“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

mercoledì 15 aprile 2020

Rocco Casalino - Che tempo che fa 11/11/2018

Esclusivo: Conte e Merkel a Davos - Tutta la conversazione.

Esclusivo: Conte e Merkel a Davos - Tutta la conversazione.

Bill Gates Meets President-elect Donald Trump




"INNOVAZIONE" NEL CAMPO DELLA SALUTE...
CHE AVRA' AVUTO IN TESTA?
UN MICROCHIP IN TESTA PER OGNUNO DI NOI? 



martedì 14 aprile 2020

Bill Gates, Vaccines and Depopulation

Body of Robert Kennedy's Missing Grandaughter Found, RFK Jr SLAMS BILL ...

MUST WATCH: ROBERT F KENNEDY JR €XÞØŠ€Ś BILL GATES VÅÇĆ1N€ ÅĢ€ÑĎÁ

La guerre est déclarée entre Robert Kennedy et Bill Gates ?

An effective coronavirus vaccine is at least 18 months away: Bill Gates

Bill Gates : Conspiracy Theory becomes Conspiracy Fact COVID-19 Coronavirus

Robert F Kennedy Jr Going on Massive Exposing Attack on Bill Gates Dr Fa...

Bill Gates BBC Interview/ Vaccine For 7 Billion People Causes Outrage Wi...

2020 Virus 19 | Ep.14 | Robert F Kennedy Jr response to Bill Gates | Sho...

Bill Gates responds to vaccine conspiracy theories on CCTV

Robert Kennedy Jr. on 'Controversial' Vaccines, Trump, and climate change

domenica 12 aprile 2020

LETTERA APERTA ALLA SIGNORA CANCELLIERA TEDESCA ANGELA MERKEL di Daniela Zini

LETTERA APERTA
alla Cancelliera Angela Merkel
Das Mädchen, das aus der Kälte kam!


La concezione dell’intellettuale che vive su un’isola deserta, nelle catacombe, nella sua torre d’avorio, di mattoni o di altra cosa, o ancora su un iceberg in mezzo all’oceano, che porta il suo talento, come il gobbo la sua gobba, suggerisce una serie di immagini, certamente, seducenti, ma che dissimulano una visione romantica del creatore, sterile e, mortalmente, pericolosa.
Fintanto che il mio Cuore non cederà, prenderà il partito del debole.
Tale è il ruolo di una coscienza che non è impegnata da alcun interesse personale in interessi di partito.
Perché nessuno si inganni, avverto che non è un manifesto.




“Allora sia Pasqua piena per voi che fabbricate passaggi dove ci sono muri e sbarramenti, per voi apertori di brecce, saltatori di ostacoli, corrieri a ogni costo, atleti della parola pace.”
Erri De Luca

Il periodo che precede la Pasqua è il periodo in cui la Vita si muove, nuovamente, verso la sua pienezza e, con questa sua forza, oggi, così poco compresa, spinge anche noi a rinnovarci, ad abbracciare con una nuova visione lo scorrere incerto della Vita.
Come vorrei che il mio augurio, invece che giungere con le formule consumate del vocabolario di circostanza, arrivasse con una stretta di mano, con uno sguardo profondo, con un sorriso senza parole!
Pasqua è voce del verbo ebraico “pèsah”, passare.
Non è festa per residenti, ma per migratori che si affrettano al viaggio.
Da agnostica vedo le persone di fede così, non impiantate in un centro della loro certezza, ma, continuamente, in movimento sulle piste.
Non si può seppellire la Verità in una tomba: questo è il senso della Pasqua.
Sorprendete e lasciatevi sorprendere: la Vita, l’Amore e la Pace sono appena nati.
Buona Pasqua a Voi e alle Vostre Famiglie!

Pasqua, 12 aprile 2020

Daniela Zini




Fuori dal VIERTES REICH!



Nel 2015, la Cancelliera tedesca Angela Merkel è stata definita la persona dell’anno dal Time, che le ha dedicato la copertina, la 93esima da quando è stato istituito il premio.
Angela Merkel, cancelliera di un mondo libero, è il titolo sul magazine accanto a un ritratto della leader tedesca.
Il premio fino al 1999 era chiamato Uomo dell’Anno, ma, poi, si considerò riduttivo, oltre che discriminatorio. E così fu dedicato a una persona, a un gruppo, a un’idea o a un oggetto che “nel bene e nel male ha influenzato di più gli eventi di quell’anno”.
Angela Merkel ha avuto la meglio su una serie di altri candidati, tra cui il leader dello Stato Islamico Abu Bakr Al-Baghdadi, che era ritenuto il favorito;  il candidato alla nomination repubblicana per la Casa Bianca Donald Trump;  il presidente dell’Iran Hassan Rohani e il ceo di UBER, Travis Kalanick.
È la quarta copertina dedicata a una donna da sola.
Sono passati 29 anni da quando il Time ha scelto una donna come persona dell’anno.
Le precedenti copertine furono dedicate a Wallis Simpson [1936], alla Regina Elisabetta II d’Inghilterra [1952] e a Corazon Aquino [1986].
In altri casi le donne comparirono nelle copertine, ma in gruppo.
Nel 1937, comparve la moglie di Chiang, presidente della Repubblica Cinese dal 1928 al 1948.
Nel 1975, la copertina intitolata Women of the year fu dedicata a 12 donne [Susan Brownmiller, Kathleen Byerly, Alison Cheek, Jill Conway, Betty Ford, Ella Grasso, Carla Hills, Barbara Jordan, Billie Jean King, Carol Sutton, Susie Sharp e Addie Wyatt].
Nel 2002, alle 3 donne che rivelarono informazioni sulle vicende World Com [Cooper], FBI 2001 [Rowley], Enron [Watkins].




“A parte la truffa del comunismo, a me i russi stanno anche simpatici. Sono i crucchi che non sopporto. Loro, i tedeschi, sono sempre stati il problema dell’Europa. Ne riparliamo tra cinquant’anni quando avranno rialzato la testa: i gravi problemi per le future generazioni verranno da Berlino e non da Mosca, glielo dice uno che li conosce tutti come le proprie tasche”.
citazione attribuita a Sir Leonard Spencer  Winston Churchill



“Amo talmente tanto la Germania
 che ne preferivo 2!”
Giulio Andreotti

Giulio Andreotti e Helmut Kohl










Sebastiano Messina, Kohl rassicura Andreotti, la Repubblica, 18 febbraio 1990 [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/02/18/kohl-rassicura-andreotti.html].

“PISA Was lauten sie?, cosa gridano?, chiede Helmut Kohl al suo interprete, aprendo la portiera della sua Mercedes bianca. Wir hoeren nicht got, herr kanzler, non si capisce bene, risponde diplomaticamente il traduttore, guardando imbarazzato quel migliaio di studenti pisani che esprimono con un Andreotti boia la loro scarsa considerazione per il presidente del Consiglio. Dopo il meeting con Hans Modrow, il suo debole collega dell’ altra Germania, dopo il placet di Mikhail Gorbaciov, dopo il faccia a faccia con François Mitterrand, l’uomo che sta guidando la riunificazione tedesca come una locomotiva in discesa è venuto all’ombra della torre pendente per tranquillizzare Giulio Andreotti, i Primi Ministri del Belgio, dell’Olanda e del Lussemburgo e i leader democristiani europei. Il treno della Germania riunificata, ha detto ai suoi colleghi il cancelliere tedesco, non uscirà dai binari dell’integrazione europea. Né sarà guidato, in questa delicatissima corsa contro il tempo, solo dai vincitori della seconda guerra mondiale. Il tavolo al quale siederanno le quattro potenze vincitrici si non si occuperà infatti di problemi delicatissimi come quelli della sicurezza e dei confini, ma discuterà solo della soluzione da dare alle questioni che riguardano Berlino. Questo è il risultato del vertice di Pisa, almeno stando a ciò che ha riferito ai giornalisti lo stesso Andreotti, visto che Kohl non ha voluto affrontare ancora una volta i giornalisti ed è frettolosamente ripartito da Pisa subito dopo la fine della riunione. Quello di ieri era un incontro già in calendario da mesi, prima ancora che la questione tedesca si imponesse all’ordine del giorno. Doveva essere una riunione di routine tra i leader dei partiti democristiani del continente, sotto le bandiere del Partito Popolare Europeo, con programmi come il rilancio delle strutture comuni. È diventato invece, comprensibilmente, un meeting sul caso Germania. E anche un’occasione di chiarimento tra Kohl e Andreotti, in passato protagonisti di un incidente diplomatico che spinse il cancelliere a convocare per chiarimenti il nostro ambasciatore a Bonn. L’episodio è di sei anni fa. Il 13 settembre 1984, intervenendo alla Festa dell’Unità, l’allora ministro degli Esteri, si schierò nettamente contro la prospettiva della riunificazione: Esistono due stati germanici e due Stati germanici devono rimanere. Forse Kohl ha fatto finta di non ricordare l’episodio, durante il breve incontro a due che ha avuto con il suo collega italiano, ma lo stesso Andreotti ha chiuso definitivamente il caso ammettendo davanti ai giornalisti che non la pensa più così. Non che ci sia bisogno della mia particolare benedizione ha detto ma io credo che le cose sono molto diverse, rispetto ad alcuni anni fa. Quello che creava difficoltà nel passato era la situazione internazionale. Oggi che questa situazione è cambiata, io sono favorevole alla riunificazione. Non avrei alcun motivo per non esserlo. E mi auguro che questo processo si svolga intensificando tutto ciò che di buono i tedeschi hanno fatto finora. Dunque nessun rimprovero a Kohl per la sua fretta: Se io e lei fossimo tedeschi forse avremmo la sua stessa ansia ha risposto a un giornalista. Andreotti si accontenta di poter dire che tutti, anche il cancelliere, sono d’accordo sulla necessità di mantenere una continuità perfetta con la politica comunitaria, con la politica atlantica e con la politica della sicurezza europea. Di risultati, Andreotti e i suoi colleghi del Benelux ne hanno portati a casa ben pochi. Del resto Kohl non aveva motivo di concedere a loro quello che aveva già rifiutato a Mitterrand, per esempio la convocazione anticipata della conferenza intergovernativa sull’Unione Monetaria Europea, prevista per fine dell’anno a Roma. Comunque ha minimizzato Andreotti tutti siamo d’accordo sulla necessità di tenerla entro il prossimo semestre [quando la presidenza di turno spetterà all’Italia, ndr]. Qui soprattutto si tratta di verificare, e lo farò la settimana prossima con la signora Thatcher, se quanto è accaduto nel campo strettamente monetario rimuova le difficoltà che prima c’erano nei confronti dello sviluppo del sistema monetario, oppure possa in qualche maniera far aumentare le preoccupazioni. Andreotti ha sgonfiato anche il caso nato con la protesta del ministro De Michelis per l’esclusione dell’Italia dalla formula due-più-quattro [le due Germanie più le quattro potenze vincitrici]. Rivelando di aver affrontato la questione martedì scorso durante l’incontro parigino con Mitterrand, il presidente del Consiglio ha spiegato che Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e URSS dovranno occuparsi di un problema giuridicamente molto specifico, cioè il nuovo status della città di Berlino. Sotto questo aspetto si giustifica e si chiarisce il perché della riunione delle quattro potenze. Non c’è dunque nessuna richiesta italiana di ottenere un posto attorno a quel tavolo. Anzi, ammonisce Andreotti, dobbiamo stare molto attenti, sia perché abbiamo già una serie di sedi istituzionali, sia perché non bisogna, facendo altre chiamate, tirare in ballo questioni come quella delle frontiere che invece vanno tenute completamente al di fuori.”


