“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

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lunedì 17 febbraio 2014

MONSANTO III. Necroimpresa Monsanto, l’Agent Orange e le guerre americane di Daniela Zini



DA UTILIZZARE AMPIAMENTE

DA DIFFONDERE LARGAMENTE

 


“Servire gli altri, essere di qualche utilità alla famiglia, alla comunità, alla nazione o al mondo è uno degli scopi principali per i quali gli esseri umani sono stati creati. Non ti riempire di affari personali, dimenticando i tuoi compiti più importanti. La vera felicità è solo per chi dedica la propria vita al servizio degli altri.”  

dagli insegnamenti dell’Albero Sacro dei Nativi Americani


al piccolo Satish e ai nostri ragazzi, nostro avvenire 

Noi diciamo molto spesso che l’avvenire è nelle mani dei nostri ragazzi. Ma, nell’attesa che divengano grandi, è nelle mani degli adulti che riposa la responsabilità di proteggerli, tutelarli e aiutarli a schiudersi perché possano, a loro volta, contribuire a fare evolvere la nostra società.
                          

“Di tutti i crimini di guerra, quello dell’Agent Orange,

 in Vietnam, è, particolarmente, aberrante.”

Noam Chomsky



Per la mia generazione, il Vietnam evoca la guerra; per i più giovani, una destinazione turistica. Una nuova guerra fa dimenticare la precedente e occulta, in gran parte, le sue conseguenze, tanto più che l’informazione si concentra esclusivamente sull’ultima.

Durante la guerra del Vietnam, la MONSANTO si è, enormemente, arricchita con la produzione del tristemente noto AGENT ORANGE.

I suoi effetti sono sentiti, ancora oggi, e lo saranno, ancora, per decine di anni.   

Ieri, in Vietnam, facendo uso di armi chimiche devastanti, gli Stati Uniti hanno combattuto il comunismo, un regime che, allora, incarnava la lotta per l’indipendenza nazionale del popolo vietnamita, che si opponeva alla loro dominazione. Oggi, le stesse politiche, assurde e ingiustificabili, si perseguono dall’Afghanistan all’Iraq, passando per la Serbia, e dal Libano a Gaza, armi al fosforo, a frammentazione o all’uranio impoverito sono spante sulle popolazioni civili.

Prendere coscienza della catastrofe generata dall’AGENT ORANGE è la prima tappa, necessaria per prevenire ed evitare altri disastri. 

Bambini con gravi handicap e dalle forme, talvolta, inumane nascono nell’istante in cui scrivo, perché le mutazioni genetiche, acquisite dalle persone contaminate, si trasmettono alla loro discendenza, ciò che rappresenta un vero crimine contro il genoma umano.





1.            Crimini contro l’Umanità

“Il vecchio Lakota era saggio. Sapeva che lontano dalla Natura il cuore dell'uomo diventa duro. Sapeva che la mancanza di rispetto per le cose che vivono e crescono, presto porta anche alla mancanza di rispetto verso gli uomini. Tenete i vostri bambini vicini alla Natura.”

Luther Standing Bear



Durante la prima guerra mondiale, sono impiegati una trentina di agenti chimici, quali i gas utilizzati dalle truppe tedesche, nell’aprile del 1915, nella regione di Ypres, in Belgio. I rischi che tali armi fanno correre ai soldati dei due campi e alle popolazioni civili induce i governi a adottare, il 17 giugno 1925, quello che è divenuto il Protocollo di Ginevra, che vieta “l’uso in guerra di gas asfissianti, tossici o simili, nonché di tutti i liquidi, materiali o procedimenti analoghi”, atti ad avere un effetto tossico sulle piante, sugli animali e sugli esseri umani. Il Protocollo proibisce, inoltre, l’uso, come arma di guerra, di ogni sostanza, i cui effetti non siano conosciuti. Il diserbante, impiegato a fini militari, dunque, rientra nella categoria delle armi chimiche. Il protocollo del 1925 costituisce il diritto internazionale in vigore, per quanto attiene alle armi chimiche, quando inizia l’intervento americano nel Vietnam. Autorizzando l’uso dell’AGENT ORANGE, per distruggere le foreste e le risaie, il presidente John F. Kennedy lo viola, deliberatamente.

Durante la seconda guerra mondiale, mentre le forze americane respingono, con difficoltà, l’esercito giapponese, è avanzata l’idea di affamare il Giappone, distruggendo i raccolti di riso con un diserbante potente. Ricerche, finanziate dal governo, sfociano sulla combinazione di due acidi: il 2,4-D (acido 2,4-diclorofenossiacetico) e il 2,4,5-T (acido 2,4,5-triclorofenossiacetico). I processi di fabbricazione industriale del secondo acido – che entra per il 48,75% nella composizione della combinazione, che resterà nella storia con il nome di AGENT ORANGE – elaborati per massimizzare i profitti, hanno come conseguenza di contaminarlo, a dosi più o meno importanti, di una sostanza, estremamente, tossica la 2,3,7,8 tetraclorodibenzoparadiossina, TCDD, meglio noto come diossina. Secondo i fabbricanti, questa “impurità” non può essere eliminata. Più il tasso del diserbante 2,4,5-T è elevato nella composizione del defoliante, più il tasso della diossina è importante. L’AGENT ORANGE, di colore rosa-bruno, deve il suo nome alle strisce di colore arancione, dipinte sui barili nei quali è stoccato. Parimenti, sono “battezzati” gli altri prodotti chimici detti “arcobaleno”, AGENT WHITE, AGENT GREEN, AGENT PINK, AGENT PURPLE, AGENT BLUE.  La diossina è una sostanza cancerogena e teratogena, che produce malformazioni allo stadio fetale e attacca i sistemi immunitario, riproduttivo e nervoso.

