

The Hidden Nazi Background o f Walter Hallstein, Founding President of The EU Commission

[https://www.youtube.com/watch?v=3Kub69c6Sr4].

 

Der Nazi-Hintergrund von Walter Hallstein - Gründungspräsident der Brüsseler EU Kommission

[https://www.youtube.com/watch?v=3B3WUGbMVQc].

 

Die €U ist das Erbe der Nazis [Walter Hallstein-Plan] 

[https://www.youtube.com/watch?v=EMqqbpjGTGk].

 

Signature de HALLSTEIN, un NAZI, Président de la Commission Européenne [https://www.youtube.com/watch?v=Y6-KoYRjWiw].

 

Der Nazi-Hintergrund von Walter Hallstein

[https://www.youtube.com/watch?v=AH9PnZi1W3E].

 

Il 7 gennaio 1958, Walter Hallstein [17 novembre 1901 – 29 marzo 1982] fu nominato primo Presidente della Commissione Europea, carica che ha detenuto per un intero decennio.


Sappiamo bene cos’è che ci spinge in avanti: esiste un orgoglio europeo indistruttibile. Solo con un’Europa forte e unita gli europei – e il Mondo – potranno veramente prosperare. Un’Europa smembrata si trasformerà nei Balcani del Mondo, invitando costantemente gli altri Paesi a immischiarsi nei suoi affari. Per farsi sentire, l’Europa deve parlare con un’unica voce. Non vi è pertanto nulla di più inopportuno del drammatizzare l’attenzione posta di tanto in tanto sui singoli processi di compensazione o l’occasionale accumulazione degli stessi.”

Dal discorso di Walter Hallstein a Strasburgo il 2 marzo 1953 [https://www.raicultura.it/storia/articoli/2019/01/Disco]rso-di-Walter-Hallstein-529b8ef3-0584-472c-b849-3d1fa4f239cc.html].

 

Gabriel Wackermann, A la recherche du temps gagné et des perspective du Globe, pagina 59 [https://books.google.it/books?id=lgD2DwAAQBAJ&pg=PA59&lpg=PA59&dq=25+JUIN+1938+HALLSTEIN&source=bl&ots=kVOEaUSE-q&sig=ACfU3U3oU1e1cQkbrml0AP9wMZrZ6J9OXg&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjCupvw4tSAAxVFhf0HHQfjBrEQ6AF6BAgoEAM#v=onepage&q=25%20JUIN%201938%20HALLSTEIN&f=false].

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Guillaume S., L’histoire de Walter Hallstein, Gazette Française,  14 dicembre 2015 [https://gazettefrancaise.wordpress.com/2015/12/14/lhistoire-de-walter-hallstein/].

 

 




 

 

Il Rettore dell’Università di Rostock                              Rostock, 18 maggio 1936

In virtù dei poteri che mi sono stati conferiti dal Signor Ministro dell’Educazione del Reich La nomino Decano della Facoltà di Diritto ed Economia. La prego di comunicarmi il nome del Suo vice.

Heil Hitler!

Il Rettore

Ernst Heinrich Brill

 

Walter Hallstein, a founder of Eupes Common Market

Walter Hallstein, the West German lawyer and diplomat considered one of the founding fathers of the European Economic Community, has died in Stuttgart. He was 80 years old. The cause of death Monday was not disclosed.

Dr. Hallstein, a professor of law at Frankfurt University during the Nazi years, was interned for two years after World War II. In 1950, he helped establish the European Coal and Steel Union, considered a forerunner of the Common Market. He was president of the Commission of the Common Market from 1959 to 1967.

In the 1950s, he was influential in molding West German foreign policy, and he gave his name to the so-called Hallstein doctrine by which Bonn pressed its assertion that it represented all Germans. It did this by severing relations with any country that offered diplomatic recognition to East Germany. But the doctrine never applied to the Soviet Union and was abandoned when Bonn moved toward warmer relations with the Soviet bloc.

Flags at Half-Staff

Dr. Hallstein died as leaders of the 10 Common Market countries gathered in Brussels to celebrate the markets 25th anniversary. Flags of all 10 countries flew at half-staff at Common Market headquarters today.

West Germanys President, Karl Carstens, praised Dr. Hallstein as ‘‘a man whose public efforts were devoted to the union of a free Europe.’’

‘‘Walter Hallstein will always carry an honorary title as a European of the first hour,’’ he said. Walter Hallstein was born Nov. 17, 1901, in Mainz. After studying law in Bonn, Munich and Berlin, he became a professor of comparative law at Frankfurt University in 1941.

Captured by Americans

In World War II he was drafted into the army, and he was captured by the Americans in 1944. As a prisoner of war in the United States, he founded a ‘‘prison camp university’’ in which he instructed other prisoners.

Dr. Hallstein earned a reputation as an astute diplomat and politician after the West German state was founded in 1949, serving as state secretary to Konrad Adenauer and working in the Foreign Ministry. He held a seat in West Germanys Parliament from 1969 to 1972, when he retired from active politics.

‘‘He was not only a great European but also played a decisive role in rebuilding Germany after World War II,’’ Foreign Minister Hans-Dietrich Genscher said.

[New York Times, 31 marzo 1982, https://www.nytimes.com/1982/03/31/obituaries/walter-hallstein-a-founder-of-europe-s-common-market.html].

    

Il 20 maggio 1964, il Presidente della Commissione Economica Europea Walter Hallstein inviò ad Aldo Moro una lettera che conteneva un ammonimento e alcune “raccomandazioni” al Governo sulle misure da adottare:

“La politica di stabilizzazione iniziata dalle autorità italiane nel corso del 1963 e rafforzata con diverse misure più recentemente, non è sufficiente a ristabilire l’equilibrio desiderato e a evitare il rischio che i progressi compiuti nella realizzazione del Mercato Comune siano messi in forse.” [ACS – Fondazione Nenni, serie governo, busta 110, fascicolo 2362].


 

 Washington, 18 November 1996 [RFE/RL] – U.S. Secretary of State Warren Christopher and NATO Secretary General Javier Solana met in Washington Friday to review the next steps in NATO’s expansion program.

State Department spokesman Nicholas Burns said Christopher and Solana had a long discussion about internal changes in NATO and other issues connected to the enlargement process. He gave no other details.

At a separate meeting with Washington reporters and political scholars today, Solana said an important step for NATO expansion will be taken at a NATO summit scheduled for July 1997.

He said the Western alliance will announce at that time, and not before, which countries it will invite to join NATO.

Solana said that by the time of the July summit, NATO also hopes to have developed, what he called “a sound and solid bilateral relationship with Russia”.

He noted Russia’s importance for stability in Europe and said NATO does not want to isolate anybody and “very much hopes that Russia will not want to isolate itself.” Russian officials have repeatedly voiced their objection to NATO’s expansion plans.

Solana said a third major item on the July summit agenda will be the next phase in NATO’s Partnership for Peace program with former Communist countries.

Solana said NATO wants more consultations and closer military and political ties with the Partnership countries, including their participation in some NATO decision-making.

Sonia Winter, United States: Solana, Christopher Discuss NATO Expansion, Radio Free Europe/Radio Liberty, 9 novembre 1996 [ https://www.rferl.org/a/1082475.html].

    

Radio Free Europe/Radio Liberty [https://www.rferl.org/a/1141331.html].

 

NATO Expansion, President Clinton and NATO Secretary General Javier Solana met with reporters in the Oval Office about NATO expansion, 19 maggio 1997 [https://www.c-span.org/video/?81438-1/nato-expansion].

  

Washington, 24 July 1997 [RFE/RL] – NATO Secretary General Javier Solana says the cost of NATO enlargement will be manageable, both for the Europeans and the Americans as well as for the new members themselves.

In remarks prepared for delivery at American University in Washington today, Solana said there is no need for new members to “arm themselves to the teeth with sophisticated weaponry.” He said NATO faces no current threat, and that all the alliance expects is for new members over time to make a credible effort to achieve an essential level of compatibility with current NATO forces.

He also said that the new NATO-Russia council is no guarantee of perfect harmony. Solana said Russia cannot expect to block NATO decisions, but he said it can expect NATO to listen to Russia’s views and to take seriously legitimate points.

Solana said the decision to invite the Czech Republic, Hungary and Poland to join NATO is the most visible sign that the new post-Cold War Atlantic community is growing. He said that for him, enlargement is inevitable and a settled issue.

Solana said the simple answer to those who have not been invited on the first round is that there will be further rounds. He said the nine remaining applicants should continue to advance their cases and continue reforms. No democratic country will be excluded from consideration, he said.

Sonia Winter, NATO: Solana Says Expansion Cost Is Manageable, Radio Free Europe/Radio Liberty,  9 luglio 1997 [https://www.rferl.org/a/1085964.html].



Il Deputato socialista e futuro Segretario Generale della NATO Javier Solana tiene un discorso anti-NATO a Vallecas [Madrid], nel 1981. Come si legge nella didascalia, uno dei suoi ascoltatori sta arrotolando uno spinello.

  

Il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg e la Premier Giorgia Meloni.

 

 

Un ex pacifista al vertice della NATO, Analisi Difesa, 30 Marzo 2014 [https://www.analisidifesa.it/2014/03/un-ex-pacifista-al-vertice-della-nato/].

 

Mona Byrkjedal e Alf Bjarne Johnsen, Her var Jens NATO-motstander - nå blir han NATO-sjef, Norsk brudd med NATO vårt mål, lyder overskriften i saken fra da Jens Stoltenberg ble annonsert som AUF-leder, VG, 28 marzo 2014 [https://www.vg.no/nyheter/innenriks/i/zneMv/her-var-jens-nato-motstander-naa-blir-han-nato-sjef].

 


 

Stoltenberg benekter å ha blandet seg i ambassadevedtak, Statsminister Jens Stoltenberg sier at regjeringen ikke har forsøkt å påvirke medlemmer i Oslo Arbeiderparti for å få flyttet USAs ambassade fra Drammensveien til Huseby, VG, 12 dicembre 2005 [https://www.vg.no/nyheter/innenriks/i/zWvQr/stoltenberg-benekter-aa-ha-blandet-seg-i-ambassadevedtak].

 

Camilla Wernersen, Jens om kontakten med KGB: – Jeg var “Steklov”, Jens Stoltenberg forteller i sin nye bok om hvordan han jevnlig spiste rekesmørbrød med sovjetisk etterretning på Stortorvets Gjæstgiveri i Oslo, NRK, 30 settembre 2016 [https://www.nrk.no/norge/stoltenberg-fikk-kodenavn-av-russerne-1.13157661].

  

Beda Romano, Nato, un altro nordico alla guida È il norvegese Stoltenberg, Il Sole 24 ore, 29 marzo 2014 [https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-03-29/nato-altro-nordico-guida-e-norvegese-stoltenberg-081327.shtml?uuid=ABzyJm6].

 

Anna Mazzone, Stoltenberg, un uomo del KGV a capo della NATO, Panorama, 28 marzo 2014 [https://www.panorama.it/news/nato-stoltenberg-obama-kgb-frattini].

  

Valentina Bertoli, Il Tempo,  Guerra in Ucraina, Nicola Gratteri lancia l'allarme sulle armi mandate dall'Occidente, 24 maggio 2022 [https://www.iltempo.it/politica/2022/05/24/news/nicola-gratteri-procuratore-catanzaro-allarme-armi-ucraina-traffico-mafia-mercato-nero-otto-e-mezzo-31736491/].

 

 

 Alessandro Pompei, Ucraina. Missile anticarro Usa in vendita per 30mila dollari sul darknet, Notizie Geopolitiche, 7 giugno 2022 [https://www.notiziegeopolitiche.net/ucraina-missile-anticarro-usa-in-vendita-per-3mila-dollari-sul-darknet/].

 

In ogni tempo, vi sono stati Paesi governati da uomini dai comportamenti criminali. Nella maggioranza delle 195 Nazioni del Mondo, l’utilizzo disonesto di danari pubblici e la “vendita” di decisioni governative al migliore offerente sono moneta corrente.

La corruzione è divenuta la norma e noi ci siamo assuefatti. Posto che questo fenomeno è, sempre, esistito e, sempre, esisterà, è difficile accertare l’ascesa di questi nuovi attori sulla scena internazionale: gli Stati mafiosi. Non sono solo Paesi, in cui regna la corruzione o, in seno ai quali, importanti attività economiche e regioni intere sono nelle mani del crimine organizzato. Si tratta di Stati che controllano e utilizzano gruppi criminali per servire i loro interessi nazionali e gli interessi dell’élite governante.

Questa pratica non ha, evidentemente, niente di nuovo!

Quanti pirati e mercenari sono stati al soldo di Monarchie e anche di Democrazie, a immagine degli Stati Uniti, che sono ricorsi alla mafia per raggiungere i loro obiettivi?    

La decisione insensata della CIA di affidare a mafiosi l’assassinio di Fidel Castro, nel 1960, ne è, forse, l’esempio più conosciuto [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/07/03/la-cia-voleva-pagare-la-mafia-per.html]. 

Ma, in questi ultimi decenni, una serie di mutazioni politiche ed economiche profonde, a livello internazionale, ha dato vita a ciò che io chiamo gli Stati mafiosi. Paesi, nei quali le nozioni tradizionali di corruzione, di crimine organizzato o di entità pubbliche, infiltrate da gruppi criminali, non abbracciano il fenomeno in tutta la sua ampiezza e complessità.

Là non è lo Stato che è vittima delle reti criminali; è lo Stato che ha preso il controllo delle reti criminali. Non per eradicarle, ma per metterle al servizio degli interessi economici dei governanti, dei loro amici e dei loro partners.

In Paesi, quali la Bulgaria, la Guinea-Bissau, il Montenegro, la Birmania, l’Ucraina, la Corea del Sud, l’Afghanistan o il Venezuela, gli interessi nazionali e quelli del crimine organizzato sono, inestricabilmente, collegati.

La fine della Guerra Fredda ha favorito, da una parte, la comparsa di pseudo-Stati, in seno ai quali si è istituzionalizzata la corruzione della politica, dall’altra, ha permesso lo scoppio di nuovi conflitti locali. I loro protagonisti, non ricevendo più sussidi da uno dei due grandi blocchi, hanno dovuto cercare fonti di finanziamento nelle attività illegali, al primo posto delle quali, il traffico di droghe. Dalla Colombia all’Afghanistan, passando per l’Angola o il Kosovo, la droga è uno degli elementi del prolungamento di questi conflitti. Infine, la lotta contro il commercio di droghe è “inquinata” dagli interessi economici e geopolitici degli Stati, particolarmente dei Paesi ricchi, che si pongono come leaders della guerra alle droghe, inclini a dare prova di indulgenza nei confronti dei loro alleati o clienti.

Non essendo nessun altra attività illecita così lucrativa, il traffico di droghe ha accresciuto la capacità di nocività delle organizzazioni criminali che vi si dedicano, in particolare il loro potere di penetrare le strutture economiche e politiche di alcuni Stati. Sul piano economico, hanno seguito il movimento della mondializzazione, quando non lo hanno anticipato. Tuttavia, confrontate a una offensiva degli Stati le grandi organizzazioni – cartelli colombiani, mafie italiane e cinesi, padrini pakistani e turchi, etc. – hanno, nella seconda metà degli Anni Novanta, innanzitutto, decentralizzato le loro strutture, per essere meno vulnerabili alla repressione. Simultaneamente, hanno diversificato le loro attività – traffico di esseri umani, di diamanti, di specie protette, etc. – e le hanno delocalizzate stringendo legami di affari con i loro omologhi, che intervengono su altri continenti. 

Cosa Nostra, che aveva subito colpi durissimi da parte delle forze di repressione, nel corso degli Anni Novanta, rafforza il suo insediamento internazionale, in particolare in Brasile, in Canada, nell’Europa dell’Est e nell’Africa del Sud. Le sue attività vanno dal riciclaggio – società “schermo”, acquisto di beni immobiliari – al traffico di cocaina, in collaborazione con i gruppi colombiani, passando per il favoreggiamento dell’immigrazione di criminali. Queste attività sono favorite da legami consolidati tra organizzazioni criminali e poteri politici. Ciò è vero non solo nelle “dittature delle banane”, – Birmania, Guinea-Bissau – o nei non-Stati – Afghanistan, Paraguay, Liberia –, ma anche nei grandi Paesi, che svolgono un ruolo geopolitico chiave nella loro regione come, a esempio, la Turchia, in Europa, e il Messico, nell’America del Nord.

Con l’esplosione e la diversificazione delle produzioni di droghe e la trasformazione delle narco-organizzazioni, il terzo elemento costitutivo della situazione attuale sono gli effetti sulla criminalità e il traffico di droghe con la moltiplicazione dei conflitti locali, effetto perverso della fine dell’antagonismo dei blocchi e degli scossoni provocati dal crollo dell’Unione Europea. Durante la Guerra Fredda, le grandi potenze, che la dissuasione nucleare impediva di affrontarsi direttamente, lo facevano attraverso i loro alleati nel Terzo Mondo. Il danaro della droga utilizzato dai belligeranti evitava, così, ad alcuni Paesi di dovere attingere a fondi segreti per finanziare i loro alleati. Ciò è stato, in particolare, il caso per tutte le grandi potenze – Stati Uniti, Francia – e le potenze regionali – Israele, Siria –, toccate dalla guerra civile libanese, e per gli Stati Uniti in America Centrale. La fine della Guerra Fredda, lontano dal mettere fine a quei conflitti locali, non ha fatto che rivelare la loro assenza di motivi ideologici, sollevando scontri etnici, nazionali, religiosi, etc. I belligeranti, non potendo, oramai, contare sul finanziamento dei loro potenti protettori, hanno dovuto trovare nei traffici, quali quello di droghe, risorse alternative. In una trentina di conflitti, aperti, latenti o in via di risoluzione, la presenza della droga, a titoli e a livelli diversi è accertata: in America Latina [Colombia, Perù, Messico]; in Asia [Afghanistan, Tajikistan, India, Azerbaijan, Armenia, Cecenia, Georgia, Birmania, Filippine]; in Europa [Jugoslavia, Turchia, Irlanda, Spagna] e in Africa [Algeria, Sudan, Egitto, Senegal, Guinea-Bissau, Liberia, Sierra-Leone, RDC, Congo, Ciad, Uganda, Angola, Somalia, Comore].

Alcuni di questi conflitti – in Colombia, in Afghanistan o in Angola – esistevano prima della fine della Guerra Fredda. Ma il ritiro di partiti fratelli o di potenti protettori ha fatto in modo che prendessero un carattere nuovo: scivolamento progressivo verso attività di predazione nel caso delle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia [FARC]; antagonismi etnico-religiosi, manipolati dalle potenze regionali, in quello delle guerre civili afghane e angolane. Altrove, è la caduta dei regimi comunisti, che è all’origine dei conflitti jugoslavi, ceceni, azero-armeni e delle guerre civili georgiane. I protagonisti di questi scontri, nella loro ricerca di finanziamenti, utilizzano ogni mezzo: traffico di petroli, di droghe, di metalli strategici. Uno degli esempi più significativi dell’utilizzo della droga nello scoppio del conflitto, poi, negli ostacoli messi alla sua risoluzione, è quello del Kosovo.

Dal 1991, l’Office of Generic Drugs [OGD] segnalava che i profitti della vendita di eroina, in tutta l’Europa, in particolare in Svizzera, da residenti albanesi di questa provincia serba, erano utilizzati per acquistare armi nella prospettiva di un sollevamento contro l’oppressione serba. L’UCK, dopo aver fatto scattare operazioni militari, alla fine del 1997, è stato cacciato, progressivamente, dai suoi bastioni dall’esercito e dalla polizia jugoslava e non ha più operato che in sacche lungo la frontiera albanese. Dopo la campagna di bombardamento della NATO in Serbia e in Kosovo – dal 24 marzo al 10 giugno 1999 – non restava al gruppo nazionalista che prepararsi a un ritorno in forza nella reinstallazione dei rifugiati. È la ragione per cui aveva cercato di acquistare il vero potenziale militare, che gli rifiutavano i Paesi occidentali. Per ciò, aveva avuto, innanzitutto, come fonte di finanziamento l’imposta pagata dai 700mila albanesi della diaspora in Europa [3% dei salari e sovente di più]. Ma questo finanziamento legale si è rivelato vulnerabile, in particolare, quando il Governo svizzero decise di gestire il fondo dell’UCK, “La Patria chiama”. È allora che questa organizzazione, sembra, abbia deciso di privilegiare una ricerca di finanziamento nel traffico delle droghe, anche se ciò implicava legami con le mafie italiane, che gli fornivano armi contro eroina, cocaina o derivati della cannabis. In certi affari, la presenza dell’UCK, in quanto tale, è stata chiaramente stabilita, in particolare, dalla giustizia italiana; in altri l’identità dei finanziatori di traffici albanesi è stata occultata, ma non lascia dubbi. Infatti, quando la polizia e la giustizia di Paesi europei avevano prove dell’implicazione dell’UCK, era per loro difficile, a causa del ruolo della NATO nel Kosovo, renderle ufficialmente note. È la stampa che doveva trarre le conclusioni dalle informazioni di cui disponeva o dalle fughe di cui beneficiava da parte di certi magistrati.

Nel giugno del 1998, a esempio, un centinaio di persone, di cui numerose kosovare, furono arrestate attraverso l’Italia e altri Paesi europei per traffico di droghe e di armi. Secondo la Procura di Milano, appartenevano a otto reti incaricate di introdurre armi nel Kosovo. 100 chilogrammi di eroina e di cocaina, che sarebbero servite a pagare le armi, furono sequestrati.

Il 12 marzo 1999, la polizia ceca annunciava l’arresto, a Praga, del kosovaro Princ Dobroshi  [https://www.youtube.com/watch?v=QWk2LbtYqKE], evaso da una prigione norvegese e considerato uno dei più importanti trafficanti di droga, in Europa. Documenti attestavano, senza ambiguità, che l’uomo di 35 anni, utilizzava il prodotto del suo traffico per l’acquisto di armi. Citando un membro dei servizi segreti cechi [BIS], il giornale Lidove Noviny indicava che queste armi erano state consegnate all’Esercito di Liberazione del Kosovo [UCK].

Nell’aprile del 1999, il giornale londinese The Times, indicava che Europol preparava un rapporto per i Ministri europei dell’Interno e della Giustizia, sottolineando le connessioni tra l’UCK e i narco-trafficanti. Secondo il quotidiano, le polizie tedesca, svizzera e svedese, avrebbero avuto le prove del finanziamento parziale dell’UCK dalla vendita di droghe.  

I diversi tipi di compromissioni dei Paesi ricchi con gli Stati trafficanti sono così diffusi, che le loro caratteristiche possono essere modellizzate.

Il più diffuso ha per origine gli interessi economici. Durante gli Anni Novanta, la Cina e la Polonia hanno accettato, senza recalcitrare, che le armi, che vendevano alla Birmania, fossero pagate con il danaro dell’eroina. Dal loro canto, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale non si sono, mai, posti tante domande sull’origine dei fondi che permettono a certi Paesi – in particolare alla Colombia, durante tutti gli Anni Ottanta – di pagare il loro debito estero. Se certi Paesi europei e l’Unione Europea stessa chiudono gli occhi sulle protezioni ufficiali, di cui beneficia la cultura di cannabis in Marocco, è perché contribuisce, largamente, all’equilibrio economico del Paese e la loro sostituzione costerebbe estremamente cara. 

Ma la droga può essere, così, utilizzata come arma diplomatica per destabilizzare o discreditare un avversario politico. Un esempio di questo atteggiamento è la politica degli Stati Uniti nei confronti dell’Iran nel campo delle droghe. Durante tutti gli Anni Novanta, a dispetto dei suoi sforzi nel campo della lotta contro il transito dell’eroina afghana [l’Iran ha perso circa 3mila uomini, in venti anni, in questa lotta], questo Paese è stato decertificato da Washington, vale a dire posto sulla lista dei Paesi che sono considerati Stati trafficanti. Questa misura produce la sospensione di ogni aiuto economico da parte degli Stati Uniti e, soprattutto, il loro voto negativo in tutte le istanze internazionali, incaricate di promuovere la coooperazione internazionale. Interrogato dall’OGD, un rappresentante del Dipartimento di Stato aveva risposto a tale riguardo che l’Iran era stato posto sulla lista dei Paesi “decertificati” in quanto Stato terrorista e non a causa della sua partecipazione al traffico internazionale delle droghe. Nel dicembre del 1998, il presidente Bill Clinton annunciò che avrebbe ritirato l’Iran dalla lista dei Paesi “decertificati”. 

La ragione?

“L’Iran non è più un produttore significativo di oppio e di eroina e ha cessato di essere un Paese di transito della droga destinata agli Stati Uniti.”

Tutti avevano compreso che si trattava di un gesto di buona volontà che rispondeva alla politica di apertura manifestata dal presidente Mohammad Khatami, con il suo insediamento, nel 1997.

L’ultimo elemento, che concerne le manipolazioni di cui la droga è l’obiettivo, è di carattere diplomatico. Si tratta questa volta per un Paese di tacere le implicazioni di un altro Stato nel traffico di droghe, al fine di esercitare un ricatto, perché vi metta fine o faccia una politica voluta dal primo in un altro campo. Gli Stati Uniti hanno, simultaneamente, mirato a questi due obiettivi nel caso della Siria, Paese le cui truppe erano, profondamente, implicate nel traffico di hashish e di eroina nel Libano: hanno, così, ottenuto delle campagne di eradicazione delle culture illecite nella piana della Bekaa e la partecipazione della Siria ai negoziati di pace nel Medio Oriente. La stessa strategia è stata utilizzata da Washington nei confronti del generale Hugo Banzer, presidente della Bolivia. La dittatura militare di quest’ultimo [1971-1978] si è non solo consegnata a gravi violazioni dei diritti umani e all’assassinio di oppositori all’estero, nel quadro del Piano Condor, ma ha, anche, contribuito alla specializzazione della Bolivia nella produzione di cocaina.

 

S. M., Arrestato il boss bulgaro “re della cocaina” in affari con la ‘ndrangheta, Evelin Banev faceva entrare in Italia dal Sud America, prevalentemente via mare, una media di 40 tonnellate di droga all’anno, Qui Cosenza, 11 settembre 2021 [https://www.quicosenza.it/news/calabria/422212-arrestato-il-boss-bulgaro-re-della-cocaina-in-affari-con-la-ndrangheta]. 


 

Arrestato il bulgaro Evelin Banev “Brendo”, il boss della cocaina legato alla ‘ndrangheta, Fermato in Ucraina: con la sua organizzazione transnazionale faceva entrare in Italia, mediamente, 40 tonnellate di droga all’anno, Corriere della Calabria, 11 settembre 2021 [https://www.corrieredellacalabria.it/2021/09/11/arrestato-il-bulgaro-evelin-banev-brendo-il-boss-della-cocaina-legato-alla-ndrangheta/].

 


Надя Хамдан e Антонио Костадинов, Евелин Банев-Брендо е задържан в Украйна [ВИДЕО], Прокуратурата започва подготовката да изпрати молба до Украйна за екстрадиция, Darik News, 10 settembre 2021 [https://dariknews.bg/novini/bylgariia/evelin-banev-brendo-e-zadyrzhan-v-ukrajna-video-2283194].

 

Pablo Petrasso, Il boss legato alla ‘ndrangheta che imbarazza Zelensky, Accuse dalla Bulgaria: “Il Presidente protegge il “re della cocaina” Banev. Il patto di “Brendo” con il clan Bellocco per portare la droga sulla rotta dei Balcani e i milioni trasferiti in Svizzera, Corriere della Calabria, 8 maggio 2022 [https://www.corrieredellacalabria.it/2022/05/08/il-boss-legato-alla-ndrangheta-che-imbarazza-zelensky/].

   

“Un’organizzazione bulgara, erede diretta della “vecchia” mafia di Sofia, e una ‘ndrina trapiantata in Piemonte ma collegata alla cosca Bellocco di Rosarno alleate nell’importazione via mare di cocaina dal Sud America e nella successiva distribuzione sui principali mercati europei. È una inedita “multinazionale del narcotraffico” quella scoperta e smantellata dai carabinieri del ROS che, nell’ambito dell’operazione “Magna Charta”, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 30 indagati. Sette trafficanti sono stati arrestati in Lombardia, Piemonte e Veneto, gli altri tra Bulgaria, Spagna, Olanda, Slovenia, Romania, Croazia, Finlandia e Georgia.

Le indagini – hanno spiegato in una conferenza stampa, nella sede del Comando provinciale di Roma, i vertici del ROS, i generali Giampaolo Ganzer e Mario Parente – sono partite nel 2005 proprio in Piemonte, da una “costola” calabrese riconducibile a clan di Rosarno. Presto è emerso il collegamento con i bulgari, che avevano sedi operative in Italia, Spagna e Croazia, e bulgari sono stati i primi corrieri finiti in manette con singoli carichi di droga intercettatati negli scali aerei di Milano e Amsterdam. Il vero “salto di qualità” c’è stato però quando la droga ha cominciato ad arrivare dal Sud America a bordo di grandi “navi madre”, nella tratta oceanica, e di velieri opportunamente dotati di doppi fondi dirottati verso le Baleari e l’Isola di Madeira: gli specialisti delle importazioni, secondo gli investigatori, erano i fratelli italiani Fabio e Lucio Cattelan, che si preoccupavano di reclutare anche gli skipper.

Dopo il doppio sequestro – nel febbraio del 2007 – di sei tonnellate di cocaina stivate sul “Blaus VII” e sull’“Oct Challenger”, e l’arresto di sette membri di equipaggio, il “cartello” ha provato a rifarsi delle perdite: il boss dei bulgari, Evelin Nicolov Banev, detto “Brendo”, contattato dal trafficante padovano Antonio Melato, ha noleggiato una barca a vela e una motonave per importare altri 3mila chili di stupefacente, ma una grave fuga di notizie sulle indagini in corso (responsabile un magistrato bulgaro, oggi non più in servizio), ha convinto l’organizzazione a rimandare tutto a tempi migliori. Al momento degli ultimi arresti, anche Antonio Melato e il figlio Alessandro, “pizzicato” a Dubrovnik, stavano organizzando una nuova spedizione, stavolta sulla rotta africana. Mentre due degli skipper italiani avrebbero perso la vita durante una tempesta al largo delle coste portoghesi: di loro si sono perse le tracce mentre andavano al “rendez vous” con una delle “navi madre” cariche di cocaina.”

Droga: alleanza ‘ndrangheta-“mafia” bulgara; 30 arresti, CN24, 4 giugno 2012 [https://cn24tv.it/news/48553/traffico-di-droga-bulgaria-banev-bellocco.html].

  

“Regele cocainei”, Evelin Banev, risca 28 de ani de inchisoare in Romania, Observator, 6 aprile 2017 [https://observatornews.ro/social/regele-cocainei-evelin-banev-risca-28-de-ani-de-inchisoare-in-romania-94689.html].

  

След години издирване: осъденият за наркотрафик Евелин Банев-Брендо е задържан в Украйна, Свободна Европа, 10 settembre 2021 [https://www.svobodnaevropa.bg/a/31454108.html].

 

Знаходився у міжнародному розшуку – у Києві затримали 55-річного іноземця [https://www.youtube.com/watch?v=ssnUdecL2g4&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.svobodnaevropa.bg%2F&source_ve_path=MjM4NTE&feature=emb_title].

 

Credit Suisse faces money laundering charges in trial of Bulgarian cocaine traffickers, CNBC, 6 febbraio 2022 [https://www.cnbc.com/2022/02/07/credit-suisse-faces-charges-in-trial-of-bulgarian-cocaine-traffickers.html].

 

Труд онлайн, Брендо е пуснат на свобода, станал е украинец и не могат да го екстрадират, Труд, 2 ottobre 2021 [https://trud.bg/%D0%B1%D1%80%D0%B5%D0%BD%D0%B4%D0%BE-%D0%B5-%D0%BF%D1%83%D1%81%D0%BD%D0%B0%D1%82-%D0%BD%D0%B0-%D1%81%D0%B2%D0%BE%D0%B1%D0%BE%D0%B4%D0%B0-%D1%81%D1%82%D0%B0%D0%BD%D0%B0%D0%BB-%D0%B5-%D1%83%D0%BA%D1%80%D0%B0%D0%B8%D0%BD%D0%B5%D1%86-%D0%B8-%D0%BD%D0%B5-%D0%BC%D0%BE%D0%B3%D0%B0%D1%82-%D0%B4%D0%B0-%D0%B3%D0%BE-%D0%B5%D0%BA%D1%81%D1%82%D1%80%D0%B0%D0%B4%D0%B8%D1%80%D0%B0%D1%82/].

 

Владимир Алексеев, Ей, вие 175 безродници, поискайте срещу оръжието, което давате, вашият любимец, когото гледате в захлас и тъгувате, че не успяхте да го докарате в НС да му целувате ръка на първото заседание, да ни върне кокаиновия крал Евелин Банев, Informiran,  3 novembre 2022 [https://www.informiran.net/%D0%B5%D0%B9-%D0%B2%D0%B8%D0%B5-175-%D0%B1%D0%B5%D0%B7%D1%80%D0%BE%D0%B4%D0%BD%D0%B8%D1%86%D0%B8-%D0%BF%D0%BE%D0%B8%D1%81%D0%BA%D0%B0%D0%B9%D1%82%D0%B5-%D1%81%D1%80%D0%B5%D1%89%D1%83-%D0%BE%D1%80/].

 

 


 


 

 


Сашко Шевченко ed Еліна Сардалова, Український суд випустив з-під варти болгарина, якого розшукує Інтерпол. Чому? [розслідування],  Радіо Свобода, 19 novembre 2021 [https://www.radiosvoboda.org/a/sud-vypustyv-z-pid-varty-bolharyna-yakoho-rozshukuye-interpol/31568286.html].

   

Edoardo Anziano, Credit Suisse è stata condannata per riciclaggio dei capitali della mafia bulgara, La banca di Zurigo ha ripulito centinaia di milioni provento del traffico di droga. Il boss bulgaro Evelin Banev, in affari anche con la ‘ndrangheta, ha 36 anni di carcere da scontare, ma resta a piede libero dopo aver ottenuto la cittadinanza in Ucraina, IRPI MEDIA, 4 Luglio 2022 [https://irpimedia.irpi.eu/suissesecrets-credit-suisse-e-stata-condannata-per-riciclaggio-dei-capitali-della-mafia-bulgara/].

 


Suisse Secrets [https://www.youtube.com/watch?v=5QNAxLtwmpI].

“Ritengo le leggi sul segreto bancario svizzero immorali. Il pretesto di proteggere la privacy finanziaria è semplicemente una foglia di fico che nasconde il vergognoso ruolo delle banche svizzere quali collaboratrici degli evasori fiscali. Questa situazione facilita la corruzione e affama i Paesi in via di sviluppo che dovrebbero ricevere i proventi delle loro tasse. Sono i Paesi che più hanno sofferto del ruolo di Robin Hood invertito della Svizzera.” 

Whistleblower Suisse Secrets [https://irpimedia.irpi.eu/suissesecrets/].

Politici corrotti, impiegati pubblici che hanno sottratto milioni dalle casse pubbliche di Paesi in via di sviluppo, narcotrafficanti e trafficanti di uomini, l’Obolo del Papa destinato alle opere pie accanto a medi e grandi evasori italiani e delinquenti, anche in odore di ‘ndrangheta. Sono alcuni degli oscuri personaggi che hanno posseduto conti correnti in Credit Suisse, la seconda banca della Svizzera. Da almeno vent’anni l’istituto bancario promette una stretta su criminali e corrotti, prende tempo e patteggia con amministrazioni giudiziarie di Europa e Stati Uniti per omessi controlli sui loro clienti.

Suisse Secrets è un progetto di giornalismo collaborativo guidato dal Süddeutsche Zeitung e Occrp a cui partecipano 48 media partner da tutto il mondo e 163 giornalisti. Nato da un leak, una segnalazione anonima, contenente i dati di 18mila conti correnti e 30mila correntisti, Suisse Secrets scardina i segreti di casseforti nascoste per decenni tra le Alpi.

E rivela un aspetto inquietante: nonostante il segreto bancario sia formalmente archiviato, la “cultura della segretezza” e la legge bancaria svizzera difendono ancora i patrimoni di chi possiede un conto presso una banca svizzera.

Il lavoro di inchiesta di Suisse Secrets è durato oltre un anno. I giornalisti hanno analizzato migliaia di dati bancari e intervistato decine di banchieri, legislatori, procuratori, esperti e accademici. Per arrivare a raccontare ciò che i giornalisti svizzeri non possono, pena il carcere: anche per loro è reato violare il segreto bancario nel loro Paese.

 

Keith Griffith, Credit Suisse’s scandals: Bank lost $5.5B on hedge fund run by wire fraudster, pleaded guilty in ‘tuna bond scam’ and was convicted in scheme to launder coke money for pro wrestler

-       Credit Suisse’s recent missteps are in the spotlight following $54B bailout

-       Scandals and multi-billion dollar losses have hit the Swiss lender in recent years

-       CEO vows ‘to move forward rapidly to deliver a simpler and more focused bank’ 

https://www.dailymail.co.uk/news/article-11869227/Credit-Suisses-sandals-missteps-losses-turmoil-recent-years.html].

 

Miroslav Pejko, Pal’o Rypal, due giornalisti svaniti nel nulla rispettivamente nel 2008 e nel 2015, e Jan Kuciak.

 

Slovacchia, assolto il presunto mandante dell’omicidio reporter Jan Kuciak e della sua fidanzata Martina Kusnirova, il Fatto Quotidiano, 19 maggio 2023 [https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/05/19/slovacchia-assolto-il-presunto-mandante-dellomicidio-reporter-jan-kuciak-e-della-sua-fidanzata-martina-kusnirova/7167188/].

 

 

MA VA LÀ, VADALÀ! – IN SLOVACCHIA 7 ITALIANI IN CELLA PER L'ASSASSINIO DEL REPORTER CHE AVEVA SCRITTO DEI LORO RAPPORTI CON LA 'NDRANGHETA – ECCO CHI È NINO VADALÀ, IL CALABRESE IN LAMBOGHINI CHE FA TREMARE IL PREMIER FICO - I NOMI DEGLI ITALIANI ERANO STATI SEGNALATI DALLA PROCURA DI REGGIO CALABRIA MA BRATISLAVA NON SI ERA MOSSA..., DAGOSPIA, 2 marzo 2018 [https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/ma-va-vadala-ndash-slovacchia-italiani-cella-168408.htm].

 

Antonio Papaleo, Bulgaria, stuprata e uccisa la giornalista Victoria Marinova, La reporter bulgara, di 30 anni, aveva sviluppato inchieste sullo scandalo finanziario noto come Gp Gate, 8 ottobre 2018 [https://www.tpi.it/esteri/bulgaria-victoria-marinova-giornalista-uccisa-20181008180451/].

  


 


Sylvana Debono, Malta proves that oligarchs are not all Eastern European – Bloomberg, Newsbook, 27 novembre 2019 [https://newsbook.com.mt/en/malta-proves-that-oligarchs-are-not-all-eastern-european-bloomberg/].

  

Belgium busts drug lab on air base housing US nukes, Arab News, 28 giugno 2022 [https://www.arabnews.com/node/2112641/world].

 

Neil Murphy, Belgian police raid drug lab near base storing US nuclear arsenal

Officers discover illegal lab near secretive Kleine Brogel base, 29 giugno 2022 [https://www.thenationalnews.com/world/europe/2022/06/28/belgium-raids-drug-lab-near-base-hosting-us-nuclear-arsenal/].

 

“Belgian police have raided an illegal lab producing the rave drug ecstasy on an airbase that reportedly houses part of the US nuclear arsenal in Europe.

Two suspects – not military personnel – were arrested during the raid, according to a spokesperson for the prosecutor’s office in the Belgian province of Limburg.

The Kleine-Brogel base in northeast Belgium is best known for housing a stock of US nuclear weapons.

Belgian officials are discreet about the deployment, having briefly confirmed its role in the 1980s, but in 2019 a Green MP told parliament that US forces held 10 to 20 warheads there.

Prosecutors said that local police had discovered the drug lab on military land on 22 June and that it had been dismantled by specialist federal officers.

The lab was found to produce MDMA, a synthetic recreational drug most commonly known as ecstasy.

The Kleine-Brogel airbase is often a target of Belgian anti-nuclear and anti-NATO protesters.

It is in a rural area between the port city of Antwerp and the border with Germany’s industrial heartland, an area dotted by labs and hideouts used by international drug gangs.”

Belgian police raid drug lab on airbase housing US nuclear arsenal, Two suspects arrested at the Kleine-Brogel base in northeast Belgium over the production of ecstasy, AFP in Brussels, The Guardian, 28 giugno 2022 [https://web.archive.org/web/20220628174031/https://www.theguardian.com/world/2022/jun/28/belgian-police-raid-drug-lab-on-airbase-housing-us-nuclear-arsenal].

 

 Removed: article [https://twitter.com/guardian/status/1541838477565771785].


E, per fortuna, la Costituzione all’articolo 11 ripudia la guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri Popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”!

È possibile considerare tali preparativi militari senza concepire le più grandi inquietudini?

Se non ci conducono alla guerra, è alla bancarotta e alla rovina che ci condurranno e giorno verrà in cui gli Italiani saranno un Popolo di mendicanti davanti a una fila di caserme!

“Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono compromessi a spendere il 2% del PIL per l’acquisto di armi come risposta a questo che sta accadendo, pazzi!” [Carlo Marroni, Pazzia l’aumento spesa armi al 2% del PIL, mi sono vergognato, Il Sole 24 ore, 24 marzo 2022, https://www.ilsole24ore.com/art/papa-pazzia-l-aumento-spesa-armi-2percento-pilmi-sono-vergognato-AE3ceWMB],

è il monito lanciato, il 4 marzo 2022, da Papa Francesco, durante l’udienza al Centro Femminile Italiano, nelle stesse ore in cui il tema dell’incremento dei budgets per la difesa era uno dei temi sul tavolo del vertice della NATO a Bruxelles e dopo che la Germania aveva comunicato l’obiettivo del 2% e l’Italia, il Belgio, l’Austria, i Paesi Baltici e la Finlandia apparivano allineati nella stessa direzione:

“La vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il Mondo, non facendo vedere i denti, un modo ormai globalizzato, e di impostare le relazioni internazionali.”

Tutti gli Esseri Umani hanno il diritto di vivere in un Mondo senza guerra e senza conflitto armato, senza occupazione straniera, né base militare.

Nessuno ha il diritto di morte sugli Esseri Umani e sui Popoli.

Ma l’ostacolo che frena a favore della difesa comune europea è rappresentato dalla potentissima lobby europea dei produttori di armi e munizioni: migliaia di aziende con fatturati da imprese top nel Mondo. In Germania se ne contano 221, in Italia 157 e in Francia 122, con un interesse evidente a conservare lo status quo.

“La guerra piace a chi non sa cos’è.”,

si apre così, assumendo a riferimento ideale il noto monito erasmiano, la più recente ricerca del filosofo del diritto Mario G. Losano dedicata agli articoli pacifisti delle Costituzioni di Giappone [articolo 9], Italia [articolo 11] e Germania [articolo 26], i tre Stati dell’Asse che, usciti sconfitti dalla Seconda Guerra Mondiale,  riscrissero, sotto pressione più o meno intensa degli Alleati vincitori, le proprie Carte fondamentali, tra il 1947 e il 1949. Per l’Europa, gli ultimi anni della guerra e i primi anni del Dopoguerra sono stati anni di anarchia, che la trasformarono in un continente selvaggio. In Italia, ci furono ponti saltati, case senza servizi, disoccupazione dilagante, inflazione alle stelle, reduci che faticavano a inserirsi nella società, borsa nera, prostituzione e sciuscià disposti a tutto.

Non sono né i missili, né le bombe, né i carri di assalto, né gli impieghi militari, né tutto il resto della macchina di morte che daranno ai Popoli del Mondo servizi sociali, scuole, case, lavori decenti e utili. 

  

Italia-Germania, Meloni: “Convergenze su Piano Mattei in Africa” “Esistono convergenze con la Germania sulla necessità di avviare nuove forme di cooperazione coi Paesi del Nord Africa sull’energia. Sul Piano Mattei ci sono importanti convergenze. L’Europa oggi ha un problema di approvvigionamento energetico e la cooperazione con le nazioni africane può affrontare insieme diversi problemi”. Lo ha detto il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nelle dichiarazioni alla stampa insieme al cancelliere tedesco Olaf Scholz [https://www.youtube.com/watch?v=c2v9j9_1SVQ].

  

Lo sbarco in Sicilia nel 1943 garantì alle forze alleate il pieno controllo delle rotte mediterranee che furono così riaperte alle unità navali preposte al rifornimento dei reparti di stanza nell’Isola. Un’abbondante letteratura ha ricostruito i legami intercorsi tra il Governo statunitense e i principali gruppi mafiosi siciliani.

Consapevoli del ruolo strategico assunto dalla Sicilia nel corso del conflitto mondiale, gli Alleati imposero all’Italia, attraverso il Trattato di Pace, una serie di limitazioni alle installazioni militari da attuare nell’Isola. L’articolo 50 prevedeva che “in Sicilia e in Sardegna, tutte le installazioni permanenti e il materiale per la manutenzione e il magazzinaggio delle torpedini, delle mine marine e delle bombe” fossero “demolite o trasferite nell’Italia continentale”, entro un anno dall’entrata in vigore del trattato e che non sarebbe stato “permesso alcun miglioramento o ricostruzione o estensione delle installazioni esistenti o delle fortificazioni permanenti”. L’articolo 59 prevedeva che le isole di Pantelleria, Lampedusa, Lampione e Linosa restassero “smilitarizzate”, mentre l’articolo 73 faceva divieto a forze militari straniere di “stazionare sul territorio, nei porti, o nelle acque territoriali italiane”. Le clausole furono, tuttavia, presto eluse dagli stessi Stati Uniti che, a meno di dieci giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del trattato, il 4 gennaio 1948, inviarono, per decisione del Segretario agli Esteri, il generale Harry S. Marshall, un distaccamento di fucilieri della US Navy per tenere le navi americane il più vicino possibile agli obiettivi di guerra. Contemporaneamente l’1 febbraio 1948, lo Stato Maggiore dell’Esercito italiano disponeva la ricostituzione in Sicilia della Divisione di Fanteria Aosta sciolta a fine conflitto, assegnandone il comando a Palermo. La ricostituzione dell’Aosta e lo sbarco dei fucilieri americani costituivano i primi passi con cui prendeva il via il processo di militarizzazione della Sicilia nel Dopoguerra.

La posizione geografica dell’Italia – Paese di confine tra Est e Ovest – e la presenza al suo interno di un forte partito comunista e di un grande partito socialista, non potevano non suscitare paura per la tenuta dell’Italia nella NATO. Troppi erano i fattori di rischio, e un’apertura di credito all’Unione Sovietica avrebbe potuto rivelarsi pericolosa. L’ambizioso piano di ricostruzione economica varato nel dopoguerra in Europa dagli Stati Uniti e la rapida crescita industriale del Paese furono paradossalmente i fattori che contribuirono all’avvicinamento tra Roma e Mosca. I primi contatti, infatti, ancorché politici, furono stabiliti tra l’Unione Sovietica e l’Italia proprio per questioni commerciali. L’apporto dato dall’ENI di Mattei, dalla FIAT di Vittorio Giuseppe Valletta e da numerose altre piccole e grandi imprese che iniziarono a tessere relazioni economiche con l’URSS, favorì il nuovo corso di politica estera.

In una relazione segreta firmata dal Ministro degli Esteri Andrej Andreevic Gromyko per i membri del Presidium del PCUS qualche giorno prima della partenza di Giovanni Gronchi per l’URSS23 si legge:

“Gronchi è uno dei leader della corrente ‘di sinistra’ della Democrazia cristiana. Nelle questioni di politica estera egli mantiene uno sguardo molto più moderato rispetto alla dirigenza del partito. In molti casi Gronchi si è espresso a favore di una politica più indipendente dell’Italia e degli altri paesi dell’Europa occidentale, ma anche a favore della distensione della tensione
internazionale. Non ha mai esternato dichiarazioni di inimicizia nei confronti dell’Unione Sovietica”.

Notevole fu l’influenza del presidente dell’ENI Enrico Mattei nella formulazione delle nuove linee di politica estera di alcuni esponenti della Democrazia Cristiana. In effetti il suo peso su decisioni fondamentali e il suo potere di condizionamento della politica estera italiana attraverso trattative di affari con forti implicazioni di carattere geopolitico, furono piuttosto rilevanti. Mattei giocò un ruolo importante nel riavvicinamento tra Italia e Unione Sovietica quando le condizioni politiche non sembravano ancora mature. Per questo era diffusa l’impressione che il presidente dell’ENI attuasse una propria politica estera senza concordarla con il ministero o, comunque, realizzasse progetti spesso non aderenti alla linea ufficiale della diplomazia italiana. Tale fu l’importanza geopolitica della “linea imprenditoriale” di Mattei che le diplomazie di tutto il mondo seguirono con apprensione e spesso con differenti reazioni le trattative dell’ENI in molteplici zone del mondo. Il Governo sovietico vide in Mattei un interlocutore privilegiato non solo per le implicazioni economiche che ebbe l’espansione dell’ENI in Unione Sovietica, ma per la posizione preminente che Mattei ricopriva nel settore dell’industria italiana. Il presidente dell’ENI, infatti, rappresentava il trait d’union tra la classe politica democristiana e i circoli economici del Paese che, da tempo, erano interessati a uno sbocco a Est e, con differenti modalità, premevano sulla classe dirigente perché fossero sancite nuove linee politiche nei confronti dell’URSS. A Fanfani, Gronchi, La Pira e Mattei, nella Democrazia Cristiana si aggiungevano altri esponenti che molto o poco, con riserve, opposizioni e lacerazioni sostenevano la necessità di modificare il carattere della partecipazione italiana all’Alleanza atlantica, giudicata troppo “appiattita” sulle scelte degli Stati Uniti. Tra di essi Rinaldo Del Bo, verso il quale i sovietici nutrivano una certa stima e che, tra l’altro, in qualità di Ministro del Commercio Estero fu il primo esponente del Governo italiano a recarsi in visita ufficiale in Unione Sovietica, nell’ottobre del 1959. In un rapporto sovietico del giugno 1959 si legge:

“Rinaldo Del Bo è legato al Vaticano e ai circoli vicini a Gronchi. Può considerarsi davvero “di sinistra”. Quando era viceministro degli Esteri manifestò il proprio disaccordo a Martino, dichiarandosi a favore di “una propria politica estera italiana”. Si è anche espresso per l’allargamento dei rapporti commerciali con i Paesi dell’Europa Orientale e con la Repubblica Popolare Cinese. All’inizio del 1958, durante la discussione governativa circa la proposta sovietica di distensione internazionale e di disarmo, egli fu l’unico Ministro che giudicò utile valutare tale proposta e sostenere una politica più elastica. Per questa presa di posizione è stato oggetto di un’aspra critica da parte delle correnti di destra e del Vaticano”.

Nel luglio del 1958 il presidente della FIAT Valletta, analizzando i cambiamenti in corso nel contesto internazionale, aveva dichiarato:

“Si allontanano sempre di più i pericoli di una guerra totale sotto la garanzia della reciproca paura dei due blocchi e dei neutrali circa l’uso delle atomiche e gli sviluppi di una sempre maggiore efficienza. […] Il signor Chruscev sarà indotto a cambiare tattica e politica sia interna che estera. Si impone, a lato delle produzioni in armamenti, anche a costo di ridurli, la pronta e intensa produzione di beni di consumo e di appoggio per le popolazioni civili”.

La stessa percezione era stata avvertita da Enrico Mattei, la cui ENI, nel 1958, era riuscita a concludere alcuni accordi in URSS e ed era interessata a piazzare in Unione Sovietica 50.000 tonnellate di gomma sintetica in cambio di olii combustibili. Nel dicembre del 1958, di ritorno da un viaggio in Cina, Mattei si era fermato per colloqui riservati in Unione Sovietica nei quali aveva ribadito che:

“[…] L’Occidente europeo è una cosa diversa dall’America. Un Paese occidentale con popolazione densa e con produzioni industriali di alta qualità, come l’Italia, ha bisogno di importare materie prime e semi lavorate per le sue industrie, ha un suo volto ben distinto e può trovare punti di incontro di carattere economico con l’Unione Sovietica. L’Italia in particolare, col suo presente Governo [Fanfani] si trova in condizioni singolarmente favorevoli.”

Mattei era stimato dalla dirigenza sovietica un interlocutore privilegiato per tre motivi di fondo: per la convinzione della necessità di allargare il mercato italiano in Unione Sovietica; per la posizione di non asservimento alle politiche degli Stati Uniti e alle indicazioni del cartello petrolifero americano e, infine, per essere un trait d’union tra il mondo politico e quello economico in Italia. Gli attacchi che Mattei riceveva in Italia da vari settori della Democrazia Cristiana e dai partiti della destra venivano considerati da Mosca con inquietudine. Un eventuale calo di prestigio di Mattei in Italia avrebbe significato anche un rallentamento del processo di avvicinamento tra i due Paesi. Un tentativo in tal senso fu fatto nel marzo del 1959, quando sembrò che per un accordo tra Antonio Segni, Giovanni Malagodi e Alighiero De Micheli si puntasse a destituire Mattei dalla presidenza dell’ENI, proprio per l’imbarazzo internazionale che avevano creato le sue azioni e per il suo crescente orientamento verso il mercato sovietico. A Mosca si utilizzò il canale degli scambi commerciali per lasciare una porta aperta all’Italia anche nei periodi più tesi delle relazioni bilaterali e internazionali.

Sotto il Governo Fanfani, ancor più durante il Gabinetto Segni, nel corso del 1959, i sovietici portarono avanti una linea di intense relazioni con il mondo imprenditoriale italiano, prediligendo spesso contatti riservati rispetto a quelli ufficiali dei canali politici.

 

La parabola del gattino – Incontro con Enrico Mattei | Eni Video Channel [https://www.youtube.com/watch?v=NfdGw6ylmKs&t=17s].

 

Conversazione con Francesco Rosi

[https://www.youtube.com/watch?v=5jz6hMOySCg].

 

Caso Mattei: omicidio – Nuove rivelazioni di Benito Li Vigni

Benito Li Vigni, con le sue dichiarazioni, apre lo scenario della cospirazione internazionale per uno degli innumerevoli misteri italiani: l’omicidio di Enrico Mattei, ancora oggi denominato sula stampa nazionale, sempre pronta a compiacere i potentati, come “Caso Mattei” per alimentare il dubbio che si tratti di incidente e non, come già accertato dalla magistratura, di attentato. Inoltre, collega l’omicidio di Mattei all’omicidio del Presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy [https://www.youtube.com/watch?v=x3p2LDuQRJg].

 

Enrico Mattei e lo Shah Mohammad Reza Pahlavi.

 

Enrico Mattei e Gamal ‘Abd al-Nasir Husayn.

  

Enrico Mattei e Aleksej Kosygin.

  

Enrico Mattei e il Re del Marocco Mohammed V.

 

“Tenuta nascosta per decenni e scoperta nella seconda metà degli anni Novanta da Vincenzo Calia, il sostituto procuratore di Pavia che riaprì le indagini sulla morte di Enrico Mattei, la perizia dell’aeronautica è una delle prove più lampanti dell’occultamento dei fatti e del depistaggio avvenuti intorno all’assassinio del fondatore dell’Eni. Perché di assassinio si tratta, con buona pace dei negazionisti di ieri e di oggi. Come ha accertato la Procura di Pavia nel 2003, al termine delle indagini, il Morane Saulnier 760 precipitato a Bascapè era stato sabotato poche ore prima della partenza con una piccola carica di esplosivo, mentre era parcheggiato nell’aeroporto di Fontanarossa, a Catania. Mattei era stato convinto a recarsi in Sicilia dove pernottò la notte tra il 26 e 27 ottobre 1962 e dove scattò la trappola della sua eliminazione. Cosa Nostra, attraverso Stefano Bontate e il boss di Riesi Giuseppe Di Cristina, fece solo un lavoro di fiancheggiamento.”

Giuseppe Oddo, Omicidio Mattei, depistaggi e bugie su un delitto di Stato, 12 Aprile 2017[https://www.giuseppeoddo.net/omicidio-mattei-depistaggi-bugie-delitto-di-stato/

  




 

CHI ERA DAVVERO EUGENIO CEFIS? – LA STORIA DI UNO DEGLI UOMINI PIÙ POTENTI, TEMUTI E OSCURI D’ITALIA NEL LIBRO DI PAOLO MORANDO – I RAPPORTI CON I SERVIZI ANGLO-AMERICANI, IL SOSPETTO [ANCHE DI PASOLINI] CHE CI FOSSE LA SUA MANO DIETRO LA MORTE DI ENRICO MATTEI, LA MONTEDISON, LA LOGGIA P2 E LA MASSONERIA – IL METODO DEI DOSSIERAGGI E DELLE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE, GLI INVESTIGATORI PRIVATI SGUINZAGLIATI DIETRO I SUOI NEMICI…, DAGOSPIA, 7 maggio 2021 [https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/chi-era-davvero-eugenio-cefis-storia-uomini-piu-rsquo-269375.htm].

 


Tre giorni prima di lasciare la Casa Bianca, il 17 gennaio 1961, dopo due mandati, Dwight David Eisenhower, trentaquattresimo Presidente degli Stati Uniti, aveva ammonito la popolazione del suo Paese di fare attenzione al complesso militare-industriale, che non era affatto interessato alla pace e avrebbe tentato, per mantenersi in vita e potenziarsi, di portare il Paese nuovamente in guerra. Le ripropongo qui, Presidente, uno dei passaggi più significativi del discorso di commiato alla Nazione:

 ”[…] Ora questa combinazione tra un grande apparato militare e una vasta industria bellica è un fatto nuovo nell’esperienza americana. La totale influenza – economica, politica, perfino spirituale – viene sentita in ogni città, in ogni organismo statale, in ogni ufficio del Governo Federale. Riconosciamo il bisogno ineluttabile di questo sviluppo, ma non dobbiamo esimerci dal comprendere le sue gravi implicazioni. Ne sono, inevitabilmente, coinvolti il nostro lavoro, le nostre risorse e il nostro stile di vita. La stessa struttura portante della nostra società.

Nei consigli di governo, dobbiamo vigilare per impedire il conseguimento di un’influenza ingiustificata, più o meno ricercata, da parte del complesso militare-industriale. L’eventualità dell’ascesa disastrosa di un potere mal riposto esiste e persisterà.

Non dobbiamo, mai, permettere che la pressione di questa combinazione metta in pericolo le nostre libertà o i nostri processi democratici. Non dobbiamo dare nulla per scontato. Solo una cittadinanza vigile e accorta è in grado di esigere una corretta integrazione della gigantesca macchina militare-industriale di difesa con i nostri metodi e obiettivi pacifici in modo tale che la sicurezza e la libertà possano prosperare insieme. […]”

A quel tempo, erano più di settecento gli ex-generali e gli ex-colonnelli che prestavano servizio nelle industrie belliche, mettendo a disposizione, oltre alle loro conoscenze specifiche, anche le loro relazioni personali con il Pentagono. Prima di divenire Presidente e di fare il suo ingresso alla Casa Bianca, il 20 gennaio 1953, Eisenhower aveva condotto una brillante carriera militare, che aveva fatto di lui il soldato di più alto grado nella gerarchia militare americana: generale a cinque stelle. La posizione centrale, che occupava in questa gerarchia, faceva di lui un osservatore privilegiato delle pratiche poco ortodosse del complesso militare-industriale. E gli otto anni passati alla Casa Bianca avevano finito per convincerlo della pericolosità di questa potente lobby, che, senza la presenza di una “cittadinanza vigile e accorta”, rischiava di fare man bassa dei meccanismi decisionali della strategia militare e della politica estera degli Stati Uniti. Il monito di Eisenhower è stato ignorato, perché non vi è stata negli Stati Uniti una cittadinanza vigile e accorta” a impedire le derive militari e politiche che, da decenni, non cessano di minare lo statuto, la reputazione e le finanze della superpotenza americana. Trattandosi di grandi scelte di strategia militare e di politica estera del Paese, la cittadinanza americana, nella sua maggioranza, non è né “vigile”“accorta” nel senso auspicato da Eisenhower, vale a dire nel senso di una forza capace di controllare, strettamente, le decisioni governative e di opporvisi, eventualmente, nel caso in cui vadano contro l’interesse generale. La sua assoluta indifferenza a quanto accade fuori delle sue frontiere la predispone a fare affidamento nei propri leaders e a prendere per oro colato tutto quello che questi dicono. L’esempio più sbalorditivo è la convergenza della maggioranza degli americani con l’ex-presidente George Walker Bush Jr. Non è un segreto per nessuno che questi sia stato la marionetta comune del complesso militare-industriale e della lobby petrolifera, che lo hanno utilizzato e manipolato. Per servire gli interessi dei fabbricanti di armi e delle compagnie petrolifere, Bush e il suo staff hanno utilizzato e manipolato, a loro volta, il Popolo americano, facendogli ingoiare la menzogna delle armi di distruzione di massa e del pericolo rappresentato da Saddam Hussein per il Mondo, in generale, e per gli Stati Uniti, in particolare. E nonostante la menzogna di Bush fosse venuta alla luce, nonostante la sua invasione dell’Iraq si fosse rivelata un disastro, i cittadini americani lo rieleggevano, nel novembre del 2004, per un secondo mandato. La Costituzione americana prevede che “il Presidente, il Vice presidente e tutti i funzionari civili degli Stati Uniti potranno essere rimossi dai loro uffici su accusa e verdetto di colpevolezza di tradimento, corruzione o altri gravi crimini e misfatti.” [art. 2, sec.4, http://www.dircost.unito.it/cs/docs/stati%20uniti%201787.htm].

Non devo, certo, ricordare io, qui, l’Affaire Watergate e l’Affaire Monica Lewinsky!

Nel 2002, nell’ambito delle indagini su un presunto arsenale di armi di distruzione di massa del regime di Saddam Hussein, la CIA aveva inviato in missione in Niger l’ex-diplomatico Joseph Wilson per stabilire se Baghdad avesse tentato di acquistare uranio. Wilson accertò che non c’era nulla a sostegno di un tale sospetto, ma, il 29 gennaio 2003, nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, passato alla Storia come il Discorso sull’Asse del Male, Bush affermò il contrario. Il 6 luglio, con un editoriale sul New York Times, Wilson accusò l’Amministrazione Bush di avere mentito, affermando che Saddam Hussein aveva tentato di acquistare uranio dal Niger, per giustificare l’invasione dell’Iraq, nel marzo del 2003

 


 



https://www.democracynow.org/2020/2/18/worth_the_price_joe_biden_documentary


“President Bush is right to be concerned about Saddam Hussein’s relentless pursuit of weapons of mass destruction. It is true that other regimes hostile to the United States and our allies have, or seek to acquire, chemical, biological and nuclear weapons. What makes Mr Hussein unique is that he has actually used them – against his own People and against his Iranians neighbours." [Senatore Joseph Robinette Biden e Richard G. Lugar, New York Times, 31 luglio 2002, https://georgewbush-whitehouse.archives.gov/nsc/nss/2002/nss5.html, https://www.pbs.org/wgbh/pages/frontline/shows/truth/why/said.html]

 

 


Venti anni fa, il 5 febbraio 2003, il Segretario di Stato degli Stati Uniti Colin Powell, parlando al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – morto di Covid-19 a ottantaquattro anni, nel 2021 – aveva pronunciato l’ormai celebre discorso dell’antrace. Ritenuto uno dei più moderati consiglieri del Presidente George Walker Bush Jr, Powell aveva accusato l’Iraq di possedere armi batteriologiche e mostrato, con un gesto teatrale, una provetta in cui era contenuta una polvere bianca. Nel frattempo, su un grande schermo alle sue spalle, scorrevano immagini satellitari, grafici e foto che “provavano” l’esistenza di un grande programma di produzione di armi chimiche e batteriologiche. Nulla di tutto ciò era vero. La grande messinscena architettata dai servizi di intellingence americano e britannico permise, nonostante il Consiglio di Sicurezza non avesse dato il suo benestare, di aprire ai marines la strada verso Baghdad. Già alla fine dell’estate del 2003, infatti, si scoprì che gran parte delle informazioni e delle ricostruzioni presentate da Powell all’ONU era falsa. I laboratori mobili e gli enormi arsenali di armi di distruzione di massa erano un’invenzione. Pura propaganda. Due anni dopo, nel febbraio del 2005, lo stesso Powell definì il discorso pronunciato al Consiglio di Sicurezza e l’esposizione degli argomenti forniti dai servizi segreti di Washington e di Londra una “macchia” sulla sua carriera. Quella messinscena, che non è, mai, stata condannata dalla comunità internazionale per quel consolidato doppiopesismo che la contraddistingue, è costata 584mila morti.

“Our inability, unwillingness, to put the hammer down in terms of security in the country allowed chaos to ensue, which gave rise to ISIS.”,

dichiarava, lo scorso 17 marzo, alla Reuters Richard Armitage, Vicesegretario di Stato degli Stati Uniti al tempo dell’invasione americana dell’Iraq. Invasione che “might be as big a strategic error” quanto l’invasione dell’Unione Sovietica da parte di Hitler nel 1941, che contribuì alla disfatta della Germania nella Seconda Guerra mondiale [Arshad Mohammed e Jonathan Landay, U.S. grapples with forces unleashed by Iraq invasion 20 years later, Reuters, 17 marzo 2023, https://www.reuters.com/world/us-grapples-with-forces-unleashed-by-iraq-invasion-20-years-later-2023-03-16/].

  


Washington, 8 marzo 2003: migliaia di persone in marcia verso la Casa Bianca per protesta contro il piano di guerra dell’Amministrazione Bush contro l’Iraq.

 





Il 19 marzo 2003, il Presidente degli Stati Uniti George Walker Bush Jr annunciava al Paese dalla Casa Bianca l’inizio dell’attacco contro l'Iraq:

‘‘Concittadini, in questo momento le forze americane della coalizione sono impegnate nelle prime fasi delle operazioni militari per disarmare l’Iraq, per liberare il suo Popolo e per difendere il Mondo da un grande pericolo. Su mio ordine, le forze della coalizione hanno iniziato a colpire obbiettivi selezionati di rilevanza militare per minare il potenziale bellico di Saddam Hussein. Queste sono le fasi iniziali di quella che sarà un’ampia campagna concertata. Oltre 35 Paesi stanno dando un cruciale appoggio, che va dall’uso di basi navali e aeree alla messa a disposizione di informazioni o di supporto logistico, allo spiegamento di unità da combattimento. Ogni Paese che fa parte di questa coalizione ha scelto di farsi carico del dovere e di condividere l’onore di essersi messo al servizio della nostra difesa comune. A tutti gli uomini e a tutte le donne delle Forze Armate degli Stati Uniti attualmente in Medio Oriente [voglio dire che] la pace di un mondo turbolento e le speranze di un Popolo oppresso ora dipendono da voi. Questa fiducia è ben riposta. Il nemico che fronteggiate si accorgerà della vostra capacità e del vostro coraggio. Il Popolo che liberate sarà testimone dello spirito onorevole e amabile del militare americano. In questo conflitto l’America deve fronteggiare un nemico che non ha nessun riguardo per le convenzioni di guerra o per le regole della morale. Saddam Hussein ha collocato truppe e mezzi militari tra la popolazione civile nel tentativo di utilizzare uomini, donne e bambini innocenti come scudi per i suoi militari; è un’ultima atrocità contro il suo Popolo. Voglio che gli americani e che il Mondo sappiano che le forze americane faranno ogni sforzo per risparmiare qualsiasi danno ai civili innocenti. Una campagna sull’impervio territorio di un Paese grande quanto la California potrebbe rivelarsi più lunga e difficile di alcune previsioni. E aiutare gli iracheni a costruire un Paese unito, stabile e libero richiederà un nostro prolungato impegno. Noi siamo venuti in Iraq con rispetto per i suoi cittadini, per la sua grande civiltà e per le fedi religiose che praticano. In Iraq noi non abbiamo ambizioni, salvo quella di scongiurare una minaccia e di restituire il Paese al controllo del suo Popolo. So che i familiari dei nostri soldati stanno pregando affinché tutti tornino presto a casa sani e salvi. Milioni di americani stanno pregando con voi per l’incolumità dei vostri cari e per la protezione degli innocenti. Per il vostro sacrificio, avete la gratitudine e il rispetto del Popolo americano e vi comunico che le nostre forze torneranno a casa non appena avremo completato il nostro compito. Il nostro Paese è entrato in questo conflitto a malincuore ma il nostro fine è certo. Il Popolo degli Stati Uniti e i nostri alleati e amici non vivranno alla mercé di un regime fuorilegge che minaccia la pace con armi di distruzione di massa. Ora faremo fronte a questa minaccia con il nostro esercito, la nostra marina, l’aeronautica, la guardia costiera e i marines, in modo da non doverci ritrovare in seguito a fronteggiarla con un esercito di vigili del fuoco, di poliziotti e di medici nelle strade delle nostre città. Ora che il conflitto è arrivato, il solo modo di limitare la sua durata è quello di esercitare la forza con decisione. E vi assicuro che questa non sarà una campagna di mezze misure, il solo risultato che ci andrà bene sarà la vittoria. Concittadini, i pericoli cui sono esposti il nostro Paese e il Mondo saranno scongiurati. Supereremo questo periodo di pericolo e lavoreremo per la pace. Difenderemo la nostra libertà. Porteremo la libertà ad altri. E vinceremo. Che Dio protegga il nostro Paese e tutti coloro che lo difendono.” [[https://www.youtube.com/watch?v=yEHuek0w5e4, https://www.vita.it/it/article/2003/03/20/iraq-lintervento-di-bush-e-la-risposta-di-saddam/22821/]

  





 

 White House CIA Leak [2 ottobre 2003]

 

 

Free Julian Assange – Julian Assange, journalism on trial [Part 1] – Presadiretta [https://www.youtube.com/watch?v=iup3n92-dhY]

 

Collateral Murder – Julian Assange, journalism on trial [Part 2] – Presadiretta [https://www.youtube.com/watch?v=2e3NbrTriQE]

 

Julian Assange – Journalism Under Trial [Part 3] – Presadiretta  [https://www.youtube.com/watch?v=qKhG1pPdIhs]

 

Il 3 giugno 2013, tre anni dopo il suo arresto, il venticinquenne Army PFC Bradley Edward Manning, arrestato, il 26 maggio 2010, a Baghdad, in Iraq, con l’accusa di aver fornito a WikiLeaks centinaia di migliaia di documenti militari americani riservati sulla guerra in Iraq e in Afghanistan, tra il novembre del 2009 e il maggio del 2010, compare davanti a una corte marziale, nel quartier generale della National Security Agency [NSA], a Fort George G. Meade, nel Maryland, a un’ora di strada dalla Casa Bianca.

Il processo è aperto alla stampa, ma i giornalisti debbono lasciare il cellulare all’esterno della base.

Nell’aula, il governo ha allestito meno di 20 posti per il pubblico e ha distribuito appena una decina di accrediti alla stampa. La maggioranza dei giornali basa, dunque, i propri resoconti sui comunicati ufficiali. Un tale livello di segretezza testimonia delle inquietudini del Governo e dell’Esercito americani per un procedimento profondamente anti-democratico e dei timori per una possibile discussione pubblica dei misfatti rivelati dal soldato Bradley Edward Manning.

Come era riuscito Bradley Edward Manning ad avere quelle notizie?

48 chili di peso, 1,57 di altezza, Bradley è un vero peso piuma!

Bradley, inviato, nell’ottobre del 2009, in Iraq con la 2nd Brigade Combat Team, 10th Mountain Division, ha accesso a due reti segrete, che il Dipartimento della Difesa e il Dipartimento di Stato americani utilizzano per trasmettere dati riservati. In questo modo, ottiene una copia del video, che riprende l’uccisione di 12 civili, conosciuto, oggi, come Collateral Murder, e diffuso da WikiLeaks, il 5 aprile 2010.

Bradley tenta di contattare The Washington Post, The New York Times e Politico, ma senza successo.

 Il 26 maggio 2010, Bradley, accusato di avere scaricato dati confidenziali nel suo computer e di avere rivelato informazioni utili al nemico, viene arrestato e, quattro giorni più tardi,  viene trasferito in una cella “buia e senza aria condizionata” di Camp Arifjan, in Kuwait.

Due mesi dopo il trasferimento a Camp Arifjan, Bradley viene rimpatriato e rinchiuso nel Marine Corps Brig di Quantico, in Virginia, il 29 luglio 2010. Sottoposto al regime di “massima sorveglianza anti-suicidio”, è costretto a dormire nudo e non ha il permesso di avere lenzuola, un cuscino o effetti personali. Lo racconta lui stesso, in una lettera del 10 marzo 2011 [http://commonsenseatheism.com/wp-content/uploads/2011/03/Bradley-Manning-legal-letter.pdf] al comandante della Marine Corps Base di Quantico, il colonnello Daniel D. Choike  [http://dissenter.firedoglake.com/2012/11/28/former-quantico-brig-commander-testifies-at-bradley-mannings-unlawful-pretrial-punishment-hearing/], che lascerà l’incarico, nel maggio del 2012 [http://potomaclocal.com/2012/04/04/quantico-commander-retiring/].

Il suo avvocato, David Coombs ha parlato di moqueries all’interno della prigione sulla nudità imposta a Bradley, citando una poesia scritta da una guardia carcerariana, ispirata a Green Eggs and Ham del Dr. Seuss:

I can wear them in a box,

I can wear them with a fox,

I can wear them in the day,

I can wear them so I say,

But I can’t wear them at night,

My comments gave the staff a fright.

[http://www.guardian.co.uk/world/2012/nov/28/bradley-manning-treatment-custody-wikileaks

Tra il mese di giugno e il mese di novembre del 2010, WikiLeaks rendeva pubblici 700mila documenti segreti, in cui si parla di civili, in Afghanistan, morti per mano della NATO, di 15mila civili iracheni uccisi e non contati tra le vittime, di ordini di non indagare sugli abusi commessi dalle forze irachene, addestrate e supervisionate da quelle americane, documenti che suggeriscono che il Governo e l’Esercito degli Stati Uniti hanno mentito sulle operazioni di guerra da loro condotte.

Il 19 gennaio 2011, Amnesty International scrive una lettera aperta al Segretario alla Difesa Robert Gates [http://www.amnesty.org/en/library/info/AMR51/024/2011/en], in cui viene espressa forte preoccupazione per le condizioni detentive di Bradley, che violano la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici  [http://www.onuitalia.it/diritti/patti2.html]. Nella lettera si ricordano, altresì, le Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners delle Nazioni Unite [http://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/TreatmentOfPrisoners.aspx], che garantiscono a tutti i prigionieri, non sottoposti a processo, il diritto di svolgere attività lavorative [http://www.amnesty.org/en/news-and-updates/us-accused-inhumane-treatment-over-wikileaks-soldier-case-2011-01-24, http://www.amnesty.org/en/library/asset/AMR51/024/2011/en/24509a70-fdff-45f3-b04b-63b5acdfe52d/amr510242011en.pdf].

In marzo, le dichiarazioni di Philip J. Crowley, che definisce il trattamento di Bradley “ridicolo, controproducente e stupido”, inducono il portavoce del Dipartimento di Stato americano a dimettersi dall’incarico [http://www.guardian.co.uk/world/2011/mar/13/pj-crowley-resigns-bradley-manning-remarks], ma costringono, anche, uno sconcertato Obama, in piena campagna elettorale, a prendere le difese del Pentagono, in una conferenza stampa della Casa Bianca.

Il 14 marzo 2011, un editoriale del quotidiano americano, The New York Times [http://www.nytimes.com/2011/03/15/opinion/15tue3.html?_r=0], critica, aspramente, il trattamento inflitto a Bradley

Nell’aprile del 2011, The New York Review of Books pubblica un documento redatto da due esperti di diritto Bruce Arnold Ackerman [Yale Law School] e Yochai Benkler [Harvard Law School], firmato da circa 300 accademici statunitensi in favore di Bradley, [http://www.nybooks.com/articles/archives/2011/apr/28/private-mannings-humiliation/], che definisce il trattamento carcerario di Bradley una violazione della Costituzione degli Stati Uniti, all’Ottavo Emendamento:

Non si dovranno esigere cauzioni eccessivamente onerose, né imporre ammende altrettanto onerose, né infliggere pene crudeli e inconsuete.”

e al Quinto Emendamento:

“Nessuno sarà tenuto a rispondere di un reato che comporti la pena capitale, o comunque infamante, se non per denuncia o accusa fatta da una grande giuria, a meno che il reato non sia compiuto da individui appartenenti alle forze di terra o di mare, o alla milizia, quando questa si trovi in servizio attivo, in tempo di guerra o di pericolo pubblico; né alcuno potrà essere sottoposto due volte, per un medesimo delitto, a un procedimento che comprometta la vita o la sua integrità fisica; né potrà essere obbligato, in una qualsiasi causa penale, a deporre contro se medesimo, né potrà essere privato della vita, della libertà o della proprietà, se non in seguito a regolare procedimento legale; e nessuna proprietà potrà essere destinata a un uso pubblico, senza un giusto indennizzo.”

Il documento ricorda che Barack Obama è stato professore di diritto costituzionale alla Law School di Chicago e ha adottato una posizione morale sulla scena politica, che è contraddetta dal suo comportamento come comandante in capo dell’esercito.

“La questione ora è se la sua condotta di comandante in capo sia conforme alle norme fondamentali della decenza.”

Il 4 giugno 2011, Bradley viene trasferito a Fort Leavenworth, nel Kansas [http://www.bradleymanning.org/news/veterans-and-supporters-rally-for-bradley-at-fort-leavenworth].

WikiLeaks protegge l’anonimato della fonte, ma Bradley, facendo uso di un handle, bradass87, ha confidato, in chat, a un hacker, una star negli ambienti dei pirati informatici, Adrian Lamo, anch’egli attivista della causa omosessuale, di essere stato lui a passare le informazioni riservate. Un traditore per la comunità dei pirati informatici, che non hanno digerito il fatto che abbia consegnato Bradley alle autorità americane.

“Had I done nothing, I would always have been left wondering whether the hundreds of thousands of documents that had been leaked to unknown third parties would end up costing lives, either directly or indirectly.”,

confida Lamo, il 15 dicembre 2011, al quotidiano britannico The Guardian [http://www.guardian.co.uk/world/2011/dec/15/hacker-adrian-lamo-bradley-manning-wikileaks], raccontando la sua versione dei fatti e facendo capire che la sorte delle forze armate sia più importante di quella di Bradley. 

Nel marzo del 2012, il Relatore Speciale dell’ONU sulla tortura, l’argentino Juan E. Méndez, accusa, formalmente, gli Stati Uniti di trattamento crudele, disumano e degradante per la forma di detenzione inflitta a Bradley [http://www.lapresse.it/mondo/europa/wikileaks-onu-usa-hanno-violato-leggi-tortura-con-soldato-manning-1.20916]. Secondo Juan E. Méndez, che ha subito la tortura, durante la dittatura militare di Jorge Rafael Videla Ridondo, e ha dedicato buona parte della sua vita a combattere questo flagello, si può parlare di tortura, quando vi è l’intenzione esplicita di provocare sofferenza e dolore acuto, compresi i trattamenti disumani, come condizioni di detenzione degradanti.

Nel maggio del 2012, iniziano le udienze preliminari del processo [http://www.rollingstonemagazine.it/musica/news-musica/omaggio-a-bradley-manning-canta-cass-mccombs/]. Alle udienze non si possono fare video, registrazioni, foto o interviste a Bradley, ma, il 12 marzo 2013, la Freedom of The Press Foundation riceve l’audio della dichiarazione che Bradley ha fatto in aula, il 28 febbraio dello stesso anno [https://pressfreedomfoundation.org/blog/2013/03/fpf-publishes-leaked-audio-of-bradley-mannings-statement, https://soundcloud.com/buzzfeed/bradley-mannings-full, http://www.bradleymanning.org/news/audio-recording-of-bradley-mannings-statement-leaked].

Per la prima volta, dal suo arresto, si sente la sua voce!

 In questa testimonianza, Bradley Edward Manning sostiene di avere fatto uscire i cablogrammi diplomatici per “aprire un dibattito sul ruolo dell’esercito” e sulle guerre in Iraq e in Afghanistan. Spiega, inoltre, di essere rimasto, profondamente, sconvolto da un video del luglio del 2007, che mostra un attacco da parte di un elicottero Apache contro dei civili non armati a Baghdad. Il video mostra anche che, contrariamente ai dinieghi dell’esercito, un fotografo della Reuters e il suo autista erano stati, scientemente, uccisi nell’attacco [http://www.youtube.com/watch?v=5rXPrfnU3G0].

Accusa l’esercito americano di non dare valore alla vita umana e paragona i soldati a “un bambino che tortura le formiche con la lente di ingrandimento” [http://rt.com/usa/manning-trial-recording-leak-177/].

Il primo marzo del 2013, The Guardian pubblica la trascrizione della deposizione di Bradley [http://www.guardian.co.uk/world/2013/mar/01/bradley-manning-wikileaks-statement-full-text, http://www.bradleymanning.org/news/bradley-mannings-statement-taking-responsibility-for-releasing-documents-to-wikileaks].

Bradley riconosce di aver trasmesso informazioni riservate a WikiLeaks, ma solo dal gennaio del 2010, contrariamente a quanto asserito dall’accusa, e, per questo reato, il massimo della pena prevista è 10 anni di carcere. Riconosce, anche, la propria responsabilità per altri 9 capi di accusa su 22 che gli sono imputati. Per questi 10 reati potrebbe incorrere in 20 anni di carcere [http://www.guardian.co.uk/world/2013/feb/28/bradley-manning-pleads-aiding-enemy-trial]. Ma l’accusa vuole che Bradley sia condannato anche per “collusione con  il nemico”, vale a dire Al-Qaida.

E, in questo caso, la pena prevista è l’ergastolo.

I procuratori militari chiamano a testimoniare 141 persone, che sfilano fino alla fine di agosto, e tentano di provare che Bradley ha agito in complicità con Julian Assange. È questa pretesa collaborazione con WikiLeaks, che potrebbe valere a Bradley l’accusa di “collusione con il nemico” e la condanna all’ergastolo. Secondo il procuratore militare Ashden Fein, Bradley avrebbe, “sistematicamente e indiscriminatamente”, raccolto documenti riservati per metterli in rete, con la consapevolezza di favorire “il nostro nemico”, Al-Qaida, che utilizzava quel sito.