 
 
 
 

 
 



Giulio Andreotti ripercorre il processo di unificazione della Germania e il terremoto politico che coinvolse i Paesi comunisti dell’Est Europa. Protagonisti e momenti-chiave della fine del bipolarismo Est-Ovest.
Intervista con Giulio Andreotti di Roberto Rotondo
A venti anni dal crollo del Muro di Berlino, Il pragmatismo indispensabile

“Ci fu un momento in cui avemmo la sensazione che lo status quo fosse modificabile, che il Muro che da quarant’anni divideva l’Est dall’Ovest non era così inattaccabile. Si percepiva che un’evoluzione positiva era possibile, anche se piena di difficoltà e interrogativi. Oggi agli storici tutto sembra chiaro, ma in quel momento era molto diverso.” Quando il Muro di Berlino fu abbattuto dalla folla il 9 novembre di vent’anni fa, Giulio Andreotti era a capo del governo italiano e fu impegnato in misura notevole nel processo record che in appena 329 giorni dal crollo del Muro, portò all’unificazione delle due Germanie. L’Italia, nei giorni caldi, ebbe infatti un peso politico specifico notevole, non fosse altro per il fatto che deteneva la presidenza di turno della Comunità europea e della CSCE. E Andreotti, che negli anni precedenti era stato tra coloro che avevano frenato sull’unificazione, ne era divenuto uno dei sostenitori: “Helmut Kohl deve dire grazie all’Italia e in particolare ad Andreotti se molte cose andarono a posto.”, ha dichiarato recentemente a Limes Gianni De Michelis, allora ministro degli Esteri.
Direttore, perché cambiò idea? “Io non sono mai stato per partito preso contro la riunificazione tedesca, la cui base di principio si trovava già negli accordi di Helsinki del 1975. Semplicemente ciò che fino a poco tempo prima sarebbe stata un’avventura sconvolgente era diventata una strada praticabile. Certi passaggi derivano da fattori che inizialmente sembrano secondari, ma che poi, messi insieme, finiscono per condizionare fortemente la situazione.”
Ma che cosa poteva succedere se il gesto più simbolico della fine del bipolarismo, ovvero la caduta del Muro, fosse avvenuto qualche anno prima? “Non sono un profeta, ma aprire una discussione sulla unificazione nelle condizioni che c’erano prima della Perestrojka avrebbe creato un enorme problema per l’Unione Sovietica. Essa sarebbe stata portata a suscitare chissà quali reazioni anche in altri Paesi, per paura che si potesse sollevare non soltanto il problema della riunificazione, ma anche tutto il problema tedesco del dopoguerra. Compreso quello delle frontiere a Est. La perestrojka diede ai diversi Paesi controllati una sorta di “libera uscita”, che consentì loro di organizzarsi a seconda della propria identità. E poiché la Germania dell’Est non aveva mai avuto una propria identità, era normale che si facesse la riunificazione.” E quali furono i fattori che avevano cambiato la situazione cui accennava? “Ce ne furono diversi. Uno determinante fu l’introduzione da parte di Reagan e Bush del tema del rispetto dei diritti umani nei negoziati per la riduzione degli armamenti. Inoltre c’era stata la stolta campagna militare dell’Afghanistan, che aveva creato all’interno dell’URSS un motivo per dubitare del sistema.”
Ci fu un momento in cui avemmo la sensazione che lo status quo fosse modificabile, che il Muro che da quarant’anni divideva l’Est dall’Ovest non era così inattaccabile. Si percepiva che un’evoluzione positiva era possibile, anche se piena di difficoltà e interrogativi. Oggi agli storici tutto sembra chiaro, ma in quel momento era molto diverso
Eppure, a rileggere alcune dichiarazioni dei leader politici fino a poche settimane prima di quel 9 novembre, pare non fosse assolutamente prevedibile ciò che stava per accadere. Uno per tutti, il presidente francese Mitterrand, che sotto la data del 2 ottobre 1989 [sono parole registrate da Jacques Attali], dice: “Quelli che parlano della riunificazione tedesca non capiscono niente. L’Unione Sovietica non l’accetterà mai. Sarebbe la morte del Patto di Varsavia. Chi può immaginarlo?” Riprende Andreotti: “Oggi non è importante stabilire quanto era prevedibile o meno che di lì a breve sarebbe avvenuto il crollo del Muro. Non dovevamo indovinare i numeri della lotteria. Segnali che davano da pensare già c’erano stati: l’apertura della frontiera tra Ungheria ed Austria aveva immediatamente provocato la fuga di migliaia di tedeschi dalla Germania dell’Est alla Germania dell’Ovest. Io non ho particolari meriti o demeriti in questa vicenda, ma penso che dinnanzi a eventi di portata storica uno deve per prima cosa osservare bene e senza preconcetti, tenendo conto degli sviluppi possibili. Noi pensavamo di essere sulla strada giusta, ma eravamo anche molto preoccupati perché non c’era una formula algebrica che ci garantisse che tutto sarebbe andato per il meglio.” Cosa poteva succedere? “Poteva esserci uno scivolamento che avrebbe reso ingovernabile il processo in corso, oppure un irrigidimento che avrebbe reso gli ostacoli insuperabili, interrompendo il dialogo Est-Ovest e riportando indietro le lancette della storia.”
Lei più volte dichiarò che era per una politica dei piccoli passi, ma gli eventi presero un’accelerazione inusuale: “La verità è che la storia non si programma. Certo, se fosse stato possibile disegnare una transizione graduale di tutti i cambiamenti politici a Est, si sarebbero evitati contraccolpi molto duri: dallo sfasciamento improvviso delle Repubbliche iugoslave federate alle manovre che fecero cadere Gorbaciov mandando a picco il suo progetto di autonomie differenziate all’interno dell’Unione Sovietica. Ma il cambiamento era stato atteso a lungo e nel momento in cui si stava realizzando gli eventi presero la mano. D’altronde era anche vero quello che Gorbaciov disse il 7 ottobre al presidente Honecker, che stava celebrando il quarantesimo anniversario della Repubblica Democratica Tedesca [RDT]: “Chi reagisce con ritardo è punito per tutta la vita”. I dirigenti della Germania Orientale erano convinti che il loro ospite d’onore stesse sbagliando tutto, illudendosi di rinnovare il sistema comunista. Da parte loro, il Muro li avrebbe salvaguardati almeno per un altro secolo dalle contaminazioni borghesi. Certo che viste dopo le cose sono chiare, ma allora c’erano delle intuizioni lecite sia in una direzione sia nell’altra.”

Quella sera del 18 novembre a Parigi
Tra i momenti-chiave c’è, per gli studiosi e per chi l’ha vissuta, la sera del 18 novembre del 1989 a Parigi, nove giorni dopo lo smantellamento del Muro. I leader dei dodici Paesi della Comunità europea si ritrovano, su invito di Mitterrand, a discutere della situazione. Doveva essere un incontro di facciata e invece si trasforma in un momento storico. Nella riunione dopo cena, Kohl è in difficoltà: la Thatcher è duramente contraria alla riunificazione, Mitterrand ne parla solo come una “eventualità storica”; anche la Spagna è allineata con questa posizione. Lei, invece, quasi a sorpresa, aiuta Kohl ad uscire dall’impasse affermando che “l’Europa promuove e auspica la riunificazione della Germania”. Il vertice si conclude con un esplicito appoggio a Kohl, che dieci giorni dopo presenta al Parlamento di Bonn un progetto in dieci punti per la riunificazione e le cose continuano a marciare. Quella sera fu davvero un momento di svolta? “Non so se può esistere un singolo momento di svolta. Era in generale un periodo in cui si sentiva la spinta a cambiare delle linee politiche, che erano diventate anche dei partiti presi, e mi accorgevo che una certa evoluzione si stava comunque per attuare. Quindi era meglio scendere con il paracadute piuttosto che senza.” L’appoggio alla riunificazione però non fu incondizionato. Viene definito quello che sarà lo “scambio” geopolitico implicito nel Trattato di Maastricht del 1991: la Comunità europea accetta la riunificazione della Germania in tempi rapidi, ma nel contesto di un’accelerazione del processo di integrazione del gigante tedesco. Al centro del processo sarà la moneta unica, l’euro, e la Germania dovrà rinunciare al marco, una moneta molto forte che faceva sentire la propria influenza anche oltre i Paesi della Comunità europea. Riprende Andreotti: “Ma già Kohl, il 2 novembre 1989, all’incontro bilaterale franco-tedesco, aveva detto a Mitterrand: “Bisogna fare l’Europa per far sì che la Germania non sia più un problema.” L’antidoto al timore, che alcuni potevano avere, che potesse scoppiare una terza guerra mondiale, o che economicamente l’Europa fosse germanizzata, fu vedere con esattezza il problema tedesco. Vero è che il primo nucleo europeo che era nato a Bruxelles nel 1948 era antitedesco, ma il tempo era passato. Inoltre Kohl e Genscher avevano impostato con grande fermezza il processo di riunione, inquadrandolo in un accentuato impegno di partecipazione alla CEE, di partecipazione a una aggiornata Alleanza atlantica e di un rafforzamento della CSCE. Questi ultimi due anelli ci permisero di collegare il dialogo intertedesco al rapporto tra Europa e Stati Uniti e di camminare per il verso giusto.”
La CEE, in particolare, sotto la presidenza italiana, riuscì a stare al passo degli avvenimenti che correvano. Ci sono voluti sette anni per far entrare Spagna e Portogallo e pochi mesi per assorbire la Germania dell’Est. Una delle prime iniziative che vennero prese fu quella di far entrare nel Parlamento europeo i rappresentanti della Germania orientale. Spiega Andreotti: “Il fatto di avere la presidenza di turno nella CEE dava al nostro Paese un ruolo di interlocutore che altrimenti sarebbe stato presuntuoso assumere. E credo sia stato utilizzato piuttosto bene. Qualche forzatura alle procedure ci fu, visti i tempi brevi. Ma fu una politica di buon senso. Qualche volta nella politica nazionale e internazionale si sbaglia proprio perché si perde di vista il fatto che il buon senso è ciò che dovrebbe guidare l’azione. Invece si vanno a cercare formule e motivazioni complesse, anche se dotte, perdendo di vista la linea centrale di quella via di sviluppo che si vuole percorrere.”
Ma non le dispiace di passare, nella vulgata, più per colui che nel 1984 disse di amare tanto la Germania da volerne due, piuttosto che essere annoverato tra coloro che maggiormente aiutarono l’unificazione dei tedeschi sotto il tetto europeo? “Diciamo che potevo risparmiarmi la frase, perché si prestò a speculazioni. Nell’84 bisognava essere realisti, non si poteva pensare di scavalcare facilmente le difficoltà storiche, etniche, culturali ed economiche che c’erano. Potevo risparmiarmela pure perché funzionò talmente bene, anche letterariamente, da diventare lo slogan di una certa posizione contraria all’unificazione e la cosa mi fu rimproverata più volte.”

