URANIO
IMPOVERITO
o
la
guerra atomica camuffata
INCHIESTA
SULL’URANIO IMPOVERITO, DEPLETED URANIUM,
IN SIGLA DU, UTILIZZATO
NELL’INDUSTRIA BELLICA, LA CUI PERICOLOSITA’ PER LA SALUTE E’ MINIMIZZATA DALLE
LOBBIES MILITARI-INDUSTRIALI.
Dalla bomba
atomica alle centrali nucleari, l’uranio accompagna la Storia del XX Secolo.
Con il
riscaldamento climatico, questa materia prima graverà, egualmente, sul XXI
Secolo.
Voi saprete
tutto della sua estrazione, del ciclo del combustibile e dei Paesi produttori
da questo dossier.
“I know not with what weapons
World War III will be fought, but World War IV will be fought with sticks and
stones.”
Albert Einstein
“I have
no special talent.
I am
only passionately curious.”
Albert Einstein
“Vorrei
che gli italiani sapessero di tanti altri ragazzi soldato, decine e decine,
ormai centinaia, morti ugualmente per aver servito lo Stato nelle missioni di
pace nelle zone di guerra. Ma lo fanno in silenzio, tra atroci dolori, in un
lettino d’ospedale, uccisi dai tumori diagnosticati dopo il Kosovo, la Somalia,
l’Iraq, l’Afghanistan. E non hanno nessun funerale ufficiale, nessun sostegno
se non quello dei genitori e delle mogli che li assistono sino all’ultimo.”
“L’intervento
italiano in Afghanistan si realizza nel pieno rispetto dei principi e delle
circostanze stabiliti dall’articolo 11 della nostra Costituzione.
Siamo in Afghanistan non per recare offesa alla libertà di un altro popolo, né
per risolvere con la guerra una controversia, ma per rispondere all’appello di
quelle organizzazioni internazionali impegnate ad assicurare la pace e la
giustizia tra le nazioni cui la Costituzione fa esplicito riferimento”.
Giorgio
Napolitano, 1 agosto 2011, ore 11.34
Dove
finiscono le armi quando finiscono le guerre?
Tutto
ha origine quando l’Unione Sovietica inizia a dismettere gli arsenali e la
preoccupazione di un Terza Guerra Mondiale viene meno.
I
Balcani costituiscono, da sempre, un’area molto appetibile per i mercanti di
armi: guerre continue, sia pure di portata regionale, a causa della forte
compresenza di diverse etnie e religioni.
Il 23
Dicembre 1990 –
data dell’esito positivo del Referendum popolare
sull’indipendenza della Slovenia – inizia la disgregazione della Repubblica
Socialista Federale di Jugoslavia [Socijalistička Federativna Republika Jugoslavija, SFRJ]. Da
quel momento, i maggiori Stati produttori e venditori di armi iniziano a “farsi
i loro affari”, anche se favorevoli alla Risoluzione
713 [http://www.un.org/fr/documents/view_doc.asp?symbol=S/RES/713[1991]],
adottata, il 25 settembre 1991, dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che decretava l’embargo generale
sulle armi e sull’equipaggiamento militare contro l’intera Federazione
Jugoslava e invitava il segretario generale Javier Pérez de Cuéllar [1º gennaio
1982 – 31 dicembre 1991] a
offrire la propria assistenza per sostenere lo sforzo negoziale condotto dalla
Comunità Europea nell’ambito della Conferenza dell’Aia.
Grazie
alla sua posizione geografica l’ex-Jugoslavia rappresenta un ponte naturale tra
l’Europa e l’Oriente e, con la copertura della guerra, si consolida la sua
posizione di crocevia strategico per qualsiasi traffico illecito. La struttura
statale inesistente e legittima favorisce lo sviluppo e il proliferare della
criminalità organizzata e, così, in Bosnia, le forze internazionali organizzano
un intenso traffico di armi che avrebbero dovuto distruggere. Quando scoppia
una guerra, sono in molti a lanciarsi in un business che permette di accumulare ingenti ricchezze!
Mercanti
di armi e rappresentanti di Governi, sebbene implicati, non vengono, mai,
giudicati responsabili né condannati.
Tra
il 1991 e il 1992,
quando nei Balcani il traffico di armi prospera, 20 navi cariche di armi
approdano, in grande segreto, nel porto sloveno di Koper.
“Il
porto di Koper costituiva un’ottima opportunità per aggirare l’embargo,”,
“perché non
era controllato dagli ispettori internazionali. La supervisione sulle
spedizioni veniva eseguita dalla stessa Slovenia, che permetteva l’importazione di armi da altri Paesi europei.”
È un
ottimo escamotage per aggirare
l’embargo stabilito dall’ONU.
Il
carico viene, poi, inviato in Croazia e in Bosnia.
L’operazione
ha la regia delle Mafie italiana, albanese e russa.
Tali
armi avrebbero dovuto essere utilizzate a scopo difensivo. Favoriscono, invece,
aggressioni e atrocità di ogni tipo.
Le
armi acquistate dalla Croazia hanno permesso di respingere l’Esercito Popolare Jugoslavo [JLA], ma
non dobbiamo dimenticare che i leaders
militari croati sono stati condannati e che croati e serbi sono stati coinvolti nel massacro di
musulmani bosniaci.
Conclusosi
il conflitto, il traffico di armi confluisce nei servizi segreti.
Di
nuovo, vi è chi ne sa trarre una grande quantità di danaro…
Come disse, duemila anni fa, al
figlio Tito l’imperatore Vespasiano, quando impose la tassa sulle latrine
pubbliche:
“Il
danaro non puzza!”
Questo adagio, ormai classico,
vuole mettere in luce un contrassegno positivo del danaro, vale a dire, il suo
valore è indipendente dalle circostanze in cui è stato fatto.
Ma quello che valeva duemila
anni fa per il danaro dell’imperatore romano, non vale più, oggi, nei confronti
del crimine organizzato.
Soldi guadagnati illegalmente
possono essere ritirati dalla circolazione dallo Stato anche se sono stati
“deodorati” in un graduale processo di lavaggio, come si definisce in tedesco
il riciclaggio.
Il lavaggio di danaro o
riciclaggio è stato, fino agli anni 1980 inoltrati, una metafora pregnante del
linguaggio giornalistico e, solo agli inizi degli anni 1990, si è trasformato
in concetto giuridico.
Nel 1990, il gruppo delle
Nazioni economicamente più importanti [G7] presentò delle direttive fatte
elaborare dal Financial Action Task Force
on Money [ FATF ].
Oggi, interi settori economici,
anzi intere economie nazionali sono minacciate dall’infiltrarsi del crimine
organizzato. I riciclatori di danaro lo aiutano ad accedere alle posizioni di
potere dell’economia e della società legali.
Il Fondo Monetario Internazionale [FMI] ritiene che, nel 1995, siano
stati immessi, clandestinamente, nei mercati finanziari legali complessivamente
500 miliardi di dollari di danaro sporco, nonostante fossero state rafforzate
le misure contro il riciclaggio.
FARE LUCE è la parola d’ordine
di questa inchiesta.
Non si vuole tanto portare
l’attenzione su singoli casi, avvenimenti, scandali, quanto rendere visibili
quelle strutture e quegli intrecci della finanza, in cui il flusso del danaro
sporco si mescola con quello legale.
Fare i nomi di società e persone
diviene, pertanto, inevitabile.
Conformi a questo approccio sono
anche le numerose note a piè di pagina disseminate nel testo, che contengono
particolari concreti sui punti nodali e le diramazioni di organismi finanziari
invisibili.
Da venti anni, i reduci dalle
missioni NATO, in Libano, in
Afghanistan, in Bosnia, in Somalia, in Kosovo e in Iraq si ammalano per le
conseguenze dell’uso di proiettili
all’uranio impoverito. È l’Osservatorio
Militare, presieduto dal maresciallo
in pensione Domenico Leggiero, ex-pilota dell’Aeronautica [http://www.osservatoriomilitare.it/] a fornire i numeri di questa
strage dimenticata, sui quali a fare luce non sono servite tre Commissioni di
Inchiesta Parlamentari, regolarmente azzoppate dal crollo anticipato delle
legislature.
Ne è decollata una quarta,
presieduta dal deputato PD della Sardegna
Gian Piero Scanu.
“L’universo
della sicurezza militare non è governato da norme adeguate. C’è bisogno di una
nuova legge, senza la quale resteranno immutate le scelte strategiche di fondo
che trasformano i militari in lavoratori deboli e umiliano i militari ammalati
o morti per la sproporzione tra la dedizione dimostrata e la riluttanza
istituzionale al tempestivo riconoscimento di congrui indennizzi.”,
ha dichiarato Scanu, il 19
luglio scorso, durante una conferenza stampa, in cui ha reso nota la relazione
intermedia della Commissione di Inchiesta Parlamentare, il cui lavoro è
culminato in una proposta di legge intitolata “Sicurezza sul lavoro e la tutela assicurativa contro gli infortuni e
le malattie professionali del personale delle Forze armate” [https://ilmanifesto.it/uranio-soldati-senza-protezione/].
