“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

venerdì 26 maggio 2017

Anonymous The TAKEDOWN of George Soros HAS BEGUN

Anonymous Sends a Message George Soros

Must see!!! -PIZZAGATE- IT is what we think it is

MUST SEE!!! Pizzagate - The Secret Life of a ***** - Peter Righton P/Autfix

Must see!!! THE CIA, PIZZAGATE, WIKILEAKS

WIKILEAKS 14 JUST RELEASED: George Soros Phone Numbers, Media Collusion ...

George SOROS: The One-Man Illuminati Machine

George Soros, Illuminati Behind BLM

martedì 23 maggio 2017

Milano: blitz dei Carabinieri contro il traffico di cocaina. 21 arresti

MEMENTO MEMORIAE Francesca Morvillo ed Emanuela Loi Mafia e Antimafia, un affare di donne? di Daniela Zini

 MEMENTO

MEMORIAE

alle Donne dell’Antimafia Francesca Morvillo ed Emanuela Loi, uccise per mano della Mafia, 25 anni fa, rispettivamente, il 23 maggio 1992 e il 19 luglio 1992.

Mafia e Antimafia, un affare di donne?
 Francesca Morvillo [14 dicembre 1945 - 23 maggio 1992]


Emanuela Loi [9 ottobre 1967 - 19 luglio 1992]

“Quando il giardino della memoria inizia a inaridire, si curano le ultime piante e le ultime rose con una dedizione anche maggiore. Per impedire che avvizziscano, io le bagno e le accarezzo dalla mattina alla sera: io ricordo, io cerco di ricordare per non dimenticare.”
Orhan Pamuk, Il libro nero


In Democrazia bisogna rinunciare alla Verità pur di garantire la Pace Civile?
La tesi dello Scrittore è che la Verità sia indispensabile in Politica, poiché, senza la Verità, la Democrazia perderebbe il suo volto umano e la sua base partecipativa.
Non vi è forza più grande che dire la Verità.
Ma che cos’è la Verità?
Negli ultimi anni, la Democrazia come forma politica e sociale, ma, anche, come forma di Vita, è venuta a trovarsi chiusa tra un economicismo neoliberista e un nuovo fondamentalismo culturale: da un lato, ha dovuto fronteggiare attacchi di fanatici motivati su base religiosa, o che si spacciano per tali, e dall’altro, ha dovuto misurarsi con modelli economici che la considerano un presunto ostacolo sulla strada di una economia mondiale dominata dai colossi di Internet, dove tutti sono produttori e consumatori di beni e servizi scambiati a livello globale.
Vi sono, dunque, soprattutto, ragioni politiche per dedicarsi al ruolo della Verità nella Democrazia.
Ma, poiché non esiste un metodo sicuro per separare le convinzioni vere da quelle false, che rimangono, pertanto, sempre rivedibili, che cosa ci rimane, allora?
Altro non resta, nella forma di Vita eminentemente umana [Lebenswelt], se non affidarsi alla pratica quotidiana del dare e prendere ragioni – empiriche e normative – che sono, certamente, permeate dalla razionalità scientifica, ma, non sempre, con essa coincidenti.
Dire la Verità può essere scomodo, a volte, ma è l’unico modo per cambiare il Mondo.
A distanza di 25 anni, le Stragi di Capaci e di via D’Amelio sono un “Mistero Italiano”, rimasto senza spiegazioni:
NESSUNA VERITA’!
Una mancanza di trasparenza che mina la fiducia nello Stato.
Io credo che uno Scrittore abbia l’Imperativo Morale di dire e di dirsi la Verità.
E credo, anche, che, per uno Scrittore, l’Onestà Intellettuale sia il tesoro più inestimabile.
Fa scattare la scintilla...
Fa pensare:
“Io debbo fare qualcosa!”
E, dentro di me, è scattata quella scintilla, che mi fa pensare:
IO DEBBO FARE QUALCOSA!
Io non sono un Giudice, sono solo uno Scrittore: la mia ricerca della Verità, che non esclude un giudizio, per mia fortuna, non contempla una sentenza.
Penso che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino abbiano incontrato le più forti ostilità nel loro ambiente. Non a caso, il Palazzo di Giustizia di Palermo era stato battezzato il “Palazzo dei veleni”.
Due delitti, intorno ai quali aleggia un mistero profondo sui veri mandanti, vale a dire coloro che si nascondono dietro i mandanti mafiosi, in parte identificati.
Due capri espiatori, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per avere osato istruire il Maxiprocesso, il più spettacolare processo intentato contro la Mafia, iniziato il 10 febbraio 1986 e, definitivamente, conclusosi in Corte di Cassazione, il 30 gennaio 1992, con una sentenza che si può riassumere in due numeri: 19 ergastoli, 2665 anni di carcere.
Si deve avere ben presente che, fino ad allora, in Italia, nessun boss mafioso era stato condannato all’ergastolo e tutti erano convinti, dallo stesso Totò Riina, che ne sarebbero usciti, ancora una volta, grazie al giudice Corrado Carnevale, “l’ammazzasentenze”, conosciuto per “aggiustare” le condan, che aveva scoperto la cosa, aveva introdotto una rotazione dei giudici, escludendo, così, dal Maxiprocesso Carnevale, che, in una conversazione con l’avvocato Giovanni Aricò dell’8 marzo 1994, confessa:
“I motivi per cui me ne sono andato non sono quelli di pressione di quel cretino di Falcone... perché i morti li rispetto, ... ma certi morti no.”[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/01/21/falcone-un-cretino.html]
Leale servitore dello Stato, il 21 giugno 2007, veniva reintegrato – grazie a una legge scritta appositamente per lui! – alla Prima Sezione Civile della Cassazione.
Così va l’Italia!

