LETTERA APERTA
alla Cancelliera Angela Merkel
Das Mädchen, das aus der Kälte kam!
La concezione dell’intellettuale
che vive su un’isola deserta, nelle catacombe, nella sua torre d’avorio, di
mattoni o di altra cosa, o ancora su un iceberg in mezzo all’oceano, che porta
il suo talento, come il gobbo la sua gobba, suggerisce una serie di immagini,
certamente, seducenti, ma che dissimulano una visione romantica del creatore,
sterile e, mortalmente, pericolosa.
Fintanto che il
mio Cuore non cederà, prenderà il partito del debole.
Tale è il
ruolo di una coscienza che non è impegnata da alcun interesse personale in
interessi di partito.
Perché nessuno si
inganni, avverto che non è un manifesto.
“Allora sia Pasqua piena per voi che fabbricate passaggi dove ci
sono muri e sbarramenti, per voi apertori di brecce, saltatori di ostacoli,
corrieri a ogni costo, atleti della parola pace.”
Erri De Luca
Il periodo che precede la Pasqua è il periodo in cui la Vita si
muove, nuovamente, verso la sua pienezza e, con questa sua forza, oggi, così
poco compresa, spinge anche noi a rinnovarci, ad abbracciare con una nuova
visione lo scorrere incerto della Vita.
Come vorrei che il mio augurio, invece che giungere con le
formule consumate del vocabolario di circostanza, arrivasse con una stretta di
mano, con uno sguardo profondo, con un sorriso senza parole!
Pasqua è voce del verbo ebraico “pèsah”, passare.
Non è festa per residenti, ma per migratori che si affrettano al
viaggio.
Da agnostica vedo le persone di fede così, non impiantate in un
centro della loro certezza, ma, continuamente, in movimento sulle piste.
Non si può seppellire la Verità in una tomba: questo è il senso
della Pasqua.
Sorprendete e lasciatevi sorprendere: la Vita, l’Amore e la Pace
sono appena nati.
Buona Pasqua a Voi e alle Vostre Famiglie!
Pasqua, 12 aprile 2020
Daniela Zini
Fuori dal VIERTES REICH!
Nel 2015, la Cancelliera
tedesca Angela Merkel è stata definita la persona dell’anno dal Time, che le ha dedicato la copertina,
la 93esima da quando è stato istituito il premio.
Angela Merkel,
cancelliera di un mondo libero, è il titolo sul magazine
accanto a un ritratto della leader
tedesca.
Il premio fino al 1999 era chiamato Uomo dell’Anno, ma, poi, si considerò riduttivo, oltre che
discriminatorio. E così fu dedicato a una persona, a un gruppo, a un’idea o a un
oggetto che “nel bene e nel male ha
influenzato di più gli eventi di quell’anno”.
Angela Merkel ha avuto la meglio su una serie di altri
candidati, tra cui il leader dello
Stato Islamico Abu Bakr Al-Baghdadi, che era ritenuto il favorito; il candidato alla nomination repubblicana per la Casa Bianca Donald Trump; il presidente dell’Iran Hassan Rohani e il ceo di UBER, Travis Kalanick.
È la quarta copertina dedicata a una donna da sola.
Sono passati 29 anni da quando il Time ha scelto una donna come persona dell’anno.
Le precedenti copertine furono dedicate a Wallis Simpson [1936],
alla Regina Elisabetta II d’Inghilterra [1952] e a Corazon Aquino [1986].
In altri casi le donne comparirono nelle copertine, ma in
gruppo.
Nel 1937, comparve la moglie di Chiang, presidente della
Repubblica Cinese dal 1928 al 1948.
Nel 1975, la copertina intitolata Women of the year fu dedicata a 12 donne [Susan Brownmiller,
Kathleen Byerly, Alison Cheek, Jill Conway, Betty Ford, Ella Grasso, Carla
Hills, Barbara Jordan, Billie Jean King, Carol Sutton, Susie Sharp e Addie Wyatt].
Nel 2002, alle 3 donne che rivelarono informazioni sulle vicende
World Com [Cooper], FBI 2001 [Rowley], Enron [Watkins].
“A parte la truffa del comunismo, a me i russi stanno anche
simpatici. Sono i crucchi che non sopporto. Loro, i tedeschi, sono sempre stati
il problema dell’Europa. Ne riparliamo tra cinquant’anni quando avranno
rialzato la testa: i gravi problemi per le future generazioni verranno da
Berlino e non da Mosca, glielo dice uno che li conosce tutti come le proprie
tasche”.
citazione attribuita a Sir Leonard Spencer Winston Churchill
“Amo talmente tanto la Germania
che ne preferivo 2!”
Giulio Andreotti
Giulio
Andreotti e Helmut Kohl
Sebastiano Messina, Kohl rassicura Andreotti, la Repubblica, 18 febbraio
1990 [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/02/18/kohl-rassicura-andreotti.html].
“PISA Was lauten sie?, cosa gridano?, chiede Helmut
Kohl al suo interprete, aprendo la portiera della sua Mercedes bianca. Wir
hoeren nicht got, herr kanzler, non si capisce bene, risponde diplomaticamente
il traduttore, guardando imbarazzato quel migliaio di studenti pisani che
esprimono con un Andreotti boia la loro scarsa considerazione per il presidente
del Consiglio. Dopo il meeting con Hans Modrow, il suo debole collega dell’
altra Germania, dopo il placet di Mikhail Gorbaciov, dopo il faccia a faccia
con François Mitterrand, l’uomo che sta guidando la riunificazione tedesca come
una locomotiva in discesa è venuto all’ombra della torre pendente per
tranquillizzare Giulio Andreotti, i Primi Ministri del Belgio, dell’Olanda e
del Lussemburgo e i leader democristiani europei. Il treno della Germania
riunificata, ha detto ai suoi colleghi il cancelliere tedesco, non uscirà dai
binari dell’integrazione europea. Né sarà guidato, in questa delicatissima
corsa contro il tempo, solo dai vincitori della seconda guerra mondiale. Il
tavolo al quale siederanno le quattro potenze vincitrici si non si occuperà
infatti di problemi delicatissimi come quelli della sicurezza e dei confini, ma
discuterà solo della soluzione da dare alle questioni che riguardano Berlino.
Questo è il risultato del vertice di Pisa, almeno stando a ciò che ha riferito
ai giornalisti lo stesso Andreotti, visto che Kohl non ha voluto affrontare
ancora una volta i giornalisti ed è frettolosamente ripartito da Pisa subito
dopo la fine della riunione. Quello di ieri era un incontro già in calendario
da mesi, prima ancora che la questione tedesca si imponesse all’ordine del
giorno. Doveva essere una riunione di routine tra i leader dei partiti
democristiani del continente, sotto le bandiere del Partito Popolare Europeo,
con programmi come il rilancio delle strutture comuni. È diventato invece,
comprensibilmente, un meeting sul caso Germania. E anche un’occasione di
chiarimento tra Kohl e Andreotti, in passato protagonisti di un incidente
diplomatico che spinse il cancelliere a convocare per chiarimenti il nostro
ambasciatore a Bonn. L’episodio è di sei anni fa. Il 13 settembre 1984,
intervenendo alla Festa dell’Unità, l’allora ministro degli Esteri, si schierò
nettamente contro la prospettiva della riunificazione: Esistono due stati
germanici e due Stati germanici devono rimanere. Forse Kohl ha fatto finta di
non ricordare l’episodio, durante il breve incontro a due che ha avuto con il
suo collega italiano, ma lo stesso Andreotti ha chiuso definitivamente il caso
ammettendo davanti ai giornalisti che non la pensa più così. Non che ci sia
bisogno della mia particolare benedizione ha detto ma io credo che le cose sono
molto diverse, rispetto ad alcuni anni fa. Quello che creava difficoltà nel
passato era la situazione internazionale. Oggi che questa situazione è
cambiata, io sono favorevole alla riunificazione. Non avrei alcun motivo per
non esserlo. E mi auguro che questo processo si svolga intensificando tutto ciò
che di buono i tedeschi hanno fatto finora. Dunque nessun rimprovero a Kohl per
la sua fretta: Se io e lei fossimo tedeschi forse avremmo la sua stessa ansia
ha risposto a un giornalista. Andreotti si accontenta di poter dire che tutti,
anche il cancelliere, sono d’accordo sulla necessità di mantenere una
continuità perfetta con la politica comunitaria, con la politica atlantica e
con la politica della sicurezza europea. Di risultati, Andreotti e i suoi
colleghi del Benelux ne hanno portati a casa ben pochi. Del resto Kohl non
aveva motivo di concedere a loro quello che aveva già rifiutato a Mitterrand,
per esempio la convocazione anticipata della conferenza intergovernativa sull’Unione
Monetaria Europea, prevista per fine dell’anno a Roma. Comunque ha minimizzato
Andreotti tutti siamo d’accordo sulla necessità di tenerla entro il prossimo
semestre [quando la presidenza di turno spetterà all’Italia, ndr]. Qui
soprattutto si tratta di verificare, e lo farò la settimana prossima con la
signora Thatcher, se quanto è accaduto nel campo strettamente monetario rimuova
le difficoltà che prima c’erano nei confronti dello sviluppo del sistema
monetario, oppure possa in qualche maniera far aumentare le preoccupazioni.
Andreotti ha sgonfiato anche il caso nato con la protesta del ministro De
Michelis per l’esclusione dell’Italia dalla formula due-più-quattro [le due
Germanie più le quattro potenze vincitrici]. Rivelando di aver affrontato la
questione martedì scorso durante l’incontro parigino con Mitterrand, il
presidente del Consiglio ha spiegato che Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e
URSS dovranno occuparsi di un problema giuridicamente molto specifico, cioè il
nuovo status della città di Berlino. Sotto questo aspetto si giustifica e si
chiarisce il perché della riunione delle quattro potenze. Non c’è dunque
nessuna richiesta italiana di ottenere un posto attorno a quel tavolo. Anzi,
ammonisce Andreotti, dobbiamo stare molto attenti, sia perché abbiamo già una
serie di sedi istituzionali, sia perché non bisogna, facendo altre chiamate,
tirare in ballo questioni come quella delle frontiere che invece vanno tenute
completamente al di fuori.”
Giulio
Andreotti ripercorre il processo di unificazione della Germania e il terremoto
politico che coinvolse i Paesi comunisti dell’Est Europa. Protagonisti e
momenti-chiave della fine del bipolarismo Est-Ovest.
Intervista con Giulio Andreotti di Roberto Rotondo
A venti anni
dal crollo del Muro di Berlino, Il
pragmatismo indispensabile
“Ci fu un momento in cui avemmo la sensazione che lo
status quo fosse modificabile, che il Muro che da quarant’anni divideva l’Est
dall’Ovest non era così inattaccabile. Si percepiva che un’evoluzione positiva
era possibile, anche se piena di difficoltà e interrogativi. Oggi agli storici
tutto sembra chiaro, ma in quel momento era molto diverso.” Quando il Muro di
Berlino fu abbattuto dalla folla il 9 novembre di vent’anni fa, Giulio
Andreotti era a capo del governo italiano e fu impegnato in misura notevole nel
processo record che in appena 329 giorni dal crollo del Muro, portò all’unificazione
delle due Germanie. L’Italia, nei giorni caldi, ebbe infatti un peso politico
specifico notevole, non fosse altro per il fatto che deteneva la presidenza di
turno della Comunità europea e della CSCE. E Andreotti, che negli anni
precedenti era stato tra coloro che avevano frenato sull’unificazione, ne era
divenuto uno dei sostenitori: “Helmut Kohl deve dire grazie all’Italia e in
particolare ad Andreotti se molte cose andarono a posto.”, ha dichiarato
recentemente a Limes Gianni De Michelis, allora ministro degli Esteri.
Direttore, perché cambiò idea? “Io non sono mai stato
per partito preso contro la riunificazione tedesca, la cui base di principio si
trovava già negli accordi di Helsinki del 1975. Semplicemente ciò che fino a
poco tempo prima sarebbe stata un’avventura sconvolgente era diventata una
strada praticabile. Certi passaggi derivano da fattori che inizialmente
sembrano secondari, ma che poi, messi insieme, finiscono per condizionare
fortemente la situazione.”