Il disastro industriale di Seveso del 10 luglio 1976, provocato dalla fuoriuscita di una nube di diossina, che colpisce i comuni di Meda, di Seveso, di Cesano Maderno e di Desio, testimonia dei pericoli della diossina nel mondo intero. Questa triste vicenda ispirerà il cantautore Antonello Venditti:



“(…) voi, che vivete tranquilli nella vostra coscienza di uomini giusti, che sfruttate la vita per i vostri sporchi giochetti allora, allora ammazzateci tutti! (..…)” 

Antonello Venditti, Canzone per Seveso




L’AGENT ORANGE è testato su un atollo del Pacifico. La sua nocività è tale che il presidente Franklin Delano Roosevelt vieta all’esercito americano di servirsene.

I suoi successori non avranno gli stessi scrupoli.

Il presidente Dwight David Eisenhower autorizza, nel 1959, la messa a punto della tecnologia aerea, che permette l’aspersione del defoliante.




2.             Vietnam: primo ecocidio della storia

“Vi è molto di folle nella vostra cosiddetta civiltà. Come pazzi voi uomini bianchi correte dietro al denaro, finché non ne avete così tanto da non poter vivere abbastanza a lungo per spenderlo. Voi saccheggiate i boschi e la terra, sprecate i combustibili naturali. Come se non debba venire, dopo di voi, un’altra generazione, che abbia, egualmente, bisogno di tutto questo. Voi parlate, sempre, di un mondo migliore, mentre costruite bombe, sempre più potenti, per distruggere quel mondo che, ora, avete.”

Walking Buffalo



L’11 maggio 1961, durante una riunione segreta dell’US National Security Council, il presidente Kennedy dà l’autorizzazione a testare gli erbicidi nel Vietnam. Il primo spargimento dell’AGENT ORANGE ha luogo, il 10 agosto 1961, nella provincia di Kon Tum, situata nel centro del Paese. Si tratta di un ultimo test, preludio all’OPERATION RANCH HAND (OPERAZIONE OPERAIO AGRICOLO), che inizierà, cinque mesi più tardi: la più grande guerra chimica di tutta la storia dell’umanità.    

Il 30 novembre 1961, il Presidente John F. Kennedy dà l’autorizzazione ad azioni aeree in vista di defogliare la foresta vietnamita. Qualche mese più tardi, firmerà l’ordine di utilizzare gli stessi mezzi per distruggere i raccolti agricoli. 





L’OPERATION HADES (OPERAZIONE ADE) è lanciata.

È il nome originale dato all’operazione americana di defogliazione, via aerea, nel Sud del Vietnam, che, giudicato troppo esplicito – Hades (Ade) è il dio dei morti – è cambiato, poco dopo, in OPERATION RANCH HAND.

Il 12 gennaio 1962, un bimotore Hercules C-123 decolla per la prima missione, l’OPERATION CHOPPER (OPERAZIONE ELICOTTERO). Per la prima volta, la distruzione dell’ambiente diviene un obiettivo di guerra. Si deve impedire che la foresta e la vegetazione possano nascondere l’avversario, i suoi nascondigli e i suoi spostamenti. Si devono distruggere i raccolti che servono a nutrire popolazioni mal controllate e indurre i contadini ad abbandonare le campagne permeate dalla guerriglia.

Il 16 gennaio 1965, il Milwaukee Journal riferisce di un giovane capitano di aviazione, che ha studiato economia agraria alla University of Minnesota, per conoscere i sistemi con cui aiutare i Paesi sottosviluppati ad accrescere i loro raccolti, e che usa, ora, le nozioni apprese per irrorare con un defoliante le fitte foreste tropicali, le risaie, i campi coltivati del Vietnam, al solo scopo di stanare il nemico e distruggere i suoi raccolti per affamarlo.

Dal 1961 à 1971, si stima che 80 milioni di litri di defoliante siano stati riversati su 3.3 milioni di ettari di foreste e di terre. Più di 300 villaggi sono contaminati e il 60% dei defolianti utilizzati è AGENT ORANGE, l’equivalente di 300 chilogrammi di diossina pura. Secondo uno studio condotto dalla Columbia University di New York, pubblicato nel 2003, la dispersione di 80 grammi di diossina in una rete idrica potrebbe eliminare una città di 8 milioni di abitanti. Lo spargimento massivo dell’AGENT ORANGE colpirà, per lungo tempo, le popolazioni civili vietnamite, ma anche i soldati americani che saranno, altrettanto, esposti alla diossina senza precauzioni. Di più, la MONSANTO nasconderà, deliberatamente, all’esercito che il suo diserbante 2,4,5-T, in versione militare, o AGENT ORANGE, contiene una maggiore concentrazione di residuo di diossina TCDD rispetto alla versione agricola comune. Un documento interno, disconosciuto dalla società DOW CHEMICAL, che porta la data del 22 febbraio 1965, riferisce di una riunione segreta dei principali fornitori dell’AGENT ORANGE, quali la MONSANTO, per “discutere dei problemi tossicologici causati dalla presenza di alcune impurità altamente tossiche” nei campioni 2,4,5-T forniti all’esercito. DOW CHEMICAL intende fare conoscere uno studio interno che mostra che “alcuni conigli esposti alla diossina sviluppavano severe lesioni al fegato”.  La questione, affrontata dai fornitori di 2,4,5-T, è se si debba informare il governo della tossicità dell’AGENT ORANGE. Gerson Smoger, l’avvocato di molti veterani della guerra del Vietnam, sostiene che “la riunione ha avuto luogo nel più grande segreto. (…) La questione era di sapere se si dovesse informare il governo. Come lo prova una corrispondenza, di cui anche io ho una copia, la MONSANTO rimproverò alla DOW di voler svelare il segreto. E il segreto fu mantenuto per almeno quattro anni, quelli in cui gli spargimenti di AGENT ORANGE raggiunsero il picco nel Vietnam…”

Tra il 1965 e il 1968, lo stato maggiore americano ordina di triplicare le “missioni di spargimento”. Dietro consiglio dell’ammiraglio Elmo R. Zumwalt, l’US Air vaporizza anche dell’AGENT ORANGE lungo i fiumi, per proteggere le missioni navali di ricognizione dalle imboscate.

