“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

lunedì 28 agosto 2017

Brigitte Bardot - Je reviendrai toujours vers toi

domenica 27 agosto 2017

Vittorio Longhi on The immigrant war

Roma - Audizione Don Mussie Zerai e Vittorio Longhi (09.12.15)

sabato 26 agosto 2017

David Garrett - Bitter Sweet Symphony (Official Video)

lunedì 21 agosto 2017

La Bosnie-Herzégovine, fief du salafisme européen #Reporters

domenica 20 agosto 2017

Islam contre Islam : enquête sur une nouvelle guerre ��

La Confrérie, enquête sur les Frères Musulmans (Documentaire entier)

Lorsque le Monde parlait Arabe (Complet) | Documentaire FR

De l'orient à l'occident La Conquête Arabe

De l'orient à l'occident La Conquête Arabe

venerdì 18 agosto 2017

lezione di sogni film bellissimo

giovedì 17 agosto 2017

Cop a la mafia rusa a Lloret de Mar

martedì 15 agosto 2017

Le rivelazioni del New York Times su Giulio Regeni: fu preso dalla Poliz...

domenica 13 agosto 2017

Controlli sui migranti, c'è chi non ci sta

بالفيديو: "ماما نوال" تتسبب ببكاء محمد بن راشد ال مكتوم بسبب اللاجئين ال...

Nawal Soufi premiata dallo sceicco degli Emirati Arabi

sabato 12 agosto 2017

10 MOST ELITE SPECIAL FORCES IN THE WORLD

USA vs N.KOREA (wwIII-GUAM War!) | U.S Army VS North Korean Army/Militar...

ALERT - TRUMP WARNS NORTH KOREA BOMBERS ARE "LOCK & LOADED"

Breaking News Tonight , President Trump Latest News ,New Warns , Trump V...

NORTH KOREA NUCLEAR ALARM ⚠

mercoledì 9 agosto 2017

ANTEPRIMA! estratto da: URANIO IMPOVERITO o LA GUERRA ATOMICA CAMUFFATA II. I TESTS NUCLEARI NEI POLIGONI INGLESI E FRANCESI di Daniela Zini


URANIO IMPOVERITO
o
la guerra atomica camuffata
 Inchiesta sull’Uranio Impoverito, Depleted Uranium, in sigla DU, utilizzato nell’industria bellica, la cui pericolosità per la salute è minimizzata dalle lobbies militari-industriali.


 “The world is a dangerous place to live; not because of the people who are evil, but because of the people who don’t do anything about it.”
Albert Einstein

Pier Paolo Pasolini visita la tomba di Antonio Gramsci.

“Amo la vita così ferocemente, così disperatamente, che non me ne può venire bene: dico i dati fisici della vita, il sole, l’erba, la giovinezza: è un vizio molto più tremendo di quello della cocaina, non mi costa nulla, e ce n’è un’abbondanza sconfinata, senza limiti: e io divoro, divoro, divoro...
Come andrà a finire, non lo so.”
Pier Paolo Pasolini, Ritratti su misura





Tra il 1968 e il 1974, sono portati a compimento 140 attentati dinamitardi.
Il 15 aprile 1969, una bomba distrugge lo studio del rettore dell’Università di Padova, Enrico Opocher. Il 25 aprile, vengono colpiti la Fiera di Milano e l’ufficio cambi della Banca Nazionale delle Comunicazioni, che aveva sede nell’atrio della Stazione Centrale.
Lo stesso giorno, a Brescia, viene devastata la sede dell’ANPI, fatta saltare la lapide dedicata ai partigiani in Piazza della Loggia e vengono aggrediti ex-partigiani. Nella notte tra l’8 e il 9 agosto, vengono collocati dieci ordigni su convogli ferroviari, di cui otto esplodono, ferendo 12 passeggeri. Il 12 dicembre, a Milano, è giorno di mercato e in Piazza Fontana, dove si svolge, tradizionalmente, la contrattazione delle merci agricole e dove la Banca dell’Agricoltura è aperta, anche, il pomeriggio, e, particolarmente, frequentata, alle 16:37 esplode una bomba, che provoca la morte di 16 persone e  il ferimento di altre 84. Contemporaneamente, a Roma, deflagrano altri ordigni: alla Banca Nazionale del Lavoro, dove vi sono 14 feriti; all’Altare della Patria e all’entrata del Museo del Risorgimento. Una quinta bomba viene rinvenuta, inesplosa, alla Banca Commerciale di Milano, in Piazza della Scala.
La Strage di Piazza Fontana segna profondamente l’Italia.
“Ho pensato che cominciava davvero un periodo cupo, un periodo atroce.”,
ricorda Corrado Stajano.
 “Per la prima volta gli italiani avevano l’impressione di essere stati ingannati, traditi dal loro Stato.”,
scrive Giorgio Bocca.
Nesun italiano aveva fino ad allora neppure immaginato la possibilità di assistere a un delitto così efferato; inoltre, come fu ben presto chiaro, erano coinvolti uomini dei servizi segreti.
Il 28 maggio 1974, è una mattina di pioggia e alle 10:12 minuti, mentre in Piazza della Loggia sta parlando il sindacalista della CISL Franco Castrezzati, scoppia una bomba posta in un cestino per i rifiuti, sul lato est, sotto i portici. I morti sono 8 e 103 i feriti.
Qualche mese dopo la strage di Piazza della Loggia, il 4 agosto 1974, nel cuore della notte, all’1:30, mentre il treno Italicus, partito da Roma e diretto a Monaco di Baviera, esce dalla galleria della Direttissima, sulla tratta ferroviaria tra Firenze e Bologna, una bomba esplode nel secondo scompartimento della quinta carrozza. I morti sono 12, i feriti 44.
Nel 1974, è, anche, elaborato un piano per un Colpo di Stato: è il “golpe bianco” di Edgardo Sogno, preceduto dal Piano Solo del 1964 e dal Golpe Borghese del 1970.
Proprio in quegli anni riprese corpo l’azione dell’estrema destra, e nacquero organizzazioni come i Nuclei Armati Rivoluzionari [NAR], Terza Posizione [TP] e Costruiamo l’Azione [CLA].
Nel 1978 si consuma l’attacco al cuore dello Stato con il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro.
“È doveroso alla fine rivelare che quello della strategia della tensione fu un periodo di autentica e alta pericolosità, con il rischio di una deviazione costituzionale che la vigilanza delle masse popolari non permise.”
La strage alla stazione di Bologna segna, in un certo senso, la fine degli anni Settanta.
La formula di questa strategia era estremamente semplice ed efficace: “DESTABILIZZARE IL PAESE PER STABILIZZARE IL POTERE”.

