“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

mercoledì 27 marzo 2019

IL DIVINO MARCHESE DONATIEN-ALPHONSE-FRANCOIS DE SADE di Daniela Zini


 UOMINI DI STORIA

STORIA DI UOMINI


IL DIVINO MARCHESE
Donatien-Alphonse-François de Sade
[2 giugno 1740 – 2 dicembre 1814]
 il carnefice vittima
 
“La crudeltà, come tutti i vizi, non richiede altro motivo che se stessa: ha bisogno soltanto di una occasione.”
George Eliot





PUBLIO ELIO TRAIANO ADRIANO
UOMINI DI STORIA STORIA DI UOMINI
1950 anni fa nasceva Adriano l’Imperatore della Pax Romana
di Daniela Zini

AKHENATON
UOMINI DI STORIA STORIA DI UOMINI
Amenofi IV l’Apostata
di Daniela Zini

JULIAN PAUL ASSANGE
Se WikiLeaks?...
di Daniela Zini

MIKHAIL VASILYEVIC BEKETOV
Veni, Vidi, Vi[n]ci
I. Giornalista, cronaca di una morte annunciata
di Daniela Zini

ZINE EL-ABIDINE BEN ALI
Ben Ali in fuga dalla Craxi Avenue
di Daniela Zini

PAOLO BORSELLINO
SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
6. MAFIA: “UN MUOITTU SULU ‘UN BAISTA, NI SIEBBONO CHIOSSAI!” a. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino furono sacrificati alla Ragione di Stato?

ANGELO BRUNETTI
114 anni fa nascava Ciceruacchio
di Daniela Zini

ANTONINO CAPONNETTO
Memento Memoriae di Antonino Caponnetto
di Daniela Zini

ANTON PAVLOVIC CECHOV
Sakhalin: l’Inferno dei reclusi a vita
di Daniela Zini

BLAISE CENDRARS
Blaise Cendrars il soldato vagabondo che inventò la Poesia Moderna
di Daniela Zini

CONFUCIO 
Confucio e l’antica cultura
di Daniela Zini

DARIO I IL GRANDE
La gloria di Re Dario tramonta a Maratona
di Daniela Zini

CECCO D’ASCOLI
Cecco d’Ascoli astrologo senza paura
di Daniela Zini

DWIGHT DAVID EISENHOWER
50 anni fa il monito di Eisenhower
di Daniela Zini

GIOVANNI FALCONE
Omaggio a Giovanni Falcone
di Daniela Zini

MEMENTO MEMORIAE
Giovanni Falcone ce l’ha insegnato, la Mafia è un reato!
di Daniela Zini

SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
6. MAFIA: “UN MUOITTU SULU ‘UN BAISTA, NI SIEBBONO CHIOSSAI!” a. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino furono sacrificati alla Ragione di Stato?

MOHANDAS KARAMCHARD GANDHI
La non-violenza sconfiggerà la violenza
di Daniela Zini

La non-violenza sconfiggerà la violenza?

GESU’ DI NAZARET
Gesù e le donne
di Daniela Zini

Gesù e i fanciulli
di Daniela Zini

FLAVIO CLAUDIO GIULIANO
Giuliano il restauratore del Paganesimo
di Daniela Zini

JOHN MAYNARD KEYNES
Keynes, profeta del New Deal
di Daniela Zini

MARTIN LUTHER KING
I have a dream…
di Daniela Zini

THOMAS EDWARD LAWRENCE
125 anni fa nasceva El Aurens Lawrence d’Arabia
di Daniela Zini

MALCOLM
Malcolm X
di Daniela Zini

NELSON ROLIHLAHLA MANDELA
Nelson Mandela una candela nel vento
di Daniela Zini

BRADLEY EDWARD MANNING
Eroi o traditori?
I. Il processo di Bradley Manning minaccia il giornalismo di inchiesta
di Daniela Zini
TOMAS GARRIGUE MASARYK
Dopo 60 anni ancora un enigma la fine di Masaryk
di Daniela Zini

JAFAR PANAHI
Omaggio a Panahi
di Daniela Zini

JORGE RAFAEL VIDELA REDONDO
Argentina I. La Tripla A: un nome che semina morte
di Daniela Zini

