“…E GLI OFFRIRONO IN DONO
ORO, INCENSO E MIRRA…”
Artemisia
Gentileschi, Adorazione dei Magi.
Tra il 1636 e il 1637,
su commissione del vescovo Martín de
León y Cárdenas, fu realizzato dalla pittrice questo dipinto per il coro
del Duomo di Pozzuoli insieme ad altri due quadri: San Gennaro nell’Anfiteatro di
Pozzuoli e Santi Procolo e Nicea. L’opera dopo essere stata conservata al Museo
di San Martino di Napoli, per circa cinquant’anni, è ritornata nella sua
collocazione originaria a seguito della riapertura al culto della Cattedrale di
Pozzuoli, nel maggio del 2014.
Non sappiamo quando sia nato l’uso di
scambiarsi gli auguri all’inizio di un Nuovo Anno, di certo, in epoca romana
esisteva già.
I Romani festeggiavano l’inizio del nuovo anno, il primo gennaio, con le celebrazioni in
onore del Dio Giano,
la Divinità bifronte, capace di guardare
contemporaneamente al Passato e al Futuro, Padre del Creato e Custode della Città
in tempo di guerra.
Per i Romani celebrare il Dio Giano, da cui trae origine il nome del mese di Gennaio, era un modo per tornare indietro, per fare
il bilancio del Vecchio Anno, ma anche per proiettarsi nel Nuovo Anno.
Nei suoi Fasti, Ovidio menziona la
preghiera rivolta a Giano:
“Giano Bifronte, origine del volgere
degli anni il solo Nume che può guardare alle spalle…”
Lasciate il Vecchio Anno fluire,
tranquillamente, nel vento dell’Inverno e avanzate fiduciosi verso il Nuovo Anno.
Nuovi incontri vi attendono all’angolo
della strada.
Un nuovo libro sta per aprirsi.
Tutte le pagine sono, ancora, bianche.
Non vi resta che riempirle dei vostri Sogni
più segreti.
Allora, prendete una penna e iniziate a
scrivere il primo capitolo.
È per voi l’occasione di scrivere una
bella Storia di cui sarete gli Eroi e le Eroine.
Il Tempo è come un ruscello che scorre.
E proprio come un ruscello, il Tempo non
torna più.
“Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può
toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità
e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va.”
ci ammonisce Eraclito, in un suo frammento.
Siate sempre in guerra con i cattivi
pensieri e in pace con i buoni propositi.
E lasciate ogni anno fare di voi una
persona migliore.
Mettete in pratica tutte le lezioni che
avete tratto dalle vostre vittorie e dalle vostre sconfitte, dalle vostre
soddisfazioni e dalle vostre delusioni, dalle
vostre gioie e dai vostri dolori dell’anno appena trascorso, perché il 2021 sia
per voi più ricco, più dolce e più sereno.
Ogni momento possiede il suo valore.
L’Alba porta la speranza.
La Notte porta consiglio.
Il Nuovo Anno porta il rinnovo.
Accarezzate ogni momento che la Vita vi
offre.
Che i miei auguri vi accompagnino per l’intero
anno.
Buona Epifania!
Daniela
Mosaico,
raffigurante i Re Magi, nella navata centrale della Basilica di Sant’Apollinare
Nuovo a Ravenna. I tre Re Magi guidati da una Stella a
cinque punte offrono i loro doni al Cristo bambino. Vestono abiti tipicamente
persiani diversamente colorati e ricamati. Sulla testa portano un pileo come
copricapo. Sorreggono con le mani contenitori dorati variamente adorni. Il
mosaico originale teodericiano doveva rappresentare, probabilmente, un corteo
di dignitari ariani, che, in seguito al rescritto di Giustiniano del 561, venne
condannato alla cosiddetta damnatio
memoriae e, quindi, sostituito da quello delle Sante precedute dai Re Magi.
“2,1 Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del Re Erode.
