500 anni fa moriva
LEONARDO
di Messer Piero da Vinci
[Anchiano, 15 aprile 1452 – Amboise,
2 maggio 1519]
a un Nobile Amico
“La Scienza è il Capitano,
e la pratica sono i soldati.”
Leonardo da Vinci
Leonardo da Vinci,
Arcangelo Gabriele [1471].
Questa piastrella in terracotta
invetriata di forma quadrata [cm. 20 x 20], raffigurante l’Arcangelo Gabriele,
sarebbe la più antica opera pittorica di Leonardo da Vinci,
realizzata, verosimilmente, all’età di diciannove anni
nella fornace del nonno a Bacchereto. Il giovane dai riccioli folti, lo
sguardo determinato, l’aureola dorata che ne incornicia il volto, mentre ali di
pavone fanno capolino dal basso, potrebbe essere anche il primo autoritratto
del Maestro. A sostenere la scoperta sono lo
studioso leonardesco Ernesto Solari e la consulente grafologa Ivana Rosa
Bonfantino.
Leonardo da Vinci,
Arcangelo Gabriele [1471].
Lo
studioso leonardesco Ernesto Solari e la consulente grafologa Ivana Rosa
Bonfantino.
Leonardo da Vinci, Autoritratto.
Entro lo cornici di
uno strano quadro.
Chi sa questo, viva da
grande,
Gli altri sono
insetti.
Leonardo da Vinci
Ernesto Solari, artista e studioso
esperto di Leonardo da Vinci, attribuisce al Maestro questa terracotta,
raffigurante un Gesù fanciullo, che avrebbe avuto come modello Salaì e di cui
avrebbe fatto, in più occasioni, una precisa descrizione il pittore Giovanni
Paolo Lomazzo, che ne sarebbe venuto in possesso.
“Muovesi l’amante
per la cos’amata come il senso alla sensibile, e con seco s’unisce e fassi una
cosa medesima. L’opera è la prima cosa che nasce dall’unione. Se la cosa amata
è vile, l’amante si fa vile.”
Leonardo da Vinci
“Alla mia età, ho incontrato tanta gente, ho sofferto e gioito, ma
soprattutto ho imparato ad amare l’Amore, e a rifiutare l’odio. L’Amore dona a noi
stessi l’eterna gioventù, e ogni domani è importante per incontrare nuova gente
e vivere nuove storie importanti.”
Leonardo da Vinci
“E se tu sarai solo
sarai tutto tuo.”
“Amor ogni cosa vince.”
Leonardo da Vinci
Leonardo da Vinci, Busto di donna con velo.
Il disegno
raffigurante un busto di giovane donna con velo, girata a destra, e realizzato
con carbone e/o grafite su carta
di cotone, incollata su un
cartoncino bianco di mm. 232 x
172, presenta una grande somiglianza espressiva e proporzionale con il disegno della
Galleria degli Uffizi, realizzato con
punta d’argento su carta filigranata, preparata in grigio-avorio, di mm. 236 x 155,
dal quale si differenzia solo per alcuni piccolissimi particolari.
Leonardo da Vinci, Busto di donna con velo.
Leonardo da Vinci, Autoritratto.
L’Autoritratto
di Leonardo da Vinci è un disegno a sanguigna su carta, databile intorno al
1515 circa e conservato nella Biblioteca Reale di Torino, all’interno dei Musei
Reali. Fu acquistato insieme ad altri disegni, sia di Leonardo da Vinci sia di
altri famosi artisti italiani e stranieri, nel 1839, da Carlo Alberto, re di Sardegna, per
l’ammontare di 50mila lire, entrando, così, a fare parte delle raccolte della
Biblioteca.
Lo schizzo che ritrae Leonardo da Vinci, realizzato da un suo
assistente o da un suo allievo, poco prima della sua scomparsa, è databile intorno al 1517-18. È stato rivenuto e identificato da
Martin Clayton, responsabile delle stampe e dei
disegni della Royal Collection
nel Castello di Windsor, durante
i lavori di ricerca per l’allestimento della Mostra Leonardo da Vinci:
a Life in Drawing, che, dal 24 maggio al 13 ottobre, si è tenuta nella Queen’s
Gallery di Buckingham Palace.