Nella prima giornata di dibattimento, l’accusa, rappresentata dal capitano Joe Morrow, in poco meno di un’ora cerca, deliberatamente, di screditare Bradley. Il capitano Morrow sostiene che Bradley sarebbe entrato in contatto con WikiLeaks, poco dopo il suo arrivo a Bagdad, nel novembre del 2009, fornendo materiale classificato, nonostante avesse letto un rapporto della CIA, nel quale si riferiva che “i nemici degli Stati Uniti” avrebbero potuto trarre vantaggio dall’attività di WikiLeaks. Morrow asserisce che i documenti pubblicati da WikiLeaks sarebbero stati esaminati dai vertici di Al-Qaeda, tra cui lo stesso Osama bin Laden, il quale era in possesso di una copia in formato digitale. Questa affermazione sarebbe basata sui rilevamenti effettuati dai componenti del commando americano che liquidò il leader di Al-Qaeda, nel suo bunker di Abbottabad, in Pakistan, il 2 maggio 2011, alcuni dei quali dovrebbero testimoniare al processo contro Bradley, senza rivelare la propria identità e senza essere controinterrogati dalla difesa. Nel corso di una udienza preliminare, il colonnello e giudice Denise Lind apre, infatti, all’accusa la possibilità di presentare tra i testimoni anche uno dei membri del commando, per confermare in aula che, nella cache del computer dello Sceicco del terrore, erano state trovate informazioni, tratte, proprio, dai documenti trafugati da Bradley. Si concretizza, così, il peggiore incubo della difesa di Bradley, che ha, sempre, contestato e ostacolato la testimonianza di “John Doe”, il classico pseudonimo, sotto il quale si cela l’identità del militare.

Il secondo giorno di processo inizia con la testimonianza del trentaduenne hacker Adrian Lamo, il suo delatore, che dichiara che Bradley “voleva che la gente vedesse la verità”. Anche se i due uomini non si sono, mai, incontrati, Bradley si era aperto con lui, perché aveva bisogno “dell’aiuto di qualcuno di fiducia” in quella base americana, in Iraq, dove “si sentiva disperato”, come “un’anima spezzata” in balia “di una lotta interiore a causa del suo problema di identità sessuale”. Le loro conversazioni in chat avvengono tra il 20 e il 26 maggio del 2010, giorno dell’arresto di Bradley. Il procuratore militare Ashden Fein riesce a far confessare a Lamo che Bradley asseriva di conoscere Julian Assange. Ma aggiunge, anche, che Bradley non ha, mai, “detto una parola contro gli Stati Uniti” né sul suo “desiderio di aiutare il nemico”.

Il 21 agosto 2013, il giudice Denise Lind, condanna Manning a 35 anni di prigione per 20 dei 22 capi di accusa di cui è imputata ma l’assolve dall’accusa più grave, di connivenza con il nemico.

Il 17 gennaio 2017, in uno dei suoi ultimi giorni alla Casa Bianca, Barack Obama le concede una riduzione della pena e, il 17 maggio 2017, Manning esce di prigione.

Dopo aver presentato la sua candidatura come democratica al Senato del Maryland, Chelsea Manning riprende la vita nelle sue mani, come ha detto alla conferenza hacker HOPE che si è tenuta a New York nel luglio dello stesso anno.

Per poco!

L’8 marzo 2019, un Giudice Distrettuale degli Stati Uniti la rimanda in prigione in quanto non vuole testimoniare contro Julian Assange nel processo a WikiLeaks, sostenendo che quello che sapeva l’ha, già, detto nel 2013.

Dopo essere stata scarcerata per via della scadenza del termine dell’inchiesta del Gran Giurì, il 16 maggio 2019, un nuovo Giudice Distrettuale le ordina di tornare in prigione fino a quando non accetterà di testimoniare o scadrà il mandato del Gran Giurì. Oltre a ciò se Manning dovesse continuare a rifiutarsi di testimoniare, dopo 30 giorni dovrà pagare una multa di 500 dollari al giorno e di mille al giorno dopo i 60 giorni.

Il processo a carico di Manning è stato utilizzato dal Governo americano per impartire una lezione inequivocabile a chiunque intenda mettere in piazza “i panni sporchi di famiglia”, ricorrendo a una serie di misure pseudo-legali per ottenere una condanna esemplare.

Ma, se il Governo americano si accanisce, con tanta determinazione, contro i cosiddetti whistleblowers, come Bradley Edward Manning, perché non si accanisce, con altrettanta determinazione, contro il Premio Pulitzer Robert Woodward, che è stato una delle firme di punta del quotidiano statunitense The Washington Post e che ha svelato, a più riprese, informazioni ben più segrete e sensibili?

È l’interrogativo che si è posto Glenn Greenwald, sul quotidiano inglese The Guardian, in un appassionato e appassionante articolo sulle possibili implicazioni del processo militare di Manning. Greenwald spiega il problema che pone questo genere di processo contro le fonti di WikiLeaks:

“Se qualcuno può essere perseguito per aver “cooperato” o aver “comunicato” con il nemico, perché ha passato informazioni a WikiLeaks, allora per quale ragione una persona che fornisce informazioni ad altri media, come The New York Times, The Guardian o ABC News non incorre nello stesso reato?” 

I media erano, evidentemente, al cuore del caso dei cablogrammi diplomatici, perché WikiLeaks si era associato a cinque giornali, Le Monde, The New York Times, The Guardian, El País, e Der Spiegel, per pubblicare i documenti segreti.

Il 5 dicembre 2012, il quotidiano statunitense The New York Times era stato, giustamente, additato da Eliza Gray, sul sito di The New Republic, per non avere inviato neppure un giornalista a coprire le audizioni preliminari, iniziate nel maggio del 2012, dopo che il giornale aveva beneficiato delle informazioni, per le quali Manning rischiava l’ergastolo:

“Se il Governo manterrà il capo di accusa più mostruoso contro Manning e lo condannerà all’ergastolo, il suo caso ridurrà al silenzio i delatori federali di ogni genere, senza i quali giornali, come  The New York Times, vedrebbero, improvvisamente, prosciugarsi la fonte di molte informazioni, che possono, potenzialmente, assicurare dei Premi Pulitzer. Per i giornalisti, i lettori e gli innamorati della democrazia, è un pensiero inquietante.” [http://newsle.com/article/0/54563825/]

La situazione è tanto più intollerabile in quanto i divulgatori di informazioni classificate non sono eguali di fronte alla legge americana. Perché, se l’Amministrazione Obama ha condotto una guerra aperta contro le “talpe” dal basso della gerarchia politica e militare, come Manning, il noto giornalista investigativo Bob Woodward, continua a diffondere segreti forniti dai più alti responsabili dell’Amministrazione, indisturbatamente, come sottolineava Michael Isikoff, su NBC News, il 18 ottobre 2010, [http://www.nbcnews.com/id/39693850/ns/us_news-security/#.UdHDXKx42ec].

Il libro di Woodward, Obama’s Wars, pubblicato nel 2010, rivela, infatti, segreti e dispute al vertice della gerarchia americana di una tale rilevanza strategica che lo stesso Osama ben Laden ne aveva consigliato la lettura agli americani, in un video del 13 settembre 2011, nel decimo anniversario dell’attentato al World Trade Center.

“Non è la rivelazione di informazioni classificate in generale che vuole punire l’amministrazione Obama. Vuole punire e scoraggiare le fughe che danno una cattiva immagine del Governo americano, riportando le sue cattive azioni. Bob Woodward è un giornalista-servitore dei responsabili del Governo americano, e le sue continue fughe  e non autorizzate di informazioni altamente segrete e sensibili servono questi responsabili e non sono, dunque, mal viste, anche se sono senza dubbio altrettanto criminali, anche di più.”

è l’amaro epilogo di Glenn Greenwald. 

 

  


 

[http://www.youtube.com/watch?v=5rXPrfnU3G0]


Collateral Murder – Wikileaks – Iraq

[http://www.youtube.com/watch?v=5rXPrfnU3G0]



WikiLeaks’ Collateral Murder: U.S. Soldier Ethan McCord

[https://www.youtube.com/watch?v=kelmEZe8whI]


An Evening with Seymour Hersh, Pulitzer Prize-Winning Journalist [https://www.youtube.com/watch?v=1GA_XFj4H10]

 

 Chain of Command: From 9-11 to Abu Ghraib

[https://www.youtube.com/watch?v=jKle7-yid24]

Seymour Hersh discusses his recent book Chain of Command: The Road from 9/11 to Abu Ghraib as well as the Bush Administration’s “war on terror”, its intelligence failures, and what he describes as the lies and obsession that led America into Iraq.

 


Stati Uniti. Dalla parte sbagliata della Storia: tutte le guerre di Colin Powell, Giuliana Sgrena, Il Manifesto, 19 ottobre 2021 [https://ristretti.org/index.php?option=com_content&view=article&id=104583:stati-uniti-dalla-parte-sbagliata-della-storia-tutte-le-guerre-di-colin-powell&Itemid=1].


FIRENZE – Duello tra neocon USA e Massimo D’Alema, ieri in Palazzo Vecchio. I due americani sono un consigliere di Bush, Richard Perle, e lo studioso di politica internazionale Michael Ledeen, ambedue convinti ispiratori della guerra in Iraq. Con quest’ultimo che arriva a sostenere che “l’ONU è la più grossa organizzazione criminale al mondo, rafforzare l’ONU è come dire rafforzare la mafia.” Il dibattito è innanzitutto sull’Iraq. “Spero che Italia e Europa si muovano con gli USA. Ma per ora non ho visto molti aiuti da parte dell’Europa.”, dice Perle. A D’Alema che concorda sull’obiettivo di esportare la democrazia nel mondo ma sostiene che non lo si fa con le armi e che “l’uso della forza può essere legittimo solo in alcune circostanze, come in caso di genocidi o massacri, ma non lo è stato in Iraq dove ha prodotto un solo beneficio, la cacciata di Saddam, e molti costi in termini di perdita di vite umane, di estensione del terrorismo, di perdita di autorità morale da parte dei Governi occidentali che hanno mentito all’opinione pubblica.”, Ledeen ribatte: “Prima di dire che la politica estera USA è aggressiva, ricordatevi che il fascismo è nato in Europa e che, se i giapponesi non ci avessero attaccato, oggi in questo salone si parlerebbe tedesco.” Niente critiche alla politica di Bush. Quelle sulle armi di distruzione di massa e sui rapporti dell’Iraq con Al Queda “non erano bugie come dice D’Alema, ma solo intelligence e giudizi non accurati.”, spiega Perle. Gli USA si muovono secondo il loro arbitrio di grande potenza? Colpa degli altri che non agiscono. Inutile che D’Alema lanci una possibilità: “Europa e USA hanno un interesse comune a rafforzare le istituzioni internazionali: la governance globale non consiste solo nella lotta al terrorismo che è tanto più efficace quanto più si affrontano le altre sfide globali, la povertà, le differenze tra Nord e Sud del Mondo, lo sfruttamento delle risorse del pianeta.” Ed è qui che Leeden ribatte: “L’ONU è la più grande organizzazione criminale di oggi, rafforzarla equivarrebbe a rafforzare la mafia.” Il Presidente dei DS perde la pazienza: “Non l’accetto. L’ONU, che ha anche fatto errori e conosciuto scandali. Ma il suo ruolo è stato prezioso per la costruzione della pace e della democrazia. Far funzionare le Nazioni Unite dovrebbe essere il primo tema nell’agenda delle relazioni Europa-USA”. [Ilaria Ciuti, ONU, organizzazione criminale, A Firenze neo-con USA all’attacco, la Repubblica, 12 novembre 2005, [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/11/12/onu-organizzazione-criminale-firenze-neo-con-usa-all.html]

Il 12 novembre 2005, l’attacco mosso alle Nazioni Unite dai neoconservatori americani Michael Leeden e Richard Perle – per i quali l’Italia e l’Europa si dovevano allineare agli Stati Uniti d’America senza discutere – diviene il titolo di un articolo apparso su la Repubblica, lo stesso giorno: ONU, organizzazione criminale.

Questa definizione sprezzante è il preludio di una nuova guerra preventiva che George W. Bush, su imput di Dick Cheney, intende scatenare contro un altro dei Paesi inclusi nell’Asse del Male: l’Iran.

Il peana viene intonato, nel corso del Convegno su Globalizzazione, lotta al terrorismo, una diversa concezione per il ripristino della democrazia a livello internazionale tra Europa e Stati Uniti [http://www.regioni.it/dalleregioni/2005/11/11/toscana-europa-usa-martinisforzo-comune-per-capire-il-mondo-198600/], organizzato dall’Associazione Eunomia e tenuto, a Firenze, nel Salone de’ Cinquecento a Palazzo Vecchio nell’ambito del master in alta formazione politico-istituzionale, cui partecipano, il Presidente della Regione Toscana, Claudio Martini; Massimo D’Alema, Presidente dei DS; Richard Perle, consigliere di George W. Bush per la politica estera e la difesa; Michael Ledeen, esperto di politica internazionale; Alessandro Pizzorno, studioso di fama internazionale e docente dell’Istituto Universitario Europeo di Fiesole; il sindaco di Firenze, Leonardo Domenici e il Presidente della Provincia di Firenze, Matteo Renzi.

Agli interventi di Perle e Leeden – i due uomini più influenti della politica americana, compartecipi della congiura del Nigergate, l’inganno che aveva preparato la guerra contro l’Iraq, e sostenitori della necessità della guerra all’Iran –  viene dato un notevole risalto.

Scarso rilievo riscuote, invece, la critica di D’Alema.

Come ha scritto Chalmers Johnson, occorre fabbricare nuovi nemici, classificando alcuni Paesi come sostenitori di terrorismo o come ironizzava Gore Vidal occorre “creare un club del nemico del mese”.

Ma chi sono Michael Ledeen e Richard Perle?  

Michael Ledeen è noto, anche in Italia, per i contatti con la P2.

Richard Perle, noto con il significativo soprannome di the Prince of Darkness [https://www.c-span.org/video/?202478-1/prince-darkness-richard-perle] è, insieme a Paul Wolfowitz e ad Ari Fleischer, l’ispiratore e il responsabile della strategia della guerra preventiva.

Il 17 marzo 2003, Seymour Hersh, in un articolo pubblicato su The New Yorker, Lunch With the Chairman [https://www.newyorker.com/magazine/2003/03/17/lunch-with-the-chairman], mette luce sul fatto che Perle sia coinvolto in questioni di interesse che trarrebbero profitto da una eventuale guerra in Iraq. L’inchiesta di Hersh, descrive il ruolo di Perle, come uno dei più importanti soci di un azienda specializzata in capitali di rischio, la Trireme Partners LP. Compito principale di questa ditta è investire in aziende riguardanti tecnologie, beni e servizi importanti per la sicurezza nazionale e la difesa. Poche settimane dopo la pubblicazione dell’articolo firmato da Hersh, Perle rassegna le sue dimissioni dal Defense Policy Board.

Tre giorni dopo, sul New York Times, Stephen Labaton fornisce le prove della partecipazione di Perle alla Global Crossing [https://www.nytimes.com/2003/03/25/business/inquiry-is-urged-into-role-played-by-adviser-to-us.html], il gigante delle comunicazioni attraverso fibra ottica che ha dichiarato bancarotta. Secondo il cronista, Perle stava vendendo le sue partecipazioni in tutta fretta, prima del crollo della Global alla Hutchison Whampoa Ltd: una vendita che avrebbe fruttato 725mila dollari, 600mila dei quali dipendenti dal ruolo di Perle al Pentagono.

Bisogna fare attenzione ad attaccare Perle o si rischia l’accusa di antisemitismo, avverte Eric Alterman, il 20 marzo 2003, su The Nation [https://www.thenation.com/article/perle-interrupted/].

Il 7 marzo 2006, in una intervista al Corriere della Sera, in risposta allo sforzo dell’ONU, per un’intesa con l’Iran, Perle afferma:

WASHINGTON — La linea morbida con Teheran è perdente, e probabilmente nei prossimi tempi l’America e alcuni alleati dovranno bombardare gli impianti nucleari iraniani, solo un colpo di scena potrà evitarlo. L’interrogativo è: quanto attenderà l’Occidente, e come impiegherà al meglio l’attesa? Per adesso, ha un percorso obbligato, l’ONU, ma è difficile che il Consiglio di Sicurezza riesca a piegare Teheran.

Così dice Richard Perle, l’ex-Sottosegretario alla Difesa del Presidente Ronald Reagan, architetto del disarmo atomico delle superpotenze.
Perle, uno degli ideologi della guerra dell’Iraq, oggi consulente del Pentagono, è scettico sulle prospettive di successo della diplomazia, “a causa dell’intransigenza iraniana”. “L’unica consolazione — rileva — è che non dobbiamo decidere subito se ricorrere a mezzi drastici. Ma non dobbiamo procrastinare troppo.”

Sfiducia nell’ONU? E nella Russia?

“La mediazione russa è impossibile da valutare. Riservo il mio giudizio, ma bisogna che dia risultati tangibili. La rinuncia a trattare il materiale nucleare non basta, Teheran dovrà anche smantellare le sue centrifughe. Inoltre, occorreranno rigide ispezioni sia in Russia, sia in Iran. Come diceva Reagan della riduzione degli arsenali nucleari: fidati, ma controlla.”

Ma la Russia non è un alleato?

“C’è un’involuzione in Russia, il potere è nelle mani di ex-agenti del KGB, la polizia segreta sovietica, che non si sono rassegnati alla sconfitta nella Guerra Fredda. Siamo realisti: quella russa potrebbe essere la carta vincente, ma è gente che non sempre fa una politica a noi favorevole.”

Non crede che Mosca appoggerebbe sanzioni contro l’Iran?

“All’ONU? Ne dubito, anche se non si può mai dire. E in ogni caso, non penso che l’Iran cederebbe alle sanzioni. Il regime iraniano vuole l’atomica, ma l’Occidente non glielo può consentire, perché, come dice il Presidente Ahmadinejad, ambisce alla distruzione di Israele e a un mondo senza gli Stati Uniti, è cioè una minaccia per tutti.”

Quale è l’opzione militare americana?

“Tutti sperano ancora di non usarla, tutti auspicano che la situazione cambi. Ma potremmo eliminare gli impianti nucleari iraniani in una sola notte, con una pioggia di missili e con un bombardamento a tappeto dei B2, gli aerei cosiddetti invisibili perché sfuggono ai radar. Teheran non sarebbe in grado di difendersi, e scoprirebbe il blitz solo a cose fatte. Conosciamo bene i bersagli e abbiamo le armi necessarie per ridurli in cenere.”

Ma non spacchereste in due l’Occidente, non allontanereste definitivamente il mondo musulmano?

“Sia in Occidente sia tra i Paesi arabi la maggioranza ha paura dell’Iran, e starebbe dalla nostra parte, chi di nascosto per ragioni politiche, chi apertamente. Ritengo anzi che qualche Paese dotato di B2 come noi parteciperebbe al blitz, mentre altri ci fornirebbero supporto logistico. Teniamo presente che molti collaborano già all’intelligence sull’Iran, il consenso è molto vasto.”

Pensa che Israele potrebbe attaccare Teheran?

“Sono convinto che se Israele arrivasse alla conclusione che non c’è più alternativa all’azione militare, ci arriveremmo anche noi. Israele non compirà passi falsi. Ripeto, nessuno prepara ancora il ricorso alla forza, e sarebbe una fortuna se, avvicinandosene il momento, l’Iran cedesse.”

Il Pakistan ha l’atomica: cosa accadrebbe se i radicali islamici andassero al potere?

“La situazione in Pakistan è molto pericolosa, ma non si possono fare ipotesi. Il Presidente Musharraf è appoggiato dai militari ma non da tutti. Però non è l’unico in grado di mantenere l’ordine. Esistono troppi scenari possibili, preghiamo che emergano quelli positivi.” [Ennio Caretto, La via diplomatica fallirà, Siamo già pronti all’attacco, Corriere della Sera, 7 marzo 2006, http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=15699&print=preview].

   

Dall’alto a sinistra: Paul Wolfovitz, William Kristol, Richard Perle, Douglas Feith, Scooter Libby, John Bolton e Michael Ledeen.

“The neoconservatives were the driving force in the George W. Bush administration’s war on Iraq… Not by happenstance, the targeted regimes were staunch enemies of Israel, and included Iraq, Iran, Syria, and even Saudi Arabia…”

Stephen J. Sniegoski, The Neoconservatives, the War on Iraq, and the National Interest of Israel, The Council for the National Interest, 23 agosto 2016, https://cnionline.org/the-neoconservatives-the-war-on-iraq-and-the-national-interest-of-israel/]

Nel 1974, lo Shah Mohammad Reza Pahlavi aveva contrattato con gli Stati Uniti e la Francia un ambizioso programma nucleare e l’Iran era entrato con il 10% di capitale nel Consorzio Eurodif di arricchimento dell’uranio, ma le pretese egemoniche avevano reso lo Shah scomodo a Washington, che, insieme a Parigi, ne preparò il rovesciamento.

Fu, allora, che la CIA scelse di giocare la carta dell’Islamismo radicale dei Mollah contro il comunismo e le correnti laiche alleate dell’Unione Sovietica.

Subito dopo la firma degli Accordi di Camp David, Ruhollah Mostafavi Mosavi Khomeyni, allora un oscuro personaggio, fu portato a Parigi per venire formato e lanciato politicamente, ma l’illusione di Jimmy Carter di poterlo controllare e manovrare durò poco: si aprì, così, uno dei decenni più convulsi e intricati del dopoguerra.

Dalla vicenda degli ostaggi americani del 1979, come pressione di Tehran per la ripresa delle forniture militari e del programma nucleare, alla disastrosa operazione per liberarli, che segnò la fine di Carter, all’Irangate, alla Guerra Iran-Iraq voluta da Washington, alla terribile serie di attentati della Jihad, che, dal 1984 al 1990, ebbe come retroscena il rispetto da parte della Francia dei precedenti accordi nucleari, la questione nucleare rivestì un ruolo centrale.

Come aveva giocato Ronald Reagan contro Carter, Khomeyni giocò, poi, Jacques Chirac contro François Mitterand, finché, nel 1991, la Francia sottoscrisse l’accordo che confermava l’azionariato dell’Iran in Eurodif e il diritto di ritirare la quota corrispondente di uranio arricchito.

Quello che vale la pena di rilevare è come la Casa Bianca abbia voluto la prosecuzione del programma nucleare di un Paese che, al tempo stesso, denuncia come appartenente all’Asse del Male. La versione ufficiale, secondo la quale, dal 1979, gli Stati Uniti hanno interrotto ogni commercio nucleare con l’Iran, non è che una grande impostura.

Washington non poteva, certo, proseguirlo alla luce del sole, e, oramai, anche la Francia era nel mirino, così, lo fece attraverso la Cina – che, come la Francia, aveva aderito, nel 1992, al National Toxicology Program [NTP] – e Mosca.

Riprendendo la costruzione della Centrale di Busher, la Russia, sostituitasi alla Germania, prima di nascondersi dietro l’Argentina e, poi, di tentare di passare attraverso la Repubblica Ceca, aveva operato per conto degli Stati Uniti, che si fingevano preoccupati per la collaborazione nucleare di Mosca con Tehran.

Nel 1990, Chirac eseguì dei tests anche per conto degli Stati Uniti, con i quali aveva appena stipulato un accordo riservato di scambio di dati per sperimentare una carica nucleare a potenza variabile.

Alcuni tests dell’India, nel 1998, vennero eseguiti per conto di Israele e alcuni tests del Pakistan, che, in realtà, possedeva la bomba, già, dalla fine degli Anni Settanta, erano fatti per conto dell’Iran.

Appare veramente complesso sbrogliare l’intricatissima matassa dei reali interessi economici, strategici e geopolitici, dietro la cortina fumogena abilmente sollevata e mantenuta, con innumerevoli complicità, sull’opinione pubblica.  

  

Baghdad, 14 dicembre 2008: Man Throws Shoes At Bush

“CBS News RAW:” At a press conference in Baghdad with Prime Minister Nouri al-Maliki, President Bush got a reminder of the fervent opposition to his policies when a man threw two shoes at his head [https://www.youtube.com/watch?v=_RFH7C3vkK4].


Richard Falk, Kuala Lumpur tribunal: Bush and Blair guilty, A war crimes tribunal in Malaysia offers a devasting critique of international criminal law institutions today, Al Jazeera, 28 novembre 2011 [https://www.aljazeera.com/opinions/2011/11/28/kuala-lumpur-tribunal-bush-and-blair-guilty].

 

Ora, io mi domando, ma necessariamente difetto della sensibilità americana, se un “revival” dell’uso del termine “patriottico” non sia stato scelto proprio per mascherare la reintroduzione di una buona dose di nazionalismo nel dibattito statunitense. In Italia, vi è una grande differenza tra patriottismo e nazionalismo. Ebbene, sappiamo per esperienza dolorosa, e ancora più dolorosa per alcuni, che la nascita o la rinascita del nazionalismo è, sempre, adornata dalle virtù del patriottismo.

Una così grande mancanza di vigilanza e di coscienza farebbe rivoltare Eisenhower nella tomba!

Il Popolo americano, che conta 331,9 milioni di individui e rappresenta meno del 5% della popolazione mondiale, non si è mai posto la domanda perché si spenda per il suo esercito e per la sua sicurezza quanto se non di più del resto del mondo?

Ironia della Storia, il cinquantesimo anniversario del celebre monito di Eisenhower ha coinciso con l’adozione da parte dei rappresentanti del Popolo americano di un budget militare record: 735 miliardi di dollari, il cui principale beneficiario non è stato altri che il complesso militare-industriale. Se si aggiungono a questo budget del Pentagono quelli dei Dipartimenti della Sicurezza Interna, dell’Energia e degli Affari dei Veterani, il budget totale per la difesa e la sicurezza sale a 861 miliardi di dollari, per l’anno fiscale 2011, superando di gran lunga quello che spendeva il resto del Mondo in questi settori.

Il Popolo americano, che conta 331,9 milioni di individui e rappresenta meno del 5% della popolazione mondiale,  non si è, mai, posto neppure la domanda perché occorrano 642 basi militari, disseminate in 76 Paesi, dal momento che l’America è il Paese meglio protetto del Mondo, e non solo da un potente esercito e da una competitiva difesa antiaerea, ma soprattutto da due immensi oceani, capaci di scoraggiare, da soli, qualsiasi nemico tentasse di attraversarli per invaderlo?

Anche in questo caso, il principale beneficiario della disseminazione e della moltiplicazione delle basi americane attraverso il mondo è il complesso militare-industriale, da cui aveva messo in guardia Eisenhower, sessantadue anni fa. La corsa all’armamento nucleare e convenzionale, imposto dagli Stati Uniti ai loro rivali della Guerra Fredda, le politiche aggressive condotte da Washington in Vietnam, in Medio Oriente e in America Latina e la “guerra globale contro il terrorismo” possono essere comprese solo attraverso l’“influenza ingiustificata” del complesso militare-industriale, il cui unico interesse si limita al numero di contratti ottenuti e al calcolo della percentuale relativa all’incremento annuale del numero di affari.

Fino a quando continuerà?

Fino alla levazione di quella “cittadinanza vigile e accorta”?

Se mai si leverà, un giorno!

Gli ultimi anni del Diciannovesimo Secolo sono stati illuminati da una proposta meravigliosa che, poi, fu lasciata cadere completamente in oblio.

Il 29 agosto 1898, lo Zar Nicola II invitò gli Stati Uniti a incontrarsi per una conferenza destinata a garantire la pace tra le Nazioni e a mettere fine all’incessante aumento degli armamenti che impoverivano l’Europa. Il messaggio del sovrano iniziava così:

“Il mantenimento della pace generale e una eventuale riduzione degli armamenti eccessivi, il cui peso grava tutto sui Popoli, sono evidentemente, nelle attuali condizioni del mondo intero, l’ideale verso il quale tutti i Governi dovrebbero tendere i loro sforzi.”

La giovane Regina olandese Guglielmina propose l’Aia come sede e mise a disposizione della conferenza la residenza estiva della famiglia reale, Huis ten Bosh [Casa nei Boschi]. I lavori della conferenza, alla quale parteciparono i delegati di ventisei Stati e Imperi, che governavano la grande maggioranza del territorio mondiale, si aprirono, il 18 maggio 1899, giorno del compleanno dello Zar, sotto la presidenza del barone russo Egor Egorovic Staal. Grandissime, certo, le difficoltà per giungere a un accordo, ma non insuperabili a prima vista. Una piccola discussione tra il Primo Ministro britannico Lord Salisbury e il Segretario di Stato americano Richard Olney mise in luce quale sarebbe stato il punto nevralgico della discussione.

Che cosa sarebbe accaduto se, nonostante la riprovazione da parte del congresso di questa o di quella guerra, una o più Nazioni avessero aperto le ostilità?

Come dare al congresso il potere di far rispettare le sue deliberazioni?

Il dibattito durò più di due mesi e si concluse il 29 luglio 1899, ma l’accordo sul disarmo, principale obiettivo della riunione, non venne raggiunto. Quel programma di pace universale e l’iniziativa di quella conferenza fanno vedere, sotto una luce orrenda, il massacro dello Zar e della sua famiglia, compiuto, più tardi, dai suoi sudditi in rivolta.

 

Presidente Giorgia Meloni,

Papa Francesco, nella sua lettera Enciclica Fratelli tutti [2020], ha espresso la sua preoccupazione per la sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza, riportando al centro del dibattito culturale il significato e il senso dell’economia, parola che cita quindici volte, attraverso uno stile diretto e senza troppe circonlocuzioni:

“[…] La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana. Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il Mondo. […]” [Stefania Falasca, Enciclica. “Fratelli tutti”: la chiave di volta della fraternità universale/TESTO, Avvenire, domenica 4 ottobre 2020, https://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-tutti.html]

La rinuncia alla politica di fronte alle esigenze dell’economia e del mercato è uno dei mali politici attuali per Papa Francesco, che, il 6 maggio 2016, in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno “per l’incoraggiamento e i messaggi pieni di speranza per la pace e una convivenza pacifica in un’Europa forte”, confidava il suo sogno per l’Europa:

“[…] Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia. Grazie.” [Conferimento del Premio Carlo Magno, Discorso del Santo Padre Francesco, Sala Regia, venerdì 6 maggio 2016, https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/may/documents/papa-francesco_20160506_premio-carlo-magno.html]

Ma sto divagando...

Non sono qui per tediarLa sui miei sentimenti nei confronti del panorama politico.

Probabilmente, Lei lo conosce anche meglio di me.

 

Presidente Giorgia Meloni,

Il 20 dicembre 1993, l’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, “riconoscendo il bisogno urgente di una universale applicazione alle donne dei diritti e dei principi con riguardo all’uguaglianza, alla sicurezza, alla libertà, all’integrità e alla dignità di tutte le persone umane”, ha adottato la Risoluzione 48/104 sull’eliminazione della violenza contro le donne [https://unipd-centrodirittiumani.it/it/strumenti_internazionali/Dichiarazione-sulleliminazione-della-violenza-contro-le-donne-1993/27] e, per la prima volta, forniva una definizione ampia della violenza contro le donne:

“È  violenza contro le donne ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata.” [https://www.onuitalia.it/giornata-internazionale-per-leliminazione-della-violenza-contro-le-donne-25-novembre-2/ https://www.interno.gov.it/it/temi/sicurezza/violenza-genere]

Intervenendo,  l’8 marzo scorso, al Policlinico Tor Vergata per la presentazione di una rete interistituzionale, NetWork- Insieme contro ogni forma di violenza, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, il Ministro della Salute Orazio Schillaci rimarcava:

“In Italia i dati ISTAT dimostrano che il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni nel corso della sua vita ha subito una forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici. Secondo i dati relativi agli accessi in Pronto Soccorso, con diagnosi di violenza, rilevati dal sistema informativo per il monitoraggio dell’assistenza in Emergenza-Urgenza [Emur], negli anni si è registrato un numero crescente di accessi di donne che avevano subito violenza che andavano da 3.300 circa nel 2014 a oltre 7.600 nel 2010. E in seguito, malgrado l’impatto dell’emergenza pandemica sull’accessibilità ai servizi ospedalieri, compresi quelli di emergenza-urgenza, l’incidenza degli accessi di donne con diagnosi di violenza è continuato a crescere, passando da 9,1 per 10mila accessi totali nel 2020 a 9,3 nel 2021.” [https://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=111832, https://www.istat.it/it/archivio/violenza]

 

Emergenza sicurezza: cosa rischia una ragazza sola a Milano di notte [https://www.iene.mediaset.it/video/emergenza-sicurezza-rischia-una-ragazza-sola-milano-notte_1269504.shtml]

 

 
Ministro Piantedosi a Milano: “Emergenza sicurezza? Reati in calo del 39%”

 

 

“Solo qualche giorno fa Matteo Piantedosi asseriva che a Milano non c’era nessuna emergenza. E ciò mi aveva rassicurato. Tuttavia, nel frattempo a Milano si sarebbe consumata l’ennesima violenza sessuale a danno di una donna sola e indifesa. Pare che un cittadino – inizialmente identificato come del Gambia, poi si è scoperto essere un statunitense – è stato arrestato a Milano per violenza sessuale. Il soggetto avrebbe aggredito violentemente una quarantenne che stava facendo rientro a casa: l’avrebbe colpita con pugni strappandole persino i vestiti. Per fortuna le urla della donna e l’aiuto di un vicino di casa hanno portato al fermo dell’energumeno.

L’altro giorno a Milano e l’altra notte ad Anzio, dove una 19enne è stata violentata da uno sconosciuto mentre rientrava a piedi a casa. E oggi si scopre l’autore di una brutale aggressione – avvenuta a marzo – a Genova, ove lo stupratore ha usato immane violenza a tal punto da far temere per la vita della giovane donna ucraina aggredita. E domani, dove avverrà l’ennesimo stupro di una donna?

Ministro Piantedosi, per favore non dica che a Milano e nell’intero Paese non esiste emergenza criminale verso le donne. Il problema esiste, eccome se esiste, ma lei evidentemente per certificare l’emergenza usa un metro di misura diverso dal mio: un metro – il mio – usato da chi è stato per “strada” e che non ha mai occupato stanze ovattate. Negli ultimi anni – mi duole dirlo – è mancata la prevenzione sul territorio. La prevenzione era il dogma di ogni pattuglia delle Forze dell’Ordine ed era il fiore all’occhiello dei compiti istituzionali. Ormai è risaputo che quando si tenta di sminuire fatti criminosi, non si fa altro che incancrenire il problema, come sta accadendo, appunto, con le violenze sulle donne.

E a tal proposito, come esempio, vorrei qui ricordare un periodo bruttissimo di Palermo. All’inizio degli Anni Ottanta, la classe politica, compreso il Viminale, negavano qualsiasi emergenza in ordine al fenomeno mafioso. Infatti stranamente mafiosi, magistrati, poliziotti e carabinieri morivano solo di freddo. È altresì bizzarro quando si strombazza che non esiste emergenza per le morti [di giovanissimi] di incidenti stradali, quando l’Asaps [Associazione Sostenitori e Amici della Polizia Stradale] da anni lancia il grido d’allarme, soprattutto per la scarsa vigilanza dovuta alla carenza di pattuglie, nonostante l’aumento del traffico veicolare. Non vi è dubbio alcuno che il problema è di natura sociale e, quindi, occorre intervenire con azioni mirate per salvaguardare la sicurezza delle donne.

Vi è anche l’urgenza – e questo il ministro Piantedosi lo sa benissimo – di colmare il vuoto di organico a causa dei pensionamenti del personale. Io spesso registro lo “sfogo” di ex-miei colleghi, e mi duole davvero constatare quanta frustrazione emerge dai loro racconti. E per favore non si giustifichi il malessere generale delle FF.OO., dando la colpa esclusivamente ai carichi di lavoro. Sarà anche vero, però sono stati commessi degli errore per non essere stati lungimiranti nel prevedere e predisporre il turnover. Io sognavo una polizia organizzata diversamente, capace di rispondere adeguatamente ai bisogni dei cittadini. Nel 1975, con notevoli sacrifici e pericoli, ci riunivamo come carbonari nelle nostre case, per promuovere la smilitarizzazione della Pubblica Sicurezza: volevamo applicare in toto il motto: “La Polizia tra la gente”: ci credevamo davvero.

Penso che quel motto ancora oggi non sia del tutto compiuto. Anzi, la Ministra Cartabia, disponendo la querela di parte per reati contro il patrimonio, non ha fatto altro che allontanare la polizia dalla gente, atteso che per paura o per non avere “noie” le vittime rinunciano a un loro diritto. Signor Ministro Piantedosi, disponga una più ampia prevenzione del territorio, al fine di stroncare le violenze sessuali verso le donne. Le nostre forze di polizia hanno le potenzialità per incidere sul fenomeno e quindi raggiungere il primario obiettivo di garantire sicurezza non solo alle donne ma a tutti i cittadini. Ministro, nel caso faccia degli arruolamenti straordinari di agenti e carabinieri. La prevenzione del territorio è una assoluta priorità: non ha prezzo. Intanto, esamini l’opportunità di rivedere la posizione di centinaia e centinaia di agenti adibiti in inutili scorte a personaggi che a ben vedere non avrebbero più diritto ad essere scortati: li faccia rientrare in organico. Ogni donna di questo Paese ha il diritto di uscire in libertà a qualsiasi ora; ha diritto di indossare gli abiti che più le piacciano senza essere accusata di essere “provocatrice”. Argomentazione risibile, meschina e miserevole, come quando la Cassazione assolse il violentatore adducendo che: “non poteva compiere lo stupro perché la ragazza indossava i jeans”.

Infine, devo dire al Ministro Piantedosi – per quanto vale il ricordo di un ex operaio delle investigazioni – che a intervenire in un delitto odioso come lo stupro ci si sente disarmati: spesso non si trovano le parole per rincuorare la donna aggredita e stuprata. Un conto è leggerlo dalle fredde carte giudiziarie e un conto è assistere ed ascoltare la vittima. Come cenno, non ho nessuna ricetta per intervenire, ma invito il Ministro di voler esaminare l’opportunità di consentire il monitoraggio capillare delle strade e, quindi, permettere alle donne di muoversi in libertà.

Lei, Signor Ministro, è stato rapido nel far editare il decreto “rave party”, poi convertito in legge, ebbene faccia altrettanto in modo rapido: usi una corsia preferenziale per dare un forte segnale alle donne, dicendo che lo Stato c’è! Chiedo troppo?

Pippo Giordano, ex-ispettore DIA, Per Piantedosi non c’è nessuna emergenza sicurezza. Ma il numero degli stupri dice altro, il Fatto Quotidiano, 16 maggio 2023 [https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/05/16/per-piantedosi-non-ce-nessuna-emergenza-sicurezza-ma-il-numero-degli-stupri-dice-altro/7161472/].

 

[https://www.salute.gov.it/portale/donna/dettaglioContenutiDonna.jsp?id=4498&area=Salute%20donna&menu=society].
 


Dipartimento della Pubblica Sicurezza

Direzione Centrale della Polizia Criminale

8 Marzo Giornata Internazionale della Donna

Donne Vittime di Violenza

[https://www.poliziadistato.it/statics/37/dati-violenza-donne.pdf].

  

Uno strappo al vestito si può ricucire, all’Anima no!

 

Dal 9 luglio scorso, Presidente, io sono una di loro.

Io sono una del 31,5% delle 16-70enni [6 milioni 788 mila], che ha subito, nel corso della propria vita, una qualche forma di violenza fisica o sessuale.

Io sono una del 20,2% [4 milioni 353 mila] che ha subito violenza fisica.

Io sono una del 13,2% che ha subìto violenza fisica da parte di estranei e in una delle forme più gravi seppure meno frequenti come il tentato strangolamento a scopo di rapina.

  

Io canto le Donne prevaricate dai bruti

la loro sana bellezza, la loro ‘non follia’

il canto di Giulia io canto riversa su un letto

la cantilena dei Salmi, delle anime ‘mangiate’

il canto di Giulia aperto portava catene pesanti

la folgore di un codice umano disapprovato da Dio.

Canto quei pugni orrendi dati sui bianchi cristalli

il livido delle cosce, pugni in età adolescente

la pudicizia del grembo nudato per bramosia.

Canto la stalla ignuda entro cui è nato il ‘delitto’

la sfera di cristallo per una bocca ‘magata’.

Canto il seno di Bianca ormai reso vizzo dall’uomo

canto le sue gambe esigue divaricate sul letto

simile a un corpo d’uomo era il suo corpo salino

ma gravido di amore come in qualsiasi donna.

Canto Vita Bello che veniva aggredita dai bruti

buttata su un letticciolo, battuta con ferri pesanti

e tempeste d’insulti, io canto la sua non stagione

di donna vissuta all’ombra di questo grande sinistro

la sua patita misura, il caldo del suo grembo schiuso

canto la sua deflorazione su un letto di psichiatria,

canto il giovane imberbe che mi voleva salvare.

Canto i pungoli rostri di quegli spettrali infermieri

dove la mano dell’uomo fatta villosa e canina

sfiorava impunita le gote di delicate fanciulle

e le velate grazie toccate da mani villane.

Canto l’assurda violenza dell’ospedale del mare

dove la psichiatria giaceva in ceppi battuti

di tribunali di sogno, di tribunali sospetti.

Canto il sinistro ordine che ci imbrigliava la lingua

e un faro di marina che non conduceva ad un porto.

Canto il letto aderente che aveva lenzuola di garza

e il simbolo-dottore perennemente offeso

e il naso camuso e violente degli infermieri bastardi.

Canto la malagrazia del vento traverso una sbarra

canto la mia dimensione di donna strappata al suo unico amore

che impazzisce su un letto di verde fogliame di ortiche

canto la soluzione del tutto traverso un’unica strada

io canto il miserere di una straziante avventura

dove la mano scudiscio cercava gli inguini dolci.