Alcuni Magi giunsero da Oriente a Gerusalemme e domandavano: 2 “Dov’è il Re dei Giudei che è
nato? Abbiamo visto sorgere la sua Stella, e siamo venuti per adorarlo.” 3 All’udire queste parole,
il Re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4 Riuniti tutti i Sommi Sacerdoti
e gli Scribi del Popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il
Messia. 5 Gli
risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del Profeta: 6 E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te
uscirà infatti un capo
che pascerà il mio Popolo, Israele.”
7 Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire
con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la Stella 8 e li inviò a Betlemme
esortandoli: “Andate e informatevi accuratamente del Bambino e, quando l’avrete
trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo.”
9 Udite le parole del Re, essi partirono. Ed ecco la Stella,
che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra
il luogo dove si trovava il Bambino. 10 Al
vedere la Stella, essi provarono una grandissima gioia. 11 Entrati nella casa,
videro il Bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono
i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12 Avvertiti poi in sogno
di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro Paese.”
Matteo 2, 1-12
La
potenza di questo passo evangelico nelle sue linee semplici e toccanti, non
sfuggì ai Cristiani, fino dai più remoti secoli della Chiesa. È la prima
manifestazione del Salvatore a uomini stranieri, estranei alla legge ebraica:
una prova, dunque, del carattere universale della nuova alleanza. I confini
della Giudea non rinserrano più il Popolo di Dio, chiuso nella consapevolezza
della propria elezione, ma si sono dilatati, misticamente, ad abbracciare tutta
la Terra.
L’Epifania
contiene, già, in germe, un messaggio di salvezza, destinato ai Popoli del
mondo, senza distinzione di gente né di ceto.
Di
qui, l’importanza attribuita dalla Chiesa ufficiale all’avvenimento e la sua
commemorazione in una delle principali solennità dell’anno.
Di
qui, anche, il moltiplicarsi delle indagini, intese a completare il racconto
evangelico e a precisare la figura dei Saggi, venuti
dall’Oriente. Anatolè, ἀνατολή,
è,
infatti, il termine usato dall’Evangelista nel testo greco: espressione
piuttosto vaga e indeterminata.
Ma
chi erano i Magi?
Da
dove venivano?
E
perché si misero in viaggio?
Albrecht Dürer, L’Adorazione dei Magi - Firenze, Galleria degli Uffizi.
L’opera fu
commissionata da Federico il Saggio per l’altare della cappella del Castello di
Wittenberg e venne terminata nel 1504, come testimonia la data sulla pietra in
primo piano vicino al monogramma dell’artista. Si tratta di uno dei dipinti più
significativi dell’artista nel periodo compreso tra il primo [1494-1495] e il
secondo viaggio in Italia [1505].
Hieronymus Bosch, Trittico dell’Adorazione dei Magi.
Madrid, Museo del Prado.
Con
il nome di Oriente, le Scritture indicano tutta la vasta distesa delle regioni
asiatiche, a Est della Palestina. Si può, dunque, pensare all’Arabia, alla
Caldea, alla Persia, financo all’India.
San
Giustino, Tertulliano e Sant’Epifanio fermano la loro attenzione sull’Arabia;
Teodoro di Ancira, San Pietro Crisologo e San Massimo di Torino, basandosi
sull’importanza della visione della Stella, indicano come loro più probabile
terra di origine la Caldea, dove la scienza astrologica era tenuta nel massimo
onore. Nondimeno la maggior parte degli studiosi antichi propende a credere che
i Saggi provenissero dalla regione iranica.
Giotto,
Adorazione dei Magi.
Padova,
Cappella degli Scrovegni.
Presso
i Medi, i Magi rappresentavano una casta sacerdotale, ricca di dottrina e di
prestigio. Da Erodoto sappiamo che il loro consiglio era considerato di
capitale importanza nelle più gravi questioni di Stato, alla corte del sovrano
medo Astiage.