Nascosto tra le righe della pagina 10 del Codice sul volo degli
uccelli di Leonardo da Vinci, conservato nella Biblioteca Reale di Torino,
si nota un piccolo disegno a sanguigna, che ritrae il volto da giovane del
Maestro. La scoperta è avvenuta grazie al lavoro del RIS dei Carabinieri, che, con
nuove tecnologie digitali, ha ringiovanito il Leonardo da Vinci dell’Autoritratto autentico, comparandolo con
quello nascosto.
“Ho notato che c’era un disegno di Leonardo da Vinci nascosto
tra le parole della decima pagina del suo Codice del volo degli uccelli. Ho
pensato fosse lui.”,
così, Piero Angela
iniziava a raccontare la scoperta al centro dello speciale Il Segreto di Leonardo,
in onda il 28 febbraio 2009, alle 21.30, su RAITRE.
“Ero andato a trovare il mio amico, il professor Pedretti, un
esperto di Leonardo che insegna all’Università di California a Los
Angeles. Quando mi sono accorto del disegno che stava sotto le parole della
pagina del quaderno proposi una specie di restauro per estrapolarlo. Grazie
anche ad un lavoro di grafica della RAI è venuto fuori un personaggio
rinascimentale.”
Disegno
“nascosto” nel Codice sul volo degli
uccelli.
In occasione dei 500 anni dalla
morte di Leonardo da Vinci, i Musei Reali di Torino hanno inaugurato, il 16
aprile scorso, la Mostra Leonardo da
Vinci.
Disegnare il futuro, che è rimasta aperta fino al
14 luglio scorso e ha rappresentato il fulcro delle iniziative che la città ha
dedicato al Genio del Rinascimento.
“Questa mostra è un
momento importante e un’occasione di valorizzazione delle nostre straordinarie
collezioni museali. Il focus è certamente sui tredici disegni di Leonardo
acquistati dalla famiglia Savoia nel 1893, un nucleo che molti conoscono e di
cui fanno parte capolavori assoluti. Tra le intenzioni di questa mostra c’è
anche quella di approfondire la conoscenza di questi disegni, ecco perché l’opera
di Leonardo è presentata a dialogo, in un percorso di tappe e temi, con i suoi
comprimari.”,
aveva sottolineato Enrica Pagella, direttrice dei Musei Reali, che ha curato la rassegna con Francesco
Paolo Di Teodoro e Paola Salvi. Cinquanta sono state le opere che il pubblico
ha potuto ammirare oltre all’unicum,
il celeberrimo Ritratto di vecchio, ritenuto l’autoritratto di Leonardo da Vinci.
Il percorso ha ruotato intorno
al nucleo di disegni autografi di Leonardo da Vinci conservati nella Biblioteca
Reale di Torino, tra i quali anche i tredici disegni acquistati dal re Carlo
Alberto, nel 1840, e il celebre Codice
sul volo degli uccelli, donato, nel 1893, dal collezionista russo Fëdor Vasil’evic Sabasnikov a re Umberto I di Savoia.
Giovanni Antonio Bazzi, detto il Sodoma, Ritratto di Leonardo giovane.
Abbazia di Monte Oliveto Maggiore,
Asciano.
Raffaello Sanzio
[1483-1520], particolare della Scuola
di Atene: Platone e Aristotele, Stanza della Segnatura in Vaticano.
Raffaello Sanzio
[1483-1520], particolare della Scuola
di Atene: Platone, Stanza della Segnatura in Vaticano.