Il movente principale della strategia della tensione sarebbe stato quello di destabilizzare la situazione politica italiana. In tale ottica, tali attentati terroristici avevano lo scopo di seminare il terrore tra la popolazione, in modo da legittimare l’instaurazione di un governo di tipo autoritario o addirittura colpi di stato da parte di forze politiche, o comunque organizzate, generalmente gravitanti nell’area dell’estrema destra. Tale strategia golpistica trae origine ideologica fin dalla metà degli anni 1960, in particolare dal cosiddetto Piano Solo [il fallito colpo di stato del 1964] e dal Convegno dell’Hotel Parco dei Principi, organizzato dall’Istituto di studi militari Alberto Pollio, nel maggio 1995, avente come tema la “guerra rivoluzionaria” anticomunista, cui intervennero personalità del mondo imprenditoriale, alti ufficiali dell’esercito, giornalisti, politici ed esponenti neofascisti, quali Pino Rauti, Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino.
La strategia della tensione fu finanziata da  potenze estere e gestita da servizi segreti deviati nazionali e da apparati, quali Gladio, come confermerebbero i Kissinger Cables, hackerati, dal 2010 al 2013, dai servers del governo statunitense e pubblicati da Wikileaks.
Il 14 novembre 1974,  Pier Paolo Pasolini pubblica sul Corriere della Sera Che cos’è questo golpe? Io so. In tale articolo, Pasolini dice di conoscere i nomi degli esecutori materiali delle stragi e di quello che lui definisce golpe e accusa giornalisti, politici e intellettuali, di sapere, di avere, anche, le prove, ma di tacere per servilismo nei confronti del potere.
“Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi. Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi. A chi dunque compete fare questi nomi?”
La domanda è chiara:
“A chi dunque compete fare questi nomi?”
Pasolini risponde che solo chi “non è compromesso nella carica del potere” e che, per  definizione, non ha niente da perdere, un intellettuale, può e anzi deve, assumersi questa responsabilità nei confronti del Popolo. Ed è da questo momento, dal momento in cui si è fatto carico di questa responsabilità, che Pier Paolo Pasolini inizia un vero e proprio ATTACCO AL POTERE, sul campo aperto.


“I have no special talent.
I am only passionately curious.”
Albert Einstein

“[…]
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti [attentati alle istituzioni e stragi] di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere.
[…]”

scriveva Pier Paolo Pasolini, nel celebre articolo Cos’è questo golpe? Io so, [http://www.corriere.it/speciali/pasolini/ioso.html], pubblicato sul Corriere della Sera, il 14 novembre 1974, all’indomani degli scandali che avevano coinvolto la Democrazia Cristiana e i vertici dello Stato http://legislature.camera.it/_dati/leg13/lavori/doc/xxiii/064v01t03_RS/00000018.pdf].
È un proclama che poteva fare paura a chi avesse ordito le Stragi degli anni 1970.
Pasolini poteva costituire una minaccia.

Pier Paolo Pasolini con Ferdinando Adornato e Walter Veltroni alla manifestazione in sostegno del movimento antifranchista davanti all’Ambasciata di Spagna, in Piazza di Spagna, a Roma, il 24 settembre 1975.

26 gennaio
Niente governo neppure oggi. Invece per rallegrare la scena è scoppiato lo scandalo dei dollari della CIA ai nostri partiti. Il “New York Times” e il “Washington Post” [i giornali dello scandalo Nixon] hanno pubblicato larghi estratti delle relazioni della commissione senatoriale e di quelle del congresso sui finanziamenti della CIA in Italia […]. Si parla di 21 uomini politici compromessi ma non farebbero nomi. I nomi e grossi li fa invece il “New York Times”. Sono quelli di Andreotti e di Donat Cattin per la DC, di Saragat per la sinistra socialdemocratica, di Vito Scalia della CISL. Il nome che fa più impressione è naturalmente quello di Saragat. Egli oppone [come gli altri del resto] una indignata protesta, mai visto una volta, mai visto un soldo. 
Vedremo il seguito della polemica. Mi appare sbalorditivo che un nome come quello di Saragat possa essere buttato nel fango in questo modo, è un ex-presidente della Repubblica, è l’uomo che nel 1947 fece la scissione del partito socialista in difesa degli Stati Uniti. Da tanti anni l’America si avvale di lui per sbandierare la sua propria missione di libertà nel mondo.
Adesso lo si dà in pasto alle calunnie. Potrà risollevarsi o no dal colpo che riceve e dai molti che sono pronti ad accettare per vero. Ma l’attuale classe dirigente appare vile e smarrita. Una classe dirigente che per certo non può reggere la leadership del mondo alla quale pretende.
Quanto ai finanziamenti si tratta adesso di accertare dov’è la verità.

28 gennaio
Altra e più grave rivelazione della “Stampa” sui finanziamenti della CIA in Italia. Il caso denunciato oggi è infinitamente più grave dei precedenti […]. Dai passi citati risulta che l’ambasciatore in persona nel febbraio 1970 versò circa 500 milioni di lire a un altissimo personaggio dei servizi segreti italiani e che costui li girò a un giornalista di estrema destra per influenzare in questo senso la politica in questione.
“La Stampa” sostiene che i due personaggi sono il generale Vito Miceli [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/12/02/morto-vito-miceli.html] e Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo, giornalista e deputato missino. Interventi di questo genere vanno oltre il finanziamento dei partiti o dei sindacati, investono la sicurezza del Paese. Miceli ha smentito e Rauti ha fatto naturalmente lo stesso ma non ha aperto bocca l’ambasciatore. Non fiata il Dipartimento di Stato […].