Io canto l’impudicizia di quegli uomini rotti

alla lussuria del vento che violentava le Donne.

Io canto i mille coltelli sul grembo di Vita Bello

calati da oscuri tendoni alla mercé di Caino

e canto il mio dolore di esser fuggita al dolore

per la menzogna di vita

per via della poesia.

Canto delle Donne, Alda Merini [Testamento, 1988]

 

Presidente Giorgia Meloni,

In Europa si osserva un clima di crescente preoccupazione per l’ondata di flussi migratori provenienti dall’Est Europeo, dall’Asia e dall’Africa. Questo fenomeno, dagli Anni Ottanta, coinvolge in modo massiccio anche l’Italia in quanto meta ambita sia per la sua collocazione geografica nel Mediterraneo, sia per le caratteristiche dei confini nazionali che ne rendono complessa una corretta e costante supervisione. In forza di ciò, la criminalità organizzata autoctona ha deciso di investire molto in questo mercato strutturandosi come una vera e propria società di servizi in grado di garantire il viaggio verso il Paese desiderato. Ma non solo, la criminalità organizzata locale per aumentare i proventi derivanti da queste attività illecite ha tessuto un rete di collegamenti con le principali criminalità organizzate straniere.

 

Von der Leyen, se Italia come Ungheria abbiamo strument, ANSA, 22 settembre 2022 [https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2022/09/22/von-der-leyen-se-italia-come-ungheria-abbiamo-strumenti-_2c1171e1-4b3d-476a-9cf6-677e0a0d5f19.html].

 

Per la “cupola” di Roma l’emergenza immigrati è stata una miniera d’oro!

Lei, Presidente, si dice soddisfatta dei progressi che sul tema dell’accoglienza è riuscita a far compiere all’Unione Europea.

Il 20 giugno scorso, si è celebrata la Giornata Mondiale del Rifugiato, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 4 dicembre 2000, con la Risoluzione n. 55/76, in occasione del cinquantennale della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 [https://www.unhcr.org/it/wp-content/uploads/sites/97/2016/01/Convenzione_Ginevra_1951.pdf], la quale all’articolo 1 stabilisce la seguente definizione del termine rifugiato:

“Chi temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese, di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese.”

Il principio fondamentale su cui si basa è espresso all’articolo 33, Divieto di espulsione e di rinvio al confine:

“1. Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

2. La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del Paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto Paese.”

Attualmente sono 144 gli Stati contraenti della Convenzione di Ginevra, inclusa l’Italia, che si impegnano a non rifiutare o espellere uno straniero verso un Paese in cui la sua incolumità non può essere garantita senza aver prima esaminato la sua richiesta di protezione internazionale. Questo tipo di protezione, tuttavia, non può essere concessa qualora il richiedente sia coinvolto in una o più delle seguenti condizioni:

- sia, già, stata riconosciuta questa forma di tutela in un altro Stato;

- provenienza da uno Stato che abbia aderito alla Convenzione di Ginevra, diverso da quello di appartenenza, nel quale abbia soggiornato per un significativo lasso di tempo senza mai richiedere lo status di rifugiato;

- abbia commesso reati di crimini di guerra, contro la pace o contro l’Umanità;

- abbia commesso, fuori dal territorio italiano, un grave reato prima dell’ammissione in qualità di richiedente protezione internazionale;

- sia colpevole di atti e comportamenti incompatibili con le finalità ed i principi delle Nazioni Unite;

- sia stato condannato in Italia per reati contro la personalità e la sicurezza dello Stato, contro l’incolumità pubblica, reati quali furto, rapina, devastazione, saccheggio, vendita e traffico di sostanze stupefacenti, appartenenza a organizzazioni terroristiche o associazione mafiosa.

Si può riassumere, quindi, che questa forma di protezione internazionale non può essere concessa in assenza dei requisiti stabiliti dalla legge e, più in generale, ogni qualvolta vi siano concreti motivi per considerare lo straniero come una minaccia o un reale pericolo per la sicurezza pubblica.

Proprio in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, la Commissaria per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic non ha mancato di ammonire l’Italia:

“Sono colpita dall’allarmante livello di tolleranza nei confronti delle gravi violazioni dei diritti umani contro i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti che si è sviluppato in tutta Europa.”

“Il naufragio della scorsa settimana al largo delle coste greche è l’ennesimo avviso del fatto che, nonostante i numerosi avvertimenti, le vite delle persone in mare rimangono a rischio a causa dell’insufficiente capacità di salvataggio e coordinamento, della mancanza di rotte sicure e legali e di solidarietà e della criminalizzazione delle ONG che cercano di fornire assistenza per salvare vite.”

E, il 26 giugno scorso, al termine della sua visita in Italia, ha ribadito:

“È responsabilità dell’Italia e della nostra comune Europa fermare la tragedia umana in corso nel Mediterraneo. È giunto il momento di intraprendere azioni collettive per porre fine alla perdita di vite umane in mare, anche attraverso la condivisione delle responsabilità per un’adeguata capacità di salvataggio e il trasferimento delle persone soccorse.”

“L’Italia deve smettere di mettere in pericolo la vita e la sicurezza di rifugiati, richiedenti asilo e migranti facilitando la loro intercettazione e il loro ritorno in Libia, dove subiscono diffuse e gravi violazioni dei diritti umani. Qualsiasi attività di cooperazione con Paesi Terzi, inclusa la Tunisia, deve essere subordinata a salvaguardie complete ed efficaci dei diritti umani. In assenza di tali tutele, queste attività portano solo a maggiori sofferenze umane.” [Dunja Mijatovic, attacco all’Italia sui migranti. Fitto: “Rabbia e incredulità”, Libero Quotidiano, 26 giugno 2023, https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/36213701/dunja-mijatovic-attacco-italia-migranti-fitto-rabbia-incredulita-.html]

La Commissaria Mijatovic – già rappresentante dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione Europea [OSCE] per la libertà dei media, tra il 2010 e il 2017 – è la prima donna a ricoprire questo incarico, succedendo a Nils Muiznieks, Thomas Hammarberg e Alvaro Gil-Robles.

Come lei stessa scrive, il 23 novembre 2021,  in un editoriale sull’Avvenire dal titolo L’allarme. “Disinneschiamo” la Bosnia prima che sia troppo tardi, è cittadina della Federazione di Bosnia-Erzegovina:   

“[…] Il riemergere di certi discorsi dovrebbe far scattare l’allarme e ricordarci la brutalità e le gravi violazioni dei diritti umani che persone indottrinate da una propaganda odiosa possono infliggere ai loro simili. Per chi ha vissuto le atrocità delle guerre jugoslave negli Anni Novanta del Novecento, il quadro è chiaro e fin troppo familiare. Io sono una di loro. Nata a Sarajevo, sono stata testimone dei modi subdoli dell’indottrinamento nazionalista.

Le guerre degli Anni Novanta sono state una diretta conseguenza di quel discorso pubblico, che ha introdotto una narrativa del “noi contro loro”, e ha portato alla disumanizzazione dell’altro e alla marginalizzazione delle voci contrarie alla guerra. Purtroppo, però, sembra che non abbiamo imparato dal passato. […]” [https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/disinneschiamo-la-bosnia-prima-che-sia-troppo-tardi]

Un anno prima, il 7 dicembre 2020, in una dura lettera al Presidente del Consiglio Zoran Tegeltija e al Ministro della Sicurezza Selmo Cikotic della Federazione di Bosnia-Erzegovina scriveva:

“[…]Vorrei richiamare la vostra attenzione su una serie di questioni relative alla migrazione e al diritto di asilo in Bosnia-Erzegovina che devono essere affrontate con urgenza. Se nei mesi recenti la pandemia da Covid-19 ha aggravato le sfide per il sistema di accoglienza, credo che queste possano essere affrontate nel rispetto dei diritti umani, risolvendo alcune carenze strutturali nel trattamento dei migranti e dei richiedenti asilo e migliorando la collaborazione tra le diverse autorità di Bosnia-Erzegovina. […]

Risulta che, alla data di ottobre 2020, siano 6770 i richiedenti asilo e migranti accolti in campi situati nella Federazione di Bosnia-Erzegovina. Si stima che il numero di coloro che dormono all’addiaccio o in palazzi abbandonati nel Cantone di Una Sana e altrove nel paese va da 2000 a 3500 persone.

Sono molto preoccupata del fatto che, a distanza di un anno dalla chiusura del campo di Vucjak, sia in corso nel Cantone un’altra crisi umanitaria in Una-Sana. […]” [https://altreconomia.it/app/uploads/2020/12/CommDH202030_Letter-to-the-authorities-of-Bosnia-and-Herzegovina_EN.docx.pdf]

 

https://twitter.com/MiseticLaw/status/1266364242862669824

 

https://twitter.com/dunja_mijatovic/status/1258692461368676352?lang=fi

https://narod.hr/wp-content/uploads/2020/05/Letter-Marija-Pejcinovic-Buric.pdf

 

 La Federazione di Bosnia-Erzegovina è retta da tre Presidenti perché il Paese è diviso in tre principali gruppi etnico-linguistico-religiosi: i bosgnacchi [musulmani], i croati [cattolici] e i serbi [ortodossi]. Ognuna di queste tre componenti elegge un Presidente che a turno, per otto mesi, esercita il suo mandato, nel corso di quattro anni. I presidenti nominano insieme il Primo Ministro, che deve ricevere la fiducia della Camera Bassa.nI cittadini non registrati come appartenenti a tali gruppi etnici [tra i quali ebrei, rom e albanesi] sono esclusi dalla possibilità di essere eletti alla presidenza: una discriminazione che la Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato, sulla base di ricorsi individuali, con sentenze del 2009, del 2014 e del 2016, senza però ottenere alcuna modifica costituzionale nonostante le successive raccomandazioni in proposito da parte del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.

Altro elemento che esercita un ruolo di rilievo nella politica di Bosnia-Erzegovina è il Consiglio di Attuazione della Pace, costituito da 55 fra Stati e organismi internazionali, 11 dei quali – compresa l’Italia, che è anche il secondo partner commerciale del Paese dopo la Germania – formano un Consiglio Direttivo che si riunisce ogni due settimane a Sarajevo, a livello di ambasciatori, con l’Alto Rappresentante.

La posizione dell’Unione Europea circa la domanda di adesione della Federazione di Bosnia-Erzegovina, presentata nel febbraio 2016, è ferma alle conclusioni del Consiglio Europeo del dicembre 2019. Non meno ostacoli incontra il percorso di un’eventuale adesione della Federazione di Bosnia-Erzegovina alla NATO, che mantiene un quartier generale militare a Sarajevo, anche dopo avere trasferito, nel dicembre del 2004, la responsabilità del mantenimento della pace all’Unione Europea, che conduce, da allora, l’operazione militare denominata EUFOR Althea, su mandato esecutivo del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Conoscere la Storia dei Balcani significa scoprire un pezzo di Europa che, troppo spesso, si tende a considerare lontano ed estraneo, nonostante la regione sia, sempre, stata tra le pagine dei nostri libri di Storia.

“I Balcani sono un crogiolo di particolarità che non cessano di confondersi e contrapporsi. Un luogo dove la Storia sfida la geografia e la Storia sfida persino la psicologia. Vogliamo partire dalla follia? Ebbene, là forse c’è davvero anche un rapporto particolare tra geopolitica e tare genetiche. Il padre di Milosevic, che era un pope ortodosso, si è suicidato. La madre si era impiccata. Anche un suo zio si era impiccato. Il padre del Presidente croato Tudjman si era suicidato dopo aver ucciso la moglie. Il generale Mladic, il criminale di guerra massacratore dei bosniaci ha avuto una figlia suicida come Ofelia, perché non reggeva all’onta delle scelleratezze del padre. L’ideologo, consigliere di Karadzic a Pale, Koljevic, si è sparato un colpo in testa, venticinque anni prima si era suicidata sua madre, gettandosi nel fiume. Il padre di Mladic era stato ucciso dagli ustascia. Il padre del Ministro croato Sushak era stato ucciso dai partigiani. Credo che se si considera la profondità shakespeariana delle tragedie balcaniche, le cose assumono un rilievo particolare. Non saprei come altrimenti spiegare un elemento particolarmente atroce dei conflitti più recenti. Nelle guerre europee sinora, anche nell’ultima Guerra Mondiale, si ammazzavano soprattutto soldati. Ora si ammazzano molto di più i civili.” [Milosevic? Non gli resta che il suicidio, Predrag Matvejevic intervistato da Siegmund Ginzberg, http://www.caffeeuropa.it/attualita/27matvejevic.html]

Predrag Matvejevic, uno dei più importanti e tradotti scrittori balcanici, scomparso il 2 febbraio 2017, non veniva da una storia facile. Quale esponente del dissenso jugoslavo si era battuto contro le degenerazioni autoritarie del socialismo centralizzato, ma, alla crisi di quest’ultimo, aveva visto succedere non una moltiplicazione delle libertà e nuove forme di solidarietà, bensì quella spirale nazionalistica che aveva trascinato il suo Paese nella guerra civile. Questa costante condizione di opposizione lo aveva, così, costretto alla condizione di esule, a cercare rifugio, prima, in Francia e, poi, in Italia. Nato a Mostar da padre russo e da madre bosniaca, Matvejevic aveva dentro di sé quella trasversalità, quell’amore per un universalismo plurale, capace di chiedere agli Esseri Umani il meglio di se stessi.

Nel 1990, festeggiammo in anticipo la fine del Ventesimo Secolo, una specie di mattatoio e inaugurammo il nuovo Millennio. A Berlino, epicentro del terremoto che stava per scuotere il mondo, nella notte tra il 2 e il 3 ottobre, la bandiera della Germania riunificata fu issata sul pennone del Reichstag. Nel crescendo di entusiasmo della folla, accalcata sul prato davanti al palazzo, alla tredicesima salva di cannone arrivò in cima.

Bandiere che salgono, bandiere che scendono!

Bandiere che scandiscono i tempi!

Lunghi drappi neri fradici che sbattono contro le facciate degli edifici quando muore la Primavera di Praga. Effimere bandierine di carta a stelle e strisce sostituite, il giorno seguente, da quelle abituali, rosse e di stoffa consunta, in occasione di uno degli scarti troppo rapidi di Nicolae Ceausescu. E, poi, il vessillo pantedesco che sventola alto sull’ex-Muro di Berlino: preludio alla scomparsa della pesante bandiera sovietica di velluto, che viene ammainata sulla guglia del Cremlino per cedere il posto al nuovo tricolore russo, di nylon leggero e danzante, che non ha più bisogno dei giganteschi ventilatori del regime.

E tante altre ancora!

Sembrava che, nel domani postcomunista, la partita si sarebbe giocata tra il bene e il meglio e che il male, se non definitivamente scomparso, si sarebbe acquattato negli anfratti. Non si è tenuto conto di debiti insoluti, tragedie congelate, antiche questioni accantonate, che con il primo inverno si sarebbero ridestati, per dare inizio a un domino di rivincite. Per cui, oggi, il futuro appare tutto sommato così così.

È difficile trovare una regola generale.

L’Asia Centrale ex-sovietica si era chiusa in se stesssa, aveva manifestato un vero plebiscito di consensi per gli ex-segretari comunisti travestiti da democratici o musulmani o ambedue le cose insieme, eletti nuovi leaders e insediati fino al Duemila e oltre. Stavano seduti sul proprio petrolio. Le compagnie occidentali perforavano il terreno per vedere cosa nascondesse; ma prevaleva l’idea che, una volta esaurite le riserve in Medio Oriente, da un Uzbekistan, fino ad allora dedito alla coltivazione del cotone, potessero zampillare fiumi di oro nero. Per il secolo a venire, le multinazionali petrolifere chiedevano solo che fossero praticabili i corridoi degli oleodotti. Comandasse chi volesse in Afghanistan e in Cecenia, purché a qualcuno non venisse in mente di danneggiare le condutture.

Durante la Guerra Fredda, I’Europa aveva dimenticatoi Balcani e ciò aveva provocato una divisione all’interno della penisola: la Grecia e la Turchia europea, da un lato, e gli altri Paesi, dall’altro. Questa separazione politica, economica, culturale, tra Est e Ovest, contribuì non poco a diversificare le mentalità e gli atteggiamenti. Da un punto di vista geografico, si divise, erroneamente, I’Europa in due blocchi: quello mediterraneo [il Portogallo, la Spagna, l’Italia e la Grecia] e quello orientale [la Jugoslavia, l’Albania, la Bulgaria, la Romania, la Polonia, l’Ungheria e la Cecoslovacchia] e la realtà balcanica venne del tutto annullata.

Con la caduta del Muro di Berlino [9 novembre 1989], i Balcani ritornarono sulla scena internazionale e si assistette a una ripresa di rapporti economici con i Paesi vicini e, quindi, a una rinascita degli antichi problemi geopolitici.

Nel novembre del 2017, il suicidio in mondovisione dell’ex-generale croato Slobodan Praljak, Presidente della Repubblica di Bosnia-Erzegovina, dal 1991 al 1994, e condannato per crimini di guerra, rinfocolò le rivendicazioni del nazionalismo croato, facendo parlare l’inquilino del Banski Dvori [il palazzo del Governo di Zagabria], Andrej Plenkovic, di “profonda ingiustizia morale”. Poco tempo dopo quella sentenza, in occasione del Carnevale di Livno, nel febbraio del 2018, fu bruciato un fantoccio con le fattezze di Carmel Agius, Presidente del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia, dal novembre del 2015 al dicembre del 2017, [http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Criminale-ex-Jugoslavia-si-uccide-bevendo-il-veleno-in-aula-al-momento-della-sentenza-b8bd9330-4138-4662-8e29-0eb3438527de.html]. Stessa sorte toccò al pupazzo di Agius a Capljina, la cittadina che diede i natali a Praljak, nell’Erzegovina Meridionale.

Praljak era al comando delle forze croato-bosniache che attaccarono Mostar, il cui ponte, distrutto nel 1993, è divenuto il simbolo dell’odio etnico, della violenza dei nazionalismi, e dei più crudeli massacri avvenuti sotto gli occhi dell’Europa, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, di cui Srebrenica rappresenta il tragico culmine. Eletto Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, quel ponte di origine ottomana abbattuto e ricostruito, voleva simboleggiare il MAI PIÙ dell’Unione Europea che, in occasione del centenario della Grande Guerra, il 28 giugno 2014, celebrava la pace con un concerto dell’Orchestra Filarmonica di Vienna, a Sarajevo  [https://www.youtube.com/watch?v=LbkNMetAmWU].

“Si tratta di un incredibile cinismo.”,

commentava il giornalista Zlatko Dizdarevic,

“Se vi è un luogo dove i principi europei vengono abbandonati, questo è Sarajevo.”

Nel novembre del 1995 gli Accordi di Dayton hanno fermato la guerra in Bosnia-Erzegovina, ma non hanno costruito la pace.

Tra il 1990 e il 1995, l’Europa ha vissuto il primo conflitto armato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale sul proprio territorio, che vide contrapposte soprattutto Serbia e Croazia, con Bosnia-Erzegovina come terreno di scontro privilegiato. Anche se non direttamente coinvolto dal conflitto, anche il Kosovo, allora provincia serba, ha vissuto in quegli anni una fase fondamentale della sua Storia recente.

Proclamatasi indipendente dalla Jugoslavia, a seguito del referendum del 1° marzo 1992, votato a larga maggioranza dai cittadini di etnia bosgnacca, allora definita musulmana, e croata, ma boicottato da quelli di etnia serba, l’area di Bosnia-Erzegovina fu per circa quattro anni il campo di uno dei conflitti più sanguinosi avvenuti in Europa dopo il 1945, con più di 100mila morti e 2 milioni di profughi.

Anche per i rom il periodo bellico rappresentò una catastrofe che ha finito per modificare profondamente la stessa composizione di questo Popolo. La maggioranza di loro viveva nell’Est del Paese, in località corrispondenti alla attuale Republika Srpska, mentre oggi per lo più i rom abitano nella Federazione, soprattutto nel Nord-Est, nel Cantone di Tuzla, o nella Bosnia centrale, nei Cantoni di Zenica e Sarajevo. Molte migliaia di loro, fuggiti all’estero durante la guerra, non hanno fatto ritorno. Secondo dati dell’ERRC, le comunità rom più colpite furono quelle che vivevano a Prijedor e nei villaggi vicini di Kozarac, Hambarine, Tukovi e Rizvanovici. Atrocità sono state commesse nei confronti dei rom di Vlasenica, Rogatica e Zvornik e dei villaggi circostanti e, almeno 70, sono stati i rom uccisi nella Strage di Srebrenica. In base al censimento del 1991, quello ancora jugoslavo e prima delle guerre etniche, il numero dei rom in Bosnia-Erzegovina era inferiore a 9mila, ma a quel tempo molti cittadini di nazionalità rom si erano significativamente identificati come jugoslavi.

L’assedio della capitale Sarajevo, la pulizia etnica, gli stupri sistematici e il genocidio di più di 8mila musulmani a Srebrenica, nel luglio del 1995, portarono all’Operazione Deliberate Force, condotta dalla NATO, con tre settimane di bombardamenti aerei sulle postazioni serbe.

L’assetto istituzionale, basato sulla vittoria dei nazionalisti dei tre gruppi affrontatisi in armi nel corso della guerra – creato a Dayton e firmato a Parigi, il 14 dicembre 1995 dai presidenti di Serbia, Croazia e Bosnia-Erzegovina, alla presenza dei capi di Stato o di governo di Francia, Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Federazione Russa – consegnava, di fatto, il Paese alle comunità nazionali e alla comunità internazionale, perdendo di vista i diritti di cittadinanza, che dovrebbero appartenere a tutti indipendentemente dal gruppo etnico di riferimento. Nel tentativo di rappresentare burocraticamente gli equilibri etnici del Paese, creando organi a rotazione e seguendo la regola aurea della divisione per tre delle poltrone nelle varie istituzioni, si è così dato vita a un sistema escludente che presenta elementi di vero e proprio razzismo istituzionale. In democrazia ogni cittadino dovrebbe essere titolare degli stessi diritti e doveri, indipendentemente dalla propria appartenenza religiosa o nazionale.

E, in Bosnia-Erzegovina, non avviene.

Purtroppo, la Federazione di Bosnia-Erzegovina non rappresenta un caso isolato.

Nei Paesi dell’Est si diffonde nascostamente il virus invisibile che declina in maniera diversa i diritti dei cittadini, non più persone con eguali diritti ma razze, religioni e nazionalità con maggiori o minori tutele. Prendiamo in considerazione, a esempio, la vicenda dei cosiddetti “cancellati”, persone – prevalentemente di altri Paesi della ex-Jugoslavia – che vivevano in Slovenia e che, dal momento della proclamazione dell’indipendenza, hanno progressivamente perso ogni diritto entrando in una sorta di limbo giuridico non essendo di nazionalità slovena.

La stessa Ucraina!

Il 21 luglio 2021 il presidente Volodymyr Zelensky ha promulgato la Legge sui Popoli Autoctoni, secondo cui soltanto gli ucraini di origine scandinava, i tatari e i karaiti, hanno “il diritto di godere pienamente di tutti i Diritti umani e di tutte le libertà fondamentali”. Ne consegue che gli ucraini di origine slava non possono beneficiarne [https://www.axl.cefan.ulaval.ca/europe/ukraine-loi-lng-2021-autok.htm, https://www.voltairenet.org/article216828.html].

 

Legge sui popoli autoctoni [2021].
ЗАКОН Про корінні народи України [2021].

 

Uno dei più bei ponti al mondo. Una sola arcata, esile, molto elegante. Collega tra loro due fortificazioni che campeggiano, massicce, sulle due sponde della Neretva, il fiume che attraversa la città bosniaca di Mostar. Il ponte ne è il simbolo. Sta a Mostar come il Golden Gate Bridge a San Francisco, volendo azzardare un parallelo.

Lo Stari Most – vecchio ponte nella lingua locale – fu costruito nel XVI secolo e restò in piedi per più di quattrocento anni, finché, il 9 novembre 1993, esattamente venticinque anni fa, non fu preso di mira dall’artiglieria croato-bosniaca [https://www.youtube.com/watch?v=kMSnskKpPpk]. E venne giù, tristemente. Quella fu una delle immagini più devastanti della Guerra di Bosnia, scoppiata nel 1992. Una guerra in cui i tre popoli del Paese, bosniaci musulmani, serbi ortodossi e croati cattolici, si combatterono senza sconti.

Lo Stari Most è stato ricostruito con i fondi della comunità internazionale, seguendo il progetto architettonico originale. L’ultima pietra è stata posata nel 2004. E si disse, allora, che il nuovo, vecchio ponte avrebbe ricongiunto le due anime litigiose della città.

In realtà, il ponte non ha, mai, riconciliato croati e bosniaci.

Nessuna pace e nessuna ferita del passato è stata, pienamente, cicatrizzata.

Nella zona serba della città bosniaca veniva inaugurata,  lo stesso giorno del concerto, patrocinato dalla Unione Europea, una statua a Gavrilo Princip, la cui mano, un secolo prima, aveva premuto il grilletto contro l’Arciduca Francesco Ferdinando, trascinando il Vecchio Continente e il mondo nell’apocalisse della modernità. 

 


1991 Guerra nei Balcani

Nella primavera del 1992 il conflitto si è ormai esteso alla Bosnia Erzegovina. In questo approfondimento del TG3 realizzato da Claudio Accardi, Ilaria Alpi, Giovanna Botteri ripercorriamo la cronaca degli scontri tra miliziani serbi, croati e musulmani che insanguinarono sia le grandi città come Sarajevo sia i piccoli e sperduti villaggi di campagna [https://www.raiplay.it/video/2021/06/Speciale-TG3---La-guerra-in-Bosnia-c9159122-4cb9-4a5f-8118-00f07eb9e739.html?fbclid=IwAR3_2miyqcrRt_aAgDh6G3IX-vUXitss4UK1fOzRy5acty4-HqDXUy3sqwg].

 

“Un dolore che dopo 27 anni non si placa innanzitutto per le mogli, le figlie e i figli che ormai sono donne e uomini cresciuti nel ricordo di Marco Luchetta, Alessandro Ota e Dario D'Angelo, inviati della Rai in Bosnia per un servizio sui bambini della ex Jugoslavia”,

scrive il presidente dell’Assostampa Fvg, Carlo Muscatello, alla vigilia dell'anniversario.

[Carlo Muscatello, Il 28 gennaio 1994 la tragedia di Mostar. Il ricordo del sindacato, FNSI, 27 gennaio 2021 [https://www.fnsi.it/il-28-gennaio-1994-la-tragedia-di-mostar-il-ricordo-del-sindacato?fbclid=IwAR3_2miyqcrRt_aAgDh6G3IX-vUXitss4UK1fOzRy5acty4-HqDXUy3sqwg].

 

Ilaria Alpi: D.Luchetta, dopo 25 anni ancora nessuna verità

Vedova giornalista ucciso in Bosnia commemora vittime, ANSA, 19 marzo 2019 [https://www.ansa.it/amp/friuliveneziagiulia/notizie/2019/03/19/ilaria-alpi-d.luchetta-dopo-25-anni-ancora-nessuna-verita_d0674064-e42a-4fc2-9e0f-6a0359d555ec.html?fbclid=IwAR2jTFC6K5q5S4QvgaMKz8z5Pwg5ohIH1nilwWRY9rM4qhBVIIGTDUpklZs].

 

Gli eventi bellici nel resto della Jugoslavia avevano fatto calare un velo di silenzio sulle vicende kosovare. Dal 1995, aveva iniziato a organizzarsi un gruppo armato noto come UCK [Ushtria Clirimtare e Kosoves] – infiltrato da veterani musulmani e croati – che operava attraverso attentati nei confronti della popolazione e della polizia serba e mirava all’indipendenza completa del Kosovo.

Dopo l’abolizione dell’autonomia del Kosovo nel 1989, il governo serbo guidato da Slobodan Milosevic, aveva dato avvio a un ampio processo di “serbizzazione” che riguardò la toponomastica, con il cambio del nome delle strade di Pristina prima intitolati a eroi albanesi, e la pubblica amministrazione, con il licenziamento di oltre 150mila kosovari albanesi tra il 1990 e il 1995. In risposta all’azione unilaterale di Belgrado, i Deputati albanesi del Parlamento del Kosovo convocarono un Referendum che portò, il 19 ottobre 1991, alla prima dichiarazione di indipendenza, seppure priva di qualsiasi effetto pratico. L’Europa stessa non sostenne tali rivendicazioni.

Alla fine del 1998, l’UCK poteva contare su oltre 40mila uomini e il controllo di circa il 40% di tutto il territorio kosovaro. Nello stesso anno, l’ONU inseriva l’UCK nella lista delle organizzazioni terroristiche.

All’inizio del 1999, gli scontri tra esercito serbo e UCK sempre più aspri spinsero la NATO, ma soprattutto il Segretario di Stato degli Stati Uniti Madeleine Albright e il Premier inglese Tony Blair a minacciare un intervento armato per porre fine al conflitto. Davanti alle  minacce, Milosevic decise di partecipare ai negoziati di pace convocati a Rambouillet, nel gennaio del 1999. Pochi giorni prima, il leader serbo aveva rilasciato un’intervista al Washington Post, in cui accusava i politici albanesi di essere nazisti “con l’obiettivo dichiarato di creare uno Stato etnicamente puro”.

A Rambouillet furono invitati per il Kosovo il Premier Ibrahim Rugova e l’allora leader dell’UCK Hashim Thaci, il cui coinvolgimento al tavolo delle trattative rappresentava il definitivo riconoscimento del gruppo armato non più come un’organizzazione terroristica ma come una delle parti in causa. Questa scelta fu uno dei motivi del mancato sostegno di Belgrado agli accordi di pace. Il piano proposto prevedeva la presenza di una missione militare guidata dalla NATO, la KFOR, per il mantenimento della pace, la possibilità per i militari dell’Alleanza di muoversi liberamente in tutto il territorio della Federazione Jugoslava, la loro immunità e il ritiro dell’esercito federale dal Kosovo.

Per Belgrado erano proposte inaccettabili: non avrebbe mai potuto acconsentire la presenza di truppe NATO sul proprio territorio. Anche l’ex-segretario di Stato degli Stati Henry Kissinger riconobbe che la proposta rappresentava una vera e propria “provocazione, una scusa per dare inizio ai bombardamenti”. Il rifiuto serbo alle richieste della comunità internazionale aprì la strada a un intervento diretto della NATO.

Il 24 marzo 1999, il segretario generale della NATO, il socialista spagnolo Javier Solana, diede il via libera all’operazione Allied Force. Quel fatidico 24 marzo 1999 segnò l’inizio di una delle pagine più buie della Storia recente dell’Europa. L’operazione Allied Force è stata la seconda azione militare della NATO in Europa e senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. I bombardamenti, che coinvolsero la Serbia ma anche alcune aree del Kosovo, andarono avanti per ben 78 giorni, provocando centinaia di vittime anche tra i civili, considerati, in termine tecnico, “danni collaterali”.

Le bombe della NATO, giustificate come “intervento umanitario”, danneggiarono oltre 300 scuole e ospedali, distrussero più di 60 ponti e misero in ginocchio il sistema infrastrutturale e industriale della Serbia causando danni per oltre 30 miliardi di euro. I bersagli principali delle operazioni furono infatti le industrie chimiche, come quelle di Pancevo alle porte di Belgrado, quella automobilistica come la Zastava, le centrali elettriche, le arterie di collegamento come le strade e i ponti.

L’obiettivo della missione era quello di paralizzare il Paese e spingere il Popolo serbo a ribellarsi contro Milosevic.

Ma, sulla carta l’intervento deciso dalla NATO era teso a riportare la delegazione serba al tavolo delle trattative politiche.

Fu immediato l’afflusso dei primi profughi kosovari presso le frontiere albanese e macedone.

Messo alle strette dalle bombe occidentali, il primo giugno, il presidente Milosevic accettò le decisioni del G8 e, il 9 giugno, firmò l’Accordo di Kumanovo che prevedeva il ritiro delle truppe serbe dal Kosovo.

L’indomani, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite emanò la Risoluzione 1244, con la quale venivano istituite due missioni: l’una militare, KFOR, l’altra civile, UNMIK, che riconosceva all’Unione Europea la gestione della ricostruzione del Kosovo. In questo modo l’Unione Europea diveniva la protagonista nelle scelte politiche, economiche e finanziarie del Paese.

L’imposizione del marco tedesco, e non del dollaro, quale moneta ufficiale rivelava il nuovo ruolo europeo.

Le guerra fratricide sono combattute su diversi livelli paralleli, di cui uno simbolico, combattuto sul corpo femminile: ogni conquista territoriale è innanzitutto un “utero” da prendere ed espugnare.

I Balcani sembravano una Brutta Addormentata, nell’attesa che il Principe tornasse dai giochi della guerra e la baciasse o che la svegliassero le trombe e i fischietti degli studenti di Belgrado e di Sofia.

A quanto pare, l’operazione non è riuscita.

Ora, la bruttina malvestita, talvolta affamata, abituata a tristi vicende – le tre M del transito faticoso: Mafia, Miseria e Malessere – cerca una cosa chiamata Europa.

 

Il 20 giugno 1997, nel suo discorso al Consiglio Atlantico, il Presidente statunitense Joe Biden, allora Senatore del Delaware, che non aveva, mai, nascosto le sue intenzioni di “allargare” la NATO e si era espresso favorevole all’ingresso nella NATO di Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca – che, in effetti, vi entreranno due anni più tardi – dichiarava, che l’annessione dei Paesi Baltici alla NATO avrebbe potuto spostare gli equilibri e provocare “una riposta vigorosa e ostile da parte della Russia”.

 “I think the one place, where the greatest consternation will be caused in the short term, for admission, having nothing to do with the merit, the preparedness of the country to come in, would be to admit the Baltic States now in terms of NATO-Russian, US-Russian relations. And if there was ever anything that was going to tip the balance were it to be tipped, in terms of a vigorous and a hostile reaction, I don’t mean military, in Russia, it would be that.”

“So, the way I look at the calculus here, sides now are as follows: I believe, and I was once told that to be in this business, you have to be an optimist. I believe time, time meaning the next several years, will solve this. To the degree to which Russia becomes comfortable with, and it is demonstrated that the enlargement of NATO is not only not in their interest but ultimately in their interest in expanding stability is the degree to which the accession of the Baltics into NATO becomes a reality. I think there is a correlation between the two. And so it is my expectation, as well as my hope, that in the near term, meaning by the end of this century or be thereafter, the Balts will be admitted to NATO, If they still are seeking admission to NATO.” [https://geopoliticaleconomy.com/2022/03/08/biden-nato-expansion-russia-hostile-reaction/, https://www.youtube.com/watch?v=42O1OAkNVL0]

 

Nel filmato risalente al 1998, il Presidente Joe Biden afferma:

“Sono stato io a suggerire di bombardare Belgrado. Sono stato io a suggerire di mandare dei piloti americani a far saltare tutti i ponti sul Danubio.” [https://www.youtube.com/watch?v=ncoMloG-fT4, https://legacy.theintercept.com/empire-politician/biden-nato-bombing-serbia-montenegro/, https://www.govinfo.gov/content/pkg/CHRG-105shrg49265/html/CHRG-105shrg49265.htm].

 
 

Registrazione audio integrale dell’udienza del “Processo per lo scandalo della missione Arcobaleno” che si è tenuta a Bari giovedì 14 ottobre 2010 [https://www.radioradicale.it/scheda/313124/processo-per-lo-scandalo-della-missione-arcobaleno].


                                   

 

Dal 1991, gli Stati Uniti e i loro partners militari hanno ingaggiato guerre, utilizzando sporche armi nei Paesi dove si trovano risorse che hanno bisogno di controllare per stabilire e mantenere il loro primato.

La NATO dice:

“L’uranio impoverito non è illegale. È un’arma di guerra legale. Fine della storia. Noi l’abbiamo utilizzata, è legale.”

Infatti, non esiste, a oggi, alcuna convenzione internazionale che vieti, in modo espresso, l’uso dell’uranio impoverito e neppure alcun consenso, come dimostra, ampiamente, la pratica degli Stati.

Dopo Hiroshima e Nagasaki, avevamo sperato che la lezione fosse stata appresa e che gli Stati Uniti e i loro partners non avrebbero più impegnato armi nucleari. Un tabù internazionale aveva impedito la loro utilizzazione fino al 1991, quando gli Stati Uniti lo infransero, per la prima volta, sui campi di battaglia dell’Iraq e del Kuwait.  Le armi all’uranio impoverito sono state fornite dagli Stati Uniti, per primi, a Israele, sotto la loro supervisione, nella Guerra dello Yom Kippur, nel 1973. Da quel momento, gli Stati Uniti hanno testato, prodotto e venduto sistemi d’arma all’uranio impoverito a 29 Paesi.

Descritto come il Cavallo di Troia della guerra nucleare, l’uranio impoverito è l’arma che continua a distruggere. Sotto forma di aerosol l’uranio impoverito contaminerà, in modo permanente, vaste regioni e distruggerà,  gradualmente, il futuro genetico delle popolazioni che vivono in quelle regioni. L’emivita dell’uranio 238 è di 4,5 miliardi di anni, l’Età della Terra e, poiché l’uranio 238 degenera in sottoprodotti radioattivi, in quattro fasi prima di trasformarsi in grafite, continua a emettere più radiazioni a ogni fase. Non vi è modo per arrestarlo e non vi è modo per ripulirlo. Si accorda con la definizione del Governo americano delle armi di distruzione di massa:

“Weapons that are capable of a high order of destruction and/or of being used in such a manner as to destroy large numbers of people. Weapons of mass destruction can be high explosives or nuclear, biological, chemical, and radiological weapons, but exclude the means of transporting or propelling the weapon where such means is a separable and divisible part of the weapon.” [https://www.militaryfactory.com/dictionary/military-terms-defined.asp?term_id=5781]

Secondo il diritto internazionale relativo al controllo degli armamenti, le armi all’uranio impoverito sono illegali:

-               Convenzione dell’Aia del 29 luglio 1899, concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre [https://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/ISSMI/Corsi/Corso_Consigliere_Giuridico/Documents/81521_Aja1899.pdf];

-               Convenzione dell’Aia del 18 ottobre 1907, concernente le leggi e gli usi della guerra per terra [https://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/ISSMI/Corsi/Corso_Consigliere_Giuridico/Documents/65159_convenzione4.pdf];

-               Protocollo di Ginevra del 17 giugno 1925, concernente la proibizione di usare in guerra gas asfissianti, tossici o simili e mezzi batteriologici [http://unipd-centrodirittiumani.it/it/strumenti_internazionali/Protocollo-concernente-la-proibizione-di-usare-in-guerra-gas-asfissianti-tossici-o-simili-e-mezzi-batteriologici-1925/113];

-               Statuto o Carta del Tribunale Internazionale Militare di Norimberga dell’8 agosto 1945 [http://unipd-centrodirittiumani.it/it/strumenti_internazionali/patto-di-londra-e-statuto-del-tribunale-internazionale-militare-di-norimberga-1945/170]; 

-               Quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 per la protezione delle vittime di guerra [https://www.asgi.it/wp-content/uploads/public/convenzione.ginevra.12.agosto.1949.pdf];

-               Convenzione delle Nazioni Unite del 10 ottobre 1980 detta Convenzione delle armi inumane, sul divieto o la limitazione dellimpiego di talune armi classiche che possono essere ritenute capaci di causare effetti traumatici eccessivi o di colpire in modo indiscriminato [https://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/19800274/199809240000/0.515.091.pdf].

-               Risoluzione delle Nazioni Unite per la messa al bando dell’uranio impoverito n. 16 del 29 agosto 1996 [https://www.peacelink.it/disarmo/a/700.html];

-               Risoluzione del Parlamento Europeo del 15 gennaio 2001, sul divieto di utilizzo dell’Uranio Impoverito in tutti i tipi di armi;

-               Risoluzione della Prima Commissione delle Nazioni Unite del primo novembre 2007, sugli effetti dell’uso di armamenti e munizioni contenenti uranio impoverito [http://www.bandepleteduranium.org/en/a/144.html, https://www.peacelink.it/disarmo/a/23856.html].  

Il 9 gennaio 2018, la Commissione Europea ha riconosciuto la pericolosità dell’uranio impoverito per la salute umana [https://blogs.mediapart.fr/jean-marc-b/blog/110218/tambouille-nucleocrate-ravalement-de-facade-propos-de-luranium-dit-appauvri].

Benché ristretta ai campi di battaglia dell’Iraq e del Kuwait, la Guerra del Golfo del 1991 è stata una delle più tossiche e devastanti per l’ambiente della Storia del Mondo. Incendi di pozzi di petrolio, bombardamenti di petroliere e di pozzi che hanno sparso milioni di litri di petrolio nel Golfo e il deserto e la devastazione delle cisterne e dei grandi impianti hanno distrutto l’ecosistema del deserto.

Gli effetti a lungo termine e su vasta scala e la dispersione  di almeno 340 tonnellate di armi all’uranio impoverito hanno avuto un effetto ambientale mondiale.

Il fumo dei fuochi di petrolio è stato trovato più tardi sotto forma di depositi in America del Sud, nell’Himalaya e nelle Hawai.