Dottrinalmente,
si professavano seguaci di Zarathustra e ne tramandavano gli scritti, ma lo scorrere
dei secoli e il contatto con differenti sistemi avevano introdotto nelle teorie
dei punti discordanti con il pensiero del Maestro, consegnato nell’Avesta. Gli autori greci del IV secolo
che scrissero opere sulla religione persiana, concordano nell’indicare in
Zarathustra, che chiamano Zoroastro, il capostipite della classe dei Magi.
Sostanzialmente,
il pensiero del Maestro era monoteistico. Ravvisava in Ahura Mazda, il Signore Sapiente,
la fonte dell’essere dell’Universo. Nondimeno, nel mondo, il principio del
Male, radice di ogni dolore e della morte, coesisteva con quello del Bene,
parimenti eterno, con il quale era
impegnato in una lotta perpetua. Gli uomini, provati dalla necessità di una
continua scelta, guardavano alla fine dei tempi, in cui esseri straordinari,
avrebbero percorso la venuta di un Saoshyant,
il Soccorritore, destinato ad affrettare il trionfo del Bene in un mondo
purificato.
Secondo
queste linee procedeva il pensiero dei Magi, circa all’epoca della nascita di
Gesù.
Della
Magia nel suo aspetto più volgare, fondato sull’occultismo e la divinazione, i
saggi seguaci dell’Avesta si
disinteressavano, lasciandola ai Caldei o ai Maghi dell’Egitto. Vi furono,
tuttavia, da parte dei Magi, dei tentativi di conciliare la dottrina di
Zarathustra con la religione astrale, che esercitava un così profondo influsso
in Oriente. Una delle loro caratteristiche essenziali era un acuto senso della
giustizia, una urgenza di collaborare al suo trionfo.
In
Una presunta profezia di Zoroastro sulla
venuta del Messia, Padre Giuseppe Messina scrive:
“ Nel libro di Ystaspe la dottrina di Sausyant occuava un posto
centrale. La sua attesa si fondava sulla credenza tenace ad un avvenire
migliore nel mondo Zarathustra aveva inculcato ai suoi seguaci un senso acuto della
giustizia e una profonda aspirazione a collaborare al trionfo di essa. Le
catastrofi politiche e religiose, che si abbatterono in diverse epoche sulla
nazione iranica, lungi dall’affievolire, resero più acuta l’attesa di tempi più
prosperi e gli sguardi del popolo si appuntavano verso l’epoca in cui un
“Soccorritore” Sausyant, sarebbe apparso per ridare al mondo una nuova spinta
al Bene. E tale fede si diffuse ben presto fuori i confini dell’Iran e quando i
fedeli di Mithra nelle guarnigioni del limes romanus si rivolgevano a lui colla
invocazione Nama Sebesio “adorazione al soccorritore” rendevano, forse
incoscientemente, testimonianza che la fede ad un avvenire migliore li animava
non altrimenti che aveva animato il fedele mazdeo. La storia del sorgere della
dottrina del soccorritore e della sua evoluzione, l’ho schizzata altrove. Al
nostro scopo interessa di conoscere le grandi linee di tale dottrina e metterla
in parallelo con la predizione, che si attribuisce a Zarathustra presso Teod.
bar Konai e al suo discepolo Vistaspa sulla venuta del Messia.
Dopo l’annunzio della dottrina di Zarathustra il Regno del Bene
non avrebbe definitivamente prevalso, che anzi alla fine di ognuno dei tre
millenni, che rimanevano ancora, il Male avrebbe talmente preso il sopravvento
che sarebbe stata necessaria la comparsa di un essere straordinario per ricondurre
al Bene il mondo. E allora si disse che Zarathustra aveva avuto la promessa che
nel tempo di maggior bisogno alla fine di ciascun dei tre millenni dell’evo cosmico
sarebbe apparso dal suo seme un figlio; l’ultimo Astvat-ereta “giustizia incarnata”
avrebbe portato definitivamente il trionfo del Bene, e avrebbe effettuata la risurrezione
dei morti, dopo di che la terra sarebbe stata invasa da un torrente di fuoco, che
avrebbe tutto purificato, il Regno del Male sarebbe stato distrutto e Ahura-mazda
avrebbe regnato per l’eternità senza nessun competitore.”