29 gennaio
Nello scandalo dei finanziamenti della CIA in Italia i politici passano un poco in seconda linea. La tensione e lo sdegno si concentrano nel mezzo miliardo dell’ambasciatore americano al SID […] La crisi ministeriale è tornata dopo 24 giorni al suo punto di partenza. La direzione della DC non si è opposta al moncolore che Moro cura di costituire ma lo ha condizionato a un accordo della vecchia maggioranza se non sulla formula sul programma del nuovo governo. La palla cioè ritorna nel nostro giardinetto.
Pietro Nenni, Socialista libertario giacobino: Diari [1973-1979]
Il primo novembre 1975, tra le 16:00 e le 18:00 del pomeriggio, poche ore prima di essere assassinato, Pasolini rilascia una intervista a Furio Colombo per La Stampa. Titolo della intervista, per espressa volontà di Pasolini: Siamo tutti in pericolo [http://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/morte/siamo-tutti-in-pericolo-lultima-intervista-a-ppp-di-furio-colombo-1-xi-1975/].
Il giorno dopo, il 2 novembre 1975, Giorno dei Morti, il corpo senza vita del poeta viene trovato all’Idroscalo di Ostia.
Non si è Italiani se non si ha una teoria personale del “complotto” di quel giorno!
Il suo assassinio interrompe le sue indagini politiche, ma una parte di Petrolio è, già, stata scritta e continua a parlare dopo la sua morte. Se si continuasse a studiarlo dal punto di vista economico-politico, forse, potrebbe rivelare qualche segreto che i potenti di allora volevano nascondere, o, forse, potrebbe portare a una pista finora neppure ipotizzata e svelare quanto sia accaduto. Perché rivelare la verità a tutti era il desiderio di Pier Paolo Pasolini, come scrive Gianni d’Elia:
“Il dono che ha fatto Pasolini agli italiani, negli ultimi anni di vita, è stato ed è quello di un privilegio contrario ed esattamente opposto al privilegio ricevuto per editto e consuetudine dal Potere, politico giudiziario, della menzogna: il diritto, e soprattutto il dovere, alla verità storica e politica del male che ha afflitto e affligge la nostra Nazione.”
Occorre ricordare che, nel 1974, viene messa in liquidazione la Banca Privata Italiana, nata dalla fusione di Banca Unione e Banca privata Finanziaria; inizia la crisi dell’impero Sindona e, nel contempo, il ruolo di finanziatore dell’eversione si sposta da Michele Sindona a Licio Gelli. In quello stesso periodo, il Banco Ambrosiano ristruttura il proprio apparato estero: una barriera protettiva grazie alla presenza dello IOR, l’istituto bancario vaticano difficilmente penetrabile da controlli delle autorità monetarie e finanziarie, anche nel punto chiave di uscita del danaro. In particolare, nel 1974, fu fondata      la società United Trade Company. Ma quello che interessa sottolineare è che, come è scritto nell’ordinanza di rinvio a giudizio per il crack del Banco Ambrosiano, nel 1975, la UTC inizia a erogare, in modo assolutamente ingiustificato, ingenti somme a fondo perduto su conti presso banche svizzere e sudamericane, appartenenti o comunque riferibili a Licio Gelli e Umberto Ortolani.
Il 4 ottobre 1974, il giudice istruttore di Milano emetteva contro Michele Sindona mandato di cattura per i reati di false comunicazioni sociali e illegale ripartizione degli utili. Dopo che con sentenza del 14 ottobre 1974, il Tribunale Civile di Milano dichiarava lo stato di insolvenza della Banca Privata Italiana, nei confronti di Sindona veniva promossa l’azione penale anche per il reato di bancarotta fraudolenta, con ordine di cattura, emesso il 24 ottobre 1974, confermato dal giudice istruttore, a seguito della formalizzazione del procedimento, con mandato di cattura del 2 luglio 1975 [cfr. la sentenza n. 20/86 del 18 marzo 1986 della Corte di Assise di Milano, acquisita al fascicolo per il dibattimento].
Il 1974 è un anno di sangue!
Molti morti si conteranno negli scontri tra i gruppi di estrema sinistra e di estrema destra e le forze dell’ordine… e negli attentati di Piazza della Loggia, il 28 maggio 1974, e dell’Italicus, il 4 agosto 1974.
Lo scrittore Italo Calvino, commentando questo clima di violenza, in un articolo intitolato La strage, pubblicato sul Corriere della Sera, il 6 ottobre 1974, esprime molto bene il clima dell’epoca:
“Almeno un risultato questi delle bombe l’hanno ottenuto, insistendo nel loro monotono lavoro di collezionisti di stragi: di esaurire la possibilità che la parola scritta e parlata ha di esprimere l’indignazione, l’esecrazione, la ferma volontà di impedire il ripetersi.”
Pasolini sapeva i nomi dei responsabili che si nascondevano  dietro la strategia della tensione, “di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali”,  e lo afferma, in modo reiterato, di sapere, ma afferma, anche:
“Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.”
Così, il suo discorso differisce da un discorso scientifico o storico: il suo sapere è puramente intuitivo, letterario.
Il suo articolo diviene, allora, una sorta di J’accuse! mancato.
Riprende la struttura anaforica del J’accuse! di Emile Zola, con delle differenze tuttavia. Pasolini afferma di sapere, ma non può dire, non può citare i nomi, perché non ha prove. Zola, al contrario, “accusa”, nominando colpevoli precisi, perché ha le prove. È la sua condizione di scrittore che gli permette di trovare un senso agli episodi misteriosi – a quel momento non ancora chiariti – che caratterizzano la Storia italiana degli anni 1970.
Reiterando l’affermazione “Io so.” , Pasolini conferisce allo scrittore lo status di strumento cognitivo capace  di scoprire una Verità, di costituire un sapere. È, dunque, la sua condizione di scrittore che gli permette di ritrovare il fil rouge in seno agli episodi apparentemente privi di una logica propria.
Oggi la Verità è preda di due opposte e concomitanti follie: il Nichilismo di chi dice che la Verità non esista, ma vi siano solo i punti di vista e il Fanatismo di chi ritiene di avere il monopolio della Verità.
Ma nessuno ha la Verità in tasca!
La Verità è latente nel profondo dell’animo umano, o, meglio nel nostro io spirituale e occorre un certo grado di evoluzione perché ne appaia qualche luce. Noi andiamo verso la Verità a piccole tappe, che sono illusioni, ma, nel momento, sono per noi Verità, la nostra Verità.
La Verità è più grande di noi e nessuno ne detiene il monopolio, ci trascende. Noi possiamo aspirare a essere nella Verità, ma non ad avere la Verità in pugno. Noi possiamo nutrire passione di Verità e possiamo cogliere alcuni aspetti della Verità, perché la Verità ha molti lati. È la poligonia obiettiva del vero, di cui parla Vincenzo Gioberti nella Teoria del sovrannaturale: la Verità ha vari lati, non uno solo.
Si tratta, pertanto, di ripristinare la relazione tra il vero e il fatto, come direbbe Giovan Battista Vico.
Il vero è la visione intelligente del fatto.
I fatti sono parziali, le interpretazioni partigiane.
La verità è l’intero rispetto alle parti.
Ognuno, dunque,  faccia la sua parte, senza la pretesa di dire il Tutto o di rivelare il Nulla. Questo salva la Verità dal monopolio dispotico e dalla negazione nichilista.