“Quando c’è un delitto di Mafia, la prima
corona che arriva è quella del mandante.”
Carlo Alberto dalla Chiesa

Nel corso della Storia, le donne hanno, sempre, occupato posizioni di potere; ma queste posizioni di potere erano ottenute, raramente, per merito, più generalmente per sangue!
Qual è il posto delle donne in seno a Cosa Nostra?
Rigorosamente cattolica, la Mafia vota un culto alla castità e alla modestia femminile.
Il ruolo delle donne è fondamentale!
Sono, infatti, le madri – poiché i padri sono, sovente, latitanti o detenuti – a trasmettere ai figli il senso della famiglia e il codice d’onore.
Le donne sono, dunque, a giusto titolo, la cinghia di trasmissione dei valori della Mafia.
Vittime o complici, sono loro, le mogli, le figlie e le sorelle degli uomini d’onore, che perpetuano o infrangono l’omertà.
La rottura con Cosa Nostra passa, dunque, per il ventre femminile.

Il 23 maggio 1992, alle ore 17.58, sull’autostrada A29 Palermo-Trapani, nei pressi dello svincolo di Capaci, una carica di 500 chilogrammi di tritolo inghiotte, nell’esplosione, 3 Fiat Croma. Perdono la vita i 2 Magistrati, Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo[1], a bordo della Croma Bianca, e i 3 Agenti di scorta, nella Croma Marrone, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo[2]. L’Autista giudiziario di Giovanni Falcone, Giuseppe Costanza [https://www.youtube.com/watch?v=3iWH8mzGtKM], e gli Agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello, nella Croma Azzurra, che seguiva a una dozzina di metri, sopravvivono.
Qualche giorno prima dell’attentato, nel dare sfogo alla sua amarezza, Falcone si era lasciato sfuggire di bocca:
“Mi hanno delegittimato, stavolta i boss mi ammazzano.”[3]
Il 25 maggio, mentre, a Roma, viene eletto presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, a Palermo, nella Chiesa di San Domenico, si svolgono i funerali delle vittime. I più alti rappresentanti del mondo politico, Giovanni Spadolini, Claudio Martelli, Vincenzo Scotti, Giovanni Galloni, vengono, duramente, contestati dalla cittadinanza e le immagini televisive delle parole e del pianto straziante della giovane vedova dell’Agente Schifani, Rosaria, suscitano particolare emozione nella opinione pubblica:
“Io vi perdono, ma voi vi dovete mettere in ginocchio.” [https://www.youtube.com/watch?v=onKkygs9QIg,   https://www.youtube.com/watch?v=rPyBoiDQYKI,
È prostrato, un po’ curvo sulle spalle, l’uomo che, sotto la pioggia scrosciante, si avvia verso la sua auto blindata.
Gli restano solo 55 giorni da vivere…
E lui lo sa!
Da 5 anni, è al fianco di Giovanni Falcone nella lotta contro l’Onorata Società.
Paolo Borsellino è ucciso, 2 mesi dopo la Strage di Capaci, in quella che viene ricordata come la Strage di Via D’Amelio.
Il 19 luglio[4], alle ore 16.58, una Fiat 126 rubata, contenente circa 90 chilogrammi di esplosivo del tipo Semtex-H [miscela di PETN, tritolo e T4], telecomandati a distanza, esplode in via Mariano D’Amelio 21, sotto il palazzo dove vive la madre di Borsellino, presso la quale il giudice, quella domenica, si è recato in visita, con la scorta, dopo avere pranzato con la moglie e i figli. Nell’attentato, oltre a Borsellino, periscono i 5 Agenti di scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