Gorbaciov, Giovanni Paolo II, la Thatcher
Scorrendo le sue dichiarazioni rese in quel periodo alla stampa, emerge la sua preoccupazione di non compromettere i processi di riforma che erano in corso a Est. Perché quest’attenzione? “Per prima cosa perché la nostra carta vincente è sempre stata quella di non essere provocatori. Mai abbiamo dato l’impressione di voler aggredire, anche in anni in cui la cortina di ferro non lasciava spazio a nessun dialogo. Poi avevo fiducia nella Perestrojka. Pensavo che fosse l’unico modo per superare le enormi difficoltà che avevano i sovietici, difficoltà accentuate anche dal fatto che avevano spalancato le finestre. Chi oltrecortina era contrario alla Perestrojka non agiva alla luce del sole ma faceva leva proprio sulle rivalità etniche e sulla pesante situazione economica, sulla scarsità dei generi alimentari. Invece ho sempre pensato che l’Europa è molto più equilibrata se anche la Russia è una potenza economica.”
Ma Gorbaciov percepiva che poteva trovare nella vostra linea politica una sponda per rafforzare la Perestrojka? Quello che emerge è piuttosto che i russi speravano in una Germania sì unita, ma ondeggiante tra Europa e Patto di Varsavia, un gigante neutrale con un rapporto economico e politico privilegiato con l’URSS. Era davvero questo il piano di Gorbaciov? “Tra le ipotesi più papabili c’era anche l’Asse Berlino-Mosca, e io dichiarai pubblicamente che gli assi non hanno mai portato fortuna a nessuno. Non so se fosse l’idea di Gorbaciov, se nel suo intimo prevalesse la paura del nuovo o il desiderio di esserne autore o coautore. Era una persona molto attenta, riflessiva, non era un impulsivo. Bisogna considerare, però, che era a sua volta condizionato da una sua opinione pubblica che non vedeva di buon occhio certi cambiamenti; anzi, molti ritenevano che concedere qualcosa al fronte opposto fosse eversivo. Penso che Gorbaciov fosse molto preoccupato, ma aveva grandi convinzioni costruttive e credo che nel suo cuore non abbia mai disarmato, anche quando l’URSS si dissolse con il colpo di Stato nel ’91.”
Qualche volta nella politica nazionale e internazionale si sbaglia proprio perché si perde di vista il fatto che il buon senso è ciò che dovrebbe guidare l’azione. Invece si vanno a cercare formule e motivazioni complesse, anche se dotte, perdendo di vista la linea centrale di quella via di sviluppo che si vuole percorrere.
Eppure, un mese fa Gorbaciov ha dichiarato, in un’intervista a la Repubblica, che nel crollo del Muro di Berlino ci furono solo due eroi: i russi e i tedeschi. Cosa ne pensa? “È un modo un po’ restrittivo di vedere le cose, il fatto è che lui non può vederle con distacco perché è stato un attore in questa vicenda, con una sua storia politica alle spalle, con un suo progetto che voleva portare a termine. Il suo non è il giudizio sereno di uno storico.”
Una delle immagini più significative del periodo seguito al crollo fu l’incontro tra Gorbaciov e Giovanni Paolo II a Roma, il primo dicembre 1989: il presidente dell’URSS e il Papa polacco, colui che, secondo una certa linea interpretativa, aveva sconfitto il comunismo. Una domanda che le hanno posto tante volte: quanto influì Papa Wojtyla nel terremoto politico oltrecortina di quegli anni? “Difficile dirlo. Forse è esagerato affermare che il Papa polacco abbia rappresentato l’inizio di tutti i capovolgimenti dell’Europa dell’Est, anche se cronologicamente è così. In realtà Giovanni Paolo II teneva sempre distinte le sue origini, a cui era molto legato, dalla sua missione universale di Pontefice. Certo, rispetto alla preparazione e alla formazione che avevano altre grandi personalità della Chiesa in quel momento, la sua esperienza passata lo metteva in una posizione privilegiata, che gli permetteva di vedere più lontano degli altri.”
Che ricordo ha dell’incontro tra Gorbaciov e Wojtyla? Tra le altre cose in quei giorni il Presidente dell’URSS le disse che la riunificazione tedesca era assurda… “Torno a dire che a volte ci dimentichiamo che tutti i leader stranieri devono tener conto della propria opinione pubblica. Seguimmo quel viaggio con molto interesse, anche perché, pur non confondendo sacro e profano, avevamo un’attenzione alla situazione della Chiesa che altri Paesi potevano non avere. Avevamo qualche preoccupazione per la svolta in corso, ma non abbiamo mai fatto nulla di ostile, posto che potessimo farlo. C’era la speranza che fosse riconosciuto il fatto che chi, come noi, aveva camminato più rapidamente nella direzione giusta, poteva vedere meglio le cose.” In Vaticano erano contenti, preoccupati o nervosi per il crollo del Muro e per ciò che ne stava seguendo? “Il Vaticano o non è mai nervoso o non mostra mai di esserlo. Guardano le cose sub specie aeternitatis, e a ragione, vista la loro storia millenaria. Ci furono prese di posizione e articoli de L’Osservatore Romano, ma non raccolsi in esclusiva preoccupazioni particolari.”
Quanto fu decisivo il fatto che in Polonia c’era in quel momento un governo non comunista, con a capo un cattolico, ma che non aveva messo in dubbio la sua fedeltà all’URSS? “In Occidente c’era una certa simpatia per la Polonia, proprio perché non aveva operato fughe in avanti; sicuramente fu uno degli elementi che impedì alcune posizioni ostili e negative. Uno dei problemi più scottanti che bisognò affrontare fu quello dei confini a Est della Germania unita, che interessava proprio la Polonia”. Da lì, cinquant’anni prima, era iniziata la Seconda Guerra Mondiale… “Vero, ma il 9 novembre, quando crollò il Muro di Berlino, Kohl e Genscher erano proprio a Varsavia, e la prima cosa che fecero fu rassicurare i polacchi che la frontiera Oder-Neisse non sarebbe mai stata messa in discussione.”
Protagonista fu anche la Thatcher. Il primo ministro inglese, a differenza di Mitterrand, che da scettico divenne anche lui fautore dell’integrazione della nuova Germania unita, non cambiò mai idea e fu la più ostinata avversaria dell’unificazione. Non ci ripensò mai, e questo le costò la fine della carriera politica dopo il Trattato di Maastricht... “In parte perché era così il suo temperamento, in parte perché anche la sua visione delle cose e le sue preoccupazioni erano legittime. A posteriori è evidente che fu percorsa la strada giusta, ma sul momento si poteva anche ritenere che fosse giusto essere contrari. Noi fummo colpiti dalla linea dell’unificazione perché ci sembrò la più concreta, ci coinvolgeva nel presente, ma non è che non vedessimo le difficoltà e i rischi.” L’antipatia della Thatcher nei suoi confronti è figlia di questo periodo? “Non so, forse è nata dal fatto che era abituata a una serie di complimenti che scivolavano fin nella venerazione da parte di molti politici, anche italiani, e una certa mia freddezza romana poteva essere interpretata come ostilità. Ma non avevo niente contro di lei.”

Gli Usa, la Nato e dintorni
Gli Stati Uniti premevano perché ci fosse un’accelerazione del processo di unificazione, oppure no? Le sembrava che volessero chiudere presto e con una vittoria schiacciante l’epoca del bipolarismo con l’URSS? “Non era questo il loro atteggiamento. Avevamo la sensazione che gli Usa pensassero che fosse la strada giusta, però registrai anche da parte di alcuni influenti circoli di studi politici statunitensi una notevole diffidenza su tutta la vicenda, anche per le conseguenze che aveva sul piano globale. C’erano complicazioni psicologiche e pratiche anche per loro. Quindi il messaggio che arrivava era chiaro e da noi condiviso: è una scalinata che va salita gradino dopo gradino e senza salti.” Un elemento importante che lega l’Europa agli Usa era ed è l’Alleanza atlantica. Lei in quel periodo ribadì più volte che per procedere bene bisognava ridisegnare rapidamente una nuova Nato: “Cambiavano quelli che fino ad allora erano stati i suoi compiti. Sono stato ministro della Difesa per sette anni e non mi è mai capitato di vedere un progetto che non partisse dall’idea di difendersi da un attacco dall’Est.” Lei vedeva la NATO come un elemento positivo per assorbire la Germania dell’Est, ma nell’ottobre del 1990 rivelò l’esistenza di Gladio, una struttura militare dell’Alleanza atlantica, quasi a voler dire che l’Alleanza era ormai obsoleta. Perché? “C’era un certo contrasto tra una visione culturale, diciamo così, e una visione pratico-politica del problema. Nessuna delle due posizioni era bizzarra, ma in quel momento ci si trovava in una via di mezzo, che proprio “di mezzo” non era, perché c’era anche uno squilibrio tra le due posizioni. Comunque sia, la cosa che meno avrei immaginato era di venire polemicamente definito, anni dopo, un “paleoatlantico” da parte di qualche circolo che fu a lungo irriducibilmente e combattivamente ostile all’Alleanza, approvata dal Parlamento italiano non senza contrasti.”
Il 1990 fu anche l’anno in cui Saddam invase il Kuwait, dando inizio alla crisi del Golfo. Un anno particolarmente problematico? “Se dovessi andare a cercare un periodo in cui le cose sono state molto semplici, farei fatica a trovarlo. Abbiamo sempre avuto una serie di difficoltà, ed è sempre stato vivo il contrasto tra le cose che si ritengono utili e necessarie, e quelle che si possono realizzare. Però quando in qualche momento storico la coscienza di questo contrasto è venuta meno, o ci sono state fughe in avanti inutili, oppure abbiamo battuto il passo, quando invece si poteva camminare.”
Il pragmatismo indispensabile per costruire oggi l’Europa
Il 9 novembre è un anniversario multiplo: è sia il giorno in cui cade il Muro di Berlino, nell’89, ma è anche il giorno in cui, nel 1938, i nazisti avviarono i pogrom antiebraici, con la Notte dei Cristalli. Nel 1999 fu l’allora Cancelliere tedesco Gerhard Schröder a dire che per i tedeschi il 9 novembre è “il giorno del rinnovamento ma anche il giorno in cui cominciò l’abisso”. Uno scherzo della storia? “La coincidenza c’è, ma dobbiamo abituarci a guardare più avanti che indietro. A volte a fare comparazioni con il passato si rende più difficile la convivenza nel presente e lo sviluppo positivo della politica internazionale, e di quella europea in specie.”
Dedicando un’inchiesta a quel sentimento di delusione e malcontento che accompagna i tedeschi da alcuni anni, Der Spiegel si è chiesto recentemente: “Ma da che parte è caduto il Muro?” Oggi, secondo un sondaggio, il 49% dei tedeschi dell’Est pensa che la RDT aveva più cose buone che cattive e si sente ancora un cittadino di serie B. “Certo, quando il Muro crollò la Germania restava da fare ed è normale che qualche errore fu fatto e qualche previsione risultò poi sbagliata. Ma resto scettico di fronte ai sondaggi e credo che, tutto sommato, ognuno possa verificare che la strada intrapresa era quella giusta.”
Anche la costruzione politica dell’Europa sembra attualmente in un momento di stallo e l’euroscetticismo diventa sempre più consistente. Da cosa dipende? “Probabilmente l’ottimismo dei più convinti andava oltre quello che si poteva realisticamente realizzare fin qui. Se facciamo riferimento a quell’ottimismo si può anche essere delusi, o dispiaciuti. Rispetto a coloro che guardavano la realtà con più obiettività si può vedere che alcune cose importanti sono state realizzate, che la strada era ed è rimasta giusta.”
Quali sono allora le condizioni per poter fare un ulteriore pezzo di cammino? “Non ho ricette particolari, l’essenziale è, da una parte, non assuefarsi allo status quo, dall’altra, non fare programmi tanto avveniristici quanto poco realizzabili. Anche oggi siamo in una fase di passaggio. E ogni passaggio si può fare sia con un passo cadenzato sia di corsa, dipende dalla situazione. Quel che davvero conta è dare alle intuizioni una base logica, che permetta loro di svilupparsi concretamente.” È un caso che, prima dal gruppo storico [Adenauer, De Gasperi, Schuman], e poi negli Anni Settanta e Ottanta [lei e Kohl], l’integrazione europea sia stata accelerata da politici democristiani e cattolici? “Io sono convinto della positività di queste ispirazioni religiose, ma bisogna evitare di confondere gli auspici e i desideri con le realtà praticamente realizzabili. Perché in questa Europa così allargata si tratta di costruire delle realtà e delle strutture di una complessità enorme, che ancor più che nel passato devono tener conto delle idee, delle aspettative di culture e appartenenze diverse tra loro. Insomma, un certo pragmatismo oggi è indispensabile.”














   
Qual è il posto della Germania in Europa?
I suoi vicini del Sud hanno ragione quando paragonano la sua autorità attuale alla oscura epoca nazista?
Contrariamente ai sovrani del Sacro Romano Impero Germanico – lo Zuerst Reich – la cancelliera tedesca Angela Merkel non porta una corona per sancire il suo potere e la sua sovranità. 
La cancelliera non esibisce neppure il celebre elmo a punta di Otto von Bismarck, simbolo del Zweites Reich, né i baffetti a spazzolino di Adolf Hitler per il Drittes Reich.
E, tuttavia, grazie o a causa di una buona parte dei Paesi dell’Unione Europa, noi viviamo sotto il Regno del Viertes Reich, che, per la più grande gloria della Germania, limita  e si spinge, perfino, a sopprimere i diritti dei Paesi sotto il suo controllo.
Così, la Grecia e l’Italia hanno visto, nel novembre del 2011, in qualche ora, i loro capi dell’esecutivo, dai talenti, certo, discutibili, ma che avevano almeno il non demerito di essere stati portati al governo, democraticamente, dai propri  cittadini, sostituiti da tecnocrati – Lucas Papademos, governatore della Banca Centrale della Grecia, tra il 1994 e il 2002, quando, nel 2001, Goldman Sachs truccò i conti del Paese per farlo entrare nell’Euro [https://www.italiaoggi.it/news/incredibile-prodi-accusa-la-grecia-di-avere-truccato-i-conti-per-entrare-nell-euro-ma-il-primo-a-farlo-2000531, https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-05-10/spiegel-times-accusano-italia-144326.shtml?uuid=AbvJDcaF], e Mario Monti, international advisor per Goldman Sachs, tra il 2005 e il 2011, – nominati dagli eredi di Sigfrido e dei Nibelunghi.
L’originalità della Comunità Economica Europea, fondata sotto gli auspici, in particolare di Robert Schuman e Konrad Adenauer, risiedeva nel raggruppamento volontario di Stati sovrani e democratici.
Era lo spirito del Trattato di Roma del 25 marzo 1957 [https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:11957E/TXT&from=BG] e delle sue succesive modifiche.
Ma una volontà condivisa non è sufficiente per mantenere uniti i 27 Paesi dell’Europa, neppure i 17 Paesi dell’Eurozona ed è, oramai, l’Asse Franco-Tedesca che governa i Paesi divorati dal deficit e dal debito, cercando bene o male di salvare le apparenze.
Perché il Viertes Reich è molto più sottile ed efficace di quanto lo fossero lo Zweites Reich e il Drittes Reich.
La sua forza non è militare: parte alla conquista dell’Europa a colpi di crediti e di scadenze impossibili da rispettare per i morosi Paesi del Mediterraneo, un gruppo al quale, ultimo paradosso, sembra appressarsi sempre più la Francia di Macron.