Negli Stati Uniti, la controversia sull’utilizzo della diossina scoppia dal 1965, quando la stampa svela l’esistenza di un centro di ricerca militare sulle armi chimiche, a Fort Detrick, nel Maryland.

Ma il governo americano nega tutto.



“Questo prodotto è un veleno non più pericoloso dell’aspirina.”,



afferma un rappresentante del Pentagono al Washington Post, nell’agosto del 1968.

Infine, nel 1969, uno studio rende pubblica la nocività del diserbante 2,4,5-T, dopo che gli US National Institutes of Health (NIH) hanno rivelato che dei topi, sottoposti a dosi importanti del diserbante, hanno sviluppato malformazioni fetali e messo al mondo figli nati morti.

Il 15 aprile 1970, il segretario all’agricoltura bandisce l’utilizzo del 2,4,5-T, in ragione “del pericolo che rappresenta per la salute”… ma si continua a vaporizzarlo sulla giungla vietnamita, fino al 1971.

Ufficialmente, gli Stati Uniti non utilizzano l’AGENT ORANGE da questa data.

Nel 1971, l’esercito interrompe l’OPERATION RANCH HAND e lo spargimento dell’AGENT ORANGE, ma i suoi effetti devastanti continueranno ben oltre, a causa della permanenza della diossina nel terreno, nell’acqua e nella catena alimentare e del suo carattere bioaccumulatore.

Nel 1975, gli Stati Uniti ratificano il Protocollo di Ginevra che vieta “l’uso in guerra di gas asfissianti, tossici o simili, nonché di tutti i liquidi, materiali o procedimenti analoghi”.

I territori “bersaglio” si estendono sui 16mila chilometri della pista Ho Chi Minh, nel Laos e nella Cambogia, sulla zona che si estende nel delta del Mekong fino alla penisola di Ca Mau, nel Sud-Vietnam, sulle zone a margine della Cambogia e del Laos, sulla zona battezzata Rung Sat, che controlla tutti i fiumi che portano a Saigon e sulla zona smilitarizzata nel Sud del 17° parallelo, frontiera tra i due Vietnam.

Secondo il rapporto Stellman, finanziato dall’US National Academy of Sciences (US-NAS), tra il 1961 e il 1971, l’esercito americano avrebbe riversato circa 80 milioni di litri di diserbante, contenente più di 300 chilogrammi di diossina TCDD, su centinaia di migliaia di ettari, nel Sud e nel centro del Vietnam, principalmente, ma anche nel Laos e nella Cambogia.

Secondo Franz J. Broswimmer, nel suo libro Ecocide, questo “spargimento” ha interessato il 20% delle foreste del Sud Vietnam e contaminato 400mila ettari di terreno agricolo. Da 2,1 a 4,8 milioni di vietnamiti sono stati, direttamente, esposti all’AGENTE ORANGE, ai quali si deve aggiungere un numero sconosciuto di cambogiani, laotiani, di civili e militari americani e dei loro diversi alleati – australiani, canadesi, neozelandesi, sud-coreani –.

In Vietnam, le persone, che vivono all’epoca nella zona contaminata, scoprono, a poco a poco, l’ampiezza dei danni. Bambini nascono senza testa, senza gambe, altri sono affetti da tumori alla testa…

Si scopre, in seguito, che l’AGENT ORANGE non contamina per contatto diretto, ma attraverso la catena alimentare.

In aggiunta alla catastrofe sanitaria, il Vietnam deve fare fronte a una catastrofe ecologica. Quasi il 17% delle foreste del Sud-Vietnam è stato abbattuto, le mangrovie distrutte.

E, non è finita!

La durata di vita della diossina nei terreni può raggiungere un centinaio di anni, stimano gli scienziati.




3.            50 anni dopo, l’AGENT ORANGE uccide ancora

“L’uomo non tesse la ragnatela della vita, di cui è soltanto un filo. Qualunque cosa faccia alla ragnatela, la fa a se stesso.”

Chief Seattle



In Vietnam, il tasso di concentrazione di diossina rilevato negli adulti, ma anche nei bambini nati dopo la guerra è, anormalmente, elevato nelle regioni dove è stato riversato l’AGENT ORANGE. 

Mentre nel resto dell’Asia del Sud-Est, la frequenza del coriocarcinoma – una forma di cancro dell’utero – è dall’1 al 2 per mille, nel Vietnam del Sud è del 6 per cento.

Dopo la guerra, migliaia di soldati americani, australiani, coreani, neozelandesi e americani, che hanno servito nel Vietnam, sono, ancora, vittime di malattie della pelle, di tumori, di diverse forme del morbo di Hodgkins, di cancri del polmone, della laringe, della trachea, della prostata. Il tasso dei bambini malformati fisicamente o mentalmente, nati da un padre che ha servito in Vietnam, è anormalmente elevato. La morte improvvisa nei neonati di soldati esposti all’AGENT ORANGE è quattro volte più elevata nei veterani del Vietnam esposti ai defolianti rispetto agli altri ex-combattenti.  