“Le
sostanze inquinanti”,
si legge nella relazione,
“entrano
nella catena alimentare e quindi l’accettazione di soglie più elevate della
norma espone a un rischio significativo chiunque utilizza i prodotti derivati.”
Miles
Gloriosus ovvero morire d’uranio impoverito,
per la regia di Antonello Taurino [https://vimeo.com/38099678], ricostruisce la vicenda dei
soldati malati di cancro a causa dell’uranio impoverito delle munizioni sparate
in alcune missioni all’estero.
In ottanta minuti di una forma
di teatro civile, che non segue schemi classici, il regista conduce gli
spettatori attraverso una vicenda dolorosa, di ingiustizia e abbandono delle
istituzioni, ma lo fa con la commedia e non con l’orazione seria.
“Per
fare teatro civile”,
spiega il regista;
“non
basta dire i fatti, serve metterci una storia intorno. La storia è l’esca per
attirare e poter raccontare.”
Voi siete a favore o contro
l’energia nucleare?
O non avete, ancora, preso una
posizione?
Una posizione, di fatto, noi
Italiani l’abbiamo presa e l’abbiamo, anche, espressa, dicendo NO all’avventura
atomica, con i 3 Referenda popolari
dell’8 e del 9 novembre 1987 [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/03/18/nucleare-il-pci-dice-si-tutti-referendum.html, https://www.legambiente.it/contenuti/comunicati/il-nucleare-non-%C3%A8-sicuro-non-%C3%A8-economico-non-%C3%A8-utile], e ribadendola, il 12 e il 13 giugno 2011, con
un nuovo Referendum popolare contro
le centrali nucleari [http://www.repubblica.it/politica/2011/06/13/news/referendum_la_giornata_dei_s_il_quorum_arriva_tra_le_polemiche-17645020/],
cui hanno votato il 57% degli aventi diritto, per abrogare le norme furbette,
con le quali il Governo Berlusconi [http://www.governo.it/i-governi-dal-1943-ad-oggi/xvi-legislatura-dal-29-aprile-2008-al-23-dicembre-2012/governo-berlusconi] e il Parlamento avevano reintrodotto
l’industria atomica in Italia, violando la volontà popolare.
Chi, invece, non si può
esprimere è l’Organizzazione Mondiale
della Sanità [OMS], l’organismo che, per conto dell’ONU, deve occuparsi della salute delle popolazioni.
Eppure, il Capitolo
II della sua Costituzione indica come l’OMS
perverrà a elevare il livello di salute, esercitando determinate funzioni.
Capitolo
II
Delle
Funzioni
Art.
2
a]
Agisce come autorità direttrice e coordinatrice, nel campo sanitario, dei
lavori di carattere internazionale;
b]
Stabilisce e mantiene una collaborazione effettiva con le Nazioni Unite, con le
istituzioni speciali, con le amministrazioni sanitarie governative, con i
gruppi professionali, come pure con altre organizzazioni che potessero entrare
in linea di conto;
c]
Aiuta governi, se richiesta, a rafforzare i loro servizi sanitari;
d]
Fornisce l’assistenza tecnica appropriata e, nei casi urgenti, l’aiuto
necessario, se i governi lo domandano oppure se l’accettano;
e]
Fornisce o aiuta a fornire, a richiesta delle Nazioni Unite, servizi sanitari e
soccorsi a gruppi speciali di popolazioni, per esempio alle popolazioni dei
territori sotto tutela;
f]
Stabilisce e mantiene i servizi amministrativi e tecnici ritenuti necessari,
compresi i servizi di epidemiologia e di statistica;
g]
Stimola e promuove lo sviluppo dell’azione intesa alla soppressione delle
malattie epidemiche, endemiche e altre;
h]
Promuove, se necessario, facendo capo ad altre istituzioni speciali, l’adozione
delle misure atte a prevenire i danni causati dagli infortuni;
i]
Favorisce, se necessario, facendo capo ad altre istituzioni speciali, il
miglioramento dell’alimentazione, il risanamento delle abitazioni, delle
installazioni sanitarie, il miglior impiego degli intervalli di riposo, il
miglioramento delle condizioni economiche e di lavoro, come pure di tutti gli
altri fattori dell’igiene dell’ambiente;
j]
Favorisce la cooperazione tra i gruppi scientifici e professionali che
contribuiscono al progresso sanitario;
k]
Propone convenzioni, accordi e regolamenti, fa raccomandazioni concernenti le
questioni sanitarie internazionali ed esegue i compiti che possono pertanto
essere attribuiti all’Organizzazione e sono conformi al suo fine;
l]
Promuove lo sviluppo dell’azione in favore della sanità e del benessere della
madre e del bambino, come pure la loro attitudine a vivere in armonia con un
ambiente in piena trasformazione;
m]
Favorisce ogni attività nel campo dell’igiene mentale, specialmente le attività
che si riferiscono allo stabilimento di relazioni armoniose tra gli uomini;
n]
Stimola e guida le ricerche nel campo della sanità;
o]
Favorisce il miglioramento delle norme d’insegnamento e della formazione nelle
professioni sanitarie, mediche e affini;
p]
Studia e diffonde, se necessario, facendo capo ad altre istituzioni speciali,
la tecnica amministrativa e sociale concernente l’igiene pubblica e le cure
mediche preventive e terapeutiche, inclusi i servizi ospitalieri e la sicurezza
sociale;
q]
Fornisce qualsiasi informazione, parere e soccorso concernenti la sanità;
r]
Favorisce la formazione, tra i popoli, di un’opinione pubblica illuminata su
tutti i problemi della sanità;
s]
Stabilisce e rivede, secondo i bisogni, la nomenclatura internazionale delle
malattie, delle cause di morte e dei metodi d’igiene pubblica;
t]
Uniforma, per quanto necessario, i metodi di diagnosi;
u]
Sviluppa, stabilisce e incoraggia l’adozione di norme internazionali
concernenti gli alimenti, i prodotti biologici, farmaceutici e simili;
v]
In generale, prende tutte le misure necessarie per il raggiungimento del fine
assegnato all’Organizzazione.
Avallo, che non è, di fatto,
MAI, dato.
Nell’accordo, all’articolo III,
si evince la possibilità di poter assumere, sia da parte dell’AIEA sia da parte dell’OMS, misure restrittive per
salvaguardare il carattere confidenziale di certe informazioni e
dell’obbligatorietà delle due agenzie di rapportarsi, direttamente, per tutti i
progetti o i programmi che possano coinvolgere una delle due parti. I
termini di questo articolo III, che impongono la segretezza, in altri termini
il silenzio, sono contrari alla Costituzione dell’OMS, il cui scopo è espresso nel Capitolo I della stessa
Costituzione:
“Il fine
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità [qui di seguito chiamata
Organizzazione] è quello di portare tutti i popoli al più alto grado possibile
di sanità.”
Questo
accordo è stato, scrupolosamente, rispettato, anche dopo l’incidente di
Chernobyl e i guasti delle guerre in Bosnia, in Somalia, in Kosovo, in Afghanistan e in Iraq, dove le
truppe statunitensi hanno impiegato munizioni radioattive all’uranio
impoverito. Ne consegue che l’OMS ha
censurato tutti gli studi sulle malattie legate all’industria nucleare, civile
o militare che sia, da più di mezzo secolo.
Ha,
anche, attribuito numerosi problemi di salute pubblica a fattori minori.
Nel
1957, l’AIEA è creata, non unicamente
per impedire o limitare lo sviluppo delle armi di distruzione di massa come
molti credono, ma per incoraggiare l’utilizzo dell’energia nucleare a fini
pacifici!
“Ho
appena firmato una lettera dell’Associazione Galileo 2001 destinata al
presidente Napolitano con
la quale una parte della comunità scientifica italiana si dichiara preoccupata
per la decisione del Parlamento di ratificare il protocollo di Kyoto
assumendosi impegni – come quello di ridurre entro il 2012 le emissioni di gas
serra del 6,5 per cento – che siamo nell’impossibilità pratica di onorare e che
ci costeranno una sanzione di oltre quaranta miliardi di euro. Credo che sia il
momento di mettere da parte le posizioni preconcette, le paure e le emozioni.
Dobbiamo aprire gli occhi. È vero, la fonte ottimale di energia in termini di
produzione, efficienza, sostenibilità per l’ambiente e per l’uomo, non
l’abbiamo ancora trovata, ma oggi il nucleare va considerato concretamente e
subito. In Francia ci sono 58 centrali, in Germania 17, in Spagna 9. È una
fonte potente per la quale già disponiamo della tecnologia di sfruttamento e
che non comporta rischi per la salute e l’ambiente. Purtroppo la parola
nucleare spaventa più degli incidenti che potrebbe causare. Fobie popolari,
timori irrazionali e retaggi storici fanno ancora di più dell’allarme cancro e
i suoi morti causati dai derivati del petrolio. Allora io dico: basta con il
panico da primitivi spaventati dal fuoco.”
