“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

giovedì 30 gennaio 2020

Viva la dipendenza affettiva! di Daniela Zini

Viva la dipendenza affettiva!


“L’amore è sempre nuovo. Non importa che amiamo una, due, dieci volte nella vita: ci troviamo sempre davanti a una situazione che non conosciamo. L’amore può condurci all’inferno o in paradiso, comunque ci porta sempre in qualche luogo.”
Paulo Coelho


“Il existe, dans de nombreuses langues, un mot qui désigne à la fois l’acte de donner et celui de prendre, la charité et l’avidité, la bienfaisance et la convoitise – c’est le mot: amour. Le désir ardent qu’a un être de tout ce qui peut le combler et l’abnégation sans réserve convergent paradoxalement dans un même vocable. On parle d’amour pour l’apothéose du souci de soi, et pour le souci de l’Autre poussé à son paroxysme.
Mais qui croît encore au désintéressement? Qui prend pour argent comptant l’existence de comportements bénévoles?”

scrive Alain Finkielkraut in La Sagesse de l’Amour.
E ancora :

“L’amour fait de vous l’otage d’un absent que vous ne pouvez ni fixer, ni esquiver, ni éconduire. Cette emprise est le désespoir de l’amoureux, et son trésor le plus cher. Elle est la violence dont il souffre et la valeur qu’il affirme en lui-même.”

L’amore è cambiato per l’azione del femminismo?
I rapporti uomo-donna sono gli stessi?
L’amore non resta sempre, profondamente, lo stesso fenomeno, pieno di contraddizioni, di dolori e di felicità?
Le parole delle canzoni possono chiarirci a tale riguardo?
Quando Edith Piaf, alla fine degli anni 1950, sentì, per la prima volta, la canzone di Jacques Brel Ne me quitte pas, esclamò con tono scandalizzato:

“Un homme ne devrait jamais chanter ça.”

Per lei, un uomo non doveva mai manifestare la sua dipendenza affettiva, doveva dominare. Era destino della donna aggrapparsi all’amore. 
Ma se si ascoltano le canzoni d’amore da Jacques Brel, Léo Ferré e Georges Brassens a Daniel Bélanger, Paul Piché e Vincent Delerm, passando per Charles Aznavour e tanti altri, si vede che i rapporti uomo-donna sono profondamente cambiati in meglio.
Durante gli anni 1950, Boris Vian non faceva dire alle sue interpreti femminili:

Johnny, fais-moi mal…”?

Oggi Carla Bruni canta soavemente:

“L’amour, j’en veux pas. Je préfère (…) le goût étrange et doux de la peau de mes amants. Mais l’amour… pas vraiment.”

Quels délices!  
Ho appena finito di rileggere Le donne che amano troppo di Robin Norwood nell’edizione Feltrinelli.
Ecco quello che è scritto sul dorso del libro:

“Perché amare diviene “amare troppo”, e quando questo accade? Perché le donne a volte pur riconoscendo il loro partner come inadeguato o non disponibile non riescono a liberarsene? Mentre sperano o desiderano che “lui” cambi, di fatto si coinvolgono sempre più profondamente in un meccanismo di assuefazione.
Donne che amano troppo, un bestseller che ha raggiunto il record di cinque milioni di copie vendute, offre una casistica nella quale sono lucidamente individuate le ragioni per cui molte donne si innamorano dell’uomo sbagliato e spendono inutilmente le loro energie per cambiarlo.”