L’unico sopravvissuto, Antonino Vullo, che stava parcheggiando una delle auto della scorta e si trovava più lontano dal punto dello scoppio, così, descrive l’esplosione:
Il giudice e i miei colleghi erano già scesi dalle auto, io ero rimasto alla guida, stavo facendo manovra, stavo parcheggiando l’auto che era alla testa del corteo. Non ho sentito alcun rumore, niente di sospetto, assolutamente nulla. Improvvisamente è stato l’inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto mi ha sbalzato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto.”
Il 24 giugno 1992, Paolo Borsellino, in una intervista per il TG5, rispondendo alle domande di Lamberto Sposini, aveva citato Ninni Cassarà:

Sposini: Dopo la morte di Falcone come è cambiata la vita di Borsellino?
Borsellino: [lungo sospiro] La mia vita è cambiata innanzitutto perché… dalla morte… di questo mio vecchio amico e compagno di lavoro è chiaro che io sono rimasto particolarmente scosso e sono ancora impegnato, ad un mese di distanza, a recuperare e…, vorrei dire, tutte le mie possibilità operative sulle quali il dolore ha inciso in modo enorme. È cambiata anche perché sia per la morte di Falcone, sia per taluni altri fatti, mi riferisco alle dichiarazioni ormai pubbliche di quel collaboratore che ha parlato e ha detto di essere stato incaricato di uccidermi e la notizia è arrivata alla stampa in concomitanza con la notizia della Strage di Capaci. Le mie condizioni…, sono state estremamente appesantite le misure di protezione nei miei confronti e nei confronti dei miei familiari. È chiaro che in questo momento io ho visto comple…, quasi del tutto, anzi, vorrei dire del tutto, pressoché abolita la mia vita privata. Ho temuto nell’immediatezza della morte di Falcone una drastica perdita di entusiasmo nel lavoro che faccio. Fortunatamente, se non dico di averlo ritrovato, ho almeno ritrovato la rabbia per continuarlo a fare.
Sposini: Posso chiederle se lei si sente un sopravvissuto?
Borsellino: Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninni Cassarà allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio del 1985, credo. Mi disse: “Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano”. La… l’espressione di Ninni Cassarà io potrei anche ripeterla ora, ma vorrei poterla ripetere in un modo più ottimistico. Io accetto la… ho sempre accettato il… più che il rischio, la… condizione, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli. Il… la sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, in… in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare e… alla sensazione che o financo, vorrei dire, dalla certezza che tutto questo può costarci caro.” [https://liquida.noblogs.org/post/2006/12/25/borsellino-intervista-a-20-giorni-dalla-sua-uccisione/, https://www.youtube.com/watch?v=NsZeMOY_H9A]

