“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

sabato 22 settembre 2018

"Mio padre a piazzale Loreto con Mussolini, io oggi...", Toscani oltre o...





QUESTO DI SINISTRA HA SOLO L'ANIMA!

Documental: Mapuches, Benetton & Santiago Maldonado

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Tutti amici di Benetton

lunedì 17 settembre 2018

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venerdì 14 settembre 2018

The Deleted Interview that George Soros Tried to Ban!

martedì 11 settembre 2018

QUIZ 11 SETTEMBRE

lunedì 10 settembre 2018

La figlia del ministro Padoan guida la rivolta dei clandestini.

mercoledì 5 settembre 2018

Il Capitano Ultimo lasciato senza scorta.

domenica 2 settembre 2018

ANTEPRIMA! estratto da URANIO IMPOVERITO O LA GUERRA ATOMICA CAMUFFATA III. UNA SHOAH PLANETARIA di Daniela Zini


URANIO IMPOVERITO
o
la guerra atomica camuffata
INCHIESTA SULL’URANIO IMPOVERITO, DEPLETED URANIUM, IN SIGLA DU, UTILIZZATO NELL’INDUSTRIA BELLICA, LA CUI PERICOLOSITA’ PER LA SALUTE E’ MINIMIZZATA DALLE LOBBIES MILITARI-INDUSTRIALI.
Dalla bomba atomica alle centrali nucleari, l’uranio accompagna la Storia del XX Secolo.
Con il riscaldamento climatico, questa materia prima graverà, egualmente, sul XXI Secolo.
Voi saprete tutto della sua estrazione, del ciclo del combustibile e dei Paesi produttori da questo dossier.  

“I know not with what weapons World War III will be fought, but World War IV will be fought with sticks and stones.”


Albert Einstein





“I have no special talent.
I am only passionately curious.”
Albert Einstein



“Vorrei che gli italiani sapessero di tanti altri ragazzi soldato, decine e decine, ormai centinaia, morti ugualmente per aver servito lo Stato nelle missioni di pace nelle zone di guerra. Ma lo fanno in silenzio, tra atroci dolori, in un lettino d’ospedale, uccisi dai tumori diagnosticati dopo il Kosovo, la Somalia, l’Iraq, l’Afghanistan. E non hanno nessun funerale ufficiale, nessun sostegno se non quello dei genitori e delle mogli che li assistono sino all’ultimo.”
Giuseppe Di Giorgio, ex-parà della Folgore, malato di linfoma di Hodgkin [http://sadefenza.blogspot.it/2009/10/la-verita-e-radioattiva-parla-un-ex.html]


“L’intervento italiano in Afghanistan si realizza nel pieno rispetto dei principi e delle circostanze stabiliti dall’articolo 11 della nostra Costituzione[1]. Siamo in Afghanistan non per recare offesa alla libertà di un altro popolo, né per risolvere con la guerra una controversia, ma per rispondere all’appello di quelle organizzazioni internazionali impegnate ad assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni cui la Costituzione fa esplicito riferimento”.
Giorgio Napolitano, 1 agosto 2011, ore 11.34 

Dove finiscono le armi quando finiscono le guerre?
Tutto ha origine quando l’Unione Sovietica inizia a dismettere gli arsenali e la preoccupazione di un Terza Guerra Mondiale viene meno.
I Balcani costituiscono, da sempre, un’area molto appetibile per i mercanti di armi: guerre continue, sia pure di portata regionale, a causa della forte compresenza di diverse etnie e religioni.
Il 23 Dicembre 1990[2] – data dell’esito positivo del Referendum popolare sull’indipendenza della Slovenia – inizia la disgregazione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia [Socijalistička Federativna Republika Jugoslavija, SFRJ][3]. Da quel momento, i maggiori Stati produttori e venditori di armi iniziano a “farsi i loro affari”, anche se favorevoli alla Risoluzione 713 [http://www.un.org/fr/documents/view_doc.asp?symbol=S/RES/713[1991]], adottata, il 25 settembre 1991, dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che decretava l’embargo generale sulle armi e sull’equipaggiamento militare contro l’intera Federazione Jugoslava e invitava il segretario generale Javier Pérez de Cuéllar [1º gennaio 1982 – 31 dicembre 1991][4] a offrire la propria assistenza per sostenere lo sforzo negoziale condotto dalla Comunità Europea nell’ambito della Conferenza dell’Aia.
Grazie alla sua posizione geografica l’ex-Jugoslavia rappresenta un ponte naturale tra l’Europa e l’Oriente e, con la copertura della guerra, si consolida la sua posizione di crocevia strategico per qualsiasi traffico illecito. La struttura statale inesistente e legittima favorisce lo sviluppo e il proliferare della criminalità organizzata e, così, in Bosnia, le forze internazionali organizzano un intenso traffico di armi che avrebbero dovuto distruggere. Quando scoppia una guerra, sono in molti a lanciarsi in un business  che permette di accumulare ingenti ricchezze!
Mercanti di armi e rappresentanti di Governi, sebbene implicati, non vengono, mai, giudicati responsabili né condannati.
Tra il 1991 e il 1992[5], quando nei Balcani il traffico di armi prospera, 20 navi cariche di armi approdano, in grande segreto, nel porto sloveno di Koper[6].
“Il porto di Koper costituiva un’ottima opportunità per aggirare l’embargo,”,
sostiene Zdenko Cepic[7],
perché non era controllato dagli ispettori internazionali. La supervisione sulle spedizioni veniva eseguita dalla stessa Slovenia, che permetteva limportazione di armi da altri Paesi europei.”


È un ottimo escamotage per aggirare l’embargo stabilito dall’ONU.
Il carico viene, poi, inviato in Croazia e in Bosnia.
L’operazione ha la regia delle Mafie italiana, albanese e russa.
Tali armi avrebbero dovuto essere utilizzate a scopo difensivo. Favoriscono, invece, aggressioni e atrocità di ogni tipo.
Le armi acquistate dalla Croazia hanno permesso di respingere l’Esercito Popolare Jugoslavo [JLA], ma non dobbiamo dimenticare che i leaders militari croati sono stati condannati e che croati  e serbi sono stati coinvolti nel massacro di musulmani bosniaci.
Conclusosi il conflitto, il traffico di armi confluisce nei servizi segreti.
Di nuovo, vi è chi ne sa trarre una grande quantità di danaro…
Come disse, duemila anni fa, al figlio Tito l’imperatore Vespasiano, quando impose la tassa sulle latrine pubbliche:
“Il danaro non puzza!”
Questo adagio, ormai classico, vuole mettere in luce un contrassegno positivo del danaro, vale a dire, il suo valore è indipendente dalle circostanze in cui è stato fatto.
Ma quello che valeva duemila anni fa per il danaro dell’imperatore romano, non vale più, oggi, nei confronti del crimine organizzato.
Soldi guadagnati illegalmente possono essere ritirati dalla circolazione dallo Stato anche se sono stati “deodorati” in un graduale processo di lavaggio, come si definisce in tedesco il riciclaggio.
Il lavaggio di danaro o riciclaggio è stato, fino agli anni 1980 inoltrati, una metafora pregnante del linguaggio giornalistico e, solo agli inizi degli anni 1990, si è trasformato in concetto giuridico.
Nel 1990, il gruppo delle Nazioni economicamente più importanti [G7] presentò delle direttive fatte elaborare dal Financial Action Task Force on Money [ FATF ].
Oggi, interi settori economici, anzi intere economie nazionali sono minacciate dall’infiltrarsi del crimine organizzato. I riciclatori di danaro lo aiutano ad accedere alle posizioni di potere dell’economia e della società legali.
Il Fondo Monetario Internazionale [FMI] ritiene che, nel 1995, siano stati immessi, clandestinamente, nei mercati finanziari legali complessivamente 500 miliardi di dollari di danaro sporco, nonostante fossero state rafforzate le misure contro il riciclaggio.
FARE LUCE è la parola d’ordine di questa inchiesta.
Non si vuole tanto portare l’attenzione su singoli casi, avvenimenti, scandali, quanto rendere visibili quelle strutture e quegli intrecci della finanza, in cui il flusso del danaro sporco si mescola con quello legale.
Fare i nomi di società e persone diviene, pertanto, inevitabile.
Conformi a questo approccio sono anche le numerose note a piè di pagina disseminate nel testo, che contengono particolari concreti sui punti nodali e le diramazioni di organismi finanziari invisibili.
Da venti anni, i reduci dalle missioni NATO, in Libano, in Afghanistan, in Bosnia, in Somalia, in Kosovo e in Iraq si ammalano per le conseguenze dell’uso  di proiettili all’uranio impoverito. È l’Osservatorio Militare,  presieduto dal maresciallo in pensione Domenico Leggiero, ex-pilota dell’Aeronautica [http://www.osservatoriomilitare.it/] a fornire i numeri di questa strage dimenticata, sui quali a fare luce non sono servite tre Commissioni di Inchiesta Parlamentari, regolarmente azzoppate dal crollo anticipato delle legislature.
Ne è decollata una quarta, presieduta dal deputato PD della Sardegna Gian Piero Scanu.
“L’universo della sicurezza militare non è governato da norme adeguate. C’è bisogno di una nuova legge, senza la quale resteranno immutate le scelte strategiche di fondo che trasformano i militari in lavoratori deboli e umiliano i militari ammalati o morti per la sproporzione tra la dedizione dimostrata e la riluttanza istituzionale al tempestivo riconoscimento di congrui indennizzi.”,
ha dichiarato Scanu, il 19 luglio scorso, durante una conferenza stampa, in cui ha reso nota la relazione intermedia della Commissione di Inchiesta Parlamentare, il cui lavoro è culminato in una proposta di legge intitolata “Sicurezza sul lavoro e la tutela assicurativa contro gli infortuni e le malattie professionali del personale delle Forze armate” [https://ilmanifesto.it/uranio-soldati-senza-protezione/].
“Le sostanze inquinanti”,
si legge nella relazione,
“entrano nella catena alimentare e quindi l’accettazione di soglie più elevate della norma espone a un rischio significativo chiunque utilizza i prodotti derivati.”