Dopo la fine ufficiale della Guerra del Golfo, l’Esercito americano ha sparato circa 1 milione di proiettili all’uranio impoverito, in 3 giorni, sulle migliaia di rifugiati e di soldati iracheni che battevano in ritirata, sulla strada per Bassora, – in violazione dell’articolo 3 della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 :

Nel caso in cui un conflitto armato privo di carattere internazionale scoppiasse sul territorio di una delle Alte Parti contraenti, ciascuna delle Parti belligeranti è tenuta ad applicare almeno le disposizioni seguenti:

1. Le persone che non partecipano direttamente alle ostilità, compresi i membri delle forze armate che abbiano deposto le armi e le persone messe fuori combattimento da malattia, ferita, detenzione o qualsiasi altra causa, saranno trattate, in ogni circostanza, con umanità, senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole che si riferisca alla razza, al colore, alla religione o alla credenza, al sesso, alla nascita o al censo, o fondata su qualsiasi altro criterio analogo.

A questo scopo, sono e rimangono vietate, in ogni tempo e luogo, nei confronti delle persone sopra indicate:

a. le violenze contro la vita e l’integrità corporale, specialmente l’assassinio in tutte le sue forme, le mutilazioni, i trattamenti crudeli, le torture e i supplizi;

b. la cattura di ostaggi;

c. gli oltraggi alla dignità personale, specialmente i trattamenti umilianti e degradanti;

d. le condanne pronunciate e le esecuzioni compiute senza previo giudizio di un tribunale regolarmente costituito, che offra le garanzie giudiziarie riconosciute indispensabili dai Popoli civili.

2. I feriti e i malati saranno raccolti o curati.

Un ente umanitario imparziale, come il Comitato internazionale della Croce Rossa, potrà offrire i suoi servigi alle Parti belligeranti.

Le Parti belligeranti si sforzeranno, d’altro lato, di mettere in vigore, mediante accordi speciali, tutte o parte delle altre disposizioni della presente Convenzione.

L’applicazione delle disposizioni che precedono non avrà effetto sullo statuto giuridico delle Parti belligeranti.

Ironicamente, la Risoluzione n. 661, riguardante la situazione dei rapporti tra Iraq e Kuwait, era stata adottata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU il giorno anniversario di Hiroshima, il 6 agosto 1990.

I grandi venti di sabbia annuali che partono dall’Africa del Nord, dal Medio Oriente e dall’Asia Centrale spandono, rapidamente, la contaminazione radioattiva intorno al mondo e l’alternarsi delle stagioni sulle vecchie munizioni all’uranio impoverito dei campi di battaglia e altre regioni produce nuove fonti di contaminazione radioattiva negli anni a venire. 

La scoperta, nel 1999, che, nell’ex-Jugoslavia, crateri di bombe erano radioattivi e che un missile inesploso conteneva una testata di uranio impoverito, indicava che la quantità totale di uranio impoverito, utilizzata dal 1991, era stata, grandemente, sottostimata. Ciò che è ancora più inquietante è che il 100% dell’uranio impoverito delle bombe e dei missili è vaporizzato all’impatto e immediatamente liberato nell’atmosfera.  Questa quantità può arrivare fino a 1,5 tonnellate per le grosse bombe. Per i proiettili e le granate, la quantità vaporizzata è del 40-70%, lasciando frammenti e granate inesplose nell’ambiente, che saranno nuove fonti di polvere radioattiva e di contaminazione delle acque sotterranee per la concentrazione disciolta di uranio impoverito, per lungo tempo, dopo la fine dei conflitti, come riferito nel rapporto The Kosovo conflit consequences for the environment and human settlements dell’UNEP/UNCHS [Habitat] Balkans task Force [BTF] [http://wedocs.unep.org/handle/20.500.11822/8433, https://wedocs.unep.org/bitstream/handle/20.500.11822/8433/-The%20Kosovo%20Conflict%20Consequences%20for%20the%20Environment%20%26%20Human%20Settlements-1999378.pdf?sequence=3&isAllowed=y].

Considerato che gli Stati Uniti hanno ammesso di avere utilizzato 34 tonnellate di uranio impoverito sotto forma di proiettili e di granate nell’ex-Jugoslavia e che 35mila missioni di bombardamenti della NATO hanno avuto luogo, nel 1999, la quantità potenziale di uranio che contamina l’ex-Jugoslavia e la sua deriva frontaliera nei Paesi limitrofi è imponente.

Le donne dell’ex-Jugoslavia, della Somalia, dell’Afghanistan, dell’Iraq e della Siria hanno, ora, paura di avere bambini e quando partoriscono anziché chiedere se è un maschio o una femmina, chiedono:

“È normale?”

Le conseguenze sanitarie dell’uso di armi all’uranio impoverito era, già, emersa, negli Anni Novanta, a seguito della prima Guerra del Golfo. Le varie patologie, spesso mortali, che colpirono i reduci statunitensi [leucemie, cancri alla tiroide e ai polmoni, malformazioni di neonati, aborti spontanei nelle donne] vengono riassunte sotto il termine di Sindrome del Golfo.

In Italia, la questione si riaffaccia, con prepotenza, nel 2000, quando l’Osservatorio per la Tutela del Personale Civile e Militare, per iniziativa dell’ex-maresciallo Domenico Leggiero, denuncia, pubblicamente, casi di decesso e di malattia di soldati italiani che avevano prestato servizio nei Balcani.

Le conseguenze ambientali della guerra contro la Repubblica Federale Jugoslava e le raccomandazioni in proposito erano, già, state oggetto, nel giugno del 1999, di un rapporto, redatto dal Centro Ambientale Regionale per l’Europa Centrale e Orientale, su incarico della Commissione Europea, nel quale, già, si poneva il problema degli “effetti a lungo termine di sostanze tossico cancerogene e di radiazioni”. Si menzionava come dato acquisito che “i rapporti indicano che la NATO abbia utilizzato, durante il conflitto, esplosivi contenenti uranio esaurito” [pag.18]. Dal rapporto emergeva, inoltre, una rilevante presenza di metalli pesanti entrati nel ciclo bioalimentare e nel suolo.

“Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile. Ed un altro uomo, fatto anche lui come tutti gli altri, ma di tutti gli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della Terra per porlo nel punto dove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra, ritornata alla forma di nebulosa, errerà nei cieli privati ​​di parassiti e di malattie.”,

sono le parole profetiche che chiudono il romanzo di Italo Svevo, pubblicato nel 1923, La coscienza di Zeno. Svevo non sentì mai parlare di bomba atomica, eppure la sua sensibilità gli fece presagire l’immane catastrofe che doveva avvenire di là a una ventina di anni.

     

[https://twitter.com/ministerodifesa/status/996460816319868928].

 

La Difesa: “4000 militari malati e 300 morti per uranio impoverito? Falso”, YOUTG, 16 maggio 2018 [https://www.youtg.net/dal-mondo/7776-la-difesa-4000-militari-malati-e-300-morti-per-uranio-impoverito-falso].

 

Gianni Avantaggiato, Vannacci: l’ammiraglio Cavo Dragone ha mentito, Il Giornale dell’Ambiente, 23 giugno 2020 [https://ilgiornaledellambiente.it/vannacci-ammiraglio-cavo-dragone-ha-mentito/].

  

[https://ilgiornaledellambiente.it/bombardamenti-uranio-impoverito/]

 

Alleggato A

Seduta n. 778 del 27 settembre 2000

Pag. 57

[Sezione 9 - Iniziative per contrastare gli effetti delle armi a uranio impoverito sulla salute dei soldati italiani]

BALLAMAN – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
hanno ripreso a circolare sulla stampa nazionale voci secondo le quali alcuni militari italiani, impegnati nelle

Pag. 58

missioni di peace-keeping in atto in Bosnia e Kosovo, avrebbero contratto la leucemia, con esiti letali in qualche caso, e comunque provocando il rimpatrio immediato e segreto di tutti i soggetti colpiti;

dette voci sarebbero state raccolte da fonte statunitense;

è noto come sui teatri di guerra in Bosnia e Kosovo, anche e soprattutto nelle zone dove sono attualmente rischierati i militari italiani, le forze aeree dell’alleanza atlantica abbiano scagliato circa 31 mila proiettili anticarro all’uranio impoverito;

si ricorda come sugli effetti ultimi dell’uranio impoverito è ormai stata comprovata la tesi dell’assoluta nocività per la salute umana e sussista una folta casistica al riguardo;  

si sottolinea, infine, come le medesime fonti giornalistiche sostengano che la difesa italiana non ha adottato alcuna precauzione per proteggere l’incolumità dei soldati italiani, mentre, ad esempio, le forze armate olandesi stanno addirittura diminuendo drasticamente le dimensioni del loro contingente in Kosovo a causa degli ultimi rilevamenti sulla radioattività –:

quali iniziative il Governo abbia adottato e voglia adottare immediatamente a tutela della salute degli uomini ed al fine di far considerare le armi contenenti uranio impoverito come non convenzionali e quindi da proibire.

[http://leg13.camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed778/aimm09.htm]

  

Resoconto stenografico dell’Assemblea – Seduta n. 778 del 27 settembre 2000

Presidenza del Presidente Luciano Violante

indi

del Vicepresidente Pierluigi Petrini

[https://leg13.camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed778/s530r.htm].

Pag. 87

[Iniziative per contrastare gli effetti delle armi ad uranio impoverito sulla salute dei soldati italiani]

PRESIDENTE. Passiamo alla interrogazione Ballaman n. 3-06303 [vedi l’allegato A – Interrogazioni a risposta immediata sezione 9].

L’onorevole Ballaman ha facoltà di illustrarla.

EDOUARD BALLAMAN. Grazie, signor Presidente.

Signor Ministro, hanno ripreso a circolare sulla stampa nazionale voci secondo le quali alcuni militari italiani impegnati nelle missioni di pace in Bosnia e in Kosovo avrebbero contratto la leucemia con esiti in qualche caso letali; comunque, in taluni casi ciò ha provocato il rimpatrio immediato e segreto di altri soggetti colpiti.

È noto che sui teatri di guerra in Bosnia e Kosovo sono stati utilizzati armamenti ad uranio impoverito. Per ammissione stessa della NATO solo in Kosovo sono stati scagliati 31 mila proiettili anticarro ad uranio impoverito dagli aerei A10, per circa 9 tonnellate. Naturalmente tutto ciò è estremamente grave. Gli effetti dell’uranio impoverito sono ormai noti.

Si chiede di conoscere quali iniziative il Governo intenda adottare [e voglia adottare immediatamente] a tutela della salute degli uomini e al fine di far considerare le armi contenenti uranio impoverito come armi non convenzionali e quindi come armi da proibire.

PRESIDENTE. Il Ministro della Difesa ha facoltà di rispondere.

SERGIO MATTARELLA, Ministro della Difesa. Desidero anzitutto riaffermare che ad oggi nessun militare del nostro contingente in Kosovo è stato rimpatriato perché affetto da leucemia e che non sono mai emersi casi sospetti di questa malattia. In questo senso si sono già espressi nei giorni scorsi i comandi competenti e lo stesso procuratore militare di Roma che dal gennaio scorso ha avviato un monitoraggio in seguito a segnalazioni su possibili rischi di inquinamento e di contaminazione.

Va escluso anche che siano collegabili all’uranio impoverito i due casi letali di leucemia acuta che si sono verificati nelle Forze Armate, il primo sei anni fa, il secondo l’anno passato. Nel primo caso, il giovane vittima della malattia non era stato mai impiegato all’estero; nel secondo caso, il giovane militare era stato impiegato in Bosnia, precisamente a Sarajevo, dove non vi è mai stato uso di uranio impoverito.

Sul piano generale, desidero ricordare quanto ho già fatto presente in Parlamento nei mesi scorsi; fin dall’ingresso dei nostri soldati in Kosovo, si sono adottate misure di protezione: monitoraggio ambientale, ampia attività informativa, bonifica con reparti specializzati nella protezione e decontaminazione di persone e di materiali. Sono stati svolti controlli ulteriori approfonditi da parte di esperti in fisica del Centro interforze di studi. Tutte queste misure, come ho già detto l’altra volta in Parlamento, hanno permesso di confermare che i livelli di inquinamento radioattivo nelle aree dove operano i nostri soldati sono al di sotto dei limiti di sicurezza previsti dalle norme italiane per il nostro territorio.

Naturalmente, l’attività di controllo continua e continuerà fino a quando i nostri soldati saranno in Kosovo. Inoltre, i militari italiani che prestano servizio all’estero, in contingenti di pace, dovunque prestino servizio, al rientro in patria vengono, per precauzione, sottoposti a verifiche mediche di controllo. Desidero ricordare, inoltre, che l’Italia in questi anni si è costantemente impegnata, e si è impegnato il Governo italiano, per bandire l’uso delle armi inumane, dando a questa

Pag. 88

definizione un’interpretazione estensiva. Quanto alla riduzione del contingente olandese, a cui accenna l’Onorevole Ballaman nella sua interrogazione, collegandola al pericolo di inquinamento da uranio impoverito, posso affermare che quella riduzione è collegata ad esigenze operative di quel paese ed al suo strumento militare, pianificate da tempo, e non ha riferimento alla questione dell’uranio impoverito.

PRESIDENTE. L’Onorevole Ballaman ha facoltà di replicare.

EDOUARD BALLAMAN. Signor Presidente, mi dichiaro soddisfatto solo per la parte in cui il Governo dichiara di attivarsi, o di darsi da fare, per far sì che questo tipo di armi sia considerato non convenzionale e quindi proibito. Quella dei rientri, poi, è una notizia riportata non soltanto dalla stampa ma anche da un dispaccio del comando della KFOR della NATO, che fa riferimento a rimpatriati italiani con sintomi di leucemia, come febbre alta persistente e valore di piastrine abbattuto. Ora, se la KFOR, di cui facciamo parte, ha notizie diverse da quelle che ha il Ministero della Difesa, non so cosa farci; sicuramente, il ministro, il 7 giugno 2000, aveva già detto che non vi erano rischi, però allora come mai il 23 marzo 2000, il sottosegretario Calzolaio disse che la situazione non era per nulla tranquillizzante? Come mai al Ministero dell’Ambiente è stata insediata una Commissione il 25 maggio e da allora, però, non si è più neanche riunita?

Per quanto riguarda gli studi del centro interforze, sappiamo perfettamente che ha la possibilità di rilevare la radioattività, ma non i tipi di materiale di uranio che sono utilizzati, in quanto studi specifici possono essere effettuati solo dall’ENEA e dall’Università di Urbino. Il 15 agosto vi chiesi perché avete abbandonato il valico di Morini [almeno a noi risulta che lo avete abbandonato],
lasciando persino lì i moduli abitativi, dopo che erano stati effettuati i controlli sulle radioattività, ma sto ancora aspettando una risposta. Sempre il 25 agosto, vi chiesi perché per i militari di ritorno si consigliasse una serie di esami tipici per la leucemia, ma sto ancora aspettando una risposta.

Abbiamo chiesto l’istituzione di una Commissione Parlamentare, che riteniamo sia necessaria, anche perché ormai persino la Procura Militare di Roma si sta muovendo. Penso che, se 300 tonnellate di uranio nel Golfo hanno dato come risultato la sindrome del Golfo, ormai si possa parlare anche di sindrome balcanica, visto che solo nel Kosovo ne sono state lanciate 9 tonnellate. Per quanto riguarda Sarajevo, non abbiamo notizie che sia stato l’uranio, certo, ma purtroppo la NATO non ha mai smentito che a Sarajevo e nelle altre regioni della Bosnia sia stato utilizzato uranio. Sicuramente, in altre zone è stato utilizzato uranio [Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania]!

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.
Sospendo brevemente la seduta. 

 

 

 

 

IV COMMISSIONE DIFESA

AUDIZIONE

Seduta di giovedì 21 dicembre 2000

Comunicazioni del Ministro della Difesa, Sergio Mattarella, sulle conseguenze dell’impiego in Kosovo di munizioni all’uranio impoverito.

[http://legislature.camera.it/_dati/leg13/lavori/stencomm/04/audiz2/2000/1221/s000r.htm]

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca comunicazioni del Ministro della Difesa, Sergio Mattarella, sulle conseguenze dell’impiego in Kosovo di munizioni all’uranio impoverito.

Ringrazio tutti i numerosi colleghi intervenuti ed il Ministro Mattarella per la sua sollecita presenza in questa sede. Avverto che il Sottosegretario di Stato per l’ambiente, Valerio Calzolaio, ci ha fatto pervenire materiale relativo alle osservazioni dell’UNEP e delle altre autorità ambientali per il settore dei Balcani: tale materiale è disponibile per chi volesse consultarlo.

Nei due giorni scorsi ho partecipato ad una riunione dei presidenti delle Commissioni difesa dei Parlamenti nazionali dei paesi aderenti all’Unione europea. In incontri separati, e non in sessione plenaria, ho chiesto ai colleghi che, qualora avessero conoscenza di episodi analoghi a quelli che interessano il nostro paese, me lo facessero sapere. In occasione della guerra del Golfo una commissione francese svolse un’indagine specifica in materia; la risposta comunque è stata che a tutt’oggi non risultano episodi simili.
Avverto inoltre che con le comunicazioni di oggi devono intendersi svolte le interrogazioni assegnate alla Commissione difesa n. 5-08652 Ruffino e n. 5-08659 Olivieri, relative all’argomento trattato.

Infine, nel ribadire il mio ringraziamento per la partecipazione così numerosa dei colleghi, colgo l’occasione per formulare a tutti i migliori auguri di buon Natale e di felice anno nuovo.

Abbiamo scelto questa giornata per svolgere l’audizione perché abbiamo tempo, teoricamente fino alle 19. La nostra ferma opinione, come sapete, è che i problemi devono essere sollevati in Parlamento ed in Parlamento devono trovare una risposta, soprattutto quando si tratta di questioni come quella oggi in discussione, per ottenere soluzioni adeguate alla loro importanza.
Do la parola al ministro Mattarella.

SERGIO MATTARELLA, Ministro della Difesa. Signor Presidente, Onorevoli Deputati, desidero ringraziare lei e la Commissione perché con l’audizione odierna mi viene data l’opportunità di dare riscontro a notizie e valutazioni che hanno destato e destano preoccupazione. Rispetto a questo vi è un dovere di trasparenza e di chiarezza, lo stesso dovere che avverto per il mio intervento: quello della trasparenza, della concretezza e della rigorosa aderenza alla realtà.
Preliminarmente vorrei ribadire che l’Italia non ha mai fatto uso né dispone di proiettili all’uranio impoverito; non ve ne sono mai stati, neppure di altri paesi, nel

Pag. 3

poligono di Capo Teulada di cui si è parlato in questi giorni sui giornali. In quel poligono nessuna forza armata italiana o straniera ha mai utilizzato munizionamento ad uranio impoverito, così come è stato dichiarato ieri dal comandante militare della Sardegna, che ha anche fatto presente – rendendola ostensibile alla magistratura – che nella documentazione del poligono sono registrati, esercitazione per esercitazione, il tipo e la quantità di munizioni adoperate. Del resto, le caratteristiche del poligono sono estranee all’uso di quei proiettili.
Della vicenda di cui stiamo parlando nulla va sottovalutato: lo ripeto con convinzione, anche per la primaria importanza che va dedicata alla salvaguardia della salute degli uomini delle forze armate, siano essi in Italia o all’estero.
Come annunziato due giorni fa, ho istituito una commissione scientifica per accertare tutti gli aspetti della questione; essa è presieduta dal professor Franco Mandelli, autorità scientifica di altissima qualificazione internazionale, e ne fanno parte il professor Martino Grandolfo, direttore del laboratorio di fisica dell’Istituto Superiore di Sanità; il dottor Alfonso Mele, direttore del reparto di epidemiologia clinica dell’Istituto Superiore di Sanità; il dottor Giuseppe Onufrio, dell’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente [ANPA], che ha lavorato nell’ambito delle attività di accertamento e di verifica del Ministero dell’Ambiente in Kosovo; il dottor Vittorio Sabbatini, capo dell’ufficio nucleare del CISAM ed il generale medico Antonio Tricarico, direttore generale della sanità militare.

Compito della commissione è di accertare tutti gli aspetti medico-scientifici della vicenda. Potrebbe infatti trattarsi di singoli casi non collegati tra di loro; potrebbero rivelarsi casi collegati da una causa comune come l’uranio impoverito, anche se allo stato non sono emersi elementi di riscontro; ovvero, laddove essi fossero legati da una causa comune, questa potrebbe essere comunque un’altra, diversa dall’uranio impoverito. Tale commissione ha il compito di operare in tutte le direzioni possibili e per tutti gli aspetti legati alla questione.
Ripeto ancora che non si è sottovalutata, né s’intende sottovalutare, alcuna delle ipotesi, nemmeno la più remota: né quelle che possano in qualche modo correlarsi con i rischi da inquinamento ambientale connessi con l’utilizzazione di munizionamento all’uranio impoverito nell’area balcanica, né qualunque altra ipotesi diversa che possa essere collegata ai casi di malattia verificatisi.
Entrando più in concreto nei problemi, occorre distinguere tra questioni, notizie o ipotesi di notizie che non vanno confuse tra loro, sia perché non hanno nulla in comune sia per non alterare la corretta analisi delle questioni e dei fatti.

Prima di affrontare il tema relativo alla presenza nei Balcani, vorrei parlare dell’argomento apparso sui giornali a proposito degli elicotteristi.

Si è detto e scritto che ben 12 elicotteristi militari italiani si sarebbero ammalati di cancro negli ultimi mesi e che quattro di loro sarebbero morti. La notizia non risulta alla difesa, ed appare scarsamente verosimile che un fenomeno di tale gravità e dimensioni sia sfuggito alle autorità militari sia di comando sia sanitarie.
Risulta il caso di un sottufficiale in servizio a Pisa, che durante i controlli annuali è stato riscontrato affetto da una forma di leucemia; è un sottufficiale elicotterista che non è mai stato in servizio all’estero. Il fenomeno di ben 12 ammalati negli ultimi mesi, quattro dei quali morti – ripeto – non risulta.

Potrei fermarmi qui e dire che non è vero. Avrei potuto farlo anche nei giorni scorsi, ma ho preferito e preferisco spingere lo scrupolo oltre, ammettere, al di là delle verifiche fatte, l’eventualità che un pur così rilevante fenomeno sia sfuggito. Per questo ho chiesto pubblicamente che si indicassero i nomi o quantomeno i reparti in cui questi casi si sarebbero verificati.

Se un fenomeno così grave fosse vero, pur essendo del tutto indipendente dai

Pag. 4

Balcani [perché, secondo quanto affermato, si tratterebbe di elicotteristi mai stati in quella zona] sarebbe mio dovere disporre, oltre i controlli e agli accertamenti che già vengono svolti, nuove immediate iniziative per fronteggiarlo ed accertarne le cause. Sarebbero inoltre necessario adottare provvedimenti per evitare che un simile fenomeno si diffonda o si ripeta.

Se non fosse vero, sarebbe mio dovere, e non soltanto mio, dare serenità agli elicotteristi delle forze armate e ai loro famigliari rispetto ad un allarme molto grave. Per questo ho fatto quella richiesta: per andare con lo scrupolo al di là delle verifiche effettuate dai comandi militari.

Si è risposto che non si possono fornire questi elementi a motivo della privacy. Mi chiedo anzitutto, con molta misura, se questa valga di fronte all’affermazione di ben quattro elicotteristi morti. In ogni caso, la privacy non verrebbe violata se questi dati venissero forniti in forma riservata all’autorità militare di comando o sanitaria.
Vorrei sottolineare la responsabilità che si assume chi, dichiarando di essere in possesso di notizie così gravi, rifiuta o omette di fornire elementi che consentirebbero di affrontare e contrastare una condizione che, se vera, andrebbe affrontata immediatamente, perché sarebbe allarmante.

Il Governo vuole che nulla rimanga in ombra ed è consapevole del dovere istituzionale e morale di accertare fino in fondo la fondatezza di ogni notizia e di ogni ipotesi. È altrettanto convinto che a questo dovere si affianchi quello di garantire la serenità di migliaia di persone e delle loro famiglie, se non vi è motivo di metterla in discussione: questo comporta, per il Governo, l’esigenza di vagliare rigorosamente la fondatezza o infondatezza delle notizie, per le quali vi è il rischio di una moltiplicazione ingiustificata.

Per questo vi è l’intendimento e la volontà che nulla rimanga in ombra, sapendo che questi due doveri si affiancano: non lasciare nulla in ombra e non minare, se non ve ne è motivo, la serenità di migliaia di persone.

Per quanto riguarda i Balcani, va fatta qualche considerazione rispetto alla Bosnia. In ambito ONU, in questi anni, non è stato mai sollevato il problema del rischio d’inquinamento da uranio impoverito in tale zona. Ricordo, al riguardo, che l’ONU aveva autorizzato gli interventi aerei in Bosnia ed era codecisore delle operazioni, tanto che si è definita quella condizione come di «doppia chiave» ONU-NATO. È quindi significativo che in ambito ONU, protagonista degli avvenimenti, non sia stato sollevato in questi anni il problema.

Del resto in Bosnia, ed in particolare nell’area di Sarajevo, hanno operato ed operano migliaia di civili e di funzionari delle organizzazioni internazionali e non governative. A Sarajevo risiede il comando USA della SFOR ed un ampio contingente di quel paese. Vi operano anche una forte componente francese e quelle di molti altri Paesi, oltre a numerose rappresentanze diplomatiche – per non citare ovviamente la popolazione locale, che non va assolutamente dimenticata.
Eppure nella comunità internazionale non si è posto, in questi anni, un problema d’inquinamento da uranio impoverito in quell’area. Tuttavia, come ho già dichiarato altrove nei giorni scorsi, ritenevo possibile che vi fosse stato uso di questi proiettili in Bosnia, anche sulla base dei documenti pubblici raccolti in via informale; parte di questo materiale mi è stata fatta pervenire anche da associazioni private. Tutti gli elementi sono stati accuratamente valutati, pur nella loro incertezza.

Per questo, il 27 novembre scorso, ancor prima che si manifestasse l’attuale acuta attenzione al problema, ho richiesto alla NATO di comunicarci formalmente se fosse stato impiegato in Bosnia armamento all’uranio impoverito, essendovi necessità di assoluta chiarezza in argomento.

Sono in grado di comunicare alla Camera, tramite questa Commissione, che è pervenuta oggi la risposta da parte

Pag. 5

dell’Alleanza atlantica: in tre tornate, rispettivamente il 5 agosto 1994, il 22 settembre 1994 e nel periodo fra il 29 agosto e il 14 settembre 1995, nelle operazioni effettuate dagli aerei A-10 sono stati utilizzati in attacchi alle forze serbo-bosniache circa 10.800 proiettili all’uranio impoverito, a tutela della zona di esclusione attorno a Sarajevo stabilita dall’ONU, in un raggio di 20 chilometri dalla città.

Avendo ottenuto oggi chiarezza dalla NATO su quanto accaduto in Bosnia, il Governo ha chiesto di far pervenire, come avvenuto per il Kosovo, la mappa puntuale dei siti in cui sono stati lanciati i proiettili.

Devo manifestare rammarico per il fatto che le organizzazioni internazionali interessate forniscano solo ora, e per nostra richiesta esplicita, un’informazione sicuramente importante per la comunità bosniaca e per quella internazionale, considerando che la tutela dei militari nelle missioni di pace e delle popolazioni civili interessate è compito ineludibile della comunità internazionale. Rimane naturalmente impregiudicato – lo ripeto perché è necessario farlo, ed aderente alla realtà – il problema della portata effettiva di pericolosità dell’uranio impoverito, questione di cui l’UNEP si è già occupata in Kosovo.

L’esigenza di prevedere in seno all’Alleanza atlantica procedure più adeguate di condivisione delle informazioni e di approntamento di misure comuni su materie così delicate, appare quindi necessario. Aggiungo, inoltre, che il Governo italiano intende invitare l’UNEP a svolgere anche in Bosnia una missione analoga a quella tenutasi in Kosovo. Per quanto riguarda la competenza della difesa, ho disposto l’immediato invio di una missione di esperti del CISAM in Bosnia per procedere opportunamente a misurazioni e monitoraggi.

In Kosovo si è fatto, come è noto, un uso consistente dei proiettili ad uranio impoverito. La NATO ha comunicato nel maggio 1999 di averne fatto uso. Nell’ottobre 1999 l’ONU ha fatto richiesta di conoscere i siti bombardati, che sono stati comunicati il 7 febbraio 2000.

Come è noto i nostri militari entrati in Kosovo nel giugno 1999, si sono attestati a Pec, mentre gli inglesi si sono insediati a Pristina e nella regione centrale circostante, essendo titolari del primo comando di KFOR localizzato in quella città. Il contingente USA si è insediato nel settore sud-est, lungo la fascia più critica, quella accanto alla valle di Presevo, a contatto con il contingente russo.

Il nostro contingente si è insediato a nord-ovest nel settore che confina con l’Albania, considerato che già esisteva una missione di militari italiani in Albania, presenti anche sul confine verso il Kosovo, in coerenza con l’opportunità di affidare all’Italia il controllo di entrambe le parti del confine.

Desidero ricordare quanto ho fatto presente nei mesi scorsi. Fin dall’ingresso dei nostri militari in quel territorio si sono adottate misure di protezione: monitoraggio ambientale, ampia attività informativa, bonifica del territorio con reparti militari NBC specializzati nella protezione e decontaminazione di persone e di materiali. Ogni unità militare dispone di nucleo specializzati NBC per tali operazioni. Questi nuclei, che operano in modo preventivo nelle aree in cui si dispiegano i nostri reparti, sin dai primi di luglio 1999 sono stati rinforzati da un’ulteriore compagnia specializzata.

Come misura aggiuntiva di cautela sono stati successivamente inviati esperti fisici del Centro interforze studi per le applicazioni militari [CISAM], che hanno verificato, in diversi periodi, con sofisticate metodiche di laboratorio, i risultati delle attività svolte dal personale dei nuclei operativi NBC.

I primi controlli sono stati effettuati negli alloggi destinati ad ospitare i nostri soldati, per verificare che fossero sicuri: controlli di aria, suolo, acqua e pareti. I controlli sono stati effettuati usando strumenti molto sofisticati ed affidabili, come

Pag. 6

il Rotem, che è un rilevatore di radiazioni, realizzato in Israele, di gran lunga più sensibile di un contatore Geiger.

L’insieme di queste misure e controlli, come ho già detto in Parlamento, ha permesso di confermare che i livelli di inquinamento nelle aree dove operano i nostri soldati sono al di sotto dei limiti di sicurezza previsti dalla normativa italiana [decreto legislativo n. 230 del 1995] per il nostro territorio.
Gli specialisti hanno potuto compiere gli accertamenti con estrema precisione, grazie alle mappe fornite all’ONU dalla NATO; dove erano segnate le zone di probabile caduta dei colpi. In tutto, sono stati ritrovati 800 grammi di uranio e circa due chili di metallo degli involucri esterni dei proiettili. Questi materiali sono custoditi, in attesa che la NATO decida il loro stoccaggio, in appositi recipienti con una protezione di piombo e una di plastica speciale. Nella terra dei campi in cui sono stati trovati i frammenti, non si è rilevata contaminazione.

Va fatto riferimento ad un’iniziativa particolarmente autorevole: un gruppo di scienziati è stato inviato in Kosovo, un mese addietro, dal programma per l’ambiente dell’ONU. Si tratta di 14 esperti d’istituzioni scientifiche di diversi paesi incaricati di studiare e raccogliere prove sul terreno, i cui risultati definitivi saranno divulgati a febbraio prossimo. In base ai primi rilievi essi hanno anticipato che le radiazioni da uranio impoverito, rimasto a seguito dei bombardamenti della NATO, non appaiono pericolose per l’ambiente. In questo è stato particolarmente esplicito il capo dell’équipe di esperti, finlandese. A questa attività partecipano rappresentanti dell’ANPA come ha ricordato, nei giorni scorsi, il sottosegretario per l’ambiente Calzolaio.

È stata misurata la radioattività in 11 dei 112 siti dove durante la campagna aerea è stato usato uranio impoverito. I risultati hanno indicato che in Kosovo, in quei luoghi, il livello non è superiore a quello considerato normale in alcuni paesi, tra cui l’Italia. Questo è quello che emerge dall’attività dell’UNEP.

Indipendentemente dal basso rischio, comunque hanno opportunamente affermato che occorre in ogni caso proseguire nell’attuazione di idonee misure di prevenzione. Presidente, in questi giorni sono stati citati alcuni casi che vorrei esporre alla Commissione senza rivelare l’identità degli interessati, anche se di quasi tutti si è molto parlato in questi giorni.

Si tratta di un soldato della Sardegna, che non ha mai prestato servizio nei Balcani, deceduto nel 1994 per leucemia linfoblastica acuta; di un graduato di truppa della Sardegna che è stato in Albania per due mesi nel 1997 e poi a Sarajevo da metà novembre 1998 a metà aprile 1999, deceduto per leucemia linfoblastica acuta; di un sottufficiale della Puglia, che è stato a Sarajevo e a Pale da fine agosto 1998 ai primi di aprile 1999, deceduto per linfoma non-Hodgkin; di un maresciallo della Croce rossa italiana del Lazio, che è stato impiegato per trasporto di aiuti umanitari nei territori della ex-Jugoslavia per 17 giorni con un tragitto Spalato-Dubrovnik-Sarajevo-Zenica: quindi egli non ha prestato servizio in Bosnia, ma vi ha solo trascorso alcuni giorni; è stato successivamente nei campi profughi di Kukes in Albania per 19 giorni nell’aprile del 1999 e di Kavaje in Albania per un mese nel luglio 1999; è deceduto per una forma ematologica acuta proliferativa. Si tratta ancora di un graduato di truppa della Sardegna che è stato a Dakovica, in Kosovo, dalla fine di giugno a metà ottobre del 1999; è tornato a Dakovica da metà giugno ai primi di agosto del 2000; a fine 1999 ha avuto diagnosticato uno pseudo linfoma cutaneo che è stato asportato e successivamente, rientrato in servizio, è stato, nel novembre 2000, destinatario di una diagnosi di un linfoma non-Hodgkin e che è da ricontrollare.

Si tratta poi di un graduato di truppa della Sardegna che è stato a Sarajevo da fine settembre 1996 a fine gennaio 1997, a Dakovica dalla fine di luglio 1999 alla fine di ottobre 1999 e ancora a Dakovica

Pag. 7

da fine giugno 2000 a metà novembre 2000; è stato ricoverato per sospetto linfoma ed è tuttora in osservazione.

C’è poi un graduato di truppa della Sardegna che è stato in Albania per un mese nel 1997 e a Skopije in Macedonia per due mesi e mezzi nel 1999, tra la fine di marzo e i primi di giugno; non si è mai trovato nel teatro in cui si sono svolte azioni belliche in Bosnia o in Kosovo, ma in Albania e in Macedonia. Egli ha avuto diagnosticato un linfoma di Hodgkin ed è in cura.

Si tratta poi di un sardo che è stato in servizio in Somalia per quattro mesi tra la fine del 1993 e i primi mesi del 1994, cui è stato diagnosticato un tumore; si tratta poi di un soldato del Veneto che non è stato nei Balcani in nessuna occasione, che ha avuto diagnosticato un linfoma di Hodgkin; di un sottufficiale del Lazio che non è mai stato nei Balcani e che ha avuto diagnosticata una leucemia mieloide cronica: è comunque in servizio, anche se in terapia.
Si tratta poi di un sottufficiale pugliese che è stato in Bosnia dalla fine di gennaio alla fine di giugno del 1997 e da metà luglio a metà febbraio 1998, che è stato ricoverato con un referto di linfoma di Hodgkin.

Da questo elenco escludo il caso di un militare di truppa della Sardegna cui nei giorni scorsi è stata diagnosticata una sindrome di astenia di uranio impoverito, ed i cui esami hanno nei giorni scorsi dato esito negativo sia sul piano ematochimico, sia dopo ecografia tiroidea e controllo spirometrico; egli è quindi in servizio, essendo stato riconosciuto esente da qualsiasi patologia.
Ad esclusione di quest’ultimo, si tratta, come si vede [compresa la situazione del sottufficiale della Croce rossa, che ha trascorso pochi giorni in Bosnia senza prestarvi servizio], di dieci casi.

Naturalmente vale la pena ricordare che vi sono certamente altri casi che, nel corso di questi anni, possono e avranno certamente interessato la popolazione militare italiana oggi composta di 260 mila uomini [negli anni passati è stata anche più numerosa], che non sono emersi a fronte di quelli da me citati e conosciuti. È verosimile che per le persone che sono state nei Balcani siano emersi dei casi, ma questo fa parte di un accertamento che viene rigorosamente svolto.
Ai 10 casi da me citati si aggiunge quello dell’elicotterista che non ha mai prestato servizio all’estero. Pertanto solo 5 degli 11 casi riguardano personale militare che ha prestato servizio in Kosovo o in Bosnia. Inoltre, tra essi si sono manifestate patologie diverse.

Rimane il problema d’identificare se vi sia un effettivo collegamento tra queste patologie e l’uranio impoverito, collegamento che – come vi ho detto – allo tato attuale non risulta avvalorato da riscontri oggettivi, ma che comunque è giusto verificare ed accertare con il massimo scrupolo. È per questo che lavorerà la commissione istituita, ossia per valutare – come ho detto inizialmente – quali siano le cause dei decessi e delle malattie e per verificare se siano riconducibili a vicende individuali o collegabili all’uranio impoverito, oppure se siano riconducibili ad una causa comune diversa dall’uranio impoverito.
Credo infatti che accanto alla doverosa esigenza di accertare se queste malattie siano collegabili all’uranio impoverito vi è anche quella di non concentrarsi esclusivamente su questa ipotesi, rischiando di precludersi l’accertamento di altre possibili cause.

Signor presidente, mi permetta altre due considerazioni. Ho letto in questi giorni che altri paesi avrebbero lamentato decessi per la presenza in Kosovo, in particolare il Portogallo e il Belgio. Per quanto riguarda il Belgio gli accertamenti eseguiti presso le autorità belghe hanno fatto emergere che non sono stati denunziati decessi di militari in Kosovo; il generale capo della sanità militare, Van Hoof, ha parlato complessivamente delle malattie presenti e delle patologie riscontrate nei militari belgi.

Si è detto che il Portogallo starebbe protestando per i rischi, ma questo viene smentito dai contatti avuti con le autorità

Pag. 8

portoghesi. Non vi è alcuna intenzione del genere, mentre è annunziata da tempo dal Portogallo l’esigenza di un avvicendamento per rinforzare il proprio contingente a Timor Est.

L’ultima considerazione sarà forse estranea all’argomento, ma è giusto formularla perché questa Commissione ha la responsabilità politica degli orientamenti della difesa.

Come ho detto, vi è l’esigenza di approfondire con scrupolo ogni aspetto perché nulla rimanga in ombra: questa avverrà! Per questo è stata costituita un’apposita commissione; per questo ho richiesto formalmente alla NATO delle notizie; per questo le sto divulgando; per questo sto chiedendo ulteriori notizie precise alla stessa NATO. Vorrei però che l’odierno dibattito, in tutti i suoi contorni anche i più accesi, non innescasse un clima tale da mettere in discussione la nostra presenza nei Balcani. Durante i mesi scorsi, specie da parte degli organi di stampa, è stata formulata un’ipotesi circa il ritiro degli americani dai Balcani a seguito della nuova presidenza: se oggi, con le prospettive per la prima volta positive ma difficili che si delineano nella ex-Jugoslavia, si addivenisse al ritiro dei contingenti multinazionali dal Kosovo e dalla Bosnia, quelle zone ripiomberebbero nella violenza e nel vuoto politico che dà spazio a tutti i movimenti ed i traffici illegali di cui noi subiamo le conseguenze. Non soltanto si perderebbe un’occasione importante per pacificare quella regione così travagliata, il che è interesse dell’Europa e del nostro paese, ma si offrirebbe anche uno spazio amplissimo ai traffici di cui l’Italia subisce le conseguenze più di chiunque altro. È una preoccupazione che intendevo rassegnare alla Commissione, ringraziandovi ancora per l’attenzione e dichiarando la massima disponibilità per qualunque approfondimento.


Strasburgo, 17 gennaio 2001: Resoconto integrale delle discussioni [https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/CRE-5-2001-01-17-ITM-001_IT.html?redirect].



Resoconto seduta n. 33 del 28 febbraio 2001 [https://www.consiglio.marche.it/attivita/assemblea/sedute/scheda7.php?seduta=33].


[https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/172392.pdf]


Il caporalmaggiore Salvatore Vacca del 151° reggimento della Brigata Sassari, originario di Nuxis, è morto, nel 1999, a soli 23 anni, a causa di una leucemia contratta dopo l’esposizione a munizioni all’uranio impoverito durante la missione in Bosnia.

E il Ministero della Difesa è responsabile di condotta omissiva per non averlo protetto adeguatamente.

Lo indica la sentenza del 20 maggio 2016 della Corte di Appello di Roma, che ha confermato la condanna in primo grado del Ministero a risarcire la famiglia del soldato per oltre un milione e mezzo di euro [Uranio impoverito, Ministero della Difesa condannato per la morte di Salvatore Vacca, La Nuova Sardegna, 20 maggio 2016, https://www.lanuovasardegna.it/regione/2016/05/20/news/uranio-impoverito-ministero-della-difesa-condannato-per-la-morte-di-salvatore-vacca-1.13508521].

 

Il 4 febbraio 2004, moriva Valery Melis, dopo una lunga malattia che lo aveva colpito quattro anni prima, di ritorno da una missione in Kosovo.