Ma in
che Mondo viviamo?
Sono
gli stessi che, allo scoppiare di un conflitto, barattano armi, organi, droghe,
esseri umani con soldi…
Dalla bomba atomica alle
centrali nucleari, l’uranio accompagna la Storia del XX secolo.
Con il riscaldamento climatico,
questa materia prima graverà, egualmente, sul XXI secolo.
Voi saprete tutto della sua
estrazione, del ciclo del combustibile e dei Paesi produttori da questo dossier.
III. UNA SHOAH
PLANETARIA
“Nel protestare contro una guerra, possiamo credere di essere
una persona pacifica, un vero rappresentante della pace, ma questa nostra
presunzione non sempre corrisponde alla realtà. Osservando in profondità ci
accorgiamo che le radici della guerra sono presenti nel nostro stile di vita
privo di consapevolezza. Se noi non siamo in pace, non possiamo fare niente per
la pace.”
Thich Nhat Hanh
Una manifestazione
in memoria di Valery Melis, nel febbraio 2004.
La Risoluzione WHA 12.40 del 28 maggio 1959 stabilisce, infatti, che i
dati sui danni alla salute provocati da radiazioni non possono essere divulgati
dall’OMS senza autorizzazione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica
(Aiea). Eppure, l’Oms ha tra i suoi nobili scopi “fornire ogni informazione, dare
ogni consiglio e ogni assistenza nel campo della salute; aiutare a formare, tra
i popoli, una opinione pubblica illuminata per quel che concerne la salute”.
Nel 1956, l’OMS riunì un gruppo di eccellenti studiosi di genetica, compreso il
Premio Nobel Hermann Joseph Muller.
“In qualità di esperti”,
scrissero in una relazione,
“noi affermiamo che la salute
delle future generazioni è minacciata dallo sviluppo crescente dell’industria
nucleare e dalle fonti di irraggiamento nucleari… Stimiamo ugualmente che le
nuove mutazioni che si manifestano negli esseri umani avranno un effetto
nefasto su di loro e sulla loro discendenza.”
[...]
“La preoccupazione immediata di medici, rappresentanti
delle organizzazioni umanitarie e di chi dà lavoro agli esuli sul posto è la
minaccia di una vasta contaminazione da uranio impoverito in Afghanistan.”,
con queste parole si chiude il rapporto di
circa 130 pagine sugli effetti dell’uranio impoverito sugli esseri umani, Mystery Metal Nightmare in Afghanistan? [Incubo
da metallo misterioso in Afghanistan?]
[http://www.eoslifework.co.uk/du2012.htm,
http://www.eoslifework.co.uk/u23.htm],
frutto di un anno di lavoro del ricercatore britannico Dai Williams [http://mai68.org/spip/IMG/pdf/Uranium-Appauvri_unidir_pdf-art2762.pdf, ]. Da questo documento del 2002, importante
strumento per comprendere meglio quello che lo stesso Williams definisce “uno
dei più grandi segreti militari degli anni 1990”, affiora una
visione della guerra – sia di quella in Afghanistan sia di quelle che verranno
– che sorprende e spaventa al contempo.
A
Ginevra, dove erano concentrate le organizzazioni umanitarie attive in
Afghanistan, il rapporto di Williams aveva suscitato le più diverse reazioni. I
portavoce dell’Alto Commissariato delle
Nazioni Unite per i Rifugiati [ACNUR] e l’Organizzazione per il Coordinamento degli Aiuti Umanitari si erano
attivati per divulgarlo, i principali dirigenti non ne erano sembrati
allarmati. Solo Medici senza frontiere
e il Programma delle Nazioni Unite per
l’Ambiente [UNEP] temevano, a lungo termine, una catastrofe sanitaria e
ambientale.
L’UNEP e l’Organizzazione Mondiale della Sanità [OMS] avevano pubblicato,
rispettivamente nel marzo e nell’aprile del 2001, misurati rapporti, cui
facevano continuo riferimento i sostenitori del carattere inoffensivo dell’UI,
primo tra tutti l’United
States Department of Defense [Pentagono], che rimarcava l’indipendenza e la neutralità dei
due organismi. Ma, mentre lo studio dell’UNEP
era quanto meno incompleto, quello dell’OMS
era, decisamente, poco affidabile.
Il
sopralluogo in Kosovo, dal quale l’UNEP
aveva elaborato la sua analisi, era stato organizzato sulla base di carte
fornite dalla NATO, le cui truppe
avevano accompagnato i ricercatori per proteggerli dalle munizioni inesplose,
incluse le parti residue delle bombe a frammentazione, che, con ogni
probabilità, secondo Dai Williams, contenevano cariche vuote all’uranio
impoverito. Le truppe NATO, non
consentendo all’équipe contatto
alcuno con questi residui, avrebbero, di fatto, impedito di scoprirne
l’esistenza. Se si considera, poi, che, nel corso dei 16 mesi precedenti la
visita dell’UNEP, il Pentagono aveva inviato nella zona
almeno dieci équipes di controllo per
fare pulizia, si spiega perché degli 8.122 “perforanti” anticarro tirati sui
siti visitati, l’UNEP ne aveva
recuperato solo 11 e la quantità di polveri prelevate direttamente nei punti
che si riteneva fossero stati colpiti da queste armi, a 18, 20 mesi di distanza
dalla loro utilizzazione, sia risultata molto scarsa.
Quanto
all’OMS, aveva condotto un semplice
studio accademico. Cedendo alle pressioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, si era, infatti,
limitata a esaminare l’uranio impoverito quale metallo pesante chimicamente
contaminante. Sulla contaminazione radioattiva erano stati consultati
pochissimi articoli e tutti provenienti dal Pentagono
o dalla Research and Development
Corporation [RAND Corp.], fonte ispiratrice del Pentagono.
Non
deve, dunque, sorprendere che il testo non abbia destato preoccupazione alcuna!
Le
raccomandazioni dei due rapporti si limitavano a richiamarsi al buon senso:
marcare i siti conosciuti; raccogliere nella misura del possibile i perforanti
anticarro; prestare particolare attenzione ai bambini per evitare che si
avvicinassero ai siti contaminati; sorvegliare, eventualmente, l’acqua di
alcuni pozzi; ecc.
Dal
1997, gli Stati Uniti potenziano e “migliorano” il loro arsenale di missili e
di bombe guidate e “intelligenti”. Alcuni prototipi di queste armi erano stati
testati sulle montagne del Kosovo, nel 1999, ma un arsenale ben più vasto è
stato dispiegato in Afghanistan.
La
“miglioria” consisteva nella sostituzione di una testata convenzionale con una
in “metallo pesante denso” e, calcolando il volume e il peso di questo metallo
misterioso, si giungeva alla conclusione che dovesse trattarsi di tungsteno o
di uranio impoverito. Il tungsteno pone, tuttavia, qualche problema: ha un elevato
punto di fusione [3.422 °C], che lo rende difficoltoso da impiegare; costa
caro; non brucia ed è prodotto, soprattutto, dalla Cina; al contrario, l’uranio
impoverito, piroforo, brucia all’impatto o se gli viene dato fuoco e, con un
punto di fusione di 1.132 °C., è più duttile da lavorare.
Secondo
il rappresentante legale dei circa 100mila querelanti, operai in servizio e in
pensione, tutti contaminati per una flagrante inosservanza delle più elementari
norme di sicurezza, l’intera fabbrica e tutta la sua produzione era,
irreparabilmente, contaminata. Secondo gli investigatori, proprio da questa
installazione sarebbe provenuto l’uranio impoverito dei missili lanciati su
Jugoslavia, Afghanistan e Iraq.
Queste
armi rappresentano molto più che un nuovo strumento per guerre moderne. Il
programma di riarmo americano, lanciato dal presidente Ronald Reagan, si basava
sulla convinzione che il vincitore dei nuovi conflitti fosse quello che
distruggesse più efficacemente i centri di comando e di comunicazione del
nemico, che si trovano, quasi sempre, sotto terra, in bunkers rinforzati. E, poiché un bombardamento nucleare avrebbe
avuto ragione del cemento armato, ma avrebbe, anche, prodotto radiazioni,
definite dallo stesso Pentagono
spaventose, con pesanti ripercussioni sulla opinione pubblica, in un mondo
sempre più attento ai pericoli di una guerra nucleare, appariva più confacente
il ricorso a una testata all’uranio impoverito, che avrebbe scatenato un
incendio di una potenza altrettanto distruttrice, ma neppure paragonabile alle
conseguenze di una esplosione nucleare.