Vi è stato un tempo nella Storia degli uomini, in cui veniva imposto di credere ciò che piaceva a chi era al Potere, pena la persecuzione, la prigionia e il patibolo. Furono, così, commessi innumerevoli delitti, mentre gli autori incoscienti si proclamavano seguaci di Verità, e l’istituzione nefasta fu, perfino, canonizzata con il nome di Santa Inquisizione.
Questa aberrazione umana continua, ancora oggi.
Ed è, sempre, la miopia degli uomini che rende intollerante chi si ritiene possessore della Verità.
La pericolosità dei dogmatici, non solo nel campo religioso, ma in quello politico, scientifico, è nel credersi i soli possessori della Verità assoluta e di ritenere gli Altri nell’errore. Per questo si credono in dovere di combatterli per portarli alla posizione che ritengono la sola giusta e vera.
“La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità.”
[…] “Lei ha aiutato molti uomini” disse il capitano “a trovare la verità in fondo a un pozzo.”
Quando Leonardo Sciascia scrive Il giorno della civetta, crede nella Verità, nella sua esistenza e nella sua conoscibilità anche quando qualcuno, a essa nemico, tenta di nasconderla e imposturarla. Nel romanzo, Verità e Giustizia si incontrano per dividersi subito: la Verità, pur se nota, non porta con sé la Giustizia, che è impedita dal Potere che assicura l’impunità.
Il coraggio della Verità si prefigge di investigare aspetti miracolosamente, verrebbe da dire, ancora poco indagati.
Mala tempora currunt per i ricercatori di Verità, nell’opera di Sciascia e nella Storia italiana del Dopoguerra!
La Verità che Sciascia, da cittadino e da intellettuale, ha, sempre, cercato è stata una Verità in conflitto con le ragioni della politica dei partiti, dei governi, delle istituzioni. In conflitto con la Ragione di Stato e la Ragione di Partito.
E io ho deciso di fare mie le parole di Sciascia a Marcelle Padovani:
“Sono arrivato alla scrittura-verità, e mi sono convinto che, se la verità ha per forza di cose molte facce, l’unica forma possibile di verità è quella dell’arte. Lo scrittore svela la verità decifrando la realtà e sollevandola alla superficie, in un certo senso semplificandola, anche rendendola più oscura, per come la realtà spesso è.”
Il presente è, sempre, il risultato del passato e il collettivo è una dimensione dell’individuale: non posso capire me stesso senza capire gli altri.
Ogni mio scritto nasce da una domanda. 
Perché?
Calarmi nei personaggi è frutto della mia esperienza di “prestato scrittore al giornalismo”. Ho appreso doti di chiarezza e velocità e, anche, a inventarmi in ruoli diversi in ogni romanzo, come in un gioco, perché la Letteratura è uno strip-tease al contrario: lo scrittore parte nudo e si veste fino a diventare un nuovo o più nuovi personaggi.
A cosa serve conoscere il Passato?
Perché occuparsi di ciò che è accaduto dieci, mille, diecimila anni fa?
Non sarebbe meglio esaminare il Presente, ciò che accade intorno a noi e da cui dipende la nostra Vita?
Studiamo il Passato proprio per comprendere il Presente.
Sulla Terra tutto si evolve, in altri termini, tutto si trasforma.
Un miliardo di anni fa, la Terra appariva un immenso globo arroventato, circondato di vapori, su cui non vi era e non poteva esservi Vita. 
Centinaia di milioni di anni fa, la Vita si generò sulla Terra.
Decine di milioni di anni fa, già, esistevano una ricca vegetazione, boschi sterminati, una moltitudine di animali di ogni specie, sia acquatici sia terrestri.
Tutto quel Mondo somigliava molto poco al Mondo attuale, che, tuttavia, si è sviluppato da quello, mediante una lunga serie di mutamenti ininterrotti.
Come è avvenuto tutto questo?
Non per caso, ma secondo leggi determinate.
Se ci limitiamo a esaminare la Vita, oggi, non riusciamo a cogliere queste leggi, vale a dire il carattere necessario dei mutamenti. Prima che si studiasse il lontano Passato del Pianeta Terra, prima che si scoprissero i fossili degli animali e dei vegetali, esistiti milioni di anni fa, si riteneva che il Mondo non fosse, mai, mutato dall’attimo in cui era stato creato. Si rideva dei pochi scienziati che osassero affermare il contrario. Eppure, quegli studiosi asserivano ciò che, oggi, sembra evidente: che la Vita si sia sviluppata sulla Terra, a poco a poco, nel corso dei secoli.
Le osservazioni sui resti dell’Antico Mondo vegetale e animale, che sono giunti fino a noi, perché sono rimasti sepolti per centinaia di secoli, hanno dimostrato che il Vecchio Mondo animale e vegetale somigliava molto poco al nostro, che il Mondo è, sempre, cambiato, nel corso dei secoli, e che, naturalmente, tutto continua e continuerà a cambiare.
È una legge di natura!
Ma la dottrina, secondo cui il Mondo è immutabile e tutto è stato creato in un attimo, è stata sostenuta, a lungo, non per caso o per pura ignoranza.
Questa dottrina era vantaggiosa a molti.
Se, in generale, nulla cambia nel Mondo, non cambia neppure la Società. Anche questa ha un suo assetto immutabile: così è, sempre, stata e, così, sempre, sarà.
Ma per quale motivo si doveva credere, in Passato, che la Società fosse, sempre, stata la stessa?
Per il semplice motivo che una simile credenza era utile a chi godeva di tutti i benefici nella vecchia Società.
Chi aveva, sempre, detenuto il potere voleva persuadersi che sarebbe stato, sempre, così, e cercava di convincere se stesso, ma, soprattutto, la Massa che, così, dovesse essere e che le cose non potessero andare diversamente.
Se lo studio del Passato della Terra, dell’Antico Mondo animale e vegetale, se la Geologia e la Paleontologia hanno mandato in frantumi la Fiaba, secondo cui il Mondo è stato creato in un attimo e non può cambiare; la Storia e l’Archeologia mandano in frantumi l’altra Fiaba, secondo cui la Società è, sempre, stata e, quindi, sarà, sempre, quale è.
L’Uomo, invece, cambia e cambierà, come tutto il resto.
Alcuni ordinamenti sociali nascono, altri tramontano e, al loro posto, ne sorgono di nuovi.
La fine di tali mutamenti non possiamo prevederla né immaginarla; ma, se osserveremo il prodursi di tali fenomeni, nel corso di decine e centinaia di anni, giungeremo a coglierne le leggi. E, se non riusciremo a dire come diverrà la Società, tra qualche migliaio di anni, potremo, tuttavia, sapere per quali vie l’Umanità si andrà modificando.
Chi prevede l’Avvenire lo domina, perché si prepara a esso, si organizza per evitare le future calamità e utilizzare al massimo i beni che l’Avvenire gli riserva.
Conoscere significa prevedere, prevedere significa padroneggiare.
La conoscenza del Passato dà, quindi, all’Uomo un potere sul Futuro.
Ecco perché abbiamo bisogno di conoscere il Passato.
Ora, se per individuare il carattere necessario dei mutamenti che si producono nella Società dobbiamo esaminare questi mutamenti, nel corso di un lungo periodo, ciò non significa che si debba intraprendere l’esame dalle Età più remote.
Si può, anche, seguire la strada inversa.
Anzi, le leggi dei mutamenti della Società sono più facili da cogliere, ove si proceda dal Presente verso il lontano Passato.
Muoviamo, quindi, dal Presente.  
In tutto il Mondo si sta producendo, oggi, una Rivoluzione.