Ma che cosa poteva succedere se il gesto più simbolico
della fine del bipolarismo, ovvero la caduta del Muro, fosse avvenuto qualche
anno prima? “Non sono un profeta, ma aprire una discussione sulla unificazione
nelle condizioni che c’erano prima della Perestrojka avrebbe creato un enorme
problema per l’Unione Sovietica. Essa sarebbe stata portata a suscitare chissà
quali reazioni anche in altri Paesi, per paura che si potesse sollevare non
soltanto il problema della riunificazione, ma anche tutto il problema tedesco
del dopoguerra. Compreso quello delle frontiere a Est. La perestrojka diede ai
diversi Paesi controllati una sorta di “libera uscita”, che consentì loro di
organizzarsi a seconda della propria identità. E poiché la Germania dell’Est
non aveva mai avuto una propria identità, era normale che si facesse la
riunificazione.” E quali furono i fattori che avevano cambiato la situazione
cui accennava? “Ce ne furono diversi. Uno determinante fu l’introduzione da
parte di Reagan e Bush del tema del rispetto dei diritti umani nei negoziati
per la riduzione degli armamenti. Inoltre c’era stata la stolta campagna
militare dell’Afghanistan, che aveva creato all’interno dell’URSS un motivo per
dubitare del sistema.”
Ci fu un momento in cui avemmo la sensazione che lo
status quo fosse modificabile, che il Muro che da quarant’anni divideva l’Est
dall’Ovest non era così inattaccabile. Si percepiva che un’evoluzione positiva
era possibile, anche se piena di difficoltà e interrogativi. Oggi agli storici
tutto sembra chiaro, ma in quel momento era molto diverso
Eppure, a rileggere alcune dichiarazioni dei leader
politici fino a poche settimane prima di quel 9 novembre, pare non fosse
assolutamente prevedibile ciò che stava per accadere. Uno per tutti, il
presidente francese Mitterrand, che sotto la data del 2 ottobre 1989 [sono
parole registrate da Jacques Attali], dice: “Quelli che parlano della
riunificazione tedesca non capiscono niente. L’Unione Sovietica non l’accetterà
mai. Sarebbe la morte del Patto di Varsavia. Chi può immaginarlo?” Riprende
Andreotti: “Oggi non è importante stabilire quanto era prevedibile o meno che
di lì a breve sarebbe avvenuto il crollo del Muro. Non dovevamo indovinare i
numeri della lotteria. Segnali che davano da pensare già c’erano stati: l’apertura
della frontiera tra Ungheria ed Austria aveva immediatamente provocato la fuga
di migliaia di tedeschi dalla Germania dell’Est alla Germania dell’Ovest. Io
non ho particolari meriti o demeriti in questa vicenda, ma penso che dinnanzi a
eventi di portata storica uno deve per prima cosa osservare bene e senza
preconcetti, tenendo conto degli sviluppi possibili. Noi pensavamo di essere
sulla strada giusta, ma eravamo anche molto preoccupati perché non c’era una
formula algebrica che ci garantisse che tutto sarebbe andato per il meglio.”
Cosa poteva succedere? “Poteva esserci uno scivolamento che avrebbe reso
ingovernabile il processo in corso, oppure un irrigidimento che avrebbe reso
gli ostacoli insuperabili, interrompendo il dialogo Est-Ovest e riportando
indietro le lancette della storia.”
Lei più volte dichiarò che era per una politica dei piccoli passi, ma gli
eventi presero un’accelerazione inusuale: “La verità è che la storia non si
programma. Certo, se fosse stato possibile disegnare una transizione graduale
di tutti i cambiamenti politici a Est, si sarebbero evitati contraccolpi molto
duri: dallo sfasciamento improvviso delle Repubbliche iugoslave federate alle
manovre che fecero cadere Gorbaciov mandando a picco il suo progetto di
autonomie differenziate all’interno dell’Unione Sovietica. Ma il cambiamento
era stato atteso a lungo e nel momento in cui si stava realizzando gli eventi
presero la mano. D’altronde era anche vero quello che Gorbaciov disse il 7
ottobre al presidente Honecker, che stava celebrando il quarantesimo
anniversario della Repubblica Democratica Tedesca [RDT]: “Chi reagisce con
ritardo è punito per tutta la vita”. I dirigenti della Germania Orientale erano
convinti che il loro ospite d’onore stesse sbagliando tutto, illudendosi di
rinnovare il sistema comunista. Da parte loro, il Muro li avrebbe salvaguardati
almeno per un altro secolo dalle contaminazioni borghesi. Certo che viste dopo
le cose sono chiare, ma allora c’erano delle intuizioni lecite sia in una
direzione sia nell’altra.”
Quella sera del 18 novembre a Parigi
Tra i momenti-chiave c’è, per gli studiosi e per chi l’ha
vissuta, la sera del 18 novembre del 1989 a Parigi, nove giorni dopo lo
smantellamento del Muro. I leader dei dodici Paesi della Comunità europea si
ritrovano, su invito di Mitterrand, a discutere della situazione. Doveva essere
un incontro di facciata e invece si trasforma in un momento storico. Nella
riunione dopo cena, Kohl è in difficoltà: la Thatcher è duramente contraria
alla riunificazione, Mitterrand ne parla solo come una “eventualità storica”;
anche la Spagna è allineata con questa posizione. Lei, invece, quasi a
sorpresa, aiuta Kohl ad uscire dall’impasse affermando che “l’Europa promuove e
auspica la riunificazione della Germania”. Il vertice si conclude con un
esplicito appoggio a Kohl, che dieci giorni dopo presenta al Parlamento di Bonn
un progetto in dieci punti per la riunificazione e le cose continuano a
marciare. Quella sera fu davvero un momento di svolta? “Non so se può esistere
un singolo momento di svolta. Era in generale un periodo in cui si sentiva la
spinta a cambiare delle linee politiche, che erano diventate anche dei partiti
presi, e mi accorgevo che una certa evoluzione si stava comunque per attuare.
Quindi era meglio scendere con il paracadute piuttosto che senza.” L’appoggio
alla riunificazione però non fu incondizionato. Viene definito quello che sarà
lo “scambio” geopolitico implicito nel Trattato di Maastricht del 1991: la
Comunità europea accetta la riunificazione della Germania in tempi rapidi, ma
nel contesto di un’accelerazione del processo di integrazione del gigante
tedesco. Al centro del processo sarà la moneta unica, l’euro, e la Germania
dovrà rinunciare al marco, una moneta molto forte che faceva sentire la propria
influenza anche oltre i Paesi della Comunità europea. Riprende Andreotti: “Ma
già Kohl, il 2 novembre 1989, all’incontro bilaterale franco-tedesco, aveva
detto a Mitterrand: “Bisogna fare l’Europa per far sì che la Germania non sia
più un problema.” L’antidoto al timore, che alcuni potevano avere, che potesse
scoppiare una terza guerra mondiale, o che economicamente l’Europa fosse germanizzata,
fu vedere con esattezza il problema tedesco. Vero è che il primo nucleo europeo
che era nato a Bruxelles nel 1948 era antitedesco, ma il tempo era passato.
Inoltre Kohl e Genscher avevano impostato con grande fermezza il processo di
riunione, inquadrandolo in un accentuato impegno di partecipazione alla CEE, di
partecipazione a una aggiornata Alleanza atlantica e di un rafforzamento della
CSCE. Questi ultimi due anelli ci permisero di collegare il dialogo
intertedesco al rapporto tra Europa e Stati Uniti e di camminare per il verso
giusto.”
La CEE, in particolare, sotto la presidenza italiana,
riuscì a stare al passo degli avvenimenti che correvano. Ci sono voluti sette
anni per far entrare Spagna e Portogallo e pochi mesi per assorbire la Germania
dell’Est. Una delle prime iniziative che vennero prese fu quella di far entrare
nel Parlamento europeo i rappresentanti della Germania orientale. Spiega
Andreotti: “Il fatto di avere la presidenza di turno nella CEE dava al nostro
Paese un ruolo di interlocutore che altrimenti sarebbe stato presuntuoso
assumere. E credo sia stato utilizzato piuttosto bene. Qualche forzatura alle
procedure ci fu, visti i tempi brevi. Ma fu una politica di buon senso. Qualche
volta nella politica nazionale e internazionale si sbaglia proprio perché si
perde di vista il fatto che il buon senso è ciò che dovrebbe guidare l’azione.
Invece si vanno a cercare formule e motivazioni complesse, anche se dotte,
perdendo di vista la linea centrale di quella via di sviluppo che si vuole
percorrere.”
Ma non le dispiace di passare, nella vulgata, più per colui che nel 1984 disse
di amare tanto la Germania da volerne due, piuttosto che essere annoverato tra
coloro che maggiormente aiutarono l’unificazione dei tedeschi sotto il tetto
europeo? “Diciamo che potevo risparmiarmi la frase, perché si prestò a
speculazioni. Nell’84 bisognava essere realisti, non si poteva pensare di
scavalcare facilmente le difficoltà storiche, etniche, culturali ed economiche
che c’erano. Potevo risparmiarmela pure perché funzionò talmente bene, anche
letterariamente, da diventare lo slogan di una certa posizione contraria all’unificazione
e la cosa mi fu rimproverata più volte.”
Gorbaciov, Giovanni Paolo II, la Thatcher
Scorrendo le sue dichiarazioni rese in quel periodo
alla stampa, emerge la sua preoccupazione di non compromettere i processi di
riforma che erano in corso a Est. Perché quest’attenzione? “Per prima cosa
perché la nostra carta vincente è sempre stata quella di non essere
provocatori. Mai abbiamo dato l’impressione di voler aggredire, anche in anni
in cui la cortina di ferro non lasciava spazio a nessun dialogo. Poi avevo
fiducia nella Perestrojka. Pensavo che fosse l’unico modo per superare le
enormi difficoltà che avevano i sovietici, difficoltà accentuate anche dal
fatto che avevano spalancato le finestre. Chi oltrecortina era contrario alla Perestrojka
non agiva alla luce del sole ma faceva leva proprio sulle rivalità etniche e
sulla pesante situazione economica, sulla scarsità dei generi alimentari.
Invece ho sempre pensato che l’Europa è molto più equilibrata se anche la
Russia è una potenza economica.”
Ma Gorbaciov percepiva che poteva trovare nella vostra
linea politica una sponda per rafforzare la Perestrojka? Quello che emerge è
piuttosto che i russi speravano in una Germania sì unita, ma ondeggiante tra
Europa e Patto di Varsavia, un gigante neutrale con un rapporto economico e
politico privilegiato con l’URSS. Era davvero questo il piano di Gorbaciov? “Tra
le ipotesi più papabili c’era anche l’Asse Berlino-Mosca, e io dichiarai
pubblicamente che gli assi non hanno mai portato fortuna a nessuno. Non so se
fosse l’idea di Gorbaciov, se nel suo intimo prevalesse la paura del nuovo o il
desiderio di esserne autore o coautore. Era una persona molto attenta,
riflessiva, non era un impulsivo. Bisogna considerare, però, che era a sua
volta condizionato da una sua opinione pubblica che non vedeva di buon occhio
certi cambiamenti; anzi, molti ritenevano che concedere qualcosa al fronte
opposto fosse eversivo. Penso che Gorbaciov fosse molto preoccupato, ma aveva
grandi convinzioni costruttive e credo che nel suo cuore non abbia mai
disarmato, anche quando l’URSS si dissolse con il colpo di Stato nel ’91.”
Qualche volta nella politica nazionale e internazionale
si sbaglia proprio perché si perde di vista il fatto che il buon senso è ciò
che dovrebbe guidare l’azione. Invece si vanno a cercare formule e motivazioni
complesse, anche se dotte, perdendo di vista la linea centrale di quella via di
sviluppo che si vuole percorrere.
Eppure, un mese fa Gorbaciov ha dichiarato, in un’intervista
a la Repubblica, che nel crollo del Muro di Berlino ci furono solo due eroi: i
russi e i tedeschi. Cosa ne pensa? “È un modo un po’ restrittivo di vedere le
cose, il fatto è che lui non può vederle con distacco perché è stato un attore
in questa vicenda, con una sua storia politica alle spalle, con un suo progetto
che voleva portare a termine. Il suo non è il giudizio sereno di uno storico.”