Le
informazioni raccolte da Dai Williams dimostrano che gli Stati Uniti, dopo aver
effettuato tests al computer, nel 1987, avevano
sperimentato, per la prima volta, questi ordigni nel 1991, contro l’Iraq. La
guerra nel Kosovo aveva, poi, dato la possibilità di testare le armi all’uranio
impoverito, prototipi o già in produzione, su bersagli di estrema durezza e
l’Afghanistan avrebbe permesso di estendere e prolungare questi studi. Dai
Willliams cita molti articoli di stampa, che riferiscono, agli inizi di
dicembre, di équipes NBC
[nucleare-biologico-chimico], mandate sul campo per verificare eventuali
contaminazioni, imputate dagli americani ai talebani. Ma, dall’ottobre del
2001, i medici afghani, di fronte a morti improvvise, che all’osservazione dei
sintomi – emorragie, difficoltà respiratorie, vomito – facevano pensare a una contaminazione
radioattiva, muovono accuse alla coalizione di utilizzare armi chimiche.
Il mercoledì 5 dicembre 2001, quando una bomba
americana, sganciata da un B-52, colpisce, erroneamente, 3 soldati americani
nei pressi di Kandahar, tutti gli inviati dei media vengono, immediatamente, prelevati e
rinchiusi in un hangar. Secondo il Pentagono, si trattava di una Gbu-31
armata con una testata Blu-109. Nel documentario di Canal+, viene intervistato il rappresentante di un fabbricante di
armi – presente alla fiera internazionale delle armi tenutasi a Dubai, il 14
novembre 1999, dopo la guerra del Kosovo – il quale presenta la testata Blu-109
e descrive le sue capacità di penetrazione contro bersagli sotterranei
fortificati e rinforzati, precisando che l’arma era stata, appena, testata in
una guerra.
[…]
Negli anni
successivi, gli incidenti nucleari occorsi, quali quelli di Sellafield, Three
Miles Island e Chernobyl, hanno dimostrato, oltre ai rischi del nucleare per la
salute, l’assoluta inadeguatezza di questo accordo.
Questo
accordo ha permesso, solo 4 mesi dopo l’incidente di Chernobyl, il 28 agosto
1986, all’allora direttore generale dell’AIEA,
Blix, di affermare:
“ Il
mondo potrebbe sopportare un incidente uguale a Chernobyl ogni anno.”
Nel 1995,
l’AIEA blocca gli atti della
conferenza dell’OMS, a Ginevra,
sull’incidente di Chernobyl, convocata dall’allora direttore generale Hiroshi Nakajima.
Nella conferenza Martin Griffiths del Dipartimento degli Affari Umanitari dell’ONU, rimprovera che non sia stata detta
la verità alle popolazioni e che le
persone complessivamente colpite siano 9 milioni. Y. Korolenko, ministro della
salute dell’Ucraina, denuncia la contaminazione dell’acqua di 30 milioni di
persone e un aumento del 25% del diabete. E. A. Netchaev del Ministero della
Sanità e dell’Industria Farmaceutica [Mosca] segnalò che 2,5 milioni di persone
erano state irradiate, nella Federazione Russa, in seguito all’incidente di
Chernobyl; segnala, inoltre, un aumento da 220 a 400, su 100mila nati, delle
malformazioni congenite. Okeanov [Bielorussia], presentando i dati di una
ricerca specialistica, segnalò un raddoppio delle leucemie, dopo 9 anni, nei
liquidatori e, perfino, un aumento triplicato in coloro che avevano prestato la
loro opera per più di 30 giorni, introducendo così, come fattore importante, “la
durata dell’esposizione”. Soistiene che nei liquidatori le malattie
cardiovascolari erano passate da 1.600 a 4mila casi ogni 100mila abitanti, e a
3mila casi nella popolazione delle zone a rischio. Okeanov segnala, inoltre, un
aumento della cataratta, delle opacizzazioni del cristallino, un raddoppio
dell’incidenza dei ritardi mentali nei bambini, l’aumento delle sindromi
neurologiche negli adulti e delle malattie digestive.
L’AIEA, per contro, sostiene che la
catastrofe di Chernobyl abbia causato solo la morte di 32 pompieri, nelle prime
ore della catastrofe, 200 cancri da irradiazione acuta e 2mila tumori alla
tiroide
come conseguenza diretta dell’incidente. A supporto di ciò l’AIEA riconosce solo i rapporti
“convalidati”, vale a dire confermati dai laboratori di Los Alamos e del
Commissariato per l’Energia Atomica francese, come dire, i fabbricanti della
bomba atomica.
[...]
Dopo
Hiroshima e Nagasaki, avevamo sperato che la lezione fosse stata appresa e che
non vi sarebbe stata più nessuna guerra atomica. Ma, dopo dieci anni, gli
Americani, vale a dire i loro leaders,
sempre, in guerra, non hanno esitato a utilizzare, massivamente, munizioni
radioattive.
Per
attutire il colpo, ci hanno voluto far credere che si trattasse di munizioni
all’uranio impoverito, ma sono a base di residui nucleari!
Per
farci dimenticare che tutte le guerre sono guerre sporche, gli americani hanno
voluto farci credere che le loro guerre nel Golfo e nei Balcani fossero guerre
pulite. Ci hanno mentito pretendendo di fare guerre chirurgiche, guerre in cui
solo bersagli ben precisi fossero toccati, guerre senza “danni collaterali”.
Ci
hanno mentito e, ora, noi sappiamo perché la radioattività delle loro armi non
possa mirare chirurgicamente un bersaglio ben
preciso.
Al
loro ritorno dalla Guerra del Golfo, molti soldati americani hanno avuto gravi
problemi di salute: su 700mila soldati, 250mila sono stati colpiti dalla
Sindrome della Guerra del Golfo!
Il
governo americano ha tentato di negare una qualsiasi responsabilità delle armi
radioattive in questa sindrome, ma alcuni soldati malati si sono sottoposti ad analisi.
Ciò
che non è stato, sempre, facile…
Ed
erano risultati positivi all’uranio!
I
capi militari americani hanno cercato di farci credere che queste munizioni all’uranio
impoverito non fossero state utilizzate che in rarissimi casi, quando non fosse
possibile fare diversamente.
Ma era una menzogna!
[…]
I
bambini iracheni giocavano, sovente, con palle radioattive. Poiché, durante la
Guerra del Golfo gli aerei americani avevano, ininterrottamente, irrorato l’Iraq
di queste munizioni moderne, se ne trovavano ovunque in questo Paese.
I
bambini di soldati americani della Guerra del Golfo sono, sovente, nati con
malformazioni [Golden Hart Syndrome, assenza
di braccia, a esempio]. Malformazioni che si ritrovano in molti bambini nati in
Iraq dalla “fine” di questa guerra pulita,
chirurgica e senza “danni collaterali”!
I
leaders americani hanno detto che l’uranio
impoverito, con il quale sono fabbricate le munizioni moderne, sia meno
radioattivo di quello arricchito, che viene impiegato per la bomba atomica o nelle
centrali nucleari [esplosione atomica rallentata in un equilibrio instabile],
hanno detto che la radioattività di questo uranio impoverito sia talmente
debole da non presentare alcun pericolo e che, per così dire, non fosse radioattivo.
[…]
Scienziati
hanno segnalato che, anche se la sua radioattività non fosse così trascurabile
come pretendevano i leaders
americani, l’uranio impoverito non avrebbe potuto avere, così sovente, tali
conseguenze sulla salute. Ne hanno concluso che le munizioni moderne dovessero
essere fabbricate con altro materiale, a esempio le scorie nucleari.
Soldati
americani si sono sottoposti ad analisi molto precise. Si è ritrovato nel loro
corpo una sorta di uranio molto particolare: uranio 236 [U236].
In
natura, questo uranio 236 non esiste o solo allo stato di minime tracce.
Non
ve ne è affatto nell’uranio arricchito né nell’uranio impoverito. Non se ne
trova che nelle scorie nucleari [solo le centrali nucleari ne producono].
Quando
un proiettile d’uranio tocca un carro armato, esplode solo dopo averlo
penetrato e, nel carro, tutto ciò che può bruciare brucia e tutto ciò che può
esplodere esplode. E la polvere radioattiva che proviene dai proiettili di
uranio si spande ovunque. Così, vaste zone irachene sono state contaminate.
Molto
sicuramente, in Iraq, non vi sono solo i bambini a essere malati, anche se gli
adulti non hanno avuto l’impudenza di portare alla bocca munizioni di uranio
massiccio.
Voi
avrete compreso che lo stesso scenario si è verificato nei Balcani.
Niente
è meglio per uno Stato nucleare di una buona guerra molto lontana da lui, in un
Paese che irrorerà più copiosamente possibile di scorie nucleari, di cui ha un
urgente bisogno di sbarazzarsi!
E
non vi è che l’America ad avere bisogno di disfarsi delle sue scorie nucleari.
Si
può fare affidamento sul segreto militare per dire la verità?
Non
dite più soldato, ma spazzino di scorie nucleari!