Ho letto questo libro come un documento, un’illustrazione perfetta delle tendenze, al tempo stesso, individualiste, psicologiche, gestionali e femministe importate dall’America, ma penso che la coppia, l’amore, il matrimonio possano e debbano essere trattati in modo più vasto e aprire a una riflessione socio-storica, se auspichiamo fare le scelte giuste.
Questo libro non ha potuto vedere la luce che sul fondo della società atomizzata dove ciascuno deve farsi da sé, indipendentemente dagli altri – tipica è questa fobia moderna delle relazioni di dipendenza – in risposta a un ideale sociale, nel quale si crede che l’essere umano, in quanto individuo, viene prima del legame sociale e il legame sociale un intralcio al suo sviluppo. È una visione tendenzialmente più diffusa in America che in Europa, dove prevaleva fino agli anni 1970-1980 una visione dell’uomo piuttosto instituée: l’uomo deve passare per un’educazione, necessita di essere institué da altri e la sua natura, profondamente sociale e dipendente, richiede, dunque, limiti, leggi, istituzioni per organizzare le diverse dipendenze. Questa si chiama société solidaire. In questo tipo di società, la coppia è molto fortemente sostenuta dalle istituzioni perché non è solo il luogo dello sviluppo individuale ma è anche un’istituzione e il perno della società attraverso la famiglia.
Il femminismo ha rimesso questa struttura in discussione per promuovere un’idea della coppia e della famiglia basata sullo sviluppo individuale, da qui l’esplosione delle pratiche di lavoro su di sé e della psicologia a fine emancipatore.
Io non aderisco a questa concezione della coppia perché mi sembra troppo instabile e questo modo di ricercare la dipendenza, insita nella natura umana, mi sembra irrealista. Gli uomini descritti nel libro di Robin Norwood sembrano essere uomini fuyants, che cercano non una moglie ma una madre, dunque, prodotti di una società che evacua la funzione paterna e li esorta a restare eterni bambini.
La prima volta che ho letto il libro, ci ho riso su e l’ho gettato.
Tuttavia, ho ripreso il libro, l’ho letto, riletto, ririletto… e ho compreso perché avevo avuto quel primo momento di rigetto.
Una ragione politica, innanzitutto: non posso impedirmi di vedere nel modo in cui questo problema è affrontato, une avancée dell’americanismo nelle culture europee in rapporto al ritorno del freudismo in Europa una volta volgarizzato, semplificato, deformato dalla sua americanizzazione (conferenza di Freud negli Stati Uniti nel 1909).
In breve, direi che la cultura americana ha messo un sapere che era appannaggio di una élite – la cultura psicanalitica – al servizio di “tutti”, in modo confacente al suo ideale liberale del “tutto è possibile” e “tutti possono” e diffuso il sapere freudiano con uno scopo pragmatico e gestionale che ha più affinità con la gouvernance attuale.
In America, autori come Abraham Maslow, Carl Rogers hanno contribuito alla diffusione di un’idea dell’uomo “buona ma ostacolata da fattori esterni” in contraddizione con l’idea freudiana “l’uomo è la sede di pulsioni contraddittorie e di conflitti”. Secondo Rogers, Maslow e i loro successori, ostacoli inconsci ma volontari, che avrebbero la loro origine nel passato, impedirebbero lo sviluppo individuale – la donna che ama troppo avrebbe inconsciamente cercato un imbecille –, ostacoli, di cui bisognerebbe liberarsi attraverso pratiche volontarie, messe alla portata di tutti, che negano, nel loro sconvolgente semplicismo, la complessità dell’animo umano, davanti al quale Freud aveva tanto rispetto.
Come constaterete dalla lettura di questo articolo, io non ho la stessa visione di questa problematica e delle sue soluzioni. Comprenderete perché deploro, dunque, l’esistenza di questa diagnosi di “dipendenza affettiva” in quanto etichetta di comportamento maladif.
Tutto quello che si dice della dipendenza affettiva nei media provoca molta inquietudine. Molte persone si domandano se soffrano di “questa grave malattia”, poiché riconoscono nella sua descrizione quello che vivono e credono di avere trovato la spiegazione alle loro insoddisfazioni, attribuendosi questa etichetta. Ma questa insicurezza ha un altro effetto, ancora più grave, induce queste persone a rimettere in discussione i loro bisogni affettivi. Tutto quello che concerne il loro attaccamento, la loro sete di relazione, il loro bisogno di amare e di essere amati appare loro come patologico. Queste persone si domandano perfino se sono normali ad avere relazioni emotive forti.
Questa messa in discussione viene in parte dal fatto che l’autrice di Donne che amano troppo assimila la forte attrattiva del dipendente affettivo a un’assuefazione patologica come la dipendenza all’alcol o alla droga dell’alcolista o del tossicomane. Questo accostamento è, a mio avviso, pericoloso e largamente ingiustificato. In realtà, l’alcolista e il tossicomane fanno ricorso agli stupefacenti e agli euforizzanti per evitare il contatto con i loro bisogni affettivi. Consumando sostanze tossiche si distraggono dai loro bisogni affettivi e dalla loro sofferenza, occasionata dalla loro mancanza, analogamente all’assetato nel deserto, che si iniettasse l’eroina per non soffrire più la sete e morisse disidratato, ma, forse, senza provare chiaramente sofferenza.