LEV NICOLAEVIC TOLSTOJ
UOMINI DI STORIA STORIA DI UOMINI
105 anni fa moriva Lev Nicolaevic Tolstoj






La personalità del marchese Donatien-Alphonse-François de Sade acquista più ampio rilievo via via che il tempo trascorre, ma aumentano, di pari passo, le relative divergenze di giudizio. Per alcuni, è quello che fu definito l’uomo più nefando e dissoluto di tutti i tempi, l’autore di una lunga e triste catena di opere orripilanti e proterve. Per altri, è il “pensatore più lucido dell’epoca moderna” [Gilbert Lely], una “voce inaudita, dalle rivelazioni profonde” [Maurice Heine], di una “mente titanica” [ancora Gilbert Lely]. Nessuno può credersi, in proposito, detentore della verità.
È chiaro, a priori, che sul marchese de Sade pesa la condanna senza appello di coloro che professano una morale confessionale; mentre gli può andare la comprensione o, perfino, l’esaltato consenso dei materialisti a oltranza e degli anarchici del pensiero. Per loro, il marchese de Sade è il Divino Marchese.

 

Ricordiamo le tappe principali della sua vita burrascosa.
Donatien-Alphonse-François de Sade era discendente di Madonna Laura, amata e idealizzata da  Petrarca [http://www.letteratura.rai.it/articoli/il-marchese-de-sade-secondo-antonio-debenedetti/28580/default.aspx]. Era figlio di Marie Elénore de Maillé de Carman, nipote del cardinale Armand-Jean du Plessis de Richelieu, e del conte Jean-Baptiste de Sade, nato come i suoi padri ad Avignone. Donatien-Alphonse-François nacque, invece, a Parigi, nel Palazzo Condé, il 2 giugno 1740. 


Il  Castello di Saumane de Vaucluse dove il marchese Donatien-Alphonse-François de Sade trascorse la sua infanzia.



 









 
 


Della sua prima giovinezza sappiamo soltanto che ebbe come primo precettore uno zio abate e che, a soli quattordici anni, lasciò il Collegio dei Gesuiti per entrare nei cavalleggeri, all’inizio della Guerra dei Sette Anni. 
Giovanissimo capitano, il marchese de Sade si distingue subito per un comportamento precocemente libertino, tanto che il padre, nel 1763, minaccia di diseredarlo se non rinuncia ai facili amori per sposare la figlia di Claude-René Cordier de Launay de Montreuil, un ricco magistrato, Renée-Pélagie de Launay de Montreuil.
Il matrimonio viene celebrato, in quello stesso anno, ma non muta il carattere e la vita del marchese, il quale, sei mesi dopo, conosce, per la prima volta, la prigione di Vincennes in seguito a eccessi non meglio precisati.
Non vi rimane che quindici giorni, ben poca cosa se si pensa che le sue reclusioni, in carcere o in manicomio, dureranno, complessivamente, più di ventisette anni!
La moglie e la suocera – la presidentessa Marie-Madeleine Masson de Plissay – hanno dall’inizio un significato e una importanza singolari nella vita del marchese de Sade. La prima è un esempio luminoso di fedeltà, di pietà e di amore coniugale. Gli storici e i biografi non hanno che parole di ammirazione per questa creatura costantemente tradita, vilipesa, costretta a sacrifici di ogni genere, eppure solidale sino alla fine con il suo impossibile marito. 

Il Castello di Vincennes 
 
La cella in cui il marchese Donatien-Alphonse-François de Sade fu rinchiuso, ininterrottamente, dal 1777 al 1784, nel Castello di Vincennes. 

La suocera è, per contro, l’implacabile persecutrice, colei che non solo non fece mai nulla in favore del genero, ma adoperò la sua energia e la sua influenza per “punirlo” nel modo più autoritario, evitandogli unicamente ciò che avrebbe potuto compromettere il nome e gli interessi della sua famiglia.
Tra de Sade e la suocera si svolse, pertanto, una sorda e accanita lotta, nella quale il marchese fu, sempre, soccombente.

  
Il Castello del marchese Donatien-Alphonse-François de Sade, a Bonnieux, in Francia.

Il Castello del marchese Donatien-Alphonse-François de Sade, a Lacoste, in Francia.