“Non fu dovuta all’uranio impoverito la malattia. Non esistono dati sulla cancerogenità delle nanoparticelle, quindi non può essere questa la causa della morte del soldato stroncato dal linfoma di Hodgkin”,

ha sentenziato, nel 2015, il TAR Della Sardegna, respingendo, così, la richiesta di risarcimento avanzata dai genitori, Dante e Marie Claude Melis.

Nel 2011, il Tribunale Civile di Cagliari aveva, invece, condannato il Ministero della Difesa a risarcire con 584mila euro i familiari di Valery.

Il giudice Vincenzo Amato aveva, anche, ritenuto responsabile l’Esercito di essere stato a conoscenza dei rischi cui i soldati andavano incontro negli Anni Novanta, durante le missioni balcaniche [TAR, niente risarcimento per la morte di Valery Melis: “Malattia non dovuta all’uranio”, Cagliaripad, https://www.cagliaripad.it/183781/tar-niente-risarcimento-per-la-morte-di-valery-melis-and-ldquo-malattia-non-dovuta-all-and-rsquo-uranio-and-rdquo/].

 

ITALY: DEPLETED URANIUM WEAPONS SCARE LATEST

[https://www.youtube.com/watch?v=8NPfS6zhF2E]


ITALY: NATO URGED TO STOP USING PROJECTILES

[https://www.youtube.com/watch?v=uKTcJPAfKgQ]

 


Uranio impoverito, colonnello Croce Rossa: “Traditi: vertici sapevano, anche Mattarella.”

[https://www.youtube.com/watch?v=kee6US8QCBc&t=5s]


 Uranio impoverito, presidente Commissione: “Causalità accertata tra esposizione e tumori.” 

[https://www.youtube.com/watch?v=1G2JFgUgRFQ].

 

 

 


  

Mauro Pili, Strage all’uranio impoverito, la NATO invoca l’immunità, Centinaia i militari morti per i bombardamenti nella ex-Jugoslavia, ecco il documento con il quale l’organizzazione militare vorrebbe “salvarsi”. E poi c’è il caso “Torio” di Teulada e Quirra, anche qui la NATO invocherà l’immunità?, Unione Sarda, 4 giugno 2022 [https://www.unionesarda.it/news/mondo/strage-alluranio-impoverito-la-nato-invoca-limmunita-a5tep2a9].

 

Antonio Amorosi, NATO choc: abbiamo immunità, non potete processarci per i crimini di guerra, Uranio impoverito / Al tribunale di Belgrado un pool di avvocati con un italiano cita in giudizio la NATO per i crimini di guerra commessi nella ex Jugoslavia, Affarit Italiani, 16 giugno 2022 [https://www.affaritaliani.it/cronache/nato-choc-abbiamo-immunita-non-potete-processarci-per-i-crimini-di-guerra-801357.html].

 


 



“Nella primavera del 2008 ho attirato l’attenzione su racconti credibili fatti alla Procura del TPIJ circa sequestri e sparizioni di persone in Kosovo nel 1999, e su indizi che alcune vittime di tali rapimenti erano state uccise nell’ambito di un traffico organizzato per procurarsi e commerciare organi umani.

Queste affermazioni indignate riportate nel mio libro di memorie, La Caccia, erano corroborate da indizi fisici credibili e verificabili, ottenuti durante una missione nel territorio della Repubblica d’Albania da investigatori del TPIJ e della Missione delle Nazioni Unite in Kosovo [UNMIK] in presenza di un pubblico ministero del Governo dell’Albania.”

Lei disse che prigionieri serbi erano stati rapiti dall’Esercito di Liberazione del Kosovo [UCK], alla fine della Guerra in Kosovo, tra il 1998 e il 1999.

Lei disse che prigionieri serbi erano stati deportati in Albania, dove erano stati assassinati.

Lei disse che da prigionieri serbi erano stati espiantati organi per essere venduti.

Lei è Carla Del Ponte, procuratore del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia [TPIJ], dal 1999 al 2007, la prima a dire che “l’uccisione intenzionale di prigionieri al preciso scopo di prelevare e vendere i loro organi per lucro sia stata organizzata da membri di alto livello dell’UCK, comprese persone che, oggi, hanno alte cariche nel Governo di quel Paese”.

Grazie a una buona dose di caparbietà, Carla Del Ponte si crea, molto presto, una fama di giudice temibile e scomodo, tanto da essere soprannominata Carlina la peste. Va ricordata la proficua collaborazione con Giovanni Falcone, che consente, tra l’altro, di provare il legame tra il riciclaggio di danaro, effettuato in Svizzera e la Mafia siciliana nel quadro dell’indagine, avviata già nel 1979, sul traffico di droga tra l’Italia e gli Stati Uniti, denominata Pizza Connection.

Il 21 giugno 1989, mentre queste indagini sono in corso, sfugge, con il collega svizzero Claudio Lehmann, – grazie a una provvidenziale serie di circostanze – a un attentato dinamitardo nella spiaggetta antistante la villa affittata da Falcone, in località Addaura. 

Nel 1999, Carla Del Ponte diviene Procuratore del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia [ICTY], sostituendo Louise Arbour, e, contemporaneamente, viene incaricata di seguire il dossier sul genocidio in Ruanda nel Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda.

Dal gennaio del 2008 al febbraio del 2011, ricopre la carica di Ambasciatore della Svizzera in Argentina.

Nel 2013, entra nella Commissione Indipendente Internazionale d’Inchiesta sulla Siria delle Nazioni Unite, ma, il 6 agosto 2017, Carla Del Ponte annuncia le sue dimissioni, dal Festival del Cinema di Locarno, con un duro atto di accusa.

“È una Commissione inutile”,

dice.

“La Giustizia Internazionale non funziona in Siria perché non c’è una volontà politica. Servirebbe il sostegno degli Stati e, in particolare, in questo caso, del Consiglio di Sicurezza dell’ONU: quest’ultimo viene bloccato dai veti della Russi e della Cina e, quindi, non si prende la decisione di ottenere Giustizia per le vittime.”

Così, Carla Del Ponte sbatte la porta e se ne va:

“Perché non ci sto più a stare in questa Commissione che non riesce a ottenere giustizia per le vittime, in questa commissione che non ha nessun futuro perché non vi è volontà politica, perché gli Stati non vogliono Giustizia per le vittime in Siria. Non posso rimanere in questa Commissione che in fondo non fa niente.”

Del Ponte rivela che questa decisione è maturata da tempo:

“Sono sette anni che in Siria vi è la guerra e la Commissione non fa nulla. Il Consiglio di Sicurezza deve istituire o una Corte permanente, o ancora meglio un Tribunale ad hoc, come per la ex-Jugoslavia, visto l’elevato numero di crimini commessi. Ma si tratta di un futuro che per ora non vedo. Abbandono la Commissione, non le vittime, sarei pronta domani ad assumere il ruolo di procuratrice se fosse creato un Tribunale Internazionale per la Siria.”

Sono affermazioni gravi, che si commentano da sole, alle quali non seguono significative reazioni.

Anche questo si commenta da solo [https://www.youtube.com/watch?v=08sOkYZZfSY, https://www.youtube.com/watch?v=Nx5q0kEo9fA]!

 

  

Ricordiamo la risata a piena gola di Bernard Kouchner – Alto Rappresentante del Segretario Generale dell’ONU in  Kosovo, nel periodo dal luglio del 1999 al gennaio del 2001 –, quando, nel marzo del 2010, un giornalista serbo lo interrogò sulla “Casa Gialla”.


Il primo marzo del 2010, in visita  ufficiale in Kosovo, Bernard Kouchner è intervistato da un giornalista serbo, circa le voci secondo cui sarebbe coinvolto nel traffico di organi. Diversi media serbi avevano accusato Kouchner di avere coperto tali azioni, quando era Alto Rappresentante delle Nazioni Unite nella regione [1999-2001].

La “Casa Gialla”, dove furono espiantati organi a più di 300 civili serbi prigionieri, prima di essere assassinati, è attestata dall’ex-Procuratrice Carla del Ponte, nel suo libro La Caccia. Io e i criminali di guerra.

Gli investigatori individuarono la “Casa Gialla” a Burrell, in Albania.

Nel rispondere alla stampa, Bernard Kouchner non mostra alcuna compassione per le vittime e le loro famiglie. Assai stranamente, ha scelto di negare la complicità passiva a lui imputata, contestando l’esistenza del reato. Inoltre definisce “bastardi assassini” coloro che hanno diffuso questa voce; dichiarazioni che includono anche Carla Del Ponte.

Sempre nel 2010, intervistato dal canale televisivo BBC riguardo al rapporto che Dick Marty aveva presentato al Consiglio d’Europa sul traffico di organi durante la guerra nella ex-Jugoslavia, Kouchner si era detto scettico, ma comunque a favore di una inchiesta internazionale.

L’ex-Alto Rappresentante riteneva falsa l’accusa di Dick Marty che servizi segreti e leaders occidentali fossero a conoscenza del traffico di organi alla fine degli Anni Novanta:

“Anche io sono stato accusato di esserne al corrente ma non ne sapevo nulla. Se avessi saputo avrei premuto perché fossero avviate delle indagini. Ho sentito parlare del traffico di organi, per la prima volta, nel 2008, quando l’ex-procuratrice Carla Del Ponte ne aveva scritto nel suo libro e ne ero rimasto molto sorpreso.”

“Dick Marty è un pover’uomo. Nei Balcani ci siamo sempre battuti contro il crimine organizzato, abbiamo sempre operato nel nome della giustizia. Non mi devo difendere da alcuna accusa. Chi è Dick Marty? Non lo conosco. Fa parte del Consiglio d’Europa e come tale va rispettato. Lo rispetto, ho letto il suo rapporto ma sono scettico. E devo dire di non aver mai incontrato Marty in Kosovo.”

Riguardo all’ex-Premier del Kosovo Hashim Thaci, Kouchner era stato prudente:

“Non sono in grado di giudicare il suo operato. È un politico che rispetto. Il fattore importante è che la pace venga mantenuta in una regione dove la Comunità Internazionale ha investito sforzi e denaro. Ritengo che i leaders occidentali non debbano sentirsi a disagio all’idea di incontrare Thaci, perché lui non è un ostacolo. Neppure le accuse che pesano su di lui devono essere un ostacolo.”

Une guerre juste pour un Etat mafieux, un libro di Pierre Péan e Sébastien Fontenelle, pubblicato nel maggio del 2013, riferisce testimonianze agghiaccianti di ex-combattenti dell’UCK [https://www.youtube.com/watch?v=7Y5cLMl7ZcA, http://voix.blog.tdg.ch/archive/2013/08/18/l-eclat-de-rire-du-french-doctor-et-la-maison-jaune.html, https://www.youtube.com/watch?v=t8nCBv-9x0U&t=83s, https://www.youtube.com/watch?v=12HXAl-hFL0, https://www.youtube.com/watch?v=3Xi-uLR0wcM, https://www.youtube.com/watch?v=-DduKVfiuVM].


Ex-UNMIK chief Kouchner “could testify about KLA crimes”

French daily Figaro is reporting that Bernard Kouchner could be called to testify about the crimes committed by the KLA in Kosovo, b92, 9 marzo 2016 [https://www.b92.net/eng/news/crimes.php?yyyy=2016&mm=03&dd=09&nav_id=97314].







Paul Lewis, Report identifies Hashim Thaci as “big fish” in organised crime, Kosovo’s prime minister accused of criminal connections in secret NATO documents leaked to the Guardian, the Guardian, 24 gennaio 2011, [https://www.theguardian.com/world/2011/jan/24/hashim-thaci-kosovo-organised-crime?INTCMP=SRCH].

 

PACE Endorses Report On Kosovo Organ-Trafficking, Accusing PM Thaci Of Crimes, Radio Free Europe/Radio Liberty, 25 gennaio 2011  [https://www.rferl.org/a/pace_endorses_report_kosovo_organ_trafficking_ring/2287194.html].


[https://twitter.com/HashimThaciRKS/status/1274636092508160005].

 

In questa famosa fotografia, cinque personalità giurano, nel mese di settembre del 1999, di portare il Kosovo verso l’indipendenza. A sinistra, si riconosce Hashim Thachi [allora leader dell’UCK], Bernard Kouchner [allora Alto Rappresentante delle Nazioni Unite in Kosovo], Sir Mike Jackson [ex-comandante delle truppe britanniche nel massacro del Bloody Sunday, in Irlanda, allora comandante delle forze di occupazione della NATO], Agim Ceku [comandante dell’UCK, accusato di crimini di guerra dall’esercito canadese e dalla Serbia] e a destra, il generale Wesley Clark [allora comandante supremo della NATO].

Una foto nell’album di famiglia della NATO che qualcuno a Bruxelles, oggi, pensa sarebbe stato meglio non venisse, mai, scattata.

Prima dell’inizio della guerra Hashim Thaci, nome di battaglia Gjarper, che in albanese significa serpente, parlava, già, dell’UCK come della fanteria della NATO. Fino a sostenere che la NATO era “l’aviazione dell’UCK”. Dietro le sue parole non vi era solo la protervia del capo di un approssimativo esercito che per tutti i 78 giorni dei bombardamenti aerei sulla Jugoslavia, scacciato dal Kosovo, è rimasto, timidamente, arroccato in territorio albanese, riuscendo a penetrare di neppure due chilometri in territorio kosovaro e che quando lo ha fatto, si è visto bombardare da “fuoco amico”, da quella che considerava la propria aviazione, i caccia della NATO.

Thaci non è stato solo il leader di una formazione terroristica musulmana che ha scatenato la guerriglia contro un potere costituito, giustiziando centinaia di kosovari-albanesi considerati “collaborazionisti”» e non è stato neppure solo il fiduciario di una ben collaudata organizzazione di narcotrafficanti, Thaci è stato, soprattutto, la pedina mediatica di un abile gioco internazionale, che ha visto il mondo intero intervenire in suo favore ma con la convinzione di promuovere una “guerra umanitaria” in favore del suo Popolo. E per dieci anni, pur di mantenere il suo potere, Thaci è stato disposto ad accettare un pur blando protettorato della NATO, ricevendone in cambio la possibilità di continuare a essere il padrone assoluto di un Paese, il Kosovo, e divenendo, al contempo, il principale alimentatore dei valori più retrivi: l’odio, il razzismo, la protervia, la violenza elevata a unica componente della politica.

Dove finiscono le armi quando finiscono le guerre?

Tutto ha origine quando l’Unione Sovietica inizia a dismettere gli arsenali e la preoccupazione di una Terza Guerra Mondiale viene meno.

I Balcani costituiscono, da sempre, un’area molto appetibile per i mercanti di armi: guerre continue, sia pure di portata regionale, a causa della forte compresenza di diverse etnie e religioni.

Il 23 Dicembre 1990 – data dell’esito positivo del Referendum popolare sull’indipendenza della Slovenia – inizia la disgregazione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia [Socijalistička Federativna Republika Jugoslavija, SFRJ].

Da quel momento, i maggiori Stati produttori e venditori di armi iniziano a “farsi i loro affari”, anche se favorevoli alla Risoluzione 713 [http://www.un.org/fr/documents/view_doc.asp?symbol=S/RES/713[1991]], adottata, il 25 settembre 1991, dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che decretava l’embargo generale sulle armi e sull’equipaggiamento militare contro l’intera Federazione Jugoslava e invitava il Segretario Generale Javier Pérez de Cuéllar a offrire la propria assistenza per sostenere lo sforzo negoziale condotto dalla Comunità Europea nell’ambito della Conferenza dell’Aia.

La Serbia ha il triste primato di tumori in Europa.

E la NATO potrebbe andare a processo per le bombe all’Uranio Impoverito.

La Corte Suprema di Belgrado contesta, infatti, l’uso delle bombe “umanitarie” [https://onanotiziarioamianto.it/nato-denuncia-processo-uranio-impoverito/].

Se vi è proprio una cosa che non comprendo è il clima di indifferenza di fronte a questa distruzione irreversibile di ogni vita sulla Terra!

E in quale sofferenza!

 

 

 

Ehemalige Anführer der kosovarischen Miliz UÇK müssen sich in Den Haag verantworten

Alte Garde vor Gericht

In Den Haag hat der Kriegsverbrecherprozess gegen den 2020 zurückgetretenen Präsidenten des Kosovo, Hashim Thaçi, und weitere ehemalige Führungsmitglieder der Guerilla UÇK begonnen. Diese wurde zur Tatzeit von der Nato unterstützt. [https://jungle.world/artikel/2023/15/alte-garde-vor-gericht].


Pristina, 2016: il Vicepresidente americano Joe Biden e Hashim Thaci.

 

 

 Pristina 2013: il Presidente americano Barack Obama, Hashim Thaci e Michelle Obama.

 

Unione Europea 2019: Hashim Thaçi e il Vicepresidente della Commissione Europea Federica Mogherini.

 

Città del Vaticano, 2017: Papa Francesco e Hashim Thaci.



Pristina, 2019: Bill Clinton, Madeleine Albright e Hashim Thaci.

 

Jens Stoltenberg e Hashim Thaci.

 

Hashim Thaci e Antonio Tajani

 

Roberta Pinotti e Hashim Thaci

 

Justin Trudeau e Hashim Thaci

  

Hashim Thaci e Tony Blair

 

 Hashim Thaci e Sebastian Kurz

 

Edvin Kristaq Rama e Hashim Thaci.

 

Hashim Thaci e Matteo Renzi

 

 

 


Julia Fioretti, Inquiry finds “indications” of organ harvesting in Kosovo conflict, Reuters, 29 luglio 2014 [https://www.reuters.com/article/us-eu-kosovo-investigation-idUSKBN0FY1FK20140729].

 

 PM Thaci “implicated” in report on organ trafficking

A draft report by the Council of Europe alleges that Kosovo’s Prime Minister Hashim Thaci (pictured) headed a crime ring in the 1990s that engaged in organ trafficking. The Kosovo government has denounced the report as baseless, France 24, 15 dicembre 2010 [https://www.france24.com/en/20101215-kosovo-prime-minister-hashim-thaci-implicated-report-organ-trafficking-report-marty].

 

Orlando CrowcroftLeaked files, organ removal and irrepressible anger”: What’s behind the Kosovo war crimes probe? Euronews, 29 settembre 2020 [https://www.euronews.com/my-europe/2020/09/29/leaked-files-organ-removal-and-irrepressible-anger-what-s-behind-the-kosovo-war-crimes-pro].

 


Nel rapporto, redatto per il Consiglio d’Europa, nel dicembre del 2010, Dick Marty accusò Hashim Thaci, ex-leader dell’Esercito di liberazione del Kosovo [UCK] ed ex-Primo Ministro del Kosovo, di essere stato alla testa di una rete mafiosa di traffico di organi. Il rapporto stabilisce un legame tra questo traffico, organizzato dai combattenti dell’UCK su prigionieri serbi, e il Caso Medicus, sopravvenuto anni più tardi e che ha visto la condanna, nell’aprile del 2013, di cinque medici per traffico internazionale di organi [https://www.youtube.com/watch?v=qFboznsjfas].

Furono le accuse mosse da Carla Del Ponte nel suo libro, La Caccia, che condussero a una inchiesta del Consiglio d’Europa, di cui fu incaricato Dick Marty. Nel suo libro, Carla Del Ponte cita, infatti, i testimoni che denunciarono l’espianto di organi su 300 serbi, deportati dal Kosovo nel Nord dell’Albania.

Secondo Marty, il traffico sarebbe, prima, avvenuto con prigionieri catturati e uccisi dall’UCK e, poi, continuato nella Clinica Medicus con donatori viventi provenienti da Paesi poveri europei e asiatici.

Al termine della guerra, erano stati i soldati tedeschi della KFOR, la missione NATO in Kosovo, a controllare l’area di Hashim Thaci. E proprio due eurodeputati tedeschi, Bernd Posselt e Doris Pack, attaccarono il rapporto del Consiglio d’Europa, in cui Dick Marty denunciava un traffico di organi in Kosovo.

 

Kosovo police bust organ trade ring

[https://www.youtube.com/watch?v=t2KACdWFx5U]

  

NLM’s Collection on the US Public Health Service Syphilis Study at Tuskegee  [https://www.youtube.com/watch?v=O1LE6gED9LI].

I ricercatori di Key Rockefeller e Johns Hopkins, coinvolti negli esperimenti in Guatemala, erano anche dietro gli esperimenti di Tuskegee, in cui 600 mezzadri afroamericani impoveriti non furono, mai, informati di avere la sifilide e ricevettero placebo anziché cure. Nel 1997, quando, tra l’altro, venne trasmesso il primo e unico film sulla vicenda [https://www.imdb.com/title/tt0119679/?ref_=ttpl_pl_tt] il Governo statunitense, nella persona del Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, si è scusato formalmente con le vittime, durante una cerimonia alla Casa Bianca, dove erano presenti 5 delle 8 persone ancora in vita:

“Uomini poveri e afroamericani, senza risorse e con poche alternative, credevano di aver trovato speranza quando gli era stata offerta assistenza medica gratuita dal Servizio Sanitario Pubblico degli Stati Uniti. Sono stati traditi.”

Nella prima metà del secolo scorso la sifilide era la malattia sessualmente trasmissibile che preoccupava di più. Non esistevano ancora cure molto efficaci contro l’infezione, e i pochi trattamenti disponibili avevano, spesso, pesanti effetti collaterali.

Nel 1932, l’US Public Health Service [PHS] decise di condurre uno studio per monitorare l’evoluzione della malattia nei maschi che non avevano, mai, ricevuto trattamenti, e la scelta cadde, automaticamente, sulle comunità rurali afroamericane presenti nel Sud del Paese, dove non solo la prevalenza della sifilide era più alta, ma la povertà e la segregazione impedivano che le persone ricevessero una normale assistenza sanitaria. Collaborava alla ricerca la Tuskegee University, un college dell’Alabama riservato ai neri. Erano gli anni della Grande Depressione, e nella Contea di Macon erano molti i mezzadri neri fortemente impoveriti. Dalla città di Tuskegee furono, quindi, reclutati, con l’aiuto di un’infermiera di colore, Eunice Verdell Rivers Laurie, 399 maschi con una forma latente della malattia e 201 sani come controllo. A questi uomini non fu spiegato che facevano parte di un esperimento sulla sifilide né in cosa consistesse la malattia, sapevano solo che sarebbero stati curati gratuitamente dal bad blood, espressione che, nel gergo locale, comprendeva non solo la sifilide, ma anche l’anemia e l’affaticamento. Probabilmente, a loro non parve vero di poter ricevere cure mediche gratuite da parte del Governo, e per questo accettarono di partecipare allo studio. Non sapevano che sarebbero divenute le “cavie” per quello che è stato definito “senza dubbio lo studio più infame della ricerca biomedica nella Storia degli Stati Uniti”. Nel corso della durata dell’esperimento, 40 lunghissimi anni, le “cavie” erano state invogliate a proseguirlo perché ricevevano visite mediche gratuite, così come gli spostamenti da casa alla clinica e viceversa e le terapie per i disturbi collaterali. Avevano, anche, diritto a un pasto caldo nei giorni in cui erano sottoposti a esami. I medici spacciavano come “ultima possibilità di un trattamento gratuito speciale” una puntura lombare che, in realtà, serviva a prelevare un campione di fluido spinale per cercare i segni della neurosifilide. Tutte le cure fornite ai malati erano, in realtà, dei placebo, e la morte era l’unico destino che aspettava quei pazienti curabili semplicemente con un antibiotico. Nel corso degli anni, molti medici dello staff si dimisero dal loro incarico, qualcuno avanzò considerazioni di carattere etico. Quella ricerca avrebbe dovuto, inizialmente, osservare gli effetti della sifilide non curata, su uomini afroamericani, per un periodo dai 6 ai 12 mesi. Dopo, i malati avrebbero dovuto ricevere cure adeguate, quelle conosciute all’epoca per la lue, a base di arsenico e mercurio. Peccato che, dopo pochi mesi di sperimentazione, i fondi destinati allo studio venissero cancellati e le cure previste non potessero più venire erogate. Nonostante questo il direttore del PHS, Taliaferro Clark, decise di proseguire con l’esperimento, che avrebbe dovuto determinare gli effetti della sifilide negli uomini afroamericani rispetto a quelli riscontrati in uomini di razza bianca, che si basavano su dati di uno studio condotto in Norvegia, che analizzava la storia clinica pregressa di pazienti in trattamento. Clark si dimise prima dello scadere dei 12 mesi dall’inizio dell’esperimento, ma l’intero staff fu pronto a farsi carico di quella responsabilità: nascondere la diagnosi, impedire alle “cavie” di accedere ai programmi di cura comunque presenti in quel territorio e osservare la progressione della lue fino alla morte in soggetti umani non curati. Quegli esseri umani andarono incontro a un destino orribile perché la sifilide porta cecità, sordità, malattie cardiache e mentali, deterioramento osseo fino al collasso del sistema nervoso e, quindi, la morte. Ma non solo, tutti quei malati, non informati del loro stato di salute, infettarono le mogli [in 40 casi] e misero al mondo dei figli con sifilide congenita [in 19 casi].

Nel 1941, l’Esercito aveva arruolato e, quindi, visitato, alcuni uomini di Tuskegee, ordinando loro di iniziare i trattamenti antisifilide il prima possibile. Per non compromettere lo studio, il PHS comunicò all’Esercito i nomi dei 256 uomini perché non ricevessero terapie e l’Esercito acconsentì [https://www.jstor.org/stable/3561468?seq=1#page_scan_tab_contents].

Nel 1943, era stata, anche, scoperta la Penicillina: il primo [e più famoso] antibiotico è anche oggi il principale farmaco con cui è possibile curare la sifilide.

Con la fine della guerra era cominciata la sua produzione in massa e gli uomini di Tuskgee avrebbero potuto essere curati, ma si decise che l’esperimento dovesse continuare come stabilito.

Il dottor Thomas Parran Jr. scriveva nel suo rapporto annuale al PHS, che quello studio diveniva “più significativo ora che è stata introdotta una serie di metodi rapidi e programmi di terapia per la sifilide”. Insomma quell’esperimento rappresentava l’ultima occasione per studiare come la sifilide uccidesse un uomo non sottoposto a cure.

L’esperimento era tutt’altro che sconosciuto alla comunità scientifica [https://scholar.google.it/scholar?start=10&q=tuskegee+untreated&hl=en&as_sdt=0,5&as_ylo=1934&as_yhi=1972]: i primi dati erano stati pubblicati nel 1934, nel 1936 era uscito il primo studio approfondito, poi iniziarono a essere pubblicati aggiornamenti a distanza di pochi anni gli uni dagli altri. 

Nel giugno del 1965, il dottor Irwin J. Schatz, un medico dello Henry Ford Hospital di Detroit, dopo avere letto uno dei reports sull’esperimento, scrisse al primo autore di un articolo pubblicato nel 1964 [https://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/fullarticle/570911] [https://academic.oup.com/jah/article-abstract/68/3/739/727461?redirectedFrom=PDF, https://drupalmountaincamp.ch/sites/default/files/2017-09/Bad-Blood-The-Tuskegee-_0.pdf]:

“I am utterly astounded by the fact that physicians allow patients with a potentially fatal disease to remain untreatedwhen effective therapy is available. If this is the case, then i suggest that the united states public health service and those physicians associated with it need to reevaluate their moral judgments in this regard.”

Il dottor Schatz non ricevette nessuna risposta e la sua lettera fu archiviata negli schedari del Center for Disease Control and Prevention [CDC], con una nota della dottoressa Anne Q. Yobs, coautrice del report, che riportava questa spiegazione:

“This is the first letter of this type we have received. I do not plan to answer this letter.”

L’anno seguente, il dottor Peter Buxtun presentò i suoi dubbi al CDC, che ribadì, con l’approvazione delle diverse associazioni nazionali di medici, comprese quelle che rappresentavano i medici afroamericani, la necessità di ultimare lo studio, ovvero fino alla morte di tutte le “cavie”.

Nel 1972, il dottor Buxtun, che, per anni aveva tentato, invano, di cambiare le cose dall’interno, decise, infine, di rivolgersi alla stampa.

Il 25 luglio 1972, la storia dell’esperimento uscì sul Washington Star e, il giorno dopo, era in prima pagina sul New York Times. Dopo 40 anni, l’esperimento terminò, iniziarono le cause legali e il lungo percorso per cercare di riparare l’enorme danno. Il bilancio finale dell’esperimento è drammatico: 28 uomini morti di sifilide, ai quali si devono aggiungere 100 decessi per complicazioni della malattia. Almeno 40 furono le donne infettate e 19 i  bambini già malati alla nascita. Non stupisce, quindi, che, nel 2006, sia stato definito “senza dubbio lo studio più infame della ricerca biomedica nella Storia degli Stati Uniti” [https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1780164/]. Lo studio è stato, anche, un fallimento dal punto di vista scientifico. Dopo la guerra, molti dei soggetti sifilitici avevano ricevuto dosi di penicillina e altri antibiotici nel corso di trattamenti per altre infezioni. Anche se non avevano ricevuto un’appropriata terapia, questo bastava per invalidare l’esperimento.

Due anni prima che la storia diventasse pubblica il dottor James B. Lucas del CDC aveva dichiarato:

“Nothing learned will prevent, find, or cure a single case of infectious syphilis or bring us closer to our basic mission of controlling venereal disease in the United States.” [https://www.infoplease.com/history/black-history/the-tuskegee-syphilis-experiment].

Il Governo degli Stati Uniti, attraverso le sue organizzazioni di sanità pubblica, ha infranto le sue stesse leggi e condotto esperimenti medici su cittadini ignari. Le firme e i timbri di molti dirigenti sono là a dimostrare che tutti sapevano e approvavano.

Dei 399 malati ne rimasero in vita solo 74.

Il PHS non si è, mai, scusato né con i sopravvissuti né con le famiglie delle “cavie”.

Non lo ha fatto neppure l’infermiera di colore Eunice Verdell Rivers Laurie, l’unica dello staff a partecipare all’esperimento per tutta la sua durata. Il suo ruolo era stato fondamentale per mantenere i contatti con la comunità nera e per carpire la fiducia degli afroamericani coinvolti. Nel 1975, ricevette, perfino, un riconoscimento dal Tuskegee Institute per i suoi “vari e straordinari contributi alla professione infermieristica, che hanno dato lustro al Tuskegee Institute”.

 

“Bad Blood”: Nurse Eunice Rivers & The Tuskegee Experiment

[https://www.youtube.com/watch?v=TmghBfgB8Z0].

 

Black Women in America: Eunice Rivers Laurie, 24 agosto 2011 [https://kathmanduk2.wordpress.com/2011/08/24/black-women-in-america-eunice-rivers-laurie/].

 

  

 

 

 


Demanda contra la Universidad Johns Hopkins por experimentos en Guatemala

[https://www.youtube.com/watch?v=3EyeijN_16Y].


Johns Hopkins faces lawsuit over STD study

[https://www.youtube.com/watch?v=NrVjspOd9Gc].

 

John Charles Cutler

Federal Security Agency – U. S. Public Health Service

Staten Island /New York – February 2, 1948

[https://nara-media-001.s3.amazonaws.com/arcmedia/research/health/cdc-cutler-records/folder-13-correspondence.pdf].

 

 

 

“Centinaia di persone infettate con la sifilide e la gonorrea. Bambini presi dagli orfanatrofi e usati come cavie. Prostitute accoppiate ai detenuti per trasmettere il virus. Malati di mente infettati senza saperlo. Uno “studio” pagato dal servizio sanitario degli Stati Uniti e condotto naturalmente a migliaia di chilometri da casa: nel Guatemala allora posseduto e controllato dalla potentissima United Fruit Company, la multinazionale USA che verrà ribattezzata Chiquita, e quindi perfetta “repubblica delle banane” dove avviare in gran segreto gli esperimenti. La pagina più vergognosa nella storia della medicina americana è stata svelata da Susan M. Reverby, una ricercatrice del Wellesley College. Un racconto dell’orrore che ha costretto il Segretario di Stato, Hillary Clinton, e il Ministro della Sanità, Kathleen Sebelius, a chiedere “profondamente scusa per queste pratiche abominevoli: lo studio della trasmissione delle malattie sessuali condotto in Guatemala dal 1946 al 1948 è eticamente inaccettabile. […] Fu proprio Cutler a coordinare gli esperimenti che, riconosceva lui stesso, “non si potrebbero mai condurre in America, scegliendo – scrive Reverby “il solito quartetto di pazienti disponibili e sotto costrizione: prigionieri del penitenziario nazionale, detenuti dell’unico ospedale mentale del Guatemala, bambini dell’orfanotrofio pubblico e soldati nelle caserme della capitale”. Tutti ovviamente ignari degli esperimenti, spacciati per cure ordinarie. In cambio, gli USA ripagarono l’ospedale criminale guatemalteco “con medicinali, un frigorifero, un proiettore per l’unica sala ricreativa per i detenuti, tazze di metallo, piatti e forchette”: come ai tempi dei nativi, comprati dai Conquistadores con le perline. L’infezione fu programmata in due tempi. Prima si tentò con le prostitute [infettando anche quelle sane]. Ma la trasmissione via sessuale era troppo lenta e così si passò all’infezione diretta: anche nel pene. Gli esperimenti non portarono neppure a una conclusione e furono abbandonati dopo 2 anni. Le 700 cavie furono lasciate al loro destino: una su 3 senza cure.” [Cavie umane per la sifilide 60 anni dopo l’America si scusa, la Repubblica, 2 ottobre 2010, https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/10/02/cavie-umane-per-la-sifilide-60-anni.html]

 

 

 The Guatemala Inoculation Experiments

[https://www.youtube.com/watch?v=ClYR0wTKyCg&t=4s].

 

David Mills, The Monstrous Dr. Cutler and His Willing Researchers, Aleteia, 12 maggio 2015 [https://aleteia.org/2015/05/12/the-monstrous-dr-cutler-and-his-willing-researchers/].

 

Infected!

[https://www.youtube.com/watch?v=TMcb4m3a9ZE].

 


 

Carole Novielli, Planned Parenthood board member aided in STD experiments on prisoners and mental patients, Life Site, 17 maggio 2021 [https://www.lifesitenews.com/news/planned-parenthood-board-member-aided-in-std-experiments-on-prisoners-and-mental-patients/].

 

Juliet Linderman, Hundreds sue Johns Hopkins for $1B over 1940s STD study in Guatemala, More than 750 plaintiffs are suing the Johns Hopkins Hospital System Corp. over its role in a series of STD experiments in Guatemala in the 1940s and 1950s, Global News, 1 aprile2015 [https://globalnews.ca/news/1917614/hundreds-sue-johns-hopkins-for-1b-over-1940s-std-study-in-guatemala/].

Negli Anni Quaranta, 750 vittime intentarono una causa da 1 miliardo di dollari contro la Rockefeller Foundation, il Johns Hopkins Hospital, la Johns Hopkins University, la Johns Hopkins University School of Medicine, la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, e la Johns Hopkins Health System Corporation, sostenendo di essere stati la forza trainante degli esperimenti umani di quegli anni, in cui esseri umani vulnerabili erano stati, intenzionalmente, esposti alla sifilide, alla gonorrea e ad altre malattie veneree, senza il loro consenso informato. Gli esperimenti erano rivolti a bambini in età scolare, orfani, pazienti di ospedali psichiatrici, detenuti e militari di leva. Fu la professoressa Susan Mokotoff Reverby del Wellesley College a scoprire la documentazione di questi esperimenti, nel 2005, mentre svolgeva ricerche sullo studio di Tuskegee sulla sifilide, all’interno degli archivi di Cutler, e a condividere la scoperta con i funzionari del Governo degli Stati Uniti.

“Il filo che lega i due esperimenti si chiama John C. Cutler, un luminare del suo campo, l’esperto di malattie sessuali che fino alla sua morte, nel 2003, ha strenuamente giustificato, nel nome della scienza, gli orrori di Tuskegee.”

John Charles Cutler, medico dell’United States Public Health Service, guidò gli esperimenti per, poi, partecipare anche alle fasi finali dello studio sulla sifilide di Tuskegee.

L’ex-direttore del National Institutes of Health, Francis Collins, ha definito gli esperimenti un nero capitolo della Storia della Medicina” e ha rilevato che le regole attuali proibiscono la sperimentazione su soggetti umani senza il consenso informato. Come risulta dagli archivi, Thomas Parran Jr., il dirigente del Surgeon General all’epoca dei fatti, riferiva che molti dei dettagli degli esperimenti erano stati tenuti nascosti alle autorità guatemalteche, ma che vi era stata cooperazione e consenso da parte di alcuni livelli del Governo del Guatemala. Gli esperimenti furono finanziati dal National Institutes of Health attraverso il Pan American Sanitary Bureau. Circa 1500 “cavie” furono coinvolte negli esperimenti, ma i risultati non furono mai pubblicati.

Il primo ottobre 2010, l’allora Presidente statunitense Barack Obama doveva ripetere scuse simili a quelle presentate alle vittime afroamericane di Tuskegee [https://www.reuters.com/article/us-usa-guatemala-experiment-idUSTRE6903RZ20101001] dall’ex-Presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, al Presidente guatemalteco Alvaro Colom per l’esperimento altrettanto inumano condotto, tra il 1946 e il 1948, sempre dall’US Public Health Service. E, in una dichiarazione congiunta, si scusarono anche l’allora Segretario di Stato Hillary Rodham Clinton e l’allora Segretario dei Servizi Umani Kathleen Sebelius:

“Nonostante questi eventi siano accaduti più di 64 anni fa, siamo indignate che queste biasimevoli ricerche siano state condotte sotto le spoglie della sanità pubblica. Ci rammarichiamo profondamente che questo sia successo, e ci scusiamo con tutti coloro che sono stati colpiti da tali aberranti ricerche. La condotta mostrata durante tali ricerche non rappresenta i valori degli Stati Uniti, o i nostri sforzi per la promozione della dignità umana e il grande rispetto verso il Popolo del Guatemala.”

Anche in questo caso sofferenza, morte ed esseri umani consapevolmente abbandonati al loro destino in nome di un improbabile esperimento senza logica né vantaggi per la popolazione.

A questo punto viene da chiedersi: quante volte deve sbagliare l’uomo prima di fermarsi?

Come viene condotta una sperimentazione medica lo spiega il testamento morale dell’omonimo processo: il Codice di Norimberga del 1947, considerato il documento più importante nella storia dell’etica della ricerca che detta le regole e i confini etici della sperimentazione sull’essere umano. Il Codice di Norimberga scaturì, infatti, dal primo dei 12 processi secondari che, a Norimberga, seguirono il dibattimento principale del 1945 ai 24 più importanti criminali nazisti, da Göring a Hess, a Ribbentrop: il Doctor Trial [1946-1947]. Al termine del processo ai medici nazisti [https://www.youtube.com/watch?v=RUszcgHBW8Y], i giudici incorporarono nella sentenza, a garanzia dei diritti delle persone sottoposte a sperimentazione clinica, un codice, che prese il nome di Codice di Norimberga e rappresentava il primo strumento giuridico internazionale di regolamentazione sulla sperimentazione umana. Nel codice si stabilisce che la persona sottoposta a ricerca clinica debba essere informata sulle modalità, gli scopi e i rischi prevedibili. Si stabilisce, altresì, che sia “assolutamente essenziale” il consenso libero e volontario di chi è sottoposto a sperimentazione [articolo 1], che “l’esperimento dovrà essere condotto in modo tale da evitare ogni sofferenza o lesione fisica e mentale che non sia necessaria [articolo 4]” e “dovrà essere tale da fornire risultati utili al bene della società [articolo 2]” [http://bioetica.unicam.it/documenti.asp].

Dei 23 nazisti a processo tra dottori e amministratori tutti, incredibilmente, si dichiararono “non colpevoli”. Dopo avere esaminato 1.471 documenti e ascoltato 85 testimoni, il processo vide la sua conclusione il 20 agosto 1947.

La maggior parte degli imputati fu condannata all’ergastolo o all’impiccagione.

Al processo vi era un grande assente: Josef Mengele, “il dottor Morte”, “l’Angelo della Morte”, epiteti quanto mai appropriati. Le sue vittime preferite erano i gemelli, l’ultima dei quali, Eva Mozes Kor, è morta il 4 luglio 2019.

Nel 1999, Eva Mozes Kor [Una vittima dei nazisti contro la Bayer, la Repubblica, 20 febbraio 1999,    https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1999/02/20/una-vittima-dei-nazisti-contro-la-bayer.html], sopravvissuta agli esperimenti condotti su 1500 coppie di gemelli ad Auschwitz da Joseph Mengele, aveva intentato causa al colosso farmaceutico tedesco Bayer, che, durante il nazismo, faceva parte del complesso industriale chimico farmaceutico nazista Ig Farben.

“Dopo 54 anni, è arrivato per la Bayer il momento di assumersi le responsabilità delle sue azioni.”

Dai suoi racconti emerge l’orrore di questi bambini, letteralmente strappati ai propri genitori e sottoposti a esperimenti di ogni sorta, spesso causa di morte. Eva Mozes Kor aveva 9 anni quando insieme alla sorella gemella Miriam fu internata ad Auschwitz. Vi rimase 9 mesi fino alla liberazione da parte dei sovietici, nel gennaio del 1945.

Quel campo, quel pezzo d’Europa fu, infatti, liberato dai sovietici, ma un Oscar val bene una revisione storica della Seconda Guerra Mondiale!

Eva Mozes Kor accusava di essere stata, volutamente, contagiata con varie malattie per provare l’efficacia di medicinali della Bayer.

La società ammise di avere approfittato della sperimentazione “gratuita”, fornita dai prigionieri di guerra dei tedeschi, e contribuì a un fondo per i risarcimenti alle vittime pari a 3mila miliardi di vecchie lire, voluto dal Cancelliere tedesco Gerhard Schroeder.

