“Tout crépuscule est double, aurore et soir. Cette formidable chrysalide que l’on appelle l’univers trésaille éternellement de sentir à la fois agoniser la chenille et s’éveiller le papillon.” Victor Hugo
“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”
Nikos Kazantzakis
Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:
Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.
Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.
To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.
I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.
Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.
Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.
Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan
traduzione dal persiano di Daniela Zini
Dormire, dormire e sognare…
Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.
Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.
Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.
Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.
Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.
È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.
Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.
L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.
D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.
Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.
Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.
Quel tentativo fece completo fallimento.
Perché?
Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.
In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.
Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.
Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.
Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.
Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.
E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?
La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.
Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.
Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.
Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?
Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.
Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.
La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:
“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”
Roma, 20 gennaio 2014
Daniela Zini
lunedì 17 febbraio 2014
MONSANTO III. Necroimpresa Monsanto, l’Agent Orange e le guerre americane di Daniela Zini
sabato 15 febbraio 2014
KEYNES, PROFETA DEL NEW DEAL di Daniela Zini
“Sembra quasi certo che il 5 per cento della popolazione incassò, nel 1929, approssimativamente un terzo del reddito nazionale totale. Ma, costoro non possono comperare grandi quantità di pane. Se devono spendere ciò che incassano, lo spendono in oggetti di lusso o sotto forma di nuovi investimenti e nuove imprese. Sia gli investimenti sia le spese voluttuarie sono, tuttavia, soggetti inevitabilmente a influenze più irregolari e fluttuazioni più ampie che non il pane o l’affitto dell’operaio a 25 dollari la settimana.”
Le vendite stagnano e l’attenzione del capitale si rivolge alle Borse. In un primo tempo i più potenti uomini d’affari, poi i piccoli risparmiatori sulla loro scia, riversano il denaro in operazioni speculative che diventano una specie di mania. Intanto gli iscritti ai sindacati scendono dai 5 milioni del 1920 ai 3 milioni e mezzo del 1929, la sfiducia e la protesta scelgono nuove armi mentre, dall’altra parte, la fusione di società a prezzi inflazionati e la costituzione di colossali holdings convogliano i profitti dalla base al vertice concentrando in poche mani colossali guadagni. Il Big Bull Market, il colossale mercato dei valori azionari, avviato nel 1926, raggiunge il parossismo nel settembre del 1929. Dal giugno 1926 al settembre 1929 il valore dei titoli cresce da 100 a 216.
“Rido perché sono qui, solo, a cercare di impedire a 120 milioni di idioti di fare quello che vogliono e di rovinarsi come vogliono.”
Hoover, intanto, conduce la sua battaglia elettorale con questo slogan:
“Altri quattro anni di prosperità!”
Viene eletto. nel marzo del 1929, prende il posto di Calvin Coolidge. Ma, non può o non sa fare molto di più del suo predecessore e collega di partito: tre anni dopo, alla vigilia delle nuove elezioni, i prezzi degli alimentari scendono del 30 per cento, il grano crolla, più di 10.000 banche sulle 29.000 esistenti nel 1922 deve chiudere. Il pubblico ritira precipitosamente i depositi, i fallimenti non si contano più, la fiducia è scomparsa, la produzione industriale è scesa del 40 per cento, milioni di lavoratori sono disoccupati, alla fame. Assumendo la Presidenza, Roosevelt chiede al Congresso “poteri ampi come mi sarebbero dati in caso di invasione da parte di un esercito straniero”.
“Egregio Presidente Roosevelt, se fallite nel vostro compito di risanare l’economia americana, la decisione resterà affidata in tutto il mondo alla lotta aperta tra ortodossia e rivoluzione.”
In tutto il mondo e non è un’esagerazione. Infatti, in tutti i paesi i cui Governi hanno cercato di combattere la crisi con i rimedi classici come negli Stati Uniti sotto la Presidenza di Herbert Hoover (1929-1932), i disoccupati si contano a milioni: in Germania, sotto il Cancelliere Heinrich Brüning (1930-1932), i disoccupati all’inizio del 1932 hanno superato i sei milioni, e questo costituisce il fattore determinante della sconfitta del movimento operaio e dell’ascesa al potere di Adolf Hitler. Negli Stati Uniti, il potere viene assunto non da un delirante razzista come Hitler ma da un lungimirante democratico come Roosevelt, il quale si trova davanti il problema di 10 milioni di lavoratori senza occupazione e riesce a risolverlo, grazie anche ai consigli di Keynes, con il controllo federale sulle finanze, la protezione dei ceti più deboli e grandi interventi economici. Anche, in Inghilterra, nel 1929, i disoccupati sono 2 milioni e mezzo. Qui il Governo, in parte influenzato da Keynes, pratica dal 1931 un’infrazione al liberismo classico mediante la politica detta di “easy money” (denaro facile), del denaro a buon mercato e riesce a ridurre il numero dei senza lavoro che, tuttavia, ancora nel 1936, sono sempre un milione e mezzo. Keynes non ha in tasca la soluzione, anche perché non ha il potere. Non è, infatti, un industriale né un politico, ma un economista, e può tutt’al più svolgere opera di consigliere dei Governi.
“Non ha senso”,
scrive,
“affermare che la disoccupazione negli Stati Uniti, nel 1932, fosse dovuta al rifiuto ostinato dei lavoratori di accettare una riduzione dei salari monetari oppure alla domanda ostinata di un salario reale superiore a quello che il meccanismo economico fosse in grado di fornire.”
È evidente, continua Keynes, che esiste una disoccupazione involontaria. L’affermazione oggi può sembrare ovvia, ma allora fece scalpore, anche perché chi la faceva non era un comunista, ma un pacato studioso britannico. Pacato ma deciso, al punto da replicare duramente alle polemiche dei teorici:
“Se la dottrina non è capace di spiegare queste cose reali, tanto peggio per la dottrina.”
Ma chi era veramente Keynes, e in che cosa consistevano le sue teorie economiche che stravolgevano tutti i fondamenti delle dottrine e degli interessi imperanti nel mondo economico?
John Maynard Keynes inizia così a delineare la sua personale linea economica: misure nuove, socialmente ed economicamente audaci, contro il miope interesse immediato dei gruppi dominanti.
Daniela Zini