L’intera penisola è in stato di choc.
Chi ha guidato la mano assassina di Cosa Nostra?
Vi sono uomini dello Stato tra i mandanti dell’assassinio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?
In verità, tutti coloro che si sono interessati a quegli anni sanguinosi [1991-1994] di opposizione frontale tra la Mafia e lo Stato, tutti hanno sospettato che vi dovessero essere appoggi ai livelli istituzionali più alti per permettere questi attentati.
Il 22 luglio, 11 Donne si riuniscono in Piazza Castelnuovo, sono le “Donne del digiuno contro la Mafia”.
Non vogliono più attendere, passivamente, la prossima vittima.
Vogliono gridare la loro fame di giustizia.
Indicono uno sciopero della fame ed esigono le dimissioni dei rappresentanti dello Stato, uno Stato incapace di difendere i suoi Uomini migliori. Alcuni giorni prima dell’attentato, Paolo Borsellino aveva, infatti, chiesto alla Questura di fare rimuovere le auto nella zona intorno alla casa della madre. Ma la sua richiesta era rimasta inascoltata.
Il loro “manifesto” è un volantino affisso nelle strade di Palermo, che  qualcuno ha, già, definito la “nostra Beirut”:
“Iniziamo oggi pomeriggio con un presidio a Piazza Castelnuovo uno sciopero della fame, come cittadine di Palermo al di là delle appartenenze ad associazioni o partiti, che continuerà fino a quando il prefetto Jovine[5], il capo della polizia Parisi[6], il procuratore Giammanco[7], l’alto commissario per la lotta alla mafia Finocchiaro[8], il ministro degli interni Mancino[9], non si dimetteranno.”
L’atto del digiuno costituisce per le 11 Donne, che, nel giro di pochi giorni, divengono circa 200, una affermazione del principio di abolizione del nutrimento “di morte”, imposto dall’incontrastato potere mafioso.
L’atto di coraggio di queste Donne, che intendono denunciare il silenzio e la complicità di coloro che, in seno alle istituzioni, avrebbero potuto e dovuto impedire i massacri, ha, profondamente, segnato la Storia della Sicilia, una terra, dove le donne, tradizionalmente, tacciono e subiscono.
25 anni dopo, queste Donne non hanno, ancora, saziato la loro fame di Giustizia!
Totò Riina, il boss di Cosa Nostra, è stato condannato, nel 2002, quale mandante, tuttavia…
Se Riina è il mandante siciliano di questi omicidi, non si è, mai, trovato il mandante italiano, politico, quello che, con Cosa Nostra, ha pianificato gli attentati di Palermo, nel 1992, e quelli sul continente, nel 1993.
Ci hanno, sempre, detto che gli autori fossero i mafiosi catturati e condannati e solo loro…
Ma, a poco a poco, è affiorata una nuova verità: la Mafia di Riina sarebbe stata il braccio armato di un altro potere, strumentalizzata per fare il lavoro sporco.
Dopo la morte di Falcone e Borsellino, questa “Mafia militare” è stata annientata da una repressione senza precedenti da parte dello Stato italiano.
Oggi, sempre più elementi fanno pensare a un complotto di Stato.
In particolare, il ricorrere sui luoghi delle stragi di “presenze estranee” a Cosa Nostra, agenti dei servizi segreti italiani.
Nel 2009, dal Carcere di Opera, il capo di Cosa Nostra parla, per la prima volta, dopo diciassette anni di silenzio…
E, sulla morte di Paolo Borsellino, riferendosi agli uomini dello Stato, avverte:
“Non guardate sempre e solo me, guardatevi dentro anche voi.”,
soggiungendo:
“L’ammazzarono loro.”
Sì, anche lui aveva realizzato di essere stato usato!
Riina ha 86 anni ed è malato.
Si spera che parli prima di morire…
“Come tutti i fenomeni umani”[10], anche la Mafia ha avuto la sua evoluzione.