“La Democrazia è più di una semplice maggioranza. La Democrazia è protezione delle minoranze, libertà di stampa, […] indipendenza delle istituzioni.”
Angela Merkel




“Quando sono entrata in politica rappresentavo uno strano esemplare che racchiudeva una moltitudine di minoranze: ero protestante, donna, allora ancora giovane, dell’Est e scienziata. Tutte cose che nella CDU [Unione Cristiano-Democratica, ovvero il suo partito di centro-destra] non accadevano spesso. Per questo non potevo rappresentare tutte le componenti di minoranza contemporaneamente.”
così, Lei, Signora la Cancelliera Angela Merkel, risponde nell’intervista rilasciata, lo scorso novembre, a due giornalisti del Sueddeutsche Zeitung, Nico Fried e Cerstin Gammelin, sulla sua esperienza di cittadina della DDR per 35 anni, alla quale viene rimproverato di rappresentare troppo poco i cittadini dell’Est, in una Germania, oramai, unificata, nel momento in cui sono in corso i festeggiamenti per i 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino, con umori, tuttavia, differenti: nella parte orientale, si soffre, ancora, un divario e non solo a livello economico, gap, tra le due ex-Germanie.
Indiscutibilmente, oggi, i tedeschi dell’Est [Ossis] stanno meglio di ieri e meglio dei loro vicini cechi e polacchi, ma il reddito medio all’Est è tra il 22 e il 30% più basso rispetto a quello dell’Ovest, una differenza che contribuisce a diffondere la sensazione di essere dei cittadini di serie B. Con la caduta del Muro di Berlino, anche la Repubblica Democratica Tedesca entrava a fare parte dell’Unione Europea, in quanto parte della Germania Federale Tedesca e i tedeschi dell’Est hanno dovuto, così, affrontare una doppia integrazione: una interna e una europea. La Germania resta un Paese diviso con standards di vita e visioni politiche diversi o, addirittura, divergenti. La riunificazione della Germania è stata, di fatto, l’annessione dell’Est all’Ovest, un duro colpo per una economia basata su un sistema socialista, nonostante il cambio “uno a uno” tra marco della RDT e marco della RFT, imposto all’atto della riunificazione.





Markus Johannes “Mischa” Wolf [19 gennaio 1923 – 9 novembre 2006]
 



Markus Johannes “Mischa” Wolf
“Finché esisterà lo spionaggio, ci saranno dei
Romeo che conquisteranno vittime inconsapevoli.”
La dichiarazione viene da un esperto in materia, l’ex-capo dei servizi segreti della Repubblica Democratica Tedesca Markus Wolf, l’ideatore di un raggruppamento di spie specializzate nel sedurre ignare “Giuliette”. Insomma, qualche volta per farsi la guerra serve... fare l’amore. Per ricattare qualcuno o estorcergli informazioni, infatti, non vi è di meglio che sfruttarne la solitudine o le predilezioni sessuali. Lo testimonia il successo costante di una vecchia arma dello spionaggio, la honey trap, letteralmente “trappola al miele”: in pratica, un agente che usa le sue arti amatorie per incastrare un bersaglio. Certo, non si può escludere a priori che una relazione iniziata con l’inganno possa trasformarsi in vero amore. Ma, di solito, un bel giorno le vittime scoprono di non essere amanti irresistibili, ma burattini più simili al classico marito: quello, cioè, che è sempre l’ultimo a sapere di essere stato tradito.
Lo chiamavano “l’Uomo senza volto”. Markus Wolf, abilissimo a evitare di essere fotografato, fu uno dei membri più brillanti dei servizi segreti dell’ex-Germania dell’Est. Per questo è considerato il modello ispiratore di John le Carré per il personaggio di “Karla”, il maestro dello spionaggio sovietico dei suoi romanzi sulla guerra fredda [anche se l’autore ha sempre negato].
All’inizio degli Anni Cinquanta, Wolf si era reso conto che la morte di milioni di uomini nella Seconda Guerra Mondiale aveva favorito la carriera di molte donne nel governo, nel commercio e nell’industria della Germania dell’Ovest. Tante di loro erano sole e pronte a cadere tra le braccia di qualche bel Romeo, pertanto, Wolf organizzò uno speciale dipartimento della STASI, destinato agli agenti più belli e intelligenti: le spie “Romeo”. Seducendo donne ingenue, ma potenti, a un certo punto le spie s’infiltrarono, perfino, nella segreteria di Helmut Schmidt, cancelliere della Repubblica federale di Germania negli Anni Settanta, riferendo del carteggio tra lui e Jimmy Carter, presidente degli Stati Uniti.
Da Est a Ovest. Il meccanismo ideato da Wolf funzionò finché il controspionaggio della Germania dell’Ovest non trovò un modo per identificare gli agenti della Repubblica Democratica Tedesca prima che facessero conquiste: osservare il loro taglio di capelli. Infatti, all’ingresso nella Repubblica Federale portavano, ancora, un pratico taglio corto dietro e ai lati, invece di quello “da capelloni” di moda nell’Ovest.
La carriera del leggendario capo dello spionaggio di Pankow si concluse prima della riunificazione tedesca.
Nel 1989, alla caduta del Muro di Berlino, si era, già,  ritirato di sua volontà da tre anni dalla carica di capo della STASI, da lui stesso fondata, nel 1953, e aveva rifiutato una offerta golosa dalla CIA.
Nel 1993, fu accusato di tradimento, ma in appello fu assolto in base al presupposto che Markus “Mischa” Wolf aveva agito in favore di quello che allora era il suo Paese. Un secondo processo per un rapimento condotto dalla STASI portò a una condanna di due anni, poi sospesa.
È morto a 83 anni, il giorno del diciassettesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino.
 
Il 9 aprile 2013, il magazine polacco Uwazam Rze raffigurava in prima pagina con il titolo La falsificazione della storia, la cancelliera Angela Merkel in una foto in bianconero, un foulard sulla testa e un pigiama a strisce abbottonato fino al collo. Varsavia accusava Berlino di avere distorto i fatti storici facendo diventare le vittime i carnefici. L’attacco era scaturito dopo che la rete televisiva tedesca ZDF aveva mandato in onda un documentario che aveva raffigurato dei partigiani polacchi anti-semiti. Nel filmato si vedeva un partigiano che affermava:
“Affoghiamo gli ebrei come topi.”
Dopo la visione del documentario, il diplomatico polacco Jerzy Marganski aveva scritto una lettera all’emittente televisiva per esprimere il suo disappunto.
“L’immagine della Polonia e della resistenza polacca contro gli occupanti tedeschi, come trasmessi dalla rete televisiva è estremamente ingiusto e offensivo.”,
aveva tuonato Marganski. Nella rivolta di Varsavia, aveva aggiunto il diplomatico, “morirono 200 mila civili e molti hanno aiutato gli ebrei”.

Il suo mentore, Helmut Kohl – che ha guidato cinque diversi governi, tra il 1982 e il 1998 – anziché avviare un processo di riavvicinamento graduale tra le due Germanie, preferì mettere in atto, di concerto con l’alta borghesia tedesca, una politica di ispirazione coloniale, di distruzione accelerata e di svendita del tessuto industriale della Repubblica Democratica Tedesca a profitto della Repubblica Federale Tedesca, che ha portato a un esito drammatico, altri muri si sono levati nelle teste dei cittadini tedeschi, che continuano a distinguersi in cittadini dell’Ovest, Wessis, e in cittadini dell’Est, Ossis.
A 30 anni dalla riunificazione, il 71% dei tedeschi che vivono nella Germania dell’Est pensa, ancora, che siano troppe le differenze tra tedeschi dell’Est e tedeschi dell’Ovest e il 34% degli Ossis, ex-tedeschi dell’Est, sostiene, perfino, che i Wessis, ex-tedeschi dell’Ovest, siano arroganti e distanti dai loro problemi. Come Lei stessa ha dovuto riconoscere, nella stessa intervista del novembre scorso al Sueddeutsche Zeitung, “per la parità ci vorranno 50 anni o anche più anche se dopo 10 o 20 anni si era pensato che sarebbe stato più veloce.”.
E, quel giorno, nessuno dei presenti oggi potrà smentirla, Signora la Cancelliera Angela Merkel!

Signora la Cancelliera Angela Merkel,
o dovrei dire Signora la Cancelliera Angela Dorothea Kasner, dal momento che suo padre Horst, nel 1930, decise di trasformare il cognome polacco Kazmierczak in un più comodo cognome tedesco, Kasner, che è, per l’appunto, il suo cognome da ragazza, in quanto Merkel è il cognome acquisito dal suo primo marito, Ulrich Merkel, che Lei ha sposato nel lontano 1977, divorziandone, cinque anni più tardi, nel 1982, e che, per sua stessa ammissione, ha attraversato la sua vita come una meteora e “non è stato il grande amore”?
O Signora la Cancelliera Angela Sauer dal nome del suo secondo marito Joachim Sauer, sposato nel 1998, un professore di chimica che non ama i riflettori e compare al suo fianco solo quando il protocollo diplomatico lo impone, “invisibile come una molecola”. 
O più semplicemente, Mutti Merkel, come affettuosamente la chiamano i tedeschi?
La Mamma che, senza figli, sembra avere adottato i suoi connazionali, ai quali impone disciplina in cambio di protezione!
Una girandola di cognomi e non solo, che non ha reso facile la vita a biografi e a giornalisti e ha contribuito a creare attorno alla sua persona leggende imprecise.