[…]
Francesco Aloi
Andrea Antonaci
Antonio Attianese
Ivan Autobello
Claudio Caboni
Carlo Calcagno
Antonio Cancedda
Salvo Cannizzo
Pasquale Cinelli
Luciano Cipriani
Gianluca Danise vittima 321
Gennaro Di Domenico
Corrado di Giacobbe
Michele Gaudiosi
Gennaro Giordano vittima 331
Gaetano Luppino
Marco Mandolini
Fabio Maniscalco
Giovan Battista Marica
Mario Mele vittima 328
Valery Melis
Lorenzo Motta
Giovanni Passeri
Fulvio Pazzi
Emanuele Pecoraro
Riccio Vincenzo
Erasmo
Savino
Stefania Stellaccio
Aldo
Taccardo
Giuseppe
Tripoli
Roberto Usabene
Salvatore Vacca
segue, a breve, il testo
integrale…
Daniela Zini
L’articolo 11 della
Costituzione recita:
“L’Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e
come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in
condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità
necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le
Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale
scopo.” [https://www.senato.it/documenti/repository/istituzione/costituzione.pdf]
La sera del 25 giugno 1991,
viene convocato, in seduta plenaria, il Parlamento sloveno per discutere e
votare l’indipendenza; tutti sono favorevoli, tranne il comandante delle truppe
jugoslave.
Nel corso della seduta, poco
prima della votazione definitiva, il presidente del parlamento dà lettura di un
telegramma appena pervenuto dal Sabor
di Zagabria, il Parlamento croato, nel quale si comunica che la Croazia è
divenuta indipendente.
Ad avvenuta votazione, nella
piazza centrale di Lubiana il presidente Milan Kucan proclama dinanzi al popolo
l’indipendenza slovena.
La conclusione del discorso di
Kucan lascia intendere una immediata risposta delle truppe federali:
“Nocoj so dovoljene sanje, jutri je nov dan.”
[Questa
sera i sogni sono permessi, domani è un nuovo giorno.”]
Il 26 giugno 1991, il giornale
sloveno Delo di Lubiana pubblica un
titolo a nove colonne, traducibile in:
“Dopo
più di mille anni di dominazione austriaca e più di settanta anni di convivenza
con la Jugoslavia, la Slovenia è indipendente.”
L’attacco al
Kosovo sarà il capitolo finale della devastazione che la Jugoslavia subiva
dall’inizio degli anni 1990.
La destabilizzazione aveva preso inizio
quando, nel corso degli Anni Ottanta, la Repubblica Socialista Federale di
Jugoslavia aveva subito fortissime pressioni dal Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale.
Dividere la Jugoslavia risultava l’unico
modo per controllarla.
La Croazia e la Slovenia, regioni industrializzate e con un tenore di vita più
alto, credevano che l’autonomia li avrebbe rese più ricche, m, in realtà, la
guerra preparata da Washington aveva lo scopo di distruggere economicamente e
politicamente tutte le regioni della ex-Jugoslavia. LO aveva dichiarato lo
stesso Vicepresidente della Banca
Mondiale, Willi Wapenhans:
“Secondo la
nostra opinione non sussiste alcun dubbio sul fatto che nessuna delle parti
componenti la Jugoslavia trarrà profitto dallo sfascio della Jugoslavia o della
sua economia nel breve e medio periodo.”
Il 25 giugno 1991, la Slovenia
dichiara la sua indipendenza. Ma la Slovenia non è sola, al suo fianco, muta e
invisibile, è la Serbia.
Quando, il 21 giugno 1991, il
segretario di Stato americano, James Baker, in visita a Belgrado dichiarava che
gli Stati Uniti “non avrebbero incoraggiato né premiato la secessione” era
evidente a Kucan che il suo Paese si trovava solo. Anzi, Kucan comprese come il
messaggio di Baker fosse un invito, forse involontario, a opporsi
all’autodeterminazione slovena e croata. Poco dopo la visita a Belgrado di
Baker, l’allora presidente federale della Jugoslavia, Ante Markovic, dichiarò in Parlamento che “l’Armata popolare era pronta a prendere le misure adatte” in caso
di secessione.
La tensione era altissima.
Il 30 giugno 1991, viene l’ordine da Milosevic di non invadere la Slovenia.
I generali dell’esercito jugoslavo sono costretti a ripiegare sulla Croazia,
che ha dichiarato l’indipendenza in concomitanza con la Slovenia. Lo stupore
generale è grande.
La tesi di un accordo sottobanco
tra serbi e sloveni trova una conferma storica nell’incontro segreto tra Milosevic e Kucan nel gennaio 1991
[documentato nel noto “The death of Yugoslavia” prodotto dalla Bbc e
nelle memorie di Zimmermann, ex-ambasciatore USA], dove il primo garantisce al
secondo che la Serbia non muoverà un dito per tenere dentro la Slovenia.
Ma a tutti sfuggì che la trappola era scattata: Tudjman, che seppe
solo seguire la Slovenia nella dichiarazione di indipendenza ma non
organizzare la difesa, si trovò con i separatisti serbi [da mesi armati da
Belgrado] che sparavano sui croati disarmati. La guerra, quella vera, quella
per la Grande Serbia, quella voluta e preordinata da mesi se non anni, quella
vagheggiata dall’Accademia delle Scienze di Belgrado, si poteva finalmente
combattere.
Grazie alla Slovenia [che fece,
forse inconsapevolmente, il gioco serbo] la Jugoslavia collassò. Finalmente
anche l’ultimo residuo di Stato federale, rappresentanto dal primo ministro
federale Ante Markovic, si dissolse. La
strada per Milosevic era spianata. Un decennio di sangue era inaugurato.
Nel febbraio del 1992, la Bosnia ottiene
l’indipendenza, dopo un Referendum
popolare.
Il 7 e l’8 aprile 1992, i serbi formano la
Repubblica Serba di Bosnia, che comprende i territori a maggioranza serba [il
65% del territorio].
Il 27 aprile 1992, Serbia e Montenegro
costituicono la nuova Federazione Jugoslava.
Nel 1995, arrivano, in Jugoslavia, 60mila
uomini delle truppe di terra della NATO,
con carri armati e artiglieria, che si aggiungono agli altri già impegnati nei
Paesi limitrofi, per un totale di 200mila uomini.
Mentre quella che un tempo si chiamava Jugoslavia
veniva risucchiata in una spirale di morte, il mondo intero rimase in silenzio
di fronte ad atrocità inconcepibili: omicidi di massa su base etnica, campi di
concentramento e stupri. Il senso comune ha condannato le nazioni balcaniche
per la sanguinosa disintegrazione, che provocò più di 130mila vittime. La
principale presa di posizione contro gli orrori perpetrati nella regione fu
assunta dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che mise al bando il
traffico di armi nell’area. A distanza di quasi vent’anni, tuttavia, emergono
nuovi particolari destinati a mutare la prospettiva su queste vicende. Molti
altri Paesi sembrano essere responsabili per avere alimentato le carneficine
che hanno devastato i Balcani.
Un’indagine durata tre anni, condotta da un’equipe
di giornalisti sloveni e sostenuta da reporter di sei differenti Paesi, ha
analizzato migliaia di documenti arrivando a concludere che molti Stati, tra i
quali la Russia, che aveva votato a favore dell’embargo delle armi, hanno
aggirato il divieto da loro stessi imposto. Molte persone, in questi Paesi,
sono riuscite a guadagnare milioni di dollari vendendo armi e munizioni alle
fazioni impegnate nel conflitto.
Bulgaria, Polonia, Ucraina, Romania e Russia esportavano
armi destinate all’ex-Jugoslavia. Il quartier generale di questa operazione
logistica di dimensioni enormi si trovava a Vienna, mentre le transazioni
finanziare erano eseguite da una banca ungherese. I trafficanti di armi
utilizzavano compagnie registrate nei paradisi offshore panamensi. Il Regno Unito spedì equipaggiamenti militari
alle ex-Repubbliche jugoslave e concesse loro prestiti per l’acquisto di armi,
e lo stesso fece la Germania.
“Questo
tipo di commercio illegale ha permesso ad alcuni individui di accumulare una
ricchezza immensa.”,
afferma Zdenko Cepic, ricercatore dell’Istituto
di Storia Contemporanea di Lubiana ed esperto dei conflitti balcanici.
Ma, se da un lato, vi è, sempre, stata una diffusa
consapevolezza rispetto alle spedizioni illegali di armi durante il conflitto,
i dettagli sono sempre rimasti un mistero. Mercanti di armi, rappresentanti di
Governi e altri ancora hanno sempre negato le loro colpe, e nessuno è stato
ritenuto responsabile da un sistema giudiziario post-bellico che si è, spesso,
piegato alle pressioni politiche.
L’inchiesta rivela che grandi quantità di armi
russe venivano vendute tramite anonimi intermediari durante l’embargo delle
armi voluto dalle Nazioni Unite. La persona che probabilmente svolgeva il ruolo
principale era un cittadino greco, Konstantin Dafermos, che in quegli anni
operava a Vienna.
Tra il 1991 e il 1992, quando i traffici fiorivano,
circa 20 navi cariche di armi approdarono in gran segreto al porto sloveno di
Koper, violando l’embargo dell’ONU.
Le navi furono scaricate e il carico rapidamente inviato ai campi di battaglia
in Croazia e Bosnia Erzegovina.