Una visuale della Stanza della
Segnatura con l’affresco La Scuola
di Atene, nel quale sono rappresentati cinquantotto personaggi e alcuni di
loro sono ritratti con le sembianze di uomini dell’epoca di Raffaello Sanzio,
viventi o morti da poco. Al centro della scena Raffaello dipinse Platone e
Aristotele, i due principali pensatori della Filosofia antica. Platone è
rappresentato con una lunga barba grigia e un abito di un rosso sgargiante, con
le sembianze di Leonardo da Vinci, contemporaneo di Raffaello Sanzio. Platone
regge il Timeo, uno dei dialoghi che
scrisse per far conoscere la sua dottrina, e punta un dito verso l’alto, a
indicare che la sua Filosofia si basa sulle idee trascendenti che risiedono,
appunto, nella sfera celeste. Al suo fianco si trova Aristotele, vestito di
blu, che si pensa sia stato rappresentato con le sembianze di Bastiano da
Sangallo, architetto collaboratore di Raffaello. Aristotele regge l’Etica Nicomachea, uno dei suoi trattati
filosofici, e distende il braccio destro indicando una dimensione filosofica
più umana e terrena, in linea con il suo pensiero.
Raffaello Sanzio, particolare del Cartone della Scuola di Atene: Platone e Aristotele, custodito
nella Biblioteca Ambrosiana di Torino, dal 1610.
Raffaello Sanzio, Scuola di Atene, il Cartone intero della Scuola di Atene, custodito nella Biblioteca Ambrosiana di Torino, dal 1610.
PUBLIO ELIO TRAIANO ADRIANO
UOMINI DI STORIA
STORIA DI UOMINI
1950 anni fa nasceva
Adriano l’Imperatore della Pax Romana
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AKHENATON
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JULIAN PAUL ASSANGE
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MIKHAIL VASILYEVIC BEKETOV
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ZINE EL-ABIDINE BEN ALI
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Craxi Avenue
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PAOLO BORSELLINO
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6. Mafia: “Un muoittu
sulu ‘un baista, ni siebbono chiossai!”
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Blaise Cendrars il soldato vagabondo che inventò la Poesia
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La non-violenza
sconfiggerà la violenza
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La non-violenza
sconfiggerà la violenza?
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GESU’
Gesù e le donne
di Daniela Zini
Gesù e i fanciulli
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… e abitò tra noi!
di Daniela Zini
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Giuliano il
restauratore del Paganesimo
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JOHN
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Keynes,
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MARTIN LUTHER KING
I
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125 anni fa nasceva El
Aurens
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LEONARDO DA VINCI
1. Perché
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4. Il Codice Atlantico
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5. Il Cenacolo
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MALCOLM
UOMINI DI STORIA
STORIA DI UOMINI
Malcolm X
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Eroi o traditori?
I. Il processo di
Bradley Manning minaccia il giornalismo di inchiesta
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Dopo 60 anni ancora un
enigma la fine di Masaryk
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UNA VIAGGIATRICE EUROPEA ALL’ALBA DI UN NUOVO MILLENNIO SULLA
ROTTA DI CRISTOFORO COLOMBO
Argentina I. La Tripla
A: un nome che semina morte
di Daniela Zini
LEV NICOLAEVIC TOLSTOJ
UOMINI DI STORIA
STORIA DI UOMINI
105 anni fa moriva Lev
Nicolaevic Tolstoj
di Daniela Zini
“I moti del Vinci sono della nobiltà dell’animo, della facilità,
della chiarezza d’imaginare, della natura di sapere, pensare et fare, del
maturo consiglio, congiunto con la beltà delle faccie, della giustitia, della ragione, del
giuditio, del separamento delle cose ingiuste dalle rette, dell’altezza della
luce, della bassezza delle tenebre, dell’ignoranza, della gloria profonda della
verità, et della carità regina di tutte le virtù. Così Leonardo parea che d’ogni
hora tremasse, quando si ponea a dipingere, e però non diede mai fine ad alcuna
cosa cominciata, considerando quanto fosse la grandezza dell’arte, talché egli
scorgeva errori in quelle cose, che agli altri pareano miracoli. Leonardo nel
dar il lume mostra che habbi temuto sempre di non darlo troppo chiaro, per
riservarlo a miglior loco et ha cercato di far molto intenso lo scuro, per
ritrovarli suoi estremi.