In
una profezia attribuita a Zarathustra e riportata sulla fine dell’VIII secolo
della nostra era da Teodoro bar Konai, si parla della “venuta
del gran Re, della lotta contro di lui, delle sue sofferenze e della sua morte;
infine anche della sua nuova venuta su candide nubi con l’esercito della luce”.
Un
tale linguaggio meriterebbe di essere chiamato biblico e non fa meraviglia che
vari autori cristiani delle età primitive onorassero in Zarathustra un Profeta
della venuta del Messia.
Nel
Vangelo Arabo dell’Infanzia di Nostro Signore si legge:
“Ecco che i Magi vennero dall’Oriente a Gerusaleme, come aveva
predetto Zaradust.”
Fu,
dunque, proprio questa teoria del Soccorritore venturo, gelosamente tramandata
dai Magi, che costituì il principale punto di contatto tra le dottrine mazdee e
la religione israelitica. Dalla cattività di Babilonia in poi, le relazioni tra
Giudei e Persiani erano costanti, favorite da un linguaggio internazionale:
l’aramaico, familiare ai Popoli delle sponde del Mediterraneo, della
Mesopotamia e dell’Altopiano Iranico.
Colonie
ebraiche erano rimaste tra i Persiani e i Caldei dopo la fine della cattività:
Ecbatana e Ragai nella Media, Nebardea e Nisibi nella regione del Tigri erano i
centri principali. La presenza di queste colonie e la propaganda svolta dagli
Israeliti possono spiegare varie analogie tra il pensiero dei Magi e quello
della Bibbia; ma è un fatto che proprio l’attesa del Saoshyant formò il legame capace di riunire i saggi iranici ai
Giudei in una comune speranza.
Quanto
all’epoca dell’evento, i Magi indicavano la fine del primo millennio dopo la
venuta di Zarathustra. Se, dunque, è esatta la notizia dello scrittore lidio
Xanthos, che pone l’epoca del Maestro 600 anni prima della spedizione di Serse
contro la Grecia [482 a.C.], il tempo auspicato dai Saggi viene pressoché a
coincidere con l’inizio dell’Era Volgare.
Ma
torniamo ai Magi!
Che
fossero anche Re è da escludersi.
Il
Vangelo non fa il minimo accenno a questa pretesa regalità. L’idea sembra
essersi formata all’alba del Medio Evo: probabilmente nel VI secolo. Nelle arti
figurative è solo nell’VIII secolo che le immagini dei Saggi appaiono adorne di
attributi regali.
La
qualifica di Re potrebbe essere nata da una confusione con la carica di
consiglieri del Re, che i Magi solevano ricoprire. Né si devono dimenticare
vari passi delle Scritture, che parlano della venuta di Re, apportatori di
doni.
Vi
è innanzitutto il Salmo 71, composto da Davide inneggiante al futuro Messia:
“Si getteranno ai
suoi piedi gli Etiopi, e i nemici di lui baceranno la terra.
I Re di Tharsis, e
le isole a lui faranno le loro offerte: i Re degli Arabi, e di Saba porteranno
i loro doni.
E lo adoreranno tutti
i Re della terra, e le genti tutte a lui saran serve:
Imperocché egli
libererà il povero dal possente, e tal povero, che non aveva chi lo aiutasse.”
