“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

martedì 28 dicembre 2021

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giovedì 23 dicembre 2021

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venerdì 10 dicembre 2021

lettera aperta di una italiana @ PRIMO CITTADINO PRESIDENTE SERGIO MATTARELLA & ITALIANI [SECONDA PARTE] di Daniela Zini

 A mio Padre, ai miei Nonni e ai miei Amici, la mia Famiglia

 

Qualche settimana fa, una Amica, una delle mie più care Amiche, nel rinnovarmi la sua solidarietà e la sua condivisione con le posizioni espresse nei miei articoli, seppure con tono sconsolato o peggio arreso, mi chiedeva:

“Purtroppo non serve a niente, ma perché lo fai?”

È la domanda che mi sono sentita fare più volte e non nascondo che, talvolta, me la sono posta anche io.

Perché scrivere, denunciare le criticità di alcune situazioni, perché “perdere” del tempo, che potrei dedicare ad altro, anche di più vantaggioso o di più appagante?

Perché espormi, inimicarmi persone, realtà politiche, gruppi di potere o delle istituzioni nel denunciare che, forse, esercitando quel potere, il loro dovere non l’hanno assolto con quella onestà, con quella correttezza e con quella trasparenza che tutti avremmo voluto?

Perché lo faccio, in una società dove nessuno fa niente per niente e io mi trovo, spesso, a passare la notte a finire di scrivere quel pezzo che voglio sia corretto, giusto, efficace e documentato il più possibile, forse, anche utile a chi lo legge?

E la risposta che mi do è, sempre, la stessa: per sentirmi bene con me stessa, per sentirmi a posto con la mia coscienza.

Perché credo nella Democrazia partecipativa, quella persa proprio disinteressandosi di ogni cosa.

Perché quando vedo ciò che altri fanno, con maggior impegno del mio, con più rischi, con più dedizione, allora mi dico che questo è il minimo che io possa fare.

Non possiamo più aspettare che le decisioni siano prese dall’alto, da chi non è più in grado di prenderle, da chi ha fornito prova non solo di inettitudine, ma, spesso, di connivenza con chi continua a trarre profitto dal disastro, in cui versa il Paese, e dobbiamo noi iniziare a cambiare.

Noi, dal basso.

Per questo lo faccio!

Non sono, mai, stata una che voleva tutto e subito e neppure la soluzione più facile.

Ho, sempre, preferito optare per la strada in salita, anziché prendere quella in pianura.

Ho attinto molto da quanti mi hanno camminato accanto e vorrei lasciare a quanti camminano con me, ora, e cammineranno un giorno, senza di me, qualcosa che io sarei felice di trasmettere.

La crisi si combatte con la superba qualità e la arrogante consapevolezza di fare qualcosa di buono e di utile per gli Altri.

Ma la Rete, il Web, non sostituirà, mai, la Piazza, l’Agorà.

Abbiamo sostituito le lettere con i posts sulla bacheca e i messaggi nella chat privata.

Abbiamo sostituito lo stupendo incrociarsi di sguardi che ci faceva battere forte il cuore, con una gara ai likes per farci notare.

E tutto questo è, infinitamente, triste.

In un Mondo dove le emozioni, le cose che, davvero, contano, sono sempre più lontane.

Io sono sempre più lontana!

E questo è tutto, ma ve lo dovevo per quella onestà intellettuale che mi ha accompagnata nel corso della mia Vita.

 

lettera aperta di una italiana

@ PRIMO CITTADINO PRESIDENTE SERGIO MATTARELLA & ITALIANI  [PRIMA PARTE]

https://donneindivenire.blogspot.com/2021/10/lettera-aperta-di-una-italiana-primo.html

 

lettera aperta

di una italiana

@

PRIMO CITTADINO PRESIDENTE

SERGIO MATTARELLA

&

ITALIANI

[SECONDA PARTE]

 

di

Daniela Zini

 

“Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: un bimbo o un libro o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato col nostro sudore. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l’albero o il fiore che abbiamo piantato, noi saremo là. Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualche cosa da ciò che era prima in qualcos’altro che porti poi la nostra impronta. La differenza tra l’uomo che si limita a tosare un prato e un vero giardiniere sta nel tocco, diceva. Quello che sega il fieno poteva anche non esserci stato, su quel prato; ma il vero giardiniere vi resterà per tutta una vita.”

Ray Bradbury

 

Intorno alla metà del XVIIIesimo secolo, il filosofo francese Montesquieu suggeriva che il modo migliore per difendere le libertà civili fosse di guardarsi da una distribuzione iniqua del potere. Una generazione dopo, un altro statista, Thomas Jefferson, eletto, il 17 febbraio 1801, dopo un lungo stallo elettorale, terzo presidente degli Stati Uniti d’America dalla House of Representatives, avvertiva gli uomini del suo Paese che l’unico modo per salvaguardarsi da una distribuzione sbilanciata del potere fosse assicurare a tutti un eguale accesso all’informazione. La strada per raggiungere questo risultato, sosteneva, era mantenere una stampa libera e indipendente che esaminasse, in modo critico, l’operato degli organi di governo e degli uomini che li guidano. Mai come in questo momento storico si percepisce, in modo incisivo, l’importanza di queste due dichiarazioni, nella crescente preoccupazione che le nostre istituzioni abbiano preso una deriva pericolosa. Tale deriva ha un nome, proclamato a gran voce all’interno della stampa indipendente, sia di destra sia di sinistra, e, raramente, citato negli editoriali dei nostri quotidiani. Taluni la chiamano dittatura, altri, con toni più forti, totalitarismo. Qualunque sia il nome, indica una paura che ha iniziato a pervadere gli abbastanza coraggiosi da prestarvi attenzione e gli abbastanza intelligenti da vederne i segni.   

Nel suo Dizionario filosofico, Voltaire, dopo avere definito il tiranno:

“Si chiama “tiranno”quel sovrano che non conosce altre leggi che il suo capriccio, che ruba gli averi dei suoi sudditi e poi li arruola per andare a rubare quelli dei suoi vicini.”,

poi, così, riprendeva: 

“Si distingue la tirannia di uno solo e quella di molti. Questa tirannia di molti sarebbe quella di un corpo che usurpasse i diritti degli altri corpi, e che esercitasse il dispotismo per mezzo delle leggi da lui corrotte.”

La pluralità dei tiranni nel tessuto socio-politico non indica tanto una spartizione del comando, bensì connota l’incertezza del potere, teso e conteso da più poli di forza e, al contempo, la dismisura violenta del raggio di azione che ne scaturisce. Effetto collaterale della timorosa e servile incertezza che si genera nella tirannia, è una sorta di regressione a uno stato vegetativo, a una chiusura dell’Uomo in se stesso, in una bolla di egoismo indotto, giacché tutto è precario e incerto, dall’unica cosa cui potere aspirare: preservare se stesso. “Nell’epoca della menzogna digitale e del trionfo della demagogia”, come osserva Ernesto Ferrero nella brillante prefazione alla prima edizione completa del Dizionario filosofico, curata da Domenico Felice, le massime di Voltaire diventano “un presidio civile da riconquistare e difendere”. E, a giusta ragione, Ferrero insiste sull’attualità del pensiero volterriano arrivando, senza alcuna esagerazione, a definirlo nel suo complesso “un presidio civile da riconquistare e difendere”. Bisogna nondimeno guardarsi dal credere che, oggi, per “riconquistare e difendere” il pensiero di Voltaire basti ripeterne i motti arguti come slogans o scimmiottare gli slanci polemici del patriarca di Ferney contro gli eterni abusi del potere, civile o religioso che sia,  in quel suo castelletto, convenientemente situato sulla rotta che da Parigi, centro mondiale del lusso, della mondanità e dell’arguzia, portava verso l’Italia, patria del sublime, dell’antico e del pittoresco. Così facendo, si contribuirebbe solo a ridurre il pensiero di Voltaire a luoghi comuni e vuoti clichés. Non si tratta più di sposarne la causa come se fosse ancora la nostra. La vitalità imperitura, anzi la perdurante attualità delle sue parole, che sembrano “parlare proprio al nostro orecchio”, risiede, invece, nella nostra capacità di fare nostro l’atteggiamento critico che Voltaire dimostrò, sempre, sapere assumere, senza pregiudizi, al cospetto di qualunque assunto con cui l’attualità del suo tempo lo costringeva a confrontarsi.

 

Lettera di Albert Einstein a Lionel Ettinger [http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/2007/05/07/Cultura/NAZISMO-EINSTEIN-ALLASTA-LETTERA-CHE-PREANNUNCIAVA-ESILIO_112923.php].

 

Nel 1921, Albert Einstein ricevette il Premio Nobel per la Fisica “per i suoi servizi alla Fisica Teorica, e in particolare per la sua scoperta della legge dell’effetto fotovoltaico”.

 


Il 10 giugno 1933, pochi mesi dopo l’ascesa al potere in Germania di Adolf Hitler, Albert Einstein, già una celebrità scientifica internazionale, scriveva una lettera al suo amico, il dottor Lionel Ettinger, da Le Coq-sur-Mer, una località vicino a Ostenda, in Belgio, dove si era stabilito, al suo rientro in Europa da una visita al California Institute of Technology di Pasadena, dopo avere rinunciato alla cittadinanza tedesca e rassegnato le dimissioni dalla Preussische Akademie der Wissen Schaften [Accademia Prussiana delle Scienze].

“La mia impressione riguardo ai recenti fatti accaduti in Germania è delle più scoraggianti.’’,

scriveva il fisico, presagendo il peggio, e confessava, con grande sconforto nell’animo:

“Ho già messo tra i primi punti della mia agenda l’idea di non fare più ritorno in Germania.”

Sei anni dopo, il 2 agosto 1939, Einstein scriveva con Leó Szilárd una lettera al presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt, per allertarlo sulla possibilità che la Germania nazista potesse arrivare a sviluppare la bomba atomica, e la concludeva suggerendo l’opportunità che si stabilisse “un contatto continuo tra il Governo e i fisici che lavorano alla reazione a catena in America”, allo scopo di passare su un vero e proprio terreno operativo nel caso in cui la situazione fosse degenerata.

 

Albert Einstein e Leó Szilárd

 

Signore,

alcuni recenti lavori di E. Fermi e L. Szilárd, che mi sono stati comunicati in manoscritto, mi fanno pensare che l’elemento uranio possa essere trasformato in una nuova e importante fonte di energia nell’immediato futuro. Alcuni aspetti della situazione che è emersa sembrano richiedere vigilanza e, se necessario, tempestività da parte dell’Amministrazione. Ritengo pertanto che sia mio dovere portare alla vostra attenzione i seguenti fatti e raccomandazioni.

Negli ultimi quattro mesi i lavori di Joliot in Francia e di Fermi e Szilárd in America hanno dimostrato la possibilità di stabilire una reazione nucleare a catena in una grande massa di uranio, generando enormi quantità di energia e nuovi elementi radioattivi. Adesso sembra alquanto certo che ciò possa avvenire nell’immediato futuro.

Il nuovo fenomeno potrebbe anche portare alla costruzione di bombe, e si può ritenere, anche se con minore certezza, che le bombe così costruite sarebbero di enorme potenza. Una sola di queste bombe, trasportata su nave e fatta esplodere in un porto, potrebbe distruggere tutto il porto e parte del territorio circostante. Ma, forse, una bomba di tale fatta sarebbe troppo pesante per consentirne il trasporto aereo.

Gli Stati Uniti posseggono modeste quantità di uranio. Miniere più ricche si trovano in Canada e nell’ex-Cecoslovacchia, mentre la fonte più importante è il Congo Belga. La situazione che si è creata sembra richiedere  attenzione e, se necessario, una rapida azione da parte del Governo.

Sarebbe, forse, desiderabile che lei istituisse un contatto continuo tra il Governo e i fisici che lavorano alla reazione a catena in America tramite una persona di sua piena fiducia che agisse in forma ufficiosa. I suoi compiti potrebbero essere:

a] Tenere informati i vari Ministeri degli sviluppi scientifici e formulare raccomandazioni per il Governo, con particolare attenzione al problema di assicurare agli Stati Uniti il ​​rifornimento di materiale uranifero.

b] Accelerare le ricerche sperimentali incrementando gli stanziamenti.

So che la Germania ha, già, interrotto la vendita dell’uranio ricavato dalle miniere cecoslovacche occupate. Questo provvedimento così improvviso potrebbe, forse, spiegarsi con l’assegnazione del figlio [Carl Friedrich Freiherr von Weizsäcker, n.d.r.] del sottosegretario di Stato tedesco, [Ernst n.d.r.] von Weizsäcker al Kaiser Wilhelm Institut a Berlino, dove sono, attualmente, in corso esperimenti con l’uranio analoghi a quelli svolti in America.”[1]

Sinceramente suo,

Albert Einstein

 

Lettera di Albert Einstein e Leó Szilárd a Franklin Delano Roosevelt.

 

 

La lettera arrivò nelle mani di Roosevelt l’11 ottobre, un mese dopo l’invasione nazista della Polonia [https://www.youtube.com/watch?v=2GLsM169izM].

La risposta di Roosevelt fu il Progetto Manhattan, che portò alla creazione delle prime bombe atomiche, le quali non sarebbero state sganciate contro i tedeschi, che avevano, già, perso la guerra in Europa, ma sui giapponesi nell’atto finale della guerra nel Pacifico.

 

Lettera di Franklin Delano Roosevelt ad Albert Einstein.

 

“Ho trovato questi dati di tale importanza che ho convocato un consiglio composto dal capo del Bureau of Standards e un rappresentante scelto dell’Esercito e della Marina per indagare a fondo sulle possibilità del suo suggerimento per quanto riguarda l’elemento uranio.”

 

Il 7 marzo 1940, Einstein scriveva una seconda lettera a Roosevelt:

 

Signore,

dallo scoppio della guerra, è aumentato in Germania l’interesse per l’uranio. Ho appena saputo che nell’Istituto di fisica Kaiser Wilhelm vengono condotte in gran segreto ricerche sull’uranio.

Il dottor Szilárd mi ha mostrato il manoscritto che sta per mandare a Physics Review dove descrivere nei particolari il metodo per innescare una reazione a catena nell’uranio. Se non si farà nulla per impedirlo, questo articolo sarà pubblicato e tutti verranno a conoscenza del metodo. Il dottor Szilárd le manderà un promemoria per informarla dei progressi compiuti negli ultimi tempi, in modo che, se lo riterrà opportuno, lei possa intervenire per bloccare la pubblicazione.

Sinceramente Suo,

Albert Einstein

 

Roosevelt propose a Einstein di entrare a fare parte dell’Advisory Committee on Uranium [Comitato Consultivo sull’Uranio], al pari di Enrico Fermi e Leó Szilárd, ma il fisico rifiutò con un’altra lettera, datata 25 aprile 1940.

 

Signore,

sono convinto che sia utile e urgente creare le condizioni perché le ricerche siano condotte con maggiore impegno che per il passato. Sono pertanto favorevole all’intensificazione degli sforzi per il reperimento dei fondi necessari ad accelerare gli esperimenti su ampia scala e l’analisi delle applicazioni pratiche.

Sinceramente Suo,

Albert Einstein

 

Il 25 marzo 1945, Einstein scrisse una quarta lettera a Roosevelt, ma questa lettera non giunse mai nella mani di Roosevelt, che sarebbe morto diciotto giorni dopo, il 12 aprile 1945:

 

Signore,

il dottor Leó Szilárd vorrebbe proporle alcune considerazioni e raccomandazioni. Non conosco la natura delle sue proposte, ma sono indotto a compiere questo passo dalle circostanze che le descriverò più avanti. Nell’estate del 1939 il dottor Szilárd mi espose le sue idee sull’importanza che poteva avere l’uranio per la difesa della Nazione. Era molto preoccupato e ci teneva a informarne quanto prima il Governo degli Stati Uniti. Il dottor Szilárd ha contribuito a scoprire l’emissione di neutroni da parte dell’uranio, su cui si basano tutte le ricerche su questo elemento, e mi ha descritto un metodo specifico che lui ritiene capace di innescare una reazione a catena nell’uranio in un futuro molto prossimo. Poiché lo conosco da oltre venti anni sotto un profilo scientifico e personale, ho molta fiducia in lui ed è questa fiducia che mi ha spinto a scriverle a questo proposito. Lei rispose alla mia lettera del 2 agosto 1939 istituendo una Commissione presieduta dal dottor Briggs e ciò ha avviato l’azione del Governo in questa direzione. Poiché attualmente sta lavorando sotto il vincolo della segretezza, il dottor Szilárd non può fornirmi informazioni sulle sue ricerche, ma a quanto posso capire è molto preoccupato per la mancanza di un adeguato contatto tra gli scienziati che stanno conducendo queste ricerche e i membri del suo gabinetto incaricati di indicare le linee politiche. Ciò considerato, ritengo mio dovere fornire al dottor Szilárd questa lettera di presentazione per lei, sperando che lei possa dedicargli la sua attenzione.

Sinceramente Suo,

Albert Einstein

 

A quanto è dato sapere, Leó Szilárd, nel colloquio che sollecitava, avrebbe cercato di persuadere il presidente a non impiegare la bomba atomica contro il Giappone. Quattro mesi dopo, la mattina del 6 agosto 1945, l’aeronautica militare degli Stati Uniti lanciava sulla città di Hiroshima la prima bomba atomica, Little Boy, seguita, tre giorni dopo, da un’altra, Fat Man, sganciata su Nagasaki.

 

 

Qual è lo scopo della vita di un essere umano?

“Il vero valore di un essere umano è determinato principalmente dalla misura e dal senso in cui egli ha raggiunto la liberazione dal sé.”

Questo era, per Einstein, il vero significato ultimo dell’esistere. Era stato l’insegnamento del Mahatma Gandhi ad averlo colpito: trascendere il sé individuale significava sperimentare il sé universale, ovvero la pura coscienza.

Einstein era intransigente sia come scienziato, sia come uomo.

Nel 1913, si era rifiutato di firmare un manifesto a favore della guerra che gli era stato proposto da un buon numero di scienziati tedeschi.

 


L’FBI aveva raccolto un fascicolo di 1.427 pagine sulla sua attività e aveva raccomandato che gli fosse impedito di emigrare negli Stati Uniti, in quanto credeva, consigliava, difendeva e insegnava una dottrina che, in senso legale, era stata ritenuta dai tribunali, in altri casi, “capace di permettere all’anarchia di progredire indisturbata” e che portava a “un Governo solo di nome”. Il suo peccato era scritto chiaro nel faldone dove compariva una definizione per quegli anni gravissima “membro, sostenitore o affiliato a 34 movimenti comunisti”.

Nel 1929, Einstein aveva scritto:

“Rendo omaggio a Lenin come a colui che ha dedicato tutte le sue forze alla realizzazione della giustizia sociale, sacrificando a questo fine la propria individualità. Non credo però che il suo metodo sia giusto.”

Non fu ascoltato quando, nel 1945, si oppose al lancio delle bombe atomiche sul Giappone. Dopo la guerra, Einstein fece pressioni per il disarmo nucleare e per l’istituzione di un Governo Mondiale. Intervistato pochi giorni dopo i due tragici eventi, Einstein aveva affermato:

“Non so come sarà combattuta la Terza Guerra Mondiale, ma so come sarà combattuta la Quarta: a colpi di clave e di pietre.”[2]

Il 4 dicembre 1948, insieme ad altri intellettuali ebrei, tra i quali Hannah Arendt, Einstein scrisse al New York Times [https://www-haaretz-com.translate.goog/jewish/.premium-1948-n-y-times-letter-by-einstein-slams-begin-1.5340057?_x_tr_sl=en&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it] una lettera in cui criticava, fortemente, la visita di Menachem Begin negli Stati Uniti, definendo i metodi e l’ideologia “del Partito della Libertà [Tnuat Haherut], un partito politico che nella organizzazione, nei metodi, nella filosofia politica e nell’azione sociale appare strettamente affine ai partiti Nazista e Fascista”.

 


Agli Editori del New York Times[3]:

Tra i fenomeni più preoccupanti dei nostri tempi emerge quello relativo alla fondazione, nel nuovo Stato di Israele, del Partito della Libertà [Tnuat Haherut], un partito politico che nella organizzazione, nei metodi, nella filosofia politica e nell’azione sociale appare strettamente affine ai partiti Nazista e Fascista. È  stato fondato fuori dall’assemblea e come evoluzione del precedente Irgun Zvai Leumi, una organizzazione terroristica, sciovinista, di destra della Palestina.

L’odierna visita di Menachem Begin, capo del partito, negli USA è stata fatta con il calcolo di dare l’impressione che l’America sostenga il partito nelle prossime elezioni israeliane, e per cementare i legami politici con elementi sionisti conservativi americani. Parecchi americani con una reputazione nazionale hanno inviato il loro saluto. È inconcepibile che coloro che si oppongono al fascismo nel mondo, a meno che non sia stati opportunamente informati sulle azioni effettuate e sui progetti di Begin, possano aver aggiunto il proprio nome per sostenere il movimento da lui rappresentato.

Prima che si arrechi un danno irreparabile attraverso contributi finanziari, manifestazioni pubbliche a favore di Begin, e alla creazione di una immagine di sostegno americano ad elementi fascisti in Israele, il pubblico americano deve essere informato delle azioni e degli obiettivi di Begin e del suo movimento.

Le confessioni pubbliche di Begin non sono utili per capire il suo vero carattere. Oggi parla di libertà, democrazia e anti-imperialismo, mentre fino ad ora ha apertamente predicato la dottrina dello stato Fascista. È nelle sue azioni che il partito terrorista tradisce il suo reale carattere, dalle sue azioni passate noi possiamo giudicare ciò che farà nel futuro.

Attacco a un villaggio arabo

Un esempio scioccante è stato il loro comportamento nel villaggio Arabo di Deir Yassin. Questo villaggio, fuori dalle strade di comunicazione e circondato da terre appartenenti agli Ebrei, non aveva preso parte alla guerra, anzi aveva allontanato bande di arabi che lo volevano utilizzare come una loro base. Il 9 Aprile, bande di terroristi attaccarono questo pacifico villaggio, che non era un obiettivo militare, uccidendo la maggior parte dei suoi abitanti [240 tra uomini, donne e bambini] e trasportando alcuni di loro come trofei vivi in una parata per le strade di Gerusalemme.
La maggior parte della comunità ebraica rimase terrificata dal gesto e l’Agenzia Ebraica mandò le proprie scuse al Re Abdullah della Trans-Giordania.

Ma i terroristi, invece di vergognarsi del loro atto, si vantarono del massacro, lo pubblicizzarono e invitarono tutti i corrispondenti stranieri presenti nel paese a vedere i mucchi di cadaveri e la totale devastazione a Deir Yassin. L’accaduto di Deir Yassin esemplifica il carattere e le azioni del Partito della Libertà.

All’interno della comunità ebraica hanno predicato un misto di ultranazionalismo, misticismo religioso e superiorità razziale. Come altri partiti fascisti sono stati impiegati per interrompere gli scioperi e per la distruzione delle unioni sindacali libere. Al loro posto hanno proposto unioni corporative sul modello fascista italiano. Durante gli ultimi anni di sporadica violenza anti-britannica, i gruppi IZL e Stern inaugurarono un regno di terrore sulla Comunità Ebraica della Palestina. Gli insegnanti che parlavano male di loro venivano aggrediti, gli adulti che non permettevano ai figli di incontrarsi con loro venivano colpiti in vario modo. Con metodi da gangster, pestaggi, distruzione di vetrine, furti su larga scala, i terroristi hanno intimorito la popolazione e riscosso un pesante tributo. La gente del Partito della libertà non ha avuto nessun ruolo nelle conquiste costruttive ottenute in Palestina. Non hanno reclamato la terra, non hanno costruito insediamenti ma solo diminuito la attività di difesa degli Ebrei.

I loro sforzi verso l’immigrazione erano tanto pubblicizzati quanto di poco peso e impegnati principalmente nel trasporto dei loro compatrioti fascisti.

Le discrepanze

La discrepanza tra le sfacciate affermazioni fatte ora da Begin e il suo partito, e il loro curruculum di azioni svolte nel passato in Palestina non portano il segno di alcun partito politico ordinario. Ciò è, senza ombra di errore, il marchio di un partito Fascista per il quale il terrorismo [contro gli Ebrei, gli Arabi e gli Inglesi] e le false dichiarazioni sono i mezzi e uno stato leader l’obbiettivo.

Alla luce delle soprascritte considerazioni, è imperativo che la verità su Begin e il suo movimento sia resa nota a questo paese. È maggiormente tragico che i più alti comandi del Sionismo Americano si siano rifiutati di condurre una campagna contro le attività di Begin, o addirittura di svelare ai suoi membri i pericoli che deriveranno a Israele sostenendo Begin. I sottoscritti infine usano questi mezzi per presentare pubblicamente alcuni fatti salienti che riguardano Begin e il suo partito, e per sollecitare tutti gli sforzi possibili per non sostenere quest’ultima manifestazione di fascismo.

firmato

Isidore Abramowitz; Hannah Arendt; Abraham Brick; Rabbi Jessurun Cardozo; Albert Einstein; Herman Eisen, M.D.; Hayim Fineman; M. Gallen, M.D.; H.H. Harris; Zelig S. Harris; Sidney Hook; Fred Karush; Bruria Kaufman; Irma L. Lindheim; Nachman Maisel; Symour Melman; Myer D. Mendelson, M.D.; Harry M. Orlinsky; Samuel Pitlick; Fritz Rohrlich; Louis P. Rocker; Ruth Sager; Itzhak Sankowsky; I. J. Schoenberg; Samuel Shuman; M. Znger; Irma Wolpe; Stefan Wolpe.

New York, 2 dicembre 1948

[https://archive.org/stream/AlbertEinsteinLetterToTheNewYorkTimes.December41948/Einstein_Letter_NYT_4_Dec_1948_djvu.txt,

http://www.ilportaledelsud.org/einstein.htm, https://www.haaretz.com/jewish/.premium-1948-n-y-times-letter-by-einstein-slams-begin-1.5340057, https://lamentelibera.wordpress.com/2009/10/29/albert-einstein-lettera-al-new-york-times-1948/]

 

Lettera di Albert Einstein a Shepard Rifkin, direttore esecutivo di American Friends of the Fighters for the Freedom of Israel.

 


 



La paura per la minaccia nazista aveva, dunque, mutato la visione politica di Albert Einstein, come lui stesso ammetteva in uno scritto all’editore di Kaizo, Katusu Hara, apparso in un’edizione speciale della rivista giapponese, nel settembre del 1952:

“La mia parte nella realizzazione della bomba atomica è consistita in un unico atto: firmai una lettera per il presidente Roosevelt, in cui facevo presente la necessità di esperimenti su vasta scala per verificare la possibilità di produrre una bomba atomica. Ero pienamente consapevole dei danni terribili che sarebbero stati arrecati all’Umanità in caso di successo. Ma la possibilità che i tedeschi stessero lavorando al medesimo problema con qualche probabilità di successo mi obbligò a compiere questo passo. Non potevo fare altro sebbene fossi un convinto pacifista. Dal mio punto di vista, uccidere in guerra non è affatto meglio che commettere
un banale assassinio.” [https://www.amnh.org/content/download/1768/24781/file/einstein_guide_insert.pdf] [4]

“Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile. Ed un altro uomo, fatto anche lui come tutti gli altri, ma di tutti gli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto dove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra, ritornata alla forma di nebulosa, errerà nei cieli privati ​​di parassiti e di malattie.”,

sono le parole profetiche che chiudono il romanzo di Italo Svevo, pubblicato nel 1923, La coscienza di Zeno. Svevo non sentì mai parlare di bomba atomica, eppure la sua sensibilità gli fece presagire l’immane catastrofe che doveva avvenire di là a una ventina di anni.

 

Scritto di Albert Einstein a Katusu Hara, editore di Kaizo.

 

La scelta assunta da Einstein e da molti altri fisici, senza e prima dei politici, senza e prima dei militari, sulla scorta di un’intuizione politica e militare, è drammatica, ma lucida: salvare il mondo dalla barbarie nazista!

Sarebbe stato meglio non sapere nulla né di nuclei né di equivalenza tra massa ed energia?

Portando questo discorso alle sue estreme conseguenze si tornerebbe in piena cultura oscurantista con il traguardo finale dell’Età della Pietra. Sia l’Età della Pietra sia l’Età del Ferro, come tutte le altre Civiltà prescientifiche, hanno concepito ordigni di guerra e strumenti di pace.

Molte Civiltà hanno usato e abusato della Scienza.

Chi ne ha sfruttato, senza scrupoli, le applicazioni tecnologiche.

Chi ne ha fatto una ideologia.

E chi si è spinto, perfino, a negarne il valore.

Nel mondo è il potere politico che decide come usare i risultati delle scoperte scientifiche.

L’uso della Scienza non è più Scienza.

L’uso della Scienza è Tecnologia.

E come ammonisce Simon Wiesenthal, l’ebreo polacco, che passerà alla Storia come il “Cacciatore di nazisti”:

“Il connubio di odio e tecnologia è il massimo pericolo che sovrasti l’Umanità. E non mi riferisco alla sola grande tecnologia della bomba atomica, mi riferisco, anche, alla piccola tecnologia della vita di ogni giorno: conosco persone che stanno per ore davanti alla televisione perché hanno disimparato a comunicare tra loro.”

Il potere politico ha due strade di accesso: la dittatura e la democrazia.

“Dittature e società autoritarie hanno, sovente, inizio a fronte di una minaccia.”,

ha avvertito l’inviato speciale delle Nazioni Unite per il diritto alla privacy, Joseph Cannataci, e può accadere che quelle stesse dittature e società autoritarie arruolino pseudoscienziati pronti e proni ad avallare le loro nefaste scelte politiche.

È stato il caso di Trofim Denisovic Lysenko nella Russia di Stalin…

Pëtr Leonidovic Kapica[5] [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/12/20/maestro-di-cultura-tolleranza-compagna-scienza-sposata.html], Premio Nobel per la Fisica, nel 1978, ebbe, invece, il coraggio di opporsi a Stalin, rifiutando la direzione del progetto della Bomba-H sovietica[6]… e ne accettò le lunghe e amare conseguenze.

“Parlare di energia atomica e insieme di bomba atomica è insensato, come se parlando dell’elettricità ci si riferisse principalmente al suo impiego nella sedia elettrica.”,

scrive Kapica, nel 1946, all’epoca dell’esplosione di Bikini [http://www.youtube.com/watch?v=YKwGtfCtrYM], quando invia ai suoi colleghi occidentali l’appello a non impegnarsi nello sviluppo dell’energia atomica a scopi militari.

 


“È importante rimanere vigili.”

Storicamente, la vicenda umana si è dipanata come una lotta tra individui liberi pensatori e strutture di potere controllate da élites, che hanno cercato di dominare la Terra, le sue risorse e i suoi popoli.

Per la prima volta nella Storia dell’Uomo, l’Umanità libera deve affrontare la minaccia del dominio di una élite innegabilmente globale, che detiene nelle proprie mani la tecnologia per imporre un sistema di controllo assolutamente totale: una dittatura scientifica globale.  

La dittatura scientifica può creare le condizioni psico-sociali per cui l’individuo pervenga ad amare la propria schiavitù, per cui, al pari di un animale domestico mentalmente soggetto, l’individuo pervenga ad amare i propri padroni e accetti il proprio servaggio.  

 


 

 




 


 
 

 


 

 

 
 
 

 


Nel 1932, Aldous Huxley scrive il suo inquietante romanzo Brave New World [Un nuovo splendido mondo], nel quale osserva il sorgere della dittatura della scienza del futuro. Il romanzo è ambientato in un immaginario Stato totalitario del futuro, pianificato nel nome del razionalismo produttivistico, qui simboleggiato dal “culto di Ford”. In un certo senso, un “anti-1984” – che, tra l’altro, George Orwell scriverà più tardi –, in cui tutti sono apparentemente liberi, leggeri e omologati e “le donne portano splendide cinture maltusiane, con i contraccettivi per non rimanere mai incinte, e possono avere rapporti sessuali con chi vogliono e quando vogliono”. I cittadini di questa società non sono oppressi dalla guerra né dalle malattie e possono accedere liberamente a ogni piacere materiale. Ma, affinché si mantenga questo equilibrio, gli abitanti vengono concepiti e prodotti industrialmente in provetta sotto il costante controllo di ingegneri genetici. Da bambini, vengono condizionati con la tecnologia e con le droghe e, da adulti, occupano ruoli sociali prestabiliti secondo il livello di nascita. L’equilibrio si spezza quando John, un giovane cresciuto in una società più primitiva, entra in contatto con questa società “perfetta”. La sua ribellione contro la massificazione, tuttavia, non ha fortuna: un tema, questo – la sconfitta del singolo a vantaggio del numero – che costituisce uno dei temi ricorrenti di tutta la narrativa successiva di Huxley.

Huxley e Orwell si conoscevano bene. Huxley era stato l’insegnante di Orwell a Eton.

 

Aldous Huxley

Il 22 novembre 1963, lo stesso giorno dell’assassinio del presidente statunitense John F. Kennedy, moriva, a Hollywood, Aldous Huxley, lo scrittore che meglio di ogni altro ha immaginato il futuro.

Quel giorno, il 22 novembre, era arrivato dopo anni difficili.

Nel 1961, un incendio divampato nella sua casa, aveva distrutto tutti i suoi libri e le sue carte. La perdita fu una prova devastante.

“Vedi un uomo senza passato.”,

aveva confidato, in tale circostanza, a un amico.

 

https://www.youtube.com/watch?v=etpjdofWf3o


 


Nell’ottobre del 1949, dopo la pubblicazione di 1984, nel 1948, Huxley invia una lettera a Orwell per ringraziarlo della copia del libro ricevuta:

“La filosofia della classe al potere in 1984 è una forma di sadismo portato alle estreme conseguenze e verso la sua soluzione logica: andare oltre il sesso e negarlo. Credo che le oligarchie troveranno forme più efficienti di governare e soddisfare la loro sete di potere e saranno simili a quelle descritte in Brave New World [Un Nuovo Splendido Mondo].”

E predice:

“Entro la prossima generazione chi tiene le redini del mondo scoprirà che il condizionamento infantile e l’ipnosi indotta dalle droghe sono strumenti di dominio ben più efficaci di armi e prigioni. E che la sete di potere può essere soddisfatta nella sua pienezza inducendo le persone ad amare il loro stato di schiavitù, piuttosto che ridurle all’obbedienza a suon di frustate e calci. Insomma, penso che l’incubo descritto in 1984 sia destinato a evolversi in quello descritto in Brave New World [Un Nuovo Splendido Mondo], se non altro come esito di una necessità di maggiore efficienza.”

 

Sia Brave New World [Un Nuovo Splendido Mondo] sia 1984 descrivono un mondo in cui una classe d’elite schiavizza la popolazione, ma è qui che finiscono le similitudini tra le due distopie. In Brave New World [Un Nuovo Splendido Mondo], l’uomo vive in un mondo piacevole e senza scontri; in 1984, l’uomo vive in una società di terrore, ed è tenuto sotto controllo mediante paura e violenza. In 1984 “il comportamento indesiderato è punito” dal regime, in Brave New World [Un Nuovo Splendido Mondo] “il comportamento desiderato è ricompensato”. La schiavitù in Brave New World [Un Nuovo Splendido Mondo] non deve essere imposta perché le persone stesse la chiedono. L’approccio di Huxley è diametralmente opposto a quello di Orwell. Orwell temeva che i libri sarebbero stati proibiti. Huxley temeva che non vi sarebbe stato motivo di vietare i libri, perché nessuno avrebbe voluto leggerli. Orwell temeva che la verità sarebbe stata nascosta. Huxley temeva che la verità sarebbe stata annacquata in un mare di informazioni irrilevanti. Orwell temeva che l’Umanità finisse in una cultura repressiva e violenta. Huxley temeva che l’Umanità sarebbe finita in una cultura banale, in cui le persone si sarebbero ridotte a individui passivi ed egoisti, cercando solo distrazioni che sarebbero state loro, generosamente, offerte.

Il successo di Brave New World [Un Nuovo Splendido Mondo], così come il dibattito che si sviluppa intorno alle tesi discusse nel libro, spingono Huxley a pubblicare, nel 1958, Brave New World Revisited [Ritorno al Nuovo Splendido Mondo], in cui evidenzia che molte delle sue più catastrofiche previsioni del 1932 si sono avverate anzitempo. Brave New World Revisited [Ritorno al Nuovo Splendido Mondo] non è un romanzo, ma una raccolta di saggi, in cui l’autore espone le proprie convinzioni politico-sociali. I pilastri ideologici che fanno da sfondo al fortunato romanzo vengono qui ripresi e analizzati singolarmente per dimostrare che in più di un caso fanno già parte del presente. La ragione per cui Huxley scrisse questo libro non era per smentire 1984 di Orwell; infatti, Huxley era, in parte, d’accordo con Orwell, ma era giunto alla conclusione che una dittatura come quella descritta in Brave New World [Un nuovo splendido mondo] si stesse realizzando molto più velocemente di quanto si aspettasse. Secondo Huxley, ciò era dovuto ai rapidi sviluppi della tecnologia, dei media e della psicologia. In Brave New World Revisited [Ritorno al Nuovo Splendido Mondo], Huxley scrive che la violenza farà certamente parte di un regime totalitario, ma ritiene che sarà limitata al minimo. Ci si concentrerà sulla ricompensa del comportamento desiderato perché è semplicemente più efficiente.

Secondo il giornalista Christopher Hitchens, che ha scritto una serie di articoli su Huxley e un libro su Orwell, una dittatura basata sulla dura repressione non solo è inefficiente, ma non può durare a lungo. In un regime repressivo gli oppressi sono consapevoli della situazione e sanno chi è l’aggressore, finirebbero per ribellarsi. È, quindi, necessaria una pressione costante da parte del regime, il che rende un regime repressivo “più incline alla rottura, perché non può piegarsi”.

In politica, una dittatura totalitaria è l’equivalente di una teoria scientifica o di un sistema filosofico completamente sviluppatiIn economia, un’impresa che gira a pieno ritmo, in cui i lavoratori sono perfettamente adattati alle macchine, è l’equivalente di un’opera d’arte costruita in modo mirabile. La Voglia di Ordine può produrre tiranni anche tra coloro che aspirano soltanto a imporre l’ordine. La bellezza dell’ordine viene usata come giustificazione al dispotismo.”

 


https://www.youtube.com/watch?v=UWAKZmIPGUU

 

Spiega Huxley che, “i soggetti del futuro dittatore saranno in modo indolore irreggimentati da un corpo di ingegneri sociali altamente specializzati”, e prospetta la figura di “sostenitore di questa nuova scienza”, affermando che ”la sfida dell’ingegneria sociale nella nostra epoca è simile alla sfida dell’ingegneria tecnologica di cinquant’anni fa. Se la prima metà del XXesimo Secolo è stata l’epoca degli ingegneri tecnici, la seconda metà può ben essere considerata l’epoca degli ingegneri sociali”.

Per questo, Huxley pensa”che il XXesimo Secolo sarà l’era dei Controllori del Mondo, il sistema delle caste scientifiche, e del Nuovo Splendido Mondo”.

 


Huxley proveniva da una famiglia di illustri scienziati e, di conseguenza, aveva accesso a informazioni privilegiate. Suo nonno era Thomas Huxley, fondatore della rivista scientifica Nature, conosciuto come “il bulldog di Darwin”, perché era un convinto sostenitore della teoria dell’evoluzione di Charles Darwin. Suo padre, Leonard Huxley, aveva, a lungo, diretto la prestigiosa rivista vittoriana, Cornhill Magazine, fondata da William Thackeray. Suo fratello, Julian Sorell Huxley, cofondatore, negli Anni Venti, della British Eugenics Society, era un importante biologo e sostenitore del controllo della popolazione, un settore in cui vedeva un ruolo importante per le nuove tecnologie. Julian Sorell Huxley promosse queste idee, tra le altre, all’UNESCO, organizzazione di cui fu cofondatore e primo direttore.  

 

Coloro che hanno accesso al nucleo interno della Fabian Society sono al corrente del piano per la schiavizzazione dell’Umanità. Infatti Aldous Huxley fu anche insegnante a Eton, l’esclusivissimo college situato nelle vicinanze di Windsor e frequentato dai bambini della famiglia reale e dell’élite in generale. Tra gli allievi di Huxley vi era un giovane Eric Blair, in seguito conosciuto con il ben più famoso nome di George Orwell. Fu proprio Huxley a introdurre Orwell nella Fabian Society[7], e la conoscenza cui entrambi ebbero accesso permise loro di descrivere così bene lo stato globale del Grande Fratello basato sul controllo assoluto e, nel caso di Huxley, la manipolazione tramite la genetica, le droghe e il controllo mentale al fine di imporre la volontà dei pochi sull’Umanità.”[8]

 

Oggi, dobbiamo avere la consapevolezza che stiamo vivendo all’interno di una crepa. La cosa che possiamo fare è vedere e capire come, prima di noi, filosofi e intellettuali abbiano affrontato crepe simili, fratture storiche complesse.

Un giorno, qualcuno chiese a Adolf Hitler di riassumere, in poche parole, il piano generale di Mein Kampf.  Hitler rifletté un istante, poi, rispose senza esitazione.

“Cancellare il 1789 dalla Storia.”

Non era una boutade, ma un programma coerente con le concezioni della razza proprie del capo del nazismo. Concezioni che ripudiavano, insieme al materialismo, tutta una tradizione che, attraverso Denis Diderot e gli enciclopedisti, aveva animato la Rivoluzione Francese e la borghesia rivoluzionaria nella conquista della libertà dell’Uomo, dei suoi diritti e della sua dignità. Certo, la Rivoluzione Francese non ha, nella pratica, assicurato la libertà a tutti i cittadini, ma solo alla parte più intraprendente della Nazione. Nei suoi limiti di classe, ha indicato, tuttavia, un modello. Hitler non solo era contrario al marxismo, ma vedeva in ogni forma di pensiero moderno un affronto alla sacralità dello Stato. La razza, il sangue e non la dignità umana, avrebbero suggellato il patto sociale.