Miles Gloriosus ovvero morire d’uranio impoverito, per la regia di Antonello Taurino [https://vimeo.com/38099678], ricostruisce la vicenda dei soldati malati di cancro a causa dell’uranio impoverito delle munizioni sparate in alcune missioni all’estero.
In ottanta minuti di una forma di teatro civile, che non segue schemi classici, il regista conduce gli spettatori attraverso una vicenda dolorosa, di ingiustizia e abbandono delle istituzioni, ma lo fa con la commedia e non con l’orazione seria.
“Per fare teatro civile”,
spiega il regista;
“non basta dire i fatti, serve metterci una storia intorno. La storia è l’esca per attirare e poter raccontare.”


Voi siete a favore o contro l’energia nucleare?
O non avete, ancora, preso una posizione?
Una posizione, di fatto, noi Italiani l’abbiamo presa e l’abbiamo, anche, espressa, dicendo NO all’avventura atomica, con i 3 Referenda popolari dell’8 e del 9 novembre 1987 [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/03/18/nucleare-il-pci-dice-si-tutti-referendum.html, https://www.legambiente.it/contenuti/comunicati/il-nucleare-non-%C3%A8-sicuro-non-%C3%A8-economico-non-%C3%A8-utile][8],  e ribadendola, il 12 e il 13 giugno 2011, con un nuovo Referendum popolare contro le centrali nucleari [http://www.repubblica.it/politica/2011/06/13/news/referendum_la_giornata_dei_s_il_quorum_arriva_tra_le_polemiche-17645020/][9], cui hanno votato il 57% degli aventi diritto, per abrogare le norme furbette, con le quali il Governo Berlusconi [http://www.governo.it/i-governi-dal-1943-ad-oggi/xvi-legislatura-dal-29-aprile-2008-al-23-dicembre-2012/governo-berlusconi] e il Parlamento avevano reintrodotto l’industria atomica in Italia, violando la volontà popolare.
Chi, invece, non si può esprimere è l’Organizzazione Mondiale della Sanità [OMS], l’organismo che, per conto dell’ONU, deve occuparsi della salute delle popolazioni.
Eppure, il Capitolo II della sua Costituzione indica come l’OMS perverrà a elevare il livello di salute, esercitando determinate funzioni.

Capitolo II
Delle Funzioni
Art. 2
a] Agisce come autorità direttrice e coordinatrice, nel campo sanitario, dei lavori di carattere internazionale;
b] Stabilisce e mantiene una collaborazione effettiva con le Nazioni Unite, con le istituzioni speciali, con le amministrazioni sanitarie governative, con i gruppi professionali, come pure con altre organizzazioni che potessero entrare in linea di conto;
c] Aiuta governi, se richiesta, a rafforzare i loro servizi sanitari;
d] Fornisce l’assistenza tecnica appropriata e, nei casi urgenti, l’aiuto necessario, se i governi lo domandano oppure se l’accettano;
e] Fornisce o aiuta a fornire, a richiesta delle Nazioni Unite, servizi sanitari e soccorsi a gruppi speciali di popolazioni, per esempio alle popolazioni dei territori sotto tutela;
f] Stabilisce e mantiene i servizi amministrativi e tecnici ritenuti necessari, compresi i servizi di epidemiologia e di statistica;
g] Stimola e promuove lo sviluppo dell’azione intesa alla soppressione delle malattie epidemiche, endemiche e altre;
h] Promuove, se necessario, facendo capo ad altre istituzioni speciali, l’adozione delle misure atte a prevenire i danni causati dagli infortuni;
i] Favorisce, se necessario, facendo capo ad altre istituzioni speciali, il miglioramento dell’alimentazione, il risanamento delle abitazioni, delle installazioni sanitarie, il miglior impiego degli intervalli di riposo, il miglioramento delle condizioni economiche e di lavoro, come pure di tutti gli altri fattori dell’igiene dell’ambiente;
j] Favorisce la cooperazione tra i gruppi scientifici e professionali che contribuiscono al progresso sanitario;
k] Propone convenzioni, accordi e regolamenti, fa raccomandazioni concernenti le questioni sanitarie internazionali ed esegue i compiti che possono pertanto essere attribuiti all’Organizzazione e sono conformi al suo fine;
l] Promuove lo sviluppo dell’azione in favore della sanità e del benessere della madre e del bambino, come pure la loro attitudine a vivere in armonia con un ambiente in piena trasformazione;
m] Favorisce ogni attività nel campo dell’igiene mentale, specialmente le attività che si riferiscono allo stabilimento di relazioni armoniose tra gli uomini;
n] Stimola e guida le ricerche nel campo della sanità;
o] Favorisce il miglioramento delle norme d’insegnamento e della formazione nelle professioni sanitarie, mediche e affini;
p] Studia e diffonde, se necessario, facendo capo ad altre istituzioni speciali, la tecnica amministrativa e sociale concernente l’igiene pubblica e le cure mediche preventive e terapeutiche, inclusi i servizi ospitalieri e la sicurezza sociale;
q] Fornisce qualsiasi informazione, parere e soccorso concernenti la sanità;
r] Favorisce la formazione, tra i popoli, di un’opinione pubblica illuminata su tutti i problemi della sanità;
s] Stabilisce e rivede, secondo i bisogni, la nomenclatura internazionale delle malattie, delle cause di morte e dei metodi d’igiene pubblica;
t] Uniforma, per quanto necessario, i metodi di diagnosi;
u] Sviluppa, stabilisce e incoraggia l’adozione di norme internazionali concernenti gli alimenti, i prodotti biologici, farmaceutici e simili;
v] In generale, prende tutte le misure necessarie per il raggiungimento del fine assegnato all’Organizzazione.

Il 28 maggio 1959, l’AIEA riesce a far siglare all’OMS l’accordo WHA12-40 [http://independentwho.org/en/who-and-aiea-aggreement/, http://www.criirad.org/actualites/dossiers%202007/accord_oms-aiea/Accord%20OMS-AIEA.pdf], in cui viene mondializzata l’omertà sugli effetti delle radiazioni sulla salute umana. L’accordo stipulava, infatti, che le due organizzazioni dovessero concentrarsi su tutti gli argomenti di interesse comune.
Nella pratica, la Risoluzione WHA 12.40 [http://independentwho.org/en/who-and-aiea-aggreement/, http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+WQ+E-2002-3662+0+DOC+XML+V0//IT] stabiliva che i dati sui danni alla salute, provocati da radiazioni, non potessero essere divulgati dall’OMS senza autorizzazione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica [AIEA][10].
Avallo, che non è, di fatto, MAI, dato.
Nell’accordo, all’articolo III, si evince la possibilità di poter assumere, sia da parte dell’AIEA sia da parte dell’OMS, misure restrittive per salvaguardare il carattere confidenziale di certe informazioni e dell’obbligatorietà delle due agenzie di rapportarsi, direttamente, per tutti i progetti o i programmi che possano coinvolgere una delle due parti. I termini di questo articolo III, che impongono la segretezza, in altri termini il silenzio, sono contrari alla Costituzione dell’OMS, il cui scopo è espresso nel Capitolo I della stessa Costituzione:
Il fine dell’Organizzazione Mondiale della Sanità [qui di seguito chiamata Organizzazione] è quello di portare tutti i popoli al più alto grado possibile di sanità.”
Questo accordo è stato, scrupolosamente, rispettato, anche dopo l’incidente di Chernobyl e i guasti delle guerre in Bosnia, in Somalia, in  Kosovo, in Afghanistan e in Iraq, dove le truppe statunitensi hanno impiegato munizioni radioattive all’uranio impoverito. Ne consegue che l’OMS ha censurato tutti gli studi sulle malattie legate all’industria nucleare, civile o militare che sia, da più di mezzo secolo.
Ha, anche, attribuito numerosi problemi di salute pubblica a fattori minori.
Nel 1957, l’AIEA è creata, non unicamente per impedire o limitare lo sviluppo delle armi di distruzione di massa come molti credono, ma per incoraggiare l’utilizzo dell’energia nucleare a fini pacifici!
Cinquant’ anni dopo, il 30 maggio 2007, l’oncologo Umberto Veronesi annunciava [http://www.repubblica.it/2007/03/sezioni/ambiente/energie-pulite/veronesi-rubbia/veronesi-rubbia.html]:

“Ho appena firmato una lettera dell’Associazione Galileo 2001 destinata al presidente Napolitano [11]con la quale una parte della comunità scientifica italiana si dichiara preoccupata per la decisione del Parlamento di ratificare il protocollo di Kyoto assumendosi impegni – come quello di ridurre entro il 2012 le emissioni di gas serra del 6,5 per cento – che siamo nell’impossibilità pratica di onorare e che ci costeranno una sanzione di oltre quaranta miliardi di euro. Credo che sia il momento di mettere da parte le posizioni preconcette, le paure e le emozioni. Dobbiamo aprire gli occhi. È vero, la fonte ottimale di energia in termini di produzione, efficienza, sostenibilità per l’ambiente e per l’uomo, non l’abbiamo ancora trovata, ma oggi il nucleare va considerato concretamente e subito. In Francia ci sono 58 centrali, in Germania 17, in Spagna 9. È una fonte potente per la quale già disponiamo della tecnologia di sfruttamento e che non comporta rischi per la salute e l’ambiente. Purtroppo la parola nucleare spaventa più degli incidenti che potrebbe causare. Fobie popolari, timori irrazionali e retaggi storici fanno ancora di più dell’allarme cancro e i suoi morti causati dai derivati del petrolio. Allora io dico: basta con il panico da primitivi spaventati dal fuoco.”

Ma in che Mondo viviamo?
Eminenti uomini [https://www.youtube.com/watch?v=5vP5sSl9pT0&watch_response=] si comportano in maniera disonesta, giocando con le vite umane!
Sono gli stessi che, allo scoppiare di un conflitto, barattano armi, organi, droghe, esseri umani con soldi…
Dalla bomba atomica alle centrali nucleari, l’uranio accompagna la Storia del XX secolo.
Con il riscaldamento climatico, questa materia prima graverà, egualmente, sul XXI secolo.
Voi saprete tutto della sua estrazione, del ciclo del combustibile e dei Paesi produttori da questo dossier.


III. UNA SHOAH PLANETARIA

“Nel protestare contro una guerra, possiamo credere di essere una persona pacifica, un vero rappresentante della pace, ma questa nostra presunzione non sempre corrisponde alla realtà. Osservando in profondità ci accorgiamo che le radici della guerra sono presenti nel nostro stile di vita privo di consapevolezza. Se noi non siamo in pace, non possiamo fare niente per la pace.”
Thich Nhat Hanh


Una manifestazione in memoria di Valery Melis, nel febbraio 2004.

La Risoluzione WHA 12.40 del 28 maggio 1959 stabilisce, infatti, che i dati sui danni alla salute provocati da radiazioni non possono essere divulgati dall’OMS senza autorizzazione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea). Eppure, l’Oms ha tra i suoi nobili scopi “fornire ogni informazione, dare ogni consiglio e ogni assistenza nel campo della salute; aiutare a formare, tra i popoli, una opinione pubblica illuminata per quel che concerne la salute”.
Nel 1956, l’OMS riunì un gruppo di eccellenti studiosi di genetica, compreso il Premio Nobel Hermann Joseph Muller.
“In qualità di esperti”,
scrissero in una relazione,
“noi affermiamo che la salute delle future generazioni è minacciata dallo sviluppo crescente dell’industria nucleare e dalle fonti di irraggiamento nucleari… Stimiamo ugualmente che le nuove mutazioni che si manifestano negli esseri umani avranno un effetto nefasto su di loro e sulla loro discendenza.”

[...]

La preoccupazione immediata di medici, rappresentanti delle organizzazioni umanitarie e di chi dà lavoro agli esuli sul posto è la minaccia di una vasta contaminazione da uranio impoverito in Afghanistan.,
con queste parole si chiude il rapporto di circa 130 pagine sugli effetti dell’uranio impoverito sugli esseri umani, Mystery Metal Nightmare in Afghanistan? [Incubo da metallo misterioso in Afghanistan?] [http://www.eoslifework.co.uk/du2012.htm, http://www.eoslifework.co.uk/u23.htm], frutto di un anno di lavoro del ricercatore britannico Dai Williams [http://mai68.org/spip/IMG/pdf/Uranium-Appauvri_unidir_pdf-art2762.pdf,   ]. Da questo documento del 2002,  importante strumento per comprendere meglio quello che lo stesso Williams definisce “uno dei più grandi segreti militari degli anni 1990”, affiora una visione della guerra – sia di quella in Afghanistan sia di quelle che verranno – che sorprende e spaventa al contempo.
A Ginevra, dove erano concentrate le organizzazioni umanitarie attive in Afghanistan, il rapporto di Williams aveva suscitato le più diverse reazioni. I portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati [ACNUR] e l’Organizzazione per il Coordinamento degli Aiuti Umanitari si erano attivati per divulgarlo, i principali dirigenti non ne erano sembrati allarmati. Solo Medici senza frontiere e il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente [UNEP] temevano, a lungo termine, una catastrofe sanitaria e ambientale.
L’UNEP e l’Organizzazione Mondiale della Sanità [OMS] avevano pubblicato, rispettivamente nel marzo e nell’aprile del 2001, misurati rapporti, cui facevano continuo riferimento i sostenitori del carattere inoffensivo dell’UI, primo tra tutti l’United States Department of Defense [Pentagono], che rimarcava l’indipendenza e la neutralità dei due organismi. Ma, mentre lo studio dell’UNEP era quanto meno incompleto, quello dell’OMS era, decisamente, poco affidabile.
Il sopralluogo in Kosovo, dal quale l’UNEP aveva elaborato la sua analisi, era stato organizzato sulla base di carte fornite dalla NATO, le cui truppe avevano accompagnato i ricercatori per proteggerli dalle munizioni inesplose, incluse le parti residue delle bombe a frammentazione, che, con ogni probabilità, secondo Dai Williams, contenevano cariche vuote all’uranio impoverito. Le truppe NATO, non consentendo all’équipe contatto alcuno con questi residui, avrebbero, di fatto, impedito di scoprirne l’esistenza. Se si considera, poi, che, nel corso dei 16 mesi precedenti la visita dell’UNEP, il Pentagono aveva inviato nella zona almeno dieci équipes di controllo per fare pulizia, si spiega perché degli 8.122 “perforanti” anticarro tirati sui siti visitati, l’UNEP ne aveva recuperato solo 11 e la quantità di polveri prelevate direttamente nei punti che si riteneva fossero stati colpiti da queste armi, a 18, 20 mesi di distanza dalla loro utilizzazione, sia risultata molto scarsa.
Quanto all’OMS, aveva condotto un semplice studio accademico. Cedendo alle pressioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, si era, infatti, limitata a esaminare l’uranio impoverito quale metallo pesante chimicamente contaminante. Sulla contaminazione radioattiva erano stati consultati pochissimi articoli e tutti provenienti dal Pentagono o dalla Research and Development Corporation [RAND Corp.], fonte ispiratrice del Pentagono.
Non deve, dunque, sorprendere che il testo non abbia destato preoccupazione alcuna!
Le raccomandazioni dei due rapporti si limitavano a richiamarsi al buon senso: marcare i siti conosciuti; raccogliere nella misura del possibile i perforanti anticarro; prestare particolare attenzione ai bambini per evitare che si avvicinassero ai siti contaminati; sorvegliare, eventualmente, l’acqua di alcuni pozzi; ecc.
Dal 1997, gli Stati Uniti potenziano e “migliorano” il loro arsenale di missili e di bombe guidate e “intelligenti”. Alcuni prototipi di queste armi erano stati testati sulle montagne del Kosovo, nel 1999, ma un arsenale ben più vasto è stato dispiegato in Afghanistan.
La “miglioria” consisteva nella sostituzione di una testata convenzionale con una in “metallo pesante denso” e, calcolando il volume e il peso di questo metallo misterioso, si giungeva alla conclusione che dovesse trattarsi di tungsteno o di uranio impoverito. Il tungsteno pone, tuttavia, qualche problema: ha un elevato punto di fusione [3.422 °C], che lo rende difficoltoso da impiegare; costa caro; non brucia ed è prodotto, soprattutto, dalla Cina; al contrario, l’uranio impoverito, piroforo, brucia all’impatto o se gli viene dato fuoco e, con un punto di fusione di 1.132 °C., è più duttile da lavorare.
In un documentario diffuso da Canal+, nel gennaio del 2001, un’équipe di ricercatori francesi aveva presentato i risultati di una inchiesta condotta nella fabbrica di ritrattamento di Paducah [http://www.sortirdunucleaire.org/IMG/pdf/atom-valley.pdf], nel Kentucky.
Secondo il rappresentante legale dei circa 100mila querelanti, operai in servizio e in pensione, tutti contaminati per una flagrante inosservanza delle più elementari norme di sicurezza, l’intera fabbrica e tutta la sua produzione era, irreparabilmente, contaminata. Secondo gli investigatori, proprio da questa installazione sarebbe provenuto l’uranio impoverito dei missili lanciati su Jugoslavia, Afghanistan e Iraq.
Queste armi rappresentano molto più che un nuovo strumento per guerre moderne. Il programma di riarmo americano, lanciato dal presidente Ronald Reagan, si basava sulla convinzione che il vincitore dei nuovi conflitti fosse quello che distruggesse più efficacemente i centri di comando e di comunicazione del nemico, che si trovano, quasi sempre, sotto terra, in bunkers rinforzati. E, poiché un bombardamento nucleare avrebbe avuto ragione del cemento armato, ma avrebbe, anche, prodotto radiazioni, definite dallo stesso Pentagono spaventose, con pesanti ripercussioni sulla opinione pubblica, in un mondo sempre più attento ai pericoli di una guerra nucleare, appariva più confacente il ricorso a una testata all’uranio impoverito, che avrebbe scatenato un incendio di una potenza altrettanto distruttrice, ma neppure paragonabile alle conseguenze di una  esplosione nucleare.
Le informazioni raccolte da Dai Williams dimostrano che gli Stati Uniti, dopo aver effettuato tests al computer, nel 1987, avevano sperimentato, per la prima volta, questi ordigni nel 1991, contro l’Iraq. La guerra nel Kosovo aveva, poi, dato la possibilità di testare le armi all’uranio impoverito, prototipi o già in produzione, su bersagli di estrema durezza e l’Afghanistan avrebbe permesso di estendere e prolungare questi studi. Dai Willliams cita molti articoli di stampa, che riferiscono, agli inizi di dicembre, di équipes NBC [nucleare-biologico-chimico], mandate sul campo per verificare eventuali contaminazioni, imputate dagli americani ai talebani. Ma, dall’ottobre del 2001, i medici afghani, di fronte a morti improvvise, che all’osservazione dei sintomi – emorragie, difficoltà respiratorie, vomito – facevano pensare a una contaminazione radioattiva, muovono accuse alla coalizione di utilizzare armi chimiche.
Il mercoledì 5 dicembre 2001, quando una bomba americana, sganciata da un B-52, colpisce, erroneamente, 3 soldati americani nei pressi di Kandahar, tutti gli inviati dei media vengono, immediatamente, prelevati e rinchiusi in un hangar. Secondo il Pentagono, si trattava di una Gbu-31 armata con una testata Blu-109. Nel documentario di Canal+, viene intervistato il rappresentante di un fabbricante di armi – presente alla fiera internazionale delle armi tenutasi a Dubai, il 14 novembre 1999, dopo la guerra del Kosovo – il quale presenta la testata Blu-109 e descrive le sue capacità di penetrazione contro bersagli sotterranei fortificati e rinforzati, precisando che l’arma era stata, appena, testata in una guerra.

