MEMENTO
MEMORIAE
alle Donne dell’Antimafia
Francesca Morvillo ed Emanuela Loi, uccise per mano della Mafia, 25 anni fa, rispettivamente,
il 23 maggio 1992 e il 19 luglio 1992.
Mafia
e Antimafia, un affare di donne?
Francesca Morvillo [14 dicembre 1945 - 23 maggio 1992]
Emanuela Loi [9 ottobre 1967 - 19 luglio 1992]
“Quando il
giardino della memoria inizia a inaridire, si curano le ultime piante e le
ultime rose con una dedizione anche maggiore. Per impedire che avvizziscano, io
le bagno e le accarezzo dalla mattina alla sera: io
ricordo, io cerco di ricordare per non dimenticare.”
Orhan
Pamuk, Il libro nero
In
Democrazia bisogna rinunciare alla Verità pur di garantire la Pace Civile?
La
tesi dello Scrittore è che la Verità sia indispensabile in Politica, poiché,
senza la Verità, la Democrazia perderebbe il suo volto umano e la sua base
partecipativa.
Non vi
è forza più grande che dire la Verità.
Ma che
cos’è la Verità?
Negli
ultimi anni, la Democrazia come forma politica e sociale, ma, anche, come forma
di Vita, è venuta a trovarsi chiusa tra un economicismo neoliberista e un nuovo
fondamentalismo culturale: da un lato, ha dovuto fronteggiare attacchi di
fanatici motivati su base religiosa, o che si spacciano per tali, e dall’altro,
ha dovuto misurarsi con modelli economici che la considerano un presunto
ostacolo sulla strada di una economia mondiale dominata dai colossi di
Internet, dove tutti sono produttori e consumatori di beni e servizi scambiati
a livello globale.
Vi
sono, dunque, soprattutto, ragioni politiche per dedicarsi al ruolo della
Verità nella Democrazia.
Ma,
poiché non esiste un metodo sicuro per separare le convinzioni vere da quelle
false, che rimangono, pertanto, sempre rivedibili, che cosa ci rimane, allora?
Altro
non resta, nella forma di Vita eminentemente umana [Lebenswelt], se non affidarsi alla pratica quotidiana del dare e
prendere ragioni – empiriche e normative – che sono, certamente, permeate dalla
razionalità scientifica, ma, non sempre, con essa coincidenti.
Dire
la Verità può essere scomodo, a volte, ma è l’unico modo per cambiare il Mondo.
A
distanza di 25 anni, le Stragi di Capaci e di via D’Amelio sono un “Mistero
Italiano”, rimasto senza spiegazioni:
NESSUNA
VERITA’!
Una
mancanza di trasparenza che mina la fiducia nello Stato.
Io
credo che uno Scrittore abbia l’Imperativo Morale di dire e di dirsi la Verità.
E
credo, anche, che, per uno Scrittore, l’Onestà Intellettuale sia il tesoro più
inestimabile.
Fa
scattare la scintilla...
Fa
pensare:
“Io debbo fare qualcosa!”
E,
dentro di me, è scattata quella scintilla, che mi fa pensare:
IO
DEBBO FARE QUALCOSA!
Io non
sono un Giudice, sono solo uno Scrittore: la mia ricerca della Verità, che non
esclude un giudizio, per mia fortuna, non contempla una sentenza.
Penso
che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino abbiano incontrato le più forti
ostilità nel loro ambiente. Non a caso, il Palazzo di Giustizia di Palermo era
stato battezzato il “Palazzo dei veleni”.
Due delitti,
intorno ai quali aleggia un mistero profondo sui veri mandanti, vale a dire
coloro che si nascondono dietro i mandanti mafiosi, in parte identificati.
Due capri
espiatori, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per avere osato istruire il
Maxiprocesso, il più spettacolare processo intentato contro la Mafia, iniziato il
10 febbraio 1986 e, definitivamente, conclusosi in Corte di Cassazione, il 30
gennaio 1992, con una sentenza che si può riassumere in due numeri: 19 ergastoli, 2665 anni di carcere.
Si deve avere
ben presente che, fino ad allora, in Italia, nessun boss mafioso era stato condannato all’ergastolo e tutti erano
convinti, dallo stesso Totò Riina, che ne sarebbero usciti, ancora una volta,
grazie al giudice Corrado Carnevale, “l’ammazzasentenze”, conosciuto per “aggiustare”
le condan, che aveva scoperto la cosa, aveva introdotto una rotazione dei
giudici, escludendo, così, dal Maxiprocesso Carnevale, che, in una conversazione con l’avvocato
Giovanni Aricò dell’8 marzo 1994, confessa:
Leale servitore
dello Stato, il 21 giugno 2007, veniva reintegrato – grazie a una legge scritta
appositamente per lui! – alla Prima Sezione Civile della Cassazione.
Così va l’Italia!
“Quando c’è
un delitto di Mafia, la prima
corona che
arriva è quella del mandante.”
Carlo Alberto dalla Chiesa
Nel corso della Storia, le donne hanno,
sempre, occupato posizioni di potere; ma queste posizioni di potere erano
ottenute, raramente, per merito, più generalmente per sangue!
Qual è il posto delle donne in seno a Cosa
Nostra?
Rigorosamente cattolica, la Mafia vota un
culto alla castità e alla modestia femminile.
Il ruolo
delle donne è fondamentale!
Sono, infatti, le madri – poiché i padri
sono, sovente, latitanti o detenuti – a trasmettere ai figli il senso della
famiglia e il codice d’onore.
Le donne
sono, dunque, a giusto titolo, la cinghia di trasmissione dei valori della
Mafia.
Vittime o complici, sono loro, le mogli, le figlie e le
sorelle degli uomini d’onore, che perpetuano
o infrangono l’omertà.
La
rottura con Cosa Nostra passa, dunque, per il ventre femminile.
Il 23
maggio 1992, alle ore 17.58, sull’autostrada
A29 Palermo-Trapani, nei pressi dello svincolo di Capaci, una carica
di 500 chilogrammi
di tritolo inghiotte, nell’esplosione, 3 Fiat
Croma. Perdono la vita i 2 Magistrati, Giovanni Falcone e sua moglie
Francesca Morvillo,
a bordo della Croma Bianca, e i 3
Agenti di scorta, nella Croma Marrone,
Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. L’Autista giudiziario di Giovanni
Falcone, Giuseppe Costanza [https://www.youtube.com/watch?v=3iWH8mzGtKM],
e gli Agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo,
Gaspare Cervello, nella Croma Azzurra,
che seguiva a una dozzina di metri, sopravvivono.
Qualche
giorno prima dell’attentato, nel dare sfogo alla sua amarezza, Falcone si era
lasciato sfuggire di bocca:
“Mi
hanno delegittimato, stavolta i boss mi ammazzano.”
Il 25
maggio, mentre, a Roma, viene eletto presidente della Repubblica Oscar Luigi
Scalfaro, a Palermo, nella Chiesa di San Domenico, si svolgono i funerali delle
vittime. I più alti rappresentanti del mondo politico, Giovanni Spadolini,
Claudio Martelli, Vincenzo Scotti, Giovanni Galloni, vengono, duramente,
contestati dalla cittadinanza e le immagini televisive delle parole e del
pianto straziante della giovane vedova dell’Agente Schifani, Rosaria, suscitano
particolare emozione nella opinione pubblica:
È prostrato, un po’ curvo
sulle spalle, l’uomo che, sotto la pioggia scrosciante, si avvia verso la sua auto
blindata.
Gli restano solo 55
giorni da vivere…
E lui lo sa!
Da 5 anni, è al fianco
di Giovanni Falcone nella lotta contro l’Onorata Società.
Paolo Borsellino è ucciso, 2 mesi dopo la
Strage di Capaci, in quella che viene ricordata come la Strage di Via D’Amelio.
Il 19 luglio,
alle ore 16.58, una Fiat 126 rubata,
contenente circa 90
chilogrammi di esplosivo del tipo Semtex-H [miscela di
PETN, tritolo e T4], telecomandati a distanza, esplode in via Mariano D’Amelio
21, sotto il palazzo dove vive la madre di Borsellino, presso la quale il
giudice, quella domenica, si è recato in visita, con la scorta, dopo avere
pranzato con la moglie e i figli. Nell’attentato, oltre a Borsellino, periscono
i 5 Agenti di scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter
Eddie Cosina e Claudio Traina.
L’unico sopravvissuto, Antonino Vullo, che
stava parcheggiando una delle auto della scorta e si trovava più lontano dal
punto dello scoppio, così, descrive l’esplosione:
“Il giudice e i miei colleghi erano già scesi
dalle auto, io ero rimasto alla guida, stavo facendo manovra, stavo
parcheggiando l’auto che era alla testa del corteo. Non ho sentito alcun
rumore, niente di sospetto, assolutamente nulla. Improvvisamente è stato l’inferno.
Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto
mi ha sbalzato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina.
Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto.”
Il 24 giugno
1992, Paolo Borsellino, in una intervista per il TG5, rispondendo alle domande di Lamberto Sposini, aveva citato Ninni
Cassarà:
Sposini: Dopo la morte di Falcone come è
cambiata la vita di Borsellino?
Borsellino:
[lungo sospiro] La mia vita è cambiata innanzitutto perché… dalla morte… di
questo mio vecchio amico e compagno di lavoro è chiaro che io sono rimasto
particolarmente scosso e sono ancora impegnato, ad un mese di distanza, a
recuperare e…, vorrei dire, tutte le mie possibilità operative sulle quali il
dolore ha inciso in modo enorme. È cambiata anche perché sia per la morte di
Falcone, sia per taluni altri fatti, mi riferisco alle dichiarazioni ormai
pubbliche di quel collaboratore che ha parlato e ha detto di essere stato
incaricato di uccidermi e la notizia è arrivata alla stampa in concomitanza con
la notizia della Strage di Capaci. Le mie condizioni…, sono state estremamente
appesantite le misure di protezione nei miei confronti e nei confronti dei miei
familiari. È chiaro che in questo momento io ho visto comple…, quasi del tutto,
anzi, vorrei dire del tutto, pressoché abolita la mia vita privata. Ho temuto
nell’immediatezza della morte di Falcone una drastica perdita di entusiasmo nel
lavoro che faccio. Fortunatamente, se non dico di averlo ritrovato, ho almeno
ritrovato la rabbia per continuarlo a fare.
Sposini: Posso chiederle se lei si sente un
sopravvissuto?
Borsellino:
Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninni Cassarà allorché ci stavamo recando
assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio
del 1985, credo. Mi disse: “Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano”.
La… l’espressione di Ninni Cassarà io potrei anche ripeterla ora, ma vorrei
poterla ripetere in un modo più ottimistico. Io accetto la… ho sempre accettato
il… più che il rischio, la… condizione, quali sono le conseguenze del lavoro
che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio.
Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei
dire che sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli. Il… la
sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto,
in… in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io
credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo
faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so
anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza
lasciarci condizionare e… alla sensazione che o financo, vorrei dire, dalla
certezza che tutto questo può costarci caro.” [https://liquida.noblogs.org/post/2006/12/25/borsellino-intervista-a-20-giorni-dalla-sua-uccisione/, https://www.youtube.com/watch?v=NsZeMOY_H9A]
L’intera penisola è in
stato di choc.
Chi ha guidato la mano
assassina di Cosa Nostra?
Vi
sono uomini dello Stato tra i mandanti dell’assassinio di Giovanni Falcone e
Paolo Borsellino?
In
verità, tutti coloro che si sono interessati a quegli anni sanguinosi
[1991-1994] di opposizione frontale tra la Mafia e lo Stato, tutti hanno
sospettato che vi dovessero essere appoggi ai livelli istituzionali più alti
per permettere questi attentati.
Il 22 luglio, 11 Donne
si riuniscono in Piazza Castelnuovo, sono le “Donne del digiuno contro la Mafia”.
Non vogliono più
attendere, passivamente, la prossima vittima.
Vogliono gridare la
loro fame di giustizia.
Indicono uno sciopero
della fame ed esigono le dimissioni dei rappresentanti dello Stato, uno Stato
incapace di difendere i suoi Uomini migliori. Alcuni giorni prima
dell’attentato, Paolo Borsellino aveva, infatti, chiesto alla Questura di fare
rimuovere le auto nella zona intorno alla casa della madre. Ma la sua richiesta
era rimasta inascoltata.
Il loro “manifesto” è un volantino affisso
nelle strade di Palermo, che qualcuno ha,
già, definito la “nostra Beirut”:
“Iniziamo oggi pomeriggio con un presidio
a Piazza Castelnuovo uno sciopero della fame, come cittadine di Palermo al di
là delle appartenenze ad associazioni o partiti, che continuerà fino a quando
il prefetto Jovine,
il capo della polizia Parisi,
il procuratore Giammanco,
l’alto commissario per la lotta alla mafia Finocchiaro,
il ministro degli interni Mancino,
non si dimetteranno.”
L’atto del digiuno costituisce per le 11 Donne,
che, nel giro di pochi giorni, divengono circa 200, una affermazione del
principio di abolizione del nutrimento “di morte”, imposto dall’incontrastato
potere mafioso.
L’atto di coraggio di
queste Donne, che intendono denunciare il silenzio e la complicità di coloro
che, in seno alle istituzioni, avrebbero potuto e dovuto impedire i massacri,
ha, profondamente, segnato la Storia della Sicilia, una terra, dove le donne,
tradizionalmente, tacciono e subiscono.
25 anni dopo, queste Donne
non hanno, ancora, saziato la loro fame di Giustizia!
Totò Riina, il boss di
Cosa Nostra, è stato condannato, nel 2002, quale mandante, tuttavia…
Se Riina è il mandante
siciliano di questi omicidi, non si è, mai, trovato il mandante italiano,
politico, quello che, con Cosa Nostra, ha pianificato gli attentati di Palermo,
nel 1992, e quelli sul continente, nel 1993.
Ci hanno, sempre, detto
che gli autori fossero i mafiosi catturati e condannati e solo loro…
Ma, a poco a poco, è
affiorata una nuova verità: la Mafia di Riina sarebbe stata il braccio armato
di un altro potere, strumentalizzata per fare il lavoro sporco.
Dopo la morte di
Falcone e Borsellino, questa “Mafia militare” è stata annientata da una
repressione senza precedenti da parte dello Stato italiano.
Oggi, sempre più
elementi fanno pensare a un complotto di Stato.
In particolare, il ricorrere sui luoghi delle
stragi di “presenze estranee” a Cosa Nostra, agenti dei servizi segreti
italiani.
Nel 2009, dal Carcere
di Opera, il capo di Cosa Nostra parla, per la prima volta, dopo diciassette
anni di silenzio…
E, sulla morte di Paolo
Borsellino, riferendosi agli uomini dello Stato, avverte:
“Non guardate sempre e solo me, guardatevi
dentro anche voi.”,
soggiungendo:
“L’ammazzarono loro.”
Sì, anche lui aveva
realizzato di essere stato usato!
Riina ha 86 anni ed è
malato.
Si spera che parli
prima di morire…
“Come tutti i fenomeni umani”, anche la Mafia ha avuto la sua evoluzione.
La Mafia si adegua,
scopre nuove attività, tende alla ricerca del lucro, dei grossi guadagni: prima,
era possibile la compravendita dell’acqua per i giardini, le piantagioni di
aranci e di limoni, il furto di bestiame, le macellerie clandestine, gli
intrallazzi sui cimiteri, il racket
dei mercati generali, le speculazioni edilizie, il clientelismo, l’influenza
sulle banche e sul credito; poi, è arrivata la droga e si è avviato un proficuo
traffico tra Palermo, New York e il resto del mondo.
Si conoscono gli usi
delle cosche di una volta: per imporre le proprie richieste, si tagliavano i
vigneti, le piantagioni, si uccidevano capre e vitelli, saltavano case,
impianti, stalle. In campagna, provvedevano il campiere, il gabellotto e il
massaro a imporre i balzelli per garantire le prepotenze dei signori feudali o
dei baroni, padroni del latifondo; poi, gli affari, con il progresso, sono
passati in città: il chiasso, la spazzatura, gli stracci appesi come festoni
della miseria, le donne vestite di nero, le grasse spose bambine dagli occhi
lucidi e, su tutto, il caldo dell’Africa e, alle spalle, 600 anni di dolore.
La vecchia Mafia, aveva,
diciamo così, un ideale: la lotta allo Stato sopraffattore, la difesa del più
debole.
Perfino, dei limiti
morali!
Non si uccidevano i Carabinieri,
i Magistrati, i Giornalisti.
Non si uccidevano i Parenti
degli avversari, anche se si consideravano abietti: per colpire un nemico la Mafia
aspettava, anche venti anni, se questi usciva di casa con il figlio accanto.
Il grande pentito
Antonino Calderone ha raccontato della strage di 4 bambini!
Contro quella Mafia si
battevano i giovani sindacalisti, quali Placido Rizzotto. Volevano la terra per
i contadini, l’acqua, le dighe. Guidavano schiere di braccianti a occupare i
feudi lasciati incolti dai proprietari. Sfidavano campieri e gabelloti mafiosi, che spadroneggiavano
nelle campagne e controllavano tutto, dai pozzi dell’acqua alle assunzioni dei
braccianti.
Tra il giugno del 1945 e
il marzo del 1966, sono state uccise 46 persone tra sindacalisti, capilega, dirigenti
delle lotte contadine.
Terrorismo agrario, lo hanno
definito gli storici!
Una campagna sistematica
di annientamento…
Nella Sicilia, povera e
convulsa del Dopoguerra, sindacalisti e capilega sono stati la prima vera Antimafia,
anche se non sapevano di esserlo.
Perché la Mafia esisteva
da un secolo, l’Antimafia NO!
Ha scritto lo storico Francesco
Renda:
“La Mafia ha ricevuto il nome nel
1862. L’Antimafia ha goduto di questa prerogativa nella seconda metà degli anni
Ottanta, con oltre 120 anni di ritardo. Dice il filosofo: nomina sunt consequentia
rerum, i nomi sono la conseguenza delle cose, e quel ritardo esige una riflessione.”
E pensare che, oggi, qualcuno vorrebbe affossarla
per evitare sprechi e tagliare ciò che non serve!
Più vicina alla finanza, al potere, la Mafia, più
potente di prima, è passata a una criminalità in colletto bianco, di gestione, nella
quale le donne si integrano più facilmente. E, così, da qualche anno, le donne sono
più numerose in carcere: attualmente, sono più di 200.
Nondimeno, Cosa Nostra è in grande difficoltà,
i suoi capi principali sono in carcere e sono stati soppiantati dai loro
omologhi calabresi e napoletani.
“In
Sicilia, la Mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito
a proteggere.”
Accanto a una Storia
della Mafia esiste una Storia dell’Antimafia che è, ancora, in larga parte, da
scrivere, perché è stata, a lungo, sottovalutata da storici e sociologi, dall’opinione
pubblica e, perfino, da quei partiti e da quei movimenti politici e sindacali
che con il loro contributo umano e ideale ne hanno dettato momenti importanti.
Eppure la rilettura delle battaglie dell’Antimafia
offre uno spaccato che, nell’incerto panorama delle vicende italiane, si rivela
confortante: è una Storia che vede protagonisti, fianco a fianco, Braccianti e Operai
senza nome e Magistrati divenuti, loro malgrado, famosi; Studenti e Rappresentanti
delle Forze dell’Ordine; e Giornalisti
coraggiosi, Leaders politici e Uomini
di religione; e, soprattutto, un numero crescente di Cittadini comuni, in
Sicilia e altrove, animati dall’insofferenza verso l’illegalità e la tracotanza
delle organizzazioni criminali.
È una storia fatta di infuocati atti di accusa e
freddi progetti di legge; di analisi di documenti giudiziari, azioni di polizia
e manifestazioni di piazza; di impavidi atti di denuncia e quotidiane
dimostrazioni di senso civico.
Ma la Storia dell’Anitimafia impone, anche, amare
riflessioni: quanto tempo perso, quante vite sacrificate, quante affermazioni
di buona volontà rimaste sulla carta, quale miniera di informazioni trascurata
in questa battaglia contro Cosa Nostra e le altre forme di criminalità
organizzata italiana!
È una Storia che si scrive, ancora oggi, più
facilmente attraverso le sconfitte e i cui protagonisti vengono riconosciuti e
apprezzati solo quando la loro azione è interrotta dai mitra e dalle bombe o,
peggio ancora, resa inoffensiva dalle diffamazioni e dai giochi di potere.
È una lotta da tempo proclamata; ma finora
combattuta, in modo discontinuo e in ordine sparso, sia pure con coraggio e
rigore morale, da frammenti della società civile e dello Stato.
Dopo la Strage di Capaci, il governo emanò un
decreto “antimafia” per contrastare in maniera più efficace la criminalità
mafiosa.
Le disposizioni del decreto, che vengono,
ulteriormente, inasprite, in seguito alla Strage di Via D’Amelio, sono
convertite in legge il 7 agosto.
Le principali innovazioni del testo definitivo
conferiscono maggiori poteri alle Forze dell’Ordine – e, soprattutto, alla DIA – in termini di intercettazioni
ambientali, perquisizioni, interrogatori e indagini “sotto copertura”;
prevedono riti diversi per i processi di Mafia e, in particolare, riconoscono
valore di prova alle dichiarazioni acquisite durante le indagini preliminari,
anche in caso di ritrattazione in sede di dibattimento; migliorano il pacchetto
di misure per la protezione dei pentiti; creano il nuovo reato di “scambio
elettorale politico-mafioso” e di “false dichiarazioni all’autorità giudiziaria”,
sanzionano il trasferimento “fraudolento” di beni a prestanome e inseriscono,
tra gli scopi dell’associazione mafiosa, l’impedimento al libero esercizio del
voto.
Difficile comprendere quella che chiamiamo,
impropriamente, l’Onorata Società.
Come direbbe il capitano Bellodi,
l’ufficiale dei carabinieri protagonista del romanzo di Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta:
“Mi ci romperò la testa.”
E, così è!
SOCIETA’ SEGRETE di Daniela
Zini
II. LA MAFIA 1. LA MAFIA AL
CUORE DELLO STATO
SOCIETA’ SEGRETE di Daniela
Zini
II. LA MAFIA 2. LA ONORATA
SOCIETA’
SOCIETA’ SEGRETE di Daniela
Zini
II. LA MAFIA 3. LA
QUADRUPLICE INTESA
Stato-Mafia-Vaticano
Massoneria - Parte Prima -
SOCIETA’ SEGRETE di Daniela
Zini
II. LA MAFIA 3. LA
QUADRUPLICE INTESA
Stato-Mafia-Vaticano
Massoneria - Parte Seconda -
SOCIETA’ SEGRETE di Daniela
Zini
II. LA MAFIA 3. LA
QUADRUPLICE INTESA
Stato-Mafia-Vaticano
Massoneria - Parte Terza -
Roma Caput Immondum
A. La Banca Romana
SOCIETA’ SEGRETE di Daniela
Zini
II. LA MAFIA 3. LA QUADRUPLICE
INTESA
Stato-Mafia-Vaticano
Massoneria - Parte Terza -
Roma Caput Immondum
B. Il banchiere di Dio
SOCIETA’ SEGRETE di Daniela
Zini
II. LA MAFIA 4. MAMMA
COMANDA PICCIOTTO VA E FA’
SOCIETA’ SEGRETE di Daniela
Zini
II. LA MAFIA 5. TURIDDU 65
ANNI DOPO
SOCIETA’ SEGRETE di Daniela
Zini
II. LA MAFIA 6. UN MUOITTU
SULU UN BAISTA NI SIEBBONO CHIOSSAI!
SOCIETA’ SEGRETE di Daniela
Zini
II. LA MAFIA 7. OPERATION HUSKY
MEMENTO
MEMORIAE ANTONINO CAPONNETTO IO NON TACERO’!
di
Daniela Zini
OMAGGIO
A GIOVANNI FALCONE di Daniela Zini
MEMENTO
MEMORIAE GIOVANNI FALCONE CE L’HA INSEGNATO, LA MAFIA E’ UN REATO! di Daniela
Zini
Daniela Zini
Copyright © 23 maggio 2017 ADZ
Al processo Capaci bis per l’uccisione
del giudice Giovanni Falcone l’ex-presidente della Prima Sezione Penale della
Cassazione, Corrado Carnevale compare come teste davanti alla Corte di Assise
di Caltanissetta.
“Non
ho mai parlato di Falcone, non avevo motivo per farlo.”
sostiene, nonostante esista l’intercettazione
di una conversazione dello stesso Carnevale con l’avvocato Giovanni Aricò dell’8
marzo 1994:
“I
motivi per cui me ne sono andato non sono quelli di pressione di quel cretino
di Falcone... perché i morti li rispetto, ... ma certi morti no.”
E non risparmia neppure la moglie di
Falcone, Francesca Morvillo:
La strage di Capaci, festeggiata dai
mafiosi nel Carcere dell’Ucciardone, provocò una reazione di sdegno nell’opinione
pubblica. Secondo le testimonianze dei collaboratori di giustizia, l’attentato
di Capaci fu eseguito per danneggiare il senatore Giulio Andreotti. La strage,
infatti, avvenne nei giorni in cui il Parlamento era riunito in seduta comune
per l’elezione del presidente della Repubblica e Andreotti era considerato uno
dei candidati più accreditati per la carica, ma l’attentato orientò la scelta
dei parlamentari verso Oscar Luigi Scalfaro, che venne eletto il 25 maggio,
ovvero due giorni dopo la Strage di Capaci.
Nel 2013, la Procura di Caltanissetta ha
archiviato, definitivamente, l’inchiesta sui “mandanti occulti”:
“Da
questa indagine non emerge la partecipazione alla strage di Capaci di soggetti
esterni a Cosa nostra. La mafia non prende ordini e dall’inchiesta non vengono
fuori mandanti esterni. Possono esserci soggetti che hanno stretto alleanze con
Cosa nostra ed alcune presenze inquietanti sono emerse nell’inchiesta sull’eccidio
di Via D’Amelio: ma in questa indagine non posso parlare di mandanti esterni.”
[Sergio Lari, procuratore di Caltanissetta, in un’intervista al Giornale di
Sicilia, aprile 2013]
2 mesi prima dell’attentato, il
pomeriggio del 19 maggio 1992, nel corso dell’XI scrutinio delle elezioni del
presidente della Repubblica, Gianfranco Fini [MSI] aveva dato indicazione ai
suoi parlamentari di votare per Paolo Borsellino, che ottenne in quello
scrutinio 47 preferenze, al sedicesimo scrutinio fu eletto Oscar Luigi Scalfaro.