 

“Un Nuovo Eden, così Adolf Hitler, nel luglio del 1941, descriveva lo Stato dell’Europa dopo la prevista vittoria nazista: un continente ripulito da tutti gli individui razzialmente indesiderabili e unificato politicamente ed economicamente, un continente in cui le merci avrebbero viaggiato senza limiti, ma gli individui sarebbero stati segregati. Questa futura condizione fu oggetto di una meticolosa pianificazione da parte delle SS ed esitò nel Generalplan Ost: il progetto nazista per la nuova Europa. Questa sinistra visione non nacque dal nulla; si alimentò nelle credenze della destra tedesca pre-nazista, legata ai miti esoterici della purezza del sangue e del ritorno alle radici razziali del popolo ariano. La prima generazione di nazisti, formatasi in quegli ambienti, portò quei temi all’interno del movimento nazionalsocialista e delle SS in particolare, seguaci di una teoria in cui la purezza del sangue tedesco fosse indispensabile, per la creazione di un nuovo Rinascimento europeo, colonizzare i territori che appartenevano di diritto a quel sangue, fino a che nelle seconde generazioni di nazisti, ques’idea divenne pura tecnica di dominio dello spazio: il Generalplan Ost. Nella storia di come dalle prime oscure teorizzazioni della destra nazista si giunse a questo progetto, si dispiega la parabola di gran parte delle classi dirigenti tedesche, sedotte da questa forma di nazionalismo razzista, nelle spire di un regime avviato verso l’estremo approdo del genocidio.”[9]

 

Festung Europa [Fortezza Europa], il “Sogno” infranto di una Europa unita sotto il dominio politico-militare della Germania, ha lasciato macerie da Roma a Berlino, da Parigi a Mosca, ma all’Unione Europea sta riuscendo.

E senza sparare un colpo!

Ci hanno raccontato per decenni di una Unione Europea che avrebbe garantito la pace, quella stessa pace che volevano le truppe di Hitler, una volta sottomesso il continente, e che altro non è se non il dominio dei dominanti e la soggezione dei dominati. Uno strenuo tentativo delle élites liberali, di difendersi dalla democrazia.

In una intervista del 15 maggio 2016 al Sunday Telegraph, Boris Johnson: The EU wants a superstate, just as Hitler did [https://www.telegraph.co.uk/news/2016/05/14/boris-johnson-the-eu-wants-a-superstate-just-as-hitler-did/, https://www.repubblica.it/esteri/2016/05/15/news/brexit_johnson_hitler_ue-139836822/, https://www.ilgiornale.it/news/hitler-e-nazismo-padri-ue-dicono-storici-non-solo-johnson-1262090.html], l’attuale primo ministro britannico Boris Johnson aveva affermato che gli ultimi duemila anni di Storia europea erano stati contrassegnati da vari tentativi di unificare l’Europa sotto un singolo Governo per far rivivere l’età dorata dell’Impero Romano:

“Tutto inizia con l’Impero Romano. Gli ultimi duemila anni sono stati segnati da tentativi – un po’ freudiani – di unificare l’Europa per tornare all’infanzia, all’Età dell’Oro vissuta sotto Roma, in pace e prosperità. Napoleone, Hitler e altri hanno cercato di fare una cosa del genere, ed è finita in modo tragico. L’Unione Europea è l’ennesimo tentativo, con metodi diversi.”

Per il premier britannico, l’Europa ha “un problema eterno, rappresentato dal fatto che non esiste alcuna lealtà di fondo all’idea dell’Europa. Non esiste una una singola autorità che tutti rispettino o comprendano. E ciò sta causando un vuoto assoluto di democrazia”. I “disastrosi fallimenti” dell’Unione Europea avevano provocato tensioni tra gli Stati Membri, permettendo alla Germania di rilevare l’economia italiana e di distruggere la Grecia:

“L’Italia, un tempo grande potenza manifatturiera, è stata assolutamente distrutta dall’euro, così come volevano i tedeschi”, e “l’euro è diventato un mezzo attraverso cui la produttività tedesca ha acquisito un vantaggio assolutamente imbattibile su tutta l’Eurozona” [https://www.ilmediterraneo.org/19/03/2021/il-sogno-europeo-del-terzo-reich-lue/, https://www.repubblica.it/esteri/2016/05/15/news/brexit_johnson_hitler_ue-139836822/, https://www.ilgiornale.it/news/hitler-e-nazismo-padri-ue-dicono-storici-non-solo-johnson-1262090.html].

Johnson aveva invocato i tempi in cui il Regno Unito aveva combattuto la guerra sotto l’egida di Winston Churchill, che “aveva una visione della Gran Bretagna inconciliabile con la sottomissione a un Super-Stato Europeo” e aveva lanciato un appello ai britannici, esortandoli a essere di nuovo “gli eroi dell’Europa”, a liberare il Regno Unito dal giogo di Bruxelles e a salvare l’Europa da se stessa, votando per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea al Referendum del 23 giugno 2016. 

 


Parole, in cui risuonava la lezione di Margaret Thatcher e che si rifanno, direttamente, all’importante discorso di Bruges, in cui The Iron Lady [La Lady di Ferro], nell’oramai lontano 21 settembre 1988, lanciò la sfida alla visione dell’integrazione comunitaria di Jacques Delors, denunciandola quale premessa della nascita di “un Super-Stato Europeo” capace di “infrangere la tradizione, le istituzioni parlamentari, il senso di fierezza nazionale” dei vari Paesi del Vecchio Continente [https://www.youtube.com/watch?v=D_XsSnivgNg, https://www.youtube.com/watch?v=WofJDQoxFgU].

Parole profetiche, se udite oggi!

 

“[…] Nel 2002, quando era un giornalista dello “Spectator”, l’attuale sindaco di Londra, Boris Johnson, che molti indicano come competitor di Cameron nel campo conservatore, scrisse un editoriale in cui sosteneva che le origini della moneta unica europea andavano fatte risalire a un progetto nazista. Il riferimento è al progetto “Europäische Wirtschaftsgesellschaft”, un piano, del 1942, di integrazione monetaria e industriale degli Stati Europei, allora tutti sotto il tallone tedesco, messo a punto dal ministro dell’economia del Reich, Walther Funk, e dal collega titolare del Dicastero  degli Armamenti, Albert Speer.

I ministri di Hitler avevano disegnato un’area di mercato aperta, senza dazi doganali, basata su una moneta unica, con al centro la Germania quale Stato leader. La sconfitta militare impedì ai nazisti di realizzare il loro progetto, richiamato da Johnson nel suo articolo. “Oggi, per noi, la prospettiva di revanscismo tedesco sembra ridicola e le difficoltà di integrazione europea sembrano molto preoccupanti” ha scritto il sindaco di Londra. “Può essere vero che ciò ci turbi di più, proprio per il fatto che non siamo stati conquistati da Hitler. Ma dire che l’euro non ha nulla a che fare con la guerra, o Hitler, è assurdo.” […]”

Gennaro Sangiuliano e Vittorio Feltri, Il Quarto Reich. Come la Germania ha sottomesso l’Europa.

 


“In un afflato europeista l’1 settembre 1939 la Germania invase la Polonia perseguendo a modo suo, diverso nelle forme ma non nella sostanza, l’obiettivo di una unificazione del Continente a suo uso e consumo, voi preferite tirare a campare, meglio un sussidio oggi che la dignità domani, ed è per questo che il gruppo che mi onoro di appartenere non vi darà la mia fiducia.”[https://www.lanuovapadania.it/cronaca/bagnai-come-invasione-nazista-nel-39-in-polonia-ora-germania-vuole-europa-sotto-suo-controllo-ed-e-subito-polemica/], sono le parole pronunciate dal senatore leghista Alberto Bagnai, nell’intervento in aula al Senato, il 30 dicembre 2020, durante le dichiarazioni di voto sulla legge al bilancio, che avevano fatto scattare il richiamo da parte della presidente della Camera Elisabetta Casellati:

“Sto controllando una sua espressione di un paragone tra la situazione della Germania e della Polonia che non mi sembra adatto a questa situazione, comunque sto controllando, mi viene segnalato il testo.” [https://www.adnkronos.com/bagnai-la-germania-e-linvasione-della-polonia-scoppia-il-caso-video_5kOLdZfRmX9xcuahd7onRU]

Paragonare “l’invasione nazista della Polonia al percorso di unificazione dell’Unione Europea”, ovverosia affermare che la Germania, per mezzo di strumenti, quali il Recovery Fund, stesse perseguendo un obiettivo non dissimile, nella sostanza, da quello di Hitler: l’unificazione economica e politica del continente sotto il comando della Germania, era parso “un parallelo vergognoso e inopportuno” [ https://m.facebook.com/partitodemocratico/photos/a.113463676895/10158363024101896/?type=3, https://www.iltempo.it/politica/2020/12/30/news/alberto-bagnai-lega-europa-nazisti-senato-25721219/] all’allora ministro dell’agricoltura del Governo Conte II  Teresa Bellanova, che, lo stesso 30 dicembre 2020, aveva twittato:

“Nel suo intervento al Senato, il Senatore della Lega Alberto Bagnai ha paragonato l’invasione nazista della Polonia al percorso di unificazione dell’UE. Un parallelo vergognoso e inopportuno. Forse il senatore dovrebbe rileggere i libri di Storia.” [https://twitter.com/teresabellanova/status/1344254907478585350]

Sdegnata, anche, la replica del capogruppo PD in Senato Andrea Marcucci:

“È allucinante questo paragone. Salvini e la Lega dovrebbero prendere le distanze alla velocità della luce da posizioni così demenziali. Purtroppo per questo Paese, temo proprio che non lo faranno.” [https://www.globalist.it/politics/2020/12/30/bagnai-lega-straparla-paragona-l-ue-alla-germania-nazista-che-invade-la-polonia-2071235.html]

 

 

Si era spinto troppo in là il senatore leghista Bagnai per intendere l’Unione Europea un “totalitarismo nascosto”?

Cosa potrebbe esservi di più lontano dal nazionalismo violento del Drittes Reich dell’europeismo, per quanto autointeressato, della ex-cancelliera tedesca Angela Merkel, nata Kasner, e del presidente della Commissione Europea, l’ex-ministro della difesa tedesco del Governo Merkel IV, Ursula von der Leyen, nata Albrecht, [https://www.politico.eu/article/ursula-von-der-leyen-german-governing-parties-contracting-scandal/, https://www.politico.eu/article/the-scandal-hanging-over-ursula-von-der-leyen/, https://www.trtworld.com/magazine/corruption-scandal-hangs-over-eu-president-ursula-von-der-leyen-33871, https://www.bbc.com/news/world-europe-35769001]?

Nessuno, infatti, vuole paragonare Angela Merkel a Adolf Hitler o Ursula von der Leyen a Heinrich Luitpold Himmler, ma sarebbe da ipocriti negare che le politiche dell’Unione Europea, adottate a  tutt’oggi per l’Europa, si discostino dalle idee sviluppate dai diligenti dirigenti del Drittes Reich, in quei giorni bui, per l’intero Continente.

Yanis Varoufakis ci fa assaporare l’impatto della sua prima visita a Bruxelles e a Berlino, in veste di ministro delle finanze greco, appena nominato, nel 2015:

“Quando Schäuble[10] mi ha accolto con la sua dottrina del “è il mio mandato contro il tuo”, stava onorando una lunga tradizione europea di negazione dei mandati democratici in nome del loro rispetto. Come tutte le ipotesi pericolose, si fonda su un’ovvia verità: gli elettori di un Paese non possono dare al loro rappresentante un mandato per imporre agli altri Governi condizioni per cui questi ultimi non hanno alcun mandato, da parte del loro stesso elettorato, ad accettare. Ma, mentre questo è solo un truismo, la sua incessante ripetizione da parte dei funzionari di Bruxelles e degli agenti di potere politico, come Angela Merkel e Schäuble stesso, ha lo scopo di convertirlo surrettiziamente in una nozione molto diversa: nessun elettore in nessun Paese può autorizzare il proprio Governo ad opporsi a Bruxelles.”

E ancora:

“Non ascoltano mai: io e il mio team abbiamo lavorato duramente per presentare proposte basate su un serio lavoro econometrico e su una solida analisi economica. Una volta che questi fossero stati testati da alcune delle più alte autorità nei rispettivi campi – da Wall Street e dalla City, agli accademici di prim’ordine – li avrei portati dai creditori della Grecia a Bruxelles, Berlino e Francoforte. Poi mi sedevo là e osservavo una sinfonia di sguardi indifferenti. Era come se non avessi parlato: come se non ci fosse alcun documento davanti a loro. Era evidente dal linguaggio del corpo che loro negavano perfino l’esistenza dei pezzi di carta che avevo messo davanti a loro. Le loro risposte, quando arrivavano, erano perfettamente indipendenti da qualsiasi cosa avessi detto. Avrei, anche, potuto cantare l’inno nazionale svedese. Non avrebbe fatto alcuna differenza.” [https://www.bbc.com/news/world-europe-31554756]

In occasione del Referendum Consultivo del 5 luglio 2015 sull’approvazione del piano proposto dai creditori internazionali per parte della Commissione Europea [presidente il lussemburghese Jean-Claude Juncker dall’1 novembre 2014 all’1 dicembre 2019], della Banca Centrale Europea [presidente l’italiano Mario Draghi, dall’1 novembre 2011 al 31 ottobre 2019] e dell’International Monetary Fund [Fondo Monetario Internazionale, direttore operativo la francese Christine Lagarde, nata Lallouette,  dal 5 luglio 2011 al 30 settembre 2019], la cosiddetta Trojka, in cambio di un nuovo programma di supporto finanziario, che avrebbe visto prevalere il NO all’accordo con il 61,31% dei voti, contro il restante 38,69% del sì, Varoufakis aveva sostenuto il NO, dichiarando in un’intervista del 6 luglio 2015 al quotidiano spagnolo El Mundo:

“Quello che stanno facendo con la Grecia ha un nome: terrorismo. [...] Perché ci hanno costretto a chiudere le banche? Per instillare la paura nella gente. E quando si tratta di diffondere il terrore, questo fenomeno si chiama terrorismo. Ma confido che la paura non vinca.”[11] [https://www.elmundo.es/economia/2015/07/04/5596f1b3ca47412d048b459e.html]

 

Grecia, Di Maio: “Tsipras ha tradito il referendum e la democrazia” E Salvini attacca: “Una buffonata”, La brigata Kalimera si ribella a Tispras. Critiche all’intesa da Grillo a Fassina. Brunetta: “I problemi rimangono”. L’ironia di Monti: “Tsipras giocatore di poker che ha perso”, Corriere della Sera, 13 luglio 2015 [https://www.corriere.it/foto-gallery/politica/15_luglio_05/tuttiadatene-politici-italiani-che-sostengono-tsipras-c1c31d32-230d-11e5-85fc-cb21ea68cb1f.shtml].

 

Il 22 gennaio 2019, il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung [FAZ] [https://www.faz.net/aktuell/politik/staat-und-recht/wie-der-europagedanke-diskreditiert-werden-soll-16000769.html], un pilastro istituzionale dell’”ordine” europeo, toccava, esplicitamente, il “punto dolente” con l’editoriale di Jasper von Altenbockum, A Nazi EU?, e si chiedeva se l’attuale Unione Europea, dominata dalla Germania, dovesse essere intesa come una estensione lineare del nazionalsocialismo tedesco [http://freenations.net/are-the-german-media-waking-up-to-nazi-europe/, https://stateofglobe.no/2019/02/13/tysk-storavis-er-det-tysk-dominerte-eu-en-lineaer-utvidelse-av-nazismen/].

L’affermazione del senatore Bagnai non è, dunque, così peregrina. È opinione comune che il moderno pensiero federalista nasca dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, ma le teorie federaliste risalgono a molto prima del conflitto mondiale. L’ideologia europeista, antisovranista e sovranazionalista e il “Sogno” dell’unificazione economico-politica del continente, sotto il dominio della Germania erano, infatti, aspetti centrali della stessa filosofia nazifascista, nelle sue molteplici varianti, nonché della  propaganda hitleriana. Come scrive lo storico inglese John Laughland, autore di un corposo volume sul tema del 1997, The Tainted Source: The Undemocratic Origins of the European Idea [La Sorgente Infetta: le Origini Antidemocratiche dell’Idea Europea][12], “non solo i nazisti, ma anche i fascisti e i loro collaboratori in giro per l’Europa, hanno fatto ampio uso dell’ideologia federalista ed europeista per giustificare le loro aggressioni”.

 

Europa nazificata: la situazione nel 1942.

 

Ciò potrebbe meravigliare. È opinione comune, infatti, che i nazifascisti, in quanto ultrasciovinisti e imperialisti, esaltassero lo Stato-Nazione e la sovranità nazionale; in verità, osserva Laughland, “nutrivano una profonda avversione per la sovranità nazionale; non solo, come può sembrare ovvio, per quella delle altre Nazioni, ma per il concetto stesso”.

 

 

L’espansione della NATO verso Est.

 

Riccardo Chiaberge, con un articolo esplosivo apparso sul Corriere della Sera, il 14 maggio 1997, dal titolo alquanto eloquente L’ideologia europeista e certe sue radici naziste [https://www.sollevazione.it/2015/07/lideologia-europeista-e-certe-sue-radici-naziste-di-chiaberge-riccardo.html?print=pdf], riassume bene i contenuti del libro di Laughland, che documenta le origini antidemocratiche della prassi UE che ha preso il sopravvento sulla sovranità dei popoli. 

 

“E se il sogno europeo strangolasse la democrazia? Se i tecnocrati di Bruxelles si preparassero a sospendere le libertà costituzionali, come hanno fatto a suo tempo i militari algerini? È il sospetto che avanza Barbara Spinelli dalle colonne della Stampa. Un’ipotesi neanche tanto “fantapolitica”, viste le difficoltà di far quadrare i parametri della moneta unica.

Del resto, questi rischi di involuzione illiberale sono stati più volte denunciati anche da un’autorità come Ralf Dahrendorf. Ma nessuno finora, neppure tra gli euroscettici più inveterati, si era mai azzardato a mettere in dubbio i sacri principi, l’ispirazione democratica del processo di integrazione.

A infrangere quest’ultimo tabù provvede ora lo storico John Laughland con un libro documentato feroce appena uscito in Gran Bretagna, The Tainted Source [La Sorgente infetta], editore Little, Brown and Company. Sottotitolo: le origini antidemocratiche dell’idea europea. 

Capovolgendo uno dei luoghi comuni più tenaci della vulgata federalista, Lughland cerca di dimostrare che il progetto di un’Europa unificata non è figlio del pensiero liberale, ma delle ideologie totalitarie, naziste e fasciste, nelle loro molteplici varianti. E che lungi dal rappresentare una conquista di libertà, il superamento della sovranità nazionale mina alla base lo Stato di diritto e le garanzie fondamentali del cittadino…

Laughland, un intellettuale di idee thatcheriane che collabora al Wall Street Journal e al Sunday Telegraph, non è nuovo a simili provocazioni. Tre anni fa il suo pamphlet The Death of Politics [La Morte della Politica] aveva fatto infuriare gli europeisti bigotti.  

Ma questa volta l’impatto potrebbe essere ancora più devastante. Proprio mentre Tony Blair riapre il dialogo con Bruxelles e rivendica per il suo Paese un ruolo-guida nella UE al fianco di Francia e Germania, un suo concittadino getta una bomba ad altissimo potenziale contro il mausoleo dei padri fondatori. 

Staccate dalla parete i ritratti di Adenauer, di Schuman o di Jean Monnet – ci dice Laughland – e sostituiteli con quelli di Hitler, di Mussolini o di Pétain. Sono loro i veri apostoli dell’idea europea. È dai loro cromosomi che discendono, senza saperlo, i “ragionieri” di Maastricht, quelli che danno le pagelle ai Governi e decidono chi dev’essere promosso e chi bocciato.

Verrebbe spontaneo liquidare queste affermazioni come semplici boutade dettate da pregiudizi antitedeschi, un po’ come quel filmaccio hollywoodiano nel quale i capi della Bundesbank portano la svastica al braccio: se non fosse che l’autore ha corredato il suo atto di accusa con un poderoso apparato di note.

E allora visitiamo insieme questa galleria degli antenati.

Cominciamo da Joseph Goebbels. Fu il ministro della propaganda del Terzo Reich, un personaggio che viene di solito associato a iniziative poco simpatiche, come il rogo dei libri “proibiti” o la campagna contro gli ebrei.

Bene, se riascoltassimo oggi i discorsi di questo signore a proposito dell’Europa, potremmo scambiarlo per Helmut Kohl.

La tecnologia dei trasporti e delle telecomunicazioni sta accorciando le distanze tra i popoli – diceva Goebbels nel 1940 – e questo condurrà inevitabilmente all’integrazione europea.

“I popoli dell’Europa stanno rendendosi sempre più conto che molte delle controversie che ci dividono sono semplici baruffe famigliari in confronto alle grandi questioni che devono essere risolte tra i Continenti”.

Circa il modo di riportare la pace in famiglia, sappiamo bene che cosa il nostro avesse in mente. Ma con le buone o con le cattive, il risultato che si prefiggeva era l’abolizione delle frontiere tra gli Stati nazionali, che è per l’appunto l’obiettivo del Trattato di Maastricht.

“Voi siete già membri di un grande Reich che si prepara a riorganizzare l’Europa, abbattendo le barriere che ancora dividono i popoli europei e rendendo più facile per loro lo stare assieme”.

Goebbels non è propriamente un modello per i giovani d’oggi, ma bisogna riconoscere che aveva la vista lunga: ”Tempo cinquant’anni – disse – e la gente non penserà più in termini di Nazione”.

Sortite propagandistiche, si dirà, la classica foglia di fico per nobilitare una politica di aggressione. Obiezione respinta. Laughland ci spiega che in realtà Hitler la pensava così ben prima di scatenare le sue panzerdivisionen.

Parlando all’adunanza del Partito Nazista a Norimberga, nel 1937, il Führer disse testualmente:

“Noi siamo più interessati all’Europa di qualsiasi altro Paese. La nostra Nazione, la nostra cultura, la nostra economia, sono cresciute entro un più ampio contesto europeo. Pertanto dobbiamo essere i nemici di ogni tentativo di introdurre elementi di discordia e distruzione in questa famiglia di popoli”.

Nell’agosto 1941, un comunicato congiunto italo-tedesco, controfirmato dall’alleato Mussolini, avrebbe ribadito in termini più bellicosi un concetto analogo:

“La distruzione del pericolo bolscevico e dello sfruttamento plutocratico renderà possibile una pacifica, armoniosa e proficua collaborazione tra tutti i popoli del Continente Europeo, nel campo politico come in quello economico e culturale”.

Ma la più articolata riflessione nazista sull’argomento sarebbe venuta l’anno successivo, con la grande conferenza organizzata dagli imprenditori berlinesi sul tema “Europaïsche Wirtschaftsgemeinschaft” [letteralmente: “Comunità Economica Europea”], con la partecipazione di autorevoli esponenti del regime.

Il ministro dell’economia del Reich, Walther Funk, che era anche presidente della Banca Centrale, sostenne in quell’occasione che la costruzione di aree economiche “segue una naturale legge di sviluppo”, e ricordò che quando la Germania era frazionata in tanti Staterelli ciascuno con la sua moneta, il Paese non era in grado di fare fronte alla concorrenza di Francia e Inghilterra.

Pur ammettendo che l’integrazione del continente sarebbe stata più difficile da realizzare del “Zollverein”, l’unione doganale tedesca, il ministro concludeva che si sarebbe dovuta comunque fare, “perché il suo momento è venuto”.

Un mercato unico, con il “Reichsmark” come valuta di riferimento: questo il sogno degli economisti nazisti. Non molto diverso, dopotutto, da quello degli gnomi della “Bundesbank” degli Anni Novanta.

Ma il dibattito non si ferma a Berlino, coinvolge anche l’Italia fascista. Alberto de Stefani, che fu ministro delle finanze di Mussolini dal ‘22 al ‘25, scrive nel 1941:

“Le nazionalità non costituiscono una solida base per il progettato nuovo ordine, a causa della loro molteplicità e della loro tradizionale intransigenza... Un’Unione Europea potrebbe non essere soggetta alle oscillazioni di politica interna che sono caratteristiche dei regimi liberali”.

Gli fa eco il direttore di “Civiltà Fascista”, Camillo Pellizzi:

“Una nuova Europa: questo è il punto, e questa la missione che abbiamo di fronte a noi. Il che non significa che Italiani, Tedeschi e le altre Nazioni della famiglia europea
debbano... diventare irriconoscibili... Sarà una nuova Europa per la nuova ispirazione e il principio determinante che emergerà tra tutti questi popoli”.

L’anello mancante, il trait-d’union tra fascismo e federalismo, secondo Laughland, è una corrente filosofica alla quale dice di ispirarsi uno dei più grandi eurocrati, Jacques Delors: il personalismo di Emmanuel Mounier. Una dottrina “nebulosa” nella quale tendenze ecumeniche e comunitarie si mescolano, soprattutto negli Anni Trenta, a forti dosi di anticapitalismo e di antiparlamentarismo.

Intorno a Esprit e a Ordre Nouveau, le due riviste del gruppo, dirette rispettivamente da Mounier e da Denis de Rougemont, si aggregano diversi intellettuali che guardano almeno inizialmente con favore all’esperimento nazionalsocialista. E lo stesso Mounier partecipa nel 1935 a un convegno a Roma sullo Stato corporativo, al termine del quale loda lo “slancio costruttivo” degli studiosi in camicia nera.

C’è dunque una continuità tra l’europeismo totalitario degli Anni Trenta e Quaranta e quello “democratico” del dopoguerra.

Entrambi hanno un avversario comune: lo Stato nazionale, in cui vedono una minaccia per la pace e un recinto troppo angusto per un’economia di dimensioni planetarie.

Per entrambi, ”la molteplicità implica disordine e l’ordine richiede uniformità”. Intorno a questi concetti, nell’Europa di oggi, si realizza una inedita convergenza tra liberali tecnocratici alla Leon Brittan e socialisti alla Delors.

“A differenza dei conservatori, i liberali tecnocratici pensano di poter avere la ciliegina dell’ordine liberale senza la torta della nazionalità, della legge e della politica che dovrebbero sottostare a esso”.

Niente di più sbagliato, sostiene l’autore. Fin dall’antichità, la cittadinanza è strettamente legata all’esistenza di confini. Lo stesso termine greco polis, come il latino urbs, rimanda al concetto di cerchio, di mura perimetrali. E il vocabolo inglese town [città] ha la stessa radice etimologica del tedesco zaun, che vuol dire appunto recinto. “La chiarezza territoriale – dice Laughland – è un prerequisito essenziale per l’organizzazione non tribale” delle società umane.

“È per questo che la storia dello Stato di diritto e quella dell’idea nazionale sono inseparabili... Lungi dall’essere una minaccia per l’ordine liberale, la Nazione ne costituisce il fondamentale presupposto”.

Ubbie di un thatcheriano nostalgico? Può darsi. Ma se qualcuno pensa di riesumare dopo due secoli la Serenissima Repubblica, forse un po’ di colpa ce l’hanno anche i tiranni della Moneta Unica.

Riccardo Chiaberge, Corriere della Sera, 14 maggio 1997, [http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/14/EUROPA_Hitler_profeta_dell_Unione_co_0_9705145874.shtml?refresh_ce-cp, https://www.sollevazione.it/2015/07/lideologia-europeista-e-certe-sue-radici-naziste-di-chiaberge-riccardo.html]

 

Nel 1943, Hitler dichiarava che “il disordine delle piccole Nazioni” e “l’anacronistica divisione dell’Europa in singoli Stati” andavano liquidati. Lo scopo della lotta nazista era quello di creare un’Europa unita. A tale fine, i singoli Paesi europei dovevano essere disposti “a subordinare i propri interessi a quelli della Comunità Europea”, parole di Walther Funk, ministro dell’economia del Drittes Reich, dal 1937 al 1945.

Nel 1940, Hermann Göring, presidente del Reichstag, aveva presentato un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”, che includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra Paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”. L’unificazione monetaria avrebbe giocato un ruolo assolutamente centrale nei piani dei nazisti, sarebbe stata lo strumento che avrebbe garantito ai tedeschi la dominazione surrettizia di questa nuova area economica, in quanto il marco, come valuta di riferimento, “avrebbe assunto un ruolo dominante nella politica valutaria europea”. I piani nazisti per l’integrazione economica dell’Europa erano, infatti, tanto economici quanto politici. L’Unione Europea, che nasconde, dietro presunte “leggi economiche”, precise strategie politiche, sembra avere fatto tesoro degli insegnamenti del Drittes Reich, così da riuscire in modo più soft, ma anche più subdolo, a irreggimentare le “menti” meno allenate al pensiero critico.

Per le élites tedesche l’Unione Europea e l’euro non hanno avuto lo scopo di “europeizzare la Germania” quanto quello, già tentato altre volte nella Storia, di “germanizzare l’Europa”, come notava, nel 1995, la Frankfurter Allgemeine Zeitung [https://www.limesonline.com/cartaceo/la-germanizzazione-silenziosa-dellalsazia?prv=true] e ha  ben riassunto lo storico tedesco Hans Kundnani:

“Per la Germania più Europa ha, sempre, significato più Germania.”

Il successo rapido e violento della predicazione hitleriana si colloca in un preciso momento di crisi delle istituzioni repubblicane. Ma il messaggio stesso che Hitler porta alle masse brutalizzate dalla crisi, dalla disoccupazione, dalla paura del domani, è un messaggio antico, che suscita echi nei cuori germanici. Non è, infatti, la prima volta che, nel corso della Storia, si parla di razze superiori e inferiori, attribuendo alle une il diritto di comandare, alle altre il dovere di obbedire. Molto prima di Hitler e dei razzisti tedeschi e austriaci, altri avevano dissertato tenacemente, con sfoggio di ampie argomentazioni pseudosemantiche e non solo in Germania, ma anche in Francia, in Gran Bretagna, in Svizzera, negli Stati Uniti e in Italia, sui presunti diritti degli uomini superiori – razzisticamente e socialmente intesi – di servirsi liberamente dei componenti delle razze e delle classi inferiori o più deboli sul piano militare e, in eguale modo, di limitarne l’espansione demografica. Erano, marcatamente, teorie che avevano la funzione di mascherare un sopruso materiale. Valevano, infatti, a giustificare le conquiste coloniali, la tratta degli schiavi neri e le condizioni di arretratezza in cui venivano mantenute alcune aree della Terra per consentire il ritmo di sviluppo europeo. Erano, marcatamente, dottrine eurocentriche, teorie di comodo per potenze imperialiste o per Governi impegnati in una oppressiva politica interna in particolari momenti dell’organizzazione o ristrutturazione dello Stato.

I razzisti tedeschi si rifacevano, stravolgendone il senso, ai Discorsi alla Nazione tedesca di Johann Gottlieb Fichte, in cui il filosofo, per incitare i propri compatrioti alla resistenza contro le armate di Napoleone, descrive i tedeschi come un popolo “metafisicamente predestinato”, che ha il diritto morale di realizzare il suo destino con ogni mezzo, anche con l’inganno e la forza, popolo che è l’autocoscienza di Dio. E dopo Fichte, è la volta di Georg Wilhelm Friedrich Hegel affermare la legittimità del diritto tedesco, contro il quale “il genio degli altri popoli è senza diritto; e poiché la loro era è determinata, non contano più nella Storia”. Hegel giunge a parlare di una “missione storica” tedesca. Per lui lo spirito si incarna nel popolo germanico; per Friedrich Wilhelm von Giesebrecht “la Germania ha il diritto del dominio perché è una Nazione di élite”. Più concretamente, Friedrich Lange si chiede se la Germania non abbia, infine, avuto “la missione di castigare e di guarire le depravazioni dei Popoli che la circondano”, concetto che sarà ripreso, nel 1914, perfino, da Thomas Mann, quando in polemica con Romain Rolland, definirà la Francia “urna di tutti i mali”, quella che porta alla Germania la peggiore lue del mondo: la democrazia, il livellamento dei valori intellettuali, l’ipocrisia di una falsa libertà. Mann, “duce protestante dei conservatori”, come lo definì, nel 1920, Lavinia Mazzucchetti, non è un pangermanista ottuso, ma si dimostra, ancora, convinto della supremazia germanica, perché in essa sarebbe operante una qualità relativamente migliore delle classi dirigenti in confronto alle masse impreparate. Le considerazioni di un apolitico non si discostano molto, nel primo dopoguerra, in fondo, dalle fanatiche dichiarazioni nazionalistiche di Adolf Hitler: anche Thomas Mann vuole preservare il popolo germanico dalle degenerazioni latine, europee. 

Nel 1861, il chirurgo-neurologo francese Pierre-Pani Broca sosteneva non solo l’esistenza di “una relazione importante tra lo sviluppo dell’intelligenza e il volume cerebrale”, ma anche che il cervello è più grande negli adulti piuttosto che nei vecchi, negli uomini piuttosto che nelle donne, negli uomini eminenti piuttosto che negli uomini di mediocre talento, nelle razze superiori piuttosto che nelle razze inferiori”. Erano questi i primi fondamenti “scientifici” della teoria dell’ineguaglianza umana, che vennero, successivamente, ammantati di scientismo da uno stuolo di biologi che, codificando una sorta di inferiorità intrinseca per i diversi, rendendo così impossibile per costoro ogni riscatto sociale, affermavano che le differenze umane sono segni ereditari.

La pratica della sterilizzazione, come espressione della modernità che richiede l’uomo perfetto per realizzare la società perfetta, si è aggirata in numerosi Paesi del Nord Europa, negli Stati Uniti e in Svizzera, dove ognuno ha fatto tesoro delle esperienze dell’altro. Sono cosi venute a galla le potenziali crudeltà della modernità, quale corsa a una perfezione generatrice di mostri, che nella sua radicale estremizzazione, il nazismo, ha prodotto Auschwitz.

Nella Penisola Scandinava, la pratica della sterilizzazione si caratterizza “come un’ansia per la presenza, all’interno della comunità nazionale, di individui incapaci di soddisfare i requisiti di un ideale radicato nei costumi, ma assimilato ad una dote naturale”: la ricerca di un’auto purificazione della razza umana, modellata sulla selezione degli animali, per conseguire non un’affermazione metafisica, dare vita a una razza eletta, ma una migliore resa igienico-sociale o produttiva. Si trattava di un’applicazione pratica delle politiche di igiene razziale che erano germogliate dal Darwinismo estremista, ma che affondavano le loro radici, salde e difficilmente estirpabili nel convincimento positivista, che ogni aspetto della vita dell’uomo fosse migliorabile intervenendo, in modo razionale, sulla natura biologica.

In Danimarca la sterilizzazione fu legalizzata, nel 1929; in Norvegia[13] e in Svezia , nel 1934, e in Finlandia, nel 1935. Secondo le ultime ricerche, furono sterilizzati, tra il 1935 e il 1975, 62.888 svedesi, di cui oltre il 90% donne; 58mila finlandesi; 40mila norvegesi e 11mila danesi. 

 

Herman Lundborg

 

 


In particolare, la Svezia dette il suo rilevante contributo al progresso della “Civiltà Occidentale”: “gli studi sulla razza conquistarono un tale prestigio” nel Paese che, nel 1921, il Riksdag accolse una mozione presentata dal socialista Hjalmar Branting e dal conservatore Arvid Lindman e fondò, prima Nazione al mondo, l’Istituto di Stato per la Biologia Razziale, presso l’Università di Uppsala, che fu preso a modello dai tedeschi per realizzarne, nel 1927, uno analogo a Berlino, affidandone la direzione a Herman Lundborg, “sostenitore appassionato della superiorità delle razze nordiche”.

“Ci riteniamo autorizzati a limitare la libertà dei matrimoni difettosi. Ma il modo più semplice e sicuro per impedire la riproduzione di tali individui è la sterilizzazione operativa, una misura che in molti casi può essere considerata meno contraddittoria rispetto agli interessi personali degli individui interessati rispetto al divieto di matrimonio e alla reclusione a lungo termine.”

Come dichiarò il socialdemocratico Jonas Arthur Engberg, durante la discussione parlamentare, ci si attendeva dall’istituto indicazioni per la “messa in opera di una politica della razza”. A partire dal 1922, Lundborg aveva pubblicato una serie di foto di volti per distinguere i caratteri della pura razza svedese.

La devozione a una morale priva di contraddizioni, che portò i socialdemocratici “ingegneri sociali” ad accanirsi contro ogni espressione simbolica della differenza, tra categorie, generi o gruppi di individui “inferiori”, “inadeguati”, “inadatti alla vita”, consentì, a partire dal 1933, il Kohandeln [Patto della Mucca], la ventennale collaborazione dei socialdemocratici con il Bondeförbundet [Partito degli Agricoltori], dichiaratamente razzista, il cui programma recitava:

“Un compito nazionale di prima importanza impone di preservare il ceppo popolare svedese dall’incrocio con elementi razziali stranieri, di qualità inferiore e di ostacolare l’accesso in Svezia di elementi estranei indesiderati […] per mantenere il nostro popolo al riparo da qualsiasi influenza degenerata.”

Nel 1935, furono i coniugi Alva Reimer Myrdal [Premio Nobel per la Pace, nel 1982]  e Gunnar Myrdal [Premio Nobel per l’Economia, nel 1974] ad aggiungersi al coro, raccomandando l’applicazione di una feroce politica di sterilizzazione finalizzata “all’epurazione degli individui incapaci”.

 

Alva e Gunnar Myrdal nella loro casa a Bromma, Villa Myrdal.

Decine di migliaia di persone considerate di “tipi razziali inferiori” sarebbero state sterilizzate in Svezia tra il 1935 e il 1976. La denuncia arriva da un quotidiano liberale svedese, il Dagens Nyheter. Secondo il quotidiano, il 90% delle persone sottoposte all’intervento di sterilizzazione furono donne. Sotto accusa non sono solo le autorità di Stoccolma, ma anche quelle degli altri Paesi nordici: la riproduzione sarebbe stata negata a 60mila persone in Svezia, a 40mila in Norvegia e a 6mila in Danimarca. Le vittime della campagna – tenuta segreta dalle autorità svedesi – ufficialmente venivano definite volontarie. In realtà, erano costrette a firmare dichiarazioni in cui accettavano la politica del Governo e rinunciavano a eventuali risarcimenti per danni. L’intervento veniva praticamente imposto a donne con handicap o “indigenti di razza mista”. Le leggi per la sterilizzazione entrarono in vigore in Svezia, Norvegia e Danimarca rispettivamente nel 1935, 1934 e 1929.

Secondo l’autore degli articoli, tali norme si differenziavano solo per dettagli da quelle imposte dai nazisti tedeschi. Mentre i seguaci di Hitler intendevano “migliorare la razza”, a muovere i nordici sarebbero state soprattutto motivazioni di carattere economico: si voleva ridurre la probabilità che i propri cittadini nelle generazioni future fossero non sani e quindi potessero pesare sulla società. Il giornale racconta il caso di una donna che oggi ha 72 anni, Maria Nordin. Da bambina era considerata “inferiore” sotto il profilo scolastico, perché non aveva occhiali da vista e – essendo miope – non riusciva a vedere la lavagna. Messa in un istituto per bambini subnormali, a 17 anni [durante la Seconda Guerra Mondiale] venne chiamata in un ufficio pubblico per firmare un documento, in cui dava il permesso di farsi sterilizzare, cosa che avvenne subito dopo in ospedale. Molte altre donne, anche in età adulta venivano di fatto costrette a firmare con ricatti di vario genere. A chi faceva resistenza venivano negati i sussidi statali o addirittura venivano sottratti i figli avuti precedentemente. L’eliminazione delle “parti deboli” della società veniva anche supportata da studi scientifici.

Nel 1921, su iniziativa dei socialdemocratici, il Parlamento svedese istituiva il primo istituto statale di studi di biologia della razza nella città universitaria di Uppsala, che negli anni prima e durante il secondo conflitto mondiale aveva rapporti scientifici e di scambi di pseudoesperti con la Germania nazista. È chiaro che le rivelazioni gettano un’ombra pesantissima sulla socialdemocrazia svedese. Ma anche i partiti di destra sono sotto accusa, visto che non si opposero alla campagna di sterilizzazione forse anche loro convinti della necessità di evitare che si moltiplicassero i cittadini con quozienti intellettivi o possibilità economiche inferiori alla media. Il ministro degli affari sociali Margor Wallstroem ha commentato: “ È stato qualcosa di barbaro.

Vincenzo Lanza, Svezia, sterilizzate a forza, la Repubblica, 25 agosto 1997 [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/08/25/svezia-sterilizzate-forza.html]

 

Londra, 29 nov. - [Adnkronos] - Dopo il processo a Maurice Papon in Francia e lo scandalo sui conti “in giacenza” nelle banche svizzere, è ora la Svezia a fare i conti con il passato nazista. Il Paese di Raul Wallenberg [https://sweden.se/life/people/raoul-wallenberg-world-war-ii-hero] – il diplomatico che aiutò migliaia di ebrei a fuggire dalle zone dell’Europa Orientale sotto occupazione tedesca – è scosso dalle rivelazioni sul contenuto dei “files” compilati dalla polizia segreta svedese durante la Seconda Guerra Mondiale.

Da questi – scrive il “Sunday Times” – emerge che – al fine di intensificare al massimo gli scambi commerciali con la Germania nazista – le società svedesi di export si attenevano scrupolosamente alle direttive antisemite tedesche, licenziando i dipendenti ed allontanando gli azionisti ebrei, ma anche compilando liste di ebrei che poi finivano in mano tedesca. Banche ed avvocati in Svezia vendevano informazioni di questo tipo a chi in Germania era interessato ad acquistarle.

Adnkronos, Nazismo: la Svezia fa i conti con il passato, 29 novembre 1997 [http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/1997/11/29/Esteri/NAZISMO-LA-SVEZIA-FA-I-CONTI-CON-IL-PASSATO_170200.php, https://www.nytimes.com/1997/01/26/weekinreview/the-not-so-neutrals-of-world-war-ii.html]

 

Ancora oggi siamo abituati a considerare il Welfare State realizzato in Svezia dalla socialdemocrazia come una delle grandi, e più positive, esperienze politico-sociali del XXesimo secolo. Ma che le cose non stessero interamente così, che il tanto magnificato “modello svedese” avesse anche qualche tratto oscuro, perfino qualche venatura autoritaria, venne fuori in realtà alla fine degli Anni Novanta quando, quasi per caso, una ricercatrice svedese, Maija Runcis, fece una scoperta sconvolgente. Si rese conto che nella Svezia socialdemocratica, in cui nessuno – così, almeno, si era sempre sostenuto – doveva essere trascurato o lasciato indietro, erano state compiute dal 1935 al ‘75 [anno di abolizione della relativa legge] oltre 60mila sterilizzazioni, per il 90-95% riguardanti donne. Ed erano state compiute precisamente con l’intento, insieme eugenetico ed economico-sociale, di eliminare la capacità riproduttiva delle persone “difettose”, cioè degli esseri umani “di tipo B” [come scrivevano comunemente, negli Anni Trenta e Quaranta, gli addetti alle scienze sociali e mediche], ciò che avrebbe permesso di utilizzare al meglio le risorse per garantire il benessere della popolazione sana, degli esseri umani “di tipo A”.