È certo che gli stupefacenti e gli stimolanti non colmeranno mai i loro bisogni affettivi. Perfino gli alcolisti e i tossicomani non si lasciano ingannare, ma hanno spesso paura e si sentono diminuiti davanti all’ampiezza dei loro bisogni. Sfortunatamente, l’accento che si mette sulla dipendenza fisica nel caso di queste assuefazioni contribuisce a deviare l’attenzione dalle vere ragioni che hanno condotto alla consumazione abusiva.
Lasciando credere che la dipendenza affettiva equivale a un’assuefazione, si impedisce di trovare soluzioni sane alle insoddisfazioni affettive. Si lascia credere che si tratti di una malattia piuttosto che di un tentativo maldestro di trovare soddisfazione. Si priva la persona di ogni mezzo reale per porvi rimedio da se stessa. Si lascia intendere che si tratta di una forma di assuefazione che non può essere risolta che attraverso un controllo della volontà e una sottrazione sistematica alle tentazioni. Questo impedisce al dipendente affettivo di rispondere ai suoi bisogni emotivi fondamentali.
Gli esseri viventi hanno bisogno di aria e di acqua per sopravvivere. Dipendono da questi elementi e dall’ambiente dove li trovano. Possono perfino divenire ossessionati da questi elementi in certe circostanze. Immaginiamoci nel deserto alla fine delle nostre riserve d’acqua. Se noi non abbiamo mezzi per approvvigionarci nelle vicinanze, è certo che diverremo ossessionati dall’acqua. Più la mancanza si farà sentire, più la nostra vita, i nostri pensieri e tutti i nostri sforzi saranno orientati verso un solo fine: trovare un’oasi.
Si potrebbe qualificare il nostro gruppo di dipendenti fisici?
Non lo penseremmo certo, perché ci sembrerebbe normale avere bisogno di acqua e mobilitarci per trovarne. È normale, se manca drammaticamente, che la sua ricerca divenga la priorità della nostra vita. Quello che troveremmo anormale sarebbe danzare per far cadere la pioggia, girare in tondo sperando di trovare l’acqua o implorare l’acqua di apparire… Si considererebbe certamente come patologico il comportamento di un membro del gruppo che restasse passivo, sperando, ardentemente, che l’acqua si rechi alla sua bocca. Se persistesse in questo atteggiamento, fino a rischiare la propria vita, lo crederemmo autodistruttore.
Gli esseri viventi non hanno solo bisogni fisici, hanno anche bisogni affettivi. Questi non sono così palpabili e sono ancora poco conosciuti. Ma se ne sa abbastanza, al momento, per arguirne l’importanza di rispondervi.  
Il bambino ha bisogno per svilupparsi armoniosamente di essere trattato come una persona a parte intera e di avere l’opportunità di rispondere ai suoi bisogni. È perfino indispensabile alla sua sanità mentale. Parimenti per gli adulti. Noi continuiamo ad avere bisogni affettivi lungo tutta la nostra vita. Dobbiamo soddisfarli per conservare il nostro equilibrio affettivo e la nostra sanità mentale. È perfino importante per la nostra sanità fisica. Sempre di più, si scopre l’effetto nefasto delle mancanze affettive sulla sanità fisica.
Senza questo fattore di dipendenza – che chiamerò piuttosto interdipendenza o complementarità – nessuno tollererebbe le difficoltà della vita a due. È perché ciascuno apporta qualcosa che si instaura un legame che può essere più permanente. Si mettono le proprie forze in comune a profitto dei due, ciò che permette di minimizzare le proprie debolezze. È questo il vero partenariato: una specie di patto, più grande degli altri, che lega l’Essere in quello che vi è di più intimo, nel quotidiano, la malattia, gli alti e i bassi, i momenti di angoscia. Abbiamo tutti bisogno di un’ancora, di radici, di basamenti che passano generalmente per una relazione durevole con un Essere, sul quale si può contare e che può contare su di noi. Qualcuno di cui si ha bisogno e che ha bisogno di noi. Se non vi è dipendenza là-dessous.    
È osservando l’altro reagire a suo modo, attraverso ogni sorta di circostanze, avere gioie e dolori, barcollare, cadere e rimettersi in piedi che si instaura un legame che va più lontano della passione. Fondato su una profonda conoscenza e riconoscenza di chi vive al nostro fianco, questo legame cresce sul filo delle esperienze comuni nella misura in cui si mantiene un legame di contatto che ci porta a conoscerci meglio vicendevolmente. Questo legame porta a forgiare lentamente un modo di vivere tutto fatto di piccole… dipendenze. Con il tempo, ciascuno fa propri certi ruoli, certi compiti, secondo i propri talenti, le proprie disponibilità e le proprie priorità. In caso di rottura, come si accorgono che devono, di nuovo, apprendere a fare cose che, senza troppo rendersene conto, avevano lasciate all’Altro. E quanto sono stupiti di constatare il numero dei dettagli, più o meno insignificanti,  che rimpiangono subito.