La Mafia si adegua, scopre nuove attività, tende alla ricerca del lucro, dei grossi guadagni: prima, era possibile la compravendita dell’acqua per i giardini, le piantagioni di aranci e di limoni, il furto di bestiame, le macellerie clandestine, gli intrallazzi sui cimiteri, il racket dei mercati generali, le speculazioni edilizie, il clientelismo, l’influenza sulle banche e sul credito; poi, è arrivata la droga e si è avviato un proficuo traffico tra Palermo, New York e il resto del mondo.
Si conoscono gli usi delle cosche di una volta: per imporre le proprie richieste, si tagliavano i vigneti, le piantagioni, si uccidevano capre e vitelli, saltavano case, impianti, stalle. In campagna, provvedevano il campiere, il gabellotto e il massaro a imporre i balzelli per garantire le prepotenze dei signori feudali o dei baroni, padroni del latifondo; poi, gli affari, con il progresso, sono passati in città: il chiasso, la spazzatura, gli stracci appesi come festoni della miseria, le donne vestite di nero, le grasse spose bambine dagli occhi lucidi e, su tutto, il caldo dell’Africa e, alle spalle, 600 anni di dolore.
La vecchia Mafia, aveva, diciamo così, un ideale: la lotta allo Stato sopraffattore, la difesa del più debole.
Perfino, dei limiti morali!
Non si uccidevano i Carabinieri, i Magistrati, i Giornalisti.
Non si uccidevano i Parenti degli avversari, anche se si consideravano abietti: per colpire un nemico la Mafia aspettava, anche venti anni, se questi usciva di casa con il figlio accanto.
Il grande pentito Antonino Calderone ha raccontato della strage di 4 bambini!
Contro quella Mafia si battevano i giovani sindacalisti, quali Placido Rizzotto. Volevano la terra per i contadini, l’acqua, le dighe. Guidavano schiere di braccianti a occupare i feudi lasciati incolti dai proprietari. Sfidavano campieri e gabelloti mafiosi, che spadroneggiavano nelle campagne e controllavano tutto, dai pozzi dell’acqua alle assunzioni dei braccianti.
Tra il giugno del 1945 e il marzo del 1966, sono state uccise 46 persone tra sindacalisti, capilega, dirigenti delle lotte contadine.
Terrorismo agrario, lo hanno definito gli storici!
Una campagna sistematica di annientamento…
Nella Sicilia, povera e convulsa del Dopoguerra, sindacalisti e capilega sono stati la prima vera Antimafia, anche se non sapevano di esserlo.
Perché la Mafia esisteva da un secolo, l’Antimafia NO!
Ha scritto lo storico Francesco Renda:
“La Mafia ha ricevuto il nome nel 1862. L’Antimafia ha goduto di questa prerogativa nella seconda metà degli anni Ottanta, con oltre 120 anni di ritardo. Dice il filosofo: nomina sunt consequentia rerum, i nomi sono la conseguenza delle cose, e quel ritardo esige una riflessione.”   
E pensare che, oggi, qualcuno vorrebbe affossarla per evitare sprechi e tagliare ciò che non serve!
Più vicina alla finanza, al potere, la Mafia, più potente di prima, è passata a una criminalità in colletto bianco, di gestione, nella quale le donne si integrano più facilmente. E, così, da qualche anno, le donne sono più numerose in carcere: attualmente, sono più di 200.
Nondimeno, Cosa Nostra è in grande difficoltà, i suoi capi principali sono in carcere e sono stati soppiantati dai loro omologhi calabresi e napoletani.
Nel 1991, qualche mese prima della sua morte, Falcone aveva accordato una intervista alla giornalista francese Marcelle Padovani, confluita nel libro Cose di Cosa Nostra [https://it.scribd.com/document/343472994/Scaricare-Libro-Cose-Di-Cosa-Nostra-Di-Giovanni-Falcone-Marcelle-Padovani-PDF], che si chiude con questa frase premonitrice del giudice:
In Sicilia, la Mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.”