Onde con tal arte ha conseguito nelle faccie e corpi, che ha
fatti veramente mirabili, tutto quello che può far la natura. Et in questa
parte è stato superiore a tutti, tal che in una parola possiam dire che ‘l lume
di Leonardo sia divino.”
Giovanni Paolo Lomazzo
[1538-1592]
Luigi Pampaloni [1791-1847], Statua di Leonardo da
Vinci.
Loggiato degli Uffizi, Firenze.
Perché Leonardo da Vinci?
Perché, oggi, Leonardo da Vinci è tra noi con una vitalità che
poche figure della Storia, dell’Arte, della Scienza – anche di epoche ben più
recenti – possono vantare.
Di Leonardo da Vinci, certamente uno dei più inquieti Geni dell’Umanità,
non si può considerare un aspetto se non intimamente connesso con gli altri.
Possiamo parlare delle opere d’arte sulle quali, esclusivamente,
la sua fama si è sostenuta, per circa tre secoli, o considerare la sua
artigiana genialità, che, mossa da una sfrenata curiosità, da una sconfinata
sete di conoscenza, quantunque “omo senza
lettere”, lo portò alle più geniali anticipazioni e intuizioni di scoperte
e verità. Possiamo valutare, ancora, la fermezza d’animo dell’individuo, che,
chiaramente controcorrente, per amore di vera Scienza si spinse avanti nelle
sue intenzioni, attitudini, pensieri e azioni, senza troppo preoccuparsi del
discredito tra i suoi contemporanei, che, quando non lo accusavano di
profanazione e, perfino, di negromanzia, ne lamentavano che poco si dedicasse
all’Arte in cui appariva eccelso e che, invece, troppo amasse “i capricci del filosofar delle cose
naturali”.
È questo “filosofar”
la chiave per penetrare, anche, gli altri molteplici aspetti di un geniale
eclettismo?
Se per Filosofia si intende una concezione organica del reale,
una ricerca sistematica della verità, la coscienza speculativa di Leonardo da
Vinci ha, certamente, raggiunto l’ambita verità non tanto con il potere
riflessivo della mente, quanto con l’oggettivo proiettarsi della mente nella
Natura, con il ritrovare nella esperienza le ragioni della Scienza e la via per
attuare il dominio dell’Uomo su questa Natura. Temi universali, senza confini
di Spazio o di Tempo. E da qui viene l’attualità di un messaggio che è rivolto
al Futuro dell’Uomo; da qui viene la profondità di una interpretazione che
offre cerchi, sempre, più ampi di ispirazione e di stimolo alle persone, anche
dopo cinque secoli dalla morte del Maestro.
Domenica 24 ottobre 1971, sul Programma Nazionale, alle ore 21.00, andava in onda la prima delle cinque
puntate dello sceneggiato La vita di Leonardo da Vinci,
soggetto, sceneggiatura e regia di Renato Castellani, con Philippe Leroy [Leonardo
da Vinci], Giulio Bosetti [il narratore], Bruno Cirino [Michelangelo],
Giampiero Albertini [Ludovico il Moro], Bianca Toccafondi [Isabella d’Este],
Glauco Onorato [ser Piero da Vinci], Marta Fischer [Isabella d’Aragona], Renzo
Rossi [Sandro Botticelli], Carlos de Carvalho [zio Francesco], Bruno Cirino [Michelangelo],
Carlo Simoni [Francesco Melzi], Filippo Scelzo [nonno Antonio], Sara Franchetti
[Cecilia Gallerani], Marco Bonetti [Marco D’Oggiono], Ann Odessa [Catherine],
Mario Molli [Andrea Verrocchio], Riad Gholmie [Francesco I di Francia], James
Werner [Lorenzo di Credi], Maria Marchi [Mathurine], Ottavia Piccolo [Beatrice
d’Este], Marco Mazzoni [Leonardo a 5
anni], Renato Cestiè [Leonardo a 6 anni], Alberto Fiorini [Leonardo a 13 anni],
Wanda Vismara [Margherita], Maria Tedeschi [nonna di Leonardo], Enrico
Ostermann [Niccolò Machiavelli], Christian de Tillière [Luigi XII], Federico
Pietrabruna [Cesare Borgia], Franco Leo [Girolamo Savonarola], Alberto
Sorrentino [frate].