“Aimer et avoir besoin de l’Autre signifient que nous nous exposons non seulement au risque de rejet, mais aussi au retrait de l’appui et de la protection apportée par l’Autre.”

scrive John Wright in Survival Strategies for Couples:

È impossibile innamorarsi se non si è pronti a essere scossi.,

afferma Rose-Marie Charest che preferisce parlare di interdipendenza piuttosto che di dipendenza come componente della relazione amorosa. Per amare ed essere amato bisogna volere il cambiamento, accettare di fare posto, consentire a modificare le abitudini, a rammollire il proprio ego, ad aprirsi e scegliere di dedicarvi tempo ed energia.
Bisogna accettare di svelarsi. È quello che si chiama la vulnerabilità. Una parola che spaventa molti, in particolare quelli che hanno paura di amare troppo –, forse, perché li associamo alla debolezza.
È un fatto: non è facile mettersi a nudo con i tempi che corrono.

“Il faut prendre le risque d’aimer et d’être aimé.” 

dit Sheryl Gaudet.

“Ne pas se priver de se dévoiler sous prétexte de peur. Il s’agit plutôt d’observer ce que l’autre fait de ce qu’on lui confie.”

Nel suo Intimità Willy Pasini scrive:

“Intimità vuol dire mettersi nella pelle dell’altro senza smarrire il senso della propria identità. Vuole dire ricevere l’altro nel proprio territorio intimo senza sentirsi invasi o contaminati.”

A differenza della simbiosi, l’intimità reclama il mantenimento di un senso acuto dell’individualità: solo la persona sicura di sé può navigare con il vento largo, affrontare il mare aperto. Rischiare l’amore è anche accettare di vivere una dipendenza. Ma non una dipendenza cieca. Completamente autonomo, l’Uno appaga i bisogni dell’Altro. Bisogni affettivi, bisogni sessuali, bisogni economici, bisogno di tenerezza, bisogno di attenzione, bisogno di compagnia, bisogno di…
Non facile, nell’epoca attuale, confessare di avere bisogno di qualcuno. Ma se non è affatto vero, perché mai si accetterebbe di vivere con qualcuno, quando si conoscono tutte le concessioni che questo esige?

“C’est la différence entre se masturber et faire l’amour.” 

osserva Sheryl Gaudet,

“On peut assouvir seul ses besoins et être satisfait, mais il manque quelque chose.”

Catherine Bensaid scrive in Aime-toi, la vie t’aimera:

“Ceux qui, parce qu’ils se sentent incapables d’affronter la moindre déception éventuelle et excluent d’emblée l’idée d’une remise en question, s’enferment peu à peu dans une logique de l’échec: ils préfèrent l’attente, avec son éventail de possibilités toujours ouvert à l’infini, à ce que la réalité, même si elle peut être source de plaisirs, vient leur imposer comme limites définies.”
“ Il n’y a pas d’amour heureux.”

scriveva Louis Aragon, il poeta.
Sheryl Gaudet, da parte sua, constata che perfino un amore felice porta sofferenza:

“On n’a jamais de garantie. Tout ce que l’on sait, c’est que ça change, ça évolue et que, pour maintenir le fil, on traversera des passes éprouvantes.” 