[…]

Negli anni successivi, gli incidenti nucleari occorsi, quali quelli di Sellafield, Three Miles Island e Chernobyl, hanno dimostrato, oltre ai rischi del nucleare per la salute, l’assoluta inadeguatezza di questo accordo.
Questo accordo ha permesso, solo 4 mesi dopo l’incidente di Chernobyl, il 28 agosto 1986, all’allora direttore generale dell’AIEA, Blix, di affermare:
“ Il mondo potrebbe sopportare un incidente uguale a Chernobyl ogni anno.”
Nel 1995, l’AIEA blocca gli atti della conferenza dell’OMS, a Ginevra, sull’incidente di Chernobyl, convocata dall’allora direttore generale Hiroshi Nakajima. Nella conferenza Martin Griffiths del Dipartimento degli Affari Umanitari dell’ONU, rimprovera che non sia stata detta la verità alle popolazioni e che le persone complessivamente colpite siano 9 milioni. Y. Korolenko, ministro della salute dell’Ucraina, denuncia la contaminazione dell’acqua di 30 milioni di persone e un aumento del 25% del diabete. E. A. Netchaev del Ministero della Sanità e dell’Industria Farmaceutica [Mosca] segnalò che 2,5 milioni di persone erano state irradiate, nella Federazione Russa, in seguito all’incidente di Chernobyl; segnala, inoltre, un aumento da 220 a 400, su 100mila nati, delle malformazioni congenite. Okeanov [Bielorussia], presentando i dati di una ricerca specialistica, segnalò un raddoppio delle leucemie, dopo 9 anni, nei liquidatori e, perfino, un aumento triplicato in coloro che avevano prestato la loro opera per più di 30 giorni, introducendo così, come fattore importante, “la durata dell’esposizione”. Soistiene che nei liquidatori le malattie cardiovascolari erano passate da 1.600 a 4mila casi ogni 100mila abitanti, e a 3mila casi nella popolazione delle zone a rischio. Okeanov segnala, inoltre, un aumento della cataratta, delle opacizzazioni del cristallino, un raddoppio dell’incidenza dei ritardi mentali nei bambini, l’aumento delle sindromi neurologiche negli adulti e delle malattie digestive.
L’AIEA, per contro, sostiene che la catastrofe di Chernobyl abbia causato solo la morte di 32 pompieri, nelle prime ore della catastrofe, 200 cancri da irradiazione acuta e 2mila tumori alla
tiroide come conseguenza diretta dell’incidente. A supporto di ciò l’AIEA riconosce solo i rapporti “convalidati”, vale a dire confermati dai laboratori di Los Alamos e del Commissariato per l’Energia Atomica francese, come dire, i fabbricanti della bomba atomica. 

[...]

Dopo Hiroshima e Nagasaki, avevamo sperato che la lezione fosse stata appresa e che non vi sarebbe stata più nessuna guerra atomica. Ma, dopo dieci anni, gli Americani, vale a dire i loro leaders, sempre, in guerra, non hanno esitato a utilizzare, massivamente, munizioni radioattive.
Per attutire il colpo, ci hanno voluto far credere che si trattasse di munizioni all’uranio impoverito, ma sono a base di residui nucleari!
Per farci dimenticare che tutte le guerre sono guerre sporche, gli americani hanno voluto farci credere che le loro guerre nel Golfo e nei Balcani fossero guerre pulite. Ci hanno mentito pretendendo di fare guerre chirurgiche, guerre in cui solo bersagli ben precisi fossero toccati, guerre senza danni collaterali.
Ci hanno mentito e, ora, noi sappiamo perché la radioattività delle loro armi non possa mirare chirurgicamente un bersaglio ben  preciso.
Al loro ritorno dalla Guerra del Golfo, molti soldati americani hanno avuto gravi problemi di salute: su 700mila soldati, 250mila sono stati colpiti dalla Sindrome della Guerra del Golfo!
Il governo americano ha tentato di negare una qualsiasi responsabilità delle armi radioattive in questa sindrome, ma alcuni soldati malati si sono sottoposti ad analisi.
Ciò che non è stato, sempre, facile…
Ed erano risultati positivi all’uranio!
I capi militari americani hanno cercato di farci credere che queste munizioni all’uranio impoverito non fossero state utilizzate che in rarissimi casi, quando non fosse possibile fare diversamente.
Ma era una menzogna!

[…]

I bambini iracheni giocavano, sovente, con palle radioattive. Poiché, durante la Guerra del Golfo gli aerei americani avevano, ininterrottamente, irrorato l’Iraq di queste munizioni moderne, se ne trovavano ovunque in questo Paese.
I bambini di soldati americani della Guerra del Golfo sono, sovente, nati con malformazioni [Golden Hart Syndrome, assenza di braccia, a esempio]. Malformazioni che si ritrovano in molti bambini nati in Iraq dalla fine di questa guerra pulita, chirurgica e senza “danni collaterali”!   
I leaders americani hanno detto che l’uranio impoverito, con il quale sono fabbricate le munizioni moderne, sia meno radioattivo di quello arricchito, che viene impiegato per la bomba atomica o nelle centrali nucleari [esplosione atomica rallentata in un equilibrio instabile], hanno detto che la radioattività di questo uranio impoverito sia talmente debole da non presentare alcun pericolo e che, per così dire, non fosse radioattivo.

[…]

Scienziati hanno segnalato che, anche se la sua radioattività non fosse così trascurabile come pretendevano i leaders americani, l’uranio impoverito non avrebbe potuto avere, così sovente, tali conseguenze sulla salute. Ne hanno concluso che le munizioni moderne dovessero essere fabbricate con altro materiale, a esempio le scorie nucleari. 
Soldati americani si sono sottoposti ad analisi molto precise. Si è ritrovato nel loro corpo una sorta di uranio molto particolare: uranio 236 [U236].
In natura, questo uranio 236 non esiste o solo allo stato di minime tracce.
Non ve ne è affatto nell’uranio arricchito né nell’uranio impoverito. Non se ne trova che nelle scorie nucleari [solo le centrali nucleari ne producono]. 
Quando un proiettile d’uranio tocca un carro armato, esplode solo dopo averlo penetrato e, nel carro, tutto ciò che può bruciare brucia e tutto ciò che può esplodere esplode. E la polvere radioattiva che proviene dai proiettili di uranio si spande ovunque. Così, vaste zone irachene sono state contaminate.
Molto sicuramente, in Iraq, non vi sono solo i bambini a essere malati, anche se gli adulti non hanno avuto l’impudenza di portare alla bocca munizioni di uranio massiccio.
Voi avrete compreso che lo stesso scenario si è verificato nei Balcani.
Niente è meglio per uno Stato nucleare di una buona guerra molto lontana da lui, in un Paese che irrorerà più copiosamente possibile di scorie nucleari, di cui ha un urgente bisogno di sbarazzarsi!
E non vi è che l’America ad avere bisogno di disfarsi delle sue scorie nucleari.
Si può fare affidamento sul segreto militare per dire la verità?
Non dite più soldato, ma spazzino di scorie nucleari!