Una delle immagini più significative del periodo
seguito al crollo fu l’incontro tra Gorbaciov e Giovanni Paolo II a Roma, il
primo dicembre 1989: il presidente dell’URSS e il Papa polacco, colui che,
secondo una certa linea interpretativa, aveva sconfitto il comunismo. Una
domanda che le hanno posto tante volte: quanto influì Papa Wojtyla nel
terremoto politico oltrecortina di quegli anni? “Difficile dirlo. Forse è
esagerato affermare che il Papa polacco abbia rappresentato l’inizio di tutti i
capovolgimenti dell’Europa dell’Est, anche se cronologicamente è così. In
realtà Giovanni Paolo II teneva sempre distinte le sue origini, a cui era molto
legato, dalla sua missione universale di Pontefice. Certo, rispetto alla
preparazione e alla formazione che avevano altre grandi personalità della
Chiesa in quel momento, la sua esperienza passata lo metteva in una posizione
privilegiata, che gli permetteva di vedere più lontano degli altri.”
Che ricordo ha dell’incontro tra Gorbaciov e Wojtyla? Tra le altre cose in quei
giorni il Presidente dell’URSS le disse che la riunificazione tedesca era
assurda… “Torno a dire che a volte ci dimentichiamo che tutti i leader
stranieri devono tener conto della propria opinione pubblica. Seguimmo quel
viaggio con molto interesse, anche perché, pur non confondendo sacro e profano,
avevamo un’attenzione alla situazione della Chiesa che altri Paesi potevano non
avere. Avevamo qualche preoccupazione per la svolta in corso, ma non abbiamo
mai fatto nulla di ostile, posto che potessimo farlo. C’era la speranza che fosse
riconosciuto il fatto che chi, come noi, aveva camminato più rapidamente nella
direzione giusta, poteva vedere meglio le cose.” In Vaticano erano contenti,
preoccupati o nervosi per il crollo del Muro e per ciò che ne stava seguendo? “Il
Vaticano o non è mai nervoso o non mostra mai di esserlo. Guardano le cose sub
specie aeternitatis, e a ragione, vista la loro storia millenaria. Ci furono
prese di posizione e articoli de L’Osservatore Romano, ma non raccolsi in
esclusiva preoccupazioni particolari.”
Quanto fu decisivo il fatto che in Polonia c’era in quel momento un governo non
comunista, con a capo un cattolico, ma che non aveva messo in dubbio la sua
fedeltà all’URSS? “In Occidente c’era una certa simpatia per la Polonia,
proprio perché non aveva operato fughe in avanti; sicuramente fu uno degli
elementi che impedì alcune posizioni ostili e negative. Uno dei problemi più
scottanti che bisognò affrontare fu quello dei confini a Est della Germania
unita, che interessava proprio la Polonia”. Da lì, cinquant’anni prima, era
iniziata la Seconda Guerra Mondiale… “Vero, ma il 9 novembre, quando crollò il
Muro di Berlino, Kohl e Genscher erano proprio a Varsavia, e la prima cosa che
fecero fu rassicurare i polacchi che la frontiera Oder-Neisse non sarebbe mai stata
messa in discussione.”
Protagonista fu anche la Thatcher. Il primo ministro
inglese, a differenza di Mitterrand, che da scettico divenne anche lui fautore
dell’integrazione della nuova Germania unita, non cambiò mai idea e fu la più
ostinata avversaria dell’unificazione. Non ci ripensò mai, e questo le costò la
fine della carriera politica dopo il Trattato di Maastricht... “In parte perché
era così il suo temperamento, in parte perché anche la sua visione delle cose e
le sue preoccupazioni erano legittime. A posteriori è evidente che fu percorsa
la strada giusta, ma sul momento si poteva anche ritenere che fosse giusto
essere contrari. Noi fummo colpiti dalla linea dell’unificazione perché ci
sembrò la più concreta, ci coinvolgeva nel presente, ma non è che non vedessimo
le difficoltà e i rischi.” L’antipatia della Thatcher nei suoi confronti è
figlia di questo periodo? “Non so, forse è nata dal fatto che era abituata a
una serie di complimenti che scivolavano fin nella venerazione da parte di
molti politici, anche italiani, e una certa mia freddezza romana poteva essere
interpretata come ostilità. Ma non avevo niente contro di lei.”
Gli Usa, la Nato e dintorni
Gli Stati Uniti premevano perché ci fosse un’accelerazione
del processo di unificazione, oppure no? Le sembrava che volessero chiudere
presto e con una vittoria schiacciante l’epoca del bipolarismo con l’URSS? “Non
era questo il loro atteggiamento. Avevamo la sensazione che gli Usa pensassero
che fosse la strada giusta, però registrai anche da parte di alcuni influenti
circoli di studi politici statunitensi una notevole diffidenza su tutta la
vicenda, anche per le conseguenze che aveva sul piano globale. C’erano
complicazioni psicologiche e pratiche anche per loro. Quindi il messaggio che
arrivava era chiaro e da noi condiviso: è una scalinata che va salita gradino
dopo gradino e senza salti.” Un elemento importante che lega l’Europa agli Usa
era ed è l’Alleanza atlantica. Lei in quel periodo ribadì più volte che per
procedere bene bisognava ridisegnare rapidamente una nuova Nato: “Cambiavano
quelli che fino ad allora erano stati i suoi compiti. Sono stato ministro della
Difesa per sette anni e non mi è mai capitato di vedere un progetto che non
partisse dall’idea di difendersi da un attacco dall’Est.” Lei vedeva la NATO
come un elemento positivo per assorbire la Germania dell’Est, ma nell’ottobre
del 1990 rivelò l’esistenza di Gladio, una struttura militare dell’Alleanza
atlantica, quasi a voler dire che l’Alleanza era ormai obsoleta. Perché? “C’era
un certo contrasto tra una visione culturale, diciamo così, e una visione
pratico-politica del problema. Nessuna delle due posizioni era bizzarra, ma in
quel momento ci si trovava in una via di mezzo, che proprio “di mezzo” non era,
perché c’era anche uno squilibrio tra le due posizioni. Comunque sia, la cosa
che meno avrei immaginato era di venire polemicamente definito, anni dopo, un “paleoatlantico”
da parte di qualche circolo che fu a lungo irriducibilmente e combattivamente
ostile all’Alleanza, approvata dal Parlamento italiano non senza contrasti.”
Il 1990 fu anche l’anno in cui Saddam invase il
Kuwait, dando inizio alla crisi del Golfo. Un anno particolarmente
problematico? “Se dovessi andare a cercare un periodo in cui le cose sono state
molto semplici, farei fatica a trovarlo. Abbiamo sempre avuto una serie di
difficoltà, ed è sempre stato vivo il contrasto tra le cose che si ritengono
utili e necessarie, e quelle che si possono realizzare. Però quando in qualche
momento storico la coscienza di questo contrasto è venuta meno, o ci sono state
fughe in avanti inutili, oppure abbiamo battuto il passo, quando invece si
poteva camminare.”
Il pragmatismo indispensabile per costruire oggi l’Europa
Il 9 novembre è un anniversario multiplo: è sia il giorno in cui cade il Muro
di Berlino, nell’89, ma è anche il giorno in cui, nel 1938, i nazisti avviarono
i pogrom antiebraici, con la Notte dei Cristalli. Nel 1999 fu l’allora Cancelliere
tedesco Gerhard Schröder a dire che per i tedeschi il 9 novembre è “il giorno
del rinnovamento ma anche il giorno in cui cominciò l’abisso”. Uno scherzo
della storia? “La coincidenza c’è, ma dobbiamo abituarci a guardare più avanti
che indietro. A volte a fare comparazioni con il passato si rende più difficile
la convivenza nel presente e lo sviluppo positivo della politica
internazionale, e di quella europea in specie.”
Dedicando un’inchiesta a quel sentimento di delusione
e malcontento che accompagna i tedeschi da alcuni anni, Der Spiegel si è
chiesto recentemente: “Ma da che parte è caduto il Muro?” Oggi, secondo un
sondaggio, il 49% dei tedeschi dell’Est pensa che la RDT aveva più cose buone
che cattive e si sente ancora un cittadino di serie B. “Certo, quando il Muro
crollò la Germania restava da fare ed è normale che qualche errore fu fatto e
qualche previsione risultò poi sbagliata. Ma resto scettico di fronte ai
sondaggi e credo che, tutto sommato, ognuno possa verificare che la strada
intrapresa era quella giusta.”
Anche la costruzione politica dell’Europa sembra attualmente
in un momento di stallo e l’euroscetticismo diventa sempre più consistente. Da
cosa dipende? “Probabilmente l’ottimismo dei più convinti andava oltre quello
che si poteva realisticamente realizzare fin qui. Se facciamo riferimento a
quell’ottimismo si può anche essere delusi, o dispiaciuti. Rispetto a coloro
che guardavano la realtà con più obiettività si può vedere che alcune cose
importanti sono state realizzate, che la strada era ed è rimasta giusta.”
Quali sono allora le condizioni per poter fare un
ulteriore pezzo di cammino? “Non ho ricette particolari, l’essenziale è, da una
parte, non assuefarsi allo status quo, dall’altra, non fare programmi tanto
avveniristici quanto poco realizzabili. Anche oggi siamo in una fase di
passaggio. E ogni passaggio si può fare sia con un passo cadenzato sia di
corsa, dipende dalla situazione. Quel che davvero conta è dare alle intuizioni
una base logica, che permetta loro di svilupparsi concretamente.” È un caso
che, prima dal gruppo storico [Adenauer, De Gasperi, Schuman], e poi negli Anni
Settanta e Ottanta [lei e Kohl], l’integrazione europea sia stata accelerata da
politici democristiani e cattolici? “Io sono convinto della positività di
queste ispirazioni religiose, ma bisogna evitare di confondere gli auspici e i
desideri con le realtà praticamente realizzabili. Perché in questa Europa così
allargata si tratta di costruire delle realtà e delle strutture di una
complessità enorme, che ancor più che nel passato devono tener conto delle
idee, delle aspettative di culture e appartenenze diverse tra loro. Insomma, un
certo pragmatismo oggi è indispensabile.”
Qual è il posto della Germania in Europa?
I suoi vicini del Sud hanno ragione quando paragonano la sua autorità
attuale alla oscura epoca nazista?
Contrariamente ai sovrani del Sacro Romano Impero Germanico – lo
Zuerst Reich – la cancelliera tedesca
Angela Merkel non porta una corona per sancire il suo potere e la sua
sovranità.
La cancelliera non esibisce neppure il celebre elmo a punta di
Otto von Bismarck, simbolo del Zweites
Reich, né i baffetti a spazzolino di Adolf Hitler per il Drittes Reich.
E, tuttavia, grazie o a causa di una buona parte dei Paesi dell’Unione
Europa, noi viviamo sotto il Regno del Viertes
Reich, che, per la più grande gloria della Germania, limita e si spinge, perfino, a sopprimere i diritti
dei Paesi sotto il suo controllo.
Così, la Grecia e l’Italia hanno visto, nel novembre del 2011,
in qualche ora, i loro capi dell’esecutivo, dai talenti, certo, discutibili, ma
che avevano almeno il non demerito di essere stati portati al governo,
democraticamente, dai propri cittadini,
sostituiti da tecnocrati – Lucas Papademos, governatore della Banca Centrale
della Grecia, tra il 1994 e il 2002, quando, nel 2001, Goldman Sachs truccò i conti del Paese per farlo entrare nell’Euro
[https://www.italiaoggi.it/news/incredibile-prodi-accusa-la-grecia-di-avere-truccato-i-conti-per-entrare-nell-euro-ma-il-primo-a-farlo-2000531, https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-05-10/spiegel-times-accusano-italia-144326.shtml?uuid=AbvJDcaF], e Mario Monti, international
advisor per Goldman Sachs, tra il
2005 e il 2011, – nominati dagli eredi di Sigfrido e dei Nibelunghi.
L’originalità della Comunità
Economica Europea, fondata sotto gli auspici, in particolare di Robert
Schuman e Konrad Adenauer, risiedeva nel raggruppamento volontario di Stati
sovrani e democratici.
Ma una volontà condivisa non è sufficiente per mantenere uniti i
27 Paesi dell’Europa, neppure i 17 Paesi dell’Eurozona ed è, oramai, l’Asse
Franco-Tedesca che governa i Paesi divorati dal deficit e dal debito, cercando bene o male di salvare le apparenze.
Perché il Viertes Reich
è molto più sottile ed efficace di quanto lo fossero lo Zweites Reich e il Drittes
Reich.