Niente può proteggerci dalle sventure dell’amore. Che lo si tenga per detto, la felicità asettica non esiste. Tanto saperlo subito, amare significa prendere dei rischi. Perché certe crisi verranno a turbare il nostro cielo, perché si vivrà una parte delle angosce e degli smarrimenti dell’Altro.
Una realtà che, in fondo, non è, poi, così drammatica!

“L’alternance du bien-être et du malaise est à la base de l’énergie d’être. Vouloir tout transformer en bonheur et en harmonie, c’est nier le droit d’être temporairement fou, un droit qui fait du bien. Une société qui a cet objectif produit en série des angoissés de la perfection, des pervers de la propreté mentale, des obsédés de la “bibite noire”. ”

scrive Michel Trudeau in Pour en finir avec les psy, che denuncia l’emprise di quella che definisce l’idéologie psy sulle nostre vite e i nostri pensieri.

“L’idéologie psy raye définitivement de la carte du Tendre le grand fantasme romantique en tant que tel pour le remplacer par l’efficacité amoureuse, par la communication, par la gestion des sentiments.
Quand on en est là, on est au plus loin de l’amour. 
“L’idéologie psy n’a qu’une seule et unique visée: propulser les amoureux le plus rapidement possible dans l’ordinaire, dans une mécanique des rapports où tout est prévisible, dans une absolue propreté des états d’âme.
“L’idéologie psy met l’amour sous haute tension, sous haute surveillance aussi, Le couple s’autoobserve sans relâche. C’est ça le pire. Quand on vit dans une société dominée par une idéologie qui laisse entendre que la propreté de l’esprit est un objectif en soi, on a peine à persévérer dans la simplicité de la sensation. L’amour se nourrit de l’imprévu; le psy de la planification stratégique.

Chi ha paura di un GRANDE AMORE?”
È vero che dopo aver letto tutto quello che è stato pubblicato sulle devastazioni dell’amore, la riconquista del nostro io profondo e l’ascolto del nostro bambino ferito, dopo aver compreso che le donne venivano da Venere e gli uomini da Marte, che si amava troppo… troppo, che si amava male, che si amavano gli uomini che si disprezzavano, si può essere afferrati dall’irreprimibile desiderio di sbattere la porta in faccia all’amore, per paura di esserne inghiottiti.
Come si può essere incapaci di sentir parlare di dipendenza senza digrignare i denti?
Questo non favorisce affatto le relazioni amorose.

“Une aversion profonde à l’égard de la dépendance peut entraîner une variété de conséquences négatives. Ainsi, nous pouvons sentir le besoin d’exercer une retenue sur tous nos sentiments amoureux de façon à ne tomber dans un état de trop grande dépendance envers l’autre. Ou encore, nous pouvons éviter tout à fait les relations intimes, ou ne nous engager que superficiellement, sans établir de racines émotives.”

scrive John Wright in La survie du couple.      
A temere troppo la dipendenza, a voler essere troppo invulnerabili e a non aver bisogno di niente e di nessuno, si giunge a fuggire l’amore, a moltiplicare le avventure senza domani o a sviluppare una visione così pragmatica della vita a due che ogni eventuale incontro è all’insegna di esigenze impossibili. Si vuole che l’amore si inserisca sans vague tra tre riunioni, due sedute in palestra e la cena con le amiche il giovedì.
Ferite di vecchi amori, non del tutto guarite, o culto dell’io spinto allo zenit, ci si attende dall’Altro che non sia niente di meno che perfetto, che si mostri docile e discreto in ogni momento. Si mira a un’oasi “ovattata” che si integri alla nostra vita già piena, senza cambiare niente. Ci si augura il meglio senza il peggio, la felicità senza sofferenza né compromesso.
L’amore senza la dipendenza.
In breve, l’AMORE senza la sua ESSENZA.