Osservando il Presente o il Passato relativamente prossimo, possiamo individuare le leggi dei mutamenti storici, comprendere che la Storia è fatta di uomini che svolgono determinati compiti ed è modificata dalla classe sociale che opera i singoli mutamenti.
Come si generano le classi sociali?
Perché mai tutta la produzione era in Passato nelle mani dei contadini e dalla campagna si ricevevano non solo il grano, il lino, la lana, ma anche gli zoccoli e i vestiti, e tutto veniva fabbricato dai singoli artigiani, che se ne stavano rintanati ognuno nella propria bottega o in casa, mentre, oggi, esistono immensi calzaturifici, grandi negozi di abbigliamento?
Solo perché – non esistendo o pressoché le macchine – l’Uomo di quel tempo era costretto a fare tutto con le sue mani. Esistevano, naturalmente, macchine idrauliche, come i mulini, ma le macchine di questo tipo erano molto poche.
Trecento anni fa, l’Uomo iniziò a costruire macchine a vapore, in seguito, quelle elettriche e termiche.
Con la comparsa delle macchine si riuscì a produrre oggetti di ogni genere in quantità maggiore e con un ritmo più rapido. Non si poté più, a tale punto, lavorare isolatamente, perché il singolo operaio non poteva usare da solo la macchina e gli operai iniziarono, quindi, a radunarsi in Massa intorno alle macchine.
Ebbe, pertanto, origine la grande produzione: la fabbrica.
I proprietari delle macchine, imprenditori o borghesi, divennero i padroni di tutto. Fornivano agli operai la possibilità di usare le macchine e, al tempo stesso, li privavano dei frutti del loro lavoro, retribuendoli con salari di fame. Nacque, così, la classe degli operai, che non lavoravano più in casa propria e solo con le proprie mani, ma in casa di altri e con l’aiuto di macchine non loro. Si formò, quindi, il Proletariato.
Questo significa che la nascita di una data classe sociale si spiega con il modo di gestione dell’Economia.
In Passato, si lavorava isolatamente, in piccole imprese e questo era un assetto sociale determinato.
In seguito, si iniziò a lavorare tutti insieme e si ebbe un diverso assetto della Società.
Tutti i mutamenti sono, pertanto, fondati su una trasformazione dell’Economia.
Cosa costringe l’Uuomo a occuparsi di Economia?
Dall’inizio del XX secolo, l’intera Umanità vive in circostanze catastrofiche. I tempi tranquilli, nei quali un Sistema Universale e profondamente radicato di valori scientifici, creativi e vitali pareva sussistere incrollabile, sono scomparsi  totalmente.
Ovunque divisioni, contrasti, scissioni, ovunque avvenimenti fluttuanti, mutevoli, contraddittori. Eppure, al di sopra di essi sta l’ideale di una finalità comune, che è quella di riunire in una comunità unitaria i Popoli, perché si adattino gli uni agli altri e si fecondino a vicenda.
Certo, non è possibile cogliere l’Umanità in tutto il suo complesso, poiché non vi è in essa un contenuto culturale comune, capace di costruire una Civiltà nuova; tuttavia, questa esperienza non impedisce che si aspiri al collegamento e all’unione dei Popoli, poiché si avverte che le finalità, in campo sociale ed etico, debbono, sempre, oltrepassare il verosimile per avere una efficacia creativa.
Fenomeno strano, ma comprensibile: nella nostra Epoca inquieta e rivoluzionaria sono vive due tendenze contrastanti: l’una, che spinge alla scissione, perfino all’autodisgregazione; l’altra, che mira all’unificazione.
Nel gioco delle forze politico-sociali manca una linea unitaria: forze diverse in lotta tra loro, dominano la Vita multiforme degli individui e degli strati sociali. Questa duplicità delle forze fondamentali e apparentemente inconciliabili, questi effetti di forze contrarie, ma tra loro intersecate, si ritrovano in tutti i grandi periodi della Storia, sia nell’Antichità Classica e nell’Impero Bizantino, sia in diversi momenti dell’Era Moderna.
Si ha, tuttavia, l’impressione che l’Umanità non abbia, mai, conosciuto tensioni e sconvolgimenti della potenza e della vastità di quelli che abbiamo occasione di osservare noi, oggi.
In queste circostanze caotiche, nelle quali vediamo Masse, Popoli e Culture crollare e nuove strutture politiche e sociali sorgere al loro posto, emergono, naturalmente, problemi di ogni genere, nuovi e vecchi, razionali e irrazionali, che, solo in piccola parte, ammettono una soluzione.
Le nuove idee di attualità, i progetti, le ideologie, le parole altisonanti e le teorie cavillose contribuiscono a confondere gli Spiriti.
Si presuppone che gli Uomini siano in grado, per la loro preparazione, di venire, felicemente, a capo di questi compiti in tutta la loro estensione. Senza una speciale selezione, si affidano agli individui i compiti più diversi, e la maggior parte di loro sembra, anche, essere capace di eseguire i lavori assegnati, fintanto che non siano richieste forza creatrice e grandezza personale. Di fronte a una tale grande Massa di capaci sta lo strato più esiguo degli individui dotati di attitudini creative, quella degli individui di talento, predestinati da Natura a compiti maggiori e più importanti. 
Perché scrivo?
Scrivere è, forse, una delle più incredibili Avventure che ci sia data. Basta un foglio di carta, una penna ed è un Universo intero a sorgere, ad accalcarsi, già, dietro la porta.
Tra le righe!
Vi è qualcosa di magico. Di affascinante. Forse, anche di inquietante. Perché questo Mondo, se non è, forse, completamente reale, nondimeno ha il potere di trasformarci. Molto sovente, almeno se il Libro è buono, non è più la stessa persona che finisce un romanzo quella che l’ha iniziato. E ciò vale sia per il lettore sia per lo scrittore.
No, scrivere, leggere, non è anodino!
Non se ne esce, sempre, indenni…
I libri possono cambiare il mondo, non d’improvviso, ma a poco a poco, trasformando la percezione dei lettori.
Vi sono Libri che ci accompagnano, che ci fanno crescere, che divengono vecchi Amici. Fanno parte della Famiglia, hanno il loro posto accreditato sui ripiani della libreria. Libri di cui si ama accarezzare, teneramente, la rilegatura; scorrere, a caso, qualche frase, per la musica interiore; respirarne l’odore…
E, poi, altri che, un giorno, si dimenticano o, peggio ancora, si tradiscono, ignobilmente, per il tale autore alla moda…
Libri allettanti e facili, tentatori come il Demonio, scritture di dubbia virtù, zerbini letterari di circostanza…
È la Vita!
Precisamente.
Si deve assaporarla fino all’ultima pagina… 
Perché leggere è un atto sacro.
“Se l’uomo non avesse un’immaginazione così debole e facile a stancarsi, se la sua capacità di meravigliarsi non fosse così limitata, abbonderebbe per sempre le fantasticherie celesti. Imparerebbe a percepire l’assoluto e il meraviglioso nell’acqua, nelle foglie e nel silenzio, e sarebbe una consolazione più che sufficiente per la perdita degli antichi sogni.”
Io leggo Libri che mi rendono un Uomo migliore, che sfidano il mio modo di pensare, che mi fanno fluire e proseguire nel cammino.
E se il Libro è Desert Solitaire di Edward Abbey, che riconosco, geneticamente, vicino a ciò che scrivo, mi scatta il senso profondo donato all’Uomo dall’umiltà, che mi fa comprendere che il “Labirinto” è solo all’inizio.
Vero Edward? 