La sua forza non è militare: parte alla conquista dell’Europa a
colpi di crediti e di scadenze impossibili da rispettare per i morosi Paesi del
Mediterraneo, un gruppo al quale, ultimo paradosso, sembra appressarsi sempre
più la Francia di Macron.
“La Democrazia è
più di una semplice maggioranza. La Democrazia è protezione delle minoranze, libertà di stampa, […] indipendenza delle istituzioni.”
Angela Merkel
“Quando sono entrata in politica rappresentavo uno strano
esemplare che racchiudeva una moltitudine di minoranze: ero protestante, donna,
allora ancora giovane, dell’Est e scienziata. Tutte cose che nella CDU [Unione
Cristiano-Democratica, ovvero il suo partito di centro-destra] non accadevano
spesso. Per questo non potevo rappresentare tutte le componenti di minoranza
contemporaneamente.”
così, Lei, Signora la Cancelliera Angela Merkel,
risponde nell’intervista rilasciata, lo scorso novembre, a due giornalisti del Sueddeutsche Zeitung, Nico Fried e
Cerstin Gammelin, sulla sua esperienza di
cittadina della DDR per 35 anni, alla
quale viene rimproverato di rappresentare troppo poco i cittadini dell’Est, in una
Germania, oramai, unificata, nel momento in cui sono in corso i festeggiamenti
per i 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino, con umori, tuttavia,
differenti: nella parte orientale, si soffre, ancora, un divario e non solo a
livello economico, gap, tra le due
ex-Germanie.
Indiscutibilmente, oggi, i tedeschi dell’Est [Ossis] stanno meglio di ieri e meglio
dei loro vicini cechi e polacchi, ma il reddito medio all’Est è tra il 22 e il
30% più basso rispetto a quello dell’Ovest, una differenza che contribuisce a
diffondere la sensazione di essere dei cittadini di serie B. Con la caduta del
Muro di Berlino, anche la Repubblica Democratica Tedesca entrava a fare
parte dell’Unione Europea, in quanto parte della Germania Federale Tedesca e i
tedeschi dell’Est hanno dovuto, così, affrontare una doppia integrazione: una
interna e una europea. La Germania resta un Paese diviso con standards di vita e visioni politiche
diversi o, addirittura, divergenti. La riunificazione della Germania è stata,
di fatto, l’annessione dell’Est all’Ovest, un duro colpo per una economia basata
su un sistema socialista, nonostante il cambio “uno a uno” tra marco della RDT e marco della RFT, imposto all’atto della riunificazione.
Markus Johannes “Mischa”
Wolf [19 gennaio 1923 – 9 novembre 2006]
Markus
Johannes “Mischa” Wolf
“Finché
esisterà lo spionaggio, ci saranno dei
Romeo che
conquisteranno vittime inconsapevoli.”
La dichiarazione
viene da un esperto in materia, l’ex-capo dei servizi segreti della Repubblica Democratica
Tedesca Markus Wolf, l’ideatore di un raggruppamento di spie specializzate nel
sedurre ignare “Giuliette”. Insomma, qualche volta per farsi la guerra serve...
fare l’amore. Per ricattare qualcuno o estorcergli informazioni, infatti, non vi
è di meglio che sfruttarne la solitudine o le predilezioni sessuali. Lo
testimonia il successo costante di una vecchia arma dello spionaggio, la honey trap, letteralmente “trappola
al miele”: in pratica, un agente che usa le sue arti amatorie per incastrare un
bersaglio. Certo, non si può escludere a priori che una relazione iniziata con
l’inganno possa trasformarsi in vero amore. Ma, di solito, un bel giorno le
vittime scoprono di non essere amanti irresistibili, ma burattini più simili al
classico marito: quello, cioè, che è sempre l’ultimo a sapere di essere stato
tradito.
Lo chiamavano “l’Uomo
senza volto”. Markus Wolf, abilissimo a evitare di essere fotografato, fu uno
dei membri più brillanti dei servizi segreti dell’ex-Germania dell’Est. Per
questo è considerato il modello ispiratore di John le Carré per il personaggio
di “Karla”, il maestro dello spionaggio sovietico dei suoi romanzi sulla guerra
fredda [anche se l’autore ha sempre negato].
All’inizio degli
Anni Cinquanta, Wolf si era reso conto che la morte di milioni di uomini nella
Seconda Guerra Mondiale aveva favorito la carriera di molte donne nel governo,
nel commercio e nell’industria della Germania dell’Ovest. Tante di loro erano
sole e pronte a cadere tra le braccia di qualche bel Romeo, pertanto, Wolf
organizzò uno speciale dipartimento della STASI, destinato agli agenti più belli e intelligenti:
le spie “Romeo”. Seducendo donne ingenue, ma potenti, a un certo punto le spie
s’infiltrarono, perfino, nella segreteria di Helmut Schmidt, cancelliere della
Repubblica federale di Germania negli Anni Settanta, riferendo del carteggio
tra lui e Jimmy Carter, presidente degli Stati Uniti.
Da Est a Ovest. Il
meccanismo ideato da Wolf funzionò finché il controspionaggio della Germania
dell’Ovest non trovò un modo per identificare gli agenti della Repubblica
Democratica Tedesca prima che facessero conquiste: osservare il loro taglio di
capelli. Infatti, all’ingresso nella Repubblica Federale portavano, ancora, un
pratico taglio corto dietro e ai lati, invece di quello “da capelloni” di moda
nell’Ovest.
La carriera del
leggendario capo dello spionaggio di Pankow si concluse prima della
riunificazione tedesca.
Nel 1989, alla
caduta del Muro di Berlino, si era, già,
ritirato di sua volontà da tre anni dalla carica di capo della STASI, da lui stesso fondata, nel 1953,
e aveva rifiutato una offerta golosa dalla CIA.
Nel 1993, fu
accusato di tradimento, ma in appello fu assolto in base al presupposto che
Markus “Mischa” Wolf aveva agito in favore di quello che allora era il suo
Paese. Un secondo processo per un rapimento condotto dalla STASI portò a una condanna di due anni, poi sospesa.
È morto a 83 anni,
il giorno del diciassettesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino.
Il 9 aprile 2013,
il magazine polacco Uwazam Rze
raffigurava in prima pagina con il titolo La
falsificazione della storia, la cancelliera Angela Merkel in una foto in
bianconero, un foulard sulla testa e un pigiama a strisce abbottonato fino al
collo. Varsavia accusava Berlino di avere distorto i fatti storici facendo
diventare le vittime i carnefici. L’attacco era scaturito dopo che la rete
televisiva tedesca ZDF aveva mandato
in onda un documentario che aveva raffigurato dei partigiani polacchi
anti-semiti. Nel filmato si vedeva un partigiano che affermava:
“Affoghiamo gli ebrei come topi.”
Dopo la visione del
documentario, il diplomatico polacco Jerzy Marganski aveva scritto una lettera
all’emittente televisiva per esprimere il suo disappunto.
“L’immagine della Polonia e della resistenza polacca contro gli
occupanti tedeschi, come trasmessi dalla rete televisiva è estremamente
ingiusto e offensivo.”,
aveva tuonato
Marganski. Nella rivolta di Varsavia, aveva aggiunto il diplomatico, “morirono 200 mila civili e molti hanno
aiutato gli ebrei”.
Il suo mentore, Helmut Kohl –
che ha guidato cinque diversi governi, tra il 1982 e il 1998 – anziché avviare
un processo di riavvicinamento graduale tra le due Germanie, preferì mettere in
atto, di concerto con l’alta borghesia tedesca, una politica di ispirazione
coloniale, di distruzione accelerata e di svendita del tessuto industriale
della Repubblica Democratica Tedesca a profitto della Repubblica Federale
Tedesca, che ha portato a un esito drammatico, altri muri si sono levati nelle
teste dei cittadini tedeschi, che continuano a distinguersi in cittadini
dell’Ovest, Wessis, e in cittadini
dell’Est, Ossis.
A
30 anni dalla riunificazione, il 71% dei tedeschi che vivono nella Germania
dell’Est pensa, ancora, che siano troppe le differenze tra tedeschi dell’Est e
tedeschi dell’Ovest e il 34% degli Ossis,
ex-tedeschi dell’Est, sostiene, perfino, che i Wessis, ex-tedeschi dell’Ovest, siano arroganti e distanti dai loro
problemi. Come Lei stessa ha dovuto
riconoscere, nella stessa intervista del novembre scorso al Sueddeutsche Zeitung, “per la parità
ci vorranno 50 anni o anche più anche se dopo 10 o 20 anni si era pensato che
sarebbe stato più veloce.”.
E, quel giorno, nessuno dei
presenti oggi potrà smentirla, Signora la Cancelliera Angela Merkel!
Signora
la Cancelliera Angela Merkel,
o
dovrei dire Signora la Cancelliera Angela Dorothea Kasner, dal momento che suo
padre Horst, nel
1930, decise di trasformare il cognome polacco Kazmierczak in un più comodo
cognome tedesco, Kasner, che è, per l’appunto, il suo cognome da ragazza, in
quanto Merkel è il cognome acquisito
dal suo primo marito, Ulrich Merkel, che Lei ha sposato nel lontano 1977,
divorziandone, cinque anni più tardi, nel 1982, e che, per sua stessa
ammissione, ha attraversato la sua vita come una meteora e “non è stato il
grande amore”?
O Signora la Cancelliera Angela Sauer
dal nome del suo secondo marito Joachim Sauer, sposato nel 1998, un professore di chimica che
non ama i riflettori e compare al suo fianco solo quando il protocollo
diplomatico lo impone, “invisibile come
una molecola”.
O più
semplicemente, Mutti Merkel, come
affettuosamente la chiamano i tedeschi?
La Mamma che, senza figli, sembra avere
adottato i suoi connazionali, ai quali impone disciplina in cambio di
protezione!
Una girandola di cognomi e non
solo, che non ha reso facile la vita a biografi e a giornalisti e ha
contribuito a creare attorno alla sua persona leggende imprecise.
Signora
la Cancelliera Angela Merkel,
Lei,
sicuramente, ricorderà le leggendarie parole
pronunciate dal presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy, il 26 giugno
1963, dal balcone del Municipio di Schöneberg, in occasione della visita
ufficiale alla città:
“Ich bin ein Berliner.”
e
l’appello rivolto, circa 24 anni dopo,
il 12 giugno 1987, da un altro presidente statunitense Ronald Reagan a Michail Sergeevic Gorbacëv, alla Porta di Brandeburgo, di
abbattere la Striscia
della Morte, come veniva chiamata la frontiera
fortificata, formata da due muri paralleli di cemento armato e larga alcune
decine di metri, che divideva Berlino Est da Berlino Ovest, il comunismo
dal capitalismo:
“Mr. Gorbacëv, tear down this
wall!”
Simbolo
per circa trenta anni della Guerra Fredda e della divisione tra Est e Ovest, il Muro ha rappresentato la più
spettrale e letale costruzione realizzata in Occidente, con le sue 302 torri di
guardia, oggi inglobate dal panorama urbano, che non lasciavano scampo ai
fuggiaschi: scavalcare il Muro significava ricevere una pallottola in piena
schiena.
Nello spazio di un passo si
poteva accedere a una società migliore o questo, almeno, pensavano le oltre 200 persone che sono morte
nel tentativo di compierlo, quel passo!
Io ho avuto il raro privilegio
di assistere, il 9 novembre 1989, alla caduta del Muro di Berlino, che ha
portato alla riunificazione del suo Paese.
Decine di migliaia di berlinesi
dell’Est si ammassarono nei pressi del checkpoint
Bornholmer Straße e costrinsero i soldati della RDT ad aprire i confini. Non immaginava neppure lontanamente, quel giorno, quando, solo
più tardi, Lei si decise a scendere in strada con un’amica e ad attraversare il
confine, che sarebbe
divenuta non solo la prima donna eletta Cancelliere, ma anche la prima a
ricoprire l’incarico
per ben quattro mandati consecutivi.
Venti anni dopo, rievocherà quel
9 novembre del 1989, con un gruppo ristretto di giornalisti stranieri al tavolo
ovale in cui, di solito, riunisce il Consiglio dei Ministri tedesco:
All’epoca, anche io mi trovavo dall’altro lato della
pretesa Cortina di Ferro, nella
Repubblica Democratica Tedesca, un Paese, forse, non molto ricco, ma molto
accogliente, che accoglieva gli orfani namibiani, i rifugiati palestinesi e
sudafricani, i perseguitati della dittatura cilena e tutti i combattenti della
libertà, nel mondo…
I più stupiti e i più inermi mi
apparvero i Vopos, gli agenti
della polizia del Popolo che, per circa trenta anni, avevano sparato contro
chiunque avesse tentato di scavalcare il Muro.