[…]


Francesco Aloi
  


Andrea Antonaci

 

Antonio Attianese

Ivan Autobello


Claudio Caboni
 

Carlo Calcagno

 Antonio Cancedda
 

Salvo Cannizzo

Pasquale Cinelli


Luciano Cipriani

Gianluca Danise vittima 321


Gennaro Di Domenico


Corrado di Giacobbe

 
Michele Gaudiosi
Gennaro Giordano vittima 331
 

Gaetano Luppino
 Marco Mandolini
 
 Fabio Maniscalco

Giovan Battista Marica
 
Mario Mele vittima 328
 
 Valery Melis
 
Lorenzo Motta
Giovanni Passeri
 
Fulvio Pazzi

Emanuele Pecoraro
 


Riccio Vincenzo
  
Francesco Rosito
   
Erasmo Savino
 
Luca Sepe vittima 31
 
Stefania Stellaccio

Aldo Taccardo
 


Giuseppe Tripoli
 

Roberto Usabene

  Salvatore Vacca



segue, a breve, il testo integrale…
Daniela Zini



[1] L’articolo 11 della Costituzione recita:
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.” [https://www.senato.it/documenti/repository/istituzione/costituzione.pdf]

[2] La sera del 25 giugno 1991, viene convocato, in seduta plenaria, il Parlamento sloveno per discutere e votare l’indipendenza; tutti sono favorevoli, tranne il comandante delle truppe jugoslave.
Nel corso della seduta, poco prima della votazione definitiva, il presidente del parlamento dà lettura di un telegramma appena pervenuto dal Sabor di Zagabria, il Parlamento croato, nel quale si comunica che la Croazia è divenuta indipendente.
Ad avvenuta votazione, nella piazza centrale di Lubiana il presidente Milan Kucan proclama dinanzi al popolo l’indipendenza slovena.
La conclusione del discorso di Kucan lascia intendere una immediata risposta delle truppe federali:
“Nocoj so dovoljene sanje, jutri je nov dan.”
[Questa sera i sogni sono permessi, domani è un nuovo giorno.”]
Il 26 giugno 1991, il giornale sloveno Delo di Lubiana pubblica un titolo a nove colonne, traducibile in:
“Dopo più di mille anni di dominazione austriaca e più di settanta anni di convivenza con la Jugoslavia, la Slovenia è indipendente.”

[3] L’attacco al Kosovo sarà il capitolo finale della devastazione che la Jugoslavia subiva dall’inizio degli anni 1990.
La destabilizzazione aveva preso inizio quando, nel corso degli Anni Ottanta, la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia aveva subito fortissime pressioni dal Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale.
Dividere la Jugoslavia risultava l’unico modo per controllarla.
La Croazia e la Slovenia, regioni industrializzate e con un tenore di vita più alto, credevano che l’autonomia li avrebbe rese più ricche, m, in realtà, la guerra preparata da Washington aveva lo scopo di distruggere economicamente e politicamente tutte le regioni della ex-Jugoslavia. LO aveva dichiarato lo stesso Vicepresidente della Banca Mondiale, Willi Wapenhans:
“Secondo la nostra opinione non sussiste alcun dubbio sul fatto che nessuna delle parti componenti la Jugoslavia trarrà profitto dallo sfascio della Jugoslavia o della sua economia nel breve e medio periodo.”
Il 25 giugno 1991, la Slovenia dichiara la sua indipendenza. Ma la Slovenia non è sola, al suo fianco, muta e invisibile, è la Serbia.
Quando, il 21 giugno 1991, il segretario di Stato americano, James Baker, in visita a Belgrado dichiarava che gli Stati Uniti “non avrebbero incoraggiato né premiato la secessione” era evidente a Kucan che il suo Paese si trovava solo. Anzi, Kucan comprese come il messaggio di Baker fosse un invito, forse involontario, a opporsi all’autodeterminazione slovena e croata. Poco dopo la visita a Belgrado di Baker, l’allora presidente federale della Jugoslavia, Ante Markovic, dichiarò in Parlamento che “l’Armata popolare era pronta a prendere le misure adatte” in caso di secessione.
La tensione era altissima.
Il 30 giugno 1991, viene l’ordine da Milosevic di non invadere la Slovenia. I generali dell’esercito jugoslavo sono costretti a ripiegare sulla Croazia, che ha dichiarato l’indipendenza in concomitanza con la Slovenia. Lo stupore generale è grande.
La tesi di un accordo sottobanco tra serbi e sloveni trova una conferma storica nell’incontro segreto tra Milosevic e Kucan nel gennaio 1991 [documentato nel noto “The death of Yugoslavia” prodotto dalla Bbc e nelle memorie di Zimmermann, ex-ambasciatore USA], dove il primo garantisce al secondo che la Serbia non muoverà un dito per tenere dentro la Slovenia.
Ma a tutti sfuggì che la trappola era scattata: Tudjman, che seppe solo seguire la Slovenia  nella dichiarazione di indipendenza ma non organizzare la difesa, si trovò con i separatisti serbi [da mesi armati da Belgrado] che sparavano sui croati disarmati. La guerra, quella vera, quella per la Grande Serbia, quella voluta e preordinata da mesi se non anni, quella vagheggiata dall’Accademia delle Scienze di Belgrado, si poteva finalmente combattere.
Grazie alla Slovenia [che fece, forse inconsapevolmente, il gioco serbo] la Jugoslavia collassò. Finalmente anche l’ultimo residuo di Stato federale, rappresentanto dal primo ministro federale Ante Markovic, si dissolse. La strada per Milosevic era spianata. Un decennio di sangue era inaugurato.
Nel febbraio del 1992, la Bosnia ottiene l’indipendenza, dopo un Referendum popolare.
Il 7 e l’8 aprile 1992, i serbi formano la Repubblica Serba di Bosnia, che comprende i territori a maggioranza serba [il 65% del territorio].
Il 27 aprile 1992, Serbia e Montenegro costituicono la nuova Federazione Jugoslava.
Nel 1995, arrivano, in Jugoslavia, 60mila uomini delle truppe di terra della NATO, con carri armati e artiglieria, che si aggiungono agli altri già impegnati nei Paesi limitrofi, per un totale di 200mila uomini.

[4] Javier Pérez de Cuéllar fu eletto dopo cinque settimane di stallo tra la rielezione di Waldheim e la candidata imposta dalla Cina, la tanzaniana Salim Ahmed Salim. Pérez de Cuéllar, un diplomatico peruviano, già ambasciatore in Svizzera, fu un candidato di compromesso e, al momento dell’elezione, anche il primo segretario generale dell’America Latina. Fu rieletto all’unanimità nel 1986, ma rifiutò di candidarsi nuovamente alla scadenza del secondo mandato.