Si tratta di un romanzo-documentario, infatti, Giulio Bosetti si
muove tra le varie scene in abiti moderni, come un presentatore sul posto, e illustra
l’intera vita del celebre artista del Rinascimento partendo dall’infanzia. Il
tutto ricostruito in base alle testimonianze, ai documenti e ai suoi scritti. È
realizzato a colori, nonostante la RAI,
all’epoca, non abbia, ancora, adottato tale tecnica e le trasmissioni a colori,
in Italia, partiranno, ufficialmente, solo nel 1977.
In quel crogiolo di
menti eccelse che il Rinascimento è stato per il mondo dell’Arte e della
Cultura, la figura di Leonardo da Vinci campeggia dall’alto del suo incommensurabile bagaglio
del sapere. È lui il Genio Universale, nell’accezione sublime del termine, il
poliedrico cervello cui nulla sfugge, tutto compreso del mosaico di conoscenze
che persegue, con una profondità metodica, solo apparentemente scomposta.
Nella sua eccezionale
lungimiranza, Leonardo da Vinci si rivela un portentoso innovatore, l’Uomo che “riprende
tutto da capo”, per penetrare il mistero dell’Universo Umano nei suoi più
reconditi aspetti, anticipando a tal punto i tempi da non essere compreso a
pieno dai suoi contemporanei.
Non vi è materia che
non abbia sviscerato, elaborando nuove e originali teorie che sono state alla
base del moderno progresso scientifico.
I suoi progetti
architettonici si sono rivelati di una sorprendente attualità, perfino, in
questo secolo, che brucia gli ingegni, sull’altare del continuo rinnovamento.
Un Genio della sua
levatura è, davvero, una plurisecolare rarità dalle origini misteriose, che si
manifesta al genere umano con una frequenza tristemente rarefatta. Una simile
virtù, condensata in somma misura, non segue, purtroppo, le leggi cromosomiche
della successione ereditaria.
Il dopo Leonardo da
Vinci si configura come una coltre nebbiosa, dietro la quale vi è solo un vuoto
sconfortante, un buio quantificabile in anni luce di eclissi intellettuale.
In un film dei fratelli Paolo e Vittorio
Taviani del 1967, I sovversivi,
appariva il personaggio di un regista cinematografico alle prese con la
biografia di Leonardo da Vinci. Al cineasta Ludovico interessava, soprattutto,
l’ultimo periodo della vita del Genio, nel quale si compiaceva di rispecchiare,
con effetto piuttosto grottesco, la propria crisi personale. E il film nel film mostrava, così, un Leonardo da Vinci morente, in fuga dalle
corti che l’avevano ospitato, animato da una smania tolstoiana di aria e di
libertà. A breve distanza da I sovversivi,
un regista vero si trovava nell’imbarazzante situazione dell’immaginario
Ludovico, quella di confessarsi, raccontando la vita di Leonardo da Vinci.
Nel 1971, Renato
Castellani, ligure, cinquantasette anni, laureato in architettura, autore di films famosi, Sotto il sole di Roma e Due
soldi di speranza, realizzava, infatti, per la RAI un Leonardo da Vinci in cinque puntate, dopo avere impiegato
due anni a scrivere la sceneggiatura, con la consulenza di Cesare Brandi.
Vi sono figure della
Storia di cui è agevole ricostruire, sulle cronache e sui documenti, l’itinerario
biografico e psicologico e altre, che
viste da vicino, si rivelano ambigue e misteriose.