“Vorrei che gli italiani sapessero di tanti altri ragazzi soldato, decine e decine, ormai centinaia, morti ugualmente per aver servito lo Stato nelle missioni di pace nelle zone di guerra. Ma lo fanno in silenzio, tra atroci dolori, in un lettino d’ospedale, uccisi dai tumori diagnosticati dopo il Kosovo, la Somalia, l’Iraq, l’Afghanistan. E non hanno nessun funerale ufficiale, nessun sostegno se non quello dei genitori e delle mogli che li assistono sino all’ultimo.”
Giuseppe Di Giorgio, ex-parà della Folgore, malato di linfoma di Hodgkin

“L’intervento italiano in Afghanistan si realizza nel pieno rispetto dei principi e delle circostanze stabiliti dall’articolo 11 della nostra Costituzione. Siamo in Afghanistan non per recare offesa alla libertà di un altro popolo, né per risolvere con la guerra una controversia, ma per rispondere all’appello di quelle organizzazioni internazionali impegnate ad assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni cui la Costituzione fa esplicito riferimento”.
Giorgio Napolitano, 1 agosto 2011, ore 11.34 

Dove finiscono le armi quando finiscono le guerre?
Tutto ha origine quando l’Unione Sovietica inizia a dismettere gli arsenali e la paura di un conflitto mondiale viene meno.
I Balcani costituiscono, da sempre, un’area molto appetibile per i mercanti di armi: guerre continue, sia pure di portata regionale, a causa della forte compresenza di diverse etnie e religioni.
Il 23 Dicembre 1990 – data dell’esito positivo del Referendum Popolare sull’indipendenza della Slovenia - inizia la disgregazione della Federazione Jugoslava [SFRJ]. Da quel momento, i maggiori Stati produttori e venditori di armi iniziano a farsi i loro affari anche se favorevoli alla Risoluzione 713 [http://www.un.org/fr/documents/view_doc.asp?symbol=S/RES/713[1991]], adottata, il 25 settembre 1991, dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che decretava l’embargo generale sulle armi e sull’equipaggiamento militare contro l’intera Federazione Jugoslava e invitava il segretario generale a offrire la propria assistenza per sostenere lo sforzo negoziale condotto dalla Comunità Europea nell’ambito della Conferenza dell’Aia.
Grazie alla sua posizione geografica l’ex-Jugoslavia rappresenta un ponte naturale tra l’Europa e l’Oriente.
Con la copertura della guerra, si consolida la sua posizione di crocevia strategico per qualsiasi traffico illecito. La struttura statale inesistente e legittima favorisce lo sviluppo e il proliferare della criminalità organizzata e, così, nel 2007, in Bosnia, le forze internazionali organizzano un intenso traffico di armi che avrebbero dovuto distruggere. In breve, quando scoppia una guerra, sono in molti a lanciarsi in un business  che permette  di accumulare ingenti ricchezze.
Mercanti di armi e rappresentanti di governo, sebbene implicati, non vengono, mai, giudicati responsabili né condannati.
Tra il 1991 e il 1992, quando nei Balcani il traffico di armi prospera, 20 navi cariche di armi approdano, in grande segreto, al porto sloveno di Koper.
È un ottimo escamotage per aggirare l’embargo stabilito dall’ONU.
Il carico viene, poi, inviato in Croazia e in Bosnia.
L’operazione ha la regia delle mafie italiana, albanese e russa.
Tali armi avrebbero dovuto essere utilizzate a scopo difensivo. Favoriscono, invece, aggressioni e atrocità di ogni tipo.
Le armi acquistate dalla Croazia hanno permesso di respingere l’Esercito Popolare Jugoslavo [JLA], ma non dobbiamo dimenticare che i leaders militari croati  sono stati condannati croati  e serbi sono stati, congiuntamente, coinvolti nel massacro di musulmani bosniaci.
Conclusosi il conflitto, il traffico di armi confluisce nei servizi segreti deviati.
Di nuovo, vi è chi ne sa trarre una grande quantità di danaro!
Come disse, duemila anni fa, al figlio Tito l’imperatore Vespasiano, quando impose una tassa sulle latrine pubbliche:
“Il danaro non puzza!”
Questo adagio, ormai classico, vuole mettere in luce un contrassegno positivo del danaro, vale a dire, il suo valore è indipendente dalle circostanze in cui è stato fatto. Ma quello che valeva duemila anni fa per il danaro dell’imperatore romano, non vale più, oggi, nei confronti del crimine organizzato. Soldi guadagnati illegalmente possono essere ritirati dalla circolazione dallo Stato anche se sono stati “deodorati” in un graduale processo di lavaggio, come si definisce in tedesco il riciclaggio. Il lavaggio di danaro o riciclaggio è stato, fino agli anni 1980 inoltrati, una metafora pregnante del linguaggio giornalistico e, solo agli inizi degli anni 1990, si è trasformato in concetto giuridico.
Nel 1990, il gruppo delle Nazioni economicamente più importanti [G7] presentò delle direttive fatte elaborare dal Financial Action Task Force on Money [ FATF ].
Oggi, interi settori economici, anzi intere economie nazionali sono minacciate dall’infiltrarsi del crimine organizzato. I riciclatori di danaro lo aiutano ad accedere alle posizioni di potere dell’economia e della società legali.
Il Fondo Monetario Internazionale [FMI] ritiene che, nel 1995, siano stati immessi, clandestinamente, nei mercati finanziari legali complessivamente 500 miliardi di dollari di danaro sporco, nonostante fossero state rafforzate le misure contro il riciclaggio.
Far luce è la parola d’ordine di questa inchiesta.
Non si vuole tanto portare l’attenzione su singoli casi, avvenimenti, scandali, quanto rendere visibili quelle strutture e intrecci finanziari, in cui il flusso del danaro sporco si mescola con quello legale.
Fare i nomi di società e persone diviene, pertanto, inevitabile.
Conformi a questo approccio sono anche le numerose note a piè di pagina disseminate nel testo, che contengono particolari concreti sui punti nodali e le diramazioni di strutture finanziarie invisibili. 



Da venti anni, i reduci dalle missioni NATO, in Libano, in Afghanistan, in Bosnia, in Somalia, in Kosovo e in Iraq si ammalano per le conseguenze dell’uso  di proiettili all’uranio impoverito. È l’Osservatorio Militare,  presieduto dal maresciallo in pensione Domenico Leggiero, ex-pilota dell’Aeronautica [http://www.osservatoriomilitare.it/] a fornire i numeri di questa battaglia dimenticata, sui quali non sono servite tre Commissioni di Inchiesta Parlamentari, regolarmente azzoppate dal crollo anticipato delle legislature.

 
Miles Gloriosus ovvero morire d’uranio impoverito, per la regia di Antonello Taurino [https://vimeo.com/38099678], ricostruisce la vicenda dei soldati malati di cancro a causa dell’uranio impoverito delle munizioni sparate in alcune missioni all’estero.
In ottanta minuti di una forma di teatro civile, che non segue schemi classici, il regista conduce gli spettatori attraverso una vicenda dolorosa, di ingiustizia e abbandono delle istituzioni, ma lo fa con la commedia e non con l’orazione seria.
“Per fare teatro civile”,
spiega il regista;
“non basta dire i fatti, serve metterci una storia intorno. La storia è l’esca per attirare e poter raccontare.”
E vi è stato un parlamentare che è riuscito a boicottare lo spettacolo!

Ne è decollata una quarta, presieduta dal deputato PD della Sardegna Gian Piero Scanu.
“L’universo della sicurezza militare non è governato da norme adeguate. C’è bisogno di una nuova legge, senza la quale resteranno immutate le scelte strategiche di fondo che trasformano i militari in lavoratori deboli e umiliano i militari ammalati o morti per la sproporzione tra la dedizione dimostrata e la riluttanza istituzionale al tempestivo riconoscimento di congrui indennizzi.”,
ha dichiarato Scanu, il 19 luglio scorso, durante una conferenza stampa, in cui ha reso nota la relazione intermedia della Commissione, il cui lavoro è culminato in una proposta di legge intitolata “Sicurezza sul lavoro e la tutela assicurativa contro gli infortuni e le malattie professionali del personale delle Forze armate” [https://ilmanifesto.it/uranio-soldati-senza-protezione/].
“Le sostanze inquinanti”,
si legge nella relazione,
“entrano nella catena alimentare e quindi l’accettazione di soglie più elevate della norma espone a un rischio significativo chiunque utilizza i prodotti derivati.”
Voi siete a favore o contro l’energia nucleare?
O non avete, ancora, preso una posizione?
Una posizione, di fatto, noi Italiani l’abbiamo presa e l’abbiamo, anche, espressa.
Oltre a dire NO all’avventura atomica con i 3 Referendum Popolari dell’8 e del 9 novembre 1987 [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/03/18/nucleare-il-pci-dice-si-tutti-referendum.html, https://www.legambiente.it/contenuti/comunicati/il-nucleare-non-%C3%A8-sicuro-non-%C3%A8-economico-non-%C3%A8-utile], l’abbiamo ribadita, il 12 e il 13 giugno 2011, con un nuovo Referendum Popolare contro le centrali nucleari [http://www.repubblica.it/politica/2011/06/13/news/referendum_la_giornata_dei_s_il_quorum_arriva_tra_le_polemiche-17645020/], cui hanno votato il 57% degli aventi diritto, per abrogare le norme furbette con cui il governo Berlusconi [http://www.governo.it/i-governi-dal-1943-ad-oggi/xvi-legislatura-dal-29-aprile-2008-al-23-dicembre-2012/governo-berlusconi] e il parlamento avevano reintrodotto l’industria atomica in Italia, violando la volontà popolare.
Chi, invece, non si può esprimere è l’Organizzazione Mondiale della Sanità [OMS], l’organismo che, per conto dell’ONU, deve occuparsi della salute delle popolazioni.
Eppure, il Capitolo II della sua Costituzione indica come l’OMS perverrà a elevare il livello di salute, esercitando determinate funzioni.