Daniela دانیلا Zini زینی
Copyright © 2009 ADZ


domenica 26 gennaio 2020

E io sono stata zitta! di Daniela Zini



   

Nel Taoismo esiste un concetto che dovrebbe aiutare noi Uomini a entrare in perfetta armonia con la Natura e l’Universo stesso, è il Wu Wei, che, letteralmente, significa “senza azione”, una sorta di invito ad agire passivamente di fronte agli eventi.
Ieri, agire passivamente o per meglio dire non agire non mi ha fatto stare in perfetta armonia con la Natura e l’Universo stesso e neppure con me stessa.
Stavo curiosando, come il mio solito, in un mercatino rionale quando ho sorpreso un uomo a rubare.
Era un uomo dell’Est dell’Europa che rubava a 2 uomini del Bangladesh 2 anelli di poco valore.
E io sono stata zitta!
Lui si è accorto che l’avevo visto rubare e ha fatto dei giri intorno al banco, continuando a tenere gli anelli in mano...
e, quando ha capito che nessuno lo aveva notato al di fuori di me e che io non avrei parlato, si è allontanato.
Ora, se io dicessi che non ho parlato per evitare una rissa, non sarei del tutto onesta con me stessa e neppure con voi.
Il pensiero che uscisse dalla tasca di uno degli uomini un coltello è stato il mio primo pensiero, ma ho, anche, pensato alle conseguenze per me, se avessi parlato.
E io non riesco a perdonarmelo, perché è contro ogni mio principio.
E’ come predicare bene e razzolare male!
Ma - e non lo dico a mia discolpa, sia beninteso! - ci sentiamo tutti autorizzati a farci gli affari nostri in questo Paese per evitare ritorsioni in caso di segnalazioni.
Ci hanno reso apatici, acritici, indifferenti, menefreghisti, arresi, indifesi, fiacchi, freddi, impassibili, imperturbabili, indolenti, inerti, insensibili, irresoluti, passivi, pigri... morti...
E io voglio morire da viva, non da morta!
La Francia sta dimostrando, ancora una volta, un senso di Unità e di Civiltà che in Italia non si respira.
E io ci soffro e ci soffoco... pertanto, ho intenzione, anche io, di lasciare il Paese quanto prima, come molti miei Amici hanno, già, fatto.
E, adesso, è, davvero, proprio tutto, ma ve lo dovevo per quel senso di Onestà che mi ha accompagnato nel corso di tutta la mia Vita.
A Dio!

E CON QUESTO POST... di Daniela Zini



E, CON QUESTO POST, CHIUDO LA MIA BREVE RIAPPARIZIONE SU FACEBOOK, DI CUI MI PENTO E NON POCO, PERCHE’ QUESTO NON E’ UN PAESE PERSO, QUESTO E’ UN PAESE DISPERSO, CHE NON HA MERITATO, IERI, I MAGISTRATI GIOVANNI FALCONE E PAOLO BORSELLINO E NON MERITA, OGGI, IL MAGISTRATO NICOLA GRATTERI E IL COLONNELLO DEI CARABINIERI SERGIO DE CAPRIO, ALIAS CAPITANO ULTIMO, ENTRAMBI IN PERICOLO DI VITA...
O, PER DIRLA COME I MAFIOSI, MORTI CHE CAMMINANO... 









PER GLI IGNAVI, I VIGLIACCHI E I CODARDI, GLI EROI SONO, SEMPRE, SCOMODI...
PIETRE D’INCIAMPO...
INGOMBRANTI...
E SONO LASCIATI SOLI...
LASCIATI A SENTIRSI SOLI NEL FARE IL PROPRIO DOVERE...
EVIDENTEMENTE, VI SONO VERITA’ CHE E’ BENE RESTINO SULLO SFONDO...
E L’ITALIA, GLI ITALIANI VADANO SEMPRE PIU’ A FONDO...
MA L’ITALIA, GLI ITALIANI VALGONO TANTO?
IO MI SONO, GIA’, RISPOSTA E INVITO ANCHE VOI A FARVI LA STESSA DOMANDA.
COME DIREBBE RIINA:

“Non guardate sempre e solo me, guardatevi dentro anche voi!”