Quaranta anni dopo la fine della guerra, le malattie e i sintomi legati alla diossina sono sempre presenti in Vietnam e in certe zone, resta una quantità considerevole di diossina. Si contano, oggi, tre generazioni di vietnamiti contaminati dai diserbanti. Gli Stati Uniti non hanno, mai, ammesso la loro responsabilità per i danni causati dai diserbanti nel Vietnam e non hanno, mai, versato il minimo centesimo alle vittime vietnamite, cambogiane e laotiane dell’AGENT ORANGE.

Ironia della sorte, sono stati i veterani del Vietnam che hanno denunciato, per primi, le malattie di cui sono affetti: disfunzioni ormonali, malattie della pelle, cancri…

Nel 1978, Paul Reutershan, un veterano affetto da cancro all’intestino, denuncia i produttori dell’AGENT ORANGE. Sarà, subito, raggiunto da migliaia di veterani del Vietnam, affetti da vari sintomi, per costituire la prima azione di gruppo o class action, mai intentata contro la MONSANTO. Questo caso sarà rivelatore dei metodi usati dalla società di Saint-Louis, quando si tratta di affrontare la giustizia.

Per avere causa vinta, i veterani debbono provare di essere stati contaminati dalla diossina presente nell’AGENT ORANGE, al momento della guerra del Vietnam, e che questa diossina TCDD è ben all’origine delle loro malattie. A sua difesa, la MONSANTO replicherà che la “diossina è onnipresente nella popolazione americana, nell’ambiente e negli alimenti…”, cosa che è, purtroppo, vera, tanto questo genere di inquinamento è diffuso. Tuttavia, la percentuale presente nei veterani è ben superiore a quella che si può riscontrare in un normale contesto.

Il caso non è, dunque, chiuso.

Si deve, poi, provare che la diossina è un agente cancerogeno attraverso studi scientifici che richiedono, necessariamente, un lungo termine, a causa del tempo di incubazione del cancro. La MONSANTO possiede questo genere di studi, dopo l’incidente a Nitro, nel West Virginia, in cui diverse decine di operai sono stati esposti, l’8 marzo 1949, alla diossina e seguiti dal dottor Raymond Suskind. Per provare che la diossina non è cancerogena, la MONSANTO vuole dimostrare, trenta anni più tardi, che gli operai esposti non hanno sviluppato patologie particolari rispetto alla popolazione normale. È il dottor George Roush, direttore medico della MONSANTO, che supervisionerà il contenuto degli studi della MONSANTO pubblicati nel 1980, 1983 e 1984.

Se ne può dubitare?

Gli studi della MONSANTO si concluderanno, ovviamente, con l’assenza di ogni correlazione tra l’esposizione al 2,4,5-T dell’AGENT ORANGE e il cancro.

I veterani accettano, allora, un accordo conciliativo e, il 7 maggio 1984, i produttori dell’AGENT ORANGE mettono sul tavolo 180 milioni di dollari. Il giudice ordina che il 45.5% della somma sia pagato dalla MONSANTO, a causa della forte percentuale di diossina nel suo 2,4,5-T. È  così che 40mila veterani riceveranno, secondo i casi, un aiuto compreso tra i 256 e i 12.800 dollari. Il caso è chiuso, ma lascia un gusto di amaro in bocca ai veterani, che debbono contentarsi di risarcimenti ben inferiori alle spese sanitarie cui debbono fare fronte.

Agli inizi degli anni 1980, alcuni ricercatori vietnamiti si rendono conto dell’esplosione di cancri, di effetti teratogeni… ma gli Stati Uniti non ne riconoscono  i metodi.

Dopo aver tentato, per più di venti anni, di negare le conseguenze sanitarie dell’AGENT ORANGE, il governo americano capitola. Nel febbraio del 1991, il Congresso vota l’Agent Orange Act, che stabilisce una  “presunzione ufficiale di relazione con il servizio” nel caso di ex-combattenti del Vietnam affetti da linfonodi o da sarcomi. Di più, si è constatato un aumento del numero di cancri tra i contadini del Kansas e del Nebraska esposti alla diossina. La legge impone alla National Academy of Sciences di pubblicare una lista delle malattie imputabili al prodotto e di aggiornare questa lista ogni due anni. Al 2005, una ventina di affezioni saranno repertoriate: leucemia linfoide, sarcoma, morbo di Hodgkin, cloracne, cancro della prostata e delle vie respiratorie, spina bifida...

Nel 1999, circa 20mila veterani sud-coreani sporgono due denunce separate contro le imprese di diserbanti, reclamando 5 miliardi di dollari. Perdono in prima istanza, nel 2002, ma si appellano e vincono, il 26 gennaio 2006. La giustizia condanna MONSANTO e DOW CHEMICAL a versare 62 milioni di dollari a 6.800 persone, ciascuna delle quali dovrebbe ricevere tra i 6.200 e i 47.500 dollari.

Il 31 gennaio 2004, la Vietnam Association For Victims of Agent Orange (VAVA), presenta un ricorso collettivo contro le società produttrici dell’AGENT ORANGE – tra le quali la MONSANTO e la DOW CHEMICAL – per crimini contro l’umanità e crimini di guerra. La prima udienza di questo processo ha luogo, il primo marzo 2005, a New York. Il 10 marzo, la Corte Distrettuale rigetta l’azione legale. L’associazione ricorre in appello, l’8 aprile 2005. Nel giugno del 2007, in occasione della visita di sei giorni del presidente vietnamita Nguyen Minh Triet, negli Stati Uniti, parlando della causa riaperta di fronte alla Corte di Assise, a Washington, George W. Bush (1) liquida l’argomento con poche, significative parole:



“Non saranno dei contenziosi giudiziari a fermare la collaborazione produttiva tra gli Stati Uniti e il Vietnam.”