Capitolo II
Delle Funzioni
Art. 2
a] Agisce come autorità direttrice e coordinatrice, nel campo sanitario, dei lavori di carattere internazionale;
b] Stabilisce e mantiene una collaborazione effettiva con le Nazioni Unite, con le istituzioni speciali, con le amministrazioni sanitarie governamentali, con i gruppi professionali, come pure con altre organizzazioni che potessero entrare in linea di conto;
c] Aiuta governi, se richiesta, a rafforzare i loro servizi sanitari;
d] Fornisce l’assistenza tecnica appropriata e, nei casi urgenti, l’aiuto necessario, se i governi lo domandano oppure se l’accettano;
e] Fornisce o aiuta a fornire, a richiesta delle Nazioni Unite, servizi sanitari e soccorsi a gruppi speciali di popolazioni, per esempio alle popolazioni dei territori sotto tutela;
f] Stabilisce e mantiene i servizi amministrativi e tecnici ritenuti necessari, compresi i servizi di epidemiologia e di statistica;
g] Stimola e promuove lo sviluppo dell’azione intesa alla soppressione delle malattie epidemiche, endemiche e altre;
h] Promuove, se necessario, facendo capo ad altre istituzioni speciali, l’adozione delle misure atte a prevenire i danni causati dagli infortuni;
i] Favorisce, se necessario, facendo capo ad altre istituzioni speciali, il miglioramento dell’alimentazione, il risanamento delle abitazioni, delle istallazioni sanitarie, il miglior impiego degli intervalli di riposo, il miglioramento delle condizioni economiche e di lavoro, come pure di tutti gli altri fattori dell’igiene dell’ambiente;
j] Favorisce la cooperazione tra i gruppi scientifici e professionali che contribuiscono al progresso sanitario;
k] Propone convenzioni, accordi e regolamenti, fa raccomandazioni concernenti le questioni sanitarie internazionali ed esegue i compiti che possono pertanto essere attribuiti all’Organizzazione e sono conformi al suo fine;
l] Promuove lo sviluppo dell’azione in favore della sanità e del benessere della madre e del bambino, come pure la loro attitudine a vivere in armonia con un ambiente in piena trasformazione;
m] Favorisce ogni attività nel campo dell’igiene mentale, specialmente le attività che si riferiscono allo stabilimento di relazioni armoniose tra gli uomini;
n] Stimola e guida le ricerche nel campo della sanità;
o] Favorisce il miglioramento delle norme d’insegnamento e della formazione nelle professioni sanitarie, mediche e affini;
p] Studia e diffonde, se necessario, facendo capo ad altre istituzioni speciali, la tecnica amministrativa e sociale concernente l’igiene pubblica e le cure mediche preventive e terapeutiche, inclusi i servizi ospitalieri e la sicurezza sociale;
q] Fornisce qualsiasi informazione, parere e soccorso concernenti la sanità;
r] Favorisce la formazione, tra i popoli, di un’opinione pubblica illuminata su tutti i problemi della sanità;
s] Stabilisce e rivede, secondo i bisogni, la nomenclatura internazionale delle malattie, delle cause di morte e dei metodi d’igiene pubblica;
t] Uniforma, per quanto necessario, i metodi di diagnosi;
u] Sviluppa, stabilisce e incoraggia l’adozione di norme internazionali concernenti gli alimenti, i prodotti biologici, farmaceutici e simili;
v] In generale, prende tutte le misure necessarie per il raggiungimento del fine assegnato all’Organizzazione.

Il 28 maggio 1959, l’AIEA riesce a far siglare all’OMS l’accordo WHA12-40 [http://independentwho.org/en/who-and-aiea-aggreement/, http://www.criirad.org/actualites/dossiers%202007/accord_oms-aiea/Accord%20OMS-AIEA.pdf], in cui viene mondializzata l’omertà sugli effetti delle radiazioni sulla salute umana. L’accordo stipulava, infatti, che le due organizzazioni dovessero concentrarsi su tutti gli argomenti di interesse comune. Nella pratica, la Risoluzione WHA 12.40 [http://independentwho.org/en/who-and-aiea-aggreement/, http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+WQ+E-2002-3662+0+DOC+XML+V0//IT] del 28 maggio 1959  stabiliva, infatti, che i dati sui danni alla salute, provocati da radiazioni, non potessero essere divulgati dall’OMS senza autorizzazione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica [AIEA].
Avallo, che non è, di fatto, MAI, dato.
Nell’accordo, all’articolo III, si evince la possibilità di poter assumere, sia da parte dell’AIEA sia da parte dell’OMS, misure restrittive per salvaguardare il carattere confidenziale di certe informazioni e dell’obbligatorietà delle due agenzie di rapportarsi, direttamente, per tutti i progetti o i programmi che possano coinvolgere una delle due parti. I termini di questo articolo III, che impongono la segretezza, cioè il silenzio, sono contrari alla Costituzione dell’OMS, il cui scopo è espresso nel Capitolo I della stessa Costituzione:
Il fine dell’Organizzazione Mondiale della Sanità [qui di seguito chiamata Organizzazione] è quello di portare tutti i popoli al più alto grado possibile di sanità.”
Questo accordo è stato, scrupolosamente, rispettato, anche dopo l’incidente di Chernobyl e i guasti delle guerre in Bosnia, in Somalia, in  Kosovo, in Afghanistan e in Iraq, dove le truppe statunitensi hanno impiegato munizioni radioattive all’uranio impoverito. Ne consegue che l’OMS ha censurato tutti gli studi sulle malattie legate all’industria nucleare, civile o militare che sia, da più di mezzo secolo. Ha, anche, attribuito numerosi problemi di salute pubblica a fattori minori.
Nel 1957, l’AIEA è creata, non unicamente per impedire o limitare lo sviluppo delle armi di distruzione di massa come molti credono, ma per incoraggiare l’utilizzo dell’energia nucleare a fini pacifici!
Cinquant’ anni dopo, l’oncologo Umberto Veronesi dichiarava:
“Ho appena firmato una lettera dell’Associazione Galileo 2001 destinata al presidente Napolitano con la quale una parte della comunità scientifica italiana si dichiara preoccupata per la decisione del Parlamento di ratificare il protocollo di Kyoto assumendosi impegni - come quello di ridurre entro il 2012 le emissioni di gas serra del 6,5 per cento - che siamo nell’impossibilità pratica di onorare e che ci costeranno una sanzione di oltre quaranta miliardi di euro. Credo che sia il momento di mettere da parte le posizioni preconcette, le paure e le emozioni. Dobbiamo aprire gli occhi. È vero, la fonte ottimale di energia in termini di produzione, efficienza, sostenibilità per l’ambiente e per l’uomo, non l’abbiamo ancora trovata, ma oggi il nucleare va considerato concretamente e subito. In Francia ci sono 58 centrali, in Germania 17, in Spagna 9. È una fonte potente per la quale già disponiamo della tecnologia di sfruttamento e che non comporta rischi per la salute e l’ambiente. Purtroppo la parola nucleare spaventa più degli incidenti che potrebbe causare. Fobie popolari, timori irrazionali e retaggi storici fanno ancora di più dell’allarme cancro e i suoi morti causati dai derivati del petrolio. Allora io dico: basta con il panico da primitivi spaventati dal fuoco.” [http://www.repubblica.it/2007/03/sezioni/ambiente/energie-pulite/veronesi-rubbia/veronesi-rubbia.html]