“Bayer provided toxic chemicals to the Nazis. ... Some of those experiments involved injecting concentration camp inmates with toxic chemicals and germs known to cause diseases in order to test the effectiveness of various drugs made by Bayer.” [L.A. Times, Feb. 18, 1999, p. A-18].” [[https://www.usccb.org/issues-and-action/human-life-and-dignity/stem-cell-research/science-without-conscience].

Nel 2003, un’altra sopravvissuta, Zoe Polanska Pagner intentò causa alla Bayer, in risarcimento dei gravi danni alla salute subiti a causa degli esperimenti condotti su di lei da 2 medici, il dottor Victor Capesius e il dottor Helmut Vetter, che, all’epoca, lavoravano per la Bayer.

“Le grandi aziende farmaceutiche tedesche usarono gli esperimenti criminali del famigerato dottor Mengele sui detenuti di Auschwitz per la loro ricerca scientifica. L’accusa viene da una anziana sopravvissuta, Zoe Polanska Pagner, che oggi vive ultrasettantenne in Scozia, ed è stata intervistata ieri dalla BBC. La signora Pagner ha fatto causa alla Bayer, la casa produttrice dell’aspirina, per chiedere un risarcimento dei gravi danni alla salute subiti a causa degli esperimenti condotti su di lei. I presunti colpevoli sono due medici, il dottor Victor Capesius e il dottor Helmut Vetter. Entrambi lavoravano allora per la Bayer, che durante il nazismo faceva parte del complesso Ig Farben, l’azienda che sviluppò e produsse il Zyklone-B, cioè il gas usato dai nazisti per l’Olocausto.” [Accuse alla Bayer usò le vittime di Mengele, la Repubblica, 22 agosto 2003, https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2003/08/22/accuse-alla-bayer-uso-le-vittime-di.html].

 

Miriam Ziegler, Paula Lebovics, Gabor Hirsch, ed Eva Mozes Kor.

David Charter, Auschwitz photo children reunited on 70th anniversary of liberation, The Times, 27 gennaio 2015 [https://www.thetimes.co.uk/article/auschwitz-photo-children-reunited-on-70th-anniversary-of-liberation-3sz552bcz98].

 

 

 

Una vittima dei nazisti contro la Bayer, la Repubblica, 20 febbraio 1999 [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1999/02/20/una-vittima-dei-nazisti-contro-la-bayer.html].



Obituary – Zoe Polanska-Palmer, Scots-based writer and campaigner who survived brutal Nazi experiments, The Herald, 27 febbraio 2017 [https://www.heraldscotland.com/opinion/15119172.obituary---zoe-polanska-palmer-scots-based-writer-campaigner-survived-brutal-nazi-experiments/].

 

Accuse alla Bayer usò le vittime di Mengele, la Repubblica, 22 agosto 2003 [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2003/08/22/accuse-alla-bayer-uso-le-vittime-di.html].
 
 

Nazi’s Linked To Thalidomide Manufacturer | No Limits | Documentary Central [https://www.youtube.com/watch?v=bNJScTLJT7s].

 

The Shadow of the Thalidomide Tragedy | Retro Report | The New York Times

[https://www.youtube.com/watch?v=41n3mDoVbvk].

 

 The Thalidomide Scandal: A Long Road to Justice 

[https://www.youtube.com/watch?v=N2XRGpzhsQA&t=375].

 

Il caso del talidomide [https://www.pourlascience.fr/sd/histoire-sciences/la-terrible-affaire-de-la-thalidomide-3343.php?fbclid=IwAR356TzbPHQqw-N2LWYHYk9JcfOPz6QknDOk1XjoBbByeuCPuJOIskUnHlM], utilizzato per trattare l’insonnia e le nausee mattutine nelle donne in gravidanza, ha 70 anni. Memoria sinistra, che è utile rievocare, in quanto il prodotto è stato, recentemente, riutilizzato a fini terapeutici [https://www.aifa.gov.it/documents/20142/961234/Determina_283-2022_Thalidomide-BMS.pdf, http://www.farmacista33.it/ok-aifa-per-talidomide-contro-mieloma-multiplo/politica-e-sanita/news-10220.html, https://www.aifa.gov.it/-/nota-informativa-importante-su-talidomide].

“[…] Nel 1959 alcuni studi europei evidenziarono possibili effetti neuropatologici correlati all’uso di Talidomide, nello stesso anno la dottoressa Frances Kelsey, farmacologa in servizio presso il Food and Drug Administration [FDA] responsabile per la sicurezza dei farmaci, sulla base di quei primi studi e nonostante le pressioni della casa farmaceutica diniegò la licenza di commercializzazione del farmaco negli USA.

Questo fu il primo campanello di allarme e anche il primo effetto collaterale individuato nel farmaco, nonostante questo la campagna di marketing proseguì a ritmi sostenuti, e per placare i dubbi di ricercatori e scienziati la Chemie Grünenthal commissionò uno studio ai suoi collaboratori Kunz e Blasiu, che con ricerche malcondotte e scarsamente dettagliate non evidenziarono effetti collaterali degni di nota.

Inutile sottolineare che la Chemie Grünenthal, non analizzò tutti i possibili effetti collaterali, nonostante già a partire dagli Anni Cinquanta un illustre embriopatologo, il dottor Willis allertasse nei suoi scritti sull’impiego di farmaci in gravidanza e ponesse in evidenza la correlazione tra l’uso di alcuni farmaci durante la gravidanza e possibili danni sull’embrione. Il “principio di precauzione” invocato da Willis fu completamente disatteso.

Intanto nel 1960 per la prima volta venne documentata la registrazione di 2 casi clinici con difetti congeniti agli arti, i 2 casi furono presentati al Congresso Pediatrico Nazionale in Germania che si tenne nel 1961. Fu in quella sede che il professor [Widukind] Lenz suggerì che tali malformazioni erano ascrivibili all’uso di Talidomide in gravidanza ed iniziò i suoi studi.

Nel 1961, 2 rapporti indipendenti, uno del dottor Lenz che documentò i casi in Germania e l’altro del dottor [William] McBride in Australia, trassero analoghe conclusioni, confermando che l’assunzione di Talidomide in gravidanza, commercializzato come farmaco antiemetico efficace per la cura del morning sickness [nausea in gravidanza] era la causa delle molteplici anomalie congenite osservate negli studi.

Nel maggio del 1961, la Chemie Grünenthal modificò le scritte sulla confezione del farmaco introducendo tra i possibili effetti collaterali, in caso di uso prolungato, l’insorgenza di neuropatie.

Nel novembre del 1961, il talidomide venne infine ritirato dal mercato tedesco e da allora il numero di nascite con anomaile congenite diminuì drasticamente anche se in alcuni Paesi, purtroppo per scarsa informazione e/o per dolo, le scorte di farmaco furono vendute ancora per alcuni anni, nonostante gli annunci ed i ritiri da parte delle Autorità Sanitarie.

Le intuizioni della dottor Kelsey vennero così tristemente confermate e lei, premiata nel 1962 dal Presidente John F. Kennedy per il merito di avere evitato che la tragedia del talidomide si potesse verificare negli Stati Uniti, anche se a un gruppo esiguo di medici nonostante non era approvato dalla FDA lo utilizzò ugualmente. La farmacologa ricoprì da allora un ruolo strategico nella definizione di emendamenti di legge e nella nascita della riforma sui farmaci. […]” [https://www.vittimetalidomideitalia.it/la-nostra-storia/]

Commercializzato fin dal 1957 questo principio attivo si dimostrò responsabile di gravissime malformazioni in migliaia di neonati. La Chemie Grunenthal, pur informata da rapporti medici interni piuttosto negativi, commercializzò, in varie forme, medicinali contenenti talidomide, tra il novembre 1956 e l’ottobre 1957. Con l’ampliarsi dell’uso, come sedativo e contro la nausea delle gestanti, cominciarono a essere noti “effetti collaterali” negativi, in particolare nevriti e malformazioni nei neonati. Ma la campagna pubblicitaria della Chemie Grünenthal fu martellante, sia sui medici sia sui farmacisti. Il successo presso i medici fu tale che altre imprese farmaceutiche chiesero e ottennero la licenza per la produzione di medicinali con il talidomide. I rapporti sfavorevoli e preoccupati dei medici crebbero di numero nel 1959 e 1960, con un costante atteggiamento negativo da parte dell’impresa produttrice – cosa “comprensibile” in termini di profitto, dato che, nel maggio del 1960, circa la metà del fatturato era collegato a prodotti con talidomide.

“Nonostante la grande popolarità del farmaco – dovuta anche a una massiccia campagna pubblicitaria – e nonostante le forti pressioni esercitate per la sua approvazione, Frances Kelsey non era convinta dai dati degli studi preclinici, che riteneva fossero descritti superficialmente e riguardassero un numero esiguo di soggetti, monitorati per un periodo di tempo troppo breve.” [https://www.aifa.gov.it/en/-/scomparsa-a-101-anni-frances-oldham-kelsey-farmacologa-e-fisica-della-food-and-drug-administration-che-si-oppose-alla-commercializzazione-dei-farmaci-].

Mancavano, in particolare, i dati che indicavano se il farmaco potesse attraversare la placenta, che fornisce nutrimento al feto. Fu solo nel novembre del 1961, a un congresso di pediatria a Düsseldorf, che si iniziò a collegare l’uso del talidomide con la crescita esplosiva dei casi di focomelia. Anche di fronte a queste nuove prove la Chemie Grünenthal si rifiutò di ritirare il prodotto, ma, il 26 novembre 1961, nell’edizione domenicale il diffusissimo giornale conservatore Welt am Sonntag con un articolo dal titolo: Malformazioni causate da pillole – allarmante sospetto di un medico nei confronti di un farmaco distribuito in tutto il Mondo, cui seguiva una puntualizzazione e una richiesta, rompeva il muro di silenzio:

“Ogni mese di ritardo nel prendere una decisione significa che nasceranno da 50 a 100 bambini orribilmente mutilati. È ora che le autorità intervengano, e senza perdere un minuto di tempo!” [https://epiprev.it/page/giulio-a.maccacaro-il-talidomide-in-italia].

Il 27 novembre 1961, il medicinale incriminato veniva ritirato dal commercio sul mercato tedesco; seguirono prima della fine dell’anno Gran Bretagna e Svezia. In Italia, il Ministro della Sanità, il democristiano Angelo Raffaele Jervolino, padre del pluriministro democristiano Rosa Russo Jervolino, si mosse con 10 mesi di colpevole ritardo, nel settembre del 1962.

“Il farmaco, disponibile senza obbligo di ricetta, ufficialmente iniziò a circolare e ad essere prodotto anche in Italia nel 1958 ma, nel 1961, il pediatra tedesco Lenz e l’ostetrico australiano McBride dimostrarono un legame fra gravi difetti alla nascita e l’assunzione in gravidanza del talidomide. Per tale ragione, nel dicembre 1961, il farmaco venne ritirato con urgenza dalle farmacie. In Italia il Ministero della Sanità ne ordinò il divieto di produzione e commercio soltanto nel 1962 [Gazzetta Ufficiale n. 186/1962], con 6 mesi di ritardo rispetto agli altri Paesi; l’assunzione di talidomide in gravidanza causò un enorme aumento di difetti alla nascita come riduzione degli arti, spesso bilaterali e quasi sempre con asimmetrie anche molto evidenti. Stando a quanto si apprende, sarebbero più di 20mila i bambini in oltre 50 Paesi nati con gravi deformità. In Italia è mancato un censimento dei casi, ma sembrerebbe che fra il maggio 1959 e il settembre 1962, nei reparti di ostetricia dei principali ospedali milanesi sia stata accertata una frequenza di 4 nati ogni 10mila per i casi di focomelia o analoghi, a fronte di nessun caso paragonabile negli anni precedenti.” [http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=18&id=1084419].

Negli anni successivi, tuttavia, tali farmaci continuarono a circolare. Nella pubblicità se ne sottolineava la “completa atossicità”, basata sostanzialmente sull’osservazione che le cavie di laboratorio sopravvivevano anche a elevate quantità di farmaco iniettate loro con una sola dose. In una circolare inviata a tutti i medici professionisti, nella primavera del 1959, si poteva leggere:

“Anche con dosi eccessive e un consumo prolungato l’efficacia del farmaco non è ridotta da effetti collaterali indesiderati.”

Soltanto dopo la sciagura le sperimentazioni sugli animali registrarono parti focomelici in una delle centinaia di razze di coniglio sottoposte a dosi tra 25 e 300 volte superiori a quella per l’uomo. L’asserzione del pediatra tedesco, basata su un riscontro con centinaia di casi, era rimasta ignorata per 5 anni. A quel punto, nel 1962, erano nati complessivamente oltre 10mila bambini focomelici.

Dal 1962 fino al 2009, le nostre istituzioni sono state in silenzio. Solo il 5 ottobre 2009, lo Stato italiano ha riconosciuto una indennità mensile alle vittime del Talidomide nate tra il 1959 e il 1965 [https://www.salute.gov.it/portale/ministro/p4_8_0.jsp?label=servizionline&idMat=ASS&idAmb=IND&idSrv=L244T&flag=P] e, il 5 novembre 2009, circa 50 anni dopo il ritiro del farmaco, il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali emanava una circolare contenente le linee guida per l’istruttoria delle domande di indennizzo dei soggetti affetti da sindrome da talidomide nati dal 1959 al 1965 [G.U. Serie Generale n. 265 del 13 novembre 2009].

Sul sito-web dell’AIFA si legge:

“Il Talidomide è un farmaco con proprietà ipnotico-sedative commercializzato per la prima volta in Germania nel 1956 per la terapia dell’influenza, e successivamente, in 46 Paesi, per la terapia dell’insonnia. Fu inoltre ampiamente utilizzato in donne in gravidanza nella terapia delle nausee mattutine grazie anche a una pubblicità che sottolineava la “sicurezza” del prodotto. I test preclinici su roditori ed i trial clinici non avevano infatti evidenziato effetti collaterali. La vendita di talidomide incrementò drasticamente in pochi anni e, entro il 1960, solo in Germania vennero prodotte circa 15 tonnellate di farmaco. In USA il talidomide non ottenne l’autorizzazione all’immissione in commercio per una presunta associazione tra il farmaco e lo sviluppo di neuropatie periferiche. Fin dall’inizio degli Anni Sessanta si osservò un incremento di neonati con malformazioni congenite degli arti e fu ipotizzata una correlazione con l’assunzione materna di talidomide in corso di gravidanza. Il farmaco venne pertanto ritirato dal commercio nel 1961; l’incidenza di malformazioni degli arti è ritornata nei limiti dopo il ritiro dal commercio, confermando l’effetto teratogeno del talidomide.

Questa vicenda favorì negli Stati Uniti prima, e in Europa e in Giappone poi, la nascita di leggi che promossero la corretta sperimentazione dei medicinali. A questo episodio si deve inoltre nella pratica la nascita della Farmacovigilanza, l’insieme delle attività volte all’individuazione, valutazione e prevenzione di effetti avversi o altri problemi correlati all’utilizzo dei farmaci. La Farmacovigilanza ha l’obiettivo di monitorare costantemente il farmaco durante il suo impiego nella pratica clinica, con lo scopo di individuare la comparsa di reazioni avverse e verificare gli effetti terapeutici osservati nella sperimentazione clinica, confermandoli e/o individuandone di nuovi.

La storia del talidomide ha dimostrato quanto sia importante che ci sia un investimento della sanità pubblica sulla sicurezza dei farmaci e che non basta l’autoregolamentazione del mercato. Insegna inoltre a chi lavora nella valutazione dell’efficacia e della sicurezza dei farmaci che l’indipendenza e lo spirito critico possono essere di enorme utilità per la salute delle persone.” [https://www.aifa.gov.it/en/-/aifa-indice-un-concorso-di-idee-sul-caso-talidomide-e-sul-valore-della-farmacovigilanza].

Nel maggio del 1968, la Chemie Grünenthal aveva dovuto comparire in un processo, il più lungo dopo quello di Norimberga ai criminali nazisti, del quale tentò, in ogni modo, di evitare la conclusione e la sentenza. Una così orrenda catastrofe si sarebbe compiuta e celata nel pianto di migliaia di madri, ciascuna convinta di una propria singolare sventura, se alcuni medici e legali non l’avessero portata a evidenza, dimostrandone le cause e denunciandone le responsabilità.

A Henning Sjoström e Robert Nilsson, autori del libro Thalidomide and the Power of the Drug Companies, e alla parte migliore della Stampa straniera si deve se la tragedia del talidomide ha avuto fine e dovrebbe insegnare a evitarne di analoghe. Ma contro di loro si schierarono, a suo tempo, l’establishment medico, abituato a compiacere l’industria farmaceutica e il potere di questa.

La Chemie Grünenthal non lasciò nulla di intentato per nascondere la verità, acquisire il silenzio di chi la conosceva, intimidire l’onestà di chi la dichiarava. Il suo ufficio legale arrivò ad assumere un detective per indagare sulla vita privata e le inclinazioni politiche dei medici che avevano criticato gli effetti tossici del talidomide.

“Il padre del dottor B. è un ex-comunista.”,

è scritto in uno dei rapporti di questo detective. È giusto ricordare tutto ciò per dire subito che gli autori di questo libro sono anche valorosi protagonisti di quella vicenda.

I capi di accusa erano omicidio plurimo colposo nei casi di decesso per le gravissime malformazioni fatali; negligenza nei tests clinici, lesioni e danni fisici plurimi e aggravati. Tra i primi imputati l’ex-medico nazista Heinrich Muckter e il titolare della Chemie Grünenthal, Hermann Wirtz. Hermann Wirtz usò la scusa dell’età avanzata e della salute precaria per non presentarsi in aula, generando profondo sdegno nell’opinione pubblica e mondiale che seguiva il caso dalla televisione e dai giornali. Ancora più scandalosi furono gli esiti dell’iter processuale, terminato, nel 1970, con un compromesso tra la Corte tedesca e la casa farmaceutica. La Chemie Grünenthal avrebbe pagato risarcimenti per 100 milioni di marchi, meno di 30 milioni di dollari, mentre ai responsabili non fu inflitto neppure un giorno di carcere. Di fronte alla tragica massa di dolore creata dal talidomide non si può non ritenere indecente il fatto che la Chemie Grünenthal si presenti in rete come “esperta di medicinali per la cura del dolore e in ginecologia”.

Nel 2009, nuovi fatti vennero alla luce, tingendo la storia di un alone ancora più inquietante. Martin Johnson, direttore del Thalidomide Trust, aveva scoperto che la molecola era stata sviluppata da un team di scienziati del Drittes Reich, guidato da Otto Ambros, come antidoto al gas Sarin e sperimentata sui prigionieri dei campi di concentramento nazisti.

“E ora appare sempre più probabile che il talidomide è stato l’ultimo crimine di guerra dei nazisti [da qui il titolo del documentario del 2014 diretto da David e Jacqui Morris: Attacking the Devil: Harold Evans and the Last Nazi War Crime].”,

aveva commentato Johnson.

L’argentino Carlos De Napoli, autore di diversi libri sul nazismo, poté supportare tale affermazione grazie al ritrovamento di una nota del 1944 di un dirigente della IG Farben al medico personale di Adolf Hitler, che faceva riferimento allo sviluppo di una sostanza chimica con la stessa formula del talidomide.

Nel settembre del 2012, a Stolberg, nella regione della Renania Settentrionale-Vestfalia, Harald Stock, Direttore Esecutivo del Grünenthal Group, ha chiesto, pubblicamente, scusa alle vittime e alle loro famiglie, nel corso di una cerimonia commemorativa dei bambini che avevano subito gli effetti collaterali del Talidomide. Stock si era rivolto alle vittime e alle loro famiglie, precisando anche di essere consapevole che le scuse arrivassero con troppo ritardo.

“Ci scusiamo per  il fatto che non abbiamo trovato modo di venire a scusarci con voi, uno per uno, per quasi 50 anni. Siamo stati in silenzio, e ci scusiamo per questo. In parte questo silenzio è dovuto allo shock che tutta la questione ha causato anche in noi.”,

aveva commentato, aggiungendo, poi, che prima di mettere in commercio la sostanza erano stati fatti tutti i tests possibili, date le conoscenze scientifiche degli Anni Cinquanta.

Il tono più duro era venuto da Sir Harold Matthew Evans, scomparso il 23 settembre 2020, che, dagli Anni Sessanta, aveva avviato una vasta campagna dalle pagine del Sunday Times per far risarcire le vittime del talidomide:

“Justice delayed is justice denied. We know that too well. But how do you wrestle with your conscience when the injustice you have perpetrated has destroyed the lives of children and left thousands of thalidomide victims still enduring pain and suffering, without adequate compensation? The German company Chemie Grünenthal, having denied justice for 50 long years, has now unveiled a bronze statue of a child born without limbs, and its chief executive, Harald Stock, says: “We ask for forgiveness that for nearly 50 years we didn’t find a way of reaching to you from human being to human being. Instead we remained silent.”

Actually, Chemie Grünenthal remains silent still on adjusting compensation for inflation and the dreadful effects on the victims – the men and women in adulthood, many now without parental support.

CG did not just remain silent. It brought forth the drug thalidomide on 1 October 1957, from very murky origins indeed. It licensed its manufacture worldwide as a safe sleeping drug for mothers in pregnancy. One of the licensees was the British whisky company, Distillers, which put “Distaval” on the market as a tranquilliser in April 1958 and marketed it until 1962. Chemie Grünenthal was reckless. It had not tested the effect on pregnant women or animals to see if it could cross the placental barrier. It ignored early warnings. The wife of one of its own employees had given birth to a baby without ears 10 months before it puts its poison on the market. It made no difference. Nor did warning signs of deformed births and nerve damage from Australia.

It produced sales leaflets for doctors stressing the drug’s safety. It engaged – bribed might be a better word – compliant doctors who vouched for it though they did not know how it worked. A testimonial appeared in the American Journal of Obstetrics and Gynecology signed by Dr Ray Nulson Cincinnati, Ohio.

Eventually, he gave evidence in Germany that he had not tested the drug on pregnant women at all and was not even the author of the article. It had been written for him by an employee of the renowned American company, Richardson-Merrell in Cincinnati, a CG licensee. And the employee, like others around the world, had relied on Chemie Grünenthal which had itself done no tests on the effect on a foetus.

And to crown this pyramid of infamy none of the public authorities was curious enough to know how it all happened. In Britain, thanks to Chemie Grünenthal’s connections with the Ministry of Health, and a lazy press, fed pap by the ministry, the truth did not come out. It would never have come out either had it been left to the legal profession who dealt with the litigation the desperate families were forced to start.

I well remember the astonishment in the Sunday Times when the Insight team began opening three suitcases containing CG’s own documents. They showed a reckless get-rich-quick mentality yet the parents’ lawyers had allowed themselves to be convinced they could not win 100% damages in court.

I have described some of this in My Paper Chase, but what is new to me is the depth of iniquity exposed by investigative work since, primarily by Jonathan Stone, a former solicitor with Lord Goodman’s firm, Goodman Derrick, working with Roger Williams. Stone has been a special adviser to the victims in various countries. He and Williams trace the origins of thalidomide to murderous experiments in second world war concentration camps and they name names. There is the Wirtz family, esteemed as philanthropists in the German town of Stolberg, the sole owners of the company, notorious for its pro-Nazi sympathies.

There is Heinrich Mückter [1914-1987], responsible for the deaths of hundreds of prisoners in typhoid experiments; there’s Otto Ambros [1901-1990], chairman of the supervisory committee when thalidomide was developed; there’s Martin Staemmler [1890-1974], who played a role in Nazi racial hygiene programmes; there’s the SS doctor Ernst-Günther Schenck, who experimented with medicinal plants; there are the US companies ready to forgive and forget in their postwar haste to get their hands on the chemical expertise.

But decency requires me to identify some heroes in the struggle for justice – the thalidomide victims, now in middle age, who continue to fight for others: Freddie Astbury, president of  Thalidomide UK, who describes the CG apology without compensation as a disgrace; the Lords Jack Ashley and Alf Morris, who fought so hard for the victims in their lifetimes, and Labour’s minister of health, Mike O’Brien.

On 14 January 2010 O’Brien made a dramatic announcement in parliament. He apologised to the victims and their parents but he also committed the government to give £20m to the Thalidomide Trust.

In the light of all this, one can only repeat to CG the words of Joseph Welch examining Joe McCarthy: “Have you no sense of decency, sir? At long last, have you left no sense of decency?”

[Harold Evans, Still no shame for thalidomide cover-up, Victims of the drug scandal have been offered an apology, but Harold Evans, who was in charge of the Sunday Times and broke the story, says there is still no proper recompense, The Guardian, 1 settembre 2012, https://www.theguardian.com/society/2012/sep/01/thalidomide-cover-up, https://www.theguardian.com/society/2012/sep/01/harold-evans-attacks-thalidomide-manufacturer].

 

Appare sconvolgente che, nel marzo del 1969, sul numero 7 della rivista scientifica Le Scienze, a pagina 11, il professor Renato Balbi, docente di neurochimica, neurofarmacologia e neurologia applicata all’Università di Napoli, scrivesse:

“I padri del talidomide non possono essere accusati di negligenza criminale per non aver previsto gli effetti teratogeni che il farmaco avrebbe determinato nell’uomo.” https://www.lescienze.it/archivio/articoli/1969/03/01/news/l_evoluzione_del_cervello_e_la_talidomide-542469/].

La Chemie Grünenthal, obnubilata dal profumo del denaro era passata sopra ogni segnalazione di rischi connessi all’assunzione del talidomide [http://web.tiscali.it/nadir_ong/talinomide.htm]. 

Un ignominioso fil rouge lega il presente al passato dell’industria del farmaco!

 

Presidente Giorgia Meloni;

La vita non è lineare. In genere, sicurezza e pericolo coesistono negli stessi oggetti e negli stessi fatti. Nelle giuste o sbagliate condizioni, tutto ciò che è essenziale alla nostra esistenza può trasformarsi in qualcosa di dannoso o fatale: l’acqua può annegare, il cibo può avvelenare, l’aria può soffocare. I Bambini nascono, mettendo a rischio la vita delle loro Madri, e divengono adulti, dovendo affrontare innumerevoli rischi.

Per molti, in particolare, per i benestanti e i benpensanti, l’instabilità è sinonimo di cambiamento e il cambiamento non può che essere per il peggio.

La massa ama la stabilità, Presidente.

Lo status quo, benché non abbia alcun fondamento ideologico e non sia particolarmente meritevole di lode, è il risultato dell’interazione tra forze sociali. Forze che la massa conosce e comprende. Questo equilibrio soddisfa la massa, che non auspica nulla di meglio della stabilità. La paura spinge, incessantemente, la massa a inventare o a esagerare i rischi. La televisione ci mette, inoltre, prepotentemente, a confronto con eventi che accadono a migliaia di chilometri di distanza. Sappiamo che, spesso, considerata la crescente interdipendenza tra i Paesi, i problemi che interessano una area del Mondo, possono coinvolgere rapidamente altre aree. Tutto ciò genera confusione e suscita un atteggiamento distorto nelle nostre menti. Nei salotti delle nostre case si riversano, ininterrottamente, problemi sempre nuovi. Problemi così tangibili da divenire spaventosi, tuttavia, abbastanza remoti da non richiedere un coinvolgimento effettivo e affettivo.

Nella massa questo atteggiamento può essere giustificabile, nei politici NO! 

Ho, sempre, pensato che i proverbi siano una coacervo di frasi fatte, un florilegio di luoghi comuni. E, tuttavia, ve ne è uno che gode di tutto il mio rispetto:

“Non vi è peggiore SORDO di chi non vuole sentire!”,

e io aggiungerei:

“E peggiore MUTO di chi non vuole parlare!”   

 

Roy Greenslade, Daily Telegraph’s holocaust article in 1942 that went unheralded, The Guardian, 27 gennaio 2015 [https://www.theguardian.com/media/greenslade/2015/jan/27/daily-telegraphs-holocaust-article-in-1942-that-went-unheralded].

 

 

  


Newly-Uncovered Documents Confirm Bush-Nazi Link

[http://coat.ncf.ca/our_magazine/links/54/54_19-21.pdf].

 

Toby Rogers, George W. Bush: Heir to the Holocaust, 3 agosto 2004

[http://coat.ncf.ca/our_magazine/links/54/54_3-7.pdf].

 


How Bush’s grandfather helped Hitler’s rise to power

[https://issuu.com/webmusher/docs/bushhitler].

Nel loro libro, George Bush: The Unauthorized Biography, Webster G. Tarpley e Anton Chaitkin scrivono: 

“In October 1942, ten months after entering World War II, America was preparing its first assault against Nazi military forces. Prescott Bush was managing partner of Brown Brothers Harriman. His 18-year-old son George, the future U.S. President, had just begun training to become a naval pilot. On Oct. 20, 1942, the U.S. government ordered the seizure of Nazi German banking operations in New York City which were being conducted by Prescott Bush.

Under the Trading with the Enemy Act, the government took over the Union Banking Corporation, in which Bush was a director. The U.S. Alien Property Custodian seized Union Banking Corp.’s stock shares, all of which were owned by Prescott Bush, E. Roland “Bunny” Harriman, three Nazi executives, and two other associates of Bush.”

Un libro dello studioso statunitense Richard Breitman ha messo in luce e denunciato l’indifferenza degli Stati Uniti nei confronti della cosiddetta “soluzione finale”, che secondo l’autore, si sarebbe potuta evitare. Il sottotitolo del libro di Breitman rimanda chiaramente a responsabilità morali degli Alleati nello sterminio degli ebrei. Richard Breitman, docente di storia all’American University di Washington, ha analizzato i documenti di guerra resi pubblici, nel 1996, dalla National Security Agency statunitense, che li aveva ottenuti da Londra, nel 1984. Sulla base di questi documenti, Breitman sostiene che il Governo della Gran Bretagna e quello degli Stati Uniti fossero, perfettamente, al corrente di ciò che stesse accadendo in Polonia e in altri luoghi.

Dal 1941, erano state intercettate e decriptate molte notizie sui massacri di decine di migliaia di ebrei in Polonia, Lituania, Ucraina. Winston Churchill venne a conoscenza di queste informazioni, che rimasero all’interno del SIS.

Fino al 1942, sia gli inglesi sia gli americani non avrebbero denunciato alcuna atrocità contro le minoranze e contro il popolo ebraico, ma avrebbero parlato, in modo generico, di atrocità e violenze sulle popolazioni dei territori occupati. All’inizio del 1943, la BBC iniziò a parlare di “soluzione finale”, progettata dai nazisti contro gli ebrei e presero a circolare descrizioni di ghetti e di campi di sterminio, e storie di fucilazioni di massa. 

 

Nel 2001, il giornale britannico The Guardian aveva riportato la notizia di 2 sopravvissuti all’Olocausto, Kurt Julius Goldstein di 87 anni e Peter Gingold di 85 anni, che avevano depositato una class action contro il Governo degli Stati Uniti e la famiglia Bush:

“[...] Kurt Julius Goldstein, 87, and Peter Gingold, 85, began a class action in America in 2001, but the case was thrown out by Judge Rosemary Collier on the grounds that the government cannot be held liable under the principle of “state sovereignty.”

Jan Lissmann, one of the lawyers for the survivors, said: “President Bush withdrew President Bill Clinton’s signature from the treaty [that founded the court] not only to protect Americans, but also to protect himself and his family.”

Lissmann argues that genocide-related cases are covered by international law, which does hold governments accountable for their actions. He claims the ruling was invalid as no hearing took place.

In their claims, Mr Goldstein and Mr Gingold, honorary chairman of the League of Anti-fascists, suggest the Americans were aware of what was happening at Auschwitz and should have bombed the camp.

The lawyers also filed a motion in The Hague asking for an opinion on whether state sovereignty is a valid reason for refusing to hear their case. A ruling is expected within a month.

The petition to The Hague states: “From April 1944 on, the American Air Force could have destroyed the camp with air raids, as well as the railway bridges and railway lines from Hungary to Auschwitz. The murder of about 400,000 Hungarian Holocaust victims could have been prevented.”

The case is built around a January 22 1944 executive order signed by President Franklin Roosevelt calling on the government to take all measures to rescue the European Jews. The lawyers claim the order was ignored because of pressure brought by a group of big American companies, including BBH, where Prescott Bush was a director.

Lissmann said: “If we have a positive ruling from the court it will cause [president] Bush huge problems and make him personally liable to pay compensation.” The US government and the Bush family deny all the claims against them.  [...] [https://www.theguardian.com/world/2004/sep/25/usa.secondworldwar, https://www.huffpost.com/entry/all-the-presidents-nazis_b_102022].

 

Gingold Peter, Mémoires de guerre, 21 febbraio 2018 [https://www.memoiresdeguerre.com/article-gingold-peter-42766708.html].

 

 

Holocaust survivor, activist Kurt Julius Goldstein dies at 93, The Jerusalem Post, 25 settembre 2007 [https://www.jpost.com/Jewish-World/Jewish-Features/Holocaust-survivor-activist-Kurt-Julius-Goldstein-dies-at-93].

 

Sulla scia delle posizioni di Breitman si pongono le tesi di un altro studioso e giornalista investigativo statunitense, Edwin Black. Se si uniscono le ricerche di Breitman a quelle di Black, si comprende come gli anglo-americani non si siano limitati a non contrastare direttamente i crimini nazisti contro le minoranze e gli ebrei, ma abbiano collaborato, attivamente, con le autorità naziste ad attuare crimini.

L’argomento e le tesi esposte nel libro di Black sono sensazionali e provocatoriamente dirompenti, poiché l’autore lancia chiare accuse di complicità e di collaborazionismo con le autorità naziste, nel loro piano di distruzione del Popolo ebraico, a una delle maggiori imprese statunitensi, l’International Business Machine, ovvero la IBM, la quale, pur di conseguire grandi profitti, non si fece scrupoli morali. Edwin Black nel suo libro documenta la stretta collaborazione tra la grande Corporation americana e la Germania di Hitler e riesce a provare che l’allora Presidente dell’IBM, Thomas Watson, che Adolf Hitler insignì della Gran Croce del Supremo Ordine dell’Aquila Tedesca la più alta onorificenza del regime nazista conferibile a uno straniero – aiutò  i nazisti nell’opera di classificazione degli ebrei per finalità razziste.

Nel 1933, fornì, infatti, la tecnologia necessaria per il primo censimento del nazismo, cui seguirono altri più perfezionati, anche negli anni di guerra. L’intera popolazione fu schedata in modo da potere identificare gli ebrei e differenziare anche altre categorie, a esempio, i soggetti che avevano sposato ebrei, gli ebrei che avevano combattuto durante la Prima Guerra Mondiale, la percentuale di sangue ebraico. La tecnologia dell’IBM permise una maggiore efficienza dell’industria bellica e una migliore organizzazione dei trasporti.

Black sostiene che l’aiuto della IBM fu fondamentale per realizzare l’Olocausto degli ebrei e per ottenere i migliori risultati nello sterminio dei soggetti ritenuti indegni di vivere, zingari, disabili, mendicanti, omosessuali. Dopo lo scoppio della guerra, la Dehomag aprì nuove filiali nei territori conquistati, Austria, Polonia, Cecoslovacchia, per attuare nuovi censimenti. L’IBM, con rapidità ed efficienza, istituì, perfino, nuove filiali nei territori che sarebbero stati occupati in seguito, anticipando, così, le mosse della Wehrmacht. In tale modo, i Governi nazisti locali potevano da subito smascherare gli ebrei e deportarli. Questa realtà agghiacciante è stata, inoppugnabilmente, provata da Black.

Ufficialmente i rapporti fra l’IBM e il regime nazista cessarono nel 1940, ma Black ha rinvenuto documenti che dimostrerebbero il contrario.

Alla fine della guerra, l’IBM poté festeggiare una doppia vittoria: oltre agli enormi profitti maturati prima e durante il conflitto, fu considerata dagli Alleati una vittima dell’esproprio nazista, e poté recuperare tutte le proprie macchine.

Il 6 novembre 1980, Big Blue, ha firmato una not holy alliance per portare un personal computer IBM con un sistema operativo Microsoft in tutto il mondo. Il film Silicon Valley mostra bene l’episodio dell’incontro tra Bill Gates e gli uomini dell’IBM [https://www.youtube.com/watch?v=9nfgRf2A0Tc] e documenta anche come Bill Gates abbia barato a proposito del DOS, che, poi, diverrà MS-DOS,  quel 22 luglio 1980 [https://corrierequotidiano.it/tecnologia/lincontro-segreto-fra-bill-gates-e-la-ibm-per-portare-un-personal-computer-in-ogni-casa/].

Divenuto multimiliardario in 10 anni, come nel miglior sogno americano del self–made man, Bill Gates non è spuntato dal nulla!

Come tutti i grandi capitalisti americani, anche lui si è fatto la sua foundation, che gode dello status giuridico del no-profit, la Bill & Melinda Gates Foundation, una istituzione filantropica senza scopo di lucro, autonoma, sostenuta pubblicamente, con lo scopo di costituire fondi permanenti per il raggiungimento dei suoi obiettivi e con ampie, se non totali, esenzioni dalle imposte. La Bill & Melinda Gates Foundation persegue come obiettivi, oltre alla ricerca medica, la lotta all’AIDS e alla malaria, il diritto a un accesso universale all’aborto e promuove la diffusione della teoria del gender, che distingue tra sesso e genere. Negli Stati Uniti, dove è diventato il più grande proprietario terriero, in poco tempo e silenziosamente, il fondatore di Microsoft è arrivato ad acquistare più di un 1 miliardo di metri quadrati di terreno.

Al momento dell’ascesa al potere di Hitler, il mondo non era a conoscenza che una massiccia raccolta di dati potesse diventare un mezzo di controllo sociale e un’arma di guerra.

Oggi, noi non possiamo non capire che i dati personali possono essere utilizzati in modo improprio per manipolare le società in tutto il Mondo e dobbiamo guardare ala Storia.

Sono complottista se penso che i passaporti vaccinali potranno essere utilizzati come strumento per il controllo sociale?

Il requisito del green pass ha portato alla creazione di una società a due livelli, in cui gli individui non vaccinati sono stati ostracizzati e non hanno avuto accesso ai luoghi di lavoro e a luoghi pubblici, quali bar, ristoranti, alberghi, musei, e strutture pubbliche.

 

 

Tim Hains, Naomi Wolf: Mandatory Vaccine Passport Could Lead To The End Of Human Liberty In The West, Real Clear Politic, 29 marzo 2021 [https://www.realclearpolitics.com/video/2021/03/29/naomi_wolf_mandatory_vaccine_passport_could_lead_to_end_of_human_liberty_in_the_west.html].

In un’intervista del 28 marzo 2021 con Steve Hilton di Fox News, Naomi Wolf avvertiva che i passaporti vaccinali obbligatori avrebbero segnato la “fine della libertà umana in Occidente”.

Naomi Wolf: I can not say this forcefully enough: This is literally the end of human liberty in the West if this plan unfolds as planned.

“Vaccine passport” sounds like a fine thing if you don’t understand what these platforms can do. I’m the CEO of a tech company, I understand what this platform does. It is not about the vaccine or the virus, it is about your data. What people need to understand is that any other functionality can be loaded onto that platform with no problem at all.

What that means is that can be merged with your Paypal account, digital currency, Microsoft is talking about merging it with payment plans, your networks can be sucked up, it geolocates you wherever you go. All of your medical history can be included -- this has already happened in Israel.

And six months later, we’re hearing from activists that it is a two-tiered society and basically activists are ostracized and surveilled continually. It is the end of civil society and they are trying to roll it out around the world. It is absolutely so much more than a vaccine pass, it is -- I can not stress enough that it has the power to turn off your life, or to turn on your life, to let you engage in society or be marginalized.

And by the way, the last thing I’ll say is IBM has a horrible history with Nazi Germany... with punchcards that allowed the Nazis to keep lists... in such a way that they could round up Jews, round up dissidents and opposition leaders. It is catastrophic, it can not be allowed to continue...

How does [China] keep a billion people under the thumb of a totalitarian regime. The CCP can find any dissident in five minutes, and that can happen here literally within months.”

I passaporti vaccinali ci concederanno o ci negheranno l’accesso a spazi ed eventi pubblici, in base al nostro stato di vaccinazione, la versione moderna del sistema di schede perforate che IBM ha sviluppato per il regime nazista, che ha permesso loro di creare un censimento di ebrei e altri indesiderabili, che potevano, quindi, essere identificati, rintracciati e ordinati in “liste”.

IBM ha stretto una partnership con Moderna, produttore di vaccini antiCovid-19 [https://newsroom.ibm.com/2023-04-20-Moderna-and-IBM-to-Explore-Quantum-Computing-and-Generative-AI-for-mRNA-Science].

 

Edwin Black, IBM and the Holocaust, C-SPAN, 18 febbraio 2001 [https://www.c-span.org/video/?162717-1/ibm-holocaust].

Edwin Black and other researchers talked about his book IBM and the Holocaust: The Strategic Alliance between Nazi Germany and America’s Most Powerful Corporation, published by Crown Publishers. The book contends that IBM and its president, Thomas J. Watson, established business relations with Nazi Germany and that IBM’s information technology and business alliance endowed Adolph Hitler with the ability to accelerate and automate the persecution of Jews during World War II and in the Holocaust. Following their remarks, they responded to questions from the audience.