Signora la Cancelliera Angela Merkel,
Lei, sicuramente,  ricorderà le leggendarie parole pronunciate dal presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy, il 26 giugno 1963, dal balcone del Municipio di Schöneberg, in occasione della visita ufficiale alla città:
“Ich bin ein Berliner.”
e l’appello rivolto, circa 24 anni dopo,  il 12 giugno 1987, da un altro presidente statunitense Ronald Reagan a Michail Sergeevic Gorbacëv, alla Porta di Brandeburgo, di abbattere la Striscia della Morte, come veniva chiamata la frontiera fortificata, formata da due muri paralleli di cemento armato e larga alcune decine di metri, che divideva Berlino Est da Berlino Ovest, il comunismo dal capitalismo:
“Mr. Gorbacëv, tear down this wall!”
Simbolo per circa trenta anni della Guerra Fredda e della divisione tra Est e Ovest, il Muro ha rappresentato la più spettrale e letale costruzione realizzata in Occidente, con le sue 302 torri di guardia, oggi inglobate dal panorama urbano, che non lasciavano scampo ai fuggiaschi: scavalcare il Muro significava ricevere una pallottola in piena schiena.
Nello spazio di un passo si poteva accedere a una società migliore o questo, almeno,  pensavano le oltre 200 persone che sono morte nel tentativo di compierlo, quel passo!
Io ho avuto il raro privilegio di assistere, il 9 novembre 1989, alla caduta del Muro di Berlino, che ha portato alla riunificazione del suo Paese.
Decine di migliaia di berlinesi dell’Est si ammassarono nei pressi del checkpoint Bornholmer Straße e costrinsero i soldati della RDT ad aprire i confini. Non immaginava neppure lontanamente, quel giorno,  quando, solo più tardi, Lei si decise a scendere in strada con un’amica e ad attraversare il confine, che sarebbe divenuta non solo la prima donna eletta Cancelliere, ma anche la prima a ricoprire l’incarico per ben quattro mandati consecutivi.
Venti anni dopo, rievocherà quel 9 novembre del 1989, con un gruppo ristretto di giornalisti stranieri al tavolo ovale in cui, di solito, riunisce il Consiglio dei Ministri tedesco:
“Prima telefonai a mia madre, visto che avevamo un accordo: andare a mangiare ostriche all’Hotel Kempinski non appena la frontiera fosse stata aperta, cosa che non ho ancora fatto. Poi, come ogni giovedì, andai in una sauna con un’amica. Tornando a casa, camminammo dalle parti di Bornholmer Straße e da lì passammo all’Ovest, dove qualcuno ci diede un barattolo di birra. C’era un’atmosfera emozionante.” [https://www.lastampa.it/esteri/2009/11/06/news/angela-merkel-la-mia-meravigliosa-infanzia-nella-ddr-1.37053812][1]
All’epoca, anche io mi trovavo dall’altro lato della pretesa Cortina di Ferro, nella Repubblica Democratica Tedesca, un Paese, forse, non molto ricco, ma molto accogliente, che accoglieva gli orfani namibiani, i rifugiati palestinesi e sudafricani, i perseguitati della dittatura cilena e tutti i combattenti della libertà, nel mondo…
I più stupiti e i più inermi mi apparvero i Vopos, gli agenti della polizia del Popolo che, per circa trenta anni, avevano sparato contro chiunque avesse tentato di scavalcare il Muro.
Erano circa le 19, a Berlino, quando il portavoce del governo della Repubblica Democratica Tedesca [RDT], Günter Schabowski [https://www.la7.it/atlantide/video/9-novembre-1989-lannuncio-a-sorpresa-di-g%C3%BCnter-schabowski-funzionario-della-ddr-si-pu%C3%B2-attraversare-11-04-2019-268632], convocò una conferenza stampa per dare l’annuncio che, da quel momento, i cittadini della Germania dell’Est sarebbero potuti entrare liberamente e senza restrizioni nel territorio della Germania dell’Ovest [RFT]. Schabowski, in verità, avrebbe dovuto limitarsi ad annunciare che i cittadini della RDT potevano chiedere nuovi permessi speciali per entrare nella RFT e che la misura sarebbe entrata in vigore dal giorno successivo, ma non era stato presente all’incontro in cui si era discusso della nuova misura e nell’annunciarla ai giornalisti si confuse, fornendo, così, il pretesto per abbattere il Muro.
I giornali avevano, già, pronto il titolo:
“Berlino è di nuovo Berlino!”
Pochi rammentarono, allora, o preferirono dimenticare quale triste anniversario fosse quel giorno.
Il 9 novembre 1938, era iniziato il pogrom contro gli ebrei, passato alla Storia con il nome di Kristallnacht, la Notte dei Cristalli. Quella notte, in Germania, in Austria e in Cecoslovacchia, si distrussero le loro proprietà, le loro sinagoghe, le vetrine dei loro negozi, le loro case.
La Germania tornava unita, l’anno successivo, nel 1990.
“Berlino è divenuta una sola città, ma il processo di riunificazione si è dimostrato doloroso e costoso. Le accuse di cattiva gestione dei fondi comunali, di spese esorbitanti e di corruzione sono costate nel 2001 la poltrona al sindaco Eberhard Diepgen, membro della CDU [l’Unione Cristiano-Democratica, ovvero il partito di centro-destra], che era in carica da 15 anni e hanno consegnato il governo della città a una coalizione “rossa” tra la SPD e l’ala di estrema sinistra DIE LINKE. Il carismatico Klaus Wowereit [SPD] si è trovato alla testa di una Città-Stato oberata da una situazione di indebitamento che stava covando sin dal 1990. Con la unificazione, infatti, Berlino aveva perso i consistenti sussidi federali che aveva ricevuto per tutti gli anni del Muro. Le improduttive industrie manifatturiere di Berlino Est, intanto, furono più o meno costrette a chiudere mandando a casa 100mila addetti. Il risultato: un indebitamento esorbitante, quasi 60 miliardi di Euro.”[2]   
Ma per Klaus Wowereit [SPD], sindaco di Berlino:
“Berlino potrà essere povera, ma è sexy.”
La vivacità culturale che aveva fatto grande Berlino, negli Anni Venti, tornava, prepotentemente alla ribalta, trasformando la capitale da una curiosità politica a una presenza vitale tra le capitali europee, con una vita notturna sfrenata, una esplosiva scena artistica e una rinascita teatrale e cabarettistica.
Quando Luigi Barzini visitò Berlino, agli inizi degli Anni Trenta, come corrispondente di guerra, la descrive come la capitale artistica dell’Europa:
“Nel 1931, Berlino era sicuramente la capitale artistica dell’Europa, piena di teatri sfolgoranti, cabarets, mostre di arte di avanguardia, films mozzafiato, esperienze di ogni genere. Il Kurfurstendamm, il famoso viale alberato, una pretenziosa imitazione dell’Avenue des Champs Elysees, era pieno di personaggi creati da de Sade, Havelock Ellis, Sacher-Masoch, Krafft-Ebing e Sigmund Freud. Vi erano uomini vestiti da donna, donne vestite da uomo, ragazzine, donne con gli stivali e le fruste [stivali e fruste di diversi colori, forme e dimensioni, che promettevano diversi divertimenti passivi o attivi].” [3]
E prosegue:
Ho visto protettori che offrivano qualsiasi cosa a chiunque, ragazzini, bambine, giovani robusti, donne libidinose o [suppongo] animali. [Si raccontava la storia che un’oca maschio, sgozzato nel momento giusto, ti avrebbe dato l’orgasmo più intenso, economico e risparmiatore di tempo di tutti, perché ti permetteva di goderti la sodomia, la bestialità, l’omosessualità, la necrofilia, e il sadismo in un colpo solo. Anche la gastronomia, giacché si può, poi, mangiare l’oca.]
Non potevo fare a meno di chiedermi da dove fossero venuti ​​tutti quei mostri, quale Germania li avesse generati. Erano stati là sempre, e se sì, dove si erano nascosti?”
 


Questa è la casa dove la Cancelliera Angela Merkel ha vissuto tutta la sua infanzia e tutta la sua adolescenza, a Templin, a 85 chilometri a Nord di Berlino. Il Waldhof è un luogo particolare, circondato da campi e da foreste di pini. Dai tempi della Repubblica Democratica Tedesca ha ereditato l’appellativo di Goldene Insel, Isola Dorata. Perché in questo spazio tutto era possibile: guardare la televisione dell’Ovest, leggere libri vietati e criticare il regime. Aveva 3 anni Angela Merkel quando suo padre, il pastore protestante Horst Kasner veniva nominato direttore del seminario pastorale, destinato a formare tutti i clerici della regione di Brandeburgo e di Berlino. 
Angela Merkel si descriveva, già, all’epoca come una emarginata.
È figlia di un pastore in un regime comunista, dove la religione è considerata il nemico dello Stato. I suoi genitori non sono ricchi – un pastore guadagna 600 marchi tedeschi al mese, l’equivalente di 300 euro – ma  dispongono di 2 vetture e del telefono, possono spostarsi, facilmente, nell’Ovest e ricevere soldi dai parenti rimasti ad Amburgo…
Una condizione “privilegiata”, secondo Winifred Engelhardt, ex-membro anziano dell’Unione Cristiano-Democratica, impossibile nella Repubblica Democratica Tedesca.
Per gli Ossis, i tedeschi dell’Est, Angela Merkel è divenuta una Wessi, tedesca dell’Ovest: ha tradito la sua comunità, assimilandosi molto velocemente al sistema tedesco dell’Ovest. È una opportunista, una pragmatica e una liberista, che non si è mai opposta al regime.
Per i Wessis, resta la ragazza dell’Est troppo segreta per essere del tutto onsta, diffidente, soffusa da quell’alone di mistero di chi ha trascorso 35 anni dietro la Cortina di Ferro. 
Donna, protestante, divorziata, risposata, senza figli, di sinistra, ha legato con un partito conservatore, il CDU, cattolico e maschilista, per strapparne la presidenza, prima di spingersi alla Cancelleria.
La rotta impeccabile di un “camaleonte”, come l’ha definita il Financial Times Deutschland? 
Per comprendere questo percorso atipico, dobbiamo spingerci nelle profondità di questa “biografia germanico-tedesca”, come la definisce la giornalista Jacqueline Boysen, autrice, nel 2005, di una delle migliori biografie del cancelliere, Angela Merkel, eine Karrière, non tradotta. Perché la storia di Angela Merkel è, anche, la Storia della Germania, della sua divisione e della sua riunificazione. 
    
Angela Merkel in un camping nel 1973.
Angela Dorothea Kasner – Merkel è il cognome del suo primo marito – è nata il 17 luglio 1954 ad Amburgo, dove suo padre ha studiato teologia. Due mesi dopo la nascita di Angela, sua prima figlia, il pastore Horst Kasner decide per militanza di tornare nella sua terra natale, nel Brandeburgo.
Il 17 giugno 1953, il governo di Walter Ernst Paul Ulbricht ha seminato il terrore, facendo appello ai carri sovietici per reprimere il sollevamento di operai impiegati nella costruzione dell’allora Stalinallee: almeno 80 morti e 25mila arresti nella Repubblica Democratica Tedesca.
2,7 milioni di tedeschi prendono, allora, la strada inversa della famiglia Kasner e si rifugiano all’Ovest, fino al 13 agosto 1961, giorno in cui il SED, partito comunista della Germania dell’Est, inizia la costruzione di un muro per arginare l’emorragia.
È il mio primo ricordo politico.”,
ricorda la Cancelliera Angela Merkel,
“Noi tornavamo dalle vacanze in Baviera con mia nonna paterna, in un Maggiolino. Era un venerdì. Mio padre ha capito che stava accadendo qualcosa, perché ha visto del filo spinato ovunque nella foresta. La domenica, ha prestato il suo servizio religioso. Vi era una atmosfera terribile nella chiesa. Tutti piangevano. Anche mia madre.” 
 Horst Kasner, padre di Angela Merkel, nel 2005.

La cancelliera in una foto in bianco e nero, scattata nel 1972, all’età di 18 anni, in cui appare in uniforme da volontaria civile della DDR
 
  



 
La Cancelliera Angela Merkel e il primo marito Ulrich Merkel.

  
  Berlino Est, 21 giugno 1987, Rosa-Luxemburg-Platz.
Nel video si vede la Cancelliera Angela Merkel ai festeggiamenti dopo una conferenza della Freie Deutsche Jugend, FDJ, di cui era segretaria, insieme al vice presidente del Consiglio di Stato della DDR Egon Krenz, l’uomo che guidò la Germania Orientale fino alla caduta del Muro di Berlino e fedelissimo di Erich Honecker,  e diversi membri del Politburo del Comitato Centrale della SED, il partito unico della DDR, tra i quali anche Günter Schabowski, portavoce della DDR, che, la sera del 9 novembre 1989, annunciò l’apertura dei confini con la Germania dell’Ovest. 

Günter Schabowski

Wofgang Schnur

Bonn, Wolfgang Schnur e Helmut Kohl [secondo e terzo da destra].

La Cancelliera Angela Merkel e Lothar de Maizière.



La Cancelliera Angela Merkel e Lothar de Maizière.



Signora la Cancelliera Angela Merkel,
nel 2015, Lei è stata definita la persona dell’anno da Time, che le ha dedicata una copertina. Angela Merkel, cancelliera di un mondo libero è il titolo sul magazine accanto a un suo ritratto, per “avere chiesto più di quanto la maggior parte dei politici del suo Paese avrebbe osato” e “per l’essere rimasta ferma contro la tirannia e le convenienze e per avere dato prova di una leadership morale  risoluta in un mondo dove esa scarseggia” [https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2015/12/09/angela-merkel-persona-dellanno-su-time_daf32bba-baf9-4335-9c03-fdc71b9f21e3.html].
E, così, spiega il contesto in cui è cresciuta:
“Il più potente leader europeo è una rifugiata proveniente da un posto e un’epoca dove il suo potere sarebbe sembrato inimmaginabile. La Repubblica Democratica Tedesca non era una Repubblica né era Democratica; era uno horror show orwelliano, dove la “Cortina di ferro” trovava un’espressione concreta nel Muro di Berlino. Timida figlia di un pastore luterano, Merkel è entrata in politica da protestante divorziata in un partito a maggioranza cattolica, una donna in un covo di uomini, una cittadina dell’Est nella Germania appena unificata degli Anni Novanta, dove quelli dell’Est erano ancora visti come alieni. Nessun importante leader occidentale è cresciuto dentro una palizzata, cosa che ha dato a Merkel un raro punto di vista sulla libertà e sui rischi che le persone sono disposte a correre pur di assaporarla.”
Nel luglio del 2015, durante un forum per giovani, Lei era stata fortemente criticata per non avere consolato una ragazza palestinese che stava per essere deportata. Lei disse alla ragazza che non tutti potevano rimanere in Germania, “qualcuno dovrà andare a casa”.
Ma, qualche mese dopo, il 4 settembre 2015, Lei prese la decisione più importante del suo mandato e aprì le frontiere a più di un milione di rifugiati con lo slogan:
“Wir schaffen das!”[4]
Concretamente, significava in quel momento consentire ai circa 600 profughi bloccati nella stazione di Budapest di entrare in Germania.
Questa decisione determinò la sua popolarità tra i giovani, ma fece vacillare la cultura dell’accoglienza inscritta nel Grundgesetz e provocò una valanga politica che tiene, tuttora, l’Europa con il fiato sospeso come mai era accaduto dall’epoca della Seconda Guerra Mondiale e che contiene in sé un altissimo potenziale di disgregazione dell’Unione Europea. La sua linea di condotta, che mirava a fare della Germania la meta principale di profughi e migranti irregolari, suscitò echi contrastanti nel suo Paese e la richiesta popolare di limitare il numero di ingressi fu, infatti, particolarmente pressante. 