Di questo argomento si occupa Luca Dotti. Il merito principale del suo volume consiste nel mostrare come la politica di sterilizzazione non rappresentasse un incidente di percorso nella lunghissima vicenda dei Governi socialdemocratici che furono ininterrottamente al potere dal 1932 al ‘76. Negli Anni Trenta l’eugenetica riscuoteva un certo successo in vari Paesi Occidentali. Ma in Svezia la sua diffusione poteva giovarsi della paura che, da un lato, il calo demografico [effettivamente in atto], dall’altro il temuto aumento degli individui “di scarsa qualità” avrebbero indebolito la salute, fisica e morale, della popolazione. L’elemento probabilmente decisivo fu il fatto che preoccupazioni del genere vennero fatte proprie dalla socialdemocrazia una volta giunta al potere: la sua concezione di una “casa comune del popolo” [l’equivalente svedese del Welfare State] si dimostrò capace di riqualificare in senso economico-sociale la politica di eliminazione [attraverso la sterilizzazione] del materiale umano “di scarto”, senza rinunciare del tutto alle vecchie argomentazioni di tipo biologico, fondate sull’idea di una rigida trasmissione ereditaria delle [presunte] tare fisiche e morali degli individui.

Come Dotti mette in rilievo, a favorire l’affermazione della concezione socialdemocratica di un benessere sociale da creare anche attraverso la sterilizzazione concorrevano almeno altri due elementi. Da un lato, un certo rigorismo luterano, portato a considerare ogni segnale di disordine nel comportamento e nello stile di vita come una minaccia alla salute della collettività: nelle pratiche di sterilizzazione, la “volubilità sessuale” di una donna o la mancanza di pulizia nella casa erano considerate altrettanti segni di pericolosa asocialità. Dall’altro, c’era il diffondersi nell’ambito delle scienze umane di un’ideologia funzionalista che tendeva a concepire la politica sociale come l’applicazione di misure algidamente oggettive, e poneva il benessere della società come nettamente prevalente su quello dei singoli individui.

Furono i coniugi Gunnar e Alva Myrdal i massimi teorici di questo socialismo che attribuiva allo Stato e alla politica funzioni demiurgiche, affidandosi agli scienziati sociali e alle loro soluzioni indiscutibili, poiché queste si presentavano come il frutto del puro calcolo razionale. Economista [e a lungo capo del gruppo parlamentare socialdemocratico] lui, esperta di problemi della famiglia lei, i Myrdal furono anche insigniti del Premio Nobel: il solo caso di coniugi premiati per due materie diverse e in due periodi differenti [i coniugi Curie, l’unica altra coppia, avevano ricevuto entrambi il Nobel per la Fisica]. Nel 1934 un loro libro dedicato alla crisi demografica svedese non solo ebbe uno straordinario successo, ma svolse anche una funzione decisiva nell’orientare la socialdemocrazia e l’opinione pubblica verso misure tese a eliminare gli “individui superflui” così da evitare che la società sprecasse risorse a causa di persone giudicate irrecuperabili.

I Myrdal, e un po’ tutti gli esperti socialdemocratici del tempo, criticarono non poco la legge sulla sterilizzazione del 1934 poiché essa autorizzava in realtà l’intervento solo nel caso di malati di mente o comunque di individui incapaci di intendere e di volere. Sarebbe stato invece necessario, sostenevano, intervenire su tutta la massa di “sfaccendati”, “asociali”, “leggermente ritardati” che sfuggivano alle maglie della legge, sottraendosi così all’ossessione purificatrice degli scienziati sociali e dei rappresentanti della professione medica.

Un esponente socialdemocratico dichiarò: “Io penso che sia meglio esagerare che rischiare di avere una progenie inadatta e inferiore”. Fu così che pochi anni dopo, nel 1941, una nuova legge introdusse la possibilità di sterilizzare una più ampia casistica di persone. La legge, per la verità, indicava chiaramente che chi risultava capace di intendere e di volere avrebbe dovuto sottoscrivere la richiesta di sterilizzazione. Ma la presenza della firma, argomenta convincentemente Dotti, non certificava di per sé la volontarietà. Esistevano infatti molte forme di pressione che medici e assistenti sociali potevano mettere in atto per convincere ad accettare l’intervento: la possibilità di ricevere solo a quella condizione l’assistenza contro la povertà, oppure la prospettiva di essere dimessi da un’istituzione pubblica, nella quale si era costretti a soggiornare, solo dopo aver accettato l’intervento di sterilizzazione.

Quella raccontata da Dotti con precisione [anche se in una forma non sempre chiarissima] è una vicenda alla quale sono stati dedicati vari studi. E tuttavia su di essa spesso si preferisce sorvolare. Ad esempio, nella voluminosa e informatissima Enciclopedia della Sinistra Europea nel XXesimo Secolo [diretta da Aldo Agosti per gli Editori Riuniti], riguardo all’opera dei coniugi Myrdal negli Anni Trenta ci si limita sostanzialmente a scrivere che si batterono “a favore di ampi ed efficaci programmi di assistenza”; senza appunto menzionare la determinazione con cui quei programmi miravano anche a liberare la società dal peso del “materiale umano scadente”. Si trattava, insomma, di programmi non privi nella pratica di risvolti autoritari, come era forse conseguenza inevitabile di un socialismo fortemente statalista, animato da una marcata diffidenza nei confronti della soggettività individuale. Quel socialismo si assegnava infatti il compito di intervenire dentro la sfera privata dei singoli. Non a caso Alva Myrdal partecipò alla progettazione di un modello abitativo di tipo collettivista, che puntava a regolare le aree più private della vita familiare, con la messa in comune di cucine, servizi e spazi per il tempo libero, nonché con la presenza di figure appositamente addette all’alimentazione e all’educazione dei bambini. In uno “slancio taylorista-totalitario”, come lo definisce Dotti, il progetto arrivava a prescrivere quanto tempo ciascuno avrebbe dovuto impiegare nelle varie attività collegate alla vita domestica.

Negli Anni Settanta la modifica delle norme sulla sterilizzazione, sopravvissuta da allora nell’ordinamento svedese soltanto come misura effettivamente volontaria, fu la conseguenza di decisivi mutamenti nel frattempo intervenuti entro l’intera società riguardo al modo di concepire la malattia mentale e il disagio sociale. I malati, gli emarginati, in genere gli individui in difficoltà erano diventati soggetti da aiutare; non venivano più visti, dunque, come potenziali minacce che la società doveva neutralizzare attraverso la sterilizzazione. Si chiudeva così una esperienza che aveva mostrato quanto, anche nei regimi democratici, possa diventare pericolosa una politica che non si assegni dei limiti, che non dovrebbe essere lecito varcare neanche nella prospettiva, destinata a rivelarsi un’illusione, di fare in tal modo il superiore interesse di tutta la società.

Giovanni Belardelli, Un saggio di Luca Dotti denuncia una pratica sconvolgente e autoritaria. Promossa dai coniugi Myrdal, Premi Nobel Eugenetica, ombra scura sul modello svedese, Corriere della Sera, 3 marzo 2005 [https://www.fattisentire.org/Lutopia-eugenetica-del-welfare-state-svedese-19341975/].

 

Da bambina Maria Nordin era miope e non possedeva occhiali, così non riusciva a capire bene ciò che veniva scritto sulla lavagna. Venne bollata come “mentalmente inferiore”. Nel ‘42 – aveva 17 anni – la chiamarono in un ufficio pubblico e le fecero firmare un documento. Non immaginava che stesse autorizzando lo Stato svedese a sterilizzarla. Lo scoprì in ospedale qualche giorno più tardi. La stessa sorte toccò a 230mila persone – al 90% donne – a cui tra il 1935 e il 1996 la Svezia negò il diritto di riprodursi, “nel quadro di un programma basato su teorie eugenetiche” e per ragioni “di igiene sociale e razziale”. La denuncia arriva dal rapporto della commissione di inchiesta guidata dal professor Carl-Gustaf Andren che ha comunicato proprio in questi giorni i risultati di quattro anni di indagini al ministro degli affari sociali di Stoccolma Lars Engqvist. “Le leggi del 1934 e del 1941 furono votate grazie al consenso generale di tutti i partiti politici – si legge nella relazione – ma la passività e il silenzio del Parlamento e del Governo sulle critiche fatte dal 1947 a questa politica hanno indubbiamente permesso che negli anni ‘60 e ‘70 individui fossero sterilizzati a loro insaputa o senza il loro assenso”. La campagna portata avanti dalle autorità svedesi era stata già denunciata nell’agosto del 1997 da un quotidiano liberale, il Dagens Nyheter. Ma allora si era ipotizzata una cifra globale di persone operate non superiore a 60mila, tutte sterilizzate tra il ‘35 e il ‘76, anno in cui entrò in vigore una legge che rendeva obbligatorio il sì degli interessati. Ora però viene chiarito che gli interventi sono continuati a pieno ritmo anche successivamente: ben 166 mila furono praticati tra il ‘76 e il ‘96. Anche in altri Paesi la sterilizzazione venne adottata diffusamente: si ha notizia di 40mila casi in Norvegia [dal 1934], 6mila in Danimarca [dal 1929], 15mila nei manicomi francesi. E campagne simili furono condotte anche in Canada, Austria, Stati Uniti. “Piccole le differenze rispetto alle regole imposte dai nazisti tedeschi”, sottolineava il Dagens Nyheter. Hitler e i suoi volevano migliorare la razza, mentre a muovere gli scandinavi sarebbero state soprattutto motivazioni di carattere economico: si mirava a ridurre il rischio di produrre cittadini non sani che potessero in futuro gravare sulla società. Gli Anni Cinquanta rappresentarono il momento di svolta: si passò – precisa il rapporto della Commissione Andren – “da una maggioranza di sterilizzazioni forzate a una maggioranza di sterilizzazioni con consenso, dall’applicazione delle teorie eugenetiche e di preservazione della razza a un programma di pianificazione familiare e di coesione sociale, dall’interesse collettivo all’interesse individuale”. Il numero dei consensi però non deve trarre in inganno. Pesanti pressioni sono state esercitate per convincere le “malate” a firmare le autorizzazioni. A chi faceva resistenza potevano ad esempio essere negati i sussidi statali o sottratti i figli avuti in precedenza. Le minoranze etniche vittime di discriminazioni sociali non furono risparmiate. Tra i 600 e i 700 zingari furono sterilizzati – ha appurato la commissione di inchiesta – e 22 di questi “per motivi puramente razziali”. “Quello che è accaduto è una barbarie”, commentò nel ‘97 l’allora ministro degli affari sociali Margor Wallstroem annunciando indennizzi per quanti fossero stati in grado di provare di essere stati operati senza consenso. Il pool di Andren nel gennaio del ‘99 ha quantificato in circa 40 milioni di lire a testa la somma da mettere a disposizione delle vittime. Ma finora appena poche centinaia di persone sono andate a reclamare il prezzo delle menomazioni di Stato.

Stefania Di Lellis, Sterili per ragion di Stato 230mila vittime in Svezia, la Repubblica, 30 marzo 2000 [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/03/30/sterili-per-ragion-di-stato-230-mila.html]

 

La Svezia, se pure con ritardo e un pezzo per volta, sta facendo i conti con il suo passato eugenista. Se negli Anni Novanta era finalmente emersa la realtà degli aborti e delle sterilizzazioni praticate prevalentemente sulle donne povere e sole, che avrebbero avuto difficoltà ad allevare i figli, oggi si comincia a parlare delle persecuzioni contro quella che veniva considerata una razza inferiore, gli zingari. Il premier Fredrik Reinfeldt infatti ha chiesto scusa per le discriminazioni e le sterilizzazioni esercitate nei confronti degli zingari nel periodo 1934-1974.

Non deve stupire che ciò sia accaduto proprio in quello che si può considerare il periodo d’oro dei Governi socialdemocratici svedesi, quelli che hanno costruito il mito del Welfare svedese, che assicurava un benessere sociale collettivo. Proprio quei socialdemocratici che hanno contato nelle loro file ben due Premi Nobel, Gunnar e Alva Myrdal, autori di una complessa utopia sociale. I due Myrdal, infatti, sostenevano gli ideali eugenetici – se pur senza alcun richiamo a una retorica razziale – come crudo calcolo di risorse e mezzi di produzione.

Il risultato è stato che, anche dopo la caduta del regime nazista che aveva fatto dell’eugenetica una bandiera ideologica, poi esecrata dal mondo intero e condannata nel Processo di Norimberga, in Svezia sono continuate le sterilizzazioni degli irregolari, i marginali, i poveri – soprattutto, all’ottanta per cento, donne – che avevano difficoltà a inserirsi nella nuova e ordinata società industriale che l’”ingegneria sociale” predicata dai Myrdal stava realizzando per il Paese.

Gli scienziati, le teorie eugenetiche elaborate per anni grazie a cospicui finanziamenti statali, servivano alla fine a garantire la buona riuscita del Welfare, alleggerito grazie all’eliminazione di possibili cittadini deboli e bisognosi di assistenza. Non solo, quindi, qui come in altri Paesi, si sono verificate sevizie su esseri umani in base a teorie scientifiche completamente errate, ma addirittura è stata utilizzata la scienza per fare piazza pulita di futuri cittadini che avrebbero potuto creare problemi a un modello di Welfare conosciuto e apprezzato in tutto il mondo.

Per questo, in Svezia, si fa tanta fatica a parlare di questo oscuro passato. A rendere noti i primi scottanti documenti è stata una coraggiosa archivista, Maija Runcis, che ha aperto così la fase delle ricerche, alla quale hanno contribuito anche due storici italiani. Oggi a riaprire il problema è un Governo di centro-destra, che probabilmente in questo modo cerca di screditare gli avversari, i socialdemocratici, che avevano addirittura proibito agli zingari di entrare in Svezia, anche quando Hitler aveva scatenato una persecuzione contro di loro, che portò alla morte di circa 600mila persone nei campi di sterminio.

Lucetta Scaraffia, Torna alla luce il segreto inconfessabile del mitico Welfare svedese. La sterilizzazione delle zingare, L’Osservatore Romano, 2 aprile 2014 [https://www.tempi.it/blog/svezia-sterilizzazione-zingare/]

 

La Svezia ha sterilizzato per motivi di “igiene sociale e razziale” circa 230mila persone, tra il 1935 e il 1996, “nell’ambito di un programma basato su teorie eugenetiche”, adottate all’unanimità dal Riksdag e volte a preservare una presunta “purezza della razza nordica”.

“Le Leggi del 1934 e del 1941 furono votate grazie al consenso generale di tutti i partiti politici, ma la passività e il silenzio del Parlamento e del Governo sulle critiche fatte dal 1947 a questa politica hanno indubbiamente permesso che negli anni ‘60 e ‘70 individui fossero sterilizzati a loro insaputa o senza il loro assenso.”,

si legge nella relazione della commissione d’inchiesta, guidata dal professor Carl-Gustav Andren, che, nel gennaio del 1999, aveva fissato un risarcimento di 175mila corone svedesi [21.263 euro] a persona per le vittime delle sterilizzazioni forzate.

 

Svante August Arrhenius nasce a Vik, in Svezia, da Gustav Svante Arrhenius e Carolina Thunberg.

Greta Thunberg è una discendente di Arrhenius [https://www.thepostil.com/2019/10/].

Nel 1903, Arrhenius riceve il Premio Nobel per la Chimica con la motivazione: “in riconoscimento dei servizi straordinari resi per il progresso della chimica con la sua teoria sulla dissociazione elettrolitica”. Membro del consiglio di amministrazione della Società Svedese per l’Igiene Razziale, fondata nel 1909, è uno degli scienziati svedesi che interviene attivamente alla creazione, nel 1922, di un Istituto Statale di Biologia Razziale a Uppsala. Membro del Comitato Nobel per la Fisica e del Comitato Nobel per la Chimica, usa la sua posizione per organizzare premi per i suoi amici, Jacobus van’t Hoff, Wilhelm Ostwald, Theodore Richards, e per tentare di negarli ai suoi nemici Paul Ehrlich, Walther Nernst.

 

Gli Anni Cinquanta avevano costituito una rottura, riteneva la commissione. Si era passati da “una maggioranza di sterilizzazioni forzate a una maggioranza di sterilizzazioni consentite, dall’applicazione di teorie eugenetiche e di “preservazione della razza” a un programma di pianificazione familiare e di coesione sociale, dall’interesse collettivo all’interesse individuale”.

Fino al 1996 erano state sterilizzate circa 166mila persone [99% donne e 1% uomini], sulla base di una nuova legge del 1976 che rendeva obbligatorio il consenso degli interessati, ma la commissione d’inchiesta aveva, anche, accertato che  6mila sterilizzazioni, il 9% degli interventi, erano state forzate, mentre 15mila erano state effettuate con il consenso degli interessati, ma a condizioni ritenute “vincolanti” [https://www.nouvelobs.com/monde/20000329.OBS3272/la-suede-face-a-l-eugenisme.html].

 

https://www.youtube.com/watch?v=96XXBVrjWmo

 

Greta Tintin Eleonora Ernman Thumberg è sostenuta dal World Economic Forum, dalla Bill and Melinda Gates Foundation, dal Rockefeller Institute, dal Corporate Leaders Group del Prince of Wales, dal World Business Council for Sustainable Development e da più di 20 ONG.

E tutti vogliono realizzare la Quarta Rivoluzione Industriale!

Non è certo una “ragazza solitaria” che combatte eroicamente i poteri costituiti. È, al contrario, famosa perché è una efficace ambasciatrice di questi poteri e perché appartiene alla famiglia giusta.

Greta è un affare serio!

L’ambientalismo allarmista di Greta è impossibile da realizzare senza l’eugenetica, perché è malthusiano nella sua logica, in quanto le persone sono i nemici del Pianeta e il loro numero deve essere controllato.

 

La Germania nazista iniziò ad applicare un programma di sterilizzazione forzata a partire dal 1933[14]. Riguardava gli schizofrenici, gli epilettici, i portatori di disturbi bipolari, i ciechi, i sordi, i deformi e gli alcolisti. Più tardi la legge fu allargata ai “delinquenti abituali” e ai feti, fino al sesto mese di gestazione, di madri con malattie ereditarie.

Fu lo psichiatra svizzero Ernst Rüdin[15] a perfezionare il programma tedesco, suggerendo la presenza di medici accanto alle forze di polizia per “calmare” le persone refrattarie alla sterilizzazione forzata. Laureato in medicina nel 1898 all’Università di Zurigo, nel 1904, Rüdin fondò a Berlino e co-diresse la rivista accademica Archiv für Rassen-und Gesellschaftsbiologie [Archivio per una biologia razziale e sociale] e, nel 1905, fondò e presiedette la Gesellschaft für Rassenhygiene [Società per l’igiene razziale]. Rüdin sosteneva che alcune persone fossero geneticamente “nocive”, perché inferiori oppure portatrici di “tare ereditarie”, e, per questo, dovessero essere sterilizzate oppure uccise. Con l’ascesa del nazismo, fu nominato dal ministro degli interni Wilhelm Frick consigliere del ministero per la ricostruzione della razza tedesca e, proprio in questa veste, contribuì, nel 1933, alla legge sulla sterilizzazione dei soggetti “inferiori”, che portò alla sterilizzazione forzosa di decine di migliaia di persone affette da più o meno gravi malattie o invalidità e che fu pubblicata con la firma di Adolf Hitler sulla rivista americana Eugenical News, nel settembre del 1933. L’anno prima, dal 22 al 23 agosto, si era tenuto nell’American Museum of Natural History di NewYork, trasformato per l’occasione in una sfarzosa esposizione dei progressi dell’eugenetica, il terzo Congresso Internazionale di Eugenetica[16], nel corso del quale era stato affrontato il problema sul modo in cui “eliminare le stirpi peggiori”. Henry Fairfield Osborn[17], direttore del museo, spiegò che la crisi mondiale in corso non era dovuta, come credeva il popolo, al crack di Wall Street del 1929 e alla selvaggia speculazione finanziaria degli anni precedenti, bensì alla “sovradistruzione delle risorse naturali”; alla “sovrameccanizzazione dell’industria”; alla “eccessiva produzione di mezzi di trasporto”; alla “sovrapproduzione di cibo e altri beni e alla sovrappopolazione, con conseguente disoccupazione dei meno adatti”.

“Il solo rimedio permanente è la selezione delle nascite sostenuta da un umano controllo delle nascite”.

Grazie alla biologia molecolare, oggi, noi sappiamo che il patrimonio genetico degli esseri umani è costante e identico nei suoi tratti fondamentali, a dispetto delle diverse tipologie morfologiche esteriori e, anche se appare difficile crederlo, una parte importante delle idee, da cui trasse ispirazione il nazismo proveniva dagli Stati Uniti. Quel grande Paese era visto da alcuni nazisti come una Nazione simbolo, sia per la sua storia di espansione a Ovest, con lo sterminio e il confinamento dei nativi americani, “razza inferiore”, nelle riserve, sia per la politica di discriminazione razziale praticata negli Stati del Sud.

In Mein Kampf, scritto dal Fürer, tra il 1923 e il 1924, durante la sua prigionia, seguita al fallito tentativo di colpo di Stato di Monaco di Baviera, tra l’8 e il 9 novembre 1923, per sua stessa iniziativa e con la copertura politica di importanti uomini di potere del vecchio regime guglielmino, quali Erich Ludendorff, ex-capo di stato maggiore dell’esercito imperiale ed Ernst Röhm, alludendo agli americani, annotava:

“Esiste uno Stato al mondo che ha compiuto dei deboli progressi verso un ordine migliore.”

Nel 1927, nel secondo libro del Mein Kampf, Hitler manifestò il suo compiacimento per il modo in cui gli americani avevano “sterminato milioni di pellerossa, riducendone il numero a qualche centinaio di migliaia” [https://lanostrastoria.corriere.it/2017/03/23/razzismo-americano-e-leggi-di-norimberga/].

E vi sono altri accenni positivi rivolti agli Stati Uniti:

“L’Unione degli Stati Americani categoricamente proibisce l’entrata a individui che non godono di buona salute e semplicemente esclude certe razze. In tutto ciò l’America attua, in forma attenuata, il nostro concetto di Stato basato su individui uniti dal sangue.” [https://lanostrastoria.corriere.it/2017/03/23/razzismo-americano-e-leggi-di-norimberga/]

Il 14 luglio 1933, fu discussa dal Parlamento tedesco, egemonizzato e condizionato dal Partito Nazionalsocialista, la Gesetz zur Verhütung erbkranken Nachwuchses [Legge sulla Prevenzione della Nascita di Persone Affette da Malattie Ereditarie], che venne promulgata, il 25 luglio 1933, appena dopo la firma del Concordato con la Chiesa Cattolica, il 20 dello stesso mese, ed entrò in vigore l’1 gennaio 1934 [https://www.euthanasiegeschaedigte-zwangssterilisierte.de/themen/gesetz-zur-verhuetung-erbkranken-nachwuchses-vom-14-juli-1933-erbgesundheitsgesetz/]. La legge stabiliva che le persone affette da una serie di malattie ereditarie o di cui si supponeva un’origine genetica, quali la schizofrenia, l’epilessia, le varie forme di cecità e sordità, il morbo di Huntington e le deficienze mentali in genere, dovessero essere sottoposte a sterilizzazione forzata. A questo insieme di sfortunati esseri umani, incolpevoli del loro stato, si aggiungevano gli alcolisti cronici, in una sorta di condanna morale. Il Ministero degli Interni tedesco – retto dal bavarese Wilhelm Frick, condannato a morte e giustiziato dopo il Processo di Norimberga – da cui dipendeva anche il Ministero della Sanità, calcolò in circa 400mila il numero delle persone da sterilizzare. Furono istituiti tribunali speciali, gli Erbgesundheitsgerichten [Tribunali per la Sanità Ereditaria], formati da tre membri: due medici e un giudice distrettuale, che avevano il compito di esaminare i pazienti nelle case di cura, negli istituti psichiatrici, nelle scuole per disabili e nelle prigioni, per stabilire chi dovesse essere sterilizzato. Tra il 1933 e il 1939, sono state sterilizzate circa 350mila persone. La legge venne utilizzata come uno strumento punitivo, un mezzo utile, in molti casi, per disfarsi dei soggetti dissidenti e scomodi politicamente. Martin Bormann, segretario personale di Hitler e vera eminenza grigia del regime, fece emanare una direttiva nella quale era specificato che in una diagnosi di debolezza mentale era necessario tenere conto del comportamento politico e morale dell’individuo esaminato, una chiara allusione alla possibilità di colpire i nemici del partito attraverso il provvedimento e di soprassedere, invece, nel caso opposto.

Fritz Lang ricorda, così, l’incontro del 30 marzo 1933, con Joseph Goebbels, ministro della propaganda nazista:

“Il 30 marzo 1933, il ministro della propaganda in Germania, Joseph Goebbels, mi convocò nel suo ufficio […] e mi propose di diventare una sorta di Führer del cinema tedesco. Io allora gli dissi: “Signor Goebbels, forse lei non ne è a conoscenza, ma debbo confessarle che io sono di origini ebraiche” e lui: “Non faccia l’ingenuo signor Lang, siamo noi a decidere chi è ebreo e chi no!”. Fuggii da Berlino quella notte stessa.”[18]

“Ogni Stato ha bisogno per la sua sopravvivenza e, ancor più, per l’accrescimento della sua potenza, dell’esistenza di un ampio strato di famiglie di superiore valore ereditario. Uno Stato di tipo germanico dipende dall’esistenza di una nobiltà del sangue.”[19]

Un pensiero aristocratico avrebbe dovuto, quindi, secondo l’esempio spartano, guidare i giovani non solo nella loro condotta di vita individuale, ma anche nella scelta del coniuge.

Dunque, a impedire l’indebolimento della razza ariana attraverso unioni con individui di razze considerate inferiori, il 15 settembre 1935, fu promulgata la Legge per la Protezione del Sangue e dell’Onore Tedesco[20], ovvero la Seconda Legge di Norimberga. A questa legge si aggiunse, il 18 ottobre dello stesso anno, la Gesetz zum Schutze der Erbgesundheit des Deutschen Volkes [Legge per la Tutela della Salute dell’Ereditarietà del Popolo Tedesco], la cosiddetta Legge per la Salute del Matrimonio.

Negli anni seguenti il 1937, le politiche di riarmo intraprese dalla Germania e la necessità di manodopera fecero in modo che molti potenziali pazienti risultassero esclusi dall’applicazione di questa legge per la necessità di impiegarli come forza lavoro nell’industria pesante.

Il numero di sterilizzazioni forzate diminuì.

La maggior parte dei medici tedeschi non protestò contro l’applicazione di una legislazione che molti ritenevano perfino giusta sulla base delle idee scientifiche e antropologiche del tempo. La Chiesa Cattolica, pur deplorando il provvedimento, si tenne in disparte senza esercitare alcun tentativo di disobbedienza civile o di richiamo ai principi della libertà di coscienza, limitandosi a chiedere che i medici cattolici fossero dispensati dall’applicazione della legge e dal fare parte delle commissioni selezionatrici dei candidati alla sterilizzazione. La pratica della sterilizzazione forzata fu, dunque, l’inizio di un percorso criminale che avrebbe portato, in pochi anni, all’eutanasia nei confronti dei malati di mente, alle esecuzioni di massa dei prigionieri di guerra e dei civili durante la campagne di Polonia e di Russia e all’abominio dei campi di sterminio.

Auschwitz, Buchenvald, Mauthausen sono i nomi dei campi di lavoro e sterminio che costellano, dapprima, la cartina del Drittes Reich, e, successivamente, i Paesi annessi o caduti sotto il protettorato germanico.

I nomi più noti, perché sarebbe pressoché impossibile rammentarli tutti!

Schiavi-lavoratori forniscono braccia all’industria tedesca a un costo irrisorio; e quando lo schiavo non rende più, si può, tranquillamente, eliminare mandandolo nelle camere a gas. Gelidi burocrati, come Otto Adolf Eichmann, battono le strade d’Europa in cerca di nuove vittime, per rifornire i campi incessantemente.

La produzione della morte, come quella delle armi, non deve subire arresti!

Ma lo Stato germanico non rivela immediatamente il suo carattere infernale. Come tutti gli Stati moderni, ha bisogno di rispettabilità e di consenso sociale.

Con l’esclusione dei deputati comunisti, vittime, oltre che della violenza avversaria, del loro stesso gioco, i nazionalsocialisti si trovano a disporre della maggioranza parlamentare. Hitler si può, quindi, dedicare alla realizzazione del suo programma. Vuole “disintossicare” la scuola, la stampa, la radio, il cinema, il teatro. Il Governo rispetterà i diritti delle chiese, fattori della massima importanza per la conservazione dello spirito tedesco, ma conta, a titolo di compenso, sulla loro riconoscenza. Solo i socialdemocratici, tra i presenti in aula, si dichiarano, con fermezza, contro la legge sui pieni poteri al Governo voluta da Hitler, che passa con la complicità del centro e delle destre. Tutto il potere è centralizzato; vengono annullate le tradizionali autonomie dei Länder, i funzionari dell’apparato statale vengono nominati dal dittatore e le organizzazioni storiche dei lavoratori tedeschi, i sindacati, le cooperative vengono tolti alla gestione dei lavoratori stessi e consegnati ai gerarchi nazisti e dello Stato. I campi di concentramento si riempiono, in un primo tempo, di comunisti e di socialisti, che scontano, così, amaramente la loro incapacità di allearsi per sbarrare il passo a Hitler, quando ancora erano in tempo. I comunisti, anzi, sulla scorta delle direttive dell’Internazionale, dominata dalla burocrazia stalinista, in alcune località, come la Prussia Orientale, preferirono allearsi segretamente con i nazisti, per far cadere il Governo socialdemocratico. Uno dei comunisti tedeschi, Jan Valtin, racconta:

 

“Fu un’alleanza bizzarra, mai proclamata ufficialmente, né riconosciuta dalla burocrazia rossa né da quella marrone, ma comunque un fatto orribile. Molti dei militanti di base del partito resistettero ostinatamente; troppo disciplinati per denunciare apertamente il comitato centrale, intrapresero una silenziosa campagna di resistenza passiva, se non di sabotaggio. Tuttavia gli elementi comunisti più attivi e fedeli, io tra loro, andarono oltre con energia per trasformare quest’ultimo Parteibefehl [ordine del partito] in azione. Si concordarono tregue temporanee e unione delle forze da parte dei seguaci di Stalin e di Hitler allorquando scorgevano l’occasione di fare irruzione e interrompere assemblee e manifestazioni del fronte democratico. Durante il solo 1931, partecipai a decine di queste imprese terroristiche d’intesa con i più feroci elementi nazisti. Io e i miei compagni eseguivamo semplicemente gli ordini del partito. Descrivo di seguito alcune di queste imprese per qualificare questa alleanza Dimitrov-Hitler e per illustrare ciò che stava accadendo per tutta la Germania in quel periodo.

Nella primavera del 1931, il Sindacato Socialista dei Trasporti aveva indetto un’assemblea dei delegati navali e portuali di tutti i principali porti della Germania Occidentale. Il congresso si svolse nella Camera del Lavoro di Brema. Era aperto al pubblico e i lavoratori furono invitati ad ascoltarne lo svolgimento. Il Partito Comunista mandò un messaggero alla sede del Partito Nazista, con la proposta di sabotare insieme la Conferenza Sindacale. Gli uomini di Hitler acconsentirono, come facevano sempre in quei casi. Quando si aprì il Congresso, le gallerie erano piene di due o trecento comunisti e nazisti. Io ero responsabile dell’operazione per il Partito Comunista e un turbolento capo squadrista, di nome Walter Tidow, per i nazisti. In meno di due minuti, ci eravamo accordati per il piano di azione. Appena la conferenza dei socialdemocratici fu ben avviata, mi alzai e lanciai uno sproloquio dalla galleria. Dall’altra parte della sala Tidow fece la stessa cosa. I delegati sindacali rimasero all’inizio senza parole. Poi il relatore diede ordine di cacciare i due facinorosi, io e Tidow, dal palazzo. Ci sedemmo tranquilli, guardando con derisione le squadre di grossi sindacalisti avanzare verso di noi con l’intenzione di cacciarci fuori. Ci rifiutammo di spostarci. Appena il primo delegato sindacale ci toccò, i nostri seguaci si alzarono e scoppiò un pandemonio. I mobili vennero distrutti, i partecipanti picchiati, la sala trasformata in un mattatoio. Raggiungemmo la strada e ci sparpagliammo prima che arrivassero le ambulanze e i Rollkommandos della polizia. Il giorno dopo, sia la stampa nazista sia quella del nostro partito raccontarono in prima pagina di come i lavoratori “socialisti”, esasperati dalle “macchinazioni” dei propri leaders corrotti, avevano dato loro una bella “strigliata proletaria.”[21]

 

Nel settembre del 1930, 100 deputati nazisti sono eletti in Parlamento. Hitler è a capo della seconda formazione politica del Paese, dopo i socialisti. Ciò non preoccupa i dirigenti che disprezzano Hitler.

Scrive Stefan Zweig:

“Per loro il potere è sempre stato riservato ai baroni, ai principi e a chi ha una cultura universitaria. Niente ha tanto accecato gli intellettuali tedeschi quanto l’orgoglio della cultura.”

Hitler, invece, continua la sua ascesa.

Nel 1933, giunge al potere e si vanta di averlo fatto “senza rompere un vetro”. L’odio per la socialdemocrazia facilita, in sostanza, l’avvento di Hitler al potere, così come lo facilita l’odio per il diverso – lo straniero, l’ebreo –, che caratterizza le masse di lunghe tradizioni contadine, come appunto quelle tedesche, tormentate dalla crisi del 1929, che la propaganda nazista sfrutta, aizzando contro le democrazie. Tra gli operai delle grandi città, invece, l’antisemitismo è poco diffuso. Anzi, proprio in Germania, le organizzazioni operaie hanno avuto per tradizione dirigenti di origine ebraica, come Karl Marx, Ferdinand Lassalle e Eduard Bernstein. Ma sarebbe un errore considerare l’antisemitismo un fenomeno circoscritto alla Germania nazista: negli stessi anni, nell’Unione Sovietica, la burocrazia stretta attorno allo zar rosso, Iosif Stalin, non esita a fare ricorso alle tradizioni antisemite proprie dello zarismo. L’amico di Vladimir “Lenin” Ul’janov e rivale di Iosif Stalin, Leon Davidovic Bronstein, il creatore dell’Armata Rossa, che le masse rivoluzionarie conoscono e amano sotto il nome di battaglia di Trotzkij, viene diffamato e additato all’odio di quanti sono ignari dei giochi di potere, come l’ebreo Bronstein. E agli ebrei, sempre in quell’URSS che Lenin  aveva voluto rispettosa dei diritti delle minoranze etniche, alla minoranza ebraica vengono negati, in pratica, numerosi diritti, mentre agli oppositori politici – comunisti compresi – si spalancano, per ordine di Stalin, le porte dell’Arcipelago Gulag, sistema di deportazione più grande di quello realizzato dai tedeschi.

Oramai, saldo in sella, Hitler si libera, nella Notte dei Lunghi Coltelli [30 giugno-1 luglio 1934] – ricordata in Germania come Röhm-Putsch o anche come Operazione Colibrì – dell’incomodo e rissoso Ernst Julius Günther Röhm[22], che, in qualche modo, rappresenta certe istanze grossolanamente populiste ed egualitarie del vecchio movimento nazista. Lui stesso non nascondeva di essere un tipo poco raccomandabile, anzi se ne vantava.

“Siccome avevo un temperamento immaturo e bollente, la guerra e l’agitazione esercitavano su di me maggiore attrattiva che non il buon ordine borghese” e “ non mi colloco tra le persone oneste e non ho neppure la pretesa di farne parte.”,

così si presentava, con ostentata spavalderia, lo sfregiato Röhm, l’uomo giusto per scatenare la violenza nelle città:

“La brutalità è sempre oggetto di rispetto, il popolo ha bisogno di una salutare paura. Ha bisogno di temere qualcosa, desidera che qualcuno lo spaventi e lo renda tremante e sottomesso.” 

Ancora prima della promulgazione delle Leggi Razziali di Norimberga[23], che li avrebbe esclusi da ogni aspetto della vita sociale, agli ebrei è vietato laurearsi in medicina e quelli che già esercitavano potevano farlo solo sui correligionari. All’epoca, è ebreo il 15% circa dei medici tedeschi e il 50% di quelli berlinesi; entro la fine della guerra, il 25% dei medici ebrei sarà ucciso, il 5% morirà suicida e il restante 70% lascerà la Germania. Secondo le Leggi Razziali di Norimberga, che devono fondare giuridicamente la politica antisemita del Drittes Reich, viene considerato “ebreo completo”, Volljude, chi ha tre nonni razzialmente ebrei. Si precisa che “un nonno è ebreo quando appartiene alla comunità religiosa ebraica”, Glaubenjude. Le Leggi Razziali di Norimberga toglieranno agli ebrei tedeschi la cittadinanza del Reich[24] e proibiranno loro di sposarsi o di avere relazioni sessuali con persone “di sangue tedesco o di sangue affine a quello tedesco”. Norme ausiliarie a queste leggi li priveranno, poi, della maggior parte dei diritti politici. Gli ebrei saranno, anche, spogliati del diritto di voto, e non potranno più formalmente partecipare alle elezioni. Infine, sarà loro vietato di ricoprire incarichi nella pubblica amministrazione. Hitler vuole un esodo progressivo e alterna terrore a garanzie formali. Una ordinanza del Ministero degli Interni del 17 gennaio 1937 preciserà che la legislazione, che esclude gli ebrei da certi settori dell’attività nazionale, non è estesa al settore privato. E il Ministero del Lavoro assicurerà che gli ebrei godranno degli stessi diritti di cui godono gli ariani. Il fine è quello di non gravare sull’economia tedesca con bruschi scossoni, ma il metodo non darà i risultati previsti.

I 500mila “ebrei completi”, censiti dal Drittes Reich, nel 1933, si erano, dunque, sentiti rassicurati e solo 37mila sarebbero emigrati subito dopo le prime persecuzioni. Solo 20mila ebrei avevano, infatti, lasciato, annualmente, la Germania, tra il 1934 e il 1937. Neppure le Leggi Razziali di Norimberga erano riuscite ad accelerare l’esodo. Erano, di fatto, partiti solo gli ebrei coinvolti in attività politiche o con grandi fortune all’estero, quelli  senza mezzi per rifarsi una vita altrove erano stati costretti a restare.

Alla fine del 1937, sarebbe iniziata la sistematica razzia dei beni ebraici e, nel 1938, nell’indifferenza delle democrazie europee, il terrore che portò al lager.

Nelle settimane precedenti e successive alle Olimpiadi Invernali di Garmish-Partenkirchen e alle Olimpiadi Estive di Berlino del 1936, il regime nazista moderò, decisamente, i toni della sua retorica antisemitica, così come delle attività anti-ebraiche. Il regime rimosse, perfino, da alcuni luoghi pubblici i cartelli che riportavano la scritta: “Qui non vogliamo Ebrei”. Hitler non voleva critiche al suo Governo. Avrebbero costituito un grave colpo al prestigio tedesco e scoraggiato il turismo internazionale durante l’anno olimpico e i proventi che ne sarebbero derivati. Per rassicurare l’opinione pubblica, fece, anche, gareggiare nella nazionale tedesca Helene Julie Mayer[25], un’atleta di padre era ebreo e madre luterana, già medaglia d’oro nella scherma, all’età di diciassette anni, nei Giochi Olimpici del 1928, ad Amsterdam, in rappresentanza della Germania. Nel 1931, il Comitato Olimpico Internazionale aveva aggiudicato a Berlino l’organizzazione dei Giochi Olimpici estivi del 1936. Due anni più tardi, Adolf Hitler era divenuto cancelliere della Germania. Diversi movimenti e organizzazioni sorsero negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Francia, in Svezia, in Cecoslovacchia e in Olanda per boicottare le Olimpiadi, mentre alcuni atleti ebrei di diverse nazionalità decisero, individualmente, di non partecipare ai Giochi.

L’appuntamento nella Nazione che, nel 1935, aveva varato le Leggi Razziali contraddiceva lo spirito decoubertiniano che, fino dall’origine, aveva visto nello sport uno strumento di pace e di fratellanza tra i popoli. Tuttavia, quando nel dicembre del 1935, l’Associazione degli Atleti Dilettanti degli Stati Uniti votò a favore della partecipazione alle Olimpiadi, anche gli altri Paesi si adeguarono alla decisione. Le Olimpiadi berlinesi furono dovute all’abile regia del regime hitleriano, che lasciò nella carica di responsabile del Comitato Olimpico Germanico Theodor Lewald, tedesco di origini ebraiche e personaggio assai influente nel Comitato Olimpico Internazionale. Miliardi di marchi dell’epoca vennero spesi per progettare e riattare stadi e palazzi e concepire colossali coreografie che mostrassero la potenza della Germania nazista.

 

Le Olimpiadi di Berlino furono un evento di propaganda nazista: durante le cerimonie di apertura la fiamma olimpica fu fatta passare davanti alle fila della gioventù hitleriana.

 

Il 21 agosto 1936, si leggeva sul Nieuwsblad van Friesland:

 

DUITSCHE OLYMPIADE-TRAGIK

[TRAGEDIA ALLE OLIMPIADI TEDESCHE]

 

 

Il 19 agosto 1936, tre giorni dopo la conclusione dei Giochi Olimpici, infatti, il capitano Wolfgang Fürstner[26], responsabile dell’organizzazione del villaggio olimpico, si era suicidato con un colpo di pistola. In accordo con le recenti Leggi Razziali di Norimberga, sarebbe stato espulso dall’esercito, in quanto ebreo.

Suo nonno, il dottor Karl Fürstner, era un ebreo convertito al cristianesimo. Le autorità  naziste e la stampa tedesca cercarono di coprire il suicidio, al fine di evitare danni alla reputazione internazionale della Germania, facendo circolare la notizia che fosse morto in un incidente stradale, ma la realtà non tardò a venire alla luce, confermando quello che molti sospettavano, ma nessuno osava dire.