[5] Mentre quella che un tempo si chiamava Jugoslavia veniva risucchiata in una spirale di morte, il mondo intero rimase in silenzio di fronte ad atrocità inconcepibili: omicidi di massa su base etnica, campi di concentramento e stupri. Il senso comune ha condannato le nazioni balcaniche per la sanguinosa disintegrazione, che provocò più di 130mila vittime. La principale presa di posizione contro gli orrori perpetrati nella regione fu assunta dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che mise al bando il traffico di armi nell’area. A distanza di quasi vent’anni, tuttavia, emergono nuovi particolari destinati a mutare la prospettiva su queste vicende. Molti altri Paesi sembrano essere responsabili per avere alimentato le carneficine che hanno devastato i Balcani.
Un’indagine durata tre anni, condotta da un’equipe di giornalisti sloveni e sostenuta da reporter di sei differenti Paesi, ha analizzato migliaia di documenti arrivando a concludere che molti Stati, tra i quali la Russia, che aveva votato a favore dell’embargo delle armi, hanno aggirato il divieto da loro stessi imposto. Molte persone, in questi Paesi, sono riuscite a guadagnare milioni di dollari vendendo armi e munizioni alle fazioni impegnate nel conflitto.
Bulgaria, Polonia, Ucraina, Romania e Russia esportavano armi destinate all’ex-Jugoslavia. Il quartier generale di questa operazione logistica di dimensioni enormi si trovava a Vienna, mentre le transazioni finanziare erano eseguite da una banca ungherese. I trafficanti di armi utilizzavano compagnie registrate nei paradisi offshore panamensi. Il Regno Unito spedì equipaggiamenti militari alle ex-Repubbliche jugoslave e concesse loro prestiti per l’acquisto di armi, e lo stesso fece la Germania.
“Questo tipo di commercio illegale ha permesso ad alcuni individui di accumulare una ricchezza immensa.”,
afferma Zdenko Cepic, ricercatore dellIstituto di Storia Contemporanea di Lubiana ed esperto dei conflitti balcanici.
Ma, se da un lato, vi è, sempre, stata una diffusa consapevolezza rispetto alle spedizioni illegali di armi durante il conflitto, i dettagli sono sempre rimasti un mistero. Mercanti di armi, rappresentanti di Governi e altri ancora hanno sempre negato le loro colpe, e nessuno è stato ritenuto responsabile da un sistema giudiziario post-bellico che si è, spesso, piegato alle pressioni politiche.
L’inchiesta rivela che grandi quantità di armi russe venivano vendute tramite anonimi intermediari durante l’embargo delle armi voluto dalle Nazioni Unite. La persona che probabilmente svolgeva il ruolo principale era un cittadino greco, Konstantin Dafermos, che in quegli anni operava a Vienna.
Tra il 1991 e il 1992, quando i traffici fiorivano, circa 20 navi cariche di armi approdarono in gran segreto al porto sloveno di Koper, violando l’embargo dell’ONU. Le navi furono scaricate e il carico rapidamente inviato ai campi di battaglia in Croazia e Bosnia Erzegovina.
Queste operazioni logistiche, secondo i documenti, furono condotte dai servizi segreti sia civili sia militari di tutti i tre Paesi coinvolti. Anche le Mafie italiana, albanese e russa parteciparono ad alcune operazioni.
“Il porto di Koper costituiva un’ottima opportunità per aggirare l’embargo,”,
sostiene Cepic,
“perché non era controllato dagli ispettori internazionali. La supervisione sulle spedizioni veniva eseguita dalla stessa Slovenia, che permetteva limportazione di armi da altri Paesi europei.”
L’embargo dell’ONU era diretto a evitare che le armi arrivassero nei Balcani, ma fu, duramente, criticato, perché rafforzava la supremazia della Serbia, ostacolando la possibilità di Slovenia, Croazia e Bosnia Erzegovina di difendersi dalla minaccia che giungeva da Belgrado.
Senza alcun alleato cui rivolgersi, questi Paesi hanno, pertanto, acquistato armi attraverso una oscura rete di commercianti, legati al crimine organizzato e da Stati che, come la Russia, avevano votato a favore dell’embargo.
Le armi acquistate, che avrebbero dovuto essere necessarie per difendere le repubbliche dell’ex-Jugoslavia, favorirono a loro volta aggressioni e atrocità. Le armi comprate dalla Croazia, per esempio, hanno permesso la difesa dall’offensiva dell’Esercito Popolare Jugoslavo e la conquista, nel 1995, dei territori che erano controllati dai ribelli serbi. Ma i leaders militari croati sono, anche, stati condannati per gli omicidi commessi nei confronti dei serbi e per avere deportato migliaia di loro dalla Croazia, mentre sia i serbi sia i croati sono stati coinvolti in atrocità commesse contro i musulmani bosniaci.
“Questo commercio illegale di armi”,
spiega Cepic,
“ha in parte influenzato gli esiti delle guerre nellex-Jugoslavia.”
Il commercio di armi ha inoltre condizionato a lungo questi Paesi dopo la fine delle guerre. I legami criminali hanno spinto i rappresentanti dei servizi segreti dalla parte sbagliata della legge. Sono arrivati a concludere negoziazioni intascando valigie cariche di denaro, facendo lievitare i prezzi delle armi e ponendo le basi per un clima di corruzione tra i funzionari pubblici che persiste, ancora, oggi.
Il traffico di armi nella guerra jugoslava ha inizio nel 1991, il 20 giugno per l’esattezza, quando il primo carico di armi strategicamente importante giunse in Slovenia dal porto bulgaro di Burgas, la settimana precedente l’inizio dei primi scontri armati in ex Jugoslavia. La nave danese Herman C. Boye arrivò con a bordo 5mila fucili d’assalto, milioni di cartucce e, soprattutto, missili anti-aerei e anti-carro per un valore equivalente a 7,8 milioni dei marchi tedeschi di allora, pari a 4,3 milioni di dollari americani.
A incaricarsi della spedizione di queste armi fu una compagnia statale bulgara, la Kintex, con sede a Sofia, mentre l’intermediario era una società austriaca, la Stalleker GmbH, con sede a Vienna. Contemporaneamente, la compagnia inglese Racal inviò modernissime stazioni radio militari in Slovenia, capaci di criptare i messaggi, in un affare che fruttò 5 milioni di sterline.
L’operazione, andata a buon fine, attrasse l’attenzione del trafficante d’armi Konstantin Dafermos. L’uomo d’affari greco lavorava al tempo con la Scorpion International Services S.A., una società militare russa registrata a Panama e con uffici presso l’aeroporto di Vienna. La Scorpion presto divenne uno dei principali canali per il traffico di armi verso le frontiere jugoslave. I movimenti del conto bancario aperto presso la Banca Internazionale Centro-Europea di Budapest rivelano che Scorpion ha ricevuto più di 80 milioni di dollari da clienti sloveni, croati e bosniaci.
Bollettini provenienti dalla stessa banca testimoniano che almeno 9,4 milioni di dollari, ma forse addirittura 19, furono trasferiti dal conto di Dafermos a quello di una compagnia statale polacca di nome Cenrex. Il direttore di Cenrex, Jerzy Dembowski, era un tenente-colonnello nel servizio di intelligence militare polacca, che si nascondeva sotto il nome in codice di Wirakocza. Dal porto polacco di Gdynia, navi cariche di armi e contenenti scorte di munizioni sovietiche attraversarono il mare Adriatico per poi arrivare in terra balcanica.
Altre registrazioni mostrano che 3 navi partite dal porto romeno di Costanza trasportarono 200 container, contenenti 3.500 tonnellate di armi, nel dicembre del 1991 e nel gennaio dell’anno seguente. Il cargo, che giunse nel porto di Koper, fu poi inviato in Croazia.
Un canale ancora più importante per il contrabbando fu inaugurato nel 1992, con i carichi che partivano dal porto ucraino di Mykolaiv. Questa via di traffico era controllata dalla Mafia di Odessa, che spedì 8 navi contenenti più di 12mila tonnellate di armi verso la Croazia.
Dai documenti in possesso della Slovenia si viene a scoprire che i due primi carichi transitarono presso il porto sloveno di Koper. Una nave, l’Island, compì il viaggio portando 96 container di armi tra l’ottobre e il novembre del 1992. Da Koper, le armi giunsero in Croazia via terra. I bollettini di pagamento e di credito confermano che 60 milioni di dollari andarono sul conto di Dafermos grazie a dei compratori croati che avevano acquistato le armi proprio attraverso questo canale. Da questo ammontare di denaro, 40 milioni furono a loro volta trasferiti ad altri venditori di armi. Una di queste compagnie, la Global Technologies International Inc., era intestata a Dmitri Streshinsky a Panama.
Questi traffici di armi proseguirono senza dare troppo nell’occhio. Ma nel 1994 l’ultima di otto navi, la Jadran Express, venne intercettata e bloccata dalla flotta NATO presente nell’Adriatico.
Questa intercettazione portò a un processo che si svolse a Torino.
Tra gli imputati figuravano molti di questi trafficanti, tra cui Dafermos, Streshinsky, gli oligarchi russi Alexander Zhukov e Leonid Lebedev, il banchiere britannico Mark Garber e Yevgeny Marchuk, ex-primo ministro ucraino ed ex-capo della polizia segreta di quel Paese. Furono coinvolti nel processo anche degli ex-ufficiali del KGB. La procura di Torino descrisse Konstantin Dafermos come la mente dell’organizzazione. Documenti falsi indicavano che le armi erano dirette in Africa anziché verso i Balcani.
Tutti gli accusati sono stati scagionati.
Secondo documenti più recenti, Dafermos ha venduto centinaia di missili anti-aereo e anti-carro alla Slovenia. In tre navi che giunsero dalla Polonia e dall’Ucraina, tra il 1991 e il 1992, furono rinvenuti 52 lanciatori anti-aereo SA-16 Igla con 400 missili, 50 lanciatori anti-carro AT-4 Fagot con 500 missili e 20 lanciatori anti-carro AT-7 Metis con 200 missili. L’affare aveva un valore complessivo di 33,3 milioni di dollari. Un agente sloveno affermò, in un’intervista rilasciata nel 2010 al quotidiano sloveno Dnevnik, che questo commercio di armi era una sorta di affare intra-statale, con una compagnia ad agire come intermediaria.
Alcuni di questi missili russi vennero pagati con un prestito tedesco, concordato attraverso una compagnia delegata, Unimercat, con sede a Monaco di Baviera. Gli allora ministri della difesa e delle finanze sloveni spiegarono in un’intervista concessa al giornale sloveno Delo che “un Paese occidentale”, che non identificarono, prestò più di 60 milioni di marchi tedeschi, vale a dire 37 milioni di dollari, di cui 46 milioni di marchi, cioè 28 milioni di dollari, erano destinati all’acquisto di armi nel periodo dell’embargo decretato dall’ONU.
Da parte sua, Dafermos arrivò addirittura ad offrire alla Slovenia, nel 1992, uno dei complessi mobili anti-aerei maggiormente all’avanguardia, l’SA-8 Gecko. Questo accordo poi non ebbe seguito, sebbene gli esperti russi e sloveni tennero un incontro svoltosi segretamente a Vienna per discuterne i termini.
Nella primavera del 1994 il presidente del partito liberal-democratico russo Vladimir Zhirinovsky, durante una visita in Slovenia, pretese il pagamento di 9 milioni di dollari per la spedizione di maschere anti-gas all’allora ministro della difesa Janez Jansa, che era a capo del traffico di armi nel suo Paese. L’invio delle maschere anti-gas fu organizzato dall’allora intermediario di Dafermos, Nicholas Oman.
I partners delle altre compagnie panamensi di Dafermos, tutte operanti sotto il nome di Scorpion, avevano legami con la Russia. Il partner di Dafermos in una compagnia denominata Scorpion Navigation era Vladimir I. Ryashentsev, un funzionario del KGB. Oggi, la Scorpion International Services è la rappresentante esclusiva di Rosoboronexport, la compagnia statale russa che esporta armi.
Nel febbraio del 1995 le autorità slovene condannarono Dafermos, assieme al ministro della difesa Janez Jansa e al ministro degli interni Igor Bavčar, per la spedizione illegale di 13mila fucili d’assalto e munizioni durante la guerra in Croazia.
Durante l’interrogatorio sostenuto davanti alla polizia austriaca nel 1995, Dafermos negò ogni coinvolgimento nel traffico di armi e di equipaggiamento militare. Sostenne di aver importato solamente “giubbotti protettivi, uniformi e stivali militari” dalla Russia.
In Slovenia, il caso non venne, mai, portato in tribunale. Entrambi gli ex ministri sloveni sono però oggi imputati per crimini diversi. L’ex-premier sloveno, Jansa, è attualmente sotto processo per corruzione in un traffico di armi del valore di 278 milioni di euro [364 milioni di dollari], mentre Bavcar, l’ex-ministro degli interni, è accusato di riciclaggio di denaro.