Carola Rackete è ospite, il 10 settembre 2019, del programma della BBC Hardtalk, condotto da Stephen Sackur [https://www.youtube.com/watch?v=lAub6hkrjqE&t=15s, http://vocidallestero.it/2019/09/10/bbc-intervista-a-carola-rackete/].


L’espulsione di tale Sami A., ordinata dalle autorità di Bochum il 13 luglio  precedente, aveva suscitato moltissime polemiche in Germania. Il quarantaduenne avrebbe percepito indebitamente per anni un’assistenza sociale mensile sebbene la sua richiesta di asilo fosse stata respinta e lui fosse stato dichiarato una minaccia per la sicurezza pubblica. Una sentenza precedente aveva stabilito che l’uomo non poteva essere espulso, considerato l’alto rischio di subire torture e trattamenti inumani una volta rientrato in Tunisia.
Molti commentatori sentenziarono:
“La carriera politica della Cancelliera volge al termine!”

Signora la Cancelliera Angela Merkel,
nel 1991, Lei aveva confidato al fotografo Herlind Koeble, che stava lavorando con molti leaders tedeschi a un progetto chiamato Tracce di potere, “di non avere mai sentito la Repubblica Democratica Tedesca come la sua patria”, definendo, meramente, “opportunistiche al 70%” le sue attività nell’organizzazione giovanile del partito, la Freie Deutsche Jugend, Libera Gioventù Tedesca, a educare i ragazzi sull’ideologia e i valori del socialismo, e, successivamente, nell’Agitprop, il Dipartimento Agitazione e Propaganda del Partito Comunista, che le avevano permesso di accedere al dottorato.
Il crollo del comunismo e la riunificazione del Paese crearono una grande opportunità per i tedeschi orientali di ottenere posizioni di primo piano nel governo. Il suo primo incarico politico nella Germania unita fu quello di portavoce del Demokratischer Aufbruch [Risveglio Democratico], un movimento nato a Belino, nell’ottobre del 1989, a sostegno della riunificazione delle due Germanie, che diverrà partito due mesi più tardi e che Lei guiderà, solo l’anno dopo, per le prime elezioni democratiche nell’ex-Germania dell’Est. 
Nella sua biografia non autorizzata, La prima vita di Angela M. [https://vitruvianus-9.livejournal.com/902711.html, che Lei non ha preso bene, i due giornalisti della Bild, Ralf Georg Reuth e Günther Lachmann, raccontano che, a favorire la sua carriera politica siano stati Wolfgang Scnur e Lothar de Maizière, entrambi costretti a dimettersi, in quanto si riveleranno “entrambi collaboratori non ufficiali della STASI”. 
E sarà proprio Lei a darne la notizia, Lei, la democratica, la faccia nuova che, mai, ha avuto rapporti con la STASI.
 






  

Ed è, ancora, Lei ad avviare una pulizia all’interno del suo partito, la CDU, quando scoppierà la Tangentopoli tedesca e la CDU, il suo partito, sarà colpita dallo scandalo.
La Mani Pulite tedesca taglierà molte teste!
E di nuovo Lei, il 22 dicembre 1999, firmerà l’articolo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, in cui prenderà, ostentatamente, le distanze dal suo mentore, Kohl, che tanto l’ha delusa:
“Il partito deve imparare a correre, deve sapere che potrà intraprendere la lotta contro gli avversari anche senza il proprio cavallo da combattimento, come lo stesso Kohl ama spesso definirsi. Come nella pubertà, deve liberarsi dalla propria casa paterna, deve andare per la propria via.”
Kohl si ritirerà dalla vita politica e la base inizierà a tifare rumorosamente per la sola non-intaccata dallo scandalo, la“Mädchen venuta dall’Est.
Scacco matto alla vecchia guardia della CDU!

Angela Merkel con i suoi genitori Horst Kasner e Herlind Jentzchs.

Signora la Cancelliera Angela Merkel,
oggi, l’economia tedesca è una delle più forti e delle più solide al mondo. I salari e i livelli di vita sono tra i più elevati, nel mondo. La Germania nazista è divenuta una piacevole Democrazia.
Sembrava inimmaginabile, 75 anni fa!
Nel 1945, la potente macchina bellica tedesca – che solo 6 anni prima, esattamente il primo settembre del 1939, invadeva la Polonia e, in pochi mesi, sottometteva l’intera Europa all’egemonia della svastica – era prostrata nella disfatta.
Le città tedesche erano state ridotte in cenere.
L’industria e l’economia erano annientate e, tuttavia, “allo stesso modo in cui i tedeschi avevano stabilito standards di altissimo livello nella distruzione e nell’autodistruzione, si rivelevano, ora, essere anche esperti nell’uscire dal baratro e riportare l’ordine”[5].
E ancora più inimmaginabile 75 anni fa sembrava la riunificazione della Germania che ha ricongiunto 80 milioni di tedeschi nel cuore dell’Europa, nell’autunno del 1989, “solo un anno prima, nessun uomo politico tedesco correva dietro a questo obiettivo, e nessun politico straniero voleva questo […] è l’opera di Dio.”[6] 
Agli inizi di questo nuovo secolo, la Germania appare, di nuovo, la Nazione più potente in Europa, come agli inizi del secolo scorso!
E anche se in Germania non si grida ai quattro venti:
“Nei centri del mio nuovo Ordine verrà allevata una gioventù che spaventerà il mondo. Io voglio una gioventù che compia grandi gesta, dominatrice, ardita, terribile. Gioventù deve essere tutto questo. L’animale rapace, libero e dominatore, deve brillare ancora dai suoi occhi. I giovani debbono imparare il senso del dominio. Debbono imparare a vincere nelle prove più difficili la paura della morte.”[7],
si ha la sensazione nel resto dell’Europa che il “secolo a venire [il XXI secolo] sarà il loro”[8].
Nel descrivere la tendenza della Germania a operare cambiamenti tanto subitanei quanto inattesi, Luigi Barzini avverte di “tenere d’occhio il Proteo tedesco [il Dio greco del mare, capace di trasformarsi] che cerca di comprendere le situazioni future prevedibili […] I suoi obiettivi potrebbero essere, ancora una volta, di schiacciare l’Europa e il mondo.”[9].
Quando tornò a Berlino, dopo l’ascesa al potere del nazismo, Barzini vide una città completamente diversa, con “uomini rigidi in uniformi impeccabili”, uomini di affari seri, donne eleganti e famiglie:
“Io ho visto un Paese stranamente malleabile alle nuove direttive date dai nazisti.”[10]
E prosegue:
“La cosa che spaventa di più sono i giovani, in ottima forma, i loro volti apprettati come quelli dei soldati, i loro occhi brillavano di una fede fanatica mentre sfilavano, intonando arie marziali quali: “Oggi noi possediamo la Germania, domani il mondo.”[11]
Questa tendenza ad andare verso una trasformazione militarista è l’aspetto più inquietante del Popolo tedesco.
I soldati tedeschi sono usciti dal loro Paese e hanno percorso l’Europa come “una macchina da guerra crudele e implacabile”, a più riprese nella Storia.
La Seconda Guerra Mondiale, “la più tedesca di tutte le guerre”, iniziata, nel 1939, quando Adolf Hitler ruppe, apertamente, le convenzioni firmate con le Nazioni straniere, ha falciato 50 milioni di vite.
L’unità di élite di carri Panzer portò la blitzkrieg, la guerra lampo tedesca.
 I sottomarini tedeschi solcarono l’Oceano Atlantico come mute di lupi e una pioggia di missili V2, da poco sviluppati, condusse alla morte e alla distruzione dell’Inghilterra.
Milioni di ebrei, di cechi e di polacchi furono deportati per lavorare nelle fabbriche tedesche e trovarono la morte nei campi di concentramento.
La macchina da guerra tedesca, nella Seconda Guerra Mondiale, resta ineguagliata nella Storia occidentale moderna per la sua efficacia, la sua forza e la sua brutalità distruttive. 
In una prospettiva storica, “il Terzo Reich divenne l’archetipo della barbarie umana”[12] e non può non indurci, ancora oggi, a porci delle domande:
“Perché la Germania affonda nella tirannia?”
“Da dove proviene la sua tendenza?”
“Potrebbe ripetersi?”
Vedere la Germania dirigere gli sforzi per l’unificazione dell’Europa, oggi, non sorprende.
Questa idea fa parte dell’eredità culturale della Germania da più di un millennio. 
Attraverso i secoli, la Germania ha mostrato questa tendenza di cambiamento importante e irrazionale nnel suo carattere nazionale.
Nella tradizione tedesca, la lealtà, l’onore e l’eroismo sono più importanti dell’umiltà, la compassione e la carità, valorizzate dal cristianesimo e questo conflitto fondamentale tra le influenze della tradizione culturale e i valori giudaico-cristiani spiega perché le forze prussiano-teutoniche hanno seguito vie completamente diverse da quelle intraprese dagli altri Popoli della Civiltà Occidentale.  


Henri Kissinger, ex-Segretario di Stato degli Stati Uniti dal 1973 al1977 e Premio Nobel per la Pace, nel 1973, e la Cancelliera Angela Merkel, per i 70 anni del Piano Marshall. I principali beneficiari del Piano Marshall erano state la Gran Bretagna, [26 %] e la Francia [23 %].

Signora la Cancelliera Angela Merkel,
è per conformarsi ai canoni dell’ideologia liberale, che, con atteggiamento sprezzante, si è così ferocemente opposta alla riduzione del debito della Grecia in preda a difficoltà inaudite?
Il 20 agosto 2018, la fine ufficiale del piano di salvataggio della Grecia, deciso 8 anni prima con i creditori internazionali, Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale non si è affatto tradotta in una uscita dalla crisi, ma piuttosto in un livello di povertà record, che ha toccato, soprattutto, i giovani disoccupati e gli anziani pensionati.
In quegli 8 anni, per evitare il rischio di bancarotta e sotto la pressione dei suddetti creditori internazionali, in Grecia sono state approvate misure molto pesanti:
-      aumento delle imposte;
-      riduzione della spesa;
-      revisione del sistema pensionistico;
-      riduzione dei salari pubblici tra il 10 e il 40%;
-      privatizzazione di alcuni settori.
In alcuni momenti particolarmente critici, il governo greco fece, anche, ricorso a misure emergenziali, come il controllo sui capitali, imponendo limiti ai prelievi giornalieri dai conti correnti, che avevano causato code e panico agli sportelli delle banche.

Un manifesto con la scritta da Hitler a Merkel mostrato da un manifestante ad Atene.












Wolfgang Schäuble










Un giro di vite che ha strozzato un intero Paese, che il suo Paese, ha potuto comperare e, tuttora, compera a prezzi di saldo, a liquidazione totale avvenuta.
È quello che vorrebbe imporre, oggi, all’Italia, piegata dall’emergenza a causa della pandemia da coronavirus?
 



La Cancelliera tedesca Angela Merkel e il Premier Giuseppe Conte.
Italia: fuorionda di Conte con Merkel, Salvini è contro tutti
Questo contenuto è stato pubblicato il Primo febbraio del 2019
SWI
“Salvini è contro Germania o Francia?” “Salvini è contro tutti.” Sono le parole del premier italiano Giuseppe Conte in un colloquio avuto con la Cancelliera tedesca Angela Merkel in una pausa dei lavori del vertice di Davos.
La scena è stata immortalata dalle telecamere di Piazzapulita che ha ricostruito la conversazione, in inglese. Conte racconta a Merkel che il M5S è “in sofferenza” per i sondaggi, in vista delle europee. E le spiega, rispondendo a una domanda della Cancelliera, che nel M5S prevale la linea di chi considera “amica” la Germania e intende fare campagna “contro la Francia”. Merkel sorride, alza gli occhi al cielo, e risponde: “È un approccio molto semplicistico”.
Nel fuorionda televisivo, trasmesso ieri sera dalla trasmissione di La7, si sente Conte dire che “il Movimento 5 Stelle è in sofferenza perché nei sondaggi che abbiamo fatto stanno calando. Abbiamo fatto dei sondaggi. Sono molto preoccupati perché Salvini è circa al 35-36% e loro scendono al 27-26%. Quindi dicono: “Quali sono... quali sono – voglio dire – i temi che ci possono aiutare in campagna elettorale?”
Secondo la ricostruzione di Piazzapulita, si sente Conte dire: “Perché sull’immigrazione ovviamente Salvini è del tutto... lui chiude tutto. Non c’è spazio. Per me è differente. Sai...”. Il Presidente del Consiglio prosegue: “Ti ricordi di Malta? Quando ho detto: “Donne e bambini li prenderò con l’aereo.” Perché Juncker mi aveva detto: “Salvini dice che tutti i porti sono chiusi.” Io ho detto: “Ok, vuol dire che li prenderò in aereo!” [ https://www.swissinfo.ch/ita/italia--fuorionda-di-conte-con-merkel--salvini-%C3%A8-contro-tutti/44725274, https://www.la7.it/piazzapulita/video/esclusivo-conte-e-merkel-a-davos-tutta-la-conversazione-31-01-2019-261954, https://www.youtube.com/watch?v=69Eh8Mc5RAE]”.