Il
nome di Tharsis alludeva alla remota India; con l’espressione Arabi si
intendeva l’Arabia Petrea, mentre Saba comprendeva i territori dell’Arabia
Felice, di Efa e di Madian. Tutto il passo è molto suggestivo e queste immagini
prestigiose di Re, carichi di doni, non potevano non colpire la fantasia
popolare. Il profeta Isaia traccia un quadro dell’arrivo dei Sovrani stranieri
nella Città Santa:
“Le genti cammineranno alla tua luce, e il Re allo splendore che
nascerà da te. Una moltitudine di cammelli ti coprirà, i dromedari di Madian e
di Efa: verranno tutti quelli di Sabu recando oro e incenso e annunceranno le
lodi del Signore.”
Oro,
incenso, cammelli, dromedari e Re: il quadro dell’Epifania è già completo in
questo annuncio.
Ma
i Magi erano, realmente, tre?
Sembra
– poiché l’Evangelista, anche a questo proposito, non dà precisazioni – che si
tratti di una antica e pia credenza, testimoniata da Origene di Alessandria e,
più tardi, confermata da San Leone, San Massimo di Torino e San Celso di Arles.
La
sua origine è, forse, da ricercarsi nel numero dei doni, che sono
effettivamente tre, oro, incenso e mirra, o, forse, in un richiamo, più o meno
consapevole, alle famose triadi della Scrittura, che enumera tre uomini giusti
al principio del mondo: Abele, Enoc e Set; poi, tre antenati del genere umano
dopo il diluvio, Sem, Cam e Jafet, prole di Noè, e, infine, tre progenitori del
Popolo Eletto: Abramo, Isacco e Giacobbe. A questa tradizione si allineano le
più antiche rappresentazioni artistiche, con due sole eccezioni note: l’una, in
un affresco di Santa Domitilla in Roma; l’altra in Santi Pietro e Marcellino, dove
i Magi sono raffigurati in numero rispettivamente di quattro e di due. La
rimanente iconografia, dai primi secoli fino alle età moderne, è fedele al
numero di tre. Differisce, invece, da un’epoca e un’altra, la penetrazione
psicologica dell’avvenimento.
I
nomi dei Saggi sono menzionati per la prima volta – come Bithisarea, Melchior e
Gathaspa – in un manoscritto che risale alla fine del VI secolo o all’inizio
dell’VIII, ed è conservato nella Biblioteca Parigina. Lo storico Agnello del X
secolo, nel Liber Pontificalis Ecclesiae
Ravennatis modifica questi nomi in Gaspare, Melchiorre e Baldassarre.
Scrive
in proposito Ignazio Schuster:
“Nell’arte cristiana e dopo il secolo XII, essi sono raffigurati
come i rappresentanti delle tre età dell’uomo, o come i capostipiti delle tre
razze umane, dopo l’imperversare del peccato: Melchiorre, grigio, con una lunga
barba rappresenta la discendenza di Jafet [l’Europa] e offre dell’oro; Gaspare,
giovane e rossiccio, rappresenta la discendenza di Sem [l’Asia] e offre la mirra.”
Il
mistico richiamo ai tre figli di Noè – l’ultimo dei quali fu, come è noto, il
progenitore degli Africani – spiega, dunque come mai la tradizione iconografica
sia solita attribuire a Baldassarre l’aspetto fisico di un Moro o di un Etiope
e, a un tempo, svuota di ogni pretesa storica questa leggenda. I Magi vennero,
come sembra più che mai probabile, dalla Persia, tutti, tre o quattro o dieci
che fossero. Non è ammissibile che li avesse raggiunti, poi, per la strada, un
Africano, che non avrebbe potuto essere un Mago, proprio per la sua diversa
provenienza e educazione.
Quanto
alla Stella che diede loro il segnale che “la pienezza dei
tempi” fosse giunta e che convenisse mettersi in cammino alla
ricerca del neonato Soccorritore, pare che si debba intendere non come un
determinato Astro o una Cometa, ma come una apparizione miracolosa in forma di
Stella. Già Crisostomo faceva notare che non poteva trattarsi di una Stella
ordinaria, poiché la direzione normale degli Astri è da Oriente a Occidente, questa
invece, si muoveva dalla Persia alla Palestina, da Settentrione verso
Mezzogiorno. Parimenti si può dire anche per l’ultima parte del tragitto, da
Gerusalemme a Betlemme, in cui, secondo le parole dell’Evangelista, “la stella precedeva i Magi, finché, giunta sopra il
luogo dove era il Bambino, si fermò”.