Erano
circa le 19, a Berlino, quando il portavoce del governo della Repubblica
Democratica Tedesca [RDT], Günter
Schabowski [https://www.la7.it/atlantide/video/9-novembre-1989-lannuncio-a-sorpresa-di-g%C3%BCnter-schabowski-funzionario-della-ddr-si-pu%C3%B2-attraversare-11-04-2019-268632], convocò una conferenza stampa
per dare l’annuncio che, da quel momento, i cittadini della Germania dell’Est
sarebbero potuti entrare liberamente e senza restrizioni nel
territorio della Germania dell’Ovest [RFT].
Schabowski, in verità, avrebbe dovuto limitarsi ad annunciare che i cittadini
della RDT potevano chiedere
nuovi permessi speciali per entrare nella RFT e che la misura sarebbe entrata in vigore dal giorno
successivo, ma non era stato presente all’incontro in cui si era discusso della
nuova misura e nell’annunciarla ai giornalisti si confuse, fornendo, così, il
pretesto per abbattere il Muro.
I giornali avevano, già, pronto
il titolo:
“Berlino è di nuovo Berlino!”
Pochi rammentarono, allora, o
preferirono dimenticare quale triste anniversario fosse quel giorno.
Il 9 novembre 1938, era iniziato
il pogrom contro gli ebrei, passato
alla Storia con il nome di Kristallnacht,
la Notte dei Cristalli. Quella notte, in Germania, in Austria e in
Cecoslovacchia, si distrussero le loro proprietà, le loro sinagoghe, le vetrine
dei loro negozi, le loro case.
La Germania tornava unita, l’anno
successivo, nel 1990.
“Berlino è divenuta una sola città, ma il processo di
riunificazione si è dimostrato doloroso e costoso. Le accuse di cattiva
gestione dei fondi comunali, di spese esorbitanti e di corruzione sono costate
nel 2001 la poltrona al sindaco Eberhard Diepgen, membro della CDU [l’Unione
Cristiano-Democratica, ovvero il partito di centro-destra], che era in carica
da 15 anni e hanno consegnato il governo della città a una coalizione “rossa”
tra la SPD e l’ala di estrema sinistra DIE LINKE. Il carismatico Klaus Wowereit
[SPD] si è trovato alla testa di una Città-Stato oberata da una situazione di
indebitamento che stava covando sin dal 1990. Con la unificazione, infatti,
Berlino aveva perso i consistenti sussidi federali che aveva ricevuto per tutti
gli anni del Muro. Le improduttive industrie manifatturiere di Berlino Est,
intanto, furono più o meno costrette a chiudere mandando a casa 100mila
addetti. Il risultato: un indebitamento esorbitante, quasi 60 miliardi di Euro.”
Ma per Klaus Wowereit [SPD], sindaco di Berlino:
“Berlino potrà essere povera, ma è sexy.”
La vivacità culturale che aveva
fatto grande Berlino, negli Anni Venti, tornava, prepotentemente alla ribalta,
trasformando la capitale da una curiosità politica a una presenza vitale tra le
capitali europee, con una vita notturna sfrenata, una esplosiva scena artistica
e una rinascita teatrale e cabarettistica.
Quando Luigi Barzini visitò
Berlino, agli inizi degli Anni Trenta, come corrispondente di guerra, la
descrive come la capitale artistica dell’Europa:
“Nel 1931, Berlino
era sicuramente la capitale artistica dell’Europa, piena di teatri sfolgoranti,
cabarets, mostre di arte di avanguardia, films mozzafiato, esperienze di ogni
genere. Il Kurfurstendamm, il famoso viale alberato, una pretenziosa imitazione
dell’Avenue des Champs Elysees, era pieno di personaggi creati da de Sade,
Havelock Ellis, Sacher-Masoch, Krafft-Ebing e Sigmund Freud. Vi erano uomini
vestiti da donna, donne vestite da uomo, ragazzine, donne con gli stivali e le
fruste [stivali e fruste di diversi colori, forme e dimensioni, che
promettevano diversi divertimenti passivi o attivi].”
E
prosegue:
“Ho visto
protettori che offrivano qualsiasi cosa a chiunque, ragazzini, bambine, giovani
robusti, donne libidinose o [suppongo] animali. [Si raccontava la storia che un’oca
maschio, sgozzato nel momento giusto, ti avrebbe dato l’orgasmo più intenso,
economico e risparmiatore di tempo di tutti, perché ti permetteva di goderti la
sodomia, la bestialità, l’omosessualità, la necrofilia, e il sadismo in un colpo
solo. Anche la gastronomia, giacché si può, poi, mangiare l’oca.]
Non potevo fare a
meno di chiedermi da dove fossero venuti tutti quei mostri,
quale Germania li avesse generati. Erano stati là sempre, e se sì, dove si
erano nascosti?”
Questa è la casa dove la Cancelliera Angela Merkel ha vissuto
tutta la sua infanzia e tutta la sua adolescenza, a Templin, a 85 chilometri a
Nord di Berlino. Il Waldhof è un luogo particolare, circondato da campi e da
foreste di pini. Dai tempi della Repubblica Democratica Tedesca ha ereditato l’appellativo
di Goldene Insel,
Isola Dorata. Perché in questo spazio tutto era possibile: guardare la
televisione dell’Ovest, leggere libri vietati e criticare il regime. Aveva 3
anni Angela Merkel quando suo padre, il pastore protestante Horst Kasner veniva
nominato direttore del seminario pastorale, destinato a formare tutti i clerici
della regione di Brandeburgo e di Berlino.
Angela Merkel si descriveva, già, all’epoca
come una emarginata.
È figlia di un pastore in un regime
comunista, dove la religione è considerata il
nemico dello Stato. I suoi genitori non sono ricchi – un pastore guadagna
600 marchi tedeschi al mese, l’equivalente di 300 euro – ma dispongono di 2 vetture e del telefono, possono
spostarsi, facilmente, nell’Ovest e ricevere soldi dai parenti rimasti ad Amburgo…
Una condizione “privilegiata”, secondo Winifred Engelhardt,
ex-membro anziano dell’Unione
Cristiano-Democratica, impossibile nella Repubblica Democratica Tedesca.
Per gli Ossis, i tedeschi dell’Est,
Angela Merkel è divenuta una Wessi, tedesca dell’Ovest: ha tradito la sua
comunità, assimilandosi molto velocemente al sistema tedesco dell’Ovest. È una
opportunista, una pragmatica e una liberista, che non si è mai opposta al
regime.
Per i Wessis, resta la ragazza dell’Est troppo
segreta per essere del tutto onsta, diffidente, soffusa da quell’alone di mistero
di chi ha trascorso 35 anni dietro la Cortina di Ferro.
Donna, protestante, divorziata, risposata, senza figli, di sinistra,
ha legato con un partito conservatore, il CDU,
cattolico e maschilista, per strapparne la presidenza, prima di spingersi alla
Cancelleria.
La rotta impeccabile di un “camaleonte”, come l’ha definita il Financial Times Deutschland?
Per comprendere questo percorso atipico, dobbiamo spingerci nelle
profondità di questa “biografia germanico-tedesca”, come la definisce la giornalista
Jacqueline Boysen, autrice, nel 2005, di una delle migliori biografie del
cancelliere, Angela Merkel, eine Karrière,
non tradotta. Perché la storia di Angela Merkel è, anche, la Storia
della Germania, della sua divisione e della sua riunificazione.
Angela Merkel in un camping nel 1973.
Angela Dorothea Kasner – Merkel è il cognome
del suo primo marito – è nata il 17 luglio 1954 ad Amburgo, dove suo padre ha studiato
teologia. Due mesi dopo la nascita di Angela, sua prima figlia, il pastore Horst
Kasner decide per militanza di tornare nella sua terra natale, nel Brandeburgo.
Il 17 giugno 1953, il governo di Walter Ernst
Paul Ulbricht ha seminato il terrore, facendo
appello ai carri sovietici per reprimere il sollevamento di operai impiegati
nella costruzione dell’allora Stalinallee: almeno 80 morti e 25mila arresti
nella Repubblica Democratica Tedesca.
2,7 milioni di tedeschi prendono, allora,
la strada inversa della famiglia Kasner e si rifugiano all’Ovest, fino al 13 agosto
1961, giorno in cui il SED, partito comunista
della Germania dell’Est, inizia la costruzione di un muro per arginare l’emorragia.
“È il mio primo ricordo politico.”,
ricorda la Cancelliera Angela Merkel,
“Noi
tornavamo dalle vacanze in Baviera con mia nonna paterna, in un Maggiolino. Era
un venerdì. Mio padre ha capito che stava accadendo qualcosa, perché ha visto del
filo spinato ovunque nella foresta. La domenica, ha prestato il suo servizio religioso.
Vi era una atmosfera terribile nella chiesa.
Tutti piangevano. Anche mia madre.”
Horst Kasner, padre di Angela Merkel, nel 2005.
La cancelliera in una foto in bianco e nero, scattata nel 1972, all’età
di 18 anni, in cui appare in uniforme da volontaria civile della DDR.
La Cancelliera Angela Merkel e il primo marito Ulrich
Merkel.
Berlino Est, 21 giugno 1987, Rosa-Luxemburg-Platz.
Nel video si vede la Cancelliera Angela Merkel ai festeggiamenti
dopo una conferenza della Freie Deutsche
Jugend, FDJ, di cui era segretaria, insieme al vice presidente del Consiglio
di Stato della DDR Egon Krenz, l’uomo
che guidò la Germania Orientale fino alla caduta del Muro di Berlino e
fedelissimo di Erich Honecker, e diversi
membri del Politburo del Comitato
Centrale della SED, il partito unico
della DDR, tra i quali anche Günter
Schabowski, portavoce della DDR, che,
la sera del 9 novembre 1989, annunciò l’apertura dei confini con la Germania dell’Ovest.
Günter
Schabowski
Wofgang Schnur
Bonn, Wolfgang Schnur e Helmut Kohl [secondo
e terzo da destra].
La Cancelliera Angela Merkel e Lothar
de Maizière.
La Cancelliera Angela Merkel e Lothar
de Maizière.
Signora
la Cancelliera Angela Merkel,
E,
così, spiega il contesto in cui è cresciuta:
“Il più potente
leader europeo è una rifugiata proveniente da un posto e un’epoca dove il suo
potere sarebbe sembrato inimmaginabile. La Repubblica Democratica Tedesca non
era una Repubblica né era Democratica; era uno horror show orwelliano, dove la “Cortina
di ferro” trovava un’espressione concreta nel Muro di Berlino. Timida
figlia di un pastore luterano, Merkel è entrata in politica da protestante
divorziata in un partito a maggioranza cattolica, una donna in un covo di
uomini, una cittadina dell’Est nella Germania appena unificata degli Anni
Novanta, dove quelli dell’Est erano ancora visti come alieni. Nessun importante
leader occidentale è cresciuto dentro una palizzata, cosa che ha dato a Merkel
un raro punto di vista sulla libertà e sui rischi che le persone sono disposte
a correre pur di assaporarla.”
Nel luglio del
2015, durante un forum per giovani,
Lei era stata fortemente criticata per non avere consolato una ragazza
palestinese che stava per essere deportata. Lei disse alla ragazza che non
tutti potevano rimanere in Germania, “qualcuno dovrà andare a casa”.
Ma, qualche
mese dopo, il 4 settembre 2015, Lei prese la decisione più importante del suo
mandato e aprì
le frontiere a più di un milione di rifugiati con lo slogan:
Concretamente, significava in
quel momento consentire ai circa 600 profughi bloccati nella stazione di
Budapest di entrare in Germania.
Questa
decisione determinò la sua popolarità tra i giovani, ma fece vacillare la cultura dell’accoglienza
inscritta nel Grundgesetz e provocò
una valanga politica che tiene, tuttora, l’Europa con il fiato sospeso come mai
era accaduto dall’epoca della Seconda Guerra Mondiale e che contiene in sé
un altissimo potenziale di disgregazione dell’Unione Europea. La sua linea di
condotta, che mirava a fare della Germania la meta principale di profughi e
migranti irregolari, suscitò echi contrastanti nel suo Paese e la richiesta
popolare di limitare il numero di ingressi fu, infatti, particolarmente
pressante.