Tra queste ultime è
Leonardo da Vinci.
Primogenito di una famiglia di contadini liguri emigrati in Argentina, il regista Renato Castellani era nato a Varigotti, una frazione di Finale Ligure, dove sua madre si era
recata per partorire, il 4 settembre 1913. Dopo avere trascorso l’infanzia in
terra argentina, il dodicenne Castellani tornò in Liguria per frequentare il liceo a Genova e, successivamente, il Politecnico di Milano, dove si laureò in Architettura. Agli inizi
degli Anni Trenta, Castellani si stabilì a Roma, dove iniziò a collaborare con
alcune riviste cinematografiche come recensore, per poi, dal 1936, divenire un
consulente di registi del calibro di Mario
Camerini, Alessandro Blasetti, Mario Soldati e Augusto Genina, allora impegnati in films del filone telefoni bianchi o di guerra. Nel 1941, iniziò a
lavorare sul suo primo film come
regista, Un colpo di pistola,
liberamente tratto da un racconto di Aleksandr Sergeevic Puskin, incentrato su un drammatico triangolo amoroso nella Russia
dello zar, con Fosco Giachetti e
Assia Noris. Gli ultimi anni
videro il regista lavorare per la televisione e, in particolare per la RAI, con miniserie quali La vita
di Leonardo] del 1971 e Verdi del 1982, che
sarà l’ultimo lavoro di Castellani prima della morte avvenuta, a Roma, il 28
dicembre 1985, lasciando incompiuto il progetto di una versione
fantascientifica de L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson, portata, poi, a termine, due anni
dopo, dal suo amico e collega Antonio
Margheriti.
La sua biografia si
fonda su scarsi elementi, appare laconica e misteriosa, infarcita di leggende e
di inesattezze.
Giorgio Vasari, nelle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori et
architettori fa morire l’artista “in
braccio” a Francesco I e “nell’età
sua d’anni settantacinque”.
“Mentre Leonardo”,
affermava Castellani,
“morì a sessantasette anni d’età e il giorno della sua morte
Francesco I si trovava a Saint-Germain.”
La lettera di Leonardo da Vinci a Ludovico Il
Moro.
Nell’enumerare le
difficoltà incontrate il regista riferiva:
“Di Leonardo non possediamo lettere. L’unica che ci è pervenuta
quasi per intero è la famosa epistola a Ludovico il Moro ed è una lettera,
diciamo così, di affari. Anche della sua opera non conosciamo molto: poco più
di una decina di quadri sono sopravvissuti al loro tempo e di questi, almeno
quattro, sono d’incerta attribuzione.”
E non solo.
Del famoso cavallo per
il monumento a Francesco Sforza, scultura alta sette metri, non esistono più
che alcuni disegni; della grande Battaglia
di Anghiari è rimasta solo una una sanguigna di Pieter Paul Rubens e una
piccola copia; i ricchissimi Codici
furono smembrati e dispersi.
Definito “mirabile e celeste” da Giorgio Vasari,
Leonardo da Vinci “era tanto piacevole
nella conversazione che tirava a sé gli animi delle genti”, eppure nelle memorie
dei contemporanei è nominato ben poco.
E Leonardo stesso
parla pochissimo di sé, appena qualche frase sintomatica, come quella famosa:
“E se tu sarai solo sarai tutto tuo.”,
da cui bisogna
ricostruirne il carattere con la bravura dell’archeologo, che da un residuo
frammento riesce a immaginare l’opera intera.
Bottega
di Leonardo da Vinci, L’Angelo
incarnato [1515 circa].
Museo
del Louvre, Parigi.
Così fece Sigmund Freud, nel 1910, pubblicando il
saggio, Un ricordo d’infanzia di Leonardo
da Vinci
[http://www.nilalienum.it/Sezioni/Freud/Opere/Leonardo%20ric.html], che fu accolto da proteste indignate. Parve, infatti, che il
fondatore della