 

Moderna and IBM to Explore Quantum Computing and Generative AI for mRNA Science, Moderna invests in developing quantum computing skills and exploring the use of quantum computing in developing future mRNA medicines

Agreement with IBM includes investments in generative AI to improve product design, IBM 20 aprile 2023 [https://newsroom.ibm.com/2023-04-20-Moderna-and-IBM-to-Explore-Quantum-Computing-and-Generative-AI-for-mRNA-Science].


Ministro Speranza a Bologna: “Il green pass è la più grande opera di digitalizzazione mai fatta”

Speranza e Romano Prodi protagonisti della serata organizzata da Articolo Uno. Il tema della pandemia e della campagna vaccinale al centro del dibattito: “Il green pass è oggi il simbolo della libertà” [https://www.bolognatoday.it/politica/ministro-salute-speranza-romano-prodi-bologna.html].


Il 25 giugno 1942, quando i nazisti erano in difficoltà e le sorti della guerra poco distinte, il giornale inglese The Daily Telegraph pubblicò uno dei più grandi scoops della Storia, dal titolo Germans murder 700,000 Jews in Poland [http://www.telegraph.co.uk/history/world-war-two/11370972/Holocaust-Memorial-Day-Telegraph-revealed-Nazi-gas-chambers-three-years-before-liberation-of-Auschwitz.htm,

https://www.jhi.pl/en/articles/june-26-1942-bbc-informs-about-the-extermination-of-polish-jews,5812, https://holocausteducation.org.uk/wp-content/uploads/03-British-responses-to-the-Holocaust-resources.pdf].

Ma, nell’articolo, si parlava di un numero anche maggiore di vittime. Era una delle prime notizie su uno dei grandi fatti del Ventesimo Secolo. E aveva, anche, il raro pregio di poter servire a qualcosa. In quel momento, il massacro era ancora in atto e altri milioni di Esseri Umani sarebbero stati soppressi, negli anni a venire. Saperlo avrebbe potuto spingere ad agire. Ma il giornale, che di pagine ne contava solo sei, pubblicò quella breve notizia alla pagina cinque. E nessun altro quotidiano la riprese. Sarebbero trascorsi anni prima che l’Umanità decidesse di inorridire di fronte all’Olocausto. In quei giorni non ne aveva intenzione… 

 

 

Il 30 luglio 1938, l’industriale Henry Ford riceve da Adolf Hitler la Gran Croce del Supremo Ordine dell’Aquila Tedesca, che è la più alta onorificenza del regime nazista conferibile a uno straniero, per l’impegno della sua Filiale Ford in Germania nel rifornire l’esercito nazista di mezzi blindati e nel donare tutti gli utili alla causa nazista [https://www.ranker.com/list/relationship-between-henry-ford-and-ss/melissa-sartore].

 

L’Olocausto è stato un momento eccezionale della Storia.

Oggi, in tutto il Mondo 250 milioni di Esseri Umani soffrono di una grave insicurezza alimentare e sono costretti a fare affidamento su programmi di aiuto internazionale per sopravvivere.

Le guerre creano masse di rifugiati.

E migliaia di migranti affogano o si perdono, cercando una vita migliore.

Naturalmente, ciò non accade a noi, che leggiamo queste notizie.

Sono, sempre, gli Altri, come gli Altri erano gli Ebrei.

E la loro Storia non cessa di uscire in penultima pagina, quando esce!

La più grandiosa e grottesca manifestazione della completa vacuità del diritto internazionale è stata, il Patto Briand-Kellog del 27 agosto 1928, che poneva la guerra “fuori legge”. Quasi tutti i Governi del Mondo – compresi quelli della Germania, dell’Italia e del Giappone – si affrettarono a dare pubblica prova delle loro pacifiche intenzioni, firmando la morte legale della guerra. Stupendi discorsi, scambio di telegrammi tra Capi di Stato, brindisi, felicitazioni, articoli ditirambici su grandi giornali.

Ma di buone intenzioni è lastricato l’inferno.

Il Patto Kellog-Briand, non prevedendo nessuna efficace sanzione, lasciò le cose come stavano.

La guerra, tutta occupata a massacrare e a distruggere, neppure si accorse di essere stata messa “fuori legge” da tante brave persone.

Platone diceva:

“Conoscere è ricordare.”

E, il tentativo evoca profondi strati di Passato: voci, suoni, odori, persone e così via, senza fine. Nell’epoca in cui si porta al massimo sviluppo l’individualità, l’Uomo ha, fortemente, bisogno di una conoscenza che, per sua natura, spinga il pensiero verso il cuore e di là verso l’azione, che svegli il senso di appartenenza a innumerevoli Esseri Umani e, quindi, a un comportamento armonico per la vita di questi Esseri Umani.

In un’Italia in cui si osservano rabbiosi ritorni a pestiferi miti nazionalisti, in cui, improvvisamente, si scoprono passionali correnti patriottiche in chi fino a ieri professava idee internazionaliste, in questa Italia nella quale si vedono con raccapriccio riformarsi tendenze belliciste, urge compiere un’opera di unificazione.

Opera, dico, e non predicazione!

Le spese militari sono alternative alle spese sociali. Quanto più aumentano le une, tanto più devono necessariamente diminuire le altre.

 

Presidente Giorgia Meloni,

Il 21 novembre scorso, i giudici della Corte di Appello di Roma hanno confermato le condanne nei confronti di Mamadou Gara, Yousef Salia, Brian Minthe e Alinno Chima, imputati per l’omicidio di Desirée Mariottini, la 16enne morta, il 19 ottobre del 2018, in uno stabile abbandonato nel quartiere romano di San Lorenzo.

E Lei, Presidente, ha, così, commentato la sentenza su Twitter:

“‘Questa sentenza ci dà solo un po’ di pace ma nessuno ci restituisce mia figlia, il dolore per la morte lo sento ogni giorno.’ Comprendo le parole di Barbara, madre di Desirée, che abbraccio. Ora almeno giustizia è fatta. Faremo tutto il possibile per rendere l’Italia più sicura.”

 

Giorgia Meloni: “Costretta da due stranieri a salire in macchina per essere pestata e violentata per tutta la notte. Questa FECCIA UMANA deve marcire in carcere. TOLLERANZA ZERO per chi usa violenza sulle donne!”, Twitter, 19 maggio 2018.” Twitter, 19 maggio 2018.

 

Giorgia Meloni: Désirée è stata uccisa una volta da un branco di vermi spacciatori, ma anche quattro volte dal lassismo della sinistra. La mia lettera a “Libero Quotidiano”, Twitter, 30 ottobre 2018.

 

Giorgia Meloni: “Spero che nel suo discorso di questa sera, il Presidente Mattarella ricordi Pamela Mastropietro e Desirée Mariottini, due giovani italiane vittime dell’immigrazione incontrollata. Per un 2019 in cui lo Stato non permetta altre tragedie simili.”, Twitter, 31 dicembre 2018.

 

Giorgia Meloni: “La mia solidarietà alla 24enne violentata a Napoli nell’ascensore della Circumvesuviana. Per i 3 VERMI responsabili una PENA ESEMPLARE e Tolleranza Zero!”, Twitter, 6 marzo 2019.


 Giorgia Meloni: “In occasione dell’8 marzo, aderisco anche io alla campagna contro la violenza sulle donne Guarda bene chi ami. Perché chi ami non usa MAI violenza.”, Twitter, 8 marzo 2019. 

 

 
Giorgia Meloni: “Oggi si celebra la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Non abbassiamo la testa, combattiamo, ogni giorno, questa barbarie.” Twitter, 25 novembre 2019.

 

Giorgia Meloni: “I dati delle violenze sulle donne sono terribili e inaccettabili: in Italia 91 femminicidi nel 2020. Continuiamo a batterci contro questo fenomeno criminalee a chiedere GIUSTIZIA e TUTELE per le vittime. Perché senza giustizia non sono sufficienti le giornate contro la violenza.”, Twitter, 25 novembre 2020. 

 

Giorgia Meloni: “L’avrebbe presa di mira, colpita con un bastone e infine avrebbe tentato di violentarla mentre faceva sport. Le urla della giovane fortunatamente hanno attirato i Carabinieri che l’ha
nno liberata. Mi auguro che la giustizia si dimostri inflessibile,la mia vicinanza alla ragazza.” Twitter, 6 luglio 2022.  

 

Caso Desirée: Meloni, “giustizia è fatta, faremo possibile per Italia più sicura”, La Sicilia,  21 Novembre 2022 [https://www.lasicilia.it/ultimi-aggiornamenti/caso-desiree-meloni-giustizia-e-fatta-faremo-possibile-per-italia-piu-sicura-1300276/].

 

  Meloni “Contrastare ogni forma di violenza sulle donne”, Sicilia News 24, 8 Marzo 2023 [https://sicilianews24.it/meloni-contrastare-ogni-forma-di-violenza-sulle-donne-740212.html?refresh_ce].

  

La Costituzione italiana sancisce all’articolo 27:

“La responsabilità penale è personale.

L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte.” 

Come in molti altri articoli della Costituzione, oltre a moniti e vincoli, nell’articolo 27 si ritrovano anche delle tutele per il cittadino.

Io credo fermamente nell’Essere Umano come credo fermamente che in tema di responsabilità penale, la bussola sia, innanzitutto, rappresentata dall’articolo 27 e dal dovere dello Stato di non comminare pene contrarie al senso di umanità e invece tese alla rieducazione del condannato. Precisato ciò, credo, altrettanto fermamente, che garantire i propri diritti al prossimo, significhi consentire lui la diversità delle sue idee, non l’illiceità o l’inciviltà dei suoi comportamenti, che devono essere, esemplarmente, sanzionati da uno Stato giusto e, al contempo, forte.

“Non possiamo pretendere che un africano sappia che in Italia, sulla spiaggia, non si può violentare una persona, perché lui probabilmente non lo sa proprio.”,

sono le inquietanti parole proferite da Carmen Di Genio, avvocato del Comitato Pari Opportunità della Corte di Appello di Salerno, il 13 settembre 2017, nella sala del Gonfalone del Comune di Salerno, nel corso del Convegno Nazionale sulla Sicurezza e Legalità, organizzato dall’Associazione Street Kali, dalla Federazione Italiana Krav Maga e da Servizi Sicurezza Italia [Redazione ANSA 17 settembre 2017, https://www.ansa.it/campania/notizie/2017/09/16/carmen-di-genio-gli-immigrati-non-sanno-che-non-devono-violentare_da862c57-2418-4a32-a651-36d26812c9ad.html].

“Alcun provento derivante da attività lavorativa lo spaccio appare l’unico modo per mantenersi.”,

è la motivazione dei giudici del Tribunale del Riesame di Milano, che scarcerava il gambiano trentunenne Buba C. [Si mantiene con lo spaccio, 29 Agosto 2018 - 08:06, https://www.ilgiornale.it/news/politica/pusher-rimesso-libert-si-mantiene-spaccio-1569138.html].

Per lo scrittore Christian Raimo, l’assassino del carabiniere Mario Cerciello Rega, Finnegan Lee Elder è “un ragazzino di diciott’anni, viziato, testa di cazzo, per perdere il controllo nell’ultima sera di vacanza, forse per paura, per rabbia, per fare il grosso con l’amico [gabriel Natale Hjorth], vilmente, sotto botta probabilmente, fa una cazzata spaventosa, infame e gigantesca che distrugge una famiglia e rovina anche la sua vita per sempre. Se non pensiamo che la pena abbia una funzione rieducativa per una persona del genere, allora per chi?” [Carabiniere ucciso, Raimo choc: “Solo una cazzata da 18enne”, Francesco Curridori, il Giornale, 30 Luglio 2019 - 13:49, https://www.ilgiornale.it/news/cronache/raimo-carabiniere-ucciso-solo-cazzata-18enne-1733738.html].

Accanto alla garanzia verso Caino, uno Stato giusto e forte deve, anche, prestare protezione e tutela anche ad Abele. Quindi, senz’altro sì alle garanzie, ma in un sistema penale che preveda certezza tassativa ed effettiva della pena, celebrazione veloce del processo in un’ottica di reale parità tra accusa e difesa, statuizioni giudiziali temporalmente prossime al fatto-reato, ristoro effettivo dei patimenti subiti dalla vittima del reato.

 

Pronti a risollevare l’Italia

Elezioni politiche 25 settembre 2022 [https://www.fratelli-italia.it/wp-content/uploads/2022/08/Brochure_programma_FdI_qr_def.pdf].

 

Occorre recuperare la fiducia del cittadino verso il sistema giustizia di questo Paese e ciò è, indubitatamente, compito degli operatori, ma, innanzitutto, del decisore politico, che ha il mandato e l’onere di farlo.

 

Presidente Giorgia Meloni,

Io sono in collera…

Io sono in collera con il Mondo intero…

Io sono in collera con l’Unione Europea…

Io sono in collera con il mio Paese…

Io sono in collera con la mia Città…

Io sono in collera con una sedicente sinistra che si limita all’accoglienza, ma non si pone mai il problema delle cause…

Perché ci sono, oggi, tanti migranti?

Perché africani e asiatici sono, oggi, migranti in terra straniera?

Non sono forse vittime di quel “politicamente corretto” che ci obbliga, come occidentali a continue missioni di pace e di solidarietà per “esportare” la democrazia nei Paesi ancora al di fuori delle regole del neoliberismo?

Non si tratta di aiutarli a casa loro, ma di lasciarli in pace a casa loro!

Nel mondo del politicamente corretto gli zingari sono rom, i neri sono di colore, i clandestini sono migranti irregolari.

Le parole sono pietre, come ammoniva Carlo Levi, ma sono importanti, se a queste seguono i fatti. E da quelle pietre devono sorgere fatti tangibili, soluzioni, opportunità concrete, altrimenti le pietre lasciate così sono solo macerie.

Noi possiamo anche chiamare gli zingari rom, i neri di colore e i clandestini migranti irregolari, ma se li accogliamo per stiparli negli hotspots, che non sono ricoveri neppure per le bestie, tutta questa correttezza di linguaggio è solo ipocrisia.     

 

 

Per le élites i migranti non costituiscono un problema dal momento che insidiano i lavori e i territori che sono appannaggio delle classi più impreparate alla competizione neoliberista.

Quando fu decisa dalla Prefettura di Grosseto, la dislocazione di cinquanta migranti a Capalbio, storica meta delle vacanze di intellettuali ed esponenti di sinistra, in esecuzione di un bando di gara del Ministero dell’Interno, pubblicato il 15 dicembre 2015, per gli operatori economici chiamati a provvedere all’accoglienza dei migranti, il nobile e ambientalista Nicola Caracciolo nonché principe di Capalbio, in un’intervista al Corriere della Sera, ebbe a dire:

“Bisogna essere prudenti, comprendere i problemi del territorio e capire che ci sono territori un po’ speciali.[Giuseppe Putignano, Capalbio, l’arrivo di 50 profughi fa discutere la sinistra. “Alcuni territori sono speciali”. Le accuse: “Ipocriti radical chic”, il Fatto Quotidiano,14 agosto 2016, https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08/14/capalbio-larrivo-di-50-profughi-fa-discutere-la-sinistra-alcuni-territori-sono-speciali-le-accuse-ipocriti-radical-chic/2974710/].

Nel mondo della Fattoria degli Animali gran parte dei comizi pubblici e delle chiacchiere sono stupidaggini e menzogne guidate e, sebbene molti personaggi siano buoni e benintenzionati, altri riescono con il terrore a indurli a coprirsi gli occhi per non vedere quello che accade loro intorno. I maiali intimidiscono gli altri con l’ideologia e, poi, la deformano per usarla a loro esclusivo vantaggio. Come insegna George Orwell, non sono le etichette: cristianità, socialismo, islam, democrazia, cattivi a due zampe, buoni a quattro zampe a definire, bensì le azioni compiute in loro nome.

Come si fa presto a rovesciare un potere oppressivo e a cadere, poi, nelle stesse trappole e consuetudini!

Come si fa presto a cambiare il comandamento “Tutti gli animali sono uguali” in “Tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri”!

Jean-Jacques Rousseau aveva ragione di avvertirci che la democrazia è la forma di governo più difficile da mantenere.

Quale interesse mellifluo i porci mostrano per gli altri animali, come sembrano preoccuparsi del loro benessere – solo per mascherare il disprezzo nei confronti di quelli che stanno manipolando!

Con quale alacrità indossano le uniformi un tempo disprezzate di quegli umani tirannici che loro stessi hanno cacciato, e come imparano a usare le fruste!

Con quale ipocrisia giustificano le loro azioni, grazie alle ragnatele verbali intessute da Clarinetto, il loro addetto stampa dalla lingua sciolta, finché tutto il potere non è nelle loro zampe!

A quel punto non è più necessario fingere e possono governare con la forza bruta.

Una rivoluzione, spesso, significa solo questo: un ribaltamento, un giro della ruota della fortuna grazie al quale quelli che stavano in basso salgono in cima e occupano le posizioni più ambite, schiacciando sotto di loro i precedenti detentori del potere.

Dovremmo diffidare di coloro che tappezzano il nostro ambiente dei loro ritratti in formato poster come fa il maiale Napoleon!

La Fattoria degli Animali procurò molti guai a George Orwell.

Chi si oppone alle convenzioni popolari del momento, chi mette in evidenza ciò che è, fastidiosamente, ovvio, deve aspettarsi la condanna degli irosi belati di mandrie di pecore ostinate.

Secondo il mio dizionario, il razzismo designa un’ideologia basata sulla presunzione che un gruppo umano sia superiore agli altri, ma anche un”atteggiamento di sistematica ostilità verso una specifica categoria di esseri umani.”

E, dunque, se stringo a me la borsa quando vedo rom in metropolitana o  cambio marciapiede quando incrocio extracomunitari incappucciati, sono razzista?

Dovremmo porci tutti questa domanda, non essere razzisti non è solo denunciare un’ingiustizia…

E, sinceramente, credo che ci si proclami non razzisti un po’ troppo facilmente!

 

Presidente Giorgia Meloni,

Io sono in collera… una collera profonda, che non mi lascerà mai…

A  venti anni ero di sinistra.

Cosa significava allora essere di sinistra?

Credere nella lotta di classe e nella coscienza di classe.

Nessuno pensava, allora, che nel Popolo ci fosse qualcosa di sbagliato che le élites dovessero “raddrizzare” per il bene dello stesso Popolo. Era il Popolo che, assumendo coscienza, poteva e doveva guidare la società.

E questo concetto, prima che di sinistra, è democratico!

La politica non è che un ramassis de blagues écœurant.

Non offre niente di nuovo.

La sua irrimediabile miseria mi ha riempito di amarezza, fino dalla mia giovinezza. Così, ora, io non ho alcuna disillusione. Ma non è disprezzando la sua miseria che ne contemplo la distesa.

Io ho la netta sensazione che questa classe politica non piaccia più, sia nei comportamenti sia nelle decisioni. I risultati delle ultime elezioni dimostrano la resistenza passiva degli Italiani.

La lista delle trasgressioni della politica è lunga!

La crisi finanziaria internazionale non è una fatalità. Questa crisi non è certo una catastrofe naturale. Non è una sanzione divina. E, non è neppure una maledizione satanica, ma affonda le sue radici nelle condotte e nelle incapacità umane.

Nel 2008, la crisi scoppiò perché le banche agirono con cupidigia, provocando derivati finanziari altamente speculativi e pericolosi. Ma niente sarebbe accaduto se la politica avesse delimitato il perimetro di azione delle banche. La politica ha lasciato fare. La politica ha permesso alle banche di non inscrivere tutte le operazioni in bilancio. La politica ha ammesso che le banche non disponessero di fondi propri a sufficienza di fronte ai rischi che avevano assunto.

E gli Italiani dovettero pagare per le banche!

In una intervista del 9 settembre 2009 all’autorevole quotidiano della finanza e dell’economia a stelle e strisce The Wall Street Journal, Lloyd Blankfein, ex-CEO di Goldman Sachs, che ha avuto una responsabilità diretta nella crisi economica mondiale del 2008, aveva detto, letteralmente:

“I’m doing God’s work.” [http://blogs.wsj.com/marketbeat/2009/11/09/goldman-sachs-blankfein-on-banking-doing-gods-work/]
Blankfein, avrà finito di fare il lavoro di Dio, quando si è ritirato nel 2018, dopo dodici anni a capo del gigante di Wall Street? 

 

 

In un articolo dal titolo L’Italia è diversa e mancano i negri, apparso sul Corriere della Sera, in prima pagina, il venerdì 19 agosto 1977, il futuro presidente del Consiglio Romano Prodi,  altro ex-Goldman Sachs man [https://www.telegraph.co.uk/finance/markets/2809685/Italians-claim-country-run-by-Goldman-Sachs.html], scriveva:

“[…] L’Italia è stato l’unico Paese dell’Occidente a dover gestire il proprio sviluppo senza il determinante contributo di lavoratori stranieri. Detto in linguaggio più semplice l’Italia è stato l’unico Paese dell’Occidente a mandare avanti una società industriale senza “negri”, che negli Stati Uniti erano negri nel senso letterale della parola. Nel Nord Europa erano invece emigranti italiani, spagnoli, turchi o nordafricani. […]

Dopo tre giorni passati a Torino l’operaio siciliano non solo è già sindacalizzato, ma tende a dimostrare la propria definitiva appartenenza alla classe operaia spingendosi spesso verso i limiti più estremi della militanza sindacale. Non abbiamo perciò goduto della possibilità, che hanno avuto gli altri, di scaricare sugli stranieri le professioni che stanno in coda alla gerarchia sociale, cioè quelle da cui nascono le tensioni e dilacerazioni. […]”

 

 

Cosa significa, oggi, essere di sinistra?

Essere politicamente corretti. Accettare il pensiero unico in maniera acritica e credere, presuntuosamente che, in quanto detentrici del pensiero unico, le élites devono guidare un Popolo ignorante e rozzo, irritante per la sua mancanza di educazione. Lo spiega bene, un altro ex-Goldman Sachs man, Mario Draghi, tornato in pubblico, dopo la caduta del suo Governo, a Milano, il 21 febbraio scorso, in occasione della presentazione dell’ultimo libro di Emilio Giannelli, vignettista del Corriere della Sera molto apprezzato da l’ex-Presidente del Consiglio:

“Dalle vignette di Emilio Giannelli porto a casa il fatto di riuscire a guardare al potere e ai potenti. Io mi sento parte di quella recita. Lo sono stato, ora lo non lo sono più, per chiarire. Ecco perché non faccio molta fatica a staccarmi dalla situazione in cui mi trovo e a guardarmi da fuori.”

“Giannelli divide il mondo in due categorie, ci sono i potenti e i normali. I potenti sono quelli che contano, i normali sono quelli che guardano la realtà da normali appunto, con stupore e con distacco. I potenti sono i governanti, i politici, siamo i banchieri centrali, quelli che decidono o che credono di decidere le sorti del mondo. Sono gli attori della recita del potere. Giannelli, con le sue caricature, smaschera la recita del potere a cui i normali non partecipano.”

“Uno dei messaggi di Giannelli, secondo me è questo: sono tutti uguali, al posto dei politici italiani ci potrebbero essere benissimo politici di altri Paesi. Nella sostanza sono gli stessi.” [Francesco Zecchini, Mario Draghi: “Non sono più parte della recita dei poteri”, Upday, 21 febbraio 2023, https://www.upday.com/it/mario-draghi-non-sono-piu-parte-della-recita-dei-poteri#google_vignette].

 

Presidente Giorgia Meloni,

ascolti la voce dei Suoi Concittadini, diffidi di coloro che cercano, sempre, di favorire il capitale finanziario e di imporre i propri interessi economici, politici e militari a scapito della vita umana. Sono gli stessi che distruggono l’ambiente e le libertà cittadine e che generano la fame, la povertà e l’emarginazione.

Vi è una varietà considerevole di problemi che richiedono una soluzione immediata e il rischio di vedere, sempre più, cadere l’Italia nel baratro della povertà esiste e non è mai stato così elevato.

“Non ci saranno più crisi finanziarie nel nostro tempo.”,

aveva affermato, coraggiosamente, Janet Yellen, il 27 giugno 2017, nel ruolo di Presidente della Federal Reserve dal podio della prestigiosa British Academy di Londra. Memore dei fatti del 2008, aveva spiegato:

“Se dicessi che non ci sarà mai più una crisi finanziaria, probabilmente mi spingerei troppo in là, ma credo che siamo molto più al sicuro nel nostro tempo e non credo che ci saranno.”

L’attuale Segretaria al Tesoro degli Stati Uniti avrà ricordato quelle parole, la notte tra il 22 e il 23 marzo scorsi, assistendo alla reazione dei mercati alla sua dichiarazione sull’attuale crisi bancaria?

In un sistema finanziario interconnesso è naturale che un problema in California si ripercuota in Germania.

Come scrive Andrew Sorkin, editorialista del New York Times e autore del libro Too big to fail, nel 2008 si trattò di operazioni ad alto rischio con una leva finanziaria elevata e un indebitamento in media di 30 a 1.  

Oggi, il problema non è l’esasperazione di una bolla ingigantita con strumenti artificiali creati dall’ingegneria finanziaria, bensì i classici e più solidi titoli di Stato, che si sono deprezzati a causa delle politiche monetarie delle banche centrali, fattesi più restrittive in breve tempo.

La Silicon Valley Bank e altre banche, ipotizzando una recessione imminente e, quindi, un allentamento monetario, hanno incrementato il peso dei titoli di Stato, aumentando rischi ed esposizione, ma la recessione non è arrivata e le banche centrali hanno continuato ad alzare i tassi.

I titoli di Stato, se portati a scadenza e in assenza di default, permettono di incassare quanto investito, ma, rivenduti in risposta a una fase di tensione, possono capitalizzare una perdita.

Ed è, esattamente, quanto è accaduto!

 

Who Really Owns the World?

“BlackRock and Vanguard also own shares in an impossibly long list of virtually every major company in the world. Aside from world media, the companies controlled by BlackRock and Vanguard span everything from entertainment and airlines to social media and communications — quite literally everything you can think of, and much that you can’t.

Together, they form a hidden monopoly on global asset holdings, and through their influence over our centralized media, they have the power to manipulate and control a great deal of the world’s economy and events, and how the world views it all.

In all, BlackRock and Vanguard have ownership in some 1,600 American firms, which in 2015 had combined revenues of $9.1 trillion. When you add in the third-largest global owner, State Street, their combined ownership encompasses nearly 90% of all S&P 500 firms.

Interestingly, Vanguard also holds a large share of BlackRock. In turn, BlackRock has been called the “fourth branch of government” by Bloomberg as they are the only private firm that has financial agreements to lend money to the central banking system.

Owners and stockholders of Vanguard include Rothschild Investment Corp, Edmond De Rothschild Holding, the Italian Orsini family, the American Bush family, the British Royal family, and the du Pont family, the Morgan, Vanderbilt and Rockefeller families.”

 

 

      



 



 

Carole Novielli, The Population Council, which brought the abortion pill to the U.S., has a shocking history that’s nothing to celebrate, Live Action, 14 novembre https://www.liveaction.org/news/population-council-founded-eugenicists-promoting-abortion-turns-65/].

 

 
 

Inaugurando l’Anno Accademico 1883-1884, con un discorso sulla  
Difesa delle società contro le malattie infettive, Giulio Bizzozero, professore di patologia generale all’Università di Torino, affermò tra l’altro:

“Voi udite, e udrete sempre più parlare di questioni sociali. Ma quando si tratta di bonificare terreni malarici, di costruire spedali, di migliorare le condizioni igieniche dei quartieri operai, allora l’erario è esausto, allora si grida ai quattro venti la necessità di ricorrere a nuove imposte. Ma, al tempo stesso, si trovano e si profondono milioni per rendere più teatralmente pomposa un’incoronazione – come quella, cinque anni prima, del nuovo re Umberto I – o per ricostruire più splendidi i palazzi dei Parlamenti – come quelli romani recentemente restaurati – o per imporre a colpi di cannone il proprio protettorato a popoli – come quello eritreo – che si vogliono sfruttare a beneficio di pochi affaristi.”

Bizzozero fu il maggiore interprete italiano di Rudolf Ludwig Karl Virchow, professore di anatomia patologica all’Università di Berlino e parlamentare del Partito del Progresso Tedesco. Di Virchow, capostipite di quella generazione di medici che, attenti alle questioni sociali, ritennero di dovere svolgere, anche, un’attività politica – e di advocacy [ante litteram] del diritto alla salute – a favore dei gruppi più vulnerabili della Popolazione, è rimasta celebre la seguente affermazione:

“La medicina è una scienza sociale e la politica non è altro che medicina su larga scala.” 

Di fronte alla condizione di miseria, in cui versava la maggioranza della popolazione, criticava l’indifferenza e l’apatia dei governanti, e, nel 1849, mentre imperversava un’epidemia di colera a Berlino, così espresse tutta la sua indignazione:

“Non è chiaro che la nostra battaglia debba essere sociale? Che il nostro compito non è quello di scrivere le istruzioni per proteggere i consumatori di meloni e di salmoni, di dolci e gelati, ossia la borghesia benestante, ma quello di creare istituzioni che proteggano i poveri, coloro che non possono permettersi pane fresco, carne e caldi vestiti? Potrebbero i ricchi durante l’inverno – davanti alle calde stufe e alle torte di mele –  ricordarsi che gli equipaggi delle navi che portano carbone e mele muoiono di colera? È triste constatare che migliaia devono sempre morire in miseria per consentire a poche centinaia di vivere bene.”

Virchow sviluppò la tesi dell’origine multifattoriale delle malattie, sostenendo che erano le condizioni materiali della vita quotidiana degli individui la principale causa di morbilità e di mortalità, pertanto, un efficace sistema sanitario non poteva limitarsi a trattare i disturbi clinici dei pazienti, ma doveva affrontare le radici profonde delle malattie e delle epidemie.

L’oggettività sperimentale assoluta rivendicata e ricercata dalle scienze, che la medicina e la biologia, alla fine del XIX Secolo accettarono con pochi ripensamenti epistemologici e morali, furono il terreno fecondo su cui germogliò la pianta della discriminazione razziale. L’opinione pubblica rimase affascinata da questo messaggio ideologico, ma apparentemente e saldamente scientifico, un messaggio che asseriva come si potesse intervenire sulle persone “migliorandole”, allo stesso modo di un allevatore nel selezionare mucche da latte o cavalli da corsa. La politica, la filosofia e la religione non contrastarono né disapprovarono queste idee, che sembravano indubitabili, grazie al prestigio che la medicina moderna si stava guadagnando, affrancando l’Umanità da flagelli secolari, quali la sifilide, e da malattie infettive in genere. Quando la Germania nazista iniziò a praticare l’eugenetica, l’esempio costituito dagli Stati Uniti attraverso la sterilizzazione forzata risultò un punto di inizio per un processo che sarebbe giunto, progressivamente, a estendere la gravità dei suoi interventi, passando dalla sterilizzazione dei malati di mente non autosufficienti all’eutanasia degli stessi e di tutti i soggetti che fossero, indipendentemente dall’età, in una condizione di minorità e di non adeguatezza ai criteri di una normalità presunta. Criteri che erano stabiliti da un insieme di medici appositamente selezionati e formati dallo Stato. Nel 1926, in pieno clima di cultura eugenetica e di pulizia etnica che spirava anche in Svizzera, un insegnante di ginnasio, Alfred Siegfried, espulso dall’insegnamento per pedofilia, divenne responsabile della Sezione Scolarità Infantile della fondazione Pro Juventute,  un ente a “favore dei giovani” noto per la vendita annuale di francobolli molto ambiti dai filatelici professionisti e dilettanti non solo svizzeri.

“Non solo intere famiglie ma clan di diverse centinaia di individui costituendo una stretta associazione che assume atteggiamenti e modi di vita asociali e amorali li trasmette consapevolmente e intenzionalmente anche alla propria prole. […]

I loro singoli membri possono sembrare abbastanza innocui, le loro trasgressioni possono limitarsi a irregolarità e infrazioni di polizia lievi. Il fatto però che essi si sostengano e si aiutino vicendevolmente conferisce loro una potenzialità pericolosa.”

Il programma Hilfswerk fur die Kinder der Landstrasse [Opera di Assistenza per i Bambini di Strada], finanziato da privati e istituzioni proseguì fino al 1972, con l’intento di “sradicare il male del nomadismo, fin dall’infanzia, attraverso misure educative sistematiche e coerenti”, consistenti, innanzitutto, nel sottrarre i bambini ai loro genitori e nel sterilizzare, forzatamente, i loro genitori. in sostanza un programma di pulizia etnica, camuffato da scolarità infantile, sostenuto dal Governo elvetico. Molti bambini venivano affidati ai contadini, le bambine, si ritrovarono recluse in cliniche psichiatriche o in prigione, dove subirono maltrattamenti, violenze terapeutiche, come l’elettroshock, e abusi sessuali.

Erano 35mila i jenisches, ne rimasero 5mila. In Europa 500mila zingari sono stati sterminati durante la Seconda Guerra Mondiale. Dal 1938, per formale richiesta della Svizzera, sui passaporti dei cittadini tedeschi di  “razza non ariana” erano stati apposti timbri distintivi. Gli ebrei avevano una J, gli zingari una Z. Le stesse lettere che venivano tatuate sul braccio prima del numero di identificazione nei campi di sterminio.

A Milano un liceo classico e scientifico è intitolato ad Alexis Carrel. Carrel fu un grande pioniere della chirurgia, inventò brillanti tecniche di sutura dei vasi sanguigni, la tecnica odierna dei trapianti gli deve molto. Alla nascita del Governo Vichy nel 1940, Carrel accettò l’invito del Maresciallo Pétain di dirigere la Fondazione Carrel per lo studio dei problemi umani, che, in pratica, si occupava di selezioni razziali. Ammiratore di Adolf Hitler e di Benito Mussolini, pubblicò in America, nel 1935, Un uomo, questo sconosciuto. Nel suo farneticante libro scrive:

“Rimane poi il problema insoluto dell’immensa folla dei deficienti e dei criminali, che pesano interamente sulla popolazione sana: le spese per le prigioni e per i manicomi, per la protezione del pubblico dai banditi e dai pazzi sono diventate gigantesche. Le Nazioni civili stanno compiendo inutili sforzi per la conservazione di essere inutili e nocivi, e così gli anormali impediscono il progresso dei normali.”

Nel corso degli Anni Ottanta e Novanta, quando furono rese disponibili nuove procedure tecnologiche di riproduzione assistita, come la surrogazione di maternità [disponibile dal 1985], la diagnosi genetica pre-implantazione [disponibile dal 1989] e il trasferimento citoplasmatico [eseguito per la prima volta nel 1996] si temette un eventuale rinnovarsi delle idee e pratiche eugenetiche, con l’emersione eclatante dell’ampliamento del divario tra ricchi e poveri del mondo.

 
Una domanda che, spesso, ci si pone quando si parla di Olocausto è:

“Ma possibile che nessuno lo sapesse o che tutti fossero d’accordo?” 

Se è verosimile ritenere che l’opinione pubblica potesse ignorare le dimensioni effettive del fenomeno o i particolari più agghiaccianti, è, tuttavia, doveroso denunciare il lento ma inesorabile lavoro di indottrinamento eseguito dagli eugenisti, che, sostenuti da eminenti psichiatri, crearono quell’humus culturale in cui le idee di purezza razziale e di “soppressione della vita indegna di essere vissuta” potevano proliferare ed essere accettate come necessarie verità scientifiche.

L’eugenetica – dal greco “buona nascita” – prese piede sulla scia delle teorie darwiniane verso la fine del XIX Secolo. All’inizio del Novecento, spinta con forza anche dalla Fondazione Rockefeller, l’eugenetica si diffuse sempre più. L’idea di “sopravvivenza del più forte” fu, dapprima, usata per impedire che i deboli procreassero e, in seguito, per giustificare la soppressione della “vita indegna di essere vissuta”. In seguito fu sufficiente sviluppare un’intensa campagna antisemita, stigmatizzando gli ebrei come appartenenti a una razza inferiore, e il gioco era fatto: il concetto di razza inferiore germogliò con vigore in questo substrato culturale imbevuto di pseudoscienza eugenetica, fornendo la base di consenso allo sterminio.

La sospensione della democrazia rischia di passare senza accorgersene, se equivoci e ambiguità rendono particolarmente fragile il tessuto sociale.

 

 









 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 White Purity, Eugenics Ideology, and Mass Murder

Thomas White | Cohen Center for Holocaust and Genocide Studies

Madison Grant, American Eugenicist: “The laws of nature require the obliteration of the unfit, and human life is valuable only when it is of use to the community or race.”

Oliver Wendell Holmes, Supreme Court Justice: “It is better for all the world if, instead of waiting to execute degenerate offspring for crime or to let them starve for their imbecility, society can prevent those who are manifestly unfit from continuing their kind... Three generations of imbeciles are enough.”

Rudolf Hess, Hitler’s deputy: “Nazism is applied biology.” [https://www.keene.edu/academics/cchgs/resources/documents/white-purity-eugenics-and-mass-murder/download/].

  

 

 

 


 

Jan Fichtner,  Eelke Heemskerk, Javier Garcia-Bernardo,  These three firms own corporate America, The Conversation, 10 maggio 2017 [https://theconversation.com/these-three-firms-own-corporate-america-77072?fbclid=IwAR15LZg-fiFNqfpHYbaBdES6WqfvrvHYtKgbESL7OZDakWdxt_aW6r2fapk].

 

 

Mario Lettieri e Paolo Raimondi, Tre fondi, BlackRock, Vanguard e Ssga controllano tutte le corporation USA, In dieci anni, di tutti i capitali confluiti nei vari fondi d’investimento, l’80% è finito nei tre colossi. In venti anni la loro partecipazione azionaria nelle grandi corporation americane, che fanno parte dello S&P 500, è quadruplicata, passando dal 5,2% al 20,7%, italia oggi, 4 settembre 2019 [https://www.italiaoggi.it/news/tre-fondi-blackrock-vanguard-e-ssga-controllano-tutte-le-corporation-usa-2384258].

 

Bill Sardi, Who runs the World? BlackRock and Vanguard, Lew Rockwell, 21 aprile 2021 [https://www.lewrockwell.com/2021/04/bill-sardi/who-runs-the-world-blackrock-and-vanguard/?fbclid=IwAR2wNpOqbsdSNVaMAAjFVRgP8z3fUApxaVuA5S222lTsOgSiy0RYaQeGrLI].

 

 

 

Francesco Mercadante, Che cosa hanno in comune Pfizer, BlackRock, Facebook e le banche?, Il Sole 24 ore, 2 Febbraio 2021 [https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2021/02/02/pfizer-blackrock-facebook-banche/].

 

Raffaella Vitulano, Blacrock, Vanguard. Così i fondi possiedono media e Big Pharma, Conquiste del Lavoro, 24 giugno 2021 [http://www.conquistedellavoro.it/global/blackrock-vanguard-cos%C3%AC-i-fondi-possiedono-media-e-big-pharma-1.2649659].

 

Franco Fracassi, BlackRock, Vanguard, State Street: come controllano la nostra vita, 15 Aprile 2023 [https://www.francofracassi.com/biolab/blackrock-vanguard-state-street-come-controllano/].

 


OXFAM/EMERGENCY: “I guadagni degli azionisti di Big Pharma bastano a vaccinare l’intera popolazione africana”, 22 Aprile 2021 [https://www.emergency.it/comunicati-stampa/oxfam-emergency-i-guadagni-degli-azionisti-di-big-pharma-bastano-a-vaccinare-lintera-popolazione-africana/].

 

La lotta tra capitale e lavoro sta impoverendo il nostro mercato, ostacolando lo sviluppo delle nostre fabbriche e, per poco che durino, faranno abbassare i salari, abbassando la domanda. Io non sono una esperta in questioni economiche e finanziarie e neppure una adepta del complotto permanente, ma mi chiedo:

E se la crisi non servisse che a smantellare gli ultimi servizi pubblici e a addomesticare i salariati?

È dall’inizio della crisi finanziaria che ho il sospetto, forse, naïf, che questa crisi non abbia che due vere funzioni, due grandi obiettivi:

- indurre i Paesi, che ne forniscano ancora, a smantellare, definitivamente, gli ultimi servizi sociali, a venderli, che si tratti di trasporti, di distribuzione di energia, di poste, di salute, di assistenza sociale, etc. Una vendita che li renderebbe, miracolosamente, redditizi a spese del “servizio” reso. La privatizzazione e la riduzione del deficit fanno parte delle condizioni – di fatto, esigite – per aiutare Paesi o garantire i loro debiti. Nelle condizioni imposte, io non ho sentito parlare – probabilmente non sono stata abbastanza attenta – di aumento di esazioni per le imprese o le banche, imposto dalla Banca Centrale Europea, dal Fondo Monetario Internazionale o dalla Riserva Federale Americana;

- indurre i salariati ad accettare sempre più elasticità e sempre più flessibilità, per riprendere quelle parole strane che caratterizzano, in effetti, un nuovo diritto di licenziamento più “spiccio”. E sempre meno assistenza sociale e cassa integrazione.

Presidente, se è necessario che lo Stato faccia economie, vere economie e non sulla pelle degli Italiani, iniziamo dal vertice, che dovrebbe, per primo, dare l’esempio!

“A tout seigneur, tout honneur!”

Non solo per allineare il nostro Paese alla maggior parte dei nostri vicini e, così, far tacere i giustificati sarcasmi di cui siamo oggetto, ma, soprattutto, perché una tale misura sarebbe percepita dagli Italiani come la prima tappa di una indispensabile riforma delle nostre Istituzioni e della modernizzazione della vita pubblica.

Altro che ripristinare i vitalizi tagliati agli ex-Senatori!

 

E questo è, proprio, tutto, Presidente Giorgia Meloni.

 

Daniela Zini