Così commentò la notizia sul proprio diario Alfred Rosenberg, uno degli ideologi del nazismo:

“Apprendo oggi 21 agosto del suicidio del capitano Fürstner, responsabile dell’organizzazione del Villaggio Olimpico. Si era saputo da qualche tempo che aveva sangue ebraico. Ha ottemperato ai suoi doveri fino all’ultimo giorno delle Olimpiadi, e poi è caduto vittima di un esaurimento nervoso. Uno dei molti, tristi casi limite. Rispetto assoluto per questo gesto di dignità, che gli proviene certamente dal suo lato germanico!”

Nell’estate del 1936 non era più possibile ignorare ciò che stava accadendo in Germania. Hitler aveva rimilitarizzato la Renania – in violazione del Trattato di Versailles, con il quale si era conclusa la Prima Guerra Mondiale – e aveva iniziato i rastrellamenti di ebrei, zingari, oppositori, omosessuali e disabili che venivano prelevati e portati nei campi di concentramento.

 

 

Il quotidano australiano The Sydney Morning Herald [SMH] dette la notizia che Wolfgang Fürstner era stato trovato morto con una pistola al suo fianco.

The New York Times, Aug. 21, 1936, Olympic Official killed himself, Fuerstner had been dismissed from active army service because of Jewish blood. Status long threatened war ministry advertisement is sole press tribute to the builder of Berlin village.

 

Nella sua autobiografia del 1987, Lanterna Magica, il regista svedese Ingmar Bergman non fa mistero del modo in cui si sentisse trascinato dall’entusiasmo unanime per il “Salvatore della Germania”,  assistendo, nel 1936, a una parata in occasione delle Olimpiadi di Berlino [https://www.lastampa.it/cultura/2007/08/29/news/bergman-ammirava-hitler-1.37119998, https://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/1999/09/09/ST402.html]:

“Non ero stato vaccinato in Svezia contro l’ideologia nazista e tutto in essa mi apparve ammirevole. Era affascinante, almeno così io sentivo le cose all’epoca. Vi fu, durante il mio soggiorno una grande parata e il Führer fece la sua comparsa. Noi eravamo molto vicini a lui: il fascino che emanava da tutto quello spettacolo era abbagliante. Sono tornato in Svezia completamente convertito al nazionalsocialismo: non avevo mai visto nulla di simile.” [https://www.cairn.info/revue-la-clinique-lacanienne-2012-1-page-229.htm] [27]

In un tale contesto non sorprende che il giovane Ingmar Bergman fosse tornato trasformato dal breve soggiorno berlinese e avesse provato simpatie per il nazismo prima e durante la Seconda Guerra Mondiale.

 

Feodor Ingvar Kamprad

Il libro di Elisabeth Aasbrink, E nel Wienerwald sono rimasti gli alberi, getta su Feodor Ingvar Kamprad, scomparso all’età di novantuno anni, il 28 gennaio 2018, ombre oscure che difficilmente possono essere diradate. La giornalista televisiva rivela, infatti, che Kamprad, il fondatore di Ikea, l’azienda dei mobili a basso prezzo, non solo era iscritto al Partito Nazionalsocialista svedese con la tessera numero 4.014, ma ha, anche, fatto parte del gruppo di azione SSS.

Heléne Lööw, docente di storia all’università di Uppsala, spiega:

“Intorno agli Anni Trenta-Quaranta, erano molti i giovani che cercavano un’identità politica ed erano facili prede della propaganda. Anche nei primi Anni cinquanta, si verificò un sbandamento sulla scia del contrasto fra Est ed Ovest. Ma il fatto che Kamprad abbia aderito, fino al 1955, al movimento neonazista approfondisce la conoscenza del suo carattere ed è strano che egli non ne abbia parlato prima, quando furono rivelate le sue simpatie giovanili per il nazismo. L’Ikea è quasi un’istituzione nazionale svedese ed è interessante discutere di questa materia.”

 

“È stato uno degli uomini che ha reso la Svezia ricca, avazata e famosa nel mondo come modello di qualità della vita e design, ma in gioventú era nazista convinto. I suoi prodotti, dal Nordamerica all´Italia, dalla Germania alla Cina, erano simbolo di arredamento di buon gusto e low cost, ma pur di risparmiare non esitò a delocalizzare sempre maggior parte della produzione in Cina, altri paesi asiatici, Romania, o diverse locations in cui i suoi dipendenti lavoravano in condizioni disumane, sottopagati e senza diritto ad appoggiarsi alla difesa di organizzazioni sindacali. Ingvar Kamprad, fondatore e patron di Ikea, il gigante svedese del mobilio low cost, è morto stamane a 91 anni nella sua casa di Smaland. Nella patria che aveva di fatto legalmente tradito, per pagare meno tasse, trasferendo per decenni la sua residenza in Svizzera. Poi invecchiando si era pentito, e patteggiando aveva potuto tornare a casa. Era la cosa cui teneva di piú, disse recentemente, nell’autunno della sua vita. Nella Storia del grande nord e dell’economia mondiale resterà uno degli imprenditori piú geniali e controversi, e uno dei vip svedesi e scandinavi piú discussi del mondo.

“Mi è sempre piaciuto produrre e vendere a basso costo”, era il suo motto da quando inizió coi fiammiferi in gioventú. Era nato nel piccolo villaggio di Aelmhult, e cominciò a lavorare in proprio quando a soli 17 anni ebbe un premio in denaro da suo padre per i suoi buoni risultati a scuola. Usó i soldi per costruire uno stabilimento di fiammiferi, e allora nacque il logo: IKEA è sigla derivata dalle sue iniziali piú dall’abbreviazione di Elmtaryd, la fattoria dov’era cresciuto, e di Agunnaryd, villaggio nelle vicinanze.

Ma cominció subito, hanno poi detto per decenni i liberi media svedesi attaccandolo piú volte per decenni, a lavorare senza scrupoli. Per sua stessa ammissione, si accorse che avrebbe risparmiato in barba ai suoi dipendenti acquistando fiammiferi [i famosi svedesi] altrove nel paese al minimo costo di produzione possibile e poi rivendendoli.
Fin qui la spregiudicatezza. Ma le accuse piú gravi lo collegano indirettamente al periodo piú cupo della Storia europea: l´ascesa al potere di Hitler, le persecuzioni degli ebrei prima tedeschi poi di tutta Europa, la seconda guerra mondiale e il lancio dell´Olocausto da parte del Terzo Reich a seguito delle decisioni di genocidio industriale prese scientificamente a tavolino dai gerarchi nazisti alla conferenza del 1942 nella celebre villa sul Lago Wannsee presso Berlino, detta “Conferenza per la soluzione finale del problema ebraico”.
Ingvar Kamprad già giovane imprenditore affermato non poteva non sapere, nonostante quanto poi disse prima cercando di difendersi. Tanto piú che nella Svezia neutrale trovarono rifugio e salvezza molti ebrei scampati ai nazisti dall´Europa occupata, e narrarono chiaro. Non importa, lui – tra i non pochi membri dell´establishment civile e militare svedese che allora ammirarono il nazismo, considerando anche gli scandinavi una razza superiore pura – si iscrisse al piú importante movimento nazionalsocialista del regno, il Nysvenska Rörelsen [nuovo movimento svedese]. Fece parte attiva anche dell’organizzazione paramilitare SSS – sigla ispirata ovviamente a quella delle Waffen-SS hitleriane – del movimento, organizzazione che non di rado minacciava gli ebrei o lasciava scritte e messaggi ostili presso le loro abitazioni o negozi, e insieme svolgeva attiva propaganda antisemita. Fu amico del piccolo Führer del movimento, Per Engdahl, lo aiutó instancabilmente nel reclutamento di nuovi militanti, ne restó grande amico persino dopo la guerra e la disdfatta dell’Asse, fino agli anni Cinquanta. E anche dopo la sua morte lo definí in pubblico “un grande uomo”, pur “non condividendone tutte le idee”.

Ingvar Kamprad non fu mai sanzionato per queste incancellabili pagine buie della sua biografia. Perché era diventato un simbolo troppo importante del successo del modello svedese, con i socialdemocratici di Tage Erlander e piú tardi di Olof Palme al potere per decenni, iniziatori dell’invidiato modello di capitalismo competitivo ma sociale col miglior welfare del mondo e modello di società solidale coi paesi poveri e aperta a tutti i migranti. Toccando lui, molti pensarono, si sarebbe aperta una crepa nell’immagine del modello. E secondo gli storici, sarebbero venute a galla magari troppe pagine imbarazzanti sulla comoda neutralità svedese in guerra, quelle narrate all’epoca di Olof Palme dal celebre studio storico-atto d’accusa Heder och Samvete, “Onore e coscienza”.

Andrea Tarquini, Dal nazismo al lavoro minorile, la controversa biografia di Mr Ikea,  la Republica, 28 gennaio 2018 [https://www.repubblica.it/economia/2018/01/28/news/biografia_kamprad_controversa_nazismo_lavoro_minorile-187478633/]

 

Alla fine degli Anni Trenta, un crescente flusso di profughi ebrei provenienti dalla Germania si diresse verso i Paesi europei.

Pochi Stati furono disposti ad accoglierli, del resto come si poteva stabilire chi fosse ebreo e chi no?

Nel 1938, la Svezia e la Svizzera proposero alla Germania di fornire agli ebrei dei passaporti speciali, e, il 5 ottobre di quell’anno, tutti i passaporti appartenenti ad ebrei furono annullati, e gli ebrei che intendevano viaggiare dovettero ottenerne uno nuovo, timbrato con una “J” maiuscola inchiostrata di rosso sulla prima pagina.

Cito una frase dello storico Alf Johansson che si riferisce agli anni in cui il Paese sembrava in bilico tra il movimento operaio, rappresentato dal partito socialdemocratico, e il nascente prestigio del nazionalsocialismo:

“Non vi era nulla che i nazisti in Germania potessero realizzare con la dittatura che i socialdemocratici non potessero realizzare in Svezia con la democrazia.”

Nel 1943, quando divenne chiaro che Hitler avrebbe perso la guerra, la Svezia si affrettò a ristabilire parte della propria reputazione.

 

 

 

 

Nel dibattito pubblico italiano, tutta l’efficacia simbolica del discorso ostile alla biomedicina e alla genetica contemporanee deriva dall’impiego polemico e strumentale di connotazioni fortemente negative della parola “eugenica”. Si tratti di fecondazione assistita, di clonazione umana terapeutica o di eutanasia, è sempre questa parola-tabù a comparire. E ad accompagnarla è sempre l’evocazione di uno spettro: quello dello sterminio nazista. La diagnosi preimpianto – per citare solo un esempio – sarebbe la “punta dell’iceberg”, il primo passo in un “piano inclinato”, che conduce necessariamente alla violenza del nazismo. Dal punto di vista storiografico, un primo limite di tale reductio ad Hitlerum del concetto di eugenica consiste nell’assolutizzazione dell’esempio nazista, eretto a paradigma totalizzante di un’eugenica interpretata sostanzialmente come “pseudo-scienza razzista e antisemita”. In realtà, ogni passaggio di questa argomentazione si rivela, agli occhi dello storico, superficiale e infondato. Innanzitutto, è difficile liquidare genericamente come “pseudo-scienza” quello che rimane un primo tentativo di approccio sperimentale al problema dell’eredità umana. Non solo molti fra i più importanti statistici, biologi e genetisti del novecento erano eugenisti [ad esempio, Ronald A. Fisher, Wilhelm Weinberg, Hermann J. Muller], ma anche numerose acquisizioni nel campo della genetica medica – si pensi soltanto al “metodo dei gemelli” – sono scaturite da ricerche di impronta eugenetica. Allo stesso modo, l’equivalenza fra eugenica e razzismo è altrettanto fallace. Nella Germania weimariana, la maggior parte degli eugenisti non era né razzista né antisemita: il termine Eugenik era stato appositamente coniato dagli ambienti scientifici berlinesi per sostituire la nozione di Rassenhygiene, largamente compromessa con i circoli bavaresi del razzismo volkisch. E l’influenza degli eugenisti “filo-ariani” non fu mai così debole come negli anni che precedettero l’affermazione politica del nazionalsocialismo. Non vi è dubbio che preoccupazioni classiste e razziste abbiano alimentato lo sviluppo dell’eugenica britannica e statunitense: se il bersaglio principale dell’Eugenics Education Society londinese era, infatti, il sottoproletariato [residuum o pauper class], ritenuto pericoloso per il suo basso livello intellettivo e la sua alta fertilità, negli Stati Uniti ad alimentare l’ideologia e la prassi eugenetica fu soprattutto l’incubo del “suicidio razziale” della Nazione americana, prodotto dalle ondate di “plasma germinale difettoso” degli immigrati giunti dall’Europa dell’Est, dai Balcani, dall’Italia. Non a caso la legge restrittiva dell’immigrazione del 1924 – il Johnson-Reed Restriction Act – verrà elaborata con la consulenza di eugenisti statunitensi come Harry Laughlin e Charles B. Davenport. Sarebbe, tuttavia, errato limitare l’eugenica agli orizzonti ideologici delle élite conservatrici. Con la sua progettualità modernizzatrice e la sua logica tecnocratica, il programma eugenetico attirò, infatti, le attenzioni, nella prima metà del Novecento, dei new liberal, dei fabiani britannici [si pensi a George Bernard Shaw o ai coniugi Webb], dei socialdemocratici tedeschi e scandinavi, dei “progressisti” americani, dei radicali e comunisti francesi. Negli Anni Trenta, biologi di orientamento marxista come Lancelot Hogben o John B. S. Haldane sostennero l’idea di un’eugenica “bolscevica”: soltanto l’eliminazione delle disuguaglianze prodotte dal sistema capitalistico avrebbe consentito il pieno sviluppo delle potenzialità biologiche degli individui. Nello stesso periodo, l’interpretazione “razionale” della maternità suggerita dall’eugenica suscita gli entusiasmi dei movimenti neomalthusiani e dei gruppi femministi, alimentando le prime campagne per la depenalizzazione dell’aborto, per il controllo delle nascite, per l’educazione anticoncezionale delle donne: ben noti sono i nomi di Margaret Sanger e di Marie Stopes, paladine del birth control rispettivamente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Non soltanto sul piano degli orientamenti ideologici, ma anche su quello delle politiche eugenetiche il quadro internazionale appare estremamente complesso e sfumato. A partire dai primi decenni del Novecento, infatti, all’eugenica “nordica”, essenzialmente anglo-americana e tedesco-scandinava, contraddistinta da birth control, sterilizzazioni e certificati prematrimoniali obbligatori, si contrappone – in Paesi come l’Italia, la Francia, il Belgio e diversi Stati dell’America Centro-Meridionale – un’eugenica “latina”, i cui precetti rientrano generalmente negli ambiti dell’assistenza materno-infantile, della medicina sociale preventiva, del natalismo demografico. All’assolutizzazione del modello nazionalsocialista, l’uso pubblico del concetto di eugenica alterna paradossalmente la sua banalizzazione. I nazisti, in sostanza, non avrebbero inventato nulla: le democrazie statunitensi e scandinave non hanno anch’esse approvato delle leggi di sterilizzazione? L’analisi delle connessioni – pur esistenti e accuratamente studiate dagli storici – fra l’eugenica americana e quella nazista, lungi dall’aiutare a comprendere la complessa rete delle affinità e delle divergenze, viene invece invocata per sostenere un’identità: l’americanismo è un nazismo. Né miglior sorte tocca alle socialdemocrazie scandinave, le cui politiche eugenetiche, fortemente legate ai processi di elaborazione dei modelli locali di Welfare State, vengono anch’esse immediatamente assimilate alla Rassenhygiene tedesca. L’eugenica nazista, eretta in precedenza a categoria onnicomprensiva, si fa ora opaca: non molta strada separa così Adolf Hitler da Theodore Roosevelt, Heinrich Himmler da Gunnar Myrdal. Ad essere banalizzata è ovviamente la drammatica originalità storica – tanto qualitativa quanto quantitativa – dell’eugenica nazista: soltanto la legge sulla sterilizzazione del 14 luglio 1933 prevedeva, infatti, la coercizione e l’uso della violenza fisica contro i disabili; e nei primi quattro anni di applicazione, furono tra i 320mila e i 400mila i cittadini tedeschi sterilizzati in questo modo. E soltanto nella Germania nazista si giunse all’elaborazione di un programma di eutanasia [l’Operazione T4] finalizzato all’assassinio di malati di mente, invalidi e anziani. Alla luce di queste considerazioni, una messa a punto storiografica deve essere considerata come il primo passo verso il superamento dell’uso pubblico distorto del concetto di eugenica. E questo per 2 ragioni. Innanzitutto, per un necessario dovere di obiettività: nel nome dell’eugenica molte teorie e politiche differenti sono state formulate e realizzate. L’eugenica non è soltanto Madison Grant o Josef Mengele, ma anche Julian Huxley o Havelock Ellis; non è soltanto la sterilizzazione obbligatoria, ma anche il controllo delle nascite, il free love, le campagne anti talassemia. In secondo luogo, perché la complessità storiografica può far luce sull’ambiguità semantica attuale della parola “eugenica”. Una delle principali sorgenti delle convulse discussioni sul problema dell’eugenica scaturisce, infatti, proprio dal fatto che gli interlocutori, nel loro uso del termine, non cessano di oscillare tra l’accezione più larga [una coppia sogna di avere bambini privi di gravi anomalie] e quella più ristretta [uno Stato attua un programma esplicito di azione eugenetica]. La riflessione storiografica sull’eugenica può in tal senso favorire, nell’ottica del presente, una ridefinizione semantica del concetto, incentrata sulla distinzione fra le due diverse accezioni in gioco: da un lato, un significato forte, che interpreta l’eugenica come il progetto di miglioramento dei caratteri genetici di una popolazione, attuato da uno Stato per mezzo di provvedimenti coercitivi; dall’altro, un significato debole, che identifica, invece, le pratiche selettive della genetica contemporanea basate sul rispetto dell’etica medica e dell’autonomia riproduttiva dell’individuo. Soltanto attraverso una precisa distinzione fra i due significati, storiograficamente fondata, la parola “eugenica” potrà conservare ancora un qualche senso nel dibattito pubblico italiano, cessando di essere un mero strumento di delegittimazione del nemico ideologico.

Francesco Cassata, Quando l’eugenetica è diventata un tabù, la Repubblica, 2 marzo 2007 [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/03/02/quando-eugenetica-diventata-un-tabu.html]

 

 

 

Nei primi decenni del XX secolo, gli Stati Uniti, precorrendo l’eugenetica nazista, avevano autorizzato la sterilizzazione coatta di pazienti psichiatrici, condannati per crimini sessuali, oligofrenici, “imbecilli”, individui “moralmente depravati”, epilettici. In realtà, immigrati, slavi, ebrei, homeless e, soprattutto, neri.

Il 9 marzo 1907, lo Stato dell’Indiana approvò la prima legge per la sterilizzazione di pazienti ricoverati in istituti psichiatrici: individui pluricondannati per crimini sessuali; oligofrenici;   ed epilettici [https://www.in.gov/history/state-historical-markers/find-a-marker/1907-indiana-eugenics-law/, https://eugenicsarchive.ca/discover/connections/53234888132156674b00024e]. Delle apposite commissioni di esperti, formate da medici e giuristi, valutavano il grado della loro deficienza mentale sulla scorta di appositi tests psicologici. Negli anni seguenti, tale pratica si estese anche ad altri Stati americani, oltre venti, tanto che le sterilizzazioni forzate furono alcune decine di migliaia. Dal 1907 al 1973, lo Stato dell’Indiana ha sterilizzato 2.500 persone e, solo all’inizio del 2007, si è scusata per avere implementato il programma [https://www.wfyi.org/programs/indiana-eugenics].

La California, dal 1909, applicò con così grande zelo la sterilizzazione coatta, che, nel 1922, negli ospedali dello Stato furono eseguiti 2.558 interventi. Lo Stato della California ha sterilizzato più di qualsiasi altro Stato americano e si è reso responsabile di oltre un terzo di tutte le operazioni di sterilizzazione sul territorio statunitense. Informazioni sull’ambizioso programma californiano di sterilizzazione, un modello per chi sosteneva la necessità di attuare la sterilizzazione coatta, furono, ampiamente, diffuse dagli eugenetisti Ezra Seymour Gosney e Paul Bowman Popenoe [https://wellcomecollection.org/works/xs6y4zu6] in Sterilization for Human Betterment, pubblicato nel 1929, e rapidamente tradotto in Germania. Un lavoro riconosciuto da Hitler di importanza fondamentale per dimostrare che i programmi di sterilizzazione obbligatoria su larga scala erano fattibili. Adolf Hitler non mancò di esprimere, personalmente, il proprio apprezzamento all’antropologo razzista Madison Grant per il libro The Passing of the Great Race [1916], che il capo del Partito Nazionalsocialista definì la sua “Bibbia”, tanto da riciclare nel Mein Kampf l’ideologia razziale dello “scienziato” americano. Nel 1935, il Los Angeles Times giunse, perfino, a pubblicare un elogio delle sterilizzazioni naziste degli handicappati.

Nel 1937, le sterilizzazioni praticate negli Stati Uniti  superarono il numero di 25mila, di cui circa la metà eseguite in California, e, allorché i giornali americani denunciarono le iniziali misure razziali naziste, i giornalisti tedeschi attaccarono gli Stati Uniti per la loro ipocrisia, ricordando che, a eccezione del Sud Africa, erano l’unico Paese a praticare dure leggi razziali e che “il linciaggio delle minoranze etniche è un fenomeno che la Germania non ha, mai, conosciuto.

Il quotidiano newyorkese The Sun, aveva, già, preconizzato, in un articolo del 1847, che l’americano avrebbe superato, perfino, l’aggressività dei suoi antenati germanici!

Come chiarisce Stefan Kühl in The Nazi Connection: Eugenics, American Racism, and German National Socialism, i nazisti avevano appreso dagli americani le modalità per conseguire, nel modo migliore, questo fine.

Ben prima dell’ascesa al potere di Hitler, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, vede la luce a Chicago, nel 1913, un libro che, già, nel titolo, addita gli Stati Uniti come modello di “igiene razziale”, Die Rassenhygiene in den Vereinigten Staaten von Nordamerika [L’Igiene Razziale negli Stati Uniti del Nord America] [https://wellcomecollection.org/works/kbzsy6zu]. L’autore, Géza von Hoffmann, vice-console dell’Impero Austro-Ungarico a Chicago, celebra gli Stati Uniti per la “lucidità” e la “pura ragion pratica” di cui danno prova nell’affrontare – e con la dovuta energia – un problema così importante, eppure così frequentemente rimosso: violare le leggi che vietano i rapporti sessuali e matrimoniali misti può comportare anche 10 anni di reclusione e, a essere condannabili, oltre ai protagonisti, sono anche i loro complici.

“La fertilità ridotta degli Yankees è considerata una disgrazia nazionale e l’espressione utilizzata da Roosevelt, sucidio razziale [Rassenselbstmord], divenuta una parola d’ordine, esprime in modo calzante l’angoscia per il sopravvento di strati della popolazione di scarso valore.” [https://www.marxismo-oggi.it/saggi-e-contributi/saggi/185-white-supremacy-e-controrivoluzione-stati-uniti-russia-bianca-e-terzo-reich]

E, ancora dopo l’avvento del nazismo, gli ideologi e gli “scienziati” della razza continuavano a ribadire:

“Anche la Germania ha molto da imparare dalle misure dei nord-americani: loro sanno il fatto loro!”

È evidente che non siamo in presenza di un rapporto a senso unico. La cooperazione programmatica tra gli Stati Uniti e la Germania, si protrasse fino all’inizio della Seconda Guerra Mondiale: una complicità che avvenne ai più alti livelli sociali, politici e accademici.

In un editoriale del 1912, Come migliorare la razza, apparso sulla rivista elitaria The World’s Work si legge:

“Per molti uomini [l’eugenetica] è divenuta una religione.”, proprio come auspicato dal suo fondatore, sir Francis Galton[28].

 

All’epoca, la campagna degli eugenisti per la sterilizzazione coatta, seppure appena iniziata, stava raccogliendo ampi consensi, tanto che sulla stessa rivista si legge: 

“Vi è una accettazione sorprendentemente pronta dell’idea che ai non adatti non debba essere permesso di diventare padri e madri.”

Una volta accettata la correlazione tra comportamento depravato e scarsa intelligenza, Henry H. Goddard poteva, serenamente, affermare:

“Come vi può essere l’eguaglianza sociale dato questo ampio spettro di capacità mentale?”

Il passo successivo fu quello di collegare i comportamenti degenerati con la razza o il gruppo etnico. Secondo Robert M. Yerks “gli uomini di carnagione più scura dell’Europa Meridionale e gli slavi dell’Europa Orientale sono meno intelligenti degli uomini di carnagione chiara dell’Europa Settentrionale e Occidentale” e sempre per quanto attiene all’intelligenza “il negro si trova al gradino più basso della scala”. Per preservare, dunque, la purezza della razza si dovevano evitare i matrimoni tra individui appartenenti a razze diverse.
Harry Hamilton Laughlin, direttore del più importante centro statunitense per la ricerca e la diffusione dell’eugenetica, l’Eugenics Record Office, affermava: 
“Gli immigrati provenienti dall’Europa Meridionale e Orientale, gli ebrei in particolare, erano sotto il profilo razziale così differenti e geneticamente talmente inferiori rispetto all’attuale popolazione americana che qualsiasi mescolanza razziale sarebbe stata deleteria.” 

Per evitare la contaminazione della razza, agli appartenenti ad altre razze doveva essere negato l’ingresso nel Paese, mentre, per gli oligofrenici, Goddard, nel 1914, suggeriva il ricorso all’internamento in istituti:

“A nessun oligofrenico dovrebbe essere consentito di sposarsi o di diventare genitore. È evidente che, se si deve realizzare questa regola, la parte intelligente della società deve imporla.”

Sarà il biologo eugenista Charles B. Davenport[29], direttore del Cold Spring Harbor Laboratory, nello Stato di New York, a incaricarsi di sostenere il ricorso alla sterilizzazione per bloccare il flusso “del protoplasma imperfetto e degenerato”.

Nel 1924, con l’Immigration Act, anche noto come Johnson-Reed Act, l’America, in armonia con i principi del movimento eugenetico americano, limitava i flussi d’immigrazione per difendere la propria purezza razziale dai popoli dell’area del Mediterraneo e dell’Europa dell’Est, per una presunta inferiorità biologica.

Fino a che punto volevano spingersi i paladini dell’eugenetica per realizzare l’utopia che avrebbe concepito la super-razza?

Ostracismo sociale, restrizioni all’immigrazione, segregazione e sterilizzazione obbligatoria per eliminare gli inadatti rientravano nell’eugenetica. In quel periodo, negli Stati Uniti, il movimento eugenetico elaborò altre proposte, che, anche se non vennero molto propagandate, sarebbero arrivate alla loro applicazione nella Germania di Hitler. Il dottor W. Duncan McKim nel suo libro Heredity and Human Progress [Ereditarietà e Progresso Umano], pubblicato nel 1899, aveva portato alle estreme conseguenze il pensiero eugenetico, sfociando nell’eutanasia[30] con la richiesta di sopprimere quanti non fossero degni di procreare.  Il dottor McKim suggerì di impiegare l’acido carbonico per sterminare, “pietosamente”, la parte “difettosa” della popolazione americana, accelerando, così, il corso “precostituito” dell’evoluzione.

All’ombra della Seconda Guerra Mondiale i nazisti avrebbero realizzato il progetto ideato da McKim!

Negli Stati Uniti, le sterilizzazioni coatte sono state vietate, nel 1973, dal Department of Health, Education and Welfare, in seguito alla delibera di una commissione senatoriale, presieduta dal senatore democratico Ted Kennedy, la quale aveva rilevato che, solo nell’anno precedente, sulla base dei vigenti programmi federali, la sterilizzazione aveva menomato 8mila donne e 16mila uomini.

Nel 2001, lo Stato della Virginia si è scusato con i circa 8mila “imbecilli” e “criminali”, legalmente sterilizzati con l’avallo della stessa Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, che, nel 1927, si era espressa a favore della legge della Virginia che autorizzava la sterilizzazione coatta dei “portatori di una forma ereditaria di malattia mentale o imbecillità”.

Abbiamo visto più di una volta la società chiedere ai propri migliori elementi il sacrificio della loro vita. Sarebbe strano non poter chiedere a quelli che già attentano alla forza dello Stato questi sacrifici minori, spesso non percepiti tali dagli interessati, al fine di evitare di essere sommersi dall’incapacità. Sarebbe meglio per tutti se, invece di aspettare di giustiziare la progenie degenerata per qualche crimine, o di lasciarla morire di fame per la sua imbecillità, la società potesse impedire a coloro che sono chiaramente non idonei di riprodurre la propria specie. Il principio che legittima la vaccinazione obbligatoria è adeguatamente ampio da includere la legatura delle tube di Falloppio. Tre generazioni di imbecilli sono più che sufficienti.”

[…]

Sarebbe meglio che questo ragionamento fosse applicato genericamente, perché sarebbe insufficiente se limitato al piccolo numero di coloro che sono nelle istituzioni e non applicato alla popolazione intera. È il fine ultimo delle ragioni costituzionali sottolineare difetti del genere. La legge fa tutto ciò che è necessario quando fa tutto ciò che può, indica una politica, la applica indistintamente nelle sue linee, e cerca di farlo nella maniera più veloce e incisiva possibile. Tanto profondamente che le operazioni consentono a chi altrimenti sarebbe dovuto rimanere confinato di ritornare nella società, per aprire ad altri le porte delle istituzioni, al fine di raggiungere prima possibile l’obiettivo dell’eguaglianza.

La Giustizia ha affermato.” [https://www.npr.org/2017/03/24/521360544/the-supreme-court-ruling-that-led-to-70-000-forced-sterilizations, https://www.cato.org/blog/one-generation-oliver-wendell-holmes-jr-enough][31],

sono parole pronunciate, a nome della maggioranza della Corte Suprema degli Stati Uniti, da Oliver Wendell Holmes, giudice della Corte Suprema, dal 1902 al 1931, sul ricorso di Carrie Buck, una ragazza di diciotto anni giudicata frenastenica e condannata a salpingectomia dalla Corte Suprema di Appello dello Stato della Virginia insieme alla figlia Vivian di sette mesi, in base a una legge del 1924.

Negli Anni Trenta, quando la Grande Depressione generò milioni di “tarati”, il bisturi fece migliaia di vittime, nonostante i medici statunitensi sconfessassero, oramai, apertamente i risultati dell’eugenetica. Gli Stati Uniti fecero scuola, in Germania in particolare. Se, da una parte, la “giustificazione per sostenere la legge della Virginia faceva presagire gli argomenti che più tardi sarebbero stati utilizzati per giustificare l’uccisione eugenica nella Germania nazista”, dall’altra, questa e a altre sentenze rafforzarono la collaborazione tra gli scienziati dei due Paesi, irrobustendo il già convinto entusiasmo della Repubblica di Weimar, durante la quale vennero fondati centri di ricerca che “diedero impulso allo sviluppo della disciplina dell’igiene della razza […] offrendo un modello per un gran numero di istituti analoghi fondati durante il periodo nazista”.

Se vogliamo comprendere perché proprio gli Stati Uniti siano stati i pionieri della sterilizzazione dobbiamo frugare tra gli scheletri degli armadi delle lobbies interessate alla conservazione della Natura, secondo le quali la popolazione è nemica dell’ambiente, quindi, è necessario limitarla. Tutto ciò che concorre a realizzare questo obiettivo è ben accetto. Risulta, quindi, evidente come questa teoria costituisca il substrato culturale su cui si sono poggiati i successivi interventi, fino ad arrivare ai giorni nostri.

Su tutte le lobbies conservazioniste emergeva il circolo del professor Henry Fairfield Osborn, che riuniva l’élite di New York, costituita dai potenti Roosevelt, Morgan, Frick, Dodge, Vanderbilt e Harriman. Osborn esercitò la sua forte influenza sulla cultura americana nell’interesse della propria classe che, per lui, costituiva la crema della razza forte, la sopravvivenza del più adatto, il vero vertice dell’evoluzione. I membri più importanti del circolo di Osborn, che includeva anche Theodore Roosevelt, fondarono, nel 1887, l’esclusivo Boone and Crockett Club [B&C], che rappresentò la prima associazione conservazionista d’America ed ebbe un ruolo fondamentale nel sostenere sia l’American Museum of Natural History e il Central Park Zoo di New York e la Save the Redwoods League di San Francisco, sia i movimenti eugenetici e di restrizione dell’immigrazione.

Per Theodore Roosevelt:

“Il primo dovere di ogni buon cittadino, uomo o donna, di giusta razza, è quello di lasciare la propria stirpe dopo di sé nel mondo; e non è di alcun vantaggio consentire la perpetuazione di cittadini di razza sbagliata.”

Tutto il Gotha del capitalismo statunitense ha partecipato al finanziamento di questo peccato originale americano: Andrew Carnegie, che ha fatto una fortuna nelle ferrovie; il mago del mercato azionario, Edward Harriman, che donò mezzo miliardo di dollari all’Eugenics Record Office e fu coinvolto in tutte le campagne di sterilizzazione; il petroliere della Standard Oil, John Rockefeller, che finanziò il Kaiser Wilhelm Institute in Germania, epicentro dell’eugenetica nazista; il re delle auto, Henry Ford, coinvolto nelle campagne per il controllo demografico; il monopolista dei cereali, John Kellogg, patron della Race Betterment Foundation e per finire Clarence Gamble, della famosa Procter&Gamble, che si spese per il controllo demografico eugenetico.  

 



 

Il 20 aprile del 1914 a Ludlow, in Colorado, un numero mai chiarito di persone, fra cui donne e bambini, viene ucciso nella repressione di uno sciopero dei minatori locali, molti dei quali italiani. Nessuno dei responsabili del massacro verrà punito. 

Il magnate 

Le guardie private autrici della strage insieme alla milizia civile erano state inviate dalla Colorado Fuel and Iron Company guidata da John D. Rockefeller jr. [sopra, con il padre John sr.]. Per riabilitare la sua immagine compromessa dall’accaduto, Rockefeller cominciò un’intensa attività benefica. 

Difficile bollarli come sovversivi comunisti: Giuseppe Petrucci aveva quattro anni, la sorellina Lucia due, il piccolo Francesco solo quattro mesi. E il loro omicidio, che non poteva esser spacciato per il prezzo necessario a domare i minatori in sciopero, colpì l’America come una scudisciata. E obbligò il potentissimo John D. Rockefeller a tentare di rifarsi una faccia puntando tutto sulla neonata Fondazione Rockefeller. Che avrebbe dato vita al MoMa, il museo di arte moderna. Frutto, in qualche modo, del dolore dell’emigrazione italiana. 
Successe a Ludlow, esattamente cento anni fa. Quel borgo oggi abbandonato alle pendici delle Montagne Rocciose, quasi ai confini del Colorado verso il New Mexico, era abitato allora da migliaia di immigrati polacchi, greci, messicani e italiani che lavoravano nelle miniere di carbone. In gran parte quelle della Colorado Fuel and Iron, la più grande impresa del settore, che apparteneva a quello che era l’uomo più ricco del mondo, John D. Rockefeller senior, che ne aveva affidato la gestione al figlio “Jr”. 

Abitava a New York, John D. Rockefeller jr. A tremila chilometri. E avrebbe ammesso di non sapere nulla delle condizioni di vita dei minatori. Guadagnavano un salario da fame pagato in buoni-acquisto negli spacci che appartenevano alla stessa Company, vivevano in baracche affittate ancora dalla Colorado Fuel and Iron, lavoravano in condizioni così pericolose che nel solo 1913 nelle “mines” del Colorado, con un tasso di mortalità doppio rispetto al resto dell’America, erano morti in 104. E quelli che sopravvivevano erano malati di silicosi e avevano gli occhi pesti fotografati dal grande Lewis Hine. 

Scesero in sciopero nel settembre 1913. La compagnia li buttò subito fuori di casa e loro si trasferirono in un accampamento di fortuna. E lì, come testimoniano le foto, passarono l’inverno. Un inverno tremendo. Tra montagne di neve. Mentre cresceva la tensione tra loro in sciopero e i crumiri rastrellati dall’azienda che aveva assoldato per la loro difesa mercenari dell’agenzia “Baldwin-Felts”, incaricati anche di provocare i ribelli sparando ogni tanto sulle tende per attirarli in uno scontro che avrebbero fatalmente perduto. 
Non bastasse, gli uomini della Guardia civile inviati dal governatore Elias Ammons, finirono per schierarsi dalla parte della Company. Sempre più in difficoltà, i minatori guidati da un greco, Louis Tikas, cominciarono ad armarsi di vecchi schioppi e revolver e scavare trincee sotto le tende per potersi difendere meglio. 

Finché il 20 aprile, stanco delle trattative e del braccio di ferro col sindacato United Mine Workers, l’ufficiale Karl Linderfelt diede alle milizie e ai mercenari l’ordine di spazzare via i minatori e il loro campo di tende. La sparatoria, tra chi era armato con vecchie carabine e chi aveva i blindati con le Gatling e le mitragliatrici ultimo modello, durò l’intera giornata. Il macchinista del treno sul quale era caricato il carbone tentò di mettersi in mezzo tra i minatori e i miliziani per contenere lo scontro. Le donne, i vecchi e i bambini si rifugiarono terrorizzati nelle trincee. Ma ogni resistenza fu inutile. Il campo fu spazzato via. Le tende incendiate. E il fuoco assassinò anche quelli che erano chiusi sotto, nelle buche. 
La cronaca del New York Times del 22 aprile, ripresa in un furente saggio dello scrittore Hans Ruesch, diceva: “45 morti, tra cui 32 donne e bambini, una ventina di dispersi e altrettanti feriti è il bilancio della battaglia di 14 ore tra truppe statali e scioperanti nella proprietà della “Colorado Fuel and Iron Company”, una holding di Rockefeller. Il campo di Ludlow è una massa di macerie carbonizzate che nascondono una vicenda di orrori che non ha l’eguale nella storia della lotta industriale. Nelle trincee che si erano scavate per proteggersi dalle pallottole, donne e bambini sono morti come topi in trappola, uccisi dalle fiamme. Una trincea scoperta questo pomeriggio conteneva i corpi di dieci bambini e due donne”. 

Quante furono le vittime, e quante fossero dell’una e quante dell’altra parte, in realtà, non è mai stato del tutto accertato. C’è però una lapide dedicata ad alcuni dei morti. Piena di italiani. Giovanni Bartolotti che lasciò vedova la moglie Virginia, Carlo e Fedelina Costa con i figlioletti Onofrio e Lucia e poi il ventiduenne Francesco Rubino e poi i bambini dei Petrucci, che probabilmente erano partiti da qualche contrada laziale. Avevano quattro bimbi, i Petrucci. Il più grandicello, Bernardo, era morto di malattia, forse broncopolmonite. Gli altri tre furono uccisi dall’incendio. Resta una loro foto. Lucia è seduta su una seggiolina, Giuseppe a terra, Bernardo e l’ultimo nato, Francesco, su un mastello rovesciato. 
I commenti dei giornali contro quell’insensata carneficina di persone che chiedevano solo un orario di 8 ore, il divieto di far lavorare i bambini e una paga decente in dollari e non in buoni, furono durissimi. Sul posto si precipitò per il Metropolitan il grande John Reed che scrisse un reportage rabbioso dal titolo “La guerra del Colorado”. La rivista The Masses mise in copertina un minatore che reggeva tra le braccia una bimba morta. Il New York World pubblicò una vignetta in cui al vecchio Rockefeller mostravano preoccupati un titolo: “Guerra civile di Rockefeller in Colorado. Uccisi donne e bambini!”. 

E insomma la famiglia, con tutti i suoi miliardi di dollari, si sentì di colpo così esposta al disprezzo della pubblica opinione che il vecchio John D. convocò in fretta e furia il numero uno dei public relation man dell’epoca, Ivy Lee: “Cosa dobbiamo fare?”. Rispose: “Mostratevi generosi. Puntate sulla Fondazione. Fatene un’occasione di beneficenza, di cultura, di promozione dell’arte”. E fu lì, dicono gli storici, che i Rockfeller imboccarono la strada che pochi anni dopo li avrebbe portati a dare vita al Museum of Modern Art. Il MoMa. Non erano riusciti forse, certi Papi impresentabili, a far dimenticare le loro nefandezze commissionando opere meravigliose? [https://www.pbs.org/wgbh/americanexperience/features/rockefellers-ludlow/, https://www.micciacorta.it/2014/04/2014-04-22-07-57-19/, https://www.cpr.org/2017/02/20/lessons-from-ludlow-a-rockefeller-visits-southern-colorado/, https://history.denverlibrary.org/news/upton-sinclair-vs-john-d-rockefeller-jr-rumble-jungle]

 

 





 

“Qualità, non quantità!”,

era lo slogan della fondatrice dell’American Birth Control League, ABCL [Lega Americana di Controllo delle Nascite], che divenne, successivamente,  la Planned Parenthood Federation of America e, nel 1952, l’International Planned Parenthood Federation. La qualità era riferita, naturalmente, alla razza umana, da controllare attraverso una precisa pianificazione eugenetica, che passava anche attraverso il birth control, ovvero il controllo delle nascite, grazie al quale eliminare tutti gli “esseri umani difettosi, inferiori, malati, inutili” [http://findmedianow.com/book39.php?asin=0674034600].

Intorno a Margaret Sanger gravitarono anarchici e dissidenti, ma anche scienziati, politici, imprenditori, quali il fratello del noto scrittore Aldous Huxley, sir Julian Sorell Huxley, segretario della Zoological Society of London [Società Zoologica di Londra], primo direttore dell’UNESCO e membro fondatore del World Wildlife Fund [WWF]; John David Rockefeller III, finanziatore di eminenti ricercatori tedeschi, quali Joseph Mengele ed Ernst Rüdin[32], e Clarence Gamble, i ben noti milionari!

Nel 1910, Margaret Sanger inizia a promuovere il Birth Control, un termine da lei coniato e utilizzato in molte delle sue pubblicazioni. Sul quotidiano socialista New York Call, tiene una rubrica dedicata all’educazione sessuale per ragazze e donne: What Every Girl Should Know.