Il 22 febbraio 2008, a New York, la Corte di Appello degli Stati Uniti conferma il giudizio, precedentemente, espresso dalla Corte Distrettuale, motivando la decisione in base a numerosi principi giuridici. Tra questi, si afferma l’impossibilità di classificare l’AGENT ORANGE come arma letale, in quanto semplice erbicida, pur contenente diossina, sostanza letale per l’uomo. Di conseguenza, le aziende produttrici e il governo americano non sono imputabili di reato, perché si sono limitati a fare uso di un “normale” diserbante, i cui effetti, drammaticamente visibili, sulla salute delle persone, sono “effetti collaterali” del diserbante stesso. Agli inizi di marzo del 2009, la Corte Suprema degli Stati Uniti rifiuta di rivedere il primo giudizio pronunciato, l’anno precedente, dalla Corte di Appello di New York, a motivo che l’AGENT ORANGE è stato utilizzato come defoliante e non come sostanza tossica nei confronti delle popolazioni umane

Il diserbante killer non è condannabile, l’arma chimica sì.

E se la sostanza è ambedue le cose?

Si tratterebbe, dunque, di un semplice problema di dizionario?

Di fatto, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha, molto semplicemente, scagionato lo Stato americano e le società implicate nella produzione del defoliante.

Questo crimine umano e ambientale resta, dunque, impunito.

Nel maggio del 2009, il Congresso americano pubblica un rapporto sulle Vietnamese victims of Agent Orange and U.S.-Vietnam relations. L’autore, Michael M. Martin, sottolinea la necessità di stabilire buoni rapporti con il Vietnam nella situazione geopolitica attuale e poiché la questione dell’AGENT ORANGE, ultima sopravvivenza della guerra, è un ostacolo, suggerisce di trattarla in modo umanitario senza riconoscere – il rapporto insiste su questo punto – alcuna responsabilità a tale riguardo.

Alcuni grandi giornali americani riprendono il dibattito, ponendosi la stessa domanda:



“Il Vietnam è abbastanza importante perché gli Stati Uniti si impegnino seriamente sul problema dell’AGENT ORANGE?”



La risposta va da sé e gli incidenti nel Mar della Cina Meridionale la giustificano ancora di più. Nelle sue conclusioni, il rapporto Martin suggerisce l’adozione di un piano pluriennale di aiuto al Vietnam come una della misure atte a favorire il soft power degli Stati Uniti in Asia. 

Il 28 giugno 2010, mentre l’United Nations Development Programme (UNDP) dà l’annuncio di un progetto di 5 milioni di dollari per la decontaminazione dell’aeroporto di Bien Hoa, nei pressi di Ho Chi Minh-City (l’ex-capitale Saigon), sotto l’egida di una organizzazione indipendente, la Global Environment Facility, gli Stati Uniti decidono di stanziare 32 milioni di dollari per il risanamento della zona di Da Nang.

Il 19 novembre 2010, l’United States Agency for International Development (USAID) informa del piano biennale, a partire dal luglio del 2011, il comitato popolare della città, e un accordo è firmato con il ministro vietnamita delle risorse naturali e dell’ambiente.

Il maggio scorso, due veterani americani rivelano che l’US Army ha sotterrato, nel 1978, uno stock di AGENTE ORANGE (circa 50mila litri) nella base militare US di Camp Carroll, a  Chilgok, situato a 300 chilometri a Sud-Est di Seul, nella Corea del Sud. Un altro ex-combattente dichiara di aver partecipato, nel 1963-64, al sotterramento di prodotti chimici a Camp Mercer, situato a Bucheron, nei pressi della capitale sud-coreana.

Il 18 giugno scorso, in una cerimonia ufficiale, i due Paesi danno il via al programma comune di bonifica dell’aeroporto di DaNang.

La realpolitik dell’amministrazione Obama ha, dunque, un effetto collaterale positivo.

L’esigenza di giustizia resta.

Gli Stati Uniti trarrebbero onore, riconoscendo la loro responsabilità verso il Vietnam e i vietnamiti.

Similmente, le compagnie che hanno fabbricato i defolianti, ne hanno nascosto la tossicità, falsificando i risultati delle ricerche, hanno accumulato, con la loro vendita, enormi benefici e finanziato la loro riconversione nell’agroalimentare.

Il Vietnam ha bisogno di un aiuto massivo.

Le vittime non possono attendere.

    

“O Grande Spirito, concedimi

la Serenità di accettare le cose che non posso cambiare,

il Coraggio di cambiare le cose che posso cambiare

e la Saggezza di capirne la differenza.”

Preghiera Cherokee




















Note:

(1) Il 20 marzo 2005, l’amministrazione Bush aveva annunciato l’annullamento di un programma di ricerca binazionale tra gli Stati Uniti e il Vietnam, che doveva vertere sulla popolazione vietnamita e, principalmente, sulla connessione tra l’esposizione alla diossina e le malformazioni congenite. Questa decisione unilaterale significava il rinvio di ogni possibile azione giudiziaria contro i fabbricanti dell’AGENT ORANGE, quali la MONSANTO.

Quello stesso anno (2005), il governo neozelandese confermava che una società nazionale, la IVON WATKINS DOW, aveva fornito i composti chimici dell’AGENT ORANGE alle forze armate degli Stati Uniti durante la guerra. Dall’inizio degli anni 1960 e fino al 1987, questa impresa aveva prodotto il diserbante 2,4,5-T  in una fabbrica di New Plymouth. Durante la guerra del Vietnam, la produzione, acquistata dai militari americani, era trasportata, per nave, fino alla base di Subic Bay, da dove era utilizzata nell’Asia del Sud-Est.