[6] L’Italia è un Paese di scandali politico-finanziari e spionistici continui, analizzati in  innumerevoli  indagini giudiziarie e giornalistiche.  Alcune coinvolgono anche la Slovenia e la Croazia, e sono menzionate, a esempio, nel libro-inchiesta Traffico d’armi, il crocevia jugoslavo [M. Gambino e L. Grimaldi, Editori Riuniti, Roma 1995]. Altre informazioni utili  si trovano nel precedente libro Da Gladio a Cosa Nostra, [L. Grimaldi, ed. Kappavu, Udine 1993] con prefazione del magistrato veneziano Felice Casson che ha condotto alcune celebri inchieste su questi problemi.
I due libri meritano dunque molta attenzione, se non per tutte le tesi certamente per molte notizie. Tra quelle che toccano la Slovenia, e in misura minore la Croazia, si possono ritenere fondate le informazioni ricavate dagli atti di indagini giudiziarie e parlamentari  italiane su scandali che hanno coinvolto alti esponenti politici, massonerie deviate, settori dei servizi segreti ed i loro contatti e traffici internazionali. E sono scandali che riguardano in particolare il  traffico di titoli obbligazionari di provenienza illecita.
Il traffico internazionale di titoli bancari o di Stato di provenienza illecita è uno dei sistemi con cui i servizi segreti, o gruppi criminali che riciclano anche capitali non propri, finanziano operazioni politico-economiche e traffici speciali. I titoli vengono depositati come garanzia presso banche e società finanziarie per ottenere forti somme di denaro liquido.
Vengono usati sia titoli autentici che duplicati o falsi. Quelli autentici vengono prelevati illegalmente nei depositi fiduciari dei clienti presso le banche, usati e rimessi a posto, oppure vengono rubati, anche in bianco. Quelli rubati sono utilizzabili finchè il furto non viene denunciato e vengono inseriti sull’apposita Black List internazionale. I titoli duplicati provengono invece direttamente dalle banche o dalle tipografie di Stato, che ne stampano illegalmente due copie autentiche con lo stesso numero: una va sul mercato normale, la seconda su quello illegale.
L’uso di titoli rubati in bianco, duplicati o falsi è preferito perché rappresentano denaro inesistente, che non ha quindi padroni. Ma in ogni caso queste truffe richiedono un altissimo livello di copertura ed organizzazione politico-finanziaria.
Le indagini sinora note che riguardano anche la Slovenia sono due, con un movimento di denaro complessivo di oltre 1 500 miliardi di lire. Ambedue coinvolgono assieme a mafiosi,  pseudomassoni, partiti di governo e servizi segreti italiani, anche diplomatici sloveni.
La più recente è stata aperta nel 1994 su un traffico di certificati di credito [Cct] e buoni [Bot] del Tesoro italiano, in parte duplicati ed in parte rubati. Vi risultano connessi anche traffici internazionali di armi verso più teatri di guerra [inclusi quelli ex-jugoslavo e somalo] e di materiale nucleare, e secondo i magistrati queste operazioni avevano “alte coperture politiche ed istituzionali”. Cioè nello Stato e nel Governo italiani.
L’altra indagine riguarda un traffico scoperto nel 1992 di titoli rubati di una banca di Stato italiana. Alla fine degli anni `80 una grande banca romana controllata dallo Stato, il Banco di Santo Spirito, subisce una serie di furti di titoli in bianco, prevalentemente certificati di deposito [Cd]. Ma non si sa esattamente quanti, perché stranamente la banca non ne tiene registri regolari.
Si sa soltanto che nell’agosto del 1990 viene rubato a Roma un furgone con un forte quantitativo di titoli, ed il 2 novembre un altro con 6.000 assegni bancari e circolari e 294 certificati di deposito, di cui 68 utilizzabili fino ad un miliardo di lire e 229 utilizzabili fino a 95 milioni; i certificati valevano dunque quasi 90 miliardi. Ed a questo punto il valore complessivo dei titoli rubati circolanti risulterà di circa 800 miliardi di lire [valore 1992]. Sono titoli al portatore, e quindi facilmente negoziabili.
Ma la banca denuncia il primo di questi due furti soltanto dopo dieci mesi [giugno1991]. Per il secondo denuncia subito il furto degli assegni, ma per quello dei certificati aspetta 18 mesi [maggio 1992]. E questo consente ai rapinatori ed ai ricettatori di utilizzarli.
Nell’agosto del 1992, il Banco di Santo Spirito viene fuso nella Banca di Roma, e i  nuovi dirigenti scoprono e denunciano la strana vicenda. Alcuni magistrati italiani capaci e coraggiosi indagano ed individuano sia i rapinatori – che sembra appartengano alla potente banda della Magliana, connessa a Mafia e servizi segreti – sia la rete che sta negoziando in Italia e all’estero i titoli rubati.
È una rete internazionale di alta finanza, soprattutto svizzera, collegata anche al corrotto Partito Socialista Italiano [PSI], di Craxi, Martelli e De Michelis, in quel momento ancora al Governo. La rete utilizza  agenti dei servizi segreti militari italiani [principalmente il  SISMI, servizio informazioni militare, con competenza estera] e ambienti della massoneria.

[8] L’8 e il 9 novembre 1987, in Italia, si votò per 5 Referenda Popolari, 3 di questi riguardavano l’energia nucleare. Nessuno dei tre quesiti chiedeva l’abolizione o la chiusura delle centrali nucleari. I votanti furono il 65,1%, con un’altissima percentuale di schede nulle o bianche che andarono dal 12,4% al 13,4%.
REFERENDUM NUCLEARE 1 - Veniva chiesta l’abolizione dell’intervento statale nel caso in cui un Comune non avesse concesso un sito per l’apertura di una centrale nucleare nel suo territorio. I sì vinsero con l’80,6%.
REFERENDUM NUCLEARE 2 - Veniva chiesta l’abrogazione dei contributi statali per gli enti locali per la presenza sui loro territori di centrali nucleari. I sì s’imposero con il 79,7%.
REFERENDUM NUCLEARE 3 - Veniva chiesta l’abrogazione della possibilità per l’ENEL di partecipare all’estero alla costruzione di centrali nucleari. I sì ottennero il 71,9%.