Nel 1914, Margaret Sanger fonda il mensile The Woman Rebel [La donna ribelle], con lo slogan “Né dei né padroni”, in cui rivendica per le donne l’accesso legale all’aborto, violando deliberatamente la legge Comstock del 1873, che vietava la diffusione di informazioni relative alla contraccezione e all’aborto. Arretata e liberata su cauzione fugge dagli Stati Uniti, nel 1915, sotto lo pseudonimo di Bertha Watson.

  

Eleanor Roosevelt entrò nel consiglio direttivo dell’American Birth Control League, nel 1928, e il suo nome contribuì a dare all’organizzazione una certa patina di rispettabilità [https://sanger.hosting.nyu.edu/articles/ms_and_eleanor_roosevelt/, https://www.nytimes.com/1970/04/19/archives/havelock-ellis-and-eleanor-roosevelt-helped-birth-control-in.html]. Quando suo marito Franklin Delano Roosevelt, fu eletto presidente degli Stati Uniti, nel 1934, e il suo Governo non sostenne più il controllo delle nascite, come parte del New Deal, Eleanor Roosevelt iniziò a mantenere un basso profilo a tale riguardo, e, tuttavia, ricevette numerose critiche per il suo precedente e aperto sostegno dal cardinale Francs Joseph Spellman. Dal 1940, più volte si svolsero incontri privati tra la first lady e Margaret Sanger, sia alla Casa Bianca sia nella casa di Roosevelt in Hyde Park.

 


Nel 1921, in un articolo dal titolo The Eugenic Value of Birth Control Propaganda [Il Valore Eugenico della Propaganda per il Controllo di Nascite], pubblicato nel numero di ottobre di The Birth Control Review, scrive che “il problema più urgente è limitare e scoraggiare l’iperfertilità dei ritardati mentali e degli handicappati fisici [https://cpb-us-e1.wpmucdn.com/blogs.uoregon.edu/dist/7/11428/files/2017/03/Sanger-Eugenic-Value-ve2d9p.pdf, https://socialwelfare.library.vcu.edu/programs/health-nutrition/eugenic-value-birth-control-propaganda/].

L’anno seguente, in un’appendice al suo lavoro del 1922, The Pivot of Civilization, espone i “principi e gli obiettivi” dell’American Birth Control League:

“I complessi problemi che ora l’America deve affrontare come risultato della pratica della procreazione sconsiderata stanno rapidamente minacciando di crescere oltre il controllo umano. Ovunque vediamo povertà e famiglie numerose che vanno di pari passo. Quelli meno idonei a portare avanti la corsa stanno aumentando più rapidamente. Le persone che non possono mantenere la propria prole sono incoraggiate dalla Chiesa e dallo Stato a formare famiglie numerose. Molti dei figli così generati sono malati o deboli di mente. Molti diventano criminali. L’onere di sostenere questi soggetti indesiderati deve essere sostenuto dagli elementi sani della Nazione. I fondi che dovrebbero essere utilizzati per elevare lo standard della nostra civiltà vengono dirottati al mantenimento di coloro che non avrebbero mai dovuto nascere.”

Degli undici obiettivi dell’American Birth Control League delineati da Margaret Sanger dopo l’esposizione dei suoi principi, solo due non sono, direttamente, collegati al problema che chiamava “allevamento disgenico”. Uno degli “scopi” più aberranti dell’ABCL è la “sterilizzazione dei malati di mente e dei deboli di mente e l’incoraggiamento a questa pratica su coloro che sono affetti da malattie ereditarie o trasmissibili con la consapevolezza che la sterilizzazione non priva l’individuo dell’espressione di genere, ma lo rende semplicemente incapace di procreare figli”.

 

Foto di gruppo alla Conferenza sul Birth Control, a Zurigo, nel 1930.

 


Nelle lettere al dottor Clarence Gamble, Margaret Sanger auspica la sterilizzazione di persone ritenute inidonee alla riproduzione: neri, minoranze etniche, malati e handicappati, in particolare, nella lettera del 10 dicembre 1939, avanza un controverso Negro Project [https://sophia.smith.edu/making-democracy-real/the-negro-project/], il cui obiettivo è “la graduale soppressione, eliminazione ed eventuale estinzione, dei ceppi difettosi”, limitandone, attraverso l’aborto e la sterilizzazione, la crescita con il pretesto di una “migliore salute” e una “pianificazione familiare”. Nella stessa lettera, proprio riguardo al suo Negro Project, Margaret Sanger esorta il dottor Gamble a superare la sua riluttanza ad assumere “a full time Negro physician” giacché i colored Negroes… can get closer to their own members” [https://www.theantioracle.org/post/gbs-hangs-picture-of-notorious-racist-margaret-sanger-in-the-old-pit] e ad  “assumere tre o quattro ministri di colore, preferibilmente con esperienze di servizio sociale e con personalità accattivante. L’approccio educativo di maggiore successo al Negro è attraverso un appello religioso. Non vogliamo che si diffonda la voce che vogliamo sterminare la popolazione negra, e il ministro è l’uomo che può fugare questa idea se mai dovesse sfiorare qualcuno dei suoi membri più ribelli.”[33]

 

 Science and Invention for January, 1922.

 

“Il controllo delle nascite non è contraccezione praticata indiscriminatamente e sconsideratamente. Significa il rilascio e la coltivazione dei migliori elementi razziali nella nostra società e la graduale soppressione, eliminazione ed eventuale estinzione dei ceppi difettosi, quelle erbacce umane che minacciano la fioritura dei fiori più belli della civiltà americana.”[34],

scrive Margaret Sanger, l’8 aprile 1923, sul New York Times, nel suo articolo Apostle of Birth Control Sees Cause Gaining Here [https://www.nytimes.com/1923/04/08/archives/apostle-of-birth-control-sees-cause-gaining-here-hearing-in-albany.html].

 

 


 




 


Nel suo libro Women, Race and Class [Donne, Razza e Classe], scritto in carcere, nel 1971, e pubblicato, per la prima volta, negli Stati Uniti, nel 1981, l’attivista afroamericana Angela Davis, che, attualmente, insegna Storia della Coscienza all’Università della California, dove dirige anche il Women Institute, sostiene che Margaret Sanger mirava a ridurre la presenza nera nella popolazione statunitense. La retorica utilizzata per giustificare l’eugenetica era legata, da un lato, alla lotta per l’autodeterminazione e alla salute della donna, che non doveva sentirsi forzata a divenire madre, anche a fronte della libertà sessuale che le spettava in quanto essere umano con pari dignità rispetto all’uomo; dall’altro, all’esigenza, percepita come impellente, di ridurre la popolazione umana, iniziando dagli “inutili e dai deboli”, parole e pensieri di eco neo-malthusiana e di darwinismo sociale.

 

Nel 1905 il presidente Theodore Roosevelt concluse il suo discorso alla cena del Lincoln Day proclamando che “la purezza della razza deve essere salvaguardata”. A partire dal 1906 equiparò esplicitamente il tasso di natalità in declino tra i nativi bianchi con la minaccia incombente del “suicidio della razza”. Nel suo messaggio agli stati dell’Unione quell’anno Roosevelt ammonì le donne bianche in buona condizione economica che si ostinavano alla “sterilità volontaria”. Questi commenti iniziarono a diffondersi in un periodo di accelerazione del razzismo e di grandi ondate di linciaggi e sommosse razziste in tutto il paese. Inoltre il presidente Roosevelt stava cercando di guadagnare sostegno al tentativo di conquista delle Filippine, ovvero l’ultima avventura imperialista degli Stati Uniti. Come rispose il movimento per il controllo delle nascite all’accusa di Roosevelt di promuovere il suicidio della razza? Secondo una studiosa di storia, attivista del movimento, la strategia propagandistica del presidente fu un fallimento perché, ironia della sorte, contribuì a legittimarlo. Eppure, come afferma Linda Gordon, questa controversia “fece emergere proprio quelle questioni che separavano radicalmente le femministe dai poveri e dalla classe lavoratrice”: Accadde in due modi. In primo luogo le femministe enfatizzarono il controllo delle nascite come soluzione per fare carriera e accedere ai livelli più alti della formazione, obiettivi fuori dalla portata delle donne povere, con o senza contraccezione. Nel contesto complessivo del movimento femminista la questione del “suicidio della razza” era un fattore che identificava il femminismo quasi esclusivamente con le aspirazioni delle donne più privilegiate della società. In secondo luogo le femministe a favore del controllo delle nascite iniziarono a diffondere l’idea che le persone povere avessero l’obbligo morale di controllare la grandezza delle proprie famiglie perché i nuclei numerosi assorbivano le spese fiscali e caritatevoli delle famiglie agiate, e perché i bambini poveri avevano meno probabilità di ascesa sociale. Il sostegno alla tesi del suicidio della razza da parte di persone come Julia Ward Howe e Ida Husted Harper rifletteva la condizione di un movimento, quello per il suffragio femminile, che aveva ormai ceduto alle posizioni razziste delle sudiste. Mentre le suffragiste tolleravano le tesi sull’estensione del voto alle donne come arma per la salvaguardia della supremazia bianca, le fautrici della contraccezione acconsentivano o almeno tolleravano il controllo delle nascite come mezzo per prevenire la proliferazione delle “classi inferiori” e come antidoto al suicidio della razza, che poteva essere evitato attraverso l’introduzione del controllo delle nascite tra le persone Nere, immigrate e povere in generale. In questo modo le fertili bianche avrebbero potuto conservare la superiorità numerica della loro sana stirpe yankee. Così classismo e razzismo fecero breccia nel movimento per il controllo delle nascite quando era ancora nelle sue primissime fasi. Progressivamente negli ambienti del movimento si iniziò a sostenere che le donne povere, Nere e immigrate avessero il “dovere morale di ridurre la grandezza delle loro famiglie”. Ciò che veniva rivendicato come un “diritto” dalle privilegiate finì per essere interpretato come un “dovere” per le povere. Quando Margaret Sanger diede inizio alla sua lunga crociata per il diritto al controllo delle nascite nascite – un termine che lei stessa coniò e diffuse – sembrava che i toni razzisti e classisti del passato potessero essere lasciati alle spalle. In effetti Margaret Higgens Sanger proveniva da una famiglia di classe operaia e conosceva bene la devastante pressione della povertà. Sua madre era morta a quarantotto anni dopo aver messo al mondo undici bambini. Le sue successive memorie sulle difficoltà familiari ne confermavano la convinzione che le donne della classe operaia avessero diritto a pianificare e distanziare in autonomia le proprie gravidanze. La sua adesione al movimento socialista fu un’ulteriore ragione per sperare che la campagna per il controllo delle nascite prendesse una direzione progressista. Aderì al Socialist Party nel 1912 assumendo la responsabilità di reclutare i club delle donne lavoratrici di New York. The Call – il giornale del partito – pubblicò i suoi articoli sulla pagina delle donne. Sanger ne scrisse una serie nella rubrica “Quello che ogni madre dovrebbe sapere”, poi continuò con una seconda rubrica intitolata “Quello che ogni ragazza dovrebbe sapere”. Scrisse anche dei reportage sugli scioperi portati avanti dalle donne. La familiarità di Sanger con i quartieri popolari di New York derivava dalle sue numerose visite come infermiera professionale nelle zone più povere della città. Nella sua autobiografia racconta che durante queste visite incontrò tantissime donne che chiedevano disperatamente come controllare le nascite. Racconta anche di come, in una delle sue tante visite nel Lower East Side di New York, decise di intraprendere una crociata personale per il diritto al controllo delle nascite. Recatasi a una delle sue visite di routine venne a conoscenza della storia di Sadie Sachs, una ragazza di ventotto anni che aveva cercato di provocarsi un aborto. Una volta rientrata l’emergenza la giovane aveva chiesto al medico di turno di darle qualche consiglio per non rimanere più incinta. Come riferisce Sanger, il dottore le consigliò di “dire a [suo marito] Jake di dormire sul divano”:564 Rivolsi velocemente lo sguardo verso la signora Sachs. Attraverso le lacrime sgorgate senza preavviso potevo vedere stampata sul suo volto un’espressione di disperazione assoluta. Ci guardammo l’un l’altra, senza dire niente, fino a quando la porta della stanza non si chiuse dietro al dottore. Allora lei sollevò le mani affusolate, piene di venature blu, e le congiunse supplicando: “Lui non capisce, è un uomo. Ma tu puoi capirmi, vero? Ti prego, dimmi il segreto e non lo dirò ad anima viva. Ti prego!”. Tre mesi più tardi Sadie Sachs morì per un altro aborto auto-indotto. Quella notte Margaret Sanger giurò, racconta, di dedicare tutte le proprie proprie energie alla diffusione legale delle misure contraccettive: Andai a letto sapendo che avrei smesso per sempre con le cure palliative e superficiali. Decisi di andare alla radice del problema, di fare qualcosa per cambiare il destino delle madri e le loro infinite sofferenze. Durante la prima fase della sua crociata per il controllo delle nascite rimase iscritta al Socialist Party e la campagna fu strettamente associata al partito. Tra i suoi più tenaci sostenitori si annoveravano Eugene Debs, Elizabeth Gurley Flynn ed Emma Goldman, che rappresentavano rispettivamente il Socialist Party, gli Industrial Workers of the World e il movimento anarchico. Margaret Sager a sua volta definì la prospettiva anticapitalista del movimento attraverso le pagine del suo Woman Rebel, giornale “dedicato agli interessi delle donne lavoratrici”. Continuò a marciare nei picchetti con chi scioperava e condannò pubblicamente la loro repressione. Nel 1914, per esempio, quando la guardia nazionale massacrò centinaia di minatori chicani a Ludlow, in Colorado, si unì al movimento operaio per denunciare il ruolo di John D. Rockfeller in questo bagno di sangue. Purtroppo l’alleanza tra la campagna per il controllo delle nascite e il movimento operaio radicale non durò a lungo. I socialisti e gli altri attivisti della classe lavoratrice continuavano a rivendicare questo diritto ma non occupava una posizione centrale nella loro strategia. Dal canto suo Sanger iniziò a sottostimare la centralità dello sfruttamento capitalistico nella sua analisi della povertà, argomentando che la famiglia numerosa fosse responsabile della miseria dei lavoratori. Inoltre “le donne stavano perpetuando, per ignoranza, lo sfruttamento della classe lavoratrice”, diceva lei, “continuando a inondare il mercato del lavoro di nuovi lavoratori”. Probabilmente Sanger fu influenzata dalle idee neomalthusiane di alcuni ambienti socialisti. Alcune figure straordinarie del movimento socialista come Anatole France e Rosa Luxemburg avevano proposto uno “sciopero delle nascite” per prevenire il continuo flusso di forza lavoro nel mercato capitalista. Quando Margaret Sanger ruppe i rapporti col Socialist Party al fine di costruire una campagna indipendente per il controllo delle nascite si trovò esposta come mai prima, insieme ai suoi seguaci, alla propaganda anti-Neri e anti-immigrati dell’epoca. Come i loro predecessori ingannati dalla propaganda del “suicidio della razza”, le fautrici del controllo delle nascite iniziarono ad abbracciare l’ideologia razzista dominante. L’influenza fatale delle teorie eugenetiche avrebbe presto distrutto il potenziale progressista della campagna. Durante i primi decenni del ventesimo secolo la crescente popolarità dell’eugenetica non fu affatto fortuita. Quelle teorie erano perfettamente compatibili con le necessità ideologiche del nuovo capitalismo monopolistico. Le incursioni imperialiste in America latina e nel Pacifico avevano bisogno di una giustificazione, così come l’intensificazione dello sfruttamento dei lavoratori Neri nel sud e degli immigrati nel Nord e nell’Ovest. Le teorie razziali pseudo-scientifiche associate alla campagna eugenetica fornirono delle tragiche scuse alla condotta dei nuovi gruppi monopolistici. Per questo il movimento ottenne il supporto, senza esitazione, di note famiglie capitaliste come i Carnegies, gli Harrimans e i Kelloggs. Nel 1919 l’eugenetica aveva ormai un’influenza innegabile sul movimento per il controllo delle nascite. In un articolo pubblicato nel giornale dell’American Birth Control League, Margaret Sanger sostenne che “l’obiettivo principale” fosse di avere “più bambini da chi è adatto, meno da chi è inadatto”. In questo stesso periodo la American Birth Control League accolse a braccia aperte nella sua direzione Lothrop Stoddard, professore di Harvard e teorico dell’eugenetica, nonché autore di The Rising Tide of Color Against White World Supremacy. Nelle pagine del giornale dell’associazione iniziarono ad apparire articoli di Guy Irving Burch, direttore della American Eugenics Society, che difendeva il controllo delle nascite come arma per [...] impedire al popolo americano di essere sostituito da un ceppo Negro o straniero a causa dell’immigrazione dell’immigrazione o dell’alto tasso di natalità delle altre popolazioni di questo paese. Nel 1932 la Eugenics Society poteva vantarsi di aver fatto passare la legge sulla sterilizzazione in ventisei stati e di aver così impedito chirurgicamente a migliaia di persone “inadatte” di riprodursi.575 Margaret Sanger si felicitò pubblicamente di questa evoluzione. In un programma radiofonico sostenne che “menomati psichici, ritardati mentali, epilettici, analfabeti, poveri, disoccupati, criminali, prostitute e tossici» dovessero essere sterilizzati chirurgicamente. Ma non voleva essere così intransigente da lasciarli senza alcuna possibilità di scelta a riguardo: se lo desideravano, disse, avrebbero potuto optare per la segregazione a vita nei campi di lavoro. La American Birth Control League lanciò un invito al controllo delle nascite tra le persone Nere che era razzista tanto quanto l’appello alla sterilizzazione sterilizzazione obbligatoria. Nel 1939 la Birth Control Federation of America, associazione che succedeva alla precedente, mise a punto il “Negro Project”. Nelle parole della stessa federazione, [...] la massa di Negri, soprattutto nel sud, si riproduce ancora senza limiti né preoccupazioni, col risultato che l’aumento, superiore a quello dei bianchi, proviene da quella porzione di popolazione meno adatta e meno in grado di allevare bambini. La federazione domandò il reclutamento di sacerdoti Neri perché dirigessero i comitati locali per il controllo delle nascite e propose una campagna di sensibilizzazione dei Neri. “Non deve uscir fuori una parola”, scriveva Margaret Sanger in una lettera a una collega, sul fatto che vogliamo lo sterminio della popolazione Negra. I pastori sono gli unici che possano eventualmente eventualmente far rientrare la situazione se mai dovesse sorgere il dubbio tra i più ribelli. Questo episodio confermò la vittoria ideologica del razzismo e delle teorie eugenetiche nel movimento per il controllo delle nascite. Era stato definitivamente spogliato del suo potenziale progressista raccomandando, per le persone di colore, non il diritto individuale al controllo delle nascite ma una strategia razzista di controllo della popolazione. Questa campagna fu utilizzata per applicare le politiche demografiche imperialiste e razziste del Governo degli Stati Uniti. All’inizio degli anni Settanta le attiviste per il diritto all’aborto avrebbero dovuto esaminare la storia del loro movimento. Se lo avessero fatto avrebbero forse compreso perché così tante donne Nere fossero diffidenti nei confronti di quella battaglia. Avrebbero forse compreso quanto fosse imprescindibile decostruire le modalità razziste di chi prima di loro aveva sostenuto il controllo delle nascite – insieme alla sterilizzazione forzata – come mezzo di eliminazione degli “inadatti”. Solo così le nuove femministe bianche avrebbero potuto comprendere la necessità di basare la loro campagna su una netta condanna della sterilizzazione forzata, peraltro sempre più diffusa. Soltanto quando i media rivelarono lo scandalo della sterilizzazione di due ragazze Nere a Montgomery, in Alabama, si aprì il vaso di Pandora delle sterilizzazioni forzate. Ma il caso delle sorelle Relf irruppe troppo tardi per influenzare la politica del movimento per il diritto all’aborto. Era l’estate del 1973 e la legalizzazione dell’aborto era già stata decretata in gennaio dalla Corte suprema. Ma un’opposizione di massa agli abusi della sterilizzazione forzata divenne tragicamente urgente. Le circostanze della vicenda delle sorelle Relf erano terrificanti nella loro banalità. Minnie Lee, di dodici anni, e Mary Alice, di quattordici, erano state portate in sala operatoria senza che sospettassero alcunché: una volta dentro i chirurghi le avevano sterilizzate. L’operazione era stata ordinata dal Montgomery Community Action Committee, finanziato dal Department of Health, Education and Welfare, dopo aver scoperto che il contraccettivo che l’ospedale somministrava alle ragazze, la Depo-Provera, risultava cancerogeno nei testi sugli animali. Il Souther Poverty Law Center decise di sostenere legalmente le sorelle Relf. La madre delle ragazze, che era analfabeta, rivelò di aver inconsapevolmente “acconsentito” all’operazione essendo stata raggirata dagli assistenti sociali che seguivano le figlie, che le avevano chiesto di mettere una “X” su un documento senza informarla del contenuto. Credeva di autorizzare il proseguimento delle iniezioni di Depo-Provera. Come apprese invece in seguito, aveva autorizzato la sterilizzazione chirurgica delle figlie. La diffusione mediatica del caso fece emergere molte altre vicende simili. Nella sola città di Montgomery erano state sterilizzate undici ragazze, tutte adolescenti. In molti stati le operazioni erano praticate da diverse cliniche per il controllo delle nascite finanziate dal Department of Health, Education and Welfare. Anche singole donne riportarono storie scandalose. Nial Ruth Cox, per esempio, fece causa allo stato del North Carolina. A diciotto anni – otto anni prima della causa – dei funzionari pubblici l’avevano minacciata di interrompere il sussidio alla sua famiglia se si fosse rifiutata di sottoporsi alla sterilizzazione chirurgica. Prima di acconsentire all’operazione le venne assicurato che la sua infertilità sarebbe stata temporanea. La causa legale di Nial Ruth Cox era rivolta a uno stato che aveva applicato diligentemente le teorie eugenetiche. Con il patrocinio della Eugenics Commission of North Carolina – così si leggeva – a partire dal 1933 erano state praticate 7.686 sterilizzazioni. La giustificazione addotta fu la limitazione della riproduzione delle “persone con deficienza mentale”. Circa cinquemila di queste persone erano Nere. Secondo Brenda Feigen Fasteau, la legale della American Civil Liberties Union’s Reproductive Freedom, che rappresentava Nial Ruth Cox, i dati più recenti in North Carolina non erano meno allarmanti: Le statistiche di cui disponiamo rivelano che dal 1964 in North Carolina circa il 65% delle donne sterilizzate erano Nere e circa il 35% bianche. La campagna di informazione sugli abusi della sterilizzazione portò alla luce che l’adiacente stato del South Carolina era stato teatro di casi ancora più gravi. Diciotto donne di Aiken, nel South Carolina, denunciarono di essere state sterilizzate dal dottor Clovis Pierce nei primi anni Settanta. Unico ginecologo della cittadina, Pierce aveva sterilizzato sistematicamente le beneficiarie dell’assistenza sanitaria che avessero già due o più bambini. Secondo la testimonianza di un’infermiera del suo studio, insisteva che le donne incinte che ricevevano i sussidi pubblici dovessero sottomettersi [sic!] alla sterilizzazione volontaria se volevano che lui le aiutasse a partorire. Il dottor Pierce si diceva “stanco delle persone che non fanno niente nella vita e continuano ad avere figli e a mantenerli grazie alle mie tasse”, ma intanto riceveva circa sessantamila dollari dalle casse dello stato per le sterilizzazioni che praticava. Durante il suo processo fu difeso dalla South Carolina Medical Association, i cui membri dichiararono che i medici “hanno il diritto morale e legale di chiedere la sterilizzazione dei propri pazienti prima di accettare di prenderli in cura”. Queste rivelazioni portarono allo scoperto la complicità del Governo federale. All’inizio il Department of Health, Education and Welfare dichiarò che nel 1972 circa 16mila donne e 8mila uomini erano stati sterilizzati nel quadro dei programmi federali. Più tardi tuttavia questi dati subirono una drastica revisione. Carl Shultz, direttore dell’ufficio per gli affari demografici del Ministero, stimò che in realtà quell’anno erano state finanziate dal Governo federale tra le 100 e le 200mila sterilizzazioni. Nella Germania di Hitler, per inciso, furono praticate 250mila sterilizzazioni mentre era in vigore la legge nazista della salute ereditaria. È possibile che nell’arco di un anno il numero di sterilizzazioni negli Stati Uniti abbia uguagliato le cifre raggiunte dal regime nazista nell’arco di tutta la sua durata? Dopo il genocidio della popolazione nativa degli Stati Uniti, si potrebbe pensare che gli indiani nativi americani fossero stati esentati dalla campagna governativa di sterilizzazione. Ma il dottor Connie Uri, nativo della popolazione Choctaw, testimoniò davanti a una commissione del Senato dichiarando che nel 1976 circa il ventiquattro per cento delle donne indiane in età da gestazione era stato sterilizzato. “La nostra discendenza è stata negata”, disse, “e i nostri bambini mai nati non nasceranno mai [...]. Questo è il genocidio del nostro popolo”. Secondo il dottor Uri, l’Indian Health Service Hospital di Claremore, in Oklahoma, Oklahoma, aveva sterilizzato una ogni quattro delle partorenti in quella struttura federale. Le indiane native americane erano un obiettivo speciale della propaganda di Governo sulla sterilizzazione. In un opuscolo diffuso dal Department of Health, Education and Welfare, rivolto alla popolazione indiana, fu realizzata una vignetta raffigurante una famiglia con dieci bambini e un cavallo e accanto una seconda vignetta di una famiglia con un bambino e dieci cavalli. I disegni facevano intendere che più bambini significa più povertà e meno bambini significa ricchezza. Come se la proprietà di dieci cavalli, da parte di una famiglia con un bambino solo, potesse magicamente derivare dal controllo delle nascite e dalla sterilizzazione chirurgica. Le politiche demografiche del Governo degli Stati Uniti hanno un innegabile aspetto razzista. Le donne native americane, chicane, portoricane portoricane e Nere continuano a essere sterilizzate in numero spropositato. Secondo uno studio sulla fertilità nazionale condotto nel 1970 dall’ufficio per il controllo demografico dell’Università di Princeton, il venti per cento di tutte le donne Nere sposate è stato sterilizzato. Circa la stessa percentuale risulta tra le donne chicane. Inoltre il quarantatré per cento delle donne sterilizzate grazie ai programmi federali erano Nere. Il numero impressionante di portoricane sterilizzate riflette, a partire dal 1939, una specifica volontà politica del Governo. Quell’anno il comitato interdipartimentale su Porto Rico del presidente Roosevelt dichiarò che i problemi economici dell’isola erano da ricondurre alla sovrappopolazione. Questo comitato propose di intervenire per portare il tasso di natalità al livello della mortalità. Poco dopo nell’isola fu intrapresa una campagna sperimentale di sterilizzazione. sterilizzazione. Nonostante la chiesa cattolica si fosse inizialmente opposta a questa sperimentazione, imponendo la chiusura del programma nel 1946, il progetto fu replicato nei primi Anni Cinquanta attraverso programmi di insegnamento e pratiche di controllo demografico. In questo periodo furono aperte più di centocinquanta cliniche per il controllo delle nascite determinando un calo del venti per cento della crescita demografica a partire dalla metà degli Anni essanta. Con l’inizio degli Anni Settanta più del 35%

 delle portoricane in età da gestazione era stato sterilizzato chirurgicamente. Bonnie Mass criticò severamente le politiche del Governo statunitense. Affermava che [...] sulla base di proiezioni matematiche se l’attuale frequenza di diciannovemila sterilizzazioni al mese rimanesse inalterata, la popolazione operaia e agricola dell’isola potrebbe estinguersi nel giro dei prossimi dieci o vent’anni [...]. Per la prima volta nella storia l’applicazione sistematica del controllo demografico avrà permesso di eliminare un’intera generazione. Durante gli Anni Settanta iniziarono a emergere gli effetti devastanti dell’esperimento di Porto Rico. La presenza sull’isola di imprese del settore metallurgico e farmaceutico altamente automatizzate aveva esasperato il problema della disoccupazione. La prospettiva di un esercito di disoccupati ancora più numeroso fu uno dei principali incentivi al programma di sterilizzazione di massa. Negli Stati Uniti oggi un numero altissimo di persone di colore – e soprattutto di giovani oppressi dal razzismo – è diventato una riserva di lavoratori disoccupati. Nel caso di Porto Rico non sorprende che il numero delle sterilizzazioni sia aumentato di pari passo ai livelli di disoccupazione. E visto che sempre più persone bianche subiscono le conseguenze disastrose della disoccupazione, disoccupazione, le donne bianche possono aspettarsi di diventare i prossimi bersagli della propaganda ufficiale per la sterilizzazione. La diffusione della sterilizzazione di massa alla fine degli Anni Settanta è stata probabilmente più elevata che in passato. Benché nel 1974 il dipartimento della salute abbia emesso delle linee guida volte a prevenire le sterilizzazioni involontarie, la situazione è comunque precipitata. L’indagine condotta nel 1975 dall’American Civil Liberties Union nel quadro del Reproductive Freedom Project negli ospedali universitari, fece emergere che il quaranta per cento degli ospedali ignorava la nuova normativa. Solo il trenta per cento degli ospedali esaminati dalla American Civil Liberties Union stava cercando di conformarsi alle linee guida. L’emendamento Hyde del 1977 ha fornito un’ulteriore incentivo alla sterilizzazione forzata.

A seguito di questa legge approvata dal congresso, infatti, i fondi federali per le interruzioni di gravidanza sono stati eliminati tranne che per i casi di stupro, rischio di morte o malattia grave. Secondo Sandra Salazar del dipartimento della salute pubblica della California la prima vittima dell’emendamento Hyde è stata una donna chicana di ventisette anni del Texas: in seguito al taglio dei finanziamenti per le interruzioni di gravidanza è morta durante un aborto clandestino in Messico. Ci sono state molte altre vittime: le donne per le quali la sterilizzazione è rimasta l’unica alternativa all’aborto, ormai fuori dalle loro possibilità economiche. Le sterilizzazioni continuano a essere invece finanziate e gratuite, su richiesta, per le donne povere. Durante l’ultimo decennio la lotta contro la sterilizzazione forzata è stata portata avanti innanzitutto dalle donne portoricane, Nere, chicane e native americane. Il movimento delle donne non ha ancora abbracciato la loro causa. Nelle organizzazioni che rappresentavano gli interessi della classe media è emersa una certa riluttanza a sostenere le rivendicazioni della campagna contro la sterilizzazione forzata perché a queste donne è stato spesso negato il diritto di essere sterilizzate quando loro stesse desideravano compiere questo passo. Se le donne di colore sono sollecitate, ad ogni occasione, a divenire sterili, le donne bianche benestanti sono invece sollecitate, da quelle stesse forze, a riprodursi. È per questo che il “periodo di riflessione” e altri dettagli della domanda per il “consenso informato” alla sterilizzazione sono stati denunciati come ulteriori inconvenienti per le donne di quel ceto sociale. Ma al di là degli inconvenienti per le donne bianche di classe media, in gioco c’è la negazione di un diritto riproduttivo fondamentale per tutte le donne povere e razzialmente oppresse. La sterilizzazione forzata deve finire.

Angela Davis, Donne, razza e classe https://sonambula.com.ar/angela-davis-racismo-control-la-natalidad-derechos-reproductivos/

 



Il 29 maggio 2018, la nipote di Martin Luther King [https://www.plannedparenthood.org/planned-parenthood-gulf-coast/mlk-acceptance-speech], Alveda King, in un articolo sul Washington Post dal titolo eloquente If Starbucks wants to end racism, it’ll stop funding Planned Parenthood, accusava la nota catena di caffetterie Starbucks di finanziare Planned Parenthood:

 

“[…] Ma Starbucks aveva il razzismo nella sua identità aziendale molto prima degli arresti di aprile. Attraverso le sue donazioni aziendali, Starbucks contribuisce a una delle organizzazioni più razziste nella Storia della nostra Nazione. Planned Parenthood, il più grande fornitore di aborti negli Stati Uniti, esegue più di 300mila aborti ogni anno. Il disprezzo di Planned Parenthood per la dignità umana, particolarmente della comunità afroamericana, è profondamente radicato nei suoi 101 anni di storia. I numeri non mentono. Sono morti più afroamericani per aborto che per AIDS, incidenti, crimini violenti, cancro e malattie cardiache, messi insieme [https://www.lifenews.com/2015/06/25/abortion-has-killed-more-black-americans-than-crime-accidents-cancer-or-aids/]. In America, oggi, un bambino nero ha tre volte più probabilità di essere ucciso nell’utero rispetto a un bambino bianco. E, dal 1973, l’aborto ha ridotto la popolazione nera di oltre il 25% [https://blackdignity.org/]. Planned Parenthood gestisce la più grande catena nazionale di strutture per l’aborto e circa l’80% delle sue strutture si trova nei quartieri di minoranze. Circa il 13% delle donne americane sono nere, ma hanno più del 35% degli aborti. Dico, spesso, che l’aborto è la questione dei diritti civili del nostro tempo. L’aborto nega i diritti degli innocenti. Si rifiuta di aiutare i più vulnerabili. L’aborto separa il nascituro dalla madre e da tutta la società. Ma le violazioni dei diritti civili di Planned Parenthood vanno ancora più in profondità. Le industrie dell’aborto come Planned Parenthood non sono divenute prevalenti nella vita delle donne afroamericane incinte per caso. Il modello di business di Planned Parenthood è stato progettato per mirare proprio a loro. Nel 2015, mi sono unita ai miei colleghi leaders dei diritti civili per protestare contro la decisione dello Smithsonian Institution di esporre un busto della fondatrice di Planned Parenthood Margaret Sanger nella National Portrait Gallery. [Margaret] Sanger, che ha fondato l’organizzazione che sarebbe divenuta Planned Parenthood, era una autentica razzista con intenzioni genocide. Attiva con il Ku Klux Klan e il movimento eugenetico, l’agenda dichiarata di Sanger era quella di eliminare la popolazione afroamericana.

[…] I miei colleghi leaders dei diritti civili e io abbiamo scritto una lettera appassionata alla Smithsonian per chiedere che il busto venga rimosso. Abbiamo chiarito come la fondatrice di Planned Parenthood abbia degradato la comunità nera:

“Forse la Galleria non sa che la signora Sanger ha sostenuto l’eugenetica nera, un atteggiamento razzista nei confronti dei bambini neri e di altre minoranze; ha tenuto un atteggiamento elitario nei confronti di coloro che considerava “i deboli di mente”; ha tenuto discorsi ai raduni delle donne del Ku Klux Klan; ha tenuto contatti con i simpatizzanti di Hitler. Inoltre, il famigerato “Progetto Negro” che ha cercato di limitare, se non di eliminare, le nascite nere, è stata una sua creatura. Nonostante questi fatti storici ben documentati, il suo busto si erge con orgoglio nella galleria come un eroe della giustizia. L’evidente contraddizione è sbalorditiva!”

Planned Parenthood ha passato un intero secolo a uccidere bambini e a eliminare gli afroamericani. Ma, il vento sta cambiando contro l’ingiustizia dell’aborto, con una maggioranza di americani che afferma di non volere il finanziamento dell’aborto da parte dei contribuenti [https://lozierinstitute.org/planned-parenthood-poll-misleads-on-taxpayer-funding-for-abortion/]. È tempo che le aziende come Starbucks che affermano di preoccuparsi dei “pregiudizi razziali” smettano di finanziare la casa degli orrori di Planned Parenthood, che ha sottratto vite preziose alle comunità minoritarie e alla società in generale. Starbucks, se siete seriamente intenzionati a eliminare il razzismo, riconoscerete che i neri, e, in effetti, tutti gli esseri umani, sono di un solo sangue e di una razza umana, nati e non nati. Il razzismo e l’aborto sono crimini contro l’Umanità. Saremmo felici di sederci con voi per discutere di giustizia razziale davanti a una tazza di caffè.” [https://www.washingtonexaminer.com/opinion/alveda-king-if-starbucks-wants-to-end-racism-itll-stop-funding-planned-parenthood][35]

 


Negli Anni Settanta, quando in Roe v. Wade, Norma  L.  McCorvey – utilizzando, a tutela della propria privacy, lo pseudonimo di  Jane Roe – sollevò  la  questione  della legittimità  costituzionale  della  legge  texana che vietava l’aborto, salvo il caso in cui fosse praticato “by medical advice for the purpose of saving the life of the mother”, la decisione presa dalla Corte Suprema, il 22 gennaio 1973, a maggioranza di 7 giudici a 2, non si fondò tanto sul 19esimo Emendamento, con il quale si era chiuso il caso in Corte Distrettuale, ma su una nuova interpretazione del 14esimo Emendamento della Costituzione, che riguarda il diritto alla privacy, inteso come diritto alla libera scelta circa le questioni della sfera intima di una persona, senza che lo Stato possa agire, illimitatamente, nei confronti della persona stessa. L’intrusione dello Stato nella vita dl cittadino si scontra con due principi fondamentali del Bill of Rights: quello del limited Government, che presuppone un interesse primario dello Stato perché il Governo possa intervenire nella vita del singolo e quello della preservation of the rights of minorities contro le azioni della maggioranza.  

I sondaggi mostrano che i neri sono “significativamente meno favorevoli all’aborto” rispetto ai bianchi, eppure a New York, ogni anno, vengono abortiti più bambini neri di quanti ne nascono vivi. Il think tank dell’industria dell’aborto, il Guttmacher Institute, osserva che “il tasso di aborto delle donne nere è quasi 5 volte quello delle donne bianche”.

Il luglio scorso, Planned Parenthood of Greater New York ha rimosso il nome della sua fondatrice Margaret Sanger dalla clinica di Manhattan per i suoi “rapporti disdicevoli con il movimento eugenetico” [https://eu.usatoday.com/story/opinion/2020/07/23/racism-eugenics-margaret-sanger-deserves-no-honors-column/5480192002/].

 


Il tentativo ipocrita di pagare pegno con una sbianchettatura aveva indignato non poco l’Human Coalition Action, guidata dal reverendo Dean Nelson, che, in una lettera[36], chiedeva, senza mezzi termini, ad Alexis McGill-Johnson, presidente ad interim di Planned Parenthood, di affrontare “il razzismo sistemico delle pratiche abortive americane” e fare molto di più che rimuovere il nome di Margaret Sanger da una clinica:

“L’impatto dell’aborto sulle comunità nere è diseguale e sproporzionato. Nonostante costituiscano solo il 13% della popolazione femminile, le donne di colore hanno cinque volte più probabilità delle donne bianche di abortire. In alcune città, come New York, ogni anno vengono abortiti più bambini neri di quanti ne nascano vivi.

Non è un caso. Il 79% delle strutture per l’aborto chirurgico di Planned Parenthood si trova all’interno o vicino a comunità di colore.” [https://www.catholicnewsagency.com/news/45674/black-leaders-blast-systemic-racism-of-abortion-in-letter-to-planned-parenthood][37]

Una enormità sia in termini assoluti, sia in termini relativi!

Sebbene all’inizio la Planned Parenthood fosse un gruppo sociale emarginato, condannato dai leaders religiosi e politici del tempo, oggi, è una organizzazione di alto profilo e ben consolidata, con ampi appoggi organizzativi ed ideologici negli strati più elevati della società e del Governo statunitense. 


 

 

 

Bill Gates: “My dad was head of Planned Parenthood.”

[https://www.youtube.com/watch?v=H2OkIua8iEU,

https://billmoyers.com/content/conversation-bill-gates-making-healthier-world-children-future-generations-transcript/]

 


Il 27 marzo 2009,  Hillary Clinton[38], all’epoca segretario di Stato statunitense, veniva insignita da Planned Parenthood del Margaret Sanger Award, dal nome della fondatrice dell’American Birth Control League, nel corso della cena annuale di premiazione a Houston, per “il suo incrollabile sostegno alla salute e ai diritti delle donne durante la sua carriera nel servizio pubblico”. Nell’accettare il premio aveva espresso profonda ammirazione per Margaret Sanger:  ammi

“Ora, devo dirvi che è stato un grande privilegio quando mi è stato detto che avrei ricevuto questo premio. Io ammiro enormemente Margaret Sanger, il suo coraggio, la sua tenacia, la sua visione. Un’altra mia grande amica, Ellen Chesler, che ha scritto una magnifica biografia su Margaret Sanger dal titolo Woman of Valor, è qui. E quando penso a quello che ha fatto, tanti anni fa, a Brooklyn, assumendo archetipi, assumendo atteggiamenti e accuse che venivano da ogni direzione, sono davvero in soggezione dinanzi a lei.[39]

[…]

Eppure sappiamo che il lavoro di Margaret Sanger qui negli Stati Uniti e certamente in tutto il mondo non è finito. Qui in patria sono ancora troppe le donne alle quali vengono negati i propri diritti a causa del reddito, dell’opposizione, degli atteggiamenti che assumono. Ma in tutto il mondo, a troppe donne viene negata anche la possibilità di sapere come pianificare e seguire la famiglia.[40] [https://www.baptistpress.com/resource-library/news/hillary-clinton-receives-award-named-for-famed-eugenicist/, https://www.youtube.com/watch?v=r4o4WizW2mQ

 


 

Durante la cerimonia di premiazione, Planned Parenthood aveva assegnato uno dei Maggie Awards alla rete statunitense The CW per un episodio sul “sesso sicuro” e sul vaccino contro il papillomavirus umano di Privileged, una serie televisiva, trasmessa negli Stati Uniti, dal 2009, basata su un libro di Zoey Dean, How To Teach Filthy Rich Girls.

La Planned Parenthood ha finanziato con ben 20 milioni di dollari la campagna elettorale di Hillary Clinton [https://www.tempi.it/usa-lo-scambio-di-favori-milionario-tra-planned-parenthood-e-hillary-clinton/,  [https://www.youtube.com/watch?v=0Av6D6Cs8SY], che prometteva di impedire che vengano tagliati i fondi federali” al gigante delle cliniche pari a 528 milioni. 

 

 

 

 


Da quando è stato in corsa John Kerry alla Casa Bianca, nel 2004, la Planned Parenthood si schiera, apertamente, per un candidato Dem.

 


“Questa è letteralmente un’elezione di vita o di morte.”