I greci non la presero bene e riesumarono un vecchio “prestito forzoso” che la Germania nazista aveva imposto alla Banca Centrale della Grecia, nel 1941, per contribuire allo sforzo della guerra. La somma reclamata dalla Grecia era di 162 miliardi di euro, senza gli interessi, pari a circa la metà del debito greco dell’epoca.


Nel 1949, grazie alla protezione del Piano Marshall, il suo Paese – l’allora Repubblica Federale Tedesca e di conseguenza, la Germania – beneficiò di 1,4 miliardi di dollari, che gli permisero un vero “miracolo economico”:
produzione triplicata;
disoccupazione scesa dal 10% a meno di un quarto;
esportazioni sestuplicate;
mentre il PIL crebbe a un tasso medio del 7,9% annuo.
Ma la “magnanimità” degli Stati Uniti non si fermò qui!
Al fine di evitare che si ripetessero gli errori e le conseguenze del Trattato di Versailles, firmato dopo la Prima Guerra Mondiale, Washington ottenne dai firmatari del Piano Marshall che non avrebbero avanzato alcuna richiesta di riparazione di guerra da parte della Germania, almeno fino alla sua riunificazione, nel qual caso, il risarcimento sarebbe entrato nel quadro di un “trattato di pace”.
Nel 1953, i debiti della Germania verso i Paesi colpiti dalla guerra furono fissati dall’Accordo di Londra.
Ma, nel 1990, dopo la riunificazione della Germania, il suo mentore, il Cancelliere Helmut Kohl, ottenne che il Trattato di Mosca non menzionasse il “trattato di pace”.
Diveniva, pertanto, impossibile sperare in riparazioni di guerra.
Chapeau, Signora la Cancelliera Angela Merkel!
Un fronte crescente di leaders europei prova, da mesi, a convincerla sulla necessità di modificare la rotta, tornando a privilegiare la crescita aull’austerità.
E da mesi, Lei, Signora la Cancelliera Angela Merkel sembra essere paralizzata, ferma sulle sue posizioni di rigore, contraria a nuove misure incisive, come l’adozione dei cosiddetti eurobonds, che permetterebbero una più semplice condivisione del debito in Europa.
Il giornalista tedesco Michael Braun sostiene che la sua adolescenza nella Germania dell’Est abbia pesato notevolmente sulla sua formazione politica:
“Forse il suo unico principio è difendere l’economia di mercato perché ha vissuto proprio nella Repubblica Democratica tedesca.”
Il modello della Germania, come avvertono numerosi economisti, funziona proprio grazie all’integrazione europea e all’esistenza della moneta unica.
Un peggioramento della crisi dell’euro avrebbe serie conseguenze, anche, sull’economia tedesca e sarebb, quindi, pieno interesse della Germania evitare che questo accada, abbandonando, almeno in parte, la strada del rigore per ridare un poco di ossigeno alle economie soffocate dalle misure di austerità e dalla recente pandemia da coronavirus.
“L’abbiamo ereditato dai nostri predecessori, che avevano tutti ancora ben presente l’esperienza bellica, e noi che non abbiamo vissuto quell’esperienza di guerra, abbiamo il grande dovere e il grande compito di rendere quest’Europa un attore forte nel mondo, che sia in grado di garantire prosperità, pace e libertà.”,
sono parole sue Signora la Cancelliera Angela Merkel che sottolineano che occorre ripartire dallo spirito di comunanza che è alla base dell’Unione Europea. 

Signora la Cancelliera Angela Merkel,
sulla scia delle efferatezze perpetrate, durante la Seconda Guerra Mondiale, certi atti, che determinano la responsabilità penale dei singoli colpevoli e l’applicazione nei loro confronti del principio della competenza universale, sono assurti al rango eccezionale di “crimini di diritto internazionale”: la pirateria e la tratta degli schiavi costituiscono i primi esempi di tali infrazioni.
Il genocidio appartiene, incontestabilmente, a questa categoria “di atrocità inimmaginabili che turbano profondamente la coscienza dell’umanità” e minacciano la pace, la sicurezza e il benessere del mondo” [13]
Oggi, noi sappiamo che vi è di peggio di un genocidio: sapere che si sarebbe potuto evitare un genocidio.
Due elementi essenziali debbono essere stabiliti per una accusa di genocidio: un elemento materiale, vale a dire l’esecuzione di uno qualsiasi degli atti enumerati nel sopracitato articolo 2 e un elemento psicologico, costituito, generalmente, dall’intenzione colpevole, in questo caso particolare, “l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale”[14].
La violenza genocidaria è formulata ed eseguita da individui, ma gli atti debbono integrarsi in un piano sistematico, che miri alla distruzione di un gruppo. Non è necessario ricondurre il programma di distruzione alla politica di uno Stato, può colmare questo ruolo un altro gruppo organizzato – una organizzazione internazionale, un governo sub-nazionale, una milizia, una organizzazione terrorista, una potenza occupante – che disponga dei mezzi necessari per condurre l’impresa a buon fine. L’atto deve, inoltre, essere compiuto nell’intento esplicito di distruggere il gruppo e concepito per favorire la realizzazione di questo obiettivo. Il genocidio è diretto contro il gruppo in quanto entità: le azioni che provoca sono condotte contro individui, non in ragione delle loro qualità individuali, ma unicamente in quanto membri del gruppo. In tale modo, la vittima ultima del crimine non è l’individuo, ma il gruppo. Quest’ultimo, del resto, è, il più sovente, definito e circoscritto dagli aggressori, senza che sia necessario manifestare il senso di appartenenza o anche sceglierne o negarne un nesso.
Non è affatto necessario pianificare l’eradicazione della popolazione scelta nel suo insieme o su scala mondiale. Si deve poter rilevare l’intenzione di eliminarne, se non l’insieme, almeno una parte sostanziale, al di là della quale l’esistenza del gruppo è minacciata. Parimenti, quando vengono identificati i leaders o le autorità socio-culturali più ragguardevoli.
Non è fissata una soglia quantitativa di vittime: così, è possibile che l’assassinio di una sola persona possa dare luogo a una accusa di genocidio, se si può provare l’intenzione specifica associata alla sua esecuzione; diversamente, un massacro di massa può sfuggire alla qualifica di genocidio, se questa intenzione è assente o non può essere provata.
Un genocidio può essere compiuto senza riguardo alle contingenze – in tempo di pace come in tempo di guerra – ed è imprescrittibile. È ininfluente, altresì, che gli atti punibili non abbiano costituito una violazione del diritto interno del Paese, dove sono stati perpetrati:
“Il fatto che il diritto interno non punisca un atto che costituisce un crimine di diritto internazionale non solleva dalla responsabilità in diritto internazionale chi lo abbia commesso.”[15]

Signora Cancelliera Angela Merkel,
75 anni, caratterizzati da una sospettosa e costosa pace armata e da due guerre mondiali, sono occorsi per mostrare l’impossibilità di una pacifica convivenza dello Stato tedesco sovrano con gli altri Stati europei.
Nel maggio del 1945, finita la Seconda Guerra Mondiale i vincitori decisero di sopprimere lo Stato tedesco e ne divisero il territorio in quattro zone sottoposte a quattro diverse sovranità. Per la zona sovietica, sottoposta a una potenza coerentemente imperialista, si profilò subito la possibilità di diventare un elemento del suo piano espansionistico. Per le zone sottoposte alle potenze democratiche furono sufficienti 3 anni per dimostrare l’insostenibilità di una situazione coloniale dei territori tedeschi.
Non si può ricostruire uno Stato sovrano e pretendere che resti democratico, disarmato, senza economia di guerra, in mezzo a un mondo diffidente e ostile.
È al di là delle possibilità umane!
Tollererà questa condizione fintanto che non sarà in grado di modificarla, ma si alimenterà, giorno per giorno, del desiderio di riconquistare la potenza perduta, profittando dei dissensi e delle debolezze dei vincitori.
L’ideale del Reich, organo di gloria e di potenza e garante di sicurezza e di benessere per tutti i tedeschi, sarà, sempre, presente nel cuore di questo Popolo privo di tradizioni di libertà e ridotto in uno stadio avanzatissimo di quella decomposizione sociale che consiste nella formazione di immense masse di esseri umani senza sicurezza, senza benessere, senza indipendenza.
Si è voluto che i tedeschi facessero atto di contrizione e una lunga penitenza, ignorando che nessun Popolo può vivere a lungo con la coscienza di essere peccatore e che violente e improvvise fiammate di superbia nazionale sogliono essere la risposta a queste pretese.
Quando un Popolo è considerato maledetto da altri, è portato a considerarsi eletto.
Non vi è, pertanto, sicuramente altro modo migliore per far sorgere tra i tedeschi la religione del martirio di Adolf Hitler e della sua immancabile resurrezione.
Si è voluto insegnare ai tedeschi le virtù e i pregi della Democrazia con metodi scolastici, con la propaganda orale e scritta, con libri di Storia addomesticata, con prediche, ignorando che tutto ciò non è assimilato ed è, anzi, rigettato con disgusto alla prima occasione.
Il nazismo come fenomeno umano non è un prodotto peculiare tedesco e non è lecito considerare il Popolo tedesco come un Popolo maledetto per averlo portato alla luce. Il nazismo è il modo di essere di tutte le comunità in cui i valori individuali sono scomparsi e vigono solo quelli della comunità come tale, della tribù. Rozzezza, crudeltà, terrore, aggressività, isterico odio contro gli estranei alla collettività, mancanza del senso del limite lo caratterizzano eternamente.
Nazisti erano gli ebrei di cui La Bibbia narra, che, come Popolo eletto, entravano nella Terra Promessa, trucidandone gli abitanti; nazisti erano gli Spartani, che come Popolo signore dominavano gli Iloti. E, saltando alla nostra epoca, nazista, con le stesse manifestazioni di furore lucido, è ogni comunità in cui gli individui non contano nulla e non hanno diritti di fronte alla comunità come tale. Il nazismo è il punto di arrivo del nazionalismo e dello Stato nazionale. Cambiando le forme sociali non si fa scomparire, e, anzi, come mostrano numerosi esempi di Storia contemporanea, quanto più la comunità nazionale diviene indifferenziata e compatta, tanto più affiora la truce coscienza di massa.
E, tuttavia, vi è, anche, un aspetto specificamente tedesco del nazismo. Se la Germania ne è caduta vittima più facilmente e in modo più radicale di quanto sia accaduto per altri Popoli, è perché lo stesso tedesco era assolutamente scevro, negli animi dei cittadini, prima ancora che nelle istituzioni, di quegli elementi di Umanità e di Civiltà, che negli altri Paesi hanno ostacolato o quanto meno temperato alquanto la violenza del Mito della Nazione.
Non si può meditare sulla recente Storia della Germania, senza che tornino alla mente alcuni giudizi di pensatori tedeschi dell’epoca, in cui è iniziato quel moto che doveva concludersi con la formazione dello Stato nazionale tedesco. Friedrich Heinrich Alexander Freiherr von Humboldt vedeva nello sforzo di giungere all’unità tedesca la fine di quel rigoglio spirituale che aveva dato i suoi migliori frutti solo perché animato da uno spirito di cosmopolitismo. Chiudersi nella Nazione, significava per lui chiudersi alla Civiltà.
Christian Johann Heinrich Heine, profeta irresponsabile e lucido, ammoniva il mondo intero che quando il Popolo tedesco si fosse levato alla coscienza della sua unità e della sua potenza, lo avrebbe fatto con tale violenza e fragore di armi da fare impallidire il ricordo del terrore di Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre e delle conquiste di Napoleone Bonaparte.
La tragica avventura dello Stato tedesco portatore del germanischer Volksgeist, sognata ai tempi della Guerra di Liberazione del 1813, formulata filosoficamente da Georg Wilhelm Friedrich Hegel e politicamente dagli stessi rivoluzionari tedeschi nei travagli del 1848, iniziata da Otto Eduard Leopold von Bismarck-Schönhausen, non si è mai conclusa.   
Per lo storico tedesco Hagen Schulze [https://www.youtube.com/watch?v=PfkPDRCXKmo], “la nostra identità è correttamente spiegata quando noi conosciamo la nostra Storia”.
Scrive: 
“La Germania non è come gli Stati confinanti occidentali, una formazione statale unita e storicamente motivata in cui si fondono frontiere linguistiche, nazionali e statali. La Germania non è stata, per secoli e sino a tutto il diciannovesimo secolo, altro che un vago concetto geografico e costituzionale, un vero e proprio patchwork composto di più di trecento territori grandi e piccoli, un mondo vario molto simile alla molteplicità di un giardino zoologico, fatto di regni, principati elettorali, ducati, principati, sedi vescovili, contee, città, imperiali, abbazie e baliaggi, ognuno dotato di più diritti e potere di tutto il Reich, già di per sé concetto semimetafisico.
Questo stato di cose non era casuale; la parcellizzazione dell’Europa Centrale aveva una funzione pan‑europea; solo così il continente era in grado di mantenere il proprio equilibrio. Chi dominava il centro dell’Europa, fosse una delle grandi potenze della periferia dell’Europa o invece una delle potenze sorte nel cuore dell’Europa stessa, non doveva fare altro che allearsi con un’altra potenza europea per dominare, congiuntamente, tutto il continente. Ludwig Dehio afferma in proposito: “La Germania priva di forma per natura, si trovava sul punto di intersezione delle linee di tensione della grande politica continentale, e la sua disorganizzazione era strettamente legata, da ormai tre secoli, alla organizzazione di tutto il sistema degli Stati.”
Fu necessario lo sconvolgimento seguito alla Rivoluzione Francese, alla caduta del gigante prussiano dai piedi di argilla sui campi di battaglia di Jena e Auerstadt nell’anno 1806 e all’occupazione napoleonica, per dare ai tedeschi il senso di una identità e di una comunità nazionale. Ma questo, agli inizi, fu solo una coscienza radicata nel negativo, nata dal rifiuto della “belva venuta dalla Corsica”. L’identità tedesca, e questa fu una delle esperienze decisive dell’epoca, nasceva da un principio di diversificazione e di ostilità. “Valorosi tedeschi” proclamava il profeta del nazionalismo tedesco Ernst Moritz Arndt, “la forza del vostro oppressore e profanatore giace atterrata dal braccio di Dio; i vostri subdoli nemici, i francesi, sono stati umiliati [...] Solo l’odio più sanguinoso per i francesi può unire le forze tedesche, riedificare la grandezza tedesca e portare alla luce gli impulsi più nobili del nostro Popolo; questo odio sia, per il tempo a venire, il custode più certo dei confini germanici.”
La nazione tedesca definiva se stessa contro la Francia, e cioè non solo contro lo Stato napoleonico, ma contro tutto ciò che la Francia rappresentava, soprattutto contro la civiltà francese, che per secoli aveva guidato l’Europa, aveva improntato di sé la cultura delle corti delle centinaia di residenze tedesche e che ora, insieme con la frantumazione territoriale e i principati in tredicesimo di animo antinazionale, veniva condannata impietosamente dai patrioti tedeschi. La splendida cultura del Romanticismo tedesco era, per molti aspetti importanti, antifrancese e quindi, cum grano salis, antirazionalistica, antilluministica, antidemocratica e, poiché nelle odiate idee della Rivoluzione Francese si era accumulata gran parte della filosofia e del progresso politico dell’Occidente europeo, generalmente antioccidentale.
II legame diretto e serrato che unisce la nascita della coscienza nazionale tedesca al sentimento di opposizione all’Occidente ha avuto enormi conseguenze, perché ogni volta che l’identità culturale o nazionale dei tedeschi ha attraversato un periodo di crisi, anche il risentimento contro l’Occidente si è risvegliato, rivolgendosi contro il nemico del momento: sino a ventesimo secolo inoltrato si trattò del nemico ereditario, la Francia, la cui civilisation veniva vista come gelida e razionalistica in opposizione con la “cultura” tedesca più originaria, più vicina alla natura e soprattutto più piena di sentimento, mentre anche l’amore per l’intrigo e la corruzione dei costumi francesi veniva contrapposto alla fedeltà e alla semplicità germaniche. Questa dicotomia non era una cosa nuova. Essa era nata sino dai tempi dell’Umanesimo, quando era stata riscoperta la Germania di Tacito: lo scrittore latino aveva presentato ai suoi compatrioti romani ormai snervati e supercivilizzati i Germani semplici e naturali, come un esempio di moralità. Gli umanisti tedeschi del XVI secolo avevano capovolto lo specchio: la Roma di Tacito era ora la Chiesa dei Papi; i dotti tedeschi ritrovavano se stessi negli antichi Germani, protestando contro le pretese teocratiche della Chiesa e appoggiando le posizioni di Lutero. Nel XIX secolo, invece, il parallelo era quello tra Roma e Francia, ed esso era tanto più facile, proprio perché la Francia napoleonica aveva visto se stessa come reincarnazione dell’Impero Romano e aveva trattato i tedeschi conquistati come barbari privi di cultura.”