L’espulsione
di tale Sami A., ordinata dalle autorità di Bochum il 13 luglio precedente, aveva suscitato moltissime
polemiche in Germania. Il quarantaduenne avrebbe percepito indebitamente per anni
un’assistenza sociale mensile sebbene la sua richiesta di asilo fosse stata
respinta e lui fosse stato dichiarato una minaccia per la sicurezza pubblica.
Una sentenza precedente aveva stabilito che l’uomo non poteva essere espulso,
considerato l’alto rischio di subire torture e trattamenti inumani una volta
rientrato in Tunisia.
Molti commentatori sentenziarono:
“La
carriera politica della Cancelliera volge al termine!”
Signora la Cancelliera Angela
Merkel,
nel 1991, Lei aveva confidato al
fotografo Herlind Koeble, che stava lavorando con molti leaders tedeschi a un progetto chiamato Tracce di potere, “di non avere mai sentito la Repubblica Democratica Tedesca come
la sua patria”, definendo, meramente, “opportunistiche al 70%”
le sue attività nell’organizzazione giovanile del partito, la Freie Deutsche Jugend, Libera Gioventù Tedesca, a educare i
ragazzi sull’ideologia e i valori del socialismo, e, successivamente, nell’Agitprop, il Dipartimento Agitazione e Propaganda del Partito Comunista, che le
avevano permesso di accedere al dottorato.
Il crollo del comunismo e la
riunificazione del Paese crearono una grande opportunità per i tedeschi
orientali di ottenere posizioni di primo piano nel governo. Il suo primo
incarico politico nella Germania unita fu quello di portavoce del Demokratischer Aufbruch [Risveglio
Democratico], un movimento nato a Belino, nell’ottobre del 1989, a sostegno
della riunificazione delle due Germanie, che diverrà partito due mesi più tardi
e che Lei guiderà, solo l’anno dopo, per le prime elezioni democratiche nell’ex-Germania
dell’Est.
Nella sua biografia non
autorizzata, La prima vita di Angela M. [https://vitruvianus-9.livejournal.com/902711.html, che Lei non ha preso bene, i due giornalisti della Bild, Ralf Georg Reuth e Günther Lachmann, raccontano
che, a favorire la sua carriera politica siano stati Wolfgang Scnur e Lothar de
Maizière, entrambi costretti a dimettersi,
in quanto si riveleranno “entrambi collaboratori non ufficiali
della STASI”.
E sarà proprio Lei a darne la notizia,
Lei, la democratica, la faccia nuova che, mai, ha avuto rapporti con la STASI.
Ed è, ancora, Lei ad avviare una
pulizia all’interno del suo partito, la CDU,
quando scoppierà la Tangentopoli tedesca e la CDU, il suo partito, sarà colpita dallo scandalo.
La Mani Pulite tedesca taglierà molte teste!
E di nuovo Lei, il 22 dicembre
1999, firmerà l’articolo sulla Frankfurter
Allgemeine Zeitung, in cui prenderà, ostentatamente, le distanze dal suo
mentore, Kohl, che tanto l’ha delusa:
“Il partito deve imparare a correre, deve sapere che potrà
intraprendere la lotta contro gli avversari anche senza il proprio cavallo da
combattimento, come lo stesso Kohl ama spesso definirsi. Come nella pubertà,
deve liberarsi dalla propria casa paterna, deve andare per la propria via.”
Kohl si ritirerà dalla vita
politica e la base inizierà a tifare rumorosamente per la sola non-intaccata
dallo scandalo, la“Mädchen venuta dall’Est”.
Scacco matto alla vecchia
guardia della CDU!
Angela Merkel con i suoi genitori Horst Kasner e Herlind Jentzchs.
Signora la Cancelliera Angela
Merkel,
oggi, l’economia tedesca è una
delle più forti e delle più solide al mondo. I salari e i livelli di vita sono
tra i più elevati, nel mondo. La Germania nazista è divenuta una piacevole
Democrazia.
Sembrava inimmaginabile, 75 anni
fa!
Nel 1945, la potente macchina
bellica tedesca – che solo 6 anni prima, esattamente il
primo settembre del 1939, invadeva la Polonia e, in pochi mesi, sottometteva l’intera
Europa all’egemonia della svastica –
era prostrata nella disfatta.
Le città tedesche erano state
ridotte in cenere.
L’industria e l’economia erano
annientate e, tuttavia, “allo stesso modo in cui i tedeschi avevano stabilito
standards di altissimo livello nella distruzione e nell’autodistruzione, si
rivelevano, ora, essere anche esperti nell’uscire dal baratro e riportare l’ordine”.
E ancora più inimmaginabile 75
anni fa sembrava la riunificazione della Germania che ha ricongiunto 80 milioni
di tedeschi nel cuore dell’Europa, nell’autunno del 1989, “solo un anno prima, nessun uomo politico
tedesco correva dietro a questo obiettivo, e nessun politico straniero voleva
questo […] è l’opera di Dio.”
Agli inizi di questo nuovo secolo,
la Germania appare, di nuovo, la Nazione più potente in Europa, come agli inizi
del secolo scorso!
E anche se in Germania non si grida
ai quattro venti:
“Nei centri del mio nuovo Ordine verrà allevata una gioventù che
spaventerà il mondo. Io voglio una gioventù che compia grandi gesta,
dominatrice, ardita, terribile. Gioventù deve essere tutto questo. L’animale
rapace, libero e dominatore, deve brillare ancora dai suoi occhi. I giovani
debbono imparare il senso del dominio. Debbono imparare a vincere nelle prove
più difficili la paura della morte.”,
si ha la sensazione nel resto
dell’Europa che il “secolo a venire [il XXI secolo] sarà il loro”.
Nel descrivere la tendenza della
Germania a operare cambiamenti tanto subitanei quanto inattesi, Luigi Barzini avverte
di “tenere d’occhio
il Proteo tedesco [il Dio greco del mare, capace di trasformarsi] che cerca di
comprendere le situazioni future prevedibili […] I suoi obiettivi potrebbero
essere, ancora una volta, di schiacciare l’Europa e il mondo.”.
Quando tornò a Berlino, dopo l’ascesa
al potere del nazismo, Barzini vide una città completamente diversa, con “uomini rigidi
in uniformi impeccabili”, uomini di affari seri, donne eleganti e
famiglie:
“Io ho visto un Paese stranamente malleabile alle nuove
direttive date dai nazisti.”
E prosegue:
“La cosa che spaventa di più sono i giovani, in ottima forma, i
loro volti apprettati come quelli dei soldati, i loro occhi brillavano di una
fede fanatica mentre sfilavano, intonando arie marziali quali: “Oggi noi possediamo
la Germania, domani il mondo.”
Questa tendenza ad andare verso
una trasformazione militarista è l’aspetto più inquietante del Popolo tedesco.
I soldati tedeschi sono usciti
dal loro Paese e hanno percorso l’Europa come “una macchina da guerra crudele e
implacabile”, a più riprese nella Storia.
La Seconda Guerra Mondiale, “la più tedesca
di tutte le guerre”, iniziata, nel 1939, quando Adolf Hitler ruppe,
apertamente, le convenzioni firmate con le Nazioni straniere, ha falciato 50
milioni di vite.
L’unità di élite di carri Panzer portò la blitzkrieg, la guerra lampo tedesca.
I sottomarini tedeschi solcarono l’Oceano Atlantico
come mute di lupi e una pioggia di missili V2, da poco sviluppati, condusse
alla morte e alla distruzione dell’Inghilterra.
Milioni di ebrei, di cechi e di
polacchi furono deportati per lavorare nelle fabbriche tedesche e trovarono la
morte nei campi di concentramento.
La macchina da guerra tedesca, nella
Seconda Guerra Mondiale, resta ineguagliata nella Storia occidentale moderna
per la sua efficacia, la sua forza e la sua brutalità distruttive.
In una prospettiva storica, “il Terzo Reich
divenne l’archetipo della barbarie umana”
e non può non indurci, ancora oggi, a porci delle domande:
“Perché
la Germania affonda nella tirannia?”
“Da
dove proviene la sua tendenza?”
“Potrebbe
ripetersi?”
Vedere la Germania dirigere gli
sforzi per l’unificazione dell’Europa, oggi, non sorprende.
Questa idea fa parte dell’eredità
culturale della Germania da più di un millennio.
Attraverso i secoli, la Germania
ha mostrato questa tendenza di cambiamento importante e irrazionale nnel suo
carattere nazionale.
Nella tradizione tedesca, la
lealtà, l’onore e l’eroismo sono più importanti dell’umiltà, la compassione e
la carità, valorizzate dal cristianesimo e questo conflitto fondamentale tra le
influenze della tradizione culturale e i valori giudaico-cristiani spiega
perché le forze prussiano-teutoniche hanno seguito vie completamente diverse da
quelle intraprese dagli altri Popoli della Civiltà Occidentale.
Henri Kissinger,
ex-Segretario di Stato degli Stati Uniti dal 1973 al1977 e Premio Nobel per la
Pace, nel 1973, e la Cancelliera Angela Merkel, per i 70 anni del Piano Marshall. I principali beneficiari
del Piano Marshall erano state la
Gran Bretagna, [26 %] e la Francia [23 %].
Signora la Cancelliera Angela Merkel,
è
per conformarsi ai canoni dell’ideologia liberale, che, con atteggiamento
sprezzante,
si è così ferocemente opposta alla riduzione del debito della Grecia in preda a
difficoltà inaudite?
Il
20 agosto 2018, la fine ufficiale del piano di salvataggio della Grecia, deciso
8 anni prima con i creditori internazionali, Unione Europea, Banca
Centrale Europea e Fondo Monetario
Internazionale non si è affatto tradotta in una uscita dalla crisi, ma
piuttosto in un livello di povertà record,
che ha toccato, soprattutto, i giovani disoccupati e gli anziani pensionati.
In
quegli 8 anni, per evitare il rischio di bancarotta e sotto la pressione dei suddetti
creditori internazionali, in Grecia sono state approvate misure molto pesanti:
-
aumento
delle imposte;
-
riduzione
della spesa;
-
revisione
del sistema pensionistico;
-
riduzione
dei salari pubblici tra il 10 e il 40%;
-
privatizzazione
di alcuni settori.
In
alcuni momenti particolarmente critici, il governo greco fece, anche, ricorso a
misure emergenziali, come il controllo sui capitali, imponendo limiti ai
prelievi giornalieri dai conti correnti, che avevano causato code e panico agli
sportelli delle banche.
Un manifesto con la scritta da
Hitler a Merkel mostrato da un manifestante ad Atene.
Wolfgang Schäuble
Un giro di vite che ha strozzato
un intero Paese, che il suo Paese, ha potuto comperare e, tuttora, compera a
prezzi di saldo, a liquidazione totale avvenuta.
È quello che vorrebbe imporre,
oggi, all’Italia, piegata dall’emergenza a causa della pandemia da coronavirus?
La Cancelliera tedesca Angela
Merkel e il Premier Giuseppe Conte.
Italia:
fuorionda di Conte con Merkel, Salvini è contro tutti
Questo
contenuto è stato pubblicato il Primo febbraio del 2019
SWI
“Salvini è contro
Germania o Francia?” “Salvini è contro tutti.” Sono le parole del premier
italiano Giuseppe Conte in un colloquio avuto con la Cancelliera tedesca Angela
Merkel in una pausa dei lavori del vertice di Davos.
La scena è stata
immortalata dalle telecamere di Piazzapulita che ha ricostruito la
conversazione, in inglese. Conte racconta a Merkel che il M5S è “in sofferenza”
per i sondaggi, in vista delle europee. E le spiega, rispondendo a una domanda
della Cancelliera, che nel M5S prevale la linea di chi considera “amica” la
Germania e intende fare campagna “contro la Francia”. Merkel sorride, alza gli
occhi al cielo, e risponde: “È un approccio molto semplicistico”.
Nel fuorionda
televisivo, trasmesso ieri sera dalla trasmissione di La7, si sente Conte dire
che “il Movimento 5 Stelle è in sofferenza perché nei sondaggi che abbiamo
fatto stanno calando. Abbiamo fatto dei sondaggi. Sono molto preoccupati perché
Salvini è circa al 35-36% e loro scendono al 27-26%. Quindi dicono: “Quali
sono... quali sono – voglio dire – i temi che ci possono aiutare in campagna
elettorale?”