“Non possiamo sopportare altri quattro 4 anni di Trump, dobbiamo fare tutto il possibile per rimuoverlo dall’incarico.”[41] [https://www.npr.org/2020/06/15/876893948/planned-parenthood-backs-biden-seeing-a-life-or-death-election-ahead]

aveva dichiarato, il 15 giugno 2020, alla National Public Radio [NPR] la presidente ad interim della Planned Parenthood, Alexis McGill Johnson. E subito dopo, lo stesso lunedì 15 giugno, arrivava, con una dichiarazione del Planned Parenthood Action Fund, l’appoggio ufficiale nella corsa alla Casa Bianca a Joe Biden.

 

Joe Biden

 



L’11 agosto 2020, Joe Biden nominava sua vice la senatrice californiana, ex-procuratore generale dello Stato della California Kamala Harris, definendola una “combattente impavida per i piccoli e uno dei migliori funzionari pubblici del Paese”.

Per “piccoli non si intendono ovviamente i bambini concepiti.” [https://www.studentsforlifeaction.org/ten-reasons-were-exposing-korruptkamala-before-november/, https://studentsforlife.org/2020/08/12/joe-biden-and-vp-pick-kamala-harris-make-for-most-pro-abortion-ticket-ever/],

era stata la replica immediata di Kristan Hawkins, presidente di Students for Life of America [SFLA].

Scegliendo come propria vice Kamala Harris, sostenuta dalla multinazionale dell’aborto, Biden confermava e rafforzava il suo sostegno a Planned Parenthood.

Il professarsi cattolico, evidentemente, non costituisce un problema per Joe Biden, come, in generale, per i dem statunitensi!

La decisione era stata resa nota, poche ore dopo una intervista esclusiva concessa a Fox News dal cardinale Raymond Burke, uno degli esponenti più conservatori della Chiesa, che aveva criticato i “cosiddetti politici cattolici”, incluso il candidato presidenziale democratico, che si considerano membri della Chiesa, ma non sono d’accordo con il suo insegnamento su determinate questioni.

“Ho avuto capi di governo non cattolici in questa nazione che mi hanno detto che erano certi che l’insegnamento cattolico sull’aborto e il cosiddetto matrimonio tra persone dello stesso sesso fosse cambiato perché così tanti cattolici a Capitol Hill stanno regolarmente sostenendo questo tipo di legislazione . E questo è uno scandalo.”[42] [https://www.foxnews.com/media/raymond-leo-cardinal-burke-weighs-in-on-2020-dems-calls-out-biden-harris]

“Praticano il cattolicesimo, ma non potrebbero “presentarsi” per ricevere la comunione a causa della loro politica, in particolare l’ex-vicepresidente Joe Biden, che ha recentemente abbandonato il suo sostegno all’emendamento Hyde dopo avere affermato per decenni che la sua fede era la ragione per cui non poteva sostenere gli aborti finanziati dal Governo.”

“Non è una punizione. In realtà è un favore a queste persone dire loro di non avvicinarsi",

aveva spiegato Burke,

“perché se si avvicinano, commettono un sacrilegio.[43]

L’attacco a Biden segnava un altro scontro con papa Bergoglio. Nel novembre del 2019, Biden aveva rivelato di avere ricevuto la comunione dal papa, dopo che un prete, in South Carolina, gliel’aveva negata [https://www.youtube.com/watch?v=K29IUquIk_E].

 


Donald Trump, tre giorni dopo la cerimonia di insediamento alla Casa Bianca, il 23 gennaio 2017, aveva reintrodotto la Mexico City Policy, una misura voluta da Ronald Reagan, nel 1984, che impedisce il finanziamento all’estero, con fondi americani, di tutte le organizzazioni non governative che promuovono o praticano l’aborto come metodo di pianificazione familiare. Questa misura è, sempre, stata sostenuta da tutti i presidenti repubblicani dopo Ronald Reagan, George Herbert Walker Bush e George Walker Bush, e disapplicata da quelli del Partito Democratico, Bill Clinton e Barack Obama. Oltre a reintrodurre la Mexico City Policy, Trump ne aveva ampliato la portata, coprendo non solo i programmi di pianificazione familiare all’estero – nel 2016, valevano più di 600 milioni di dollari! – bensì tutti i fondi federali riguardanti la salute oltreconfine, una torta complessiva di circa 9 miliardi di dollari. La misura, che escludeva, di fatto, dalla suddetta torta quelle organizzazioni, quali Planned Parenthood e Marie Stopes International, che, con il tempo, erano riuscite a fare inserire l’aborto come metodo di pianificazione familiare nei programmi internazionali e non intendevano rinunciare alla loro agenda, aveva assunto la nuova denominazione di Protecting life in global health assistance. Trump aveva, anche, tagliato i fondi – 68 milioni di dollari all’anno, tra fondi diretti e indiretti! – all’United Nations Fund for Population Activities [UNFPA], l’agenzia dell’ONU nata per volontà della famiglia Rockefeller, che si stima abbia investito, in un secolo, su questo obiettivo, 200 miliardi di dollari attuali.

Kamala Harris è contraria alla pena di morte, ma favorevole all’aborto e ai diritti degli omosessuali. Caldeggia l’introduzione di un terzo genere, oltre a maschile e femminile, sui documenti pubblici, ma su di lei pesano come un macigno le posizioni in favore dell’aborto e il contrasto esercitato nei confronti di molti gruppi pro-life che si battono per la difesa della vita in America. Nel 2015, aveva sostenuto il cosiddetto Reproductive FACT Act della California, un progetto di legge che obbligava i centri pro life di aiuto alle donne in gravidanza a dire alle loro clienti dove avrebbero potuto ottenere aborti gratuiti e a pubblicizzare le cliniche per l’aborto e utilizzò il suo potere di procuratore generale dello Stato per far chiudere sei ospedali cattolici per conto di un altro dei suoi sponsor politici, la Service Employees International Union.

Un’altra vicenda controversa la riguarda. Nel 2016, Kamala Harris, che ha ricevuto decine di migliaia di dollari in donazioni per la campagna elettorale da Planned Parenthood, aveva autorizzato, con l’accusa di avere violato le norme sulla privacy, una perquisizione a casa di David Daleiden, fondatore del Center for Medical Progress [CMP],  un’organizzazione pro-life, che aveva comportato il sequestro di una varietà di materiali dall’appartamento, tra cui una videoregistrazione inedita di Planned   Parenthood. [https://www.lifesitenews.com/news/breaking-joe- biden-picks-planned-parenthood-ally-kamala-harris-as-running-mate/]. L’associazione pro-life, aveva lanciato un’indagine su Planned Parenthood[44] e aveva documentato, grazie a videoregistrazioni realizzate con una telecamera nascosta, che la potente organizzazione abortista vendeva feti umani a laboratori, violando più di una legge federale. La legge federale vieta il trasferimento di tessuto fetale in cambio di “ preziosa considerazione ”. Questo termine è uno standard del diritto contrattuale e denota qualsiasi cosa di valore. Il “profitto” è un utile indicatore di “preziosa considerazione”: se hai realizzato un profitto dal tessuto fetale, hai necessariamente infranto la legge. Tuttavia, il profitto non è necessario per costituire una violazione dello statuto, anzi, il “corrispettivo” può essere anche di un centesimo. Il vero crimine non è nella quantità di denaro per cui viene venduto un feto abortito [o il suo cuore o cervello], ma nell’atto di ercificazione.  Questo è in qualche modo analogo alla vendita di droghe illegali, dove ancora una volta non è la quantità di denaro che è determinante, ma piuttosto la transazione commerciale su qualcosa che è vietato commercializzare. Secondo la legge federale “sarà illegale per qualsiasi persona acquisire, ricevere o trasferire consapevolmente qualsiasi tessuto fetale umano a titolo oneroso se il trasferimento influisce sul commercio interstatale”.

 

§289g–2. Prohibitions regarding human fetal tissue

[a] Purchase of tissue

It shall be unlawful for any person to knowingly acquire, receive, or otherwise transfer any human fetal tissue for valuable consideration if the transfer affects interstate commerce.

[b] Solicitation or acceptance of tissue as directed donation for use in transplantation

It shall be unlawful for any person to solicit or knowingly acquire, receive, or accept a donation of human fetal tissue for the purpose of transplantation of such tissue into another person if the donation affects interstate commerce, the tissue will be or is obtained pursuant to an induced abortion, and—

[1] the donation will be or is made pursuant to a promise to the donating individual that the donated tissue will be transplanted into a recipient specified by such individual;

[2] the donated tissue will be transplanted into a relative of the donating individual; or

[3] the person who solicits or knowingly acquires, receives, or accepts the donation has provided valuable consideration for the costs associated with such abortion.

[c] Solicitation or acceptance of tissue from fetuses gestated for research purposes

It shall be unlawful for any person or entity involved or engaged in interstate commerce to—

[1] solicit or knowingly acquire, receive, or accept a donation of human fetal tissue knowing that a human pregnancy was deliberately initiated to provide such tissue; or

[2] knowingly acquire, receive, or accept tissue or cells obtained from a human embryo or fetus that was gestated in the uterus of a nonhuman animal.

[d] Criminal penalties for violations

[1] In general

Any person who violates subsection [a], [b], or [c] shall be fined in accordance with title 18, subject to paragraph [2], or imprisoned for not more than 10 years, or both.

[2] Penalties applicable to persons receiving consideration

With respect to the imposition of a fine under paragraph [1], if the person involved violates subsection [a] or [b][3], a fine shall be imposed in an amount not less than twice the amount of the valuable consideration received.

[e] Definitions

For purposes of this section:

[1] The term “human fetal tissue” has the meaning given such term in section 289g-1[g] of this title.

[2] The term “interstate commerce” has the meaning given such term in section 321[b] of title 21.

[3] The term “valuable consideration” does not include reasonable payments associated with the transportation, implantation, processing, preservation, quality control, or storage of human fetal tissue.

[July 1, 1944, ch. 373, title IV, §498B, as added Pub. L. 103–43, title I, §112, June 10, 1993, 107 Stat. 131; amended Pub. L. 109–242, §2, July 19, 2006, 120 Stat. 570.]

Amendments

2006—Subsec. [c]. Pub. L. 109–242, §2[2], added subsec. [c]. Former subsec. [c] redesignated [d].

Subsec. [d]. Pub. L. 109–242, §2[1], [3], redesignated subsec. [c] as [d] and substituted “[a], [b], or [c]” for “[a] or [b]” in par. [1]. Former subsec. [d] redesignated [e].

Subsec. [e]. Pub. L. 109–242, §2[1], [4], redesignated subsec. [d] as [e] and substituted “section 289g–1[g]” for “section 289g–1[f]” in par. [1].

[https://www.law.cornell.edu/uscode/text/42/289g-2]

 


In un video dell’1 settembre 2015, gli investigatori del CMP avevano raccolto la testimonianza di Perrin Larton [https://www.lifesitenews.com/news/it-just-fell-out-organ-broker-cites-kermit-gosnell-in-latest-undercover-vid/?utm_source=LifeSiteNews.com+Daily+Newsletter&utm_campaign=924d7bdbce-LifeSiteNews_com_Intl_Headlines_06_19_2013&utm_medium=email&utm_term=0_0caba610ac-924d7bdbce-397689353, https://www.youtube.com/watch?v=9ZGuIyNQo3Q], responsabile dell’approvvigionamento presso l’Advanced Bioscience Resources, Inc. [ABR]. Perrin Larton confermava la collaborazione della compagnia con  cliniche di San Diego, dell’Oregon, del Minnesota, del New Jersey e di Philadelphia, lasciando, anche, spazio a un umorismo alquanto macabro:

“Ma non con la clinica del dottor Gosnell.”

Il dottor Kermit Barron Gosnell [https://www.washingtonpost.com/news/wonk/wp/2013/04/15/the-gosnell-case-heres-what-you-need-to-know/][45] è un medico arrestato per aver praticato aborti oltre i termini previsti dalla legge nella propria clinica a Philadelphia.

Perrin Larton, nel video del CMP, ammetteva di essere a conoscenza di casi in cui vi erano bambini con cuore battente destinati alla dissezione. A confermare le parole di Perrin Larton, vi era, anche, la testimonianza sotto giuramento della dottoressa Deborah Nucatola, ex-direttore senior dei servizi medici per Planned Parenthood, la quale, volendo escludere che Planned Parenthood uccidesse bambini nati vivi, sosteneva che gli interventi abortivi venivano praticati solo su feti non viable, vale a dire feti che non avrebbero potuto sopravvivere, indicando i criteri per stabilire la possibilità di sopravvivenza alquanto incerti, quali il peso fetale e la salute del nascituro.


 


“Support Kermit Gosnell and Planned Parenthood & buy a FREE KERMIT shirt!”, she wrote, including a link to the online store where it could be purchased, with a portion of every sale going to support Planned Parenthood [https://babylonbee.com/news/hillary-pushes-free-kermit-gosnell-shirt-planned-parenthood-fundraiser].

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=jjxwVuozMnU


In uno dei video, pubblicato nel 2015, la dottoressa Deborah Nucatola descriveva come i medici  possono utilizzare gli ultrasuoni per capovolgere il bambino per ottenere organi più integri.

 

Defund Planned Parenthood Act of 2017

This bill prohibits, for a one-year period, the availability of federal funds for any purpose to Planned Parenthood Federation of America, Inc., or any of its affiliates or clinics, unless they certify that the affiliates and clinics will not perform, and will not provide any funds to any other entity that performs, an abortion during such period. This restriction does not apply in cases of rape or incest or where a physical condition endangers a woman’s life unless an abortion is performed.

The Department of Health and Human Services and the Department of Agriculture must seek repayment of federal assistance received by Planned Parenthood Federation of America, Inc., or any affiliate or clinic, if it violates the terms of the certification required by this bill.

Additional funding for community health centers is provided for the one-year period described above.” [https://www.congress.gov/bill/115th-congress/house-bill/354?q=%7B%22search%22%3A%5B%22the+Defund+Planned+Parenthood+Act+of+2015%22%5D%7D, https://www.congress.gov/bill/117th-congress/senate-bill/139/text?r=79&s=1]

 

https://www.youtube.com/watch?v=fMjtYHakXxM

 

“Sul suo sito web, il braccio di promozione politica di Planned Parenthood elenca “nove buoni motivi per amare Kamala Harris”[47]. Eccone alcuni. È una paladina dell’accesso alla contraccezione e all’assistenza sanitaria riproduttiva. Ha surclassato il giudice della Corte suprema Brett Kavanaugh durante l’audizione di conferma della sua nomina davanti alla Commissione Giustizia del Senato. Per finire, corredando l’ultima motivazione con un video in cui la Harris si scatena in mezzo ai suoi sostenitori, un tocco di folklore: “Balla al ritmo dei tamburi. Serve dire altro?”. La posizione della Harris in difesa del diritto all’aborto è in linea con la stragrande maggioranza degli elettori del suo Stato. Ma, con 40 milioni di abitanti, in California c’è un po’ di tutto. Compreso un uomo di nome David Daleiden. Fin dai tempi del liceo, frequentato nella cittadina universitaria e liberal di Davis, Daleiden si era autoproclamato guerriero antiaborto. Da ventenne, tra l’ottobre del 2013 e il luglio del 2015, lui e un amico avevano usato false identità per entrare ai convegni sull’aborto e filmare senza autorizzazione conversazioni con i medici e vari addetti di Planned Parenthood. Nel luglio del 2015 Daleiden e un’entità di sua creazione, il Center for Medical Progress, assursero agli onori della cronaca diffondendo versioni rimaneggiate e ingannevoli di quei video, in cui si dava a intendere che i responsabili di Planned Parenthood autorizzassero la vendita di parti dei feti[48]. Il giovane si era cacciato nei guai. In California è reato registrare di nascosto una conversazione. Serve il consenso di entrambe le parti. Lui sosteneva che nel suo caso la legge non fosse applicabile, perché agiva da giornalista con l’intento di denunciare un illecito. Nell’estate di quell’anno, la guerra infinita sul diritto all’aborto si surriscaldò. Il lavoro già complesso di Planned Parenthood – che fornisce alle donne assistenza sanitaria riproduttiva, contraccettivi inclusi, allo scopo di contrastare le gravidanze minorili, e diffonde avvertimenti sui pesticidi che possono causare malformazionicongenite – si complicò ulteriormente con la divulgazione delle registrazioni di Daleiden. Tra le conseguenze ci furono un’inchiesta aperta dal Congresso a maggioranza repubblicana e nuove richieste di sanzioni contro l’associazione. Medici e infermieri che fornivano assistenza nella rete di consultori temevano per la propria vita. Un uomo di Washington fu arrestato dopo aver cercato di commissionare l’omicidio di un manager di una società californiana di biotecnologie citata nelle registrazioni. In novembre un aggressore armato fece irruzione nell’ambulatorio Planned Parenthood di Colorado Springs, farneticando di feti smembrati, e uccise tre persone: un agente di polizia, un reduce della guerra in Iraq e una donna, madre di due bambini[49]. Dopo l’arresto pare avesse dichiarato ai poliziotti che se fosse morto i feti in paradiso lo avrebbero ringraziato per aver impedito gli aborti. Daleiden affermò che quegli atti di violenza non erano la conseguenza delle sue registrazioni. “Non credo che c’entrino il movimento pro-life o i miei video: i miei filmati comunicano un forte messaggio di nonviolenza” disse nell’aprile del 2016 a Shawn Hubler, al tempo alla redazione del “Sacramento Bee”. I rappresentanti democratici al Congresso, compresi Jerrold “Jerry” Nadler di New York e Zoe Lofgren di San José, si attivarono in difesa di Planned Parenthood, sollecitando la Harris a indagare sugli aspetti legali dell’iniziativa di Daleiden e sui successivi attacchi ai consultori. “Planned Parenthood è un’organizzazione stimata e importante nella mia comunità” scrisse la Lofgren nel luglio del 2015. E chiamò in causa la Harris. “Queste registrazioni realizzate in modo surrettizio sono l’ennesimo esempio delle vessazioni e degli attacchi di parte sferrati all’associazione. all’associazione. Ma gli episodi sono diventati troppo frequenti, e le gravi questioni sollevate impongono un’indagine sul sedicente Center for Medical Progress e sulla sua legalità[50].” Anche Kathy Kneer, per ventiquattro anni a capo del braccio politico di Planned Parenthood in California, riteneva che l’ufficio del procuratore generale dello Stato dovesse intervenire. Dopotutto le registrazioni effettuate sottobanco erano un reato penale. Il 24 luglio 2015 la Harris rispose all’appello della Lofgren e di Nadler diramando una dichiarazione in cui assicurava che avrebbe esaminato la questione. Con il suo staff espresse preoccupazioni sia per il personale dei consultori sia per le pazienti bisognose di assistenza, ma in pubblico si limitò a quella dichiarazione. Non ci furono conferenze stampa.

Planned Parenthood era stata tra i sostenitori e finanziatori della sua campagna elettorale. Sulla carta la cosa si sarebbe dovuta tradurre in un contatto più ravvicinato con la procuratrice. Ma non fu così, o almeno non subito. Kathy Kneer non aveva il suo numero di cellulare o l’indirizzo email personale. Ricorrendo ai canali ordinari, ottenne un appuntamento con lo staff del Dipartimento di Giustizia californiano e infine con alcuni avvocati, ma non con la Harris. Seguì un’altra parentesi di silenzio. “Il ritmo era quello solito: lento, burocratico” ha ricordato[51]. Le minacce di violenze, invece, non davano segno di rallentare. Il personale era esposto, e la Kneer e altri colleghi avevano l’impressione che le forze dell’ordine non stessero prendendo la cosa abbastanza sul serio. Così tornarono a rivolgersi al Dipartimento di Giustizia. Nel marzo del 2016 ottennero una serie di riunioni con i dirigenti di vertice. Le email del periodo dimostrano che in seguito a quegli incontri il Dipartimento aveva accettato di mandare uno dei suoi avvocati all’assemblea generale del personale di Planned Parenthood, prevista per il 7 aprile 2016 allo Sheraton Grand Hotel, nel centro di Sacramento. Il 5 aprile, due giorni prima della data stabilita, l’avvocatessa scelta dal Dipartimento, Jill Habig, inviò un’altra email in cui precisava i temi di cui intendeva discutere: “Le attuali istanze/esigenze di sicurezza [sia per i singoli medici sia per gli ambulatori] presso le vostre affiliate, per permetterci di fornire l’assistenza necessaria mediante rappresentanti delle forze dell’ordine locali”[52].6 Avrebbe parlato per venti minuti, scrisse, con qualche minuto alla fine per rispondere alle domande.

Solo una breve parentesi in un’agenda già fitta di impegni. Ma per David Daleiden il 5 aprile 2016 si rivelò una giornata memorabile. Secondo la sua versione dei fatti [raccontata innumerevoli volte], stava portando la spazzatura nel bidone di fronte al suo appartamento di Huntington Beach quando da un furgone bianco senza contrassegni erano scesi alcuni agenti del Dipartimento di Giustizia dello Stato e gli avevano mostrato un mandato di perquisizione. Nove mesi dopo la promessa della Harris di condurre un’indagine, furono confiscati tutti i computer trovati in casa, gli hard disk e mucchi di documenti[53]. Gli agenti del Dipartimento di Giustizia sono tutelati da un solido sistema di dirigenti e sindacati propri. I procuratori vanno e vengono con le elezioni, ma loro restano, continuando a fare il proprio lavoro. Sono poliziotti, non politici, anche se Daleiden e i suoi avvocati sostennero che la perquisizione era stata voluta dall’alto, cioè dalla Harris. Nei giorni immediatamente precedenti il blitz, i leader di Planned Parenthood avevano scambiato parecchie email con i vertici del Dipartimento, e almeno alcuni di questi erano al corrente dell’imminente perquisizione. Ma non c’erano state fughe di notizie. La Kneer e i suoi colleghi avevano saputo dell’operazione solo quando era diventata di dominio pubblico. “Non ne avevamo il minimo sentore. Eravamo completamente all’oscuro” ha raccontato[54]. Inutile dire che era entusiasta della svolta. La pubblicazione dei video di Daleiden era stata “traumatica”, ha ammesso, come “benzina gettata sul fuoco”. Forse, nove mesi dopo la loro diffusione, Planned Parenthood avrebbe potuto contare sulla tutela della legge.

L’assemblea del 7 aprile si tenne come previsto. Nel suo intervento, l’avvocatessa inviata dal Dipartimento di Giustizia non fece alcun accenno alla perquisizione o a un’indagine in corso. La Harris non partecipò e non indisse conferenze stampa per commentare compiaciuta l’accaduto. Anzi, il silenzio sembrava ancora più profondo. L’indagine proseguì per tutta l’estate e l’autunno. Durante il mandato della Harris la procura non formalizzò accuse a carico di Daleiden. Mentre, nel 2015, i video di Daleiden inasprivano la battaglia sull’aborto, Kamala Harris diventò uno degli sponsor principali [insieme a due gruppi per il diritto all’aborto, Black Women for Wellness e NARAL Pro-Choice California] di una normativa volta a regolamentare i centri di sostegno alla gravidanza. Attivi in California e in tutto il Paese, si tratta di centri gestiti da organizzazioniorganizzazioni cristiane conservatrici. I dipendenti, molti dei quali non sono né medici né infermieri, si impegnano a dissuadere le donne dall’interruzione di gravidanza. La proposta di legge, detta Freedom, Accountability, Comprehensive Care and Transparency Act [FACT], esigeva che i centri antiaborto affiggessero cartelli che informavano le donne delle opzioni a loro disposizione. In California, quelle opzioni includono l’interruzione di gravidanza coperta dal sistema previdenziale dello Stato. Sui cartelli avrebbero letto, per esempio: “La California offre programmi statali che forniscono accesso gratuito o a basso costo a servizi completi di pianificazione familiare [compresi tutti i metodi contraccettivi approvati dalla Food and Drug Administration], assistenza prenatale e aborto secondo i requisiti di legge”[55].

Il testo del FACT precisava che l’intento della legge era “garantire che tutte le donne della California siano informate dei loro diritti e dell’assistenza sanitaria disponibile, affinché possano prendere decisioni in autonomia”. Tra gli oppositori si schierò il NIFLA, l’Istituto per la Difesa della Famiglia e della Vita, un’organizzazione della Virginia “che esiste per proteggere i centri di assistenza che tutelano la vita, restituendo alle donne tentate dall’aborto la possibilità di dare alla luce i propri bambini non ancora nati”[56]. “Negare la libertà di espressione non è una soluzione” sostenne il NIFLA, presente in oltre cento centri di sostegno alla gravidanza della California, nella lettera di opposizione alla proposta di legge[57]. Gli avvocati incaricati di fare da consulenti ai legislatori sapevano che il FACT si esponeva a contestazioni di incostituzionalità. Tuttavia ritenevano che le leggi in vigore autorizzassero il Governo a regolamentare il discorso commerciale per impedire dichiarazioni false, ingannevoli o fuorvianti, in particolare quando era in gioco la salute pubblica. I video di Daleiden diventarono parte delle argomentazioni presentate dai deputati repubblicani che a Sacramento cercarono invano di impedire l’approvazione del FACT. “Abbiamo scoperto che l’aborto potrebbe non essere motivato dal desiderio di aiutare una persona in difficoltà, ma dall’intento di prelevare i feti per altri scopi. Potrebbe essere in atto un gigantesco conflitto di interessi di cui solo oggi la Nazione è diventata consapevole” disse il senatore John Moorlach, un repubblicano della contea di Orange, nel suo intervento contro la proposta di legge[58]. In California i repubblicani non avevano i numeri necessari a bloccare una legge e la proposta fu approvata senza difficoltà, con il consueto spartiacque di partito: la maggioranza democratica votò in favore, la minoranza repubblicana votò contro. La Harris era stata accusata spesso di eccessiva cautela, ma in quel caso fu tutt’altro che reticente. Esultò quando il governatore Jerry Brown firmò il decreto, il 9 ottobre 2015: “Sono fiera di essere stata copromotrice del decreto FACT, che garantisce a tutte le donne pari accesso ai servizi di assistenza riproduttiva e alle informazioni necessarie a prendere decisioni consapevoli sulla loro salute e la loro vita”[59]. Se fosse stata in grado di prevedere il futuro, o avesse riflettuto sulla composizione della Corte Suprema degli Stati Uniti, forse la procuratrice avrebbe aspettato a cantare vittoria.

Il NIFLA ricorse in appello, sostenendo che il decreto violava il diritto alla libertà di espressione dei responsabili dei centri, imponendo di affiggere cartelli in conflitto con le loro convinzioni. Le corti inferiori si schierarono in favore dello Stato. Ma dopo le prime sconfitte le forze antiaborto si appellarono alla Corte suprema degli Stati Uniti. Uno degli avvocati che rappresentavano il NIFLA era John Eastman, ex-assistente legale del giudice Clarence Thomas e tra i candidati repubblicani alla carica di procuratore generale nelle elezioni del 2010, vinte dalla Harris. Il 18 giugno 2018, in una decisione presa con una maggioranza di cinque a quattro e una sentenza scritta dal giudice Thomas, la corte diede ragione ai ricorrenti. “[Il decreto FACT] impone ad ambulatori autorizzati un copione scritto dal Governo sui servizi resi disponibili dallo Stato, oltre a informazioniinformazioni su dove reperirli» scrisse Thomas. “Uno di quei servizi è l’aborto: precisamente la pratica che i querelanti sono impegnati a contrastare.”[60] Non solo. Per legge, la parte che ha prevalso in una causa civile ha diritto al risarcimento delle spese processuali. Nel 2019 il procuratore generale della California, Xavier Becerra, ha dovuto patteggiare, riconoscendo alle organizzazioni antiaborto 2 milioni di dollari a copertura delle parcelle degli avvocati assunti nella causa contro il FACT. E nel 2019 molti di quegli stessi avvocati sono rispuntati nell’aula del giudice della Corte Distrettuale degli Stati Uniti, William Orrick, a San Francisco. Rappresentavano il collegio della difesa di David Daleiden in persona. Il nuovo araldo del movimento antiaborto era stato querelato da Planned Parenthood per violazione del diritto alla privacy e per ingresso non autorizzato aiconvegni in cui aveva fatto le registrazioni. La sua squadra legale era composta da non meno di sedici avvocati e assistenti, tutti al suo servizio pro bono[61]. Il 15 novembre 2019 la giuria della Corte Federale di San Francisco ha riconosciuto a Planned Parenthood un risarcimento di 2,2 milioni, giudicando l’imputato colpevole di violazione di domicilio, frode, registrazione surrettizia e diffusione di materiale illecito. Daleiden è ricorso in appello. Ha anche querelato la Harris e lo Stato, accusandoli di aver violato il suo diritto alla libertà di parola e di stampa, prevista dal Primo emendamento. Durante la campagna del 2016 per il Senato, Kamala Harris non tenne mai conferenze stampa per reclamizzare il suo intervento nel caso Daleiden. Nemmeno istruì un processo a suo carico, anche se, data la posizione della maggioranza dei californiani sul diritto delle donne di decidere del proprio corpo, intentargli causa poteva favorirla politicamente. Lasciò che se ne occupasse il suo successore. Il 28 marzo 2017, quando lei era ormai insediata al Senato, il procuratore generale Becerra incriminò Daleiden e il suo socio per registrazione surrettizia[62]. La causa è ancora pendente. Daleiden si è dichiarato non colpevole e insiste di aver agito da giornalista in cerca della verità. Può contare su una squadra di penalisti di prim’ordine, tra cui Steve Cooley, l’ex-procuratore distrettuale della Contea di Los Angeles che si era candidato contro la Harris nel 2010. Cooley accusa la Harris di corruzione, sostenendo che avesse agito perché era in debito con Planned Parenthood. Anche Daleiden si è fatto sentire. “Il motivo per cui Kamala Harris ha preso di mira soltanto me è piuttosto evidente: mi ero azzardato a criticare Planned Parenthood e l’industria dell’aborto” ha proclamato in un curatissimo video di produzione professionale. Nel luglio del 2017 Kathy Kneer è andata in pensione. Lei che ne pensa del ruolo della Harris? “Penso che sia stata prudente. Persino a quattr’occhi non ci ha mai detto: “Sarò dalla vostra parte”. È rimasta neutrale.” La Harris sostiene con orgoglio il diritto di scelta delle donne. Ma secondo la Kneer non ha agito per convinzione personale, bensì da procuratore. È il suo modus operandi.”

Dan Morain, A proposito di Kamala

 

WASHINGTON – U.S. Senator Lindsey Graham [R-South Carolina] has written to the U.S. Department of Justice [DOJ] and Federal Bureau of Investigation [FBI] to request an update on the investigation into Planned Parenthood affiliates across the country for the trafficking and sale of fetal tissue, infant organ harvesting, and unlawfully utilizing loans from the Paycheck Protection Program [PPP] despite knowing they were ineligible to apply.

Graham also contacted the newly confirmed Special Inspector General for Pandemic Recovery [SIGPR] Brian Miller with the U.S. Department of the Treasury to urge him to investigate and audit all PPP loans made to Planned Parenthood affiliates.

“As we have seen from invoices from certain Planned Parenthood affiliates, biomedical companies paid thousands of dollars in exchange for fetal organs from abortions,” said Graham. “Planned Parenthood and any biomedical companies involved must be held accountable for their lucrative and illegal activities involving the trafficking and sale of fetal tissue.

“Planned Parenthood’s abuse of taxpayer PPP dollars is yet another example of Planned Parenthood’s flagrant disregard for the law,” said Graham. “We urge you to investigate not only the extent to which Planned Parenthood was involved in the sale of fetal tissue, but also the disturbing descriptions by Planned Parenthood workers of infants born alive who were left to die or killed through organ harvesting.

“President Trump and his administration have been unwavering in their efforts to protect life. Planned Parenthood’s blatant disregard for legal protections for life is unacceptable, and we therefore respectfully ask that DOJ take all steps necessary to address Planned Parenthood’s unlawful activities.”

Graham, along with a group of more than twenty senators, expressed their concerns in letters to Attorney General William Barr and FBI Director Christopher Wray as well as a letter to Special Inspector General Miller.

[https://www.lgraham.senate.gov/public/index.cfm/blog?page=10, https://www.lifesitenews.com/news/breaking-jury-rules-against-daleiden-pro-lifers-who-exposed-planned-parenthoods-sale-of-baby-body-parts/, https://images.law.com/contrib/content/uploads/documents/389/139123/Daleiden-v.-Planned-Parenthood.pdf, https://www.supremecourt.gov/DocketPDF/19/19-1392/185155/20210728163153060_Amici%20Brief%20of%20CMP-Daleiden.pdf, https://news.bloomberglaw.com/pharma-and-life-sciences/alleged-illegal-fetal-tissue-sales-spark-gop-demand-for-action]

  

Kamala Harris difende la causa LGBT, dichiara di avere lei stessa celebrato matrimoni omosessuali ed è convinta che il Governo federale debba “proteggere i diritti dei più deboli quando gli Stati non lo fanno”, dunque togliere ogni autonomia di giudizio sulle nozze omosessuali ai Governi locali, ma, nel 2015, l’allora  procuratore generale della California, aveva supportato le decisioni riguardanti l’Affaire Norsworthy [https://www.latimes.com/local/political/la-me-ff-prison-board-approves-parole-for-sexreassignment-inmate-20150521-story.html]. Michelle Norsworthy, condannata per omicidio di secondo grado, nel 1987, è stata tra le prime transgenders a battersi per ottenere la terapia ormonale e il cambio di sesso, anche per chi, come lei, si trovasse in carcere. Kamala Harris, all’epoca, si mostrò intransigente, affermando che non si trattava di un’operazione urgente.

“Norsworthy è da più di 20 anni in cura per la disforia di genere, e non sembra in alcun modo peggiorata al punto di dovere ottenere urgentemente un’operazione di cambio del sesso adesso, invece di aspettare le sorti del processo.”[63]

E, nonostante ciò, la coppia Biden-Harris è stata acclamata dalla comunità LGBT. Biden ha, esplicitamente, citato omosessuali e transessuali, nel suo proclamarsi  “il presidente di tutti”.

L’oggettività sperimentale assoluta rivendicata e ricercata dalle scienze, che la medicina e la biologia di fine secolo accettarono con pochi ripensamenti epistemologici e morali, furono il terreno fecondo su cui germogliò la pianta della discriminazione razziale.

L’opinione pubblica rimase affascinata da questo messaggio ideologico, ma apparentemente e saldamente scientifico, un messaggio che asseriva come si potesse intervenire sulle persone migliorandole, allo stesso modo di un allevatore nel selezionare mucche da latte o cavalli da corsa. La politica, la filosofia e la religione non contrastarono né disapprovarono queste idee, che sembravano indubitabili, grazie al prestigio che la medicina moderna si stava guadagnando, affrancando l’Umanità da flagelli secolari, quali la sifilide, e da malattie infettive in genere. Quando la Germania nazista iniziò a praticare l’eugenetica, l’esempio costituito dagli Stati Uniti attraverso la sterilizzazione forzata risultò un punto di inizio per un processo che sarebbe giunto, progressivamente, a estendere la gravità dei suoi interventi, passando dalla sterilizzazione dei malati di mente non autosufficienti all’eutanasia degli stessi e di tutti i soggetti che fossero, indipendentemente dall’età, in una condizione di minorità e di non adeguatezza ai criteri di una normalità presunta. Criteri che erano stabiliti da un insieme di medici appositamente selezionati e formati dallo Stato. 

 

Alfred Siegfried

 

Nel 1926, in pieno clima di cultura eugenetica e di pulizia etnica che spirava anche in Svizzera, un insegnante di ginnasio, Alfred Siegfried, espulso dall’insegnamento per pedofilia, divenne responsabile della sezione Scolarità Infantile della fondazione Pro Juventute,  un ente a “favore dei giovani” noto per la vendita annuale di francobolli molto ambiti dai filatelici professionisti e dilettanti non solo svizzeri.

“Non solo intere famiglie ma clan di diverse centinaia di individui costituendo una stretta associazione che assume atteggiamenti e modi di vita asociali e amorali li trasmette consapevolmente e intenzionalmente anche alla propria prole.

[…]

I loro singoli membri possono sembrare abbastanza innocui, le loro trasgressioni possono limitarsi a irregolarità e infrazioni di polizia lievi. Il fatto però che essi si sostengano e si aiutino vicendevolmente conferisce loro una potenzialità pericolosa.”

Il programma Hilfswerk fur die Kinder der Landstrasse (Opera di assistenza per i bambini di strada), finanziato da privati e istituzioni proseguì fino al 1972, con l’intento di “sradicare il male del nomadismo, fin dall’infanzia, attraverso misure educative sistematiche e coerenti”, consistenti innanzitutto nel sottrarre i bambini ai loro genitori e nel sterilizzare forzatamente i loro genitori. in sostanza un programma di pulizia etnica, camuffato da scolarità infantile, sostenuto dal Governo elvetico. Molti bambini venivano affidati ai contadini, le bambine, si ritrovarono recluse in cliniche psichiatriche o in prigione, dove subirono maltrattamenti, violenze terapeutiche, come l’elettroshock, e abusi sessuali.

Erano 35mila i jenisches, ne rimasero 5mila.

n Europa 500mila zingari sono stati sterminati durante la Seconda Guerra Mondiale.

Dal 1938, per formale richiesta della Svizzera, sui passaporti dei cittadini tedeschi di  “razza non ariana” erano stati apposti timbri distintivi. Gli ebrei avevano una J, gli zingari una Z. Le stesse lettere che venivano tatuate sul braccio prima del numero di identificazione nei campi di sterminio.

A Milano un liceo classico e scientifico è intitolato ad Alexis Carrel. Carrel fu un grande pioniere della chirurgia, inventò brillanti tecniche di sutura dei vasi sanguigni, la tecnica odierna dei trapianti gli deve molto. Alla nascita del Governo Vichy nel 1940, Carrel accettò l’invito del maresciallo Pétain di dirigere la Fondazione Carrel per lo studio dei problemi umani, che, in pratica, si occupava di selezioni razziali. Ammiratore di Adolf Hitler e Benito Mussolini, pubblicò in America nel 1935 Un uomo, questo sconosciuto. Nel suo farneticante libro scrive:

“Rimane poi il problema insoluto dell’immensa folla dei deficienti e dei criminali, che pesano interamente sulla popolazione sana: le spese per le prigioni e per i manicomi, per la protezione del pubblico dai banditi e dai pazzi sono diventate gigantesche. Le Nazioni civili stanno compiendo inutili sforzi per la conservazione di essere inutili e nocivi, e così gli anormali impediscono il progresso dei normali.”

Nel corso degli Anni Ottanta e Novanta, quando furono rese disponibili nuove procedure tecnologiche di riproduzione assistita, come la surrogazione di maternità [disponibile dal 1985], la diagnosi genetica pre-implantazione [disponibile dal 1989] e il trasferimento citoplasmatico [eseguito per la prima volta nel 1996] si temette un eventuale rinnovarsi delle idee e pratiche eugenetiche, con l’emersione eclatante dell’ampliamento del divario tra ricchi e poveri del mondo.

Una domanda che spesso ci si pone quando si parla di Olocausto è:

“Ma possibile che nessuno lo sapesse o che tutti fossero d’accordo?” 

Se è verosimile ritenere che l’opinione pubblica potesse ignorare le dimensioni effettive del fenomeno o i particolari più agghiaccianti, è, tuttavia, doveroso denunciare il lento ma inesorabile lavoro di indottrinamento eseguito dagli eugenisti, che, sostenuti da eminenti psichiatri, crearono quell’humus culturale in cui le idee di purezza razziale e di “soppressione della vita indegna di essere vissuta” potevano proliferare ed essere accettate come necessarie verità scientifiche.

L’eugenetica – dal greco “buona nascita” – prese piede sulla scia delle teorie darwiniane verso la fine del XIXesimo secolo. All’inizio del Novecento, spinta con forza anche dalla Fondazione Rockefeller, l’eugenetica si diffuse sempre più. L’idea di “sopravvivenza del più forte” fu, dapprima, usata per impedire che i deboli procreassero e, in seguito, per giustificare la soppressione della “vita indegna di essere vissuta”. In seguito fu sufficiente sviluppare un’intensa campagna antisemita, stigmatizzando gli ebrei come appartenenti a una razza inferiore, e il gioco era fatto: il concetto di razza inferiore germogliò con vigore in questo substrato culturale imbevuto di pseudoscienza eugenetica, fornendo la base di consenso allo sterminio.

La sospensione della democrazia rischia di passare senza accorgersene, se equivoci e ambiguità rendono particolarmente fragile il tessuto sociale.

 

L’Associazione Psichiatrica Tedesca, dopo anni di smentite, ha, infine, ammesso le proprie responsabilità. In un discorso tenuto al congresso dell’associazione, a Berlino, il 26 novembre 2010, nell’ambito del dibattito Psichiatria nel Nazionalsocialismo - Commemorazione e responsabilità, il suo presidente, il professor Frank Schneider ha dichiarato:


Signore e signori,

nel periodo del nazionalsocialismo gli psichiatri hanno condannato persone, hanno tradito i pazienti che avevano riposto in loro fiducia, e hanno loro mentito, hanno fatto ostracismo nei confronti dei parenti, hanno permesso che i pazienti fossero forzatamente sterilizzati e uccisi, e hanno allo stesso modo essi stessi personalmente ucciso. Un’ingiustificabile ricerca venne fatta sui pazienti, una ricerca che li danneggiò e addirittura li uccise.

Proviamo vergogna anche perché noi, l’Associazione psichiatrica tedesca, non siamo stati dalla parte delle nostre vittime nemmeno negli anni che seguirono il 1945. E ancor peggio: abbiamo avuto la nostra parte nelle ulteriori e nuove ingiustizie e discriminazioni. Ancora non sappiamo spiegare perché un’ammissione come questa sia possibile solo ora.

Ma non è tutto: indipendentemente dai risultati della ricerca, che ci saranno veramente noti solo nei prossimi anni, io devo - per quanto in ritardo - chiedere perdono a tutte le vittime e ai loro familiari per le ingiustizie e la sofferenza subite, che sono state loro inflitte dalle Associazioni psichiatriche tedesche e dai loro membri.

Nel luglio 1933, solo poco dopo l’ascesa di Hitler, fu passata la Legge sulla prevenzione della prole malata di malattie ereditarie. Lo psichiatra Ernst Rüdin, presidente dell’Associazione psichiatrica dal 1935 al 1945, e poi direttore dell’Istituto Tedesco di Ricerca, fu il coautore del commento ufficiale di questa legge.