Signora la Cancelliera Angela Merkel,
cosa avrà voluto dire Barack Obama nel suo ultimo discorso come presidente degli Stati Uniti, dichiarando che la Russia costituiva una minaccia per il suo Paese?
La risposta è semplice!
La Russia costituisce con la Cina un ostacolo, una minaccia per l’agenda egemonica degli Stati Uniti che, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, non hanno cessato di imporre la loro visione nel mondo intero.
Nel mondo di oggi vi sono tre potenze, la Russia, la Cina e gli Stati Uniti. L’Europa, vassalla degli Stati Uniti e, dunque, incapace di attuare una politica straniera autonoma perché assoggettata alla NATO, non conta in questo gioco a tre attori. È vitale per gli Stati Uniti fare in modo che la Cina non si avvicini troppo alla Russia e la strategia adottata dagli Stati Uniti è stata di allontanare l’Europa dalla Russia per indebolire le economie di queste due potenze, forzando l’Europa a prendere misure di ritorsione economica verso il Cremlino, misure che si sono, infine, ritorte contro le economie dei Paesi europei.
Naturalmente la Russia si è avvicinata alla Cina e, in questo gioco strategico a 3 chi è isolato sarà il perdente, all’occorrenza gli Stati Uniti.
Ecco cosa voleva dire Obama, perché, infine la Russia non ha alcuna intenzione di attaccare gli Stati Uniti, sarebbe la fine dell’Umanità e Obama lo sapeva molto bene.
L’ex-capo redattore del giornale tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, Udo Ulfkotte, morto a 56 anni, 13 gennaio 2017, aveva preso posizioni di veemente denuncia sulla gestione dell’euro e sulla politica di “accoglienza”.
I suoi timori per una guerra in Europa, lo condussero alla decisione di dire la verità sui media e fu bollato come pazzo dal suo stesso giornale.   

Nel 2010, la Società Europea Coudenhove-Kalergi ha assegnato alla Cancelliera Federale Angela Merkel il Premio europeo.

Signora la Cancelliera Angela Merkel,
dopo la sconfitta della CDU nelle elezioni in Assia, il 29 ottobre 2018, Lei ha annunciato l’uscita dal Bundestag, allo scadere della legislatura in corso:  
“Questo quarto mandato è il mio ultimo. Nel 2021 non mi presenterò più come candidata, non mi candiderò neanche al Bundestag e non voglio più ricoprire incarichi politici.”
In un editoriale molto duro del luglio scorso, Nikolaus Blome, vicedirettore del quotidiano tedesco più venduto in Germania, Bild,  nonché autore di una biografia di Merkel, titolato Per quanto ancora, Frau Merkel?, ricorda una sua frase, pronunciata, come ministra all’ambiente, nel 1997: 
“Intendo trovare il momento giusto per l’uscita dalla politica. È molto più difficile di quanto mi immaginassi. Ma a quel punto non voglio essere un relitto mezzo morto.”
“Ogni politico deve lasciare, quando si accorge che le sue forze stanno diminuendo ed avverte che ci sono altri in grado di poter svolgere meglio i compiti per i quali si sentiva adatto.”,
motivava, così, nel 2012, in un’intervista al settimanale Stern, la sua rinuncia a candidarsi a presidente della LINKE, nel congresso del 2 e 3 giugno, a Goettingen, Oskar Lafontaine, il sessantottenne enfant terrible della politica tedesca, che le rimprovera di imporre “ciò che chiedono le banche” per risolvere la crisi economica europea.
Nell’intervista Lafontaine spiegava che “le banche stanno conducendo una guerra contro i Popoli dell’Europa”, il cui risultato è che con la sua politica Lei “deve riparare con centinaia di miliardi provenienti dalle entrate fiscali i danni che Lei stessa ha provocato”.
“La signora Merkel si rende conto di cosa sta causando alla gente con la sua politica dei risparmi?”
Secondo Lafontaine, Lei non capirebbe i mercati finanziari, mettendo, così, a rischio “l’euro, l’idea dell’Europa, la Democrazia e lo Stato Sociale”
Angela come Hitler per il potere farà fallire l’Ue!”

L’11 Marzo 2008, Angela Merkel ritira il premio dal B’nai B’rith Europe.

La fine dell’Unione Europea verrà e, forse, anche prima dei 50 anni che Lei prevede per il raggiungimento della parità tra Ossis, ex-tedeschi dell’Est, eWessis, ex-tedeschi dell’Ovest.
Sarà, purtroppo, il degno coronamento dell’ultima follia tedesca. Proprio quell’Unione Europea nata anche per evitare che la Germania ripetesse errori del passato in danno del Vecchio Continente. 
Tornano alla mente le parole di Giulio Andreotti, che al momento della riunificazione delle 2 Germanie, ebbe a dire di amare tanto la Germania da preferirne 2.
Oggi suonano profetiche, dal momento che proprio quella riunificazione, non tanto in sé quanto per le modalità con cui fu conseguita, ha posto le basi di quella Grande Germania che rischia di seppellire uno dei più grandi progetti geopolitici della Storia.



Daniela Zini, una Italiana fiera di essere Italiana


[1] Angela Merkel: “La mia meravigliosa infanzia nella DDR”
La cancelliera racconta l’apertura delle frontiere: “Passai all’Ovest con un’amica, ci regalarono una birra”

[2] Andrea Schulte-Peevers, Anthony Haywood, Sally O’Brien, Berlino.

[4] “Ce la faremo!”

[5] David Schoenbaum, The German Question and Other German Questions.

[6] Peter Schneider, The German Comedy.

[7] Adolf Hitler, Mein Kampf.

[8] Peter Schneider, The German Comedy.

[9] Luigi Barzini, The Euro­peans.

[10] Luigi Barzini, The Euro­peans.

[11] Luigi Barzini, The Euro­peans.

[12] Rand C. Lewis, The Neo-Nazis and Ger­man Reunification.

[13] Preambolo dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, firmato il 17 luglio 1998, alla presenza dei rappresentanti di 160 Paesi, durante la Conferenza Diplomatica dei Plenipotenziari delle Nazioni Unite sulla creazione di una Corte Criminale Internazionale, svoltasi a Roma dal 15 al 17 luglio 1998, [http://www.cirpac.it/pdf/testi/Statuto%20di%20Roma%20della%20Corte%20Penale%20Internazionale.pdf,   http://www.integrazionemigranti.gov.it/Normativa/documenti-ue/Documents/Statuto%20di%20Roma%20della%20Corte%20Penale%20Internazionale.pdf].

[14] Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Delitto di genocidio,  adottata dalla Organizzazione delle Nazioni Unite, a New York, il 9 dicembre 1948, con la Risoluzione 260 A  [https://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/19994549/201406110000/0.311.11.pdf].

[15] Principi di diritto internazionale riconosciuti nello Statuto e nella sentenza del Tribunale di Norimberga [7 ottobre 1950]:
La responsabilità penale internazionale è individuale. Chiunque commetta un atto costituente crimine di diritto internazionale è di questo responsabile e passibile di condanna. Resta la responsabilità internazionale dello Stato se questo organizza e viola i suoi doveri di prevenzione e repressione.
I crimini internazionali sono indipendenti dal diritto interno dello Stato.
Il fatto che un soggetto abbia commesso crimine internazionale agendo in qualità di capo di Stato o alto funzionario non lo esime dalla responsabilità penale internazionale personale.
Il fatto che un soggetto abbia agito in esecuzione di un ordine non lo esime dalla propria personale responsabilità penale internazionale. Parallelamente il subordinato ha il dovere di sottrarsi dall’eseguire ordini riguardanti atti criminali.
Il soggetto imputato di crimine internazionale ha diritto ad un equo processo imparziale e rispettoso dei principi generalmente riconosciuti.
I crimini che costituiscono crimine internazionale sono i crimini contro la pace, i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità. I crimini contro l’umanità sono strettamente connessi alle precedenti categorie. Riprende l’art. 6 dello Statuto del Tribunale di Norimberga.
La complicità costituisce crimine di diritto internazionale.