[9] Il Viminale certificava che ai Referenda popolari del 12 e 13 giugno aveva votato il 57% degli aventi diritto. Dato che scendeva al 54,8%, considerando i votanti all’estero. Il successo dei “Sì” toccava il 95%, un successo travolgente, sperato e ricercato, ma sorprendente anche nel momento della rivelazione. E l’entusiasmo esplodeva ovunque, nelle piazze e su internet, dai comitati promotori e dagli elettori, per i risultati e anche per il vento nuovo di partecipazione. Quelle che arrivano dal Ministero dell’Interno erano percentuali di rilevanza assoluta, con il quorum raggiunto e superato, per la prima volta, dal 1995.
[10] L’AIEA [Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica] e l’OMS  [Organizzazione Mondiale della Sanità] sono due agenzie dell’ONU. L’OMS, come tutte le altre agenzie specializzate, dipende dal Consiglio dello Sviluppo Economico e Sociale, mentre l’AIEA dipende dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

[11] LETTERA APERTA al Presidente della Repubblica
On. Giorgio NAPOLITANO
e, p.c., a:
Presidente del Consiglio - On. Romano PRODI
Ministro dell’Economia e delle Finanze - Prof. Tommaso PADOA SCHIOPPA
Ministro dello Sviluppo Economico - On. Perluigi BERSANI
Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - On. Alfonso PECORARO SCANIO
Ministro per le Politiche Europee - On. Emma BONINO
Presidente del Senato - Sen. Franco MARINI
Presidente della Camera dei Deputati - On. Fausto BERTINOTTI
Presidente V Commissione Bilancio Senato - Sen. Enrico MORANDO
Presidente VI Commissione Finanze Senato - Sen. Giorgio BENVENUTO
Presidente X Commissione Industria Senato - Sen. Aldo SCARABOSIO
Presidente XIII Commissione Ambiente Senato - Sen. Tommaso SODANO
Presidente XIV Commissione Politiche UE Senato - Sen. Andrea MANZELLA
Presidente V Commissione Bilancio Camera - On. Lino DUILIO
Presidente VI Commissione Finanze Camera - On. Paolo DEL MESE
Presidente X Commissione Attività Produttive Camera - On. Daniele CAPEZZONE
Presidente VIII Commissione Ambiente Camera - On. Ermete REALACCI
Presidente XIV Commissione UE Camera - On. Franca BIMBI

Illustre Signor Presidente,
è da tempo che l’Associazione Galileo 2001 vede con preoccupazione le decisioni assunte dai Governi e dal Parlamento italiano di ratificare il Protocollo di Kyoto. Maggiore preoccupazione manifestiamo oggi per l’ipotesi di assunzione di impegni ancora più gravosi in sede europea e nazionale relativi alla politica ambientale ed energetica.
Come cittadini e uomini di scienza, avvertiamo il dovere di rilevare che la tesi sottesa al Protocollo, cioè che sia in atto un processo di variazione del clima globale causato quasi esclusivamente dalle emissioni antropiche, è a nostro avviso non dimostrata, essendo l’entità del contributo antropico una questione ancora oggetto di studio.
In ogni caso, anche ammettendo la validità dell’intera teoria dell’effetto serra antropogenico, gli obiettivi proposti dal Protocollo di Kyoto sono inadeguati, poiché inciderebbero solo in modo irrilevante sulla quantità totale di gas serra. Totalmente inadeguati rispetto al loro effetto sul clima ma potenzialmente disastrosi per l’economia del Paese. Dal punto di vista degli impegni assunti con la sottoscrizione del Protocollo rileviamo che:
- l’Italia si è impegnata a ridurre entro il 2012 le proprie emissioni di gas-serra del 6.5% rispetto alle emissioni del 1990;
- poiché da allora le emissioni italiane di gas-serra sono aumentate, per onorare l’impegno assunto dovremmo ridurre quelle odierne del 17%, cioè di circa 1/6;
- in considerazione dell’attuale assetto e delle prospettive di evoluzione a breve-medio termine del sistema energetico italiano, il suddetto obiettivo è tecnicamente irraggiungibile nei tempi imposti.
All’impossibilità pratica di rispettare gli impegni assunti fanno riscontro le pesanti sanzioni previste dal Protocollo per i Paesi inadempienti, che rischiano di costare all’Italia oltre 40 miliardi di euro per ciò che avverrà nel solo periodo 2008-2012.
Al fine di indirizzare correttamente le azioni volte al conseguimento degli obiettivi di riduzione, occorre tenere presente che i settori dei trasporti e della produzione elettrica contribuiscono, ciascuno, per circa 1/3 alle emissioni di gas serra [il restante terzo è dovuto all’uso d’energia non elettrica del settore civile/industriale]. Giova allora valutare cosa significherebbe tentare di conseguire gli obiettivi del Protocollo in uno dei seguenti modi:
- sostituire il 50% del carburante per autotrazione con biocarburante;
- sostituire il 50% della produzione elettrica da fonti fossili con tecnologie prive di emissioni.
1. Biocarburanti. Per sostituire il 50% del carburante per autotrazione con bioetanolo, tenendo conto dell’energia netta del suo processo di produzione, sarebbe necessario coltivare a mais 500.000 kmq di territorio, di cui ovviamente non disponiamo. Anche coltivando a mais tutta la superficie agricola attualmente non utilizzata [meno di 10.000 kmq], l’uso dei biocarburanti ci consentirebbe di raggiungere meno del 2% degli obiettivi del Protocollo di Kyoto.
2. Eolico. Sostituire con l’eolico il 50% della produzione elettrica nazionale da fonti fossili significherebbe installare 80 GW di turbine eoliche, ovvero 80.000 turbine [una ogni 4 kmq del territorio nazionale]. Appare evidente il carattere utopico di questa soluzione [che, ad ogni modo, richiederebbe un investimento non inferiore a 80 miliardi di euro]. In Germania, il paese che più di tutti al mondo ha scommesso nell’eolico, i 18 GW eolici - oltre il 15% della potenza elettrica installata - producono meno del 5% del fabbisogno elettrico tedesco.
3. Fotovoltaico. Per sostituire con il fotovoltaico il 50% della produzione elettrica nazionale da fonti fossili sarebbe necessario installare 120 GW fotovoltaici [con un impegno economico non inferiore a 700 miliardi di euro], a fronte di una potenza fotovoltaica attualmente installata nel mondo inferiore a 5 GW. Installando in Italia una potenza fotovoltaica pari a quella installata in tutto il mondo, non conseguiremmo neanche il 4% degli obiettivi del Protocollo di Kyoto.
4. Nucleare. Per sostituire il 50% della produzione elettrica nazionale da fonti fossili basterebbe installare 10 reattori nucleari del tipo di quelli attualmente in costruzione in Francia o in Finlandia, con un investimento complessivo inferiore a 35 miliardi di euro. Avere 10 reattori nucleari ci metterebbe in linea con gli altri Paesi in Europa [la Svizzera ne ha 5, la Spagna 9, la Svezia 11, la Germania 17, la Gran Bretagna 27, la Francia 58] e consentirebbe all’Italia di produrre da fonte nucleare una quota del proprio fabbisogno elettrico pari alla media europea [circa 30%].
Come si vede, nessuna realistica combinazione tra le prime tre opzioni [attualmente eccessivamente incentivate dallo Stato] può raggiungere neanche il 5% degli obiettivi del Protocollo di Kyoto. Agli impegni economici corrispondenti si dovrebbe poi sommare l’onere conseguente all’acquisto delle quote di emissioni o alle sanzioni per il restante 95% non soddisfatto.
Esprimiamo quindi viva preoccupazione per gli indirizzi che il Governo e il Parlamento stanno adottando in tema di politica energetica e ambientale, e chiediamo pertanto:
- che si promuova la definizione di un piano energetico nazionale [PEN], anche con la partecipazione di esperti europei, che includa la fonte nucleare - che è sicura e rispettosa dell’ambiente e l’unica, come visto, in grado di affrontare responsabilmente gli obiettivi del Protocollo di Kyoto
- e che dia alle fonti rinnovabili la dignità che esse meritano ma entro i limiti tecnici ed economici di ciò che possono realisticamente offrire;
- che la comunità scientifica sia interpellata e coinvolta nella definizione del PEN e che si proceda alla costituzione di una task force qualificata per definire le azioni necessarie a rendere praticabile l’opzione nucleare;
- che si interrompa la proliferazione di scoordinati piani energetici comunali, provinciali o regionali e che non siano disposte incentivazioni a favore dell’una o dell’altra tecnologia di produzione energetica al di fuori del quadro programmatico di un PEN trasparente e motivato sul piano scientifico e tecnico-economico.
Restiamo a Sua disposizione, Signor Presidente, per documentarLa puntualmente su quanto affermiamo.

Presidente: Renato Angelo Ricci
Consiglio di Presidenza: Franco Battaglia, Carlo Bernadini, Tullio Regge, Giorgio Salvini, Umberto Tirelli, Umberto Veronesi.
Consiglio Direttivo: Cinzia Caporale, Giovanni Carboni, Maurizio Di Paola. Guido Fano, Silvio Garattini, Roberto Habel, Corrado Kropp, Giovanni Vittorio Pallottino, Ernesto Pedrocchi, Francesco Sala, Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, Paolo Sequi, Ugo Spezia, Giorgio Trent, Giulio Valli, Paolo Vecchia.
Altri firmatari: Claudia Baldini, Argeo Benco, Ugo Bilardo, Giuseppe Blasi
Paolo Borrione, Cristiano Bucaioni, Luigi Chilin, Raffaele Conversano, Carlo Cosmelli, Riccardo De Salvo, Silvano Fuso, Oliviero Fuzzi, Giorgio Giacomelli, Renato Giussani, Luciano Lepori, Carlo Lombardi, Alessandro Longo, Stefano Monti, Antonio Paoletti, Salvatore Raimondi, Marco Ricci, Roberto Rosa, Angela Rosati, Massimo Sepielli, Elena Soetje Baldini, Roberto Vacca, Giuseppe Zollino.