Queste operazioni logistiche, secondo i documenti,
furono condotte dai servizi segreti sia civili sia militari di tutti i tre
Paesi coinvolti. Anche le Mafie italiana, albanese e russa parteciparono ad
alcune operazioni.
“Il
porto di Koper costituiva un’ottima opportunità per aggirare l’embargo,”,
sostiene Cepic,
“perché non era controllato dagli ispettori internazionali. La supervisione
sulle spedizioni veniva eseguita dalla stessa Slovenia, che permetteva l’importazione di armi da altri Paesi europei.”
L’embargo dell’ONU
era diretto a evitare che le armi arrivassero nei Balcani, ma fu, duramente,
criticato, perché rafforzava la supremazia della Serbia, ostacolando la
possibilità di Slovenia, Croazia e Bosnia Erzegovina di difendersi dalla
minaccia che giungeva da Belgrado.
Senza alcun alleato cui rivolgersi, questi Paesi
hanno, pertanto, acquistato armi attraverso una oscura rete di commercianti,
legati al crimine organizzato e da Stati che, come la Russia, avevano votato a
favore dell’embargo.
Le armi acquistate, che avrebbero dovuto essere
necessarie per difendere le repubbliche dell’ex-Jugoslavia, favorirono a loro
volta aggressioni e atrocità. Le armi comprate dalla Croazia, per esempio,
hanno permesso la difesa dall’offensiva dell’Esercito Popolare Jugoslavo e la
conquista, nel 1995, dei territori che erano controllati dai ribelli serbi. Ma
i leaders militari croati sono,
anche, stati condannati per gli omicidi commessi nei confronti dei serbi e per
avere deportato migliaia di loro dalla Croazia, mentre sia i serbi sia i croati
sono stati coinvolti in atrocità commesse contro i musulmani bosniaci.
“Questo
commercio illegale di armi”,
spiega Cepic,
“ha
in parte influenzato gli esiti delle guerre nell’ex-Jugoslavia.”
Il commercio di armi ha inoltre condizionato a
lungo questi Paesi dopo la fine delle guerre. I legami criminali hanno spinto i
rappresentanti dei servizi segreti dalla parte sbagliata della legge. Sono
arrivati a concludere negoziazioni intascando valigie cariche di denaro,
facendo lievitare i prezzi delle armi e ponendo le basi per un clima di
corruzione tra i funzionari pubblici che persiste, ancora, oggi.
Il traffico di armi nella guerra jugoslava ha
inizio nel 1991, il 20 giugno per l’esattezza, quando il primo carico di armi
strategicamente importante giunse in Slovenia dal porto bulgaro di Burgas, la
settimana precedente l’inizio dei primi scontri armati in ex Jugoslavia. La nave
danese Herman C. Boye arrivò con a bordo 5mila fucili d’assalto, milioni di
cartucce e, soprattutto, missili anti-aerei e anti-carro per un valore
equivalente a 7,8 milioni dei marchi tedeschi di allora, pari a 4,3 milioni di
dollari americani.
A incaricarsi della spedizione di queste armi fu
una compagnia statale bulgara, la Kintex, con sede a Sofia, mentre
l’intermediario era una società austriaca, la Stalleker GmbH, con sede a
Vienna. Contemporaneamente, la compagnia inglese Racal inviò modernissime
stazioni radio militari in Slovenia, capaci di criptare i messaggi, in un
affare che fruttò 5 milioni di sterline.
L’operazione, andata a buon fine, attrasse
l’attenzione del trafficante d’armi Konstantin Dafermos. L’uomo d’affari greco
lavorava al tempo con la Scorpion
International Services S.A., una società militare russa registrata a Panama
e con uffici presso l’aeroporto di Vienna. La Scorpion presto divenne uno dei principali canali per il traffico
di armi verso le frontiere jugoslave. I movimenti del conto bancario aperto
presso la Banca Internazionale
Centro-Europea di Budapest rivelano che Scorpion
ha ricevuto più di 80 milioni di dollari da clienti sloveni, croati e bosniaci.
Bollettini provenienti dalla stessa banca
testimoniano che almeno 9,4 milioni di dollari, ma forse addirittura 19, furono
trasferiti dal conto di Dafermos a quello di una compagnia statale polacca di
nome Cenrex. Il direttore di Cenrex, Jerzy Dembowski, era un tenente-colonnello
nel servizio di intelligence militare polacca, che si nascondeva sotto il nome
in codice di Wirakocza. Dal porto polacco di Gdynia, navi cariche di armi e
contenenti scorte di munizioni sovietiche attraversarono il mare Adriatico per
poi arrivare in terra balcanica.
Altre registrazioni mostrano che 3 navi partite dal
porto romeno di Costanza trasportarono 200 container, contenenti 3.500
tonnellate di armi, nel dicembre del 1991 e nel gennaio dell’anno seguente. Il
cargo, che giunse nel porto di Koper, fu poi inviato in Croazia.
Un canale ancora più importante per il contrabbando
fu inaugurato nel 1992, con i carichi che partivano dal porto ucraino di
Mykolaiv. Questa via di traffico era controllata dalla Mafia di Odessa, che
spedì 8 navi contenenti più di 12mila tonnellate di armi verso la Croazia.
Dai documenti in possesso della Slovenia si viene a
scoprire che i due primi carichi transitarono presso il porto sloveno di Koper.
Una nave, l’Island, compì il viaggio portando 96 container di armi tra
l’ottobre e il novembre del 1992. Da Koper, le armi giunsero in Croazia via
terra. I bollettini di pagamento e di credito confermano che 60 milioni di
dollari andarono sul conto di Dafermos grazie a dei compratori croati che
avevano acquistato le armi proprio attraverso questo canale. Da questo
ammontare di denaro, 40 milioni furono a loro volta trasferiti ad altri
venditori di armi. Una di queste compagnie, la Global Technologies International Inc., era intestata a Dmitri
Streshinsky a Panama.
Questi traffici di armi proseguirono senza dare
troppo nell’occhio. Ma nel 1994 l’ultima di otto navi, la Jadran Express, venne
intercettata e bloccata dalla flotta NATO
presente nell’Adriatico.
Questa intercettazione portò a un processo che si
svolse a Torino.
Tra gli imputati figuravano molti di questi
trafficanti, tra cui Dafermos, Streshinsky, gli oligarchi russi Alexander
Zhukov e Leonid Lebedev, il banchiere britannico Mark Garber e Yevgeny Marchuk,
ex-primo ministro ucraino ed ex-capo della polizia segreta di quel Paese.
Furono coinvolti nel processo anche degli ex-ufficiali del KGB. La procura di Torino descrisse Konstantin Dafermos come la
mente dell’organizzazione. Documenti falsi indicavano che le armi erano dirette
in Africa anziché verso i Balcani.
Tutti gli accusati sono stati scagionati.
Secondo documenti più recenti, Dafermos ha venduto
centinaia di missili anti-aereo e anti-carro alla Slovenia. In tre navi che
giunsero dalla Polonia e dall’Ucraina, tra il 1991 e il 1992, furono rinvenuti
52 lanciatori anti-aereo SA-16 Igla con 400 missili, 50 lanciatori anti-carro
AT-4 Fagot con 500 missili e 20 lanciatori anti-carro AT-7 Metis con 200
missili. L’affare aveva un valore complessivo di 33,3 milioni di dollari. Un
agente sloveno affermò, in un’intervista rilasciata nel 2010 al quotidiano
sloveno Dnevnik, che questo commercio di armi era una sorta di affare
intra-statale, con una compagnia ad agire come intermediaria.
Alcuni di questi missili russi vennero pagati con
un prestito tedesco, concordato attraverso una compagnia delegata, Unimercat,
con sede a Monaco di Baviera. Gli allora ministri della difesa e delle finanze
sloveni spiegarono in un’intervista concessa al giornale sloveno Delo che
“un Paese occidentale”, che non identificarono, prestò più di 60 milioni di
marchi tedeschi, vale a dire 37 milioni di dollari, di cui 46 milioni di
marchi, cioè 28 milioni di dollari, erano destinati all’acquisto di armi nel
periodo dell’embargo decretato dall’ONU.
Da parte sua, Dafermos arrivò addirittura ad
offrire alla Slovenia, nel 1992, uno dei complessi mobili anti-aerei
maggiormente all’avanguardia, l’SA-8
Gecko. Questo accordo poi non ebbe seguito, sebbene gli esperti russi e
sloveni tennero un incontro svoltosi segretamente a Vienna per discuterne i
termini.
Nella primavera del 1994 il presidente del partito
liberal-democratico russo Vladimir Zhirinovsky, durante una visita in Slovenia,
pretese il pagamento di 9 milioni di dollari per la spedizione di maschere
anti-gas all’allora ministro della difesa Janez Jansa, che era a capo del
traffico di armi nel suo Paese. L’invio delle maschere anti-gas fu organizzato
dall’allora intermediario di Dafermos, Nicholas Oman.
I partners
delle altre compagnie panamensi di Dafermos, tutte operanti sotto il nome di Scorpion, avevano legami con la Russia.