Giova dire – e questa osservazione dovrà iniziare a orientare il lettore nei più segreti abissi della personalità di de Sade – che il marchese appare non solo incapace di evitare le conseguenze e le sanzioni relative al suo comportamento sfrenato e asociale, ma quasi inconscio provocatore dell’altrui collera esasperata. Basti pensare al primo tra i famosi episodi che crearono a de Sade la fama di squartatore di donne e di pericolosissimo erotomane: quello di Rose Keller [https://www.youtube.com/watch?time_continue=20&v=jJZMStBm9hI]. La mendicante in questione fu invitata dal marchese de Sade in una sua villa, il giorno di Pasqua del 1768. Venne invitata a spogliarsi e sottoposta a fustigazione. Fuggì calandosi dalla finestra e ne seguì grave scandalo, arresto del marchese ed esilio.
Il succedersi dei prossimi avvenimenti nella vita del marchese de Sade permette di porre ancora più in evidenza questo tratto paradossale della sua già eccezionale e abnorme personalità.
Lo troviamo, infatti, nel 1771, riunito alla moglie nella sua proprietà di Lacoste, in Provenza.
Vi è, anche, la giovane cognata, la canonichessa Anne-Prospère de Launay de Montreuil…
Il libertino la seduce, probabilmente attratto dal “fascino del proibito” – adulterio con una parente e sacrilegio – e dall’idea di prendersi una vendetta contro la suocera tirannica.
Non contento di avere messo nuovamente in allarme il parentado, de Sade provoca a Marsiglia, l’anno dopo, uno scandalo ancora più grave di quello parigino: somministra ad alcune donne da trivio certe pastiglie, per cui viene accusato di avvelenamento e di sodomia. Condannato a morte in contumacia si affretta a riparare a Chambéry, dopo un viaggio in Italia, in compagnia dell’innamoratissima cognata…
Ma la suocera, doppiamente offesa nell’onore materno e familiare, ottiene dal re di Sardegna che il marchese de Sade venga arrestato e imprigionato nel Castello di Miolans.
L’anno dopo, grazie all’intervento di un gruppo di armati arruolati dalla moglie, il marchese evade e ripara a Grenoble.
Da allora, la vita di de Sade è una continua serie di avventure: spostamenti, fughe, incarcerazioni, feste licenziose a Lacoste…
Nel giugno del 1775, lo ritroviamo in Italia, ancora ricercato dalle autorità del suo Paese.
Deve rientrare per mancanza di fondi.
Nuovamente arrestato, rimarrà questa volta ben dodici anni, dal 1777 al 1790, salvo un breve periodo, nel carcere di Vincennes o alla Bastiglia.
Sono anni decisivi, nei quali si manifesta, in tutta la sua mostruosa grandezza, il “genio” di de Sade, giacché in carcere il fatale prigioniero, impossibilitato a tradurre in atto la benché minima parte dei suoi violenti impulsi, li sfoga immaginariamente, ingranditi e potenziati senza limite.
Ed ecco una prima serie di scritti atrocemente famosi: massimo tra i quali, Le 120 giornate di Sodoma, lasciato incompleto e il cui manoscritto fu ritrovato nei primi anni del secolo scorso. Dopo la sua liberazione, avvenuta a breve distanza dallo scoppio della Rivoluzione Francese [2 aprile 1790], seguiranno altre opere non meno celebri: Justine, Juliette, La filosofia nello spogliatoio, per citare soltanto le più universalmente note, e un genere che già allora, pur in un clima incandescente ed eversivo, iniziò a creare a de Sade la fama orrenda che, ancora oggi, ne circonda il nome.

Il Castello del marchese Donatien-Alphonse-François de Sade, che vantava quarantacinque stanze, venne acquistato da Pierre Cardin e trasformato in un teatro. A luglio, ospita il Festival di Lacoste 
 




Le ulteriori vicende della vita del marchese de Sade sono pressoché analoghe alle precedenti. Alternativamente gradito e sgradito ai nuovi reggitori, passa in prigione all’incirca tutto il 1794.
Cambiato il regime e iniziatasi l’era napoleonica, era fatale che il marchese de Sade incorresse nelle ire della nuova amministrazione. 