Non
è possibile, inoltre, come Ignazio Schuster e Giovanni Battista Holzammer fanno
notare, che una Stella alta nel cielo possa indicare una casa determinata:
“Lo poté fare solamente un’apparizione luminosa, in uno spazio
dell’aria meno elevato.”
Tuttavia
non è escluso dai dotti cattolici che Iddio si sia potuto servire di una Stella
realmente esistente o di un fenomeno celeste normale per richiamare
l’attenzione dei Magi, studiosi, come si è visto, anche di scienze
astronomiche; in tal senso, le espressioni “li precedeva…”
“si fermò sul luogo dov’era il Bambino” vanno prese in senso
meno letterale. Ciò nondimeno, l’illuminazione interiore e soprannaturale dei
Saggi, di cui la stella di Betlemme è in certo modo un simbolo, è operata
esclusivamente dalla grazia di Dio, che, indubitabilmente, li aiutò anche a
discernere, per mezzo di indizi esteriori o di una ispirazione interna, il
luogo esatto dove aveva preso dimora la Sacra Famiglia.
Si
è parlato anche di un fenomeno celeste che sarebbe avvenuto sette anni prima
della nascita di Cristo, della congiunzione di Giove e di Saturno nel segno dei
Pesci, avvenuta per ben tre volte in sei mesi. I Magi potrebbero avere
osservato questo raro fenomeno nella loro terra di origine e, poi, di nuovo in
Betlemme.
L’ipotesi
è stata accettata anche da alcuni studiosi cattolici.
Occorre
però fare i conti con la discrepanza delle date e anche con il fatto che la
parola greca aster, come osserva il
gesuita Franz Xaver Kugler, astronomo e assiriologo, “non
può in nessun caso designare due pianeti appaiati, in quanto fin dall’antichità
ogni singolo pianeta aveva una importanza mitologica e astronomica particolare
e ben definita”. La congiunzione fu nuovamente visibile ai tempi
di Giovanni Keplero [1604] e quel dotto astronomo fece notare come si fosse già
prodotta alla nascita di Gesù.
Sull’itinerario
seguito dai Saggi manca qualsiasi notizia precisa. Le tracce del loro passaggio
– dalla Persia giù per la Mesopotomia, il Deserto Arabico, la regione del
Giordano, Gerusalemme e, infine, Betlemme – se ve ne furono, sono state
cancellate dal tempo.
L’archeologo
Ernst Emil Herzfeld, perlustratore dell’altopiano
iranico, vide, forse, il punto di partenza della loro carovana, quando gli
furono additati, sulla pendice meridionale del Kuh-e Khwajeh, nella regione del Sistan, zona Sud-Ovest
dell’Afgnanistan, i ruderi diroccati del castello di Rostam-Gundofarr, che la
tradizione locale attribuisce a uni dei tre Magi.
Kuh-e Khwajeh
Kuh-e Khwajeh, il cui nome suona
“Monte del Signore”, si trova proprio nel cuore della regione che fu il più
probabile teatro dell’attività di Zarathustra e non lontano dal Lago Kayanseh,
oggi Hamun-e Saberi, da dove, secondo le profezie mazdee, si attendeva il Saoshyant. Vale notare come le genti del
luogo, ancora oggi, siano solite recarsi al Monte del Signore per un
pellegrinaggio di tre giorni, in coincidenza con quella che era, nel calendario
mazdeo, l’apertura dell’anno, 21 marzo.