Tutti i medici furono obbligati a riportare questi cosiddetti “malati ereditari” alle autorità. Sulla base di questa legge più di 350.000 persone furono selezionate dai medici e forzatamente sterilizzate. Più di 6.000 persone morirono durante questi interventi. Nella sua veste di presidente dell’allora associazione psichiatrica, Ernst Rüdin nei suoi discorsi d’inaugurazione del nostro congresso ha più volte parlato in favore di queste sterilizzazioni.

Ma non ci furono solo sterilizzazioni forzate: ci furono anche assassinii. fu uno psichiatra, Alfred Erich Hoche, nel suo libro del 1920 sull’approvazione dello sterminio della “vita indegna di vivere”, insieme al giurista Karl Binding, a coniare il termine “esistenza zavorra” e fu ancora lui che preparò un catalogo delle presunte malattie mentali incurabili, che chiamò “condizioni di morte mentale”. Nel 1930 questo diventò nel mensile nazionalsocialista la richiesta: “Morte alla vita indegna di vivere!”.
Nel settembre del 1939 Hitler ordinava la cosiddetta eutanasia, e incaricò di questo progetto Werner Heyde - ordinario di psichiatria e neurologia a Wurzburg. Almeno 250 - 300 mila persone mentalmente e fisicamente malate furono vittime di questa azione e delle seguenti fasi di uccisione dei malati, che si protrassero per qualche settimana oltre la fine della guerra. Tra i cinquanta esperti che ogni settimana ricevevano rapporti dalla clinica e decidevano sulla vita o morte, ve ne erano tre che sono divenuti presidenti della nostra associazione dopo la guerra, due dei quali ne sono poi diventati membri onorari. Sebbene il titolo di membro onorario decada solo alla morte, noi oggi condanniamo queste onorificenze e le cancelliamo formalmente.

Con pulmini grigi, il simbolo dello sterminio, i pazienti venivano prelevati dai centri mentali e di cura e portati alle 6 istituzioni psichiatriche, in cui erano state costruite le camere a gas. Le istituzioni mentali divennero istituzioni di sterminio. La cura divenne lo sterminio e gli psichiatri supervedevano il trasporto e l’uccisione dei pazienti che riponevano in loro la propria fiducia. 
Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani giornalmente si sta adoperando affinché i diritti umani e la dignità, siano restituiti a tutti gli individui, investigando e denunciando le violazioni psichiatriche dei diritti umani.

Chiunque ritiene di aver subito danni causati da trattamenti psichiatrici può mettersi in contatto con il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani.

Per Aldous Huxley:

“Il fatto che gli uomini non imparino molto dalle lezioni della Storia è l’insegnamento più importante che la Storia può offrire.”,

potremmo anche dire nulla di nuovo sotto il Sole e anche invocare i corsi e ricorsi della Storia.

 



[1] Albert Einstein

Old Grove Road

Peconic, Long Island

August 2nd, 1939

F.D. Roosevelt

President of the United States

White House

Washington, D.C.

Sir:

Some recent work by E. Fermi and L. Szilárd, which has been communicated to me in manuscript, leads me to expect that the element uranium may be turned into a new and important source of energy in the immediate future. Certain aspects of the situation which has arisen seem to call for watchfulness and if necessary, quick action on the part of the Administration. I believe therefore that it is my duty to bring to your attention the following facts and recommendations.

In the course of the last four months it has been made probable through the work of Joliot in France as well as Fermi and Szilard in America--that it may be possible to set up a nuclear chain reaction in a large mass of uranium, by which vast amounts of power and large quantities of new radium-like elements would be generated. Now it appears almost certain that this could be achieved in the immediate future.

This new phenomenon would also lead to the construction of bombs, and it is conceivable--though much less certain--that extremely powerful bombs of this type may thus be constructed. A single bomb of this type, carried by boat and exploded in a port, might very well destroy the whole port together with some of the surrounding territory. However, such bombs might very well prove too heavy for transportation by air.

The United States has only very poor ores of uranium in moderate quantities. There is some good ore in Canada and former Czechoslovakia, while the most important source of uranium is in the Belgian Congo.

In view of this situation you may think it desirable to have some permanent contact maintained between the Administration and the group of physicists working on chain reactions in America. One possible way of achieving this might be for you to entrust the task with a person who has your confidence and who could perhaps serve in an unofficial capacity. His task might comprise the following:

a] to approach Government Departments, keep them informed of the further development, and put forward recommendations for Government action, giving particular attention to the problem of securing a supply of uranium ore for the United States.

b] to speed up the experimental work, which is at present being carried on within the limits of the budgets of University laboratories, by providing funds, if such funds be required, through his contacts with private persons who are willing to make contributions for this cause, and perhaps also by obtaining co-operation of industrial laboratories which have necessary equipment.

I understand that Germany has actually stopped the sale of uranium from the Czechoslovakian mines which she has taken over. That she should have taken such early action might perhaps be understood on the ground that the son of the German Under-Secretary of State, von Weizsacker, is attached to the Kaiser-Wilhelm Institute in Berlin, where some of the American work on uranium is now being repeated.

Yours very truly,

Albert Einstein

 

[2] “I know not with what weapons World War III will be fought, but World War IV will be fought with sticks and stones.”

 

[3]  To the Editors of the New York Times:

Among the most disturbing political phenomena of our times is the emergence in the newly created state of Israel of the “Freedom Party” [Tnuat Haherut], a political party closely akin in its organization, methods, political philosophy and social appeal to the Nazi and Fascist parties. It was formed out of the membership and following of the former Irgun Zvai Leumi, a terrorist, rught-wing, chauvinist organisation in Palestine.

The current visit of Menachem Begin, leader of this party, to the United States is obviously calculated to give the impression of American support for his party in the coming Israeli elections, and to cement political ties with conservative Zionist elements in the United States. Several Americans of national repute have lent their names to welcome his visit. It is inconceivable that those who oppose fascism throughout the world, if correctly informed as to Mr. Begin’s political record and perspectives, could add their names and support to the movement he represents. [See Note A]

Before irreparable damage is done by way of financial contributions, public manifestations in Begin’s behalf, and the creation in Palestine of the impression that a large segment of America supports Fascist elements in Israel, the American public must be informed as to the record and objectives of Mr. Begin and his movement. [See Note B]

The public avowals of Begin’s party are no guide whatever to its actual character. Today they speak of freedom, democracy and anti-imperialism, whereas until recently they openly preached the doctrine of the Fascist state. It is in its actions that the terrorist party betrays its real character; from its past actions we can judge what it may be expected to do in the future. [See Note C]
Attack on Arab Village

A shocking example was their behavior in the Arab village of Deir Yassin. This village, off the main roads and surrounded by Jewish lands, had taken no part in the war, and had even fought off Arab bands who wanted to use the village as their base. On April 9 [THE NEW YORK TIMES], terrorist bands attacked this peaceful village, which was not a military objective in the fighting, killed most of its inhabitants “240 men, women, and children” and kept a few of them alive to parade as captives through the streets of Jerusalem. Most of the Jewish community was horrified at the deed, and the Jewish Agency sent a telegram of apology to King Abdullah of Trans-Jordan. But the terrorists, far from being ashamed of their act, were proud of this massacre, publicized it widely, and invited all the foreign correspondents present in the country to view the heaped corpses and the general havoc at Deir Yassin.

The Deir Yassin incident exemplifies the character and actions of the Freedom Party.

Within the Jewish community they have preached an admixture of ultranationalism, religious mysticism, and racial superiority. Like other Fascist parties they have been used to break strikes, and have themselves pressed for the destruction of free trade unions. In their stead they have proposed corporate unions on the Italian Fascist model.
During the last years of sporadic anti-British violence, the IZL and Stern groups inaugurated a reign of terror in the Palestine Jewish community.
Teachers were beaten up for speaking against them, adults were shot for not letting their children join them. By gangster methods, beatings, window-smashing, and wide-spread robberies, the terrorists intimidated the population and exacted a heavy tribute.
The people of the Freedom Party have had no part in the constructive achievements in Palestine. They have reclaimed no land, built no settlements, and only detracted from the Jewish defense activity. Their much-publicized immigration endeavors were minute, and devoted mainly to bringing in Fascist compatriots.

Discrepancies Seen

The discrepancies between the bold claims now being made by Begin and his party, and their record of past performance in Palestine bear the imprint of no ordinary political party. This is the unmistakable stamp of a Fascist party for whom terrorism [against Jews, Arabs, and British alike], and misrepresentation are means, and a “Leader State” is the goal.

In the light of the foregoing considerations, it is imperative that the truth about Mr. Begin and his movement be made known in this country. It is all the more tragic that the top leadership of American Zionism has refused to campaign against Begin’s efforts, or even to expose to its own constituents the dangers to Israel from support to Begin.
The undersigned therefore take this means of publicly presenting a few salient facts concerning Begin and his party; and of urging all concerned not to support this latest manifestation of fascism.

signed

Isidore Abramowitz; Hannah Arendt; Abraham Brick; Rabbi Jessurun Cardozo; Albert Einstein; Herman Eisen, M.D.; Hayim Fineman; M. Gallen, M.D.; H.H. Harris; Zelig S. Harris; Sidney Hook; Fred Karush; Bruria Kaufman; Irma L. Lindheim; Nachman Maisel; Symour Melman; Myer D. Mendelson, M.D.; Harry M. Orlinsky; Samuel Pitlick; Fritz Rohrlich; Louis P. Rocker; Ruth Sager; Itzhak Sankowsky; I. J. Schoenberg; Samuel Shuman; M. Znger; Irma Wolpe; Stefan Wolpe.

New York, Dec. 2, 1948

[Note A: Einstein made the point that supporting Jewish fascists like Menachem Begin was like supporting Nazis. Unfortunately, many prominent Americans have supported the fascist movement led by Begin and his disciples, who now firmly control Israel. Begin founded Herut in 1948. It was the political twin of the Irgun, a violent terrorist group headed by Begin. Both were ultra-right-wing organizations that opposed any ceasefires or negotiations with Arabs, preferring to expand Israel’s territory in defiance of international law and the U.N. mandate that partitioned Palestine, defining Israel’s borders. Before entering politics, Begin had been the preeminent terrorist in the Middle East, wantonly murdering British, Jewish and Arab civilians. His most notorious act was blowing up the King David Hotel in 1946. That explosion killed 91 people and wounded 46 others, most of them hotel staff and other civilians. [This remains the single most deadly act of terrorism in Israel/Palestine to this day.] It was not just peace-loving intellectuals who compared Begin to European fascists like Hitler, because David Ben-Gurion, Israel’s George Washington and first prime minister, who was no shrinking violet, said similar things. But by the mid-1960s Israel’s voters were swinging hard to the extreme right. A 1964 government resolution calling for the reinternment of Zeev Jabotinsky’s remains in Israel signaled Herut’s and Begin’s ascendency. [Jabotinsky was the creator of the fascist “Iron Wall” doctrine, which maintains that Jews must crush the spirit and will of Palestinians through superior firepower and sheer brutality, rather than seeking peace through diplomacy and compromise.] In 1977, the former über-terrorist Begin was elected prime minister in a landslide. In his book Palestine: Peace, not Apartheid, former U.S. president and Nobel Peace Prize Laureate Jimmy Carter mentioned the sea change that took place in Israel’s policies after Begin came to power. Begin’s administration promoted the construction of illegal Jewish settlements in the West Bank and Gaza, in effect expanding Israel’s borders by allowing robber barons to steal land from defenseless Palestinian farmers and their families. Begin also authorized the 1982 invasion of Lebanon, which became Israel’s Vietnam. As Israeli military involvement in Lebanon deepened, and the Sabra and Shatila massacre shocked the world, Begin grew increasingly isolated. He resigned from politics in 1983, but his racist, fascist spirit lives on in disciples of his and Jabotinsky’s, such as Israel’s current prime minister, Benyamin “Bibi” Netanyahu.]

[Note B: Unfortunately, the American pubic, through their government, have supplied Israel with hundreds of billions of dollars in financial aid and advanced weapons. That “aid” has been used by Israel to practice large-scale ethnic cleansing in the Occupied Palestinian Territories. This ethnic cleansing begins with home demolitions [more than 24,000 according to the Israeli Committee Against Home Demolitions], which are followed by Israel’s euphemistic “settlement expansions.” Funding this wildly unjust system, which has been compared to a new Holocaust, has created the impression in Palestine and throughout the Muslim world that Americans are raging hypocrites when they talk about “equal rights,” “justice” and “democracy.” Muslims have correctly concluded that the U.S. will always support Israel, no matter how cruelly, brutally and offensively it treats Palestinians, Bedouins and other non-Jews in its quest for free land and ever-expanding borders. The results have included 9-11, two horrific wars, multitudes of lives lost on both sides, and trillions of dollars in unpaid war debt that threatens not only the solvency of the U.S., but also that of the free world. If the dollar plummets in value, or if the U.S. can no longer borrow money, what will happen to the economies of Germany, Japan, and other countries that rely on exports to Americans?]
[Note C: If we heed Einstein’s wisdom, and judge Israel by its actions—apartheid, ethnic cleansing, strafing its victims in Gaza—rather than by oceans of self-serving propaganda, the racist/fascist nature of its government quickly becomes apparent. Or we can simply read what prime ministers of Israel and other prominent Zionists have said themselves. Please keep in mind that when the terms “transfer,” “eviction” and “removal” are used, the Zionists are talking about ethnic cleansing: a crime against humanity. When the right of return is denied to Palestinians, this means the victims of ethnic cleansing are being collectively sentenced to remain stateless, rightless refugees forever. When the term “expropriation” is used, it means the theft of Palestinian land via superior firepower, which is armed robbery. Here now are the leading Zionists in their own words; you can judge for yourself whether Einstein was correct, or not ...

[http://www.thehypertexts.com/Albert%20Einstein%201948%20Letter%20New%20York%20Times%20Nakba.htm]

[4] On My Participation In The Atom Bomb Project

by A. Einstein

My participation in the production of the atom bomb consisted in a single act: I signed a letter to President Roosevelt. This letter stressed the necessity of large scale experimentation to ascertain the possibility of producing an atom bomb.

I was well aware of the dreadful danger for all mankind, if these experiments would succeed. But the probability that the Germans might work on that very problem with good chance of success prompted me to take that step. I did not see any other way out, although I always was a convinced pacifist. To kill in war time, it seems to me, is in no ways better than common murder.

As long however, as nations are ready to abolish war by common action and to solve their conflicts in a peaceful way on a legal basis. they feel compelled to prepare for war. They feel moreover compelled to prepare the most abominable means, in order not to be left behind in the general armaments race. Such procedure leads inevitable to war, which, in turn, under todays conditions, spells universal destruction.

Under such circumstances there is no hope in combating the production of specific weapons or means of destruction. Only radical abolition of war and of danger of war can help. Toward this goal one should strive; in fact nobody should allow himself to be forced into actions contrary to this goal. This is a harsh demand for anyone who is aware of his social inter-relatedness; but it can be followed.

Gandhi, the greatest political genius of our time has shown the way, and has demonstrated the sacrifices man is willing to bring if only he has found the right way. His work for the liberation of India is a living example that man’s will, sustained by an indomitable conviction is stronger than apparently invincible material power. [https://www.atomicarchive.com/resources/documents/hiroshima-nagasaki/einstein-response.html]

[5] Convinto che la scienza debba essere al servizio dell’Umanità e non della sua distruzione, Pëtr Leonidovic Kapica insieme ad Antonino Zichichi e Paul Dirac è tra i sottoscrittori del Manifesto di Erice [http://www.ccsem.infn.it/em/erice_statement/Erice_Statement_it.pdf, https://www.ilgiornale.it/news/cronache/vi-racconto-piersanti-mattarella-scientifico-1537950.html], nell’agosto del 1982, per una scienza per la pace. Il Manifesto di Erice è stato firmato da più di 90mila scienziati e leaders mondiali, tra i quali Mikhail Gorbachev Ronald Reagan e Deng Xiaoping.

[6] La storia del programma atomico sovietico trova le sue origini nel 1939, quando i fisici dell’URSS iniziarono a interessarsi della scoperta della fissione nucleare in Germania avvenuta un anno prima. I sovietici iniziarono a cercare di replicare gli esperimenti già condotti, a Berlino, dagli scienziati Otto Hahn e Fritz Straussman e determinare le condizioni ideali per una reazione a catena nucleare. Tali tentativi iniziali cessarono bruscamente con l’invasione nazista del 1941, nome in codice Operazione Barbarossa. Le necessità della guerra imponevano a Mosca di impiegare tutti i suoi scienziati e ingegneri nello sviluppo di dispositivi considerati allora più utili, a esempio i radars, dei quali l’URSS aveva disperato e immediato bisogno. Nell’ottobre di quello stesso anno, il fisico sovietico Pëtr Leonidovic Kapica evidenziò come la scoperta dell’energia nucleare potesse dare il suo contributo allo sforzo bellico, ritenendo possibile la progettazione di una bomba all’uranio. Successivamente, i leaders sovietici vennero a conoscenza dei programmi nucleari di Germania e Stati Uniti. Messo, quindi, alle strette dall’eventualità che i nazisti potessero ottenere un tale potenziale distruttivo per primi, il Cremlino diede inizio al proprio programma atomico, nel febbraio del 1943, guidato dal fisico nucleare Igor Kurchatov e dal direttore politico Lavrentiy Beria. Il programma sovietico del periodo bellico presentava dimensioni molto ridotte rispetto all’equivalente americano, il Progetto Manhattan. La squadra di Kurchatov, composta da circa venti scienziati, impiegati all’interno del Laboratorio n. 2, concentrava le proprie energie sulla ricerca delle reazioni necessarie alla creazione sia di un’arma atomica, sia di un reattore nucleare; tuttavia, la scarsità di uranio e grafite causava un significativo rallentamento nelle attività di ricerca condotta dagli scienziati sovietici. Un punto di svolta nei lavori di ricerca sovietici si ebbe, nel luglio del 1945, in occasione della Conferenza di Potsdam. In tale occasione, il presidente Truman rivelò a Josef Stalin, segretario generale del Partito Comunista Sovietico, che gli Stati Uniti erano in possesso di una nuova arma con un potere distruttivo ineguagliabile. Di fatto, i sovietici erano, già, al corrente degli sviluppi positivi del programma americano, una rete di spie era riuscita a infiltrarsi all’interno del Progetto Manhattan, tra le quali spiccava Klaus Fuchs, un fisico tedesco con ideali comunisti, fuggito in Inghilterra in seguito all’avvento del nazismo.

Nel 1945, i sovietici erano riusciti ad accumulare quantità soddisfacenti di uranio per proseguire più speditamente con il programma e, nel 1946, scelsero come area per la loro ricerca nucleare la città di Sarov, lontana circa 300 chilometri da Mosca. L’idea era di trasformare una piccola e semi-sconosciuta città in un sito simile a quello di Los Alamos, dove gli americani sviluppavano il loro programma nucleare. A tale scopo, avviarono un piano che portò alla “scomparsa” della città dalle mappe; da quel momento “apparve” la città segreta di Arzamas-16, all’interno della quale lavorarono circa 25mila persone dedite allo sviluppo del programma. Nel dicembre dello stesso anno, i russi crearono la loro prima reazione nucleare a catena, mentre un reattore funzionante venne sviluppato nel 1948. Il 29 agosto 1949, i sovietici effettuarono il loro primo test nucleare, nome in codice RDS-1 o primo raggio [Lightning-1], nel poligono di Semipalatinsk in Kazakistan  dopo soli quattro anni, il monopolio atomico degli Stati Uniti era giunto alla fine.

[7] La Fabian Society e la pandemia. Come si arriva alla dittatura è un libro di Davide Rossi, in cui l’autore illustra il pensiero politico della Fabian Society  e gli attuali uomini e donne di potere che ne fanno parte:

“Le grandi svolte della Storia arrivano senza preavviso per la gente comune. Ci si trova di colpo catapultati dentro a cambiamenti inimmaginabili fino al giorno prima. Cambiamenti sconvolgenti come quelli legati all’avvento dell’epidemia da coronavirus. Eppure queste svolte vengono pianificate con cura e per lungo tempo da alcuni circoli elitari. Società politiche all’interno delle quali la vera classe dirigente studia il futuro e cerca di determinarlo, disegnando tutti i possibili scenari, al riparo dalle piccole “beghe di palazzo” o dalle competizioni elettorali. Uno di questi circoli, forse il più importante e meno conosciuto in Italia, è l’anglosassone Fabian Society. Ci siamo determinati a scrivere questo libro perché la realtà che stiamo vivendo è vicinissima, quasi coincidente, a quella progettata dai fondatori della Fabian Society. Questo libro ha due obiettivi. Il primo è quello di delineare il pensiero politico della Fabian Society attraverso alcuni cenni storici e verificando quali sono gli attuali uomini e donne di potere che le afferiscono. Il secondo è di analizzare come e quanto la visione del mondo dei Fabiani coincida con quell’epocale tornante della Storia nel quale ci è toccato di vivere: la drastica svolta autorita   ria imposta al mondo occidentale attraverso l’utilizzo politico della vicenda Covid-19. Indicheremo per nome e mostreremo le azioni di quei politici italiani legati alla tradizione Fabiana che stanno sconvolgendo le nostre vite. Denunceremo la manipolazione che sta dietro alla narrazione terroristica del coronavirus, la gravità dei ricatti legati alla campagna vaccinale e le conseguenze sociali ed economiche di quanto sta accadendo. Proveremo ad individuare gli obiettivi di questo governo emergenziale della epidemia e constateremo quanto questi coincidano, in modo inquietante, con quelli, totalitari e antidemocratici, dei primi pensatori Fabiani.”

 

[8] David Icke, L’imbroglio della realtà è l’inganno della percezione.

[9] Paolo Lombardi e Gianluca Nesi, Sangue e Suolo. Le radici esoteriche del Nuovo Ordine Europeo nazista.

[10] Il ministro delle finanze tedesco si è fatto seguire per mesi da un regista con la sua telecamera, che ne racconta la parabola dagli esordi al fianco di Helmut Kohl, alle trattative con Yanis Varoufakis, passando per le dimissioni dalla presidenza del partito per aver incassato un finanziamento occulto di 100mila marchi da un commerciante di armi.

Per mesi è stato il politico più presente sulle prime pagine, il volto pubblico per antonomasia dell’Europa tecnocratica, il custode inflessibile dell’euro. Wolfgang Schäuble è divenuto ormai un’icona popolare, una sorta di anti-eroe, come è doveroso che ci sia in ogni racconto. Di lui, però, si sa poco. È un personaggio che si concede raramente a racconti personali, ma quando lo fa dimostra di saperci fare con i media. Per mesi un noto regista tedesco, Stephan Lamby, lo ha seguito con la videocamera da vicino e ha approntato un documentario per la televisione, andato in onda lunedì sera con il titolo Macht und Ohnmacht [“Potenza e impotenza”].

A 72 anni il “dottor Schäuble” – come lo chiama l’amico-rivale Varoufakis – ha una carriera politica alle spalle come pochi in Germania. La sua biografia riflette la storia tedesca degli ultimi decenni. I non giovanissimi lo possono ricordare come un brillante politico destinato a una carriera fulminante, fedelissimo di Helmut Kohl, probabile successore di quest’ultimo, il ministro degli Interni che appose la firma al trattato di riunificazione della Germania. Splendori ma anche declini. Prima l’attentato durante un’iniziativa elettorale che lo condanna sulla sedia a rotelle, poi la delusione ricevuta da Kohl e la mancata candidatura a cancelliere, infine lo scandalo sui finanziamenti illegali alla Cdu che gli costa la presidenza del partito a vantaggio di Angela Merkel. 

Il documentario ripercorre tutti i momenti del duello con l’ex ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis. Uno scontro giocato sia negli incontri dell’Eurogruppo – di cui il regista mostra anche alcuni dietro le quinte di Schäuble con i suoi collaboratori più stretti – sia a distanza sulle pagine dei giornali. Con il suo protagonismo l’uomo di Berlino attira i riflettori su di sé e rischia di scompaginare tutto. Che abbia un piano B non è un mistero per nessuno. Schäuble non lo dice, ma preferirebbe che Atene uscisse dall’euro. “È stato lui in persona a dirmelo in un nostro incontro a marzo”, racconta Varoufakis. “Cercò di convincermi della necessità del Grexit, che così sarebbe stato meglio per la Grecia e per l’Europa”.

Era, quella di Schäuble, una posizione personale? Ha oltrepassato i limiti del proprio ruolo? Quando parla nei vertici tutti ascoltano in silenzio, “considera l’Europa una sua creatura”, ma stavolta esagera. “Wolfgang – racconta di avergli chiesto Varoufakis – ce l’hai un mandato? Se non ce l’hai, queste sono discussioni puramente accademiche”. Quel mandato, Schäuble non ce l’ha, Angela Merkel non approva l’uscita di Atene dalla moneta unica. Del resto, il ministro tedesco non ammette di aver preso l’iniziativa su questo punto nelle trattative con Varoufakis. “Tutto può essere, abbiamo parlato tanto. Ma noi nell’eurogruppo non eravamo finora abituati che uno andasse a raccontare ai giornali il contenuto di conversazioni confidenziali. Varoufakis ha introdotto un nuovo costume”.

Il resto è cronaca o quasi. La cancelliera si mette di traverso. Il primo segnale arriva alla fine di maggio. Angela Merkel prende in mano il pallino del gioco e invita la numero uno del Fmi Christine Lagarde e il presidente della Bce Mario Draghi a un vertice a tre sulla crisi, nonostante Schäuble avesse da poco incontrato i due a Dresda. Le trattative tra Europa e Grecia sembrano arrivate a un punto di stallo, invece arrivano due colpi di scena. Primo, il referendum indetto a sorpresa da Tsipras. Schäuble sottovaluta la situazione. L’esito del voto arriva inaspettato. “Onestamente, non avevo fatto previsioni, visto che non ho alcun sentore di quale sia il clima in Grecia. La mia conoscenza è limitata a quel che leggo sui giornali tedeschi”, risponde ai giornalisti. Il secondo boccone da digerire è l’annuncio di Angela Merkel che insiste sulla necessità di un accordo e rilancia un’ultima offerta al governo di Atene. Schäuble il potente deve inchinarsi e sottomettersi all’autorità.

“Non mi sono mai adeguato”. Eppure Schäuble, il fedele servitore dello Stato, si è trovato già altre volte la strada sbarrata. Da Helmut Kohl, primo fra tutti, il quale, invece di cedergli il passo nella corsa al cancellierato, rimase fino all’ultimo aggrappato alla sua carica, “perché solo lui avrebbe potuto portare fino in fondo l’introduzione dell’euro in Germania”. O, ancora, come quando per ragioni di Stato si trovò costretto a dimettersi dalla presidenza del partito per aver incassato un finanziamento occulto di 100.000 marchi dal commerciante di armi Karlheinz Schreiber. Correva l’anno duemila, la CDU di Helmut Kohl cadeva sotto lo scandalo dei fondi illeciti. Per Wolfgang Schäuble significò la fine di un sogno e l’arrivo di Angela Merkel. Il vecchio cancelliere Kohl si ritirò dalla scena politica e si limitò a dire che aveva raccolto oltre due milioni di vecchi marchi con la promessa di non rivelare l’identità dei finanziatori. Oggi Schäuble torna su quel capitolo e lancia una frecciatina al mentore politico di un tempo: “Non c’era nessun finanziatore”.

Una frase che può voler dire molto. Ad esempio, che quel denaro nelle casse della Cdu provenisse in realtà da scandali più remoti, da fondi neri elargiti a pioggia dal grande gruppo industriale Flick a tutti i partiti a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘80. Anche Kohl era sulla lista della spesa ma fino a oggi si riteneva che avesse preso in consegna “solo” 565mila marchi. Ora, la frase dell’ex-delfino Schäuble potrebbe far pensare che la somma fosse più alta, molto più alta, e che il vecchio cancelliere si sia inventato la storia della “parola data” per non ammettere l’origine autentica di quel denaro.”

Tonino Bucci, Schäuble, il politico che non ti aspetti. Un documentario racconta “l’uomo di Berlino”, il Fatto Quotidiano, 26 Agosto 2015 [https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/26/schauble-il-politico-che-non-ti-aspetti-un-documentario-racconta-luomo-di-berlino/1983122/].

[11] “Lo que están haciendo con Grecia tiene un nombre: terrorismo. [...] ¿Por qué nos han forzado a cerrar los bancos? Para insuflar el miedo en la gente. Y cuando se trata de extender el terror, a ese fenómeno se le llama terrorismo. Pero confío en que el miedo no gane.”

[12] Quando venne pubblicato, nel 1997, The Tainted Source, the Undemocratic Origins of the European Idea di John Laughland venne, aspramente, criticato dal mondo allora così entusiasticamente, almeno in apparenza, europeista. Notorie, soprattutto, le prese di posizione di sir Edward Heath, il premier conservatore che avviò i negoziati di adesione all’Unione Europea, cui la Brexit ha, nel gennaio del 2020, posto fine. Anche accademici e giornalisti si scagliarono contro il libro, ma lo storico Eugen Weber lo accolse con grande attenzione. Il libro venne tradotto in varie lingue, ma, ovviamente, non in italiano.

[13] In Norvegia, fu fondato, nel 1906, un istituto di biologia razziale su iniziativa del farmacista Jon Alfred Mjøen. Nella sua concezione, tale istituto avrebbe dovuto dimostrare la supremazia della razza nordica. Mjøen aveva collaborato con altri biologi razziali in Svezia, negli Stati Uniti e in Germania, tra cui Alfred Ploetz, il fondatore della Rassenhygiene, l’igiene razziale.

[14] Nel 1925, il Reichstag bocciò il tentativo di legalizzare la sterilizzazione. Nel luglio del 1932, il Governo prussiano elaborò una proposta di legge per la legalizzazione della sterilizzazione. Il 14 luglio 1933, venne emanata la legge sulla sterilizzazione sotto il dissimulato titolo di Legge per la prevenzione di nuove generazioni affette da malattie ereditarie. Si era, così, legalizzato l’approccio medico nazista al problema delle “vite senza valore”. Nel 1935, i leaders tedeschi della sterilizzazione dissero a un visitatore americano che sarebbe stato impossibile portare avanti un “programma cosi ambizioso […] privi della solida base offerta dall’esperienza [californiana]”.

[15] In un discorso tenuto al Congresso dell’Associazione Psichiatrica Tedesca [Berlino, 26 novembre 2010], nell’ambito del dibattito Psichiatria nel Nazionalsocialismo - Commemorazione e responsabilità, il suo presidente, il professor Frank Schneider ha dichiarato:

 ”Nel periodo del nazionalsocialismo gli psichiatri hanno condannato persone, hanno tradito i pazienti che avevano riposto in loro fiducia, e hanno loro mentito, hanno fatto ostracismo nei confronti dei parenti, hanno permesso che i pazienti fossero forzatamente sterilizzati e uccisi, e hanno allo stesso modo essi stessi personalmente ucciso.  Noi proviamo vergogna anche perché noi, l’Associazione psichiatrica tedesca, non siamo stati dalla parte delle nostre vittime nemmeno negli anni che seguirono il 1945. Nel luglio 1933, poco dopo l’ascesa di Hitler, fu passata la Legge sulla prevenzione della prole malata di malattie ereditarie. Lo psichiatra Ernst Rüdin, presidente dell’Associazione psichiatrica dal 1935 al 1945, e poi direttore dell’Istituto Tedesco di Ricerca, fu il coautore del commento ufficiale di questa legge.”

 ”A causa di questa legge - prosegue Schneider - più di 350.000 persone furono selezionate dai medici e forzatamente sterilizzate. Più di 6.000 persone morirono durante questi interventi. Nella sua veste di presidente dell’allora associazione psichiatrica, Ernst Rüdin nei suoi discorsi d’inaugurazione del nostro congresso ha più volte parlato in favore di queste sterilizzazioni. Ma non vi furono solo sterilizzazioni forzate: vi furono anche assassinii… fu uno psichiatra, Alfred Erich Hoche, nel suo libro del 1920 sull’approvazione dello sterminio della “vita indegna di vivere”, insieme al giurista Karl Binding, a coniare il termine “esistenza zavorra” e fu ancora lui che preparò un catalogo delle presunte malattie mentali incurabili, che chiamò “condizioni di morte mentale”. Nel 1930 questo diventò nel mensile nazionalsocialista la richiesta: “Morte alla vita indegna di vivere!”. Nel settembre del 1939 Hitler ordinava la cosiddetta eutanasia, e incaricò di questo progetto Werner Heyde - ordinario di psichiatria e neurologia a Wurzburg. Almeno 250 - 300mila persone mentalmente e fisicamente malate furono vittime di quest’azione e delle seguenti fasi di uccisione dei malati, che si protrassero per qualche settimana oltre la fine della guerra.”

[16] Nel 1912, si era svolto, a Londra, il Primo Congresso Mondiale di Eugenetica, sotto la presidenza del figlio di Charles Darwin, Leonard Darwin, tuttavia solo dopo la Prima Guerra Mondiale e il Secondo Congresso Mondiale di Eugenetica del 1921, a New York, sotto la presidenza onoraria di Alexander Graham Bell, poté attuarsi, nel 1925, una unione di tutte le società nazionali di eugenetica nell’International Federation of Eugenic Organizations [IFEO]

[17] Nel 1922, sorse a opera di Madison Grant, Harry H. Laughlin e Henry Fairfield Osborn l’American Eugenics Society [https://embryo.asu.edu/pages/american-eugenics-society-1926-1972].

[18] Si narra e lo stesso Fritz Lang raccontò più volte che, la sera stessa del colloquio, fosse fuggito a Parigi. Non sono stati trovati documenti nella cancelleria e nel diario di Joseph Goebbles che facciano riferimento a questo incontro e Lang non fuggì, definitivamente, dalla Germania nazista, anzi sul suo passaporto sono stati trovati vari visti di entrata nel suo Paese natale. Nel 1934, Lang decise di partire per Hollywood alla ricerca di una nuova condizione di vita.

[19] Hans Friedrich Karl Günther, Volk und Staat.

[20] La Legge per la Protezione del Sangue e dell’Onore Tedesco ovvero la Seconda
Legge di Norimberga recita:

Il Reichstag fermamente convinto che la purezza del sangue tedesco sia essenziale per il futuro del popolo tedesco e ispirato dalla inflessibile volontà di salvaguardare il futuro della Nazione Germanica, ha, unanimemente, deciso l’emanazione della seguente Legge:

Articolo I

1.                I matrimoni tra ebrei e cittadini di sangue tedesco o affini sono proibiti. I matrimoni contratti in violazione della presente legge sono nulli anche se per eludere questa legge venissero contratti all’estero.
2. Le procedure legali per l’annullamento possono essere iniziate soltanto dalla Procura di Stato.

Articolo II

Le relazioni extraconiugali tra ebrei e cittadini di sangue tedesco o affini sono proibite.

Articolo III

Agli ebrei non è consentito impiegare come domestiche donne di sangue tedesco o affini di età inferiore ai 45 anni.

Articolo IV

1. Agli ebrei è vietato esporre la bandiera nazionale del Reich o i suoi colori.

2. Agli ebrei è consentita l’esposizione dei colori giudaici. L’esercizio di questo diritto è tutelato dallo Stato.

Articolo V

1.                Chiunque violi il divieto previsto dall’Articolo I sarà condannato ai lavori forzati.

2.                Chiunque violi il divieto previsto dall’Articolo II sarà condannato al carcere o ai lavori forzati.

3.                Chiunque violi i divieti previsti dall’Articolo III e dall’Articolo IV sarà punito con un anno di carcere o con una ammenda, oppure con entrambe le sanzioni.

Articolo VI

Il ministro degli interni del Reich, in accordo con il Vice Führer e il ministro della giustizia del Reich, emaneranno i regolamenti e le procedure amministrative necessarie per l’applicazione della legge. 
Articolo VII

La legge entrerà in vigore il giorno successivo alla sua promulgazione a eccezione dell’Articolo III che avrà effetto entro e non oltre l’1 Gennaio 1936.

ll führer e cancelliere del Reich: Adolph Hitler 

Il ministro dell’interno del Reich: Wilhelm Frick

Il ministro della giustizia del Reich: Dr. Gürtner

Il vice führer: Rudolf Hess

[21] Nel 1941, Jan Valtin pubblicò negli Stati Uniti la sua autobiografia romanzata, Out of the Night. Nel libro Valtin si sofferma diffusamente sui rapporti tra il KPD e l’NSDAP, scrivendo che i due partiti “unirono le forze per tagliare la gola a una democrazia già vacillante. Fu una strana alleanza, mai ufficialmente proclamata o riconosciuta né dalla burocrazia rossa né da quella bruna, ma un fatto orribile comunque”. Secondo Valtin, nella base del partito molti resistettero sotterraneamente a tale linea. Valtin fu, invece, tra gli elementi fedeli alle direttive del Comitato Centrale, per cui “una tregua temporanea e un’azione combinata venivano concordate tra i seguaci di Stalin e di Hitler ogni volta che intravedevano un’opportunità per attaccare e interrompere riunioni e manifestazioni del fronte democratico”.

Valtin scrive che nel solo 1931 partecipò “a dozzine di tali imprese terroristiche insieme ai più violenti elementi nazisti”. Per illustrare il funzionamento di quella che definisce “alleanza Dimitrov-Hitler”, menziona in particolare gli assalti, che afferma di aver condotto insieme a un membro delle SA di nome Walter Tidow, a due eventi democratici: un’assemblea dei delegati marittimi e portuali indetta dal sindacato socialista dei trasporti, che si sarebbe svolta nella Camera del Lavoro di Brema, nella primavera del 1931, e un comizio del Partito Democratico Tedesco, cui avrebbe partecipato come principale oratore il generale Paul Emil von Lettow-Vorbeck, di cui non indica né luogo né data.

In uno studio sui rapporti tra KPD e NSDAP, Davis William Daycock scrive di non aver trovato riscontri nei registri dei sindacati in merito al primo dei due eventi menzionati da Valtin, ma non esclude che potrebbe trattarsi di un’assemblea sindacale di importanza locale non riportata nelle fonti consultate. Daycock, tuttavia, riscontra forti similitudini tra quanto scritto da Valtin e i resoconti della stampa del Partito Comunista di Opposizione [KPO] in merito ad aggressioni subite per mano del KPD.

In merito al plebiscito sullo scioglimento del Landtag prussiano del 9 agosto 1931, Valtin riporta che le perplessità nella base comunista circa l’opportunità di aderire all’iniziativa delle destre contro il Governo socialdemocratico prussiano furono vinte dalla direzione del Comintern, cosicché “mentre i gruppi terroristici comunisti e nazisti facevano fuoco l’un contro l’altro in schermaglie notturne, i comunisti si recavano lealmente alle urne per dare i loro voti a sostegno di una campagna lanciata dal monarchico Hugenberg e dal fascista Hitler”. Riguardo alla generale politica del KPD, Valtin commenta: “I migliori alleati involontari di Hitler eravamo noi, i comunisti.”

[22] Ernst Julius Günther Röhm, al tempo noto omosessuale, era per questo molto mal visto nell’ambiente völkisch [nazionalista] e di destra, specie quando la sua omosessualità iniziò a essere usata per attacchi personali dalla sinistra. Alcune lettere indirizzate a un prostituto furono pubblicate dalla stampa antinazista dopo un fallito tentativo di estorsione da parte del giovane. Poco dopo l’assassinio di Röhm, la persecuzione degli omosessuali che, fino a quel momento, non era stata condotta in modo sistematico, conobbe un rapido incremento. Venne inasprito, nel 1935, il paragrafo 175 – noto come §175 StGB –, che considerava un crimine i rapporti omosessuali e nelle prime versioni criminalizzava anche la zooerastia. In tutte le maggiori città si assistette alla chiusura di luoghi d’incontro di omosessuali, a razzie e a delazioni.

[23] Sono dette Nürnberger Gesetze, Leggi di Norimberga,  l’insieme delle tre leggi emanate il 15 settembre 1935 dal Reichstag dal Partito Nazionalsocialista, convocato a Norimberga, in occasione del VII Raduno, e comprendono:

-         la Legge per la Protezione del Sangue e dell’Onore Tedesco;

-         la Legge sulla Cittadinanza del Reich;

-         la Legge sulla Bandiera del Reich.

Tutte e tre le leggi vennero pubblicate sul Reichsgesetzblatt Parte I nr. 100, il 16 settembre del 1935, con la postilla am Reichsparteitag der Freiheit” [“in occasione del raduno della libertà”]. Furono annullate, il 20 settembre 1945, dalla Legge n. 1 della Commissione Alleata di Controllo.

[24] Con la Legge sulla Cittadinanza del Reich, gli ebrei cessavano di essere cittadini, ma restavano appartenenti allo Stato, ovvero – come osserva Giorgio Agamben – perdevano, “con la cittadinanza, ogni identità giuridica, ma mantenevano almeno quella di ebrei”, ovvero di esseri “giuridicamente innominabili e inclassificabili” e quindi “oggetto di una pura
signoria di fatto”, nella sostanza “sudditi”.

Come ricorda Hannah Arendt, nel febbraio del 1938, il Ministero dell’Interno del Reich presentò “un progetto di legge concernente l’acquisto o la perdita della cittadinanza tedesca” che andava molto più in là della Legislazione di Norimberga. Disponeva che tutti i figli di “ebrei, ebrei di razza mista o altre persone di sangue straniero” [che non potevano mai diventare cittadini del Reich] non avessero più diritto alla cittadinanza, “neppure se il padre poss[edesse] la cittadinanza tedesca dalla nascita”. Tali misure non erano riservate solo agli ebrei, infatti, il 19 luglio 1939, il ministro della giustizia raccomandò di sostituire l’espressione “ebreo ed ebreo di razza mista” con “individui di sangue straniero”. Inoltre i provvedimenti contenuti nel progetto di legge avrebbero dovuto essere estesi anche ai trovatelli, da considerarsi apolidi fino all’accertamento delle loro “caratteristiche razziali”. In questo modo – conclude
Arendt – “era deliberatamente capovolto il principio secondo cui un individuo nasce con diritti inalienabili garantiti dalla sua cittadinanza: ogni individuo era per natura senza diritti, senza stato, a meno che non si decidesse altrimenti”.

La Reichsbürger, la Legge sulla Cittadinanza Tedesca recita:

Il Parlamento del Reich ha approvato all’unanimità la seguente legge:
Articolo I

1. Cittadino dello Stato è quella persona che gode della protezione del Reich Tedesco e che in conseguenza di ciò ha specifici doveri verso di esso.