Il partner di Dafermos in una
compagnia denominata Scorpion Navigation
era Vladimir I. Ryashentsev, un funzionario del KGB. Oggi, la Scorpion International Services è la rappresentante
esclusiva di Rosoboronexport, la
compagnia statale russa che esporta armi.
Nel febbraio del 1995 le autorità slovene
condannarono Dafermos, assieme al ministro della difesa Janez Jansa e al
ministro degli interni Igor Bavčar, per la spedizione illegale di 13mila fucili
d’assalto e munizioni durante la guerra in Croazia.
Durante l’interrogatorio sostenuto davanti alla
polizia austriaca nel 1995, Dafermos negò ogni coinvolgimento nel traffico di
armi e di equipaggiamento militare. Sostenne di aver importato solamente
“giubbotti protettivi, uniformi e stivali militari” dalla Russia.
In Slovenia, il caso non venne, mai, portato in
tribunale. Entrambi gli ex ministri sloveni sono però oggi imputati per crimini
diversi. L’ex-premier sloveno, Jansa, è attualmente sotto processo per
corruzione in un traffico di armi del valore di 278 milioni di euro [364 milioni
di dollari], mentre Bavcar, l’ex-ministro degli interni, è
accusato di riciclaggio di denaro.
L’Italia è un Paese di scandali
politico-finanziari e spionistici continui, analizzati in
innumerevoli indagini giudiziarie e giornalistiche. Alcune
coinvolgono anche la Slovenia e la Croazia, e sono menzionate, a esempio, nel
libro-inchiesta Traffico d’armi, il crocevia jugoslavo [M. Gambino e L.
Grimaldi, Editori Riuniti, Roma 1995]. Altre informazioni utili si
trovano nel precedente libro Da Gladio a Cosa Nostra, [L.
Grimaldi, ed. Kappavu, Udine 1993] con prefazione del magistrato veneziano
Felice Casson che ha condotto alcune celebri inchieste su questi problemi.
I due libri meritano dunque
molta attenzione, se non per tutte le tesi certamente per molte notizie. Tra
quelle che toccano la Slovenia, e in misura minore la Croazia, si possono
ritenere fondate le informazioni ricavate dagli atti di indagini giudiziarie e
parlamentari italiane su scandali che hanno coinvolto alti esponenti
politici, massonerie deviate, settori dei servizi segreti ed i loro contatti e
traffici internazionali. E sono scandali che riguardano in particolare il
traffico di titoli obbligazionari di provenienza illecita.
Il traffico internazionale di
titoli bancari o di Stato di provenienza illecita è uno dei sistemi con cui i
servizi segreti, o gruppi criminali che riciclano anche capitali non propri,
finanziano operazioni politico-economiche e traffici speciali. I titoli vengono
depositati come garanzia presso banche e società finanziarie per ottenere forti
somme di denaro liquido.
Vengono usati sia titoli
autentici che duplicati o falsi. Quelli autentici vengono prelevati
illegalmente nei depositi fiduciari dei clienti presso le banche, usati e
rimessi a posto, oppure vengono rubati, anche in bianco. Quelli rubati sono
utilizzabili finchè il furto non viene denunciato e vengono inseriti
sull’apposita Black List internazionale. I titoli duplicati provengono invece
direttamente dalle banche o dalle tipografie di Stato, che ne stampano
illegalmente due copie autentiche con lo stesso numero: una va sul mercato
normale, la seconda su quello illegale.
L’uso di titoli rubati in
bianco, duplicati o falsi è preferito perché rappresentano denaro inesistente,
che non ha quindi padroni. Ma in ogni caso queste truffe richiedono un
altissimo livello di copertura ed organizzazione politico-finanziaria.
Le indagini sinora note che
riguardano anche la Slovenia sono due, con un movimento di denaro complessivo
di oltre 1 500 miliardi di lire. Ambedue coinvolgono assieme a mafiosi,
pseudomassoni, partiti di governo e servizi segreti italiani, anche diplomatici
sloveni.
La più recente è stata aperta
nel 1994 su un traffico di certificati di credito [Cct] e buoni [Bot] del
Tesoro italiano, in parte duplicati ed in parte rubati. Vi risultano connessi
anche traffici internazionali di armi verso più teatri di guerra [inclusi
quelli ex-jugoslavo e somalo] e di materiale nucleare, e secondo i magistrati
queste operazioni avevano “alte coperture politiche ed istituzionali”. Cioè
nello Stato e nel Governo italiani.
L’altra indagine riguarda un
traffico scoperto nel 1992 di titoli rubati di una banca di Stato italiana.
Alla fine degli anni `80 una grande banca romana controllata dallo Stato, il Banco di Santo Spirito, subisce una
serie di furti di titoli in bianco, prevalentemente certificati di deposito
[Cd]. Ma non si sa esattamente quanti, perché stranamente la banca non ne tiene
registri regolari.
Si sa soltanto che nell’agosto
del 1990 viene rubato a Roma un furgone con un forte quantitativo di titoli, ed
il 2 novembre un altro con 6.000 assegni bancari e circolari e 294 certificati
di deposito, di cui 68 utilizzabili fino ad un miliardo di lire e 229
utilizzabili fino a 95 milioni; i certificati valevano dunque quasi 90
miliardi. Ed a questo punto il valore complessivo dei titoli rubati circolanti
risulterà di circa 800 miliardi di lire [valore 1992]. Sono titoli al
portatore, e quindi facilmente negoziabili.
Ma la banca denuncia il primo di
questi due furti soltanto dopo dieci mesi [giugno1991]. Per il secondo denuncia
subito il furto degli assegni, ma per quello dei certificati aspetta 18 mesi
[maggio 1992]. E questo consente ai rapinatori ed ai ricettatori di
utilizzarli.
Nell’agosto del 1992, il Banco di Santo Spirito viene fuso
nella Banca di Roma, e i
nuovi dirigenti scoprono e denunciano la strana vicenda. Alcuni magistrati
italiani capaci e coraggiosi indagano ed individuano sia i rapinatori – che
sembra appartengano alla potente banda
della Magliana, connessa a Mafia e servizi segreti – sia la rete che sta
negoziando in Italia e all’estero i titoli rubati.
È una rete internazionale di
alta finanza, soprattutto svizzera, collegata anche al corrotto Partito
Socialista Italiano [PSI],
di Craxi, Martelli e De Michelis, in quel momento ancora al Governo. La rete
utilizza agenti dei servizi segreti militari italiani [principalmente
il SISMI, servizio
informazioni militare, con competenza estera] e ambienti della massoneria.
L’8 e il 9 novembre 1987, in
Italia, si votò per 5 Referenda
Popolari, 3 di questi riguardavano l’energia nucleare. Nessuno dei tre quesiti
chiedeva l’abolizione o la chiusura delle centrali nucleari. I votanti furono
il 65,1%, con un’altissima percentuale di schede nulle o bianche che andarono
dal 12,4% al 13,4%.
REFERENDUM
NUCLEARE 1
- Veniva chiesta l’abolizione dell’intervento statale nel caso in cui un Comune
non avesse concesso un sito per l’apertura di una centrale nucleare nel suo
territorio. I sì vinsero con l’80,6%.
REFERENDUM
NUCLEARE 2
- Veniva chiesta l’abrogazione dei contributi statali per gli enti locali per
la presenza sui loro territori di centrali nucleari. I sì s’imposero con il
79,7%.
REFERENDUM
NUCLEARE 3
- Veniva chiesta l’abrogazione della possibilità per l’ENEL di partecipare
all’estero alla costruzione di centrali nucleari. I sì ottennero il 71,9%.
Il Viminale certificava che ai Referenda popolari del 12 e 13 giugno aveva votato il 57% degli
aventi diritto. Dato che scendeva al 54,8%, considerando i votanti all’estero.
Il successo dei “Sì” toccava il 95%, un successo travolgente, sperato e
ricercato, ma sorprendente anche nel momento della rivelazione. E l’entusiasmo
esplodeva ovunque, nelle piazze e su internet,
dai comitati promotori e dagli elettori, per i risultati e anche per il vento
nuovo di partecipazione. Quelle che arrivano dal Ministero dell’Interno erano
percentuali di rilevanza assoluta, con il quorum
raggiunto e superato, per la prima volta, dal 1995.
L’AIEA
[Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica] e l’OMS [Organizzazione Mondiale
della Sanità] sono due agenzie dell’ONU.
L’OMS, come tutte le altre agenzie
specializzate, dipende dal Consiglio dello Sviluppo Economico e Sociale, mentre
l’AIEA dipende dal Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite.
LETTERA APERTA al Presidente della Repubblica
On.