                   

Copyright © 16 ottobre 2011 ADZ

Daniela Zini

sabato 15 febbraio 2014

KEYNES, PROFETA DEL NEW DEAL di Daniela Zini



 

Gli Anni Venti si illudono di riportare la spensieratezza dell’anteguerra: ma l’umanità sta, in realtà, andando incontro alla più spaventosa crisi della storia moderna. L’America è, ormai, al primo posto tra le potenze di rango mondiale quando gli Anni Venti stanno per finire, e con essi l’età del jazz.

Vi erano stati segni ammonitori, ma pochi sembravano disposti a tenerne conto. L’uomo della strada pensava che, forse, vi era bisogno di uomini nuovi. L’uomo nuovo si chiamava Franklin Delano Roosevelt. Il primo passo sulla strada che doveva portarlo alla Presidenza degli Stati Uniti, Roosevelt lo compie nel 1928. Benché ancora riluttante ad assumere responsabilità gravose, accetta quell’anno di candidarsi alla carica di Governatore dello Stato di New York.

Franklin Delano Roosevelt vincerà le elezioni e si candiderà alla Presidenza, nel 1929, quando sugli Stati Uniti si abbatterà il ciclone della crisi economica, annunciato dal clamoroso crollo dei valori azionari alla Borsa di New York del 24 ottobre 1929.

I segni premonitori vi erano stati, ma i repubblicani non ne avevano tenuto conto. La crisi rischia di travolgere l’America, e travolge il Governo Hoover. Terminata la Prima Guerra Mondiale gli States avevano conosciuto uno sviluppo produttivo senza precedenti. Le nuove industrie dell’automobile, della radio, del rayon unitamente a quelle tradizionali dell’abbigliamento, dell’alimentazione e dell’edilizia rovesciano sul mercato una quantità enorme di prodotti. Plenty of goods, sovrabbondanza di prodotti: cui fa, tuttavia, riscontro un mercato inadeguato. Soltanto il 2,3 per cento delle famiglie ha un reddito superiore ai 10.000 dollari annui, mentre metà degli americani gode di un’entrata annua che non supera i 500 dollari. Nel decennio 1919-29 la produttività era aumentata del 75 per cento; non così i salari né, quindi, i mercati.

Il professore John K. Galbraith ha scritto:


“Sembra quasi certo che il 5 per cento della popolazione incassò, nel 1929, approssimativamente un terzo del reddito nazionale totale. Ma, costoro non possono comperare grandi quantità di pane. Se devono spendere ciò che incassano, lo spendono in oggetti di lusso o sotto forma di nuovi investimenti e nuove imprese. Sia gli investimenti sia le spese voluttuarie sono, tuttavia, soggetti inevitabilmente a influenze più irregolari e fluttuazioni più ampie che non il pane o l’affitto dell’operaio a 25 dollari la settimana.”


Le vendite stagnano e l’attenzione del capitale si rivolge alle Borse. In un primo tempo i più potenti uomini d’affari, poi i piccoli risparmiatori sulla loro scia, riversano il denaro in operazioni speculative che diventano una specie di mania. Intanto gli iscritti ai sindacati scendono dai 5 milioni del 1920 ai 3 milioni e mezzo del 1929, la sfiducia e la protesta scelgono nuove armi mentre, dall’altra parte, la fusione di società a prezzi inflazionati e la costituzione di colossali holdings convogliano i profitti dalla base al vertice concentrando in poche mani colossali guadagni. Il Big Bull Market, il colossale mercato dei valori azionari, avviato nel 1926, raggiunge il parossismo nel settembre del 1929. Dal giugno 1926 al settembre 1929 il valore dei titoli cresce da 100 a 216.

Che fa, intanto, il Governo repubblicano?

l Presidente dell’epoca, Calvin Coolidge, si vanta di non capire un bel niente di problemi finanziari. Quando Roy Young, Governatore del Federal Reserve Board, tenta di limitare l’andazzo attraverso regolamenti bancari più prudenti, è investito da proteste e insulti e deve fare marcia indietro. I giornalisti lo trovano un giorno a ridere sfogliando dei listini di borsa:


“Rido perché sono qui, solo, a cercare di impedire a 120 milioni di idioti di fare quello che vogliono e di rovinarsi come vogliono.”


Hoover, intanto, conduce la sua battaglia elettorale con questo slogan:


“Altri quattro anni di prosperità!”


Viene eletto. nel marzo del 1929, prende il posto di Calvin Coolidge. Ma, non può o non sa fare molto di più del suo predecessore e collega di partito: tre anni dopo, alla vigilia delle nuove elezioni, i prezzi degli alimentari scendono del 30 per cento, il grano crolla, più di 10.000 banche sulle 29.000 esistenti nel 1922 deve chiudere. Il pubblico ritira precipitosamente i depositi, i fallimenti non si contano più, la fiducia è scomparsa, la produzione industriale è scesa del 40 per cento, milioni di lavoratori sono disoccupati, alla fame. Assumendo la Presidenza, Roosevelt chiede al Congresso “poteri ampi come mi sarebbero dati in caso di invasione da parte di un esercito straniero”.

Per gli americani è l’inizio di una nuova era. B.C. e A.C. (Before Christ e After Christ, prima di Cristo e dopo Cristo) diventano prima della crisi e dopo la crisi. Il 1929 non si ripete più, e per questo Roosevelt, come pure il suo ispiratore economico; Keynes, saranno attaccati dall’estrema sinistra come “stabilizzatori del sistema”. Negli States, keynesismo designa i fautori dell’intervento statale, è quasi sinonimo di socialismo.