2. Lo status di cittadino del Reich viene acquisito secondo le norme stabilite dai Decreti del Reich e dalla Legge sulla Cittadinanza dello Stato.

Articolo II

1. Cittadino del Reich può essere solo colui che abbia sangue tedesco o affine e che dimostri, attraverso il suo comportamento, il desiderio di voler servire fedelmente il Reich e il popolo tedesco.
2. Il diritto alla Cittadinanza viene acquisito attraverso la concessione di un Certificato di Cittadinanza del Reich.
3. Solo un cittadino del Reich gode di tutti i diritti politici stabiliti dalla Legge.

Articolo III

Il ministro dell’interno del Reich, di concerto con il vice führer, emanerà le ordinanze e i provvedimenti amministrativi necessari a integrare e attuare questa legge.

[25] Helene Julie Mayer lasciò la Germania, nel 1933. Nel 1952, fece ritorno in Germania, dove sposò Erwin Falkner von Sonnenburg, in una tranquilla cerimonia a Monaco. La coppia si stabilì sulle colline vicino a Stoccarda, prima di stabilirsi a Heidelberg. Morì di cancro al seno, nell’ottobre del 1953, due mesi prima del suo quarantatreesimo compleanno.

[26]  L’ultima estate di Berlino nasce come testo teatrale con il titolo Le Olimpiadi del 1936, prima di diventare un romanzo. Si tratta della rivisitazione letteraria della storia delle ultime settimane di vita di Wolfgang Fürstner, capitano della Wehrmacht, veterano pluridecorato della Prima Guerra Mondiale, responsabile della perfetta macchina organizzativa delle Olimpiadi di Berlino del 1936.

[27] On ne m’avait pas vacciné en Suède contre l’idéologie nazie et tout en elle me parut admirable. C’était fascinant – du moins, c’est ainsi que je ressentis les choses à l’époque. Il y eut, pendant mon séjour, un immense défilé et le Führer fit son apparition. Nous étions très près de lui : la fascination qui se dégageait de tout ce spectacle était hallucinante. Je suis retourné en Suède totalement converti au national-socialisme : je n’avais jamais rien vécu de tel. [https://www.cairn.info/revue-la-clinique-lacanienne-2012-1-page-229.htm]

[28] Sir Francis Galton, di famiglia quacchera, era nipote di Erasmus Darwin e cugino di Charles Darwin. Sua madre, Frances Ann Violetta Darwin, era la sorellastra minore del padre di Charles Darwin, Robert.

[29] Nel 1910, Charles B. Davenport [tra i fondatori dell’ecologia] fondò il più importante centro americano per la ricerca e la diffusione della dottrina eugenetica, l’Eugenics Record Office che promosse la sterilizzazione dei “non idonei” alla riproduzione perché portatori di tare ereditarie.

 

[30] Nel gennaio 1938, fu costituita la Società Nazionale per la Legalizzazione dell’Eutanasia, ribattezzata l’Euthanasia Society of America [ESA] nello stesso anno. Ha sostenuto la legalizzazione dell’eutanasia negli Stati Uniti, principalmente esercitando pressioni sui legislatori statali. Molti importanti membri dell’ESA hanno sostenuto l’eutanasia involontaria delle persone con disabilità mentali, tra cui Ann Mitchell, un’ex-paziente asilo e principale sostenitrice finanziaria dell’ESA fino al suo suicidio nel 1942. Ann Mitchell è anche accreditata per aver strutturato l’ESA come progetto eugenetico. Il primo presidente dell’ESA è stato Charles Potter, un ex-ministro battista che sosteneva la sterilizzazione eugenetica coercitiva e l’eutanasia involontaria per eliminare le persone difettose indesiderabili dalla società. L’ESA inizialmente sosteneva l’eutanasia volontaria e involontaria delle persone con disabilità gravi. L’organizzazione si rese presto conto che l’eutanasia involontaria aveva connotazioni negative, in particolare la sua associazione con il programma di eutanasia dei nazisti, e iniziò a sostenere esclusivamente l’eutanasia volontaria. L’ESA continua a esistere oggi.

[31] U.S. Supre Court

Buck v. Bell, Superintendent of State Colony Epileptics and Feeble Minded.

No. 292.

Argued April 22, 1927.

Decided May 2, 1927.

Mr. I. P. Whitehead, of Lynchburg, Va., for plaintiff in error.

[Argument of Counsel from pages 201-202 intentionally omitted]

Mr. A. E. Strode, of Lynchburg, Va., for defendant in error.

[Argument of Counsel from pages 203-205 intentionally omitted]

Mr. Justice Holmes delivered the opinion of the Court.

1

This is a writ of error to review a judgment of the Supreme Court of Appeals of the State of Virginia, affirming a judgment of the Circuit Court of Amherst County, by which the defendant in error, the superintendent of the State Colony for Epileptics and Feeble Minded, was ordered to perform the operation of salpingectomy upon Carrie Buck, the plaintiff in error, for the purpose of making her sterile. 143 Va. 310, 130 S. E. 516. The case comes here upon the contention that the statute authorizing the judgment is void under the Fourteenth Amendment [https://www.law.cornell.edu/constitution/amendmentxiv] as denying to the plaintiff in error due process of law and the equal protection of the laws.

2

Carrie Buck is a feeble-minded white woman who was committed to the State Colony above mentioned in due form. She is the daughter of a feeble-minded mother in the same institution, and the mother of an illegitimate feeble-minded child. She was eighteen years old at the time of the trial of her case in the Circuit Court in the latter part of 1924. An Act of Virginia approved March 20, 1924 [Laws 1924, c. 394] recites that the health of the patient and the welfare of society may be promoted in certain cases by the sterilization of mental defectives, under careful safeguard, etc.; that the sterilization may be effected in males by vasectomy and in females by salpingectomy, without serious pain or substantial danger to life; that the Commonwealth is supporting in various institutions many defective persons who if now discharged would become a menace but if incapable of procreating might be discharged with safety and become self-supporting with benefit to themselves and to society; and that experience has shown that heredity plays an important part in the transmission of insanity, imbecility, etc. The statute then enacts that whenever the superintendent of certain institutions including the abovenamed State Colony shall be of opinion that it is for the best interest of the patients and of society that an inmate under his care should be sexually sterilized, he may have the operation performed upon any patient afflicted with hereditary forms of insanity, imbecility, etc., on complying with the very careful provisions by which the act protects the patients from possible abuse.

3

The superintendent first presents a petition to the special board of directors of his hospital or colony, stating the facts and the grounds for his opinion, verified by affidavit. Notice of the petition and of the time and place of the hearing in the institution is to be served upon the inmate, and also upon his guardian, and if there is no guardian the superintendent is to apply to the Circuit Court of the County to appoint one. If the inmate is a minor notice also is to be given to his parents, if any, with a copy of the petition. The board is to see to it that the inmate may attend the hearings if desired by him or his guardian. The evidence is all to be reduced to writing, and after the board has made its order for or against the operation, the superintendent, or the inmate, or his guardian, may appeal to the Circuit Court of the County. The Circuit Court may consider the record of the board and the evidence before it and such other admissible evidence as may be offered, and may affirm, revise, or reverse the order of the board and enter such order as it deems just. Finally any party may apply to the Supreme Court of Appeals, which, if it grants the appeal, is to hear the case upon the record of the trial in the Circuit Court and may enter such order as it thinks the Circuit Court should have entered. There can be no doubt that so far as procedure is concerned the rights of the patient are most carefully considered, and as every step in this case was taken in scrupulous compliance with the statute and after months of observation, there is no doubt that in that respect the plaintiff in error has had due process at law.

4

The attack is not upon the procedure but upon the substantive law. It seems to be contended that in no circumstances could such an order be justified. It certainly is contended that the order cannot be justified upon the existing grounds. The judgment finds the facts that have been recited and that Carrie Buck ‘is the probable potential parent of socially inadequate offspring, likewise afflicted, that she may be sexually sterilized without detriment to her general health and that her welfare and that of society will be promoted by her sterilization,’ and thereupon makes the order. In view of the general declarations of the Legislature and the specific findings of the Court obviously we cannot say as matter of law that the grounds do not exist, and if they exist they justify the result. We have seen more than once that the public welfare may call upon the best citizens for their lives. It would be strange if it could not call upon those who already sap the strength of the State for these lesser sacrifices, often not felt to be such by those concerned, in order to prevent our being swamped with incompetence. It is better for all the world, if instead of waiting to execute degenerate offspring for crime, or to let them starve for their imbecility, society can prevent those who are manifestly unfit from continuing their kind. The principle that sustains compulsory vaccination is broad enough to cover cutting the Fallopian tubes. Jacobson v. Massachusetts, 197 U. S. 11 [https://www.law.cornell.edu/supremecourt/text/197/11], 25 [https://www.law.cornell.edu/supremecourt/text/274/200] S. Ct. 358, 49 L. Ed. 643, 3 Ann. Cas. 765. Three generations of imbeciles are enough.

5

But, it is said, however it might be if this reasoning were applied generally, it fails when it is confined to the small number who are in the institutions named and is not applied to the multitudes outside. It is the usual last resort of constitutional arguments to point out shortcomings of this sort. But the answer is that the law does all that is needed when it does all that it can, indicates a policy, applies it to all within the lines, and seeks to bring within the lines all similary situated so far and so fast as its means allow. Of course so far as the operations enable those who otherwise must be kept confined to be returned to the world, and thus open the asylum to others, the equality aimed at will be more nearly reached.

6

Judgment affirmed.

7

Mr. Justice BUTLER dissents.

[https://www.law.cornell.edu/supremecourt/text/274/200#]

Al processo di Norimberga alcuni gerarchi nazisti citarono a propria difesa questa sentenza.

[32] Negli anni della Repubblica di Weimar furono fondati dei centri di ricerca sull’eugenetica che favorirono la diffusione dello studio sull’igiene della razza. I più prestigiosi furono:

- l’Istituto di ricerca tedesco per la psichiatria di Monaco, che sorse, nel 1918, grazie ai finanziamenti della Fondazione Rockefeller, e, nel 1924, assunse il nome di Kaiser Wilhelm institut für Genealogie und Demographie. Nel 1931, fu direttore lo svizzero Ernst Rüdin, che diede un apporto fondamentale alla redazione delle leggi nazista sulla sterilizzazione;

- il Kaiser Wilhelm Institut für Anthropologie, menschliche Erblehre und Fugenik, inaugurato, nel 1927, nel sobborgo berlinese di Dahlem. Il direttore fu l’antropologo Eugen Fischer che aveva condotto le sue ricerche in Africa occidentale.

Nel 1928, l’Università di Monaco istituì la prima cattedra di Igiene della razza e chiamò Heinrich Friedrich Emil Lenz a ricoprirla, e quando Hitler sali al potere, Lenz ricoprì la stessa cattedra presso la prestigiosa Università di Berlino.

 

[33] “We should hire three or four colored ministers, preferably with social-service backgrounds, and with engaging personalities.  The most successful educational approach to the Negro is through a religious appeal. We don’t want the word to go out that we want to exterminate the Negro population, and the minister is the man who can straighten out that idea if it ever occurs to any of their more rebellious members.”

[34] “Birth Control is not contraception indiscriminately and thoughtlessly practiced. It means the release and cultivation of the better racial elements in our society, and the gradual suppression, elimination and eventual extirpation of defective stocks — those human weeds which threaten the blooming of the finest flowers of American civilization.”

 

[35] [Editor’s note: Starbucks disputed the premise of this piece in a statement, noting that its contributions to Planned Parenthood are part of the company’s charitable matching gift program. A Starbucks spokesperson told the Washington Examiner: “Starbucks does not have a corporate relationship or sponsorship with Planned Parenthood. Starbucks is listed as a donor of an organization because the Starbucks ‘Partner Match’ program provides matched cash awards for contributions made by Starbucks partners [employees]. ... Most 501[c][3] designated nonprofit organizations in the U.S. and most Registered Charities in Canada qualify to receive matching funds.”]

On Tuesday, Starbucks will have a “racial-bias education” day for its nearly 175,000 employees in an attempt to sweep under the rug its recent public relations nightmares.

A woman walks into a Starbucks in New York City as several people sit near the front door.

After two African-American men sat in a Philadelphia Starbucks without ordering last month, they were arrested for “trespassing”. Ever since, the coffee giant has been doing a mea culpa for the appearance of conducting racist business practices and has announced that no one has to buy anything to sit in one of its coffee shops or use the restrooms. A second racial incident last week in Los Angeles underscored that maybe some racial sensitivity training is in order.

[Related: Starbucks apologizes after video showing arrest of two African-American men at store goes viral: https://www.washingtonexaminer.com/news/starbucks-apologizes-after-video-showing-arrest-of-two-african-american-men-at-store-goes-viral]

But Starbucks had racism in its corporate identity long before the April arrests.

Through its corporate donations, Starbucks contributes to one of the most racist organizations in our nation’s history. Planned Parenthood, the largest single provider of abortions in the U.S., performs more than 300,000 terminations each year.

Planned Parenthood’s disdain for human dignity, especially in the African-American community, is deeply embedded in its 101-year history. The numbers do not lie.

More African-Americans have died from abortion than from AIDS, accidents, violent crimes, cancer, and heart disease — combined. In America today, a black child is three times more likely to be killed in the womb than a white child. And since 1973, abortion has reduced the black population by more than 25 percent. Planned Parenthood operates the nation’s largest chain of abortion facilities, and almost 80 percent of its facilities are located in minority neighborhoods. About 13 percent of American women are black, but they have more than 35 percent of the abortions. I often say that abortion is the civil rights issue of our time. Abortion denies the rights of the innocent. It refuses to help the most vulnerable. Abortion segregates the unborn child from his or her mother, and all of society.

But Planned Parenthood’s civil rights violations go even deeper.

Abortion mills like Planned Parenthood didn’t become prevalent in the lives of pregnant African-American women by happenstance. Planned Parenthood’s business model was specifically engineered to target them.

In 2015, I joined my fellow civil rights leaders to protest the Smithsonian Institution’s decision to display a bust of Planned Parenthood Founder Margaret Sanger in the National Portrait Gallery.

Sanger, who founded the organization that would become Planned Parenthood, was an outspoken racist with genocidal intentions. Active with the Ku Klux Klan and the eugenics movement, Sanger’s stated agenda was to eradicate the African-American population. Her dream is being realized by the onslaught of minority abortions today.

Through the founding of Planned Parenthood, Sanger was a pioneer of modern-day deceptive women’s health practices and the engineer of modern-day black eugenics.

My fellow civil rights leaders and I wrote a passionate letter to the Smithsonian demanding the bust be removed. We made clear how the founder of Planned Parenthood has degraded the black community:

“Perhaps the Gallery is unaware that Ms. Sanger supported black eugenics, a racist attitude toward black and other minority babies; an elitist attitude toward those she regarded as ‘the feeble minded;’ speaking at rallies of Ku Klux Klan women; and communications with Hitler sympathizers. Also, the notorious “Negro Project” which sought to limit, if not eliminate, black births, was her brainchild. Despite these well-documented facts of history, her bust sits proudly in your gallery as a hero of justice. The obvious incongruity is staggering!”

Planned Parenthood has spent an entire century murdering children and eradicating African-Americans. Meanwhile, the tide is turning against the injustice of abortion, with a majority of Americans saying they do not want the taxpayer funding of abortion.

It’s time for corporations like Starbucks that claim to care about “racial-bias” to stop funding Planned Parenthood’s house of horrors, which has taken precious lives away from minority communities and from society at large.

Starbucks, if you’re really serious about eliminating racism, you will acknowledge that black people, and indeed all human beings, are of one blood and one human race, born and unborn. Racism and abortion are crimes against humanity.

We’d be happy to sit down with you to discuss racial justice over a cup of coffee.”

Washington ExaminerAlveda King, If Starbucks wants to end racism, it’ll stop funding Planned Parenthood, 29 maggio 2018

[36] Planned Parenthood Federation of America

National Headquarters

1110 Vermont Avenue NW

Washington, D.C. 20005 

Dear Alexis McGill Johnson: 

We are a diverse coalition of Black leaders fighting for the dignity of all human life. Like you, we feel called to action by America’s collective reckoning with its history of racism and unjust violence against Black lives. We affirm, with you, that Black lives matter and that every human being, regardless of race or ethnicity, deserves equal respect, equal rights, and equal dignity.

That’s why we’re writing to you today. We are asking you to use your position at Planned Parenthood to confront the systemic racism of America’s abortion practices and to publicly renounce the racist legacy of your founder, Margaret Sanger.

Since George Floyd’s tragic death in police custody, Planned Parenthood has openly voiced its support of the Black Lives Matter movement and its commitment to combating racism in all its forms. Planned Parenthood National has said that Planned Parenthood will be “turning inward and dedicating ourselves to calling out injustice and reckoning with our own institutionalized racism long-term.” In your own statement about America’s reckoning with racism, you said: “We demand justice…we must demand an end to the inequity that continues to define every moment of life for Black America.” 

But Ms. Johnson, will you confront the iniquity that your abortion practices perpetrate against Black lives? Will you fight the racism that targets Black lives in the womb?

The impact of abortion on Black communities is unequal and disproportionate. Despite constituting only 13% of the female population, Black women represent 36% of all abortions, and Black women are five times more likely than white women to receive an abortion. In some cities, like New York, more Black children are aborted every year than are born alive.

This is no accident. Across the country, Planned Parenthood’s surgical facilities target minority communities for abortion. In fact, 79% of Planned Parenthood’s surgical abortion facilities are located in or near communities of color. Can Planned Parenthood really claim to care for Black lives while remaining complicit in the targeting of Black pregnant women?

This massive iniquity, and the disproportionate harm it does to Black Americans, is fully in keeping with the racist, eugenicist vision of your organization’s founder. Margaret Sanger wanted to use abortion and contraception to cull minority populations.
When Black employees of Planned Parenthood of New York called for the removal of Laura McQuade as president and CEO, they raised awareness about the toxic culture and systemic racism within the organization, including pay inequity and racial inequities among patients. This is no surprise considering the organization’s founding beliefs about minority and vulnerable populations.

Ms. Johnson, your words about the Black Lives Matter movement ring hollow while your organization perpetuates this racist legacy.

While Planned Parenthood of Greater New York and North Central States has disavowed Sanger’s eugenic views, Planned Parenthood National has remained silent.

We call on you to change that. Planned Parenthood National must renounce the views and legacy of its founder and acknowledge and discontinue its ongoing systemic targeting of Black Americans with abortion facilities.

You are right that every American must confront, challenge, and dismantle the racist institutions and practices that surround us. Planned Parenthood must do the same.

Sincerely,

Rev. Dean Nelson, Hon. Katrina Jackson, Hon. Kay James, Hon. Mack Jackson, Hon. Monica Sparks, Dr. Deborah Honeycutt, Dr. John Diggs, Dr. Freda Bush, Mr. Benjamin Watson, Mr. Chris Broussard, Bishop George McKinney, Bishop Vincent Mathews, Bishop Joseph Garlington, Bishop Wellington Boone, Dr. Deborah Owens, Dr. Alveda King, Pastor Devon Alexander, Jonathan Alexandre Esq., Abdul Ali, Claude Allen Esq., Dr. Robin Armstrong, Eddie Beal Esq., Christina Bennett, Dr. Valerie Berry, Hon. Kenneth Blackwell, Pastor Cecil Blye, Tia Boone, Roger Breedlove, Rev. Doyle Bursey, Rachel Citak, Esq., Hon. Bill Cleveland,  Bishop Gilbert Coleman, Brandon Cooper Esq., Pastor Pearl Corbin, Pastor Shirley Corbin, Pastor Arnold Culbreath, Pastor Warren Curry, Dr. Donna Dalgetty, Catherine Davis, Pastor Helen Davis, Pastor Calvin Duncan, Wayne Dupree, Connie Eller, Hon. Melvin Everson, Rev. Michel Faulkner, Marie Fischer, Bishop Mary Floyd-Palmer, Cheryl Gaines Esq., Justin Giboney Esq., Pastor Marylin Gool, Dr. Joseph Green, Hon. William Green, Rev. Trevon Gross, Rev. JR Gurley, Pastor Kimberly Hardy-Watson, Philip Harlow, Ruby Harlow, Bishop Michael Harris,  Gerard Henry, Curtis Hill Esq., Jeremy Hunt, Garland Hunt Esq., Shirley Husar, Bishop Darrell Husband, Dr. Deborah Igiehon, Pastor John Ivey, Bishop Harry Jackson, Diante Johnson, Dr. Michael Johnson, Dr. ML Johnson, Dr. Noreen Johnson, Sylvia Johnson-Mathews, Bishop Melvin Jorden, Ayesha Kreutz, Pastor Donovan Larkins, Bishop Jim Logan, Dr. Carolyn Love, Pastor Herb Lusk, Dr. Walter McCray, Kevin McGary, Rev. Kyle McGlotten, Apostle Arthur McGuire, Sandi McGuire, Pastor Cheston McCrea, Dr. Chris Metzler, Monique Miles Esq., Angela Minter, Evangelist Lesley Monet, Rev. Steven Mosely, Pastor Walter Moss, Pastor Trennon Neal, Rev. Bill Owens, Dr. Steve Parsons, Dr. Carl Pete, Felice Pete, Pastor Larry Reeves, Rev. Darrell Robinson, Dr. Haywood Robinson, Dr. Gayle Rogers, Andrew Shannon, Dr. Randy Short, Dr. Doris Sims, Pastor Carlton Smith, Bishop Felton Smith, Readus Smith, Chuck Smith Esq., Torrey Snow, Dr. Michael Stephens, Apostle John W. Stevenson, Pastor Darrian Summerville, Dr. Carol Swain, Joel Trout, Jessica Ann Tyson, Dr. John Tyus, Peter Vasquez, Michael Vaughn, Sheila Vaughn, Cuevas Walker, Rev. John Walker, Dr. John Walker, Rev. James Walston, Dr. Patricia Ware, Dr. Kim Warfield-Walker, Stacie Washington, Hon. James White, Racquel Williams-Jones, Bishop Patrick Wooden, Dr. David Wright, Pastor Shannon Wright. [https://www.prolife.org/letter-to-planned-parenthood/?fbclid=IwAR3jgxBP2riYPB4B1dbMuVM7Oi8zFd7PPidZrbeZhqfNZILRPnhw0Kl6Sso, https://hucoaction.org/wp-content/uploads/2020/09/Letter-To-Planned-Parenthood-AllSigners.pdf]

[37] “The impact of abortion on Black communities is unequal and disproportionate. Despite constituting only 13% of the female population, Black women represent 36% of all abortions, and Black women are five times more likely than white women to receive an abortion. In some cities, like New York, more Black children are aborted every year than are born alive.

This is no accident. Across the country, Planned Parenthood’s surgical facilities target minority communities for abortion. In fact, 79% of Planned Parenthood’s surgical abortion facilities are located in or near communities of color.”

[38] Hillary Rodham Clinton

Secretary of State

Houston, Texas

March 27, 2009

I want to salute and thank my dear friend, Congresswoman Sheila Jackson-Lee. [Applause.] She is a warrior, someone who when she’s on your side you feel like you’re surrounded by a legion of likeminded, true, hardworking, committed warriors who care about what’s at stake for our country. And I am so grateful to her. She and I worked together for many years on a number of issues, but one will come to fruition next month when finally a woman of color takes her place among the statuaries in the Congress when Sojourner Truth is finally given a place of honor in the Capitol. [Applause.]

Also somewhere in this crowd are Congressman Al Green and Congressman Gene Green, the Green team, from the 9th and the 29th districts, and also Houston’s superb mayor, Mayor Bill White, is with us. [Applause.] You know, they had to invent a new category for Mayor White when, as a Democrat, he started getting approval ratings in the high 80s. [Laughter.] But the best politics usually flows from the best policies and the best leadership, and he’s provided both. [Applause.]

I also want to thank my dear friend as well, America Ferrera, a wonderful, talented young woman of such great grace. And Kelly Willis, you have a new fan. I told Cecile I love your music, and she promised to send me a CD. So I thank you for being part of this.

Now, I have to tell you that it was a great privilege when I was told that I would receive this award. I admire Margaret Sanger enormously, her courage, her tenacity, her vision. Another of my great friends, Ellen Chesler, is here, who wrote a magnificent biography of Margaret Sanger called Woman of Valor. And when I think about what she did all those years ago in Brooklyn, taking on archetypes, taking on attitudes and accusations flowing from all directions, I am really in awe of her.

And there are a lot of lessons that we can learn from her life and from the cause she launched and fought for and sacrificed so bravely. One in particular, though, has always stood out for me almost a hundred years later. It’s the lesson that women’s empowerment is always, always about more than bettering the lives of individual women. It is part of a movement. It’s about economic and political progress for all women and girls. It’s about making sure that every woman and girl everywhere has the opportunities that she deserves to fulfill her potential, a potential as a mother, as a worker, as a human being.

The overarching mission of the Planned Parenthood Federation of America and the cause of reproductive freedom that you continue to advance today is as relevant in our world now as it was a hundred years ago. [Applause.] So I thank you.

The 20th century reproductive rights movement, really embodied in the life and leadership of Margaret Sanger, was one of the most transformational in the entire history of the human race. It has changed the lives of tens of millions of women. It has changed attitudes and perceptions about women and our roles in society. It ushered in demographic and social changes that have brought us closer to gender equality than at any time.

Yet we know that Margaret Sanger’s work here in the United States and certainly across our globe is not done. Here at home, there are still too many women who are denied their rights because of income, because of opposition, because of attitudes that they harbor. But around the world, too many women are denied even the opportunity to know about how to plan and space their families. They’re denied the power to do anything about the most intimate of decisions.

And the derivative inequities that result from all of that are evident in the fact that women and girls are still the majority of the world’s poor, unschooled, unhealthy, and underfed. This is and has been for many years a matter of personal and professional importance to me, and I want to assure you that reproductive rights and the umbrella issue of women’s rights and empowerment will be a key to the foreign policy of this Administration. [Applause.]

You see, I believe that women’s rights and empowerment is an indispensible ingredient of smart power and therefore is integrated into our renewed emphasis on diplomacy and development. This is especially important today, when poverty and the lack of healthcare and education, hunger and job loss, are amplified by the current economic crisis. And I was very proud when President Obama repealed the Mexico City policy. [Applause.]

As a result, nongovernmental organizations overseas can once again use U.S. funding to provide the full range of family planning services so that women and their families can get access to the healthcare that they need. President Obama’s decision on Mexico City and his signing shortly thereafter of the Lilly Ledbetter legislation – [applause] – reflects a deep personal commitment to expanding opportunities for women. And the announcement about a week ago of the establishment once again of an Office for Women and Girls in the White House will give voice and action behind that commitment. [Applause.]

I am also pleased to tell you that we announced that the United States will once again fund family planning through the United Nations. [Applause.] We are going to fund a contribution of $50 million this fiscal year. That’s a 130 percent increase over our last contribution, which was made in 2001. Congress has also approved the Administration’s request for $545 million in bilateral assistance for family planning and reproductive health programs this year. And this is a significant increase over last year. Because I and the Administration and not wavering in our commitments to development assistance even in these tough economic times. [Applause.]

Now, some might ask, well, we’ve got problems here at home – and we sure do. Unemployment is rising. People are losing not only jobs but their homes. We’re seeing small businesses that were flourishing a few years ago shut their doors. And yet it’s important to remember that what we do to advance and protect our security, our interests, and our values overseas really does affect what our future will be like right here in Houston and across America. Because at root, the complex global issues we face speak to the importance of human security and material well-being, and the necessity of ensuring that opportunities for those on the margins of life and society, particularly women and children, are essential for the United States to continue to promote.

Earlier this morning, and one of the reasons why I was so late getting to my first event, which was up in Dallas at the Women’s Museum, and then to come down here to Houston, is because I was at the White House with the President and our national security team announcing the results of our strategic review about Afghanistan and Pakistan. And as we went through this review over the last two months, one of the points that I and others made is that as we integrate our military and civilian aspects with a mission of disrupting and dismantling and defeating al-Qaida and their allies in Afghanistan and Pakistan, we cannot lose sight of the fact that assisting women’s development in those two countries is part of America’s strategy to be successful in our mission. [Applause.]

A society that denies and demeans women’s roles and rights is a society that is more likely to engage in behavior that is negative, anti-democratic, and which often leads to violence and extremism. So the material building blocks of daily life are the most reliable aspects of building democracy, delivering on economic opportunity and adequate food supplies and clean water and a clean environment, and we know that access to family planning broadens the horizons and expands the vision of women everywhere. [Applause.]

It is important for us to remain committed here at home and around the world. When more than half a million women die every year in childbirth and we know that the majority of those deaths could be prevented, then we are missing an opportunity, not only for humanitarian assistance but to build a strong foundation for democratic and positive decision making by people whose lives are freer from the kind of struggle and strife and loss that too many women suffer.

Nearly half the women in the developing world deliver their babies without a nurse, a midwife, or a doctor. Fifteen million women around the world have complications while giving birth and during labor that result in lifelong disabilities and serious illnesses. And children who grow up without mothers or have mothers who cannot properly care for their children are likely to suffer health problems of their own.

As I have traveled around the world over many years now, I see the results of social and economic costs in marginalizing women and denying them their freedom. And I know that there is a corollary to that denial. It is political destabilization. Because when people live in poverty and desperation, they often take desperate action.

Today, we’re learning more about that correlation between economic decline and civil unrest, between economic growth and political stability. There are now models that can accurately predict which countries and regions will experience political upheaval. And one of the most constant predictors is the rate of infant mortality. Countries with higher infant mortality rates are more vulnerable to political upheaval. And it’s easy to understand why infant mortality has such utility in assessing political trends globally. Simply put, infant mortality is connected to a lower quality of life. And a lower quality of life is the by-product of inadequate healthcare, including inadequate family planning options.

The good news is there a flip side. The presence of voluntary family planning programs and support for reproductive rights has tangible benefits. And that is why I strongly support Planned Parenthood, and organizations that are on the front lines around the world. [Applause.]

I’ve seen programs, as many of you have, that really speak to this. Now, the best way to ensure that women are not victimized by coercive government practices is to make sure that they have access to family planning. For those who care so deeply about reducing the abortion rate, the best way to make sure we reduce abortion is to provide access to safe family planning. [Applause.]

I want to close by telling you about two programs that your government supports because they reflect cost-effective and innovative approaches. I was recently in Indonesia, and I had first visited there fifteen years ago. Fifteen years ago, I saw a commitment to family planning taking root in that country, the most populous Muslim country in the world. I saw a program that wasn’t housed in a clinic, it wasn’t even housed in a building. It was under a tree in a village where women met once a week. They brought their babies to be weighed on portable scales to see whether the babies were growing. They received information from trained village workers about nutrition and family planning. And the women there told me what a difference that program had made in their own lives.

Earlier this year, I returned to Indonesia as Secretary of State. It’s a country that in ten short years has moved from tyranny to democracy. And one reason that it’s made this transition is because it has a robust civil society, and because coexisting are democracy, Islam, modernization, and women’s rights. And there is a connection between the commitment to family planning and the secular democracy that Indonesia has become.

So I toured a low-income neighborhood in Jakarta, and I saw water purification system and I also saw a prenatal neighborhood watch, a program supported by USAID. The home of every pregnant woman in this neighborhood had a sticker with her name and her due date on the front door, and this information was readily available in an area where thousands of people lived close upon one another. And there weren’t very many cars or other forms of transportation, but neighbors could walk by and make sure that if it was getting close to the woman’s due date they were ready in case of an emergency. It was an inexpensive and simple way of ensuring the health and well-being of pregnant women. And then health workers would visit to make sure that all was going well until a healthy baby was delivered.

So it often is important to remember what is most basic in any of our lives. The ability to plan a family and to raise healthy children is certainly at the core of that. Ensuring that women have that freedom will be the policy of this Administration. [Applause.] And there isn’t any organization in the world with a reputation for caring so much and doing so much and being so courageous or truly being a valorous organization in the tradition as a woman of valor.

I am honored to be the Secretary of State at a time when our country has so much work to do to restore America’s standing and leadership. But I believe that it’s not only work of governments, of presidents, of secretaries, of others. But it’s really the work of all of us. And one of the great exports that America has are our NGOs, our charitable organizations, and all the volunteers, and the funders who make it possible.

This is a moment of such great peril and promise for America. At the end of the next four years, I hope that we’ll be able to look around the world and see that it is more peaceful, more prosperous, more progressive, and that, in particular, women’s voices will be heard at every place where important decisions are made, and that organizations like Planned Parenthood will be our partners. I know that this is a mission that you’re more than ready to take on. Thank you all very, very much. [Applause.]

Well, thank you so much. It’s great to be back in Houston with so many friends and to have an opportunity to participate in the Planned Parenthood annual meeting. I want to thank several people who are really special, and starting with Cecile Richards, who has done a magnificent job on behalf of Planned Parenthood. [Applause.] And I know that she and her very talented team, including Laurie Rubiner, whom you saw in the video, who’s the vice president for public policy, will make sure that women’s health and women’s reproductive health is included in any deliberation concerning our -- finally adopting -- a healthcare system that takes care of all of our people. [Applause.]

[39]  “Now, I have to tell you that it was a great privilege when I was told that I would receive this award. I admire Margaret Sanger enormously, her courage, her tenacity, her vision. Another of my great friends, Ellen Chesler, is here, who wrote a magnificent biography of Margaret Sanger called Woman of Valor. And when I think about what she did all those years ago in Brooklyn, taking on archetypes, taking on attitudes and accusations flowing from all directions, I am really in awe of her.” [https://www.washingtonexaminer.com/weekly-standard/sec-clinton-stands-by-her-praise-of-eugenicist-margaret-sanger, https://www.dailymotion.com/video/x5w4z65]

[40] “Yet we know that Margaret Sanger’s work here in the United States and certainly across our globe is not done. Here at home, there are still too many women who are denied their rights because of income, because of opposition, because of attitudes that they harbor. But around the world, too many women are denied even the opportunity to know about how to plan and space their families.”

[41] “This is literally a life and death election.” “We felt like we can’t endure another four years of Trump; we have to do everything we can to get him out of office.”

[42] “I’ve had non-Catholic leaders of government in this nation tell me that they were certain that the Catholic teaching on abortion and so-called same-sex marriage have changed because so many Catholics on Capitol Hill are regularly supporting this kind of legislation. And that’s a scandal.”

[43] “They practice Catholicism but may not “present themselves” to receive a communion due to their politics, particularly former Vice President Joe Biden, who recently abandoned his support for the Hyde Amendment after saying for decades his faith was the reason why he couldn’t back government-funded abortions.”

“It’s not a punishment. It’s actually a favor to these people to tell them don’t approach,” Burke said, “because if they approach, they commit sacrilege.”

[44] Si apprendono dettagli agghiaccianti dei loschi affari, intrattenuti dalla Planned Parenthood e dalle poche altre cliniche abortiste non affiliate alla multinazionale. Affari che, comunque, risultano molto redditizi. Risulta un vero e proprio listino prezzi delle varie parti del corpo dei bambini abortiti.

La Bioscience Resource [ABR] avrebbe pagato 240 dollari alla Planned Parenthood  Pacific Southwest per “4 feti”, e ha rivenduto per 6.825 dollari “20 campioni”. Il cervello di un feto di 19 settimane di età  sarebbe stato venduto per 325 dollari, entrambe le gambe per 650 dollari, il timo e il fegato per 325 dollari ciascuno. ABR avrebbe guadagnato in questo singolo affare 1,625 dollari in totale.

[45] Kermit Gosnell, è stato condannato all’ergastolo, nel maggio del 2013 per l’omicidio di tre bambini nati vivi dopo il fallito aborto e per l’omicidio colposo di Karnamaya Mongar, una quarantunenne morta, nel 2009, in conseguenza di una procedura abortiva, e per una serie di altri crimini. Gosnell era divenuto un esperto di aborti a nascita parziale, praticati estraendo tutto il corpo del nascituro a eccezione della testa, e si serviva di una tecnica che chiamava snipping [dal verbo inglese to snip, tagliare], vale a dire usava forbici per recidere, all’altezza del collo, la colonna vertebrale del bambino ancora vivo, completando poi la procedura di espulsione della creaturina. Questa barbarie si sarebbe ripetuta, stando alle testimonianze dei suoi dipendenti, per “centinaia di volte”; ma solo in tre casi erano state trovate le prove tangibili, ossia i resti di bambini abortiti tra la ventottesima e la trentaduesima settimana di gravidanza, per incriminare il medico. Nella sua clinica degli orrori al civico 3801 di Lancaster Avenue, a Philadelphia, Gosnell ha potuto operare, per decenni, servendosi di collaboratori privi di esperienza e senza studi di medicina, nonostante nel corso della sua lunga carriera gli fossero state intentate decine di cause.

“Non mi pento di quello che ho fatto.”,

raccontò a Steve Volke, autore del libro Gosnell’s Babies. In sintesi: perché uccidere un bambino entro la ventiquattresima settimana è perfettamente legale e “compassionevole”, mentre ucciderlo subito dopo che è nato non lo sarebbe più?

Una domanda che rivela tutta l’ipocrisia della cultura abortista dominante, la quale rifiuta di riconoscere che la vita è un continuum e che il nascituro è, a tutti gli effetti, un essere umano dall’istante del concepimento.

[46] Mails recentemente ottenute dalla Food and Drug Administration [FDA] statunitense [https://www.judicialwatch.org/press-releases/humanized-mice-fda/] rivelano che l’agenzia ha speso decine di migliaia di dollari dei contribuenti per acquistare tessuto fetale umano per la creazione di “topi umanizzati” [https://www.ewtn.com/catholicism/library/fetal-experimentation-frankenstein-revisited-9610]. Gli inquietanti scambi di e-mails  [https://www.judicialwatch.org/documents/jw-v-hhs-humanized-mice-fda-prod-3-00876/] tra la dottoressa Kristina Howard, funzionario medico veterinario della ricerca della FDA e Perrin Larton [https://www.liveaction.org/news/breaking-planned-parenthood-baby-parts-vendor-admits-intact-babies-just-fell-out/?__cf_chl_jschl_tk__=pmd_wzQzcRvEnuNITLptnaSzulO13nh7oCzI6Wjsdiq3RUk-1631977948-0-gqNtZGzNAjujcnBszQsl]

responsabile degli acquisti presso l’Advanced Bioscience Resources [ABR] [https://www.liveaction.org/news/planned-parenthood-300000-fetal-tissue/]

con sede in California, hanno avuto luogo dal gennaio 2011 all’aprile 2018. Le e-mails sono state ottenute dal Judicial Watch  a seguito di una causa legale [https://www.judicialwatch.org/press-releases/judicial-watch-sues-health-and-human-services-for-documents-on-human-fetal-tissue-used-in-humanized-mice-testing/] in base al Freedom of Information Act, una legge federale sulla libertà di informazione che richiede la divulgazione totale o parziale, su richiesta, di informazioni e documenti precedentemente non rilasciati dal Governo degli Stati Uniti.

Il contratto dl 2012 tra la FDA e l’ABR [https://www.judicialwatch.org/documents/humanized-mice-prod-3-00876-pgs-501-505/] stabiliva che il tessuto fetale umano [timo/fegato] di bambini abortiti tra le 16 e le 24 settimane dovesse essere inviato 2 volte al mese e spedito “fresco” su “ghiaccio bagnato”.

Live Action News ha documentato [https://www.liveaction.org/news/grisly-research-abortion-survivors/] accuse riguardanti feti abortiti vivi spediti sul ghiaccio a fini di ricerca [http://www.centerformedicalprogress.org/human-capital/special-report-advanced-bioscience-resources/

[https://www.science.org/news/2017/01/fact-checking-congress-s-fetal-tissue-report].

[47] Planned Parenthood, 9 Reasons to Love Kamala Harris [https://www.plannedparenthoodaction.org/elections/kamala-harris].

[48] Paige St. John, Kamala Harris’ support for Planned Parenthood draws fire after raid on anti-abortion activist, Los Angeles Times, 7 aprile 2016 [https://www.latimes.com/politics/la-pol-kamala-harris-planned-parenthood-20160407-story.html]

[49] Julie Turkewitz and Jack Healy, 3 Are Dead in Colorado Springs Shootout at Planned Parenthood Center, 27 novembre 2015 [https://www.nytimes.com/2015/11/28/us/colorado-planned-parenthood-shooting.html]

[51] Kathy Kneer [presidente e amministratrice delegata di Planned Parenthood Affiliates of California], dichiarazione rilasciata dall’autore, ottobre 2020.

[52] Jill Habig, email fornita all’autore, 5 aprile 2016.

[53] Paige St. John, Kamala Harris’ support for Planned Parenthood draws fire after raid on anti-abortion activist, Los Angeles Times, 7 aprile 2016 [https://www.latimes.com/politics/la-pol-kamala-harris-planned-parenthood-20160407-story.html].

[54] Kathy Kneer [presidente e amministratrice delegata di Planned Parenthood Affiliates of California], dichiarazione rilasciata dall’autore, ottobre 2020.

[55] Reproductive FACT Act, AB-775, California State Assembly [2015].

[56] About NIFLA, reperibile al link: https://nifla.org/about-nifla/.

[57] NIFLA, lettera all’Assemblea Generale della Califoria in merito al FACT [AB-775], 14 aprile 2015.

[58] Dan Morain, How an abortion rights law ended up bankrolling anti-abortion forces in CA, CalMatters, 4 novembre 2019 [https://calmatters.org/politics/2019/11/abortion-law-california-settlement-nifla-becerra-daleiden-sekulow/].

[59]  Attorney General Kamala D. Harris Issues Statement on Governor Brown Signing Reproductive FACT Act into Law, comunicato stampa del Dipartimento di Giustizia dello Stat della California, 9 ottobre 2015, reperibile al link: https://oag.ca.gov/news/press-releases/attorney-general-kamala-d-harris-issues-statement-governor-brown-signing.

[61] Dan Morain, How an abortion rights law ended up bankrolling anti-abortion forces in CA, CalMatters, 4 novembre 2019 [https://calmatters.org/politics/2019/11/abortion-law-california-settlement-nifla-becerra-daleiden-sekulow/].

[62] The People of the State of California versus David Robert Daleiden and Sandra Susan Merritt, Corte Superiore di San Francisco [2017].

[63] “Norsworthy has been treated for gender dysphoria for over 20 years, and there is no indication that her condition has somehow worsened to the point where she must obtain sex-reassignment surgery now rather than waiting until this case produces a final judgment on the merits.”