Ma in che Mondo viviamo?
Illustri rappresentanti di molti Stati si incontrano, discutono, promuovono, firmano, ma, poi, si comportano in maniera disonesta, giocando con le vite umane!
Sono gli stessi che, allo scoppiare di un conflitto, barattano armi con droga, armi con soldi…
Dalla bomba atomica alle centrali nucleari, l’uranio accompagna la Storia del XX secolo.
Con il riscaldamento climatico, questa materia prima graverà, egualmente, sul XXI secolo.
Voi saprete tutto della sua estrazione, del ciclo del combustibile e dei Paesi produttori da questo dossier.



  I. I TESTS NUCLEARI NEI
POLIGONI INGLESI E FRANCESI

“Since Auschwitz, we know what man is capable of. And since Hiroshima, we know what is at stake.
Viktor E. Frankl


Il Quotidiano Eritreo, 9 agosto 1945.

Il fungo atomico, sprigionatosi sopra Hiroshima, diede l’avvio alla gara per assicurarsi un posto tra i Paesi possessori della bomba atomica.

Little Boy e Fat Man


Si chiamavano Little Boy [Ragazzino] e Fat Man [Grassone] le due bombe che, 72 anni fa, il 6 e il 9 agosto 1945, distrussero Hiroshima e Nagasaki ed erano due modi diversi di concepire l’arma totale, una all’uranio 235, l’altra al plutonio 239, sostanzialmente uguale a The Gadget, la prima bomba atomica esplosa ad Alamogordo nel famoso Trinity Test,  il 16 luglio, tre settimane prima, dell’olocausto di Hiroshima. Le forze armate americane decisero di testare, dunque, due armi profondamente diverse per muovere i primi - tragici e inumani - passi nell’Era Atomica.
Little Boy funzionava in base al principio gun-type, per cui una sorta di cannone spara un proiettile di uranio di massa sub-critica contro un altro elemento di uranio, sempre sub-critico, fino a costituire una massa critica che dà inizio alla reazione a catena. Uno schema costruttivo mai sperimentato e che fa sorgere il dubbio che l’ordigno sganciato dal B29 Enola Gay, comandato dal colonnello Paul W. Tibbets fosse un vero e proprio test.
La bomba che distrusse Hiroshima aveva una potenza stimata in 15 kiloton, ovvero 15mila tonnellate di tritolo, era lunga 3 metri, larga 71 centimetri e pesava 4,4 tonnellate.
Del tutto diversa, e più potente, Fat Man, che sfruttava, invece, l’energia prodotta dalla fissione di nuclei di plutonio. Le masse subcritiche erano disposte – secondo una configurazione ideata dallo scienziato di Los Alamos, Seth Neddermeyer – sulla superficie di una sfera. Queste masse erano spinte le une contro le altre a formare una massa ipercritica da alti esplosivi accuratamente disposti. Questa configurazione, chiamata a implosione, era – ed è – più efficiente di quella rudimentale usata per Little Boy. Permetteva di usare meno combustibile nucleare e di aumentare lo yield, ovvero la potenza distruttiva. Questo schema dava agli Stati Uniti la possibilità di costruire più bombe con la stessa quantità di materiale fissile. Fat Man aveva uno yield di 21 kiloton, era lunga 3,25 metri e larga 1,5 metri: in pratica, una sfera di 4,65 tonnellate con un gruppo di alettoni stabilizzatori.
Entrambi erano, dunque, enormi e costituirono le armi totali per costringere il Giappone, peraltro già stremato, alla resa e con città e fabbriche distrutte a causa dei bombardamenti a tappeto con napalm e bombe dirompenti sgangiate dai B29, agli ordini del discusso generale Curtis LeMay.
Con il secondo bombardamento, gli Stati Uniti volevano far credere di essere in possesso di un arsenale più ampio, che venne costruito solo in seguito, con una proliferazione di armi nucleari sia strategiche sia tattiche con potenza variabile da meno di un kiloton a molti megaton sviluppati dalle bombe H, vere e proprie doomsday machines, macchine del giudizio universale di enorme potenza, che sfruttano l’energia liberata dalla fusione di atomi di deuterio, indotta, a sua volta, da una esplosione atomica da fissione di plutonio, secondo uno schema ideato da Edward Teller e Stanislav Ulam, sulla base di teorie e concetti sviluppati da Enrico Fermi e convalidati dai calcoli di John von Neumann, grande cibernetico del Progetto Manhattan, che realizzò il calcolatore Edvac [padre di tutti i computers attuali] e ispirò il personaggio del Dottor Stranamore.

L’equipaggio dell’Enola Gay [da sinistra]: il maggiore Thomas W. Ferebee, bombardiere; il colonnello Paul W. Tibbets, Jr., pilota; il capitano Theodore J. Van Kirk, navigatore e il capitano Robert Lewis, copilota.

Due dei principali critici del bombardamento furono Albert Einstein e Leo Szilard, che, unitamente, avevano spronato la prima ricerca sulla bomba, nel 1939, con una lettera scritta a quattro mani al presidente Franklin D. Roosevelt, per poi cambiare idea una volta saputo dell’effettivo potere distruttivo della bomba.

 
Il fungo atomico, causato dalla bomba atomica Fat Man su Nagasaki, raggiunse i 18 chilometri di altezza.

La lettera avvertiva:
“Nel corso degli ultimi quattro mesi è probabile - attraverso il lavoro di Joliot in Francia e di Fermi e Szilard in America - che sia divenuto possibile realizzare una reazione nucleare a catena in una grande massa di uranio, tramite la quale vaste quantità di potenza e grandi quantità di nuovi elementi simili al radio possono essere generati. Adesso appare alquanto certo che questo può essere ottenuto nell’immediato futuro.
Questo nuovo fenomeno condurrebbe anche alla costruzione di bombe, ed è immaginabile - sebbene molto meno certo - che bombe estremamente potenti di un nuovo tipo possano pertanto essere costruite. Una singola bomba di questo tipo, trasportata da una imbarcazione e fatta esplodere in un porto, potrebbe distruggere molto agevolmente l’intero porto insieme a una parte del territorio circostante. Comunque, tali bombe potrebbero verosimilmente rivelarsi troppo pesanti per il trasporto aereo.”
Szilard, che ha giocato un ruolo importante nel Progetto Manhattan, sostenne:
“Se i tedeschi avessero gettato bombe atomiche sulle città al posto nostro, avremmo definito lo sgancio di bombe atomiche sulle città come un crimine di guerra e avremmo condannato a morte i tedeschi colpevoli di questo crimine a Norimberga e li avremmo impiccati.”

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