Ne
Il Milione di Marco Polo al capitolo
XXII ritroviamo il viaggio dei Magi:
“In Persia si è
una provincia grande e nobole certamente, ma ‘l presente l’ànno guasta li
Tartari. In Persia è l[a] città ch’è chiamata Saba, da la quale si partiro li
tre re ch’andaro adorare Dio quando nacque. In quella città son soppeliti gli
tre Magi in una bella sepoltura, e sonvi ancora tutti interi con barba e co’
capegli: l’uno ebbe nome Beltasar, l’altro Gaspar, lo terzo Melquior. Messer
Marco dimandò piú volte in quella cittade di quegli 3 re: niuno gliene seppe
dire nulla, se non che erano 3 re soppelliti anticamente.
Andando 3
giornate, trovaro uno castello chiamato Calasata, ciò è a dire in francesco “castello de li oratori del fuoco”; e è ben
vero che quelli del castello adoran lo fuoco, e io vi dirò perché. Gli uomini
di quello castello dicono che anticamente tre lo’ Re di quella contrada
andarono ad adorare un profeta, lo quale era nato, e portarono 3 oferte: oro
per sapere s’era signore terreno, incenso per sapere s’era idio, mirra per sapere
se era eternale. E quando furo ove Dio era nato, lo menore andò prima a
vederlo, e parveli di sua forma e di suo tempo; e poscia ‘l mezzano e poscia il
magiore: e a ciascheuno p[er] sé parve di sua forma e di suo tempo. E
raportando ciascuno quello ch’avea veduto, molto si maravigliaro, e pensaro
d’andare tutti insieme; e andando insieme, a tutti parve quello ch’era, cioè
fanciullo di 13 die.
Allora ofersero
l’oro, lo ‘ncenso e la mirra, e lo fanciullo prese tutto; e lo fanciullo donò a
li tre Re uno bossolo chiuso. E li Re si misoro per tornare in loro contrada.”
Lasciamo, dunque, i
Magi in viaggio alla volta del luogo ove è nato il Salvatore. Gli recano
simbolici doni: la mirra, dice Sant’Ireneo, “perché
egli dovrà morire per il genere umano; l’oro perché Egli è quel Re, il cui Regno
non avrà fine; l’incenso, perché Egli è Dio”.
Daniela
Zini
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Il Protovangelo di Giacomo,
forse anteriore al V secolo, e il Vangelo dello Pseudo-Matteo, un testo
aramaico derivante dal precedente e datato al V – VI secolo, il Vangelo Arabo
dell’Infanzia di Nostro Signore della metà del VI secolo, il Vangelo Armeno dell’Infanzia,
che pone la nascita di Gesù al 6 gennaio e l’arrivo dei Magi al 9 e che fissa a
tre il numero dei Magi, li chiama per nome e li definisce Re, Melkon Re dei Persiani,
Gaspar Re degli Indiani, Balthasar Re degli Arabi.
Il
culto dei Magi, rimasto forte per tutto l’Alto Medioevo – anche perché i
germani convertiti al Cristianesimo, in quanto “barbari”, li sentivano come i
loro patroni – si corroborò in Occidente a partire dai secoli VIII – X, quando
la festa dell’Epifania si andò sempre più strettamente collegando con i rituali
regali e imperiali e raggiunse l’acme nel XII secolo per volontà
dell’Imperatore Federico I Barbarossa.
Secondo
una tradizione che risaliberebbe al IV – VI
secolo, le reliquie dei Magi erano
custodite nella chiesa milanese di Sant’Eustorgio, ma, nel Duecento, Marco Polo
ne avrebbe vedute altre in una città della Persia. Nel 1164, allorché Milano
era stata distrutta perché ribelle all’Impero, l’Arcicancelliere imperiale Rainaldo
di Dassel, Arcivescovo di Colonia, le prelevò per portarle nella sua città, dove
furono deposte nel duomo, di cui era appena avviata la costruzione.
Là
riposano ancora oggi e sono state oggetto del grande pellegrinaggio dei giovani
guidato, nell’Estate del 2005, da Papa Benedetto XVI.