Accanto a una Storia della Mafia esiste una Storia dell’Antimafia che è, ancora, in larga parte, da scrivere, perché è stata, a lungo, sottovalutata da storici e sociologi, dall’opinione pubblica e, perfino, da quei partiti e da quei movimenti politici e sindacali che con il loro contributo umano e ideale ne hanno dettato momenti importanti.
Eppure la rilettura delle battaglie dell’Antimafia offre uno spaccato che, nell’incerto panorama delle vicende italiane, si rivela confortante: è una Storia che vede protagonisti, fianco a fianco, Braccianti e Operai senza nome e Magistrati divenuti, loro malgrado, famosi; Studenti e Rappresentanti delle Forze dell’Ordine;  e Giornalisti coraggiosi, Leaders politici e Uomini di religione; e, soprattutto, un numero crescente di Cittadini comuni, in Sicilia e altrove, animati dall’insofferenza verso l’illegalità e la tracotanza delle organizzazioni criminali.
È una storia fatta di infuocati atti di accusa e freddi progetti di legge; di analisi di documenti giudiziari, azioni di polizia e manifestazioni di piazza; di impavidi atti di denuncia e quotidiane dimostrazioni di senso civico.
Ma la Storia dell’Anitimafia impone, anche, amare riflessioni: quanto tempo perso, quante vite sacrificate, quante affermazioni di buona volontà rimaste sulla carta, quale miniera di informazioni trascurata in questa battaglia contro Cosa Nostra e le altre forme di criminalità organizzata italiana!
È una Storia che si scrive, ancora oggi, più facilmente attraverso le sconfitte e i cui protagonisti vengono riconosciuti e apprezzati solo quando la loro azione è interrotta dai mitra e dalle bombe o, peggio ancora, resa inoffensiva dalle diffamazioni e dai giochi di potere.
È una lotta da tempo proclamata; ma finora combattuta, in modo discontinuo e in ordine sparso, sia pure con coraggio e rigore morale, da frammenti della società civile e dello Stato.   
Dopo la Strage di Capaci, il governo emanò un decreto “antimafia” per contrastare in maniera più efficace la criminalità mafiosa.
Le disposizioni del decreto, che vengono, ulteriormente, inasprite, in seguito alla Strage di Via D’Amelio, sono convertite in legge il 7 agosto.
Le principali innovazioni del testo definitivo conferiscono maggiori poteri alle Forze dell’Ordine – e, soprattutto, alla DIA – in termini di intercettazioni ambientali, perquisizioni, interrogatori e indagini “sotto copertura”; prevedono riti diversi per i processi di Mafia e, in particolare, riconoscono valore di prova alle dichiarazioni acquisite durante le indagini preliminari, anche in caso di ritrattazione in sede di dibattimento; migliorano il pacchetto di misure per la protezione dei pentiti; creano il nuovo reato di “scambio elettorale politico-mafioso” e di “false dichiarazioni all’autorità giudiziaria”, sanzionano il trasferimento “fraudolento” di beni a prestanome e inseriscono, tra gli scopi dell’associazione mafiosa, l’impedimento al libero esercizio del voto.
Difficile comprendere quella che chiamiamo, impropriamente, l’Onorata Società.
Come direbbe il capitano Bellodi[11], l’ufficiale dei carabinieri protagonista del romanzo di Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta: 
“Mi ci romperò la testa.”
E, così è!