Il New Deal rooseveltiano favorisce, infatti, lo sviluppo sindacale. A Roosevelt manda il suo incoraggiamento anche un curioso personaggio che legherà il proprio nome alla realizzazione del New Deal, che non è proprio famoso ma neppure sconosciuto: l’economista John Maynard Keynes.

Gli scrive:


“Egregio Presidente Roosevelt, se fallite nel vostro compito di risanare l’economia americana, la decisione resterà affidata in tutto il mondo alla lotta aperta tra ortodossia e rivoluzione.”


In tutto il mondo e non è un’esagerazione. Infatti, in tutti i paesi i cui Governi hanno cercato di combattere la crisi con i rimedi classici come negli Stati Uniti sotto la Presidenza di Herbert Hoover (1929-1932), i disoccupati si contano a milioni: in Germania, sotto il Cancelliere Heinrich Brüning (1930-1932), i disoccupati all’inizio del 1932 hanno superato i sei milioni, e questo costituisce il fattore determinante della sconfitta del movimento operaio e dell’ascesa al potere di Adolf Hitler. Negli Stati Uniti, il potere viene assunto non da un delirante razzista come Hitler ma da un lungimirante democratico come Roosevelt, il quale si trova davanti il problema di 10 milioni di lavoratori senza occupazione e riesce a risolverlo, grazie anche ai consigli di Keynes, con il controllo federale sulle finanze, la protezione dei ceti più deboli e grandi interventi economici. Anche, in Inghilterra, nel 1929, i disoccupati sono 2 milioni e mezzo. Qui il Governo, in parte influenzato da Keynes, pratica dal 1931 un’infrazione al liberismo classico mediante la politica detta di “easy money” (denaro facile), del denaro a buon mercato e riesce a ridurre il numero dei senza lavoro che, tuttavia, ancora nel 1936, sono sempre un milione e mezzo. Keynes non ha in tasca la soluzione, anche perché non ha il potere. Non è, infatti, un industriale né un politico, ma un economista, e può tutt’al più svolgere opera di consigliere dei Governi.


“Non ha senso”,


scrive,


“affermare che la disoccupazione negli Stati Uniti, nel 1932, fosse dovuta al rifiuto ostinato dei lavoratori di accettare una riduzione dei salari monetari oppure alla domanda ostinata di un salario reale superiore a quello che il meccanismo economico fosse in grado di fornire.”


È evidente, continua Keynes, che esiste una disoccupazione involontaria. L’affermazione oggi può sembrare ovvia, ma allora fece scalpore, anche perché chi la faceva non era un comunista, ma un pacato studioso britannico. Pacato ma deciso, al punto da replicare duramente alle polemiche dei teorici:


“Se la dottrina non è capace di spiegare queste cose reali, tanto peggio per la dottrina.”


Ma chi era veramente Keynes, e in che cosa consistevano le sue teorie economiche che stravolgevano tutti i fondamenti delle dottrine e degli interessi imperanti nel mondo economico?

Si può dire che nel capitalismo classico concorrenziale si assisteva a un’autoregolazione del ciclo, sia pure parziale e fratturata dalle crisi ricorrenti. La grande crisi del 1929 offriva, invece, per la prima volta alle proposte keynesiane la possibilità di incidere nella realtà, favorendo una nuova dimensione sociale caratterizzata dalla fine dell’economia liberista classica e dall’insorgere del fattore politico come mediazione, guida, controllo del ciclo economico. Il pieno impiego keynesiano attraverso l’uso massiccio dell’investimento statale e dell’assistenza pubblica scongiurò disastri come quello del 1929.

John Maynard Keynes era nato il 5 giugno 1883 a Cambridge e a Cambridge e a Eton era stato educato, vale a dire nelle scuole più qualificate, per tradizione, a produrre civil servants, vale a dire funzionari dello Stato di alto livello. I frutti di quel severo apprendistato, di quegli studi approfonditi e appassionati non si fecero attendere. Ma va precisato che il giovane Keynes mise molto di suo, in quel fervore di studi e ricerche, perché neppure il sistema educativo britannico era perfetto, anzi. A ventitre anni, nel 1906, si laurea in matematica al King’s College di Cambridge, dopo aver studiato economia con Alfred Marshall, ed entra nella pubblica amministrazione. Lo ritroviamo così nel civil service dell’India, allora parte dell’impero inglese. A questo punto Keynes avrebbe potuto fare la carriera diplomatica di molti giovani ambiziosi, diventare uno snob affettato, pieno di frasi fatte, di arroganza nei confronti degli indigeni e di servilismo nei rapporti con i superiori di pelle bianca. Dopo l’esperienza all’India Office, invece, torna al King’s College come docente di economia politica: nel 1912, è nominato direttore dell’Economic Journal e nel 1913-14 fa parte della Commissione reale delle finanze indiane. Nel 1913, pubblica la sua prima opera di rilievo, Indian Currency and Finance, dedicata ai problemi finanziari dell’India.

In un lavoro del genere, di solito un funzionario inglese viene a conoscere da vicino il lato più nascosto del governo imperiale, il meccanismo sul quale si regge lo sfruttamento delle colonie da parte delle metropoli europee. Naturalmente questo meccanismo, vissuto dagli alti funzionari nei club più eleganti ed esclusivi, nasconde i lati più sordidi del Governo imperiale, le abitazioni malsane degli indigeni, le bestiali condizioni di lavoro, le fetide gabbie che servono come prigioni, i metodi repressivi che vanno dalle bastonate sulle natiche con canne di bambù all’impiccagione. Tutto questo sistema repressivo infonde in chi non è un semplice snob un insopportabile senso di colpa. Ma Keynes è ancora molto giovane, è stato educato in un certo modo a Eton e a Cambridge (nel modo, vale a dire, confacente agli interessi della classe, anzi del gruppo dirigente inglese) e deve risolvere i suoi problemi nell’assoluto silenzio, il silenzio che viene imposto a ogni cittadino britannico che serva in Oriente. Keynes non entra in gruppi politici, non sa ancora che l’impero è moribondo, ed è, anzi, propenso a considerarlo di gran lunga migliore dei giovani imperi o governi locali che stanno per soppiantarlo.