MA VENIAMO AL MIO POST!
MI FA MOLTO PIACERE CHE IL MINISTRO DEGLI ESTERI TUNISINO SI SIA RISENTITO PER LA CITOFONATA DI MATTEO SALVINI (https://www.iltempo.it/politica/2020/01/23/news/matteo-salvini-citofono-uno-spacciatore-elezioni-regionali-emilia-romagna-tunisia-1270047/) - DIMOSTRA CHE, POI, RICHIAMIAMO, ANCORA, L’ATTENZIONE DELLE CANCELLERIE STRANIERE, SE OCCORRE, NATURALMENTE! - , COME SI ERA RISENTITO, NEL 2008, PER LA BOUTADE, SEMPRE, DELLO STESSO SALVINI, ALLORA TITOLARE DEL VIMINALE:

“La Tunisia è un paese libero e democratico dove non ci sono guerre, epidemie e pestilenze, che non sta esportando dei gentiluomini ma spesso e volentieri dei galeotti.”

MA C’E’ UN MA...
PREMETTO CHE NON INTENDO DIFENDERE MATTEO SALVINI COME NON MI SOGNEREI DI DIFENDERE ALCUN ALTRO POLITICO ITALIANO, DA CUI NON MI SENTO RAPPRESENTATA, MA MI PIACEREBBE CHIEDERE ALLO STESSO MINISTRO DEGLI ESTERI TUNISINO COME MAI NON ABBIA ESPRESSO, IN EGUALE MISURA, IL PROPRIO DISAPPUNTO PER LA RAGIONE CHE AVEVA PORTATO IL GIP, NELL’ORDINANZA DEL LUGLIO SCORSO, A NON CONVALIDARE L’ARRESTO DI CAROLA RACKETE NEL NOSTRO PAESE (https://ilmanifesto.it/il-decreto-sicurezza-bis-smontato-dalla-gip-vella), OSSIA LA TUNISIA ERA CONSIDERATA AL PARI DELLA LIBIA - SAPEVAMO E SAPPIAMO COSA ACCADE IN LIBIA, NON CE LO RICORDIAMO SOLO QUANDO CI FA COMODO, NO?! - UN PORTO NON SICURO E IL PRIMO PORTO SICURO ERA CONSIDERATO LAMPEDUSA.
ORA, NOI SAPPIAMO CHE LA TUNISIA HA ADERITO, NEL 1957, ALLA CONVENZIONE DI GINEVRA SUI RIFUGIATI; NEL 1968, AL PROTOCOLLO SUI RIFUGIATI DEL 1967 E, NEL 1989, ALLA CONVENZIONE SUI RIFUGIATI DELL’ORGANIZZAZIONE DELL’UNITA’ AFRICANA, ORA UNIONE AFRICANA.
COME SAPPIAMO, ALTRESI’, CHE, NEL GENNAIO DEL 2019, LA GERMANIA HA CLASSIFICATO LA TUNISIA, L’ALGERIA E IL MAROCCO PAESI SICURI, UN MODO PIU’ CHE SICURO PER BLINDARE LA GERMANIA E RIMPATRIARE CHI NON SI INTEGRA IN GERMANIA, STANTI LE STATISTICHE DELLA POLIZIA TEDESCA, SECONDO LA QUALE I MIGRANTI ORIGINARI DEL MAROCCO, DELLA TUNISIA E DELL’ALGERIA COMMETTEREBBERO PIU’ CRIMINI RISPETTO AI RIFUGIATI PROVENIENTI DALL’IRAQ E DALLA SIRIA (https://www.algerie-eco.com/2019/01/19/bundestag-lalgerie-est-un-pays-sur/).
DELLA SERIE COME UNA COSA PUO’ ESSERE USATA PER UN FINE E PER IL SUO FINE OPPOSTO.
CHIARO?
QUESTA E’ LA COMUNICAZIONE CHE NON E’ MAI INFORMAZIONE A..., MA IN FUNZIONE DI... SAPPIATELO!
E QUESTO E’ PROPRIO TUTTO, VI SALUTO, BUONA DOMENICA!


Daniela Zini