I greci non la presero bene e riesumarono un
vecchio “prestito forzoso” che la Germania nazista aveva imposto alla Banca
Centrale della Grecia, nel 1941, per contribuire allo sforzo della guerra. La
somma reclamata dalla Grecia era di 162 miliardi di euro, senza gli
interessi, pari a circa la metà del debito greco dell’epoca.
Nel 1949, grazie alla
protezione del Piano Marshall,
il suo Paese – l’allora Repubblica Federale Tedesca e di
conseguenza, la Germania – beneficiò di 1,4 miliardi di dollari, che gli permisero
un vero “miracolo economico”:
produzione triplicata;
disoccupazione scesa dal 10% a meno di un quarto;
esportazioni
sestuplicate;
mentre il
PIL crebbe a un tasso medio del 7,9% annuo.
Ma la “magnanimità”
degli Stati Uniti non si fermò qui!
Al fine di
evitare che si ripetessero gli errori e le conseguenze del Trattato di Versailles, firmato dopo la Prima Guerra Mondiale,
Washington ottenne dai firmatari del Piano
Marshall che non avrebbero avanzato alcuna richiesta di riparazione di
guerra da parte della Germania, almeno fino alla sua riunificazione, nel qual
caso, il risarcimento sarebbe entrato nel quadro di un “trattato di pace”.
Nel 1953, i
debiti della Germania verso i Paesi colpiti dalla guerra furono fissati dall’Accordo di Londra.
Ma, nel 1990,
dopo la riunificazione della Germania, il suo mentore, il Cancelliere Helmut
Kohl, ottenne che il Trattato di Mosca non menzionasse il “trattato di pace”.
Diveniva, pertanto,
impossibile sperare in riparazioni di guerra.
Chapeau, Signora la Cancelliera Angela
Merkel!
Un fronte crescente di leaders europei prova, da mesi, a
convincerla sulla necessità di modificare la rotta, tornando a privilegiare la
crescita aull’austerità.
E da mesi, Lei, Signora la
Cancelliera Angela Merkel sembra essere paralizzata, ferma sulle sue posizioni
di rigore, contraria a nuove misure incisive, come l’adozione dei cosiddetti eurobonds, che permetterebbero una più
semplice condivisione del debito in Europa.
Il
giornalista tedesco Michael Braun sostiene che la sua adolescenza nella
Germania dell’Est abbia pesato notevolmente sulla sua formazione politica:
“Forse il suo unico principio è difendere l’economia di mercato
perché ha vissuto proprio nella Repubblica Democratica tedesca.”
Il modello della Germania, come
avvertono numerosi economisti, funziona proprio grazie all’integrazione europea
e all’esistenza della moneta unica.
Un peggioramento della crisi
dell’euro avrebbe serie conseguenze, anche, sull’economia tedesca e sarebb,
quindi, pieno interesse della Germania evitare che questo accada, abbandonando,
almeno in parte, la strada del rigore per ridare un poco di ossigeno alle
economie soffocate dalle misure di austerità e dalla recente pandemia da
coronavirus.
“L’abbiamo ereditato dai nostri predecessori, che avevano tutti
ancora ben presente l’esperienza bellica, e noi che non abbiamo vissuto quell’esperienza
di guerra, abbiamo il grande dovere e il grande compito di rendere quest’Europa
un attore forte nel mondo, che sia in grado di garantire prosperità, pace e
libertà.”,
sono parole sue Signora la
Cancelliera Angela Merkel che sottolineano che occorre ripartire dallo spirito
di comunanza che è alla base dell’Unione Europea.
Signora la Cancelliera Angela Merkel,
sulla scia delle efferatezze perpetrate, durante la
Seconda Guerra Mondiale, certi atti, che determinano la responsabilità penale
dei singoli colpevoli e l’applicazione nei loro confronti del principio della
competenza universale, sono assurti al rango eccezionale di “crimini di diritto internazionale”: la
pirateria e la tratta degli schiavi costituiscono i primi esempi di tali
infrazioni.
Il genocidio appartiene, incontestabilmente, a
questa categoria “di atrocità inimmaginabili che
turbano profondamente la coscienza dell’umanità” e “minacciano
la pace, la sicurezza e il benessere del mondo”
Oggi, noi sappiamo che vi è di
peggio di un genocidio: sapere che si sarebbe potuto evitare un genocidio.
Due
elementi essenziali debbono essere stabiliti per una accusa di genocidio: un
elemento materiale, vale a dire l’esecuzione di uno qualsiasi degli atti
enumerati nel sopracitato articolo 2 e un elemento psicologico, costituito,
generalmente, dall’intenzione colpevole, in questo caso particolare, “l’intenzione di
distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o
religioso, come tale”.
La
violenza genocidaria è formulata ed eseguita da individui, ma gli atti debbono
integrarsi in un piano sistematico, che miri alla distruzione di un gruppo. Non
è necessario ricondurre il programma di distruzione alla politica di uno Stato,
può colmare questo ruolo un altro gruppo organizzato – una organizzazione
internazionale, un governo sub-nazionale, una milizia, una organizzazione
terrorista, una potenza occupante – che disponga dei mezzi necessari per
condurre l’impresa a buon fine. L’atto deve, inoltre, essere compiuto nell’intento
esplicito di distruggere il gruppo e concepito per favorire la realizzazione di
questo obiettivo. Il genocidio è diretto contro il gruppo in quanto entità: le
azioni che provoca sono condotte contro individui, non in ragione delle loro
qualità individuali, ma unicamente in quanto membri del gruppo. In tale modo,
la vittima ultima del crimine non è l’individuo, ma il gruppo. Quest’ultimo,
del resto, è, il più sovente, definito e circoscritto dagli aggressori, senza
che sia necessario manifestare il senso di appartenenza o anche sceglierne o
negarne un nesso.
Non
è affatto necessario pianificare l’eradicazione della popolazione scelta nel
suo insieme o su scala mondiale. Si deve poter rilevare l’intenzione di
eliminarne, se non l’insieme, almeno una parte sostanziale, al di là della
quale l’esistenza del gruppo è minacciata. Parimenti, quando vengono identificati
i leaders o le autorità
socio-culturali più ragguardevoli.
Non
è fissata una soglia quantitativa di vittime: così, è possibile che l’assassinio
di una sola persona possa dare luogo a una accusa di genocidio, se si può
provare l’intenzione specifica associata alla sua esecuzione; diversamente, un
massacro di massa può sfuggire alla qualifica di genocidio, se questa
intenzione è assente o non può essere provata.
Un
genocidio può essere compiuto senza riguardo alle contingenze – in tempo di
pace come in tempo di guerra – ed è imprescrittibile. È ininfluente, altresì,
che gli atti punibili non abbiano costituito una violazione del diritto interno
del Paese, dove sono stati perpetrati:
“Il fatto che il
diritto interno non punisca un atto che costituisce un crimine di diritto
internazionale non solleva dalla responsabilità in diritto internazionale chi
lo abbia commesso.”
Signora Cancelliera Angela Merkel,
75 anni, caratterizzati da una sospettosa e costosa
pace armata e da due guerre mondiali, sono occorsi per mostrare l’impossibilità
di una pacifica convivenza dello Stato tedesco sovrano con gli altri Stati
europei.
Nel maggio del 1945, finita la Seconda Guerra
Mondiale i vincitori decisero di sopprimere lo Stato tedesco e ne divisero il
territorio in quattro zone sottoposte a quattro diverse sovranità. Per la zona
sovietica, sottoposta a una potenza coerentemente imperialista, si profilò
subito la possibilità di diventare un elemento del suo piano espansionistico.
Per le zone sottoposte alle potenze democratiche furono sufficienti 3 anni per
dimostrare l’insostenibilità di una situazione coloniale dei territori
tedeschi.
Non si può ricostruire uno Stato sovrano e
pretendere che resti democratico, disarmato, senza economia di guerra, in mezzo
a un mondo diffidente e ostile.
È al di là delle possibilità umane!
Tollererà questa condizione fintanto che non sarà
in grado di modificarla, ma si alimenterà, giorno per giorno, del desiderio di
riconquistare la potenza perduta, profittando dei dissensi e delle debolezze
dei vincitori.
L’ideale del Reich, organo di gloria e di
potenza e garante di sicurezza e di benessere per tutti i tedeschi, sarà,
sempre, presente nel cuore di questo Popolo privo di tradizioni di libertà e
ridotto in uno stadio avanzatissimo di quella decomposizione sociale che
consiste nella formazione di immense masse di esseri umani senza sicurezza,
senza benessere, senza indipendenza.
Si è voluto che i tedeschi facessero atto di
contrizione e una lunga penitenza, ignorando che nessun Popolo può vivere a
lungo con la coscienza di essere peccatore e che violente e improvvise fiammate
di superbia nazionale sogliono essere la risposta a queste pretese.
Quando un Popolo è considerato maledetto da altri,
è portato a considerarsi eletto.
Non vi è, pertanto, sicuramente altro modo migliore
per far sorgere tra i tedeschi la religione del martirio di Adolf Hitler e
della sua immancabile resurrezione.
Si è voluto insegnare ai tedeschi le virtù e i
pregi della Democrazia con metodi scolastici, con la propaganda orale e
scritta, con libri di Storia addomesticata, con prediche, ignorando che tutto
ciò non è assimilato ed è, anzi, rigettato con disgusto alla prima occasione.
Il nazismo come fenomeno umano non è un prodotto
peculiare tedesco e non è lecito considerare il Popolo tedesco come un Popolo
maledetto per averlo portato alla luce. Il nazismo è il modo di essere di tutte
le comunità in cui i valori individuali sono scomparsi e vigono solo quelli
della comunità come tale, della tribù. Rozzezza, crudeltà, terrore,
aggressività, isterico odio contro gli estranei alla collettività, mancanza del
senso del limite lo caratterizzano eternamente.
Nazisti erano gli ebrei di cui La Bibbia
narra, che, come Popolo eletto, entravano nella Terra Promessa, trucidandone
gli abitanti; nazisti erano gli Spartani, che come Popolo signore dominavano
gli Iloti. E, saltando alla nostra epoca, nazista, con le stesse manifestazioni
di furore lucido, è ogni comunità in cui gli individui non contano nulla e non
hanno diritti di fronte alla comunità come tale. Il nazismo è il punto di
arrivo del nazionalismo e dello Stato nazionale. Cambiando le forme sociali non
si fa scomparire, e, anzi, come mostrano numerosi esempi di Storia
contemporanea, quanto più la comunità nazionale diviene indifferenziata e
compatta, tanto più affiora la truce coscienza di massa.
E, tuttavia, vi è, anche, un aspetto specificamente
tedesco del nazismo. Se la Germania ne è caduta vittima più facilmente e in
modo più radicale di quanto sia accaduto per altri Popoli, è perché lo stesso
tedesco era assolutamente scevro, negli animi dei cittadini, prima ancora che
nelle istituzioni, di quegli elementi di Umanità e di Civiltà, che negli altri
Paesi hanno ostacolato o quanto meno temperato alquanto la violenza del Mito
della Nazione.
Non si può meditare sulla recente Storia della
Germania, senza che tornino alla mente alcuni giudizi di pensatori tedeschi
dell’epoca, in cui è iniziato quel moto che doveva concludersi con la
formazione dello Stato nazionale tedesco. Friedrich
Heinrich Alexander Freiherr von Humboldt vedeva nello sforzo di giungere all’unità tedesca
la fine di quel rigoglio spirituale che aveva dato i suoi migliori frutti solo
perché animato da uno spirito di cosmopolitismo. Chiudersi nella Nazione,
significava per lui chiudersi alla Civiltà.
Christian Johann Heinrich Heine, profeta
irresponsabile e lucido, ammoniva il mondo intero che quando il Popolo tedesco
si fosse levato alla coscienza della sua unità e della sua potenza, lo avrebbe
fatto con tale violenza e fragore di armi da fare impallidire il ricordo del
terrore di Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre e delle conquiste
di Napoleone Bonaparte.
La tragica avventura dello Stato tedesco portatore
del germanischer Volksgeist, sognata ai tempi della Guerra di
Liberazione del 1813, formulata filosoficamente da Georg Wilhelm Friedrich Hegel e
politicamente dagli stessi rivoluzionari tedeschi nei travagli del 1848,
iniziata da Otto Eduard Leopold von
Bismarck-Schönhausen, non si è mai conclusa.