SOCIETA’ SEGRETE di Daniela Zini
II. LA MAFIA 1. LA MAFIA AL CUORE DELLO STATO

SOCIETA’ SEGRETE di Daniela Zini
II. LA MAFIA 2. LA ONORATA SOCIETA’

SOCIETA’ SEGRETE di Daniela Zini
II. LA MAFIA 3. LA QUADRUPLICE INTESA
Stato-Mafia-Vaticano Massoneria - Parte Prima -

SOCIETA’ SEGRETE di Daniela Zini
II. LA MAFIA 3. LA QUADRUPLICE INTESA
Stato-Mafia-Vaticano Massoneria - Parte Seconda -

SOCIETA’ SEGRETE di Daniela Zini
II. LA MAFIA 3. LA QUADRUPLICE INTESA
Stato-Mafia-Vaticano Massoneria - Parte Terza -
Roma Caput Immondum
A. La Banca Romana

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II. LA MAFIA 3. LA QUADRUPLICE INTESA
Stato-Mafia-Vaticano Massoneria - Parte Terza -
Roma Caput Immondum
B. Il banchiere di Dio

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II. LA MAFIA 7. OPERATION HUSKY

MEMENTO MEMORIAE ANTONINO CAPONNETTO IO NON TACERO’!
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OMAGGIO A GIOVANNI FALCONE di Daniela Zini

MEMENTO MEMORIAE GIOVANNI FALCONE CE L’HA INSEGNATO, LA MAFIA E’ UN REATO! di Daniela Zini

Daniela Zini
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[1] Al processo Capaci bis per l’uccisione del giudice Giovanni Falcone l’ex-presidente della Prima Sezione Penale della Cassazione, Corrado Carnevale compare come teste davanti alla Corte di Assise di Caltanissetta.
“Non ho mai parlato di Falcone, non avevo motivo per farlo.”
sostiene, nonostante esista l’intercettazione di una conversazione dello stesso Carnevale con l’avvocato Giovanni Aricò dell’8 marzo 1994:
“I motivi per cui me ne sono andato non sono quelli di pressione di quel cretino di Falcone... perché i morti li rispetto, ... ma certi morti no.”
E non risparmia neppure la moglie di Falcone, Francesca Morvillo:
“… Io sono convinto che la Mafia abbia voluto uccidere anche la moglie di Falcone che stava alla Prima Sezione Penale della Corte d’Appello di Palermo per farle fare i processi che gli interessavano per fregare qualche mafioso.” [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/01/21/falcone-un-cretino.html]
 
[2] La strage di Capaci, festeggiata dai mafiosi nel Carcere dell’Ucciardone, provocò una reazione di sdegno nell’opinione pubblica. Secondo le testimonianze dei collaboratori di giustizia, l’attentato di Capaci fu eseguito per danneggiare il senatore Giulio Andreotti. La strage, infatti, avvenne nei giorni in cui il Parlamento era riunito in seduta comune per l’elezione del presidente della Repubblica e Andreotti era considerato uno dei candidati più accreditati per la carica, ma l’attentato orientò la scelta dei parlamentari verso Oscar Luigi Scalfaro, che venne eletto il 25 maggio, ovvero due giorni dopo la Strage di Capaci.
Nel 2013, la Procura di Caltanissetta ha archiviato, definitivamente, l’inchiesta sui “mandanti occulti”:
“Da questa indagine non emerge la partecipazione alla strage di Capaci di soggetti esterni a Cosa nostra. La mafia non prende ordini e dall’inchiesta non vengono fuori mandanti esterni. Possono esserci soggetti che hanno stretto alleanze con Cosa nostra ed alcune presenze inquietanti sono emerse nell’inchiesta sull’eccidio di Via D’Amelio: ma in questa indagine non posso parlare di mandanti esterni.” [Sergio Lari, procuratore di Caltanissetta, in un’intervista al Giornale di Sicilia, aprile 2013]

[4] 2 mesi prima dell’attentato, il pomeriggio del 19 maggio 1992, nel corso dell’XI scrutinio delle elezioni del presidente della Repubblica, Gianfranco Fini [MSI] aveva dato indicazione ai suoi parlamentari di votare per Paolo Borsellino, che ottenne in quello scrutinio 47 preferenze, al sedicesimo scrutinio fu eletto Oscar Luigi Scalfaro.

[5] Mario Jovine.

[6] Vincenzo Parisi.

[7] Pietro Giammanco.

[8] Angelo Finocchiaro.

[9] Nicola Mancino.

[11] Quella di Bellodi è una figura senza tempo che si avvicina molto a quegli Eroi in carne e ossa, vittime della Mafia, spesso, lasciati da soli a condurre una lotta impari.