Giorgio NAPOLITANO
e,
p.c., a:
Presidente
del Consiglio - On. Romano PRODI
Ministro
dell’Economia e delle Finanze - Prof. Tommaso PADOA SCHIOPPA
Ministro
dello Sviluppo Economico - On. Perluigi BERSANI
Ministro
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - On. Alfonso PECORARO
SCANIO
Ministro
per le Politiche Europee - On. Emma BONINO
Presidente
del Senato - Sen. Franco MARINI
Presidente
della Camera dei Deputati - On. Fausto BERTINOTTI
Presidente
V Commissione Bilancio Senato - Sen. Enrico MORANDO
Presidente
VI Commissione Finanze Senato - Sen. Giorgio BENVENUTO
Presidente
X Commissione Industria Senato - Sen. Aldo SCARABOSIO
Presidente
XIII Commissione Ambiente Senato - Sen. Tommaso SODANO
Presidente
XIV Commissione Politiche UE Senato - Sen. Andrea MANZELLA
Presidente V Commissione Bilancio Camera - On. Lino DUILIO
Presidente
VI Commissione Finanze Camera - On. Paolo DEL MESE
Presidente
X Commissione Attività Produttive Camera - On. Daniele CAPEZZONE
Presidente
VIII Commissione Ambiente Camera - On. Ermete REALACCI
Presidente
XIV Commissione UE Camera - On. Franca BIMBI
Illustre
Signor Presidente,
è
da tempo che l’Associazione Galileo 2001 vede con preoccupazione le decisioni
assunte dai Governi e dal Parlamento italiano di ratificare il Protocollo di
Kyoto. Maggiore preoccupazione manifestiamo oggi per l’ipotesi di assunzione di
impegni ancora più gravosi in sede europea e nazionale relativi alla politica
ambientale ed energetica.
Come
cittadini e uomini di scienza, avvertiamo il dovere di rilevare che la tesi
sottesa al Protocollo, cioè che sia in atto un processo di variazione del clima
globale causato quasi esclusivamente dalle emissioni antropiche, è a nostro
avviso non dimostrata, essendo l’entità del contributo antropico una questione
ancora oggetto di studio.
In
ogni caso, anche ammettendo la validità dell’intera teoria dell’effetto serra
antropogenico, gli obiettivi proposti dal Protocollo di Kyoto sono inadeguati,
poiché inciderebbero solo in modo irrilevante sulla quantità totale di gas
serra. Totalmente inadeguati rispetto al loro effetto sul clima ma
potenzialmente disastrosi per l’economia del Paese. Dal punto di vista degli
impegni assunti con la sottoscrizione del Protocollo rileviamo che:
-
l’Italia si è impegnata a ridurre entro il 2012 le proprie emissioni di
gas-serra del 6.5% rispetto alle emissioni del 1990;
-
poiché da allora le emissioni italiane di gas-serra sono aumentate, per onorare
l’impegno assunto dovremmo ridurre quelle odierne del 17%, cioè di circa 1/6;
-
in considerazione dell’attuale assetto e delle prospettive di evoluzione a breve-medio
termine del sistema energetico italiano, il suddetto obiettivo è tecnicamente
irraggiungibile nei tempi imposti.
All’impossibilità
pratica di rispettare gli impegni assunti fanno riscontro le pesanti sanzioni
previste dal Protocollo per i Paesi inadempienti, che rischiano di costare
all’Italia oltre 40 miliardi di euro per ciò che avverrà nel solo periodo
2008-2012.
Al
fine di indirizzare correttamente le azioni volte al conseguimento degli
obiettivi di riduzione, occorre tenere presente che i settori dei trasporti e
della produzione elettrica contribuiscono, ciascuno, per circa 1/3 alle
emissioni di gas serra [il restante terzo è dovuto all’uso d’energia non
elettrica del settore civile/industriale]. Giova allora valutare cosa
significherebbe tentare di conseguire gli obiettivi del Protocollo in uno dei
seguenti modi:
-
sostituire il 50% del carburante per autotrazione con biocarburante;
-
sostituire il 50% della produzione elettrica da fonti fossili con tecnologie
prive di emissioni.
1.
Biocarburanti. Per sostituire il 50% del carburante per autotrazione con
bioetanolo, tenendo conto dell’energia netta del suo processo di produzione,
sarebbe necessario coltivare a mais 500.000 kmq di territorio, di cui
ovviamente non disponiamo. Anche coltivando a mais tutta la superficie agricola
attualmente non utilizzata [meno di 10.000 kmq], l’uso dei biocarburanti ci
consentirebbe di raggiungere meno del 2% degli obiettivi del Protocollo di
Kyoto.
2.
Eolico. Sostituire con l’eolico il 50% della produzione elettrica nazionale da
fonti fossili significherebbe installare 80 GW di turbine eoliche, ovvero
80.000 turbine [una ogni 4 kmq del territorio nazionale]. Appare evidente il
carattere utopico di questa soluzione [che, ad ogni modo, richiederebbe un
investimento non inferiore a 80 miliardi di euro]. In Germania, il paese che
più di tutti al mondo ha scommesso nell’eolico, i 18 GW eolici - oltre il 15%
della potenza elettrica installata - producono meno del 5% del fabbisogno
elettrico tedesco.
3.
Fotovoltaico. Per sostituire con il fotovoltaico il 50% della produzione
elettrica nazionale da fonti fossili sarebbe necessario installare 120 GW
fotovoltaici [con un impegno economico non inferiore a 700 miliardi di euro], a
fronte di una potenza fotovoltaica attualmente installata nel mondo inferiore a
5 GW. Installando in Italia una potenza fotovoltaica pari a quella installata
in tutto il mondo, non conseguiremmo neanche il 4% degli obiettivi del
Protocollo di Kyoto.
4.
Nucleare. Per sostituire il 50% della produzione elettrica nazionale da fonti
fossili basterebbe installare 10 reattori nucleari del tipo di quelli
attualmente in costruzione in Francia o in Finlandia, con un investimento
complessivo inferiore a 35 miliardi di euro. Avere 10 reattori nucleari ci metterebbe
in linea con gli altri Paesi in Europa [la Svizzera ne ha 5, la Spagna 9, la
Svezia 11, la Germania 17, la Gran Bretagna 27, la Francia 58] e consentirebbe
all’Italia di produrre da fonte nucleare una quota del proprio fabbisogno
elettrico pari alla media europea [circa 30%].
Come
si vede, nessuna realistica combinazione tra le prime tre opzioni [attualmente
eccessivamente incentivate dallo Stato] può raggiungere neanche il 5% degli
obiettivi del Protocollo di Kyoto. Agli impegni economici corrispondenti si
dovrebbe poi sommare l’onere conseguente all’acquisto delle quote di emissioni
o alle sanzioni per il restante 95% non soddisfatto.
Esprimiamo
quindi viva preoccupazione per gli indirizzi che il Governo e il Parlamento
stanno adottando in tema di politica energetica e ambientale, e chiediamo
pertanto:
-
che si promuova la definizione di un piano energetico nazionale [PEN], anche
con la partecipazione di esperti europei, che includa la fonte nucleare - che è
sicura e rispettosa dell’ambiente e l’unica, come visto, in grado di affrontare
responsabilmente gli obiettivi del Protocollo di Kyoto
-
e che dia alle fonti rinnovabili la dignità che esse meritano ma entro i limiti
tecnici ed economici di ciò che possono realisticamente offrire;
-
che la comunità scientifica sia interpellata e coinvolta nella definizione del
PEN e che si proceda alla costituzione di una task force qualificata per
definire le azioni necessarie a rendere praticabile l’opzione nucleare;
-
che si interrompa la proliferazione di scoordinati piani energetici comunali,
provinciali o regionali e che non siano disposte incentivazioni a favore
dell’una o dell’altra tecnologia di produzione energetica al di fuori del
quadro programmatico di un PEN trasparente e motivato sul piano scientifico e
tecnico-economico.
Restiamo
a Sua disposizione, Signor Presidente, per documentarLa puntualmente su quanto
affermiamo.
Presidente:
Renato Angelo Ricci
Consiglio
di Presidenza: Franco Battaglia, Carlo Bernadini, Tullio Regge, Giorgio
Salvini, Umberto Tirelli, Umberto Veronesi.
Consiglio
Direttivo: Cinzia Caporale, Giovanni Carboni, Maurizio Di Paola. Guido Fano,
Silvio Garattini, Roberto Habel, Corrado Kropp, Giovanni Vittorio Pallottino,
Ernesto Pedrocchi, Francesco Sala, Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, Paolo
Sequi, Ugo Spezia, Giorgio Trent, Giulio Valli, Paolo Vecchia.
Altri
firmatari: Claudia Baldini, Argeo Benco, Ugo Bilardo, Giuseppe Blasi
Paolo Borrione, Cristiano Bucaioni, Luigi Chilin, Raffaele Conversano, Carlo
Cosmelli, Riccardo De Salvo, Silvano Fuso, Oliviero Fuzzi, Giorgio Giacomelli,
Renato Giussani, Luciano Lepori, Carlo Lombardi, Alessandro Longo, Stefano
Monti, Antonio Paoletti, Salvatore Raimondi, Marco Ricci, Roberto Rosa, Angela
Rosati, Massimo Sepielli, Elena Soetje Baldini, Roberto Vacca, Giuseppe
Zollino.