Scrive:
“La Germania non è come gli Stati
confinanti occidentali, una formazione statale unita e storicamente motivata in
cui si fondono frontiere linguistiche, nazionali e statali. La Germania non è
stata, per secoli e sino a tutto il diciannovesimo secolo, altro che un vago
concetto geografico e costituzionale, un vero e proprio patchwork composto di
più di trecento territori grandi e piccoli, un mondo vario molto simile alla
molteplicità di un giardino zoologico, fatto di regni, principati elettorali,
ducati, principati, sedi vescovili, contee, città, imperiali, abbazie e
baliaggi, ognuno dotato di più diritti e potere di tutto il Reich, già di per
sé concetto semimetafisico.
Questo stato di cose non era casuale; la
parcellizzazione dell’Europa Centrale aveva una funzione pan‑europea; solo così
il continente era in grado di mantenere il proprio equilibrio. Chi dominava il
centro dell’Europa, fosse una delle grandi potenze della periferia dell’Europa
o invece una delle potenze sorte nel cuore dell’Europa stessa, non doveva fare
altro che allearsi con un’altra potenza europea per dominare, congiuntamente,
tutto il continente. Ludwig Dehio afferma in proposito: “La Germania priva di
forma per natura, si trovava sul punto di intersezione delle linee di tensione
della grande politica continentale, e la sua disorganizzazione era strettamente
legata, da ormai tre secoli, alla organizzazione di tutto il sistema degli
Stati.”
Fu necessario lo sconvolgimento seguito
alla Rivoluzione Francese, alla caduta del gigante prussiano dai piedi di
argilla sui campi di battaglia di Jena e Auerstadt nell’anno 1806 e all’occupazione
napoleonica, per dare ai tedeschi il senso di una identità e di una comunità
nazionale. Ma questo, agli inizi, fu solo una coscienza radicata nel negativo,
nata dal rifiuto della “belva venuta dalla Corsica”. L’identità tedesca, e
questa fu una delle esperienze decisive dell’epoca, nasceva da un principio di
diversificazione e di ostilità. “Valorosi tedeschi” proclamava il profeta del
nazionalismo tedesco Ernst Moritz Arndt, “la forza del vostro oppressore e
profanatore giace atterrata dal braccio di Dio; i vostri subdoli nemici, i
francesi, sono stati umiliati [...] Solo l’odio più sanguinoso per i francesi
può unire le forze tedesche, riedificare la grandezza tedesca e portare alla
luce gli impulsi più nobili del nostro Popolo; questo odio sia, per il tempo a
venire, il custode più certo dei confini germanici.”
La nazione tedesca definiva se stessa contro la Francia, e cioè non solo
contro lo Stato napoleonico, ma contro tutto ciò che la Francia rappresentava,
soprattutto contro la civiltà francese, che per secoli aveva guidato l’Europa,
aveva improntato di sé la cultura delle corti delle centinaia di residenze
tedesche e che ora, insieme con la frantumazione territoriale e i principati in
tredicesimo di animo antinazionale, veniva condannata impietosamente dai
patrioti tedeschi. La splendida cultura del Romanticismo tedesco era, per molti
aspetti importanti, antifrancese e quindi, cum grano salis, antirazionalistica,
antilluministica, antidemocratica e, poiché nelle odiate idee della Rivoluzione
Francese si era accumulata gran parte della filosofia e del progresso politico
dell’Occidente europeo, generalmente antioccidentale.
II legame diretto e serrato che unisce la nascita della coscienza nazionale
tedesca al sentimento di opposizione all’Occidente ha avuto enormi conseguenze,
perché ogni volta che l’identità culturale o nazionale dei tedeschi ha
attraversato un periodo di crisi, anche il risentimento contro l’Occidente si è
risvegliato, rivolgendosi contro il nemico del momento: sino a ventesimo secolo
inoltrato si trattò del nemico ereditario, la Francia, la cui civilisation
veniva vista come gelida e razionalistica in opposizione con la “cultura”
tedesca più originaria, più vicina alla natura e soprattutto più piena di
sentimento, mentre anche l’amore per l’intrigo e la corruzione dei costumi
francesi veniva contrapposto alla fedeltà e alla semplicità germaniche. Questa
dicotomia non era una cosa nuova. Essa era nata sino dai tempi dell’Umanesimo,
quando era stata riscoperta la Germania di Tacito: lo scrittore latino aveva
presentato ai suoi compatrioti romani ormai snervati e supercivilizzati i
Germani semplici e naturali, come un esempio di moralità. Gli umanisti tedeschi
del XVI secolo avevano capovolto lo specchio: la Roma di Tacito era ora la
Chiesa dei Papi; i dotti tedeschi ritrovavano se stessi negli antichi Germani,
protestando contro le pretese teocratiche della Chiesa e appoggiando le
posizioni di Lutero. Nel XIX secolo, invece, il parallelo era quello tra Roma e
Francia, ed esso era tanto più facile, proprio perché la Francia napoleonica
aveva visto se stessa come reincarnazione dell’Impero Romano e aveva trattato i
tedeschi conquistati come barbari privi di cultura.”
Signora la Cancelliera Angela
Merkel,
cosa avrà voluto dire Barack
Obama nel suo ultimo discorso come presidente degli Stati Uniti, dichiarando
che la Russia costituiva una minaccia per il suo Paese?
La risposta è semplice!
La Russia costituisce con la
Cina un ostacolo, una minaccia per l’agenda egemonica degli Stati Uniti che,
dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, non hanno cessato di imporre la loro
visione nel mondo intero.
Nel mondo di oggi vi sono tre
potenze, la Russia, la Cina e gli Stati Uniti. L’Europa, vassalla degli Stati
Uniti e, dunque, incapace di attuare una politica straniera autonoma perché
assoggettata alla NATO, non conta in questo gioco a tre attori. È vitale per
gli Stati Uniti fare in modo che la Cina non si avvicini troppo alla Russia e
la strategia adottata dagli Stati Uniti è stata di allontanare l’Europa dalla
Russia per indebolire le economie di queste due potenze, forzando l’Europa a
prendere misure di ritorsione economica verso il Cremlino, misure che si sono,
infine, ritorte contro le economie dei Paesi europei.
Naturalmente la Russia si è
avvicinata alla Cina e, in questo gioco strategico a 3 chi è isolato sarà il
perdente, all’occorrenza gli Stati Uniti.
Ecco cosa voleva dire Obama,
perché, infine la Russia non ha alcuna intenzione di attaccare gli Stati Uniti,
sarebbe la fine dell’Umanità e Obama lo sapeva molto bene.
L’ex-capo redattore del giornale
tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung,
Udo Ulfkotte, morto a 56 anni, 13 gennaio 2017, aveva
preso posizioni di veemente denuncia sulla gestione dell’euro e sulla politica
di “accoglienza”.
I suoi timori per una guerra in
Europa, lo condussero alla decisione di dire la verità sui media e fu bollato
come pazzo dal suo stesso giornale.
Nel 2010, la Società Europea Coudenhove-Kalergi ha
assegnato alla Cancelliera Federale Angela Merkel il Premio europeo.
Signora la Cancelliera Angela
Merkel,
dopo la sconfitta della CDU nelle elezioni in Assia, il 29 ottobre 2018, Lei ha annunciato l’uscita dal
Bundestag, allo scadere della legislatura in corso:
“Questo quarto mandato è il mio ultimo. Nel 2021 non
mi presenterò più come candidata, non mi candiderò neanche al Bundestag e non
voglio più ricoprire incarichi politici.”
In un editoriale molto duro del
luglio scorso, Nikolaus Blome, vicedirettore del quotidiano tedesco più venduto
in Germania, Bild, nonché autore di una biografia di Merkel,
titolato Per
quanto ancora, Frau Merkel?, ricorda una sua frase, pronunciata,
come ministra all’ambiente, nel 1997:
“Intendo trovare il momento giusto per l’uscita dalla politica. È
molto più difficile di quanto mi immaginassi. Ma a quel punto non voglio essere
un relitto mezzo morto.”
“Ogni politico deve lasciare, quando si accorge che le sue forze
stanno diminuendo ed avverte che ci sono altri in grado di poter svolgere
meglio i compiti per i quali si sentiva adatto.”,
motivava, così, nel 2012, in un’intervista
al settimanale Stern, la sua rinuncia
a candidarsi a presidente della LINKE,
nel congresso del 2 e 3 giugno, a Goettingen, Oskar Lafontaine, il
sessantottenne enfant terrible della
politica tedesca, che le rimprovera di imporre “ciò che chiedono le banche” per
risolvere la crisi economica europea.
Nell’intervista Lafontaine
spiegava che “le
banche stanno conducendo una guerra contro i Popoli dell’Europa”, il
cui risultato è che con la sua politica Lei “deve riparare con centinaia di miliardi provenienti
dalle entrate fiscali i danni che Lei stessa ha provocato”.
“La signora Merkel si rende conto di cosa sta causando alla
gente con la sua politica dei risparmi?”
Secondo Lafontaine, Lei non capirebbe
i mercati finanziari, mettendo, così, a rischio “l’euro, l’idea dell’Europa, la Democrazia
e lo Stato Sociale”.
“Angela come Hitler per il potere farà fallire l’Ue!”
L’11 Marzo 2008,
Angela Merkel ritira il premio dal B’nai B’rith Europe.
La fine dell’Unione Europea verrà
e, forse, anche prima dei 50 anni che Lei prevede per il raggiungimento della
parità tra Ossis, ex-tedeschi dell’Est,
eWessis, ex-tedeschi dell’Ovest.
Sarà, purtroppo, il degno
coronamento dell’ultima follia tedesca. Proprio quell’Unione Europea nata anche
per evitare che la Germania ripetesse errori del passato in danno del Vecchio
Continente.
Tornano alla mente le parole
di Giulio Andreotti, che al momento della riunificazione delle 2 Germanie,
ebbe a dire di amare tanto la Germania da preferirne 2.
Oggi suonano profetiche, dal
momento che proprio quella riunificazione, non tanto in sé quanto per le
modalità con cui fu conseguita, ha posto le basi di quella Grande Germania che
rischia di seppellire uno dei più grandi progetti geopolitici della Storia.
Daniela
Zini, una Italiana fiera di essere Italiana
Angela Merkel: “La mia meravigliosa infanzia nella DDR”
La cancelliera racconta l’apertura
delle frontiere: “Passai all’Ovest con un’amica, ci regalarono una birra”
Andrea Schulte-Peevers,
Anthony Haywood, Sally O’Brien, Berlino.
David Schoenbaum, The German Question and Other German
Questions.
Peter Schneider, The German Comedy.
Adolf
Hitler, Mein Kampf.
Peter Schneider, The German
Comedy.
Luigi Barzini, The Europeans.
Luigi Barzini, The Europeans.
Luigi
Barzini, The Europeans.
Rand C. Lewis, The Neo-Nazis and German Reunification.
Principi di diritto internazionale riconosciuti nello Statuto e nella
sentenza del Tribunale di Norimberga [7 ottobre 1950]:
La responsabilità penale
internazionale è individuale. Chiunque commetta un atto costituente crimine di
diritto internazionale è di questo responsabile e passibile di condanna. Resta
la responsabilità internazionale dello Stato se questo organizza e viola i suoi
doveri di prevenzione e repressione.
I crimini internazionali sono
indipendenti dal diritto interno dello Stato.
Il fatto che un soggetto abbia
commesso crimine internazionale agendo in qualità di capo di Stato o alto
funzionario non lo esime dalla responsabilità penale internazionale personale.
Il fatto che un soggetto abbia
agito in esecuzione di un ordine non lo esime dalla propria personale
responsabilità penale internazionale. Parallelamente il subordinato ha il
dovere di sottrarsi dall’eseguire ordini riguardanti atti criminali.
Il soggetto imputato di crimine
internazionale ha diritto ad un equo processo imparziale e rispettoso dei
principi generalmente riconosciuti.
I crimini che costituiscono
crimine internazionale sono i crimini contro la pace, i crimini di guerra e i
crimini contro l’umanità. I crimini contro l’umanità sono strettamente connessi
alle precedenti categorie. Riprende l’art. 6 dello Statuto del Tribunale di
Norimberga.
La complicità costituisce
crimine di diritto internazionale.