Non ci è dato di sapere quali fossero i più intimi sentimenti di John Maynard quando, conclusa l’esperienza indiana, fa le valigie e torna in Inghilterra. Certo non è stato con gli occhi chiusi, ha visto tante cose, ha osservato anche ciò che a molti suoi connazionali più superficiali può far comodo far finta di non vedere. E, forse, adesso inizia a maturare in lui quel modo anticonformista di considerare i problemi dell’economia, della società, dei popoli.

Una visione diversa da quella ortodossa, ma non in modo violentemente rivoluzionario. Anche la maturazione di Keynes fa pensare a qualcosa di graduale, a un accorto controllo “dall’interno” del meccanismo economico, non alla sua repentina distruzione.

Nel 1915, lo vediamo, infatti, rientrare, sia pure temporaneamente, nell’amministrazione statale. Nel 1919, all’indomani della fine della Prima Guerra Mondiale, partecipa alla Conferenza della Pace in qualità di rappresentante del Tesoro inglese. Ed è a questo punto che questo non-rivoluzionario questo (apparentemente) grigio funzionario di Sua Maestà Britannica inizia a rivelare quali carattere e intelligenza si nascondano sotto l’abito di flanella grigio-scura, dietro la pettinatura accuratamente schiacciata e divisa da una scriminatura impeccabile che sovrasta un viso magro e glabro. A Parigi i membri delle varie delegazioni devono affrontare i problemi della Pace nello spirito dei 14 Punti del Presidente americano Wilson, che si propone di eliminare dall’Europa le occasioni di guerra. Ma, poiché ben presto prevale la rapacità e l’ottusità dei circoli più oltranzisti francesi e inglesi, si delinea la tendenza non alla pace ma alla vendetta e alla rappresaglia sulla Germania vinta. Keynes si rende conto che a Parigi non si stanno gettando le fondamenta di quella pace sognata da tutti i popoli, di una pace stabile, giusta, ma di un nuovo squilibrio e, quindi, di una nuova guerra mondiale.

Persona seria e lungimirante, Keynes si lascia allora andare a un gesto clamoroso ma meditato e si dimette dal mandato per manifestare il suo dissenso dalla politica del Governo inglese che cerca di imporre alla Germania sconfitta le riparazioni di guerra più pesanti. Come spiega subito dopo in Le conseguenze economiche della pace (in Italia accolto favorevolmente dalla rivista dei socialisti massimalisti), ritiene che riparazioni troppo pesanti abbiano un effetto negativo sull’equilibrio della produzione nei paesi beneficiari. Lloyd George, Primo Ministro inglese, se ne risentirà, ma i fatti daranno ragione a Keynes, che viene dirottato come rappresentante del Cancelliere dello Scacchiere al Supreme Economic Council. Anche qui non manca di dare prova del suo carattere, ridicolizzando il Cancelliere dello Scacchiere in persona, Winston Churchill. Churchill aveva deciso di rivalutare la sterlina e Keynes gli aveva pubblicamente dimostrato, suffragato dai fatti, che la decisione avrebbe avuto conseguenze negative.
John Maynard Keynes inizia così a delineare la sua personale linea economica: misure nuove, socialmente ed economicamente audaci, contro il miope interesse immediato dei gruppi dominanti.

Ma perché questi stessi gruppi di potere tollerano che un modesto funzionario li ridicolizzi pubblicamente e, anzi lo richiamano non appena si profila qualche situazione gravida di incognite?

Semplice: Keynes può agire da indipendente perché è un competente, un tecnico.

Questa competenza gli deriva dall’essersi trovato al centro dell’azione nei momenti decisivi, mentre il pensiero economico di quei tempi si fondava su un preteso disprezzo dei fatti, su una (falsa) impassibilità scientifica. La tesi della neutralità della scienza viene fieramente rivendicata, proprio in quegli anni, da un altro famoso economista inglese, Lionel Robbins. Al contrario, Keynes è sensibile alla storia, alla psicologia, al condizionamento che le circostanze pratiche esercitano sul pensiero puro. Così, nel 1922, continuando la polemica contro le riparazioni di guerra, pubblica Revisione del Trattato; e del 1925 è l’opera Le conseguenze economiche di Mister Churchill, del 1926 La fine del “Laissez-faire”, del liberalismo economico su cui si fondava fino allora l’economia del capitalismo. A questi temi dedica la sua opera fondamentale, La teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta (1936), che per la sua importanza è stata paragonata al Capitale di Karl Marx, un capovolgimento nelle dottrine economiche pari alla rivoluzione copernicana nell’astronomia.

Ispirandosi alle proposte di Keynes operano sia Roosevelt negli anni Trenta sia il Governo inglese durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando Churchill lo chiama come esperto monetario e consulente dell’economia di guerra e quando la commissione presieduta da Lord Beveridge pubblica il programma dal titolo L’impiego integrale del lavoro in una società libera, il manifesto della politica economica e sociale per il dopoguerra.

Grazie anche a Keynes, Roosevelt salvò l’America dalla catastrofe del 1929 e gli inglesi poterono ricostruire la loro società duramente provata dalla guerra senza scaricare tutti i costi sulle classi più deboli. Il successo laburista del dopoguerra è stato una prima conferma “dei fatti” alle teorie del tranquillo “rivoluzionario” dell’economia John Maynard Keynes.




Daniela
Zini

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