Pressoché tutti i suoi biografi gli hanno attribuito la paternità di una novella anonima apparsa nel 1800, Zoloé e i suoi accoliti, che contiene strali satirici e violente invettive contro Napoleone Bonaparte, Jean-Lambert Tallien, Paul-François-Jean Nicolas Barras, Jeanne-Marie-Ignace-Thérésa Cabarrus, nota come Madame Tallien, e Jacqueline Visconti. E per molti, è stata questa opera ad attirare sul capo del marchese i fulmini non facilmente placabili di Napoleone. Sia come sia, il marchese de Sade passa gli ultimi anni della sua vita nuovamente recluso: a Sainte-Pélagie, a Bicêtre e, infine, all’asilo dei pazzi di Charenton, come uomo – scrive il prefetto Luois-Nicolas Dubois –“incorreggibile, in uno stato perpetuo di demenza libertina”. Qui scrive altre opere, dà filo da torcere alle autorità di dentro e di fuori, e, infine, deperisce e muore, il 2 dicembre 1814, probabilmente di edema polmonare.
Sepolto nell’oblio per larga parte dell’Ottocento, il caso de Sade è stato riaperto solo dopo qualche decennio e non finisce di interessare.
È a tutti noto che il suo nome ha dato origine al vocabolo sadismo, introdotto in psicopatologia sessuale da Richard von Kraft-Ebing, nel 1869, per definire quel comportamento sessuale in cui si trae piacere dalle violenze e dai tormenti – materiali o morali – inflitti al partner.
Meno noto è che il marchese de Sade, nelle sue opere più importanti, sfoggia uno spirito di osservazione, di deduzione e di classificazione che in certi momenti verrebbe voglia di chiamare scientifico. L’intenzione filosofica è, sempre, presente nei libri del marchese de Sade. È una filosofia, beninteso, atea e materialistica, che non lascia posto ad alcuna sorta di sentimenti e che dichiara l’uomo un semplice portatore di istinti, ossia naturalmente aggressivo e avido di piacere. I personaggi di de Sade, talvolta, tralasciano di attendere ai loro incredibili eccessi e dissertano lungamente, svolgendo questa o quella tesi del sistema filosofico caro al loro creatore.
Il Castello del marchese marchese  Donatien-Alphonse-François de Sade a Lacoste, in Francia.
 








Pierre Cardin


Ma già dai primi studiosi che si occupavano del problema era stato osservato che il sadismo allo stato puro, di fatto, non esiste, neppure dove sfocia in vere e proprie azioni e che in sede psicopatologica tale unilateralità è ancora meno concepibile. Nel comportamento dei sadici si notano, infatti, assai sovente, anche in modo palese, esigenze del tutto opposte a quella di far soffrire, vale a dire desideri di essere offesi, vilipesi, tormentati. Questi ultimi impulsi contraddistinguono la deviazione che fu chiamata sempre da Kraft-Ebing masochismo dal nome di Leopold von Sacher-Masoch che la illustrò in vari libri più o meno autobiografici. In realtà, sadismo e masochismo sembrano essere due facce dello stesso prisma; e, giustamente, pertanto, in psicopatologia, è stato introdotto il termine sado-masochismo per indicare, unitariamente, qualsiasi relazione abnorme tra sessualità e dolore.

  
Il Monumento al marchese Donatien-Alphonse-François de Sade di fronte al Castello di Lacoste.

Sigmund Freud, com’è naturale, si interessò moltissimo ai problemi del sadismo e del masochismo: problemi che non sono, in sé, di natura morale o criminologica, bensì fondamentalmente bio-psicologici. Secondo il pensiero più maturo del grande psicologo, esistono nell’uomo due correnti istintive fondamentali: quelle erotiche e quelle distruttive. Nella vita sessuale normale, la distruttività è, per così dire, assorbita e legata dalle cariche erotiche ed è, pertanto, inoffensiva. Ragioni profonde, riconducibili ai primi periodi dello sviluppo infantile, possono, tuttavia, provocare uno sfasamento, un “disimpasto” degli istinti primari e dare luogo alle deviazioni sadistica o masochistica. Per Freud, che credeva in un primordiale istinto di morte, le spinte sadiche non sono che manifestazioni estroflesse, “centrifughe”, di tale istinto, il quale sottenderebbe un masochismo primario dell’uomo. Sadismo e masochismo appaiono, tuttavia, indissolubili; e, in sede clinica, tutta la più illuminata esperienza psicoanalitica tende a confermare la tesi freudiana: sadismo e masochismo possono essere “mobilitati” a copertura e smentita l’uno dell’altro. È, oramai, largamente accettata in psicoanalisi la tesi secondo cui, negli adulti, il sadismo è una difesa più o meno inconscia contro fantasie e desideri masochistici. In altri termini, potremmo dire che il soggetto, terrorizzato dai suoi stessi impulsi autolesionistici e autodistruttivi, cerca a qualunque costo di smentirli e di dare loro uno sfogo all’esterno. Da qui la sua crudeltà negli avvicinamenti sessuali, le sue “imposizioni”, le sue pratiche di violenza…
Se ora proviamo ad applicare tali vedute psicoanalitiche alla vita e all’opera di de Sade, cogliamo, immediatamente, il Divino Marchese è stato, in pratica e in teoria, qualcosa di molto diverso da un… sadista. Cogliamo, innanzitutto, la lunga serie di punizioni e di disgrazie cui il marchese de Sade è andato incontro, sospinto da una fatalità interiore. Cogliamo che nelle sue sfrenatezze, spesso e volentieri, chiedeva di essere, a sua volta, fustigato e tormentato – non diversamente, d’altronde, da ciò che fanno vari personaggi dei suoi romanzi.





Nelle pagine di Justine o di Juliette ci imbattiamo in individui che predicano il più sfrenato immoralismo, ma anche in riflessioni atte a far intendere che rispetto a tali posizioni e comportamenti, l’autore è, al tempo stesso, affascinato e tremebondo. La continua, furiosa protesta dei personaggi di de Sade contro la divinità, le leggi e la morale, è troppo estremistica perché si possa prenderla alla lettera. Molto più plausibile è che si tratti di quello che, in termini psicoanalitici, si potrebbe chiamare un cospicuo “meccanismo di difesa”, in base al quale de Sade, riconoscendo, nelle profondità del suo inconscio, il dominio di certe istanze, ne attacca disperatamente i rappresentanti esterni – veri o presunti –, esponendosi, così, in ultima analisi, sul piano pratico, alla loro sanzione. Molte, troppe volte il marchese de Sade si è comportato come chi, in fondo, vuole attirare su di sé l’odio, la condanna e il tormento.
Troppe volte de Sade ci si presenta come… un masochista!   
Specie nell’ultima parte della vita – e le sue lettere sono là a indicarlo! –, de Sade alterna atteggiamenti protervi e umili, di sfida e di servilismo di fronte ai potenti, non diversamente – fatte le debite proporzioni – dallo spaventoso duca de Le 120 giornate di Sodoma, capace delle più spaventose violenze, ma con un fondo di abietta vigliaccheria; o dal cinico Dolmancé de La  fifolosofia nello spogliatoio, con le sue bizzarre fantasie di passività.
D’altronde, anche sul piano letterario, non è pensabile che de Sade si facesse illusioni. Anche se filosofi e scienziati e uomini di cultura hanno rivalutato la sua opera come ben degna di studio e per la indiscutibile, infernale grandiosità che la contraddistingue, è chiaro che in nessuna società civile, da parte di nessun tipo di opinione media, è, mai, venuto o potrà, mai, essere dato, sugli scritti del marchese de Sade, un giudizio che non sia di ripulsione e di condanna.
L’apprezzamento del suo stile da parte di un certo numero di critici, l’interesse di psicologi e sessuologi per l’ossessivo catalogare di aberrazioni – tutto ciò non toglie all’opera di de Sade se non una piccola parte del “peso di opinione” che inesorabilmente la schiaccia. E anche questo, a mio avviso, fa parte delle inconsce esigenze di de Sade: del suo oscuro, inconsapevole bisogno di offrirsi come vittima, cosicché il suo nome fosse, nei secoli, vilipeso dai più e la sua figura abbandonata, per dirla con Stéphan-Étienne Mallarmé:
 “Aux noirs vols du Blasphème épars dans le Futur…”


“La cruauté, bien loin d’être un vice, est le premier sentiment qu’imprime en nous la nature ; l’enfant brise son hochet, mord le téton de sa nourrice, étrangle son oiseau, bien avant que d’avoir l’âge de raison.”

Donatien-Alphonse-François de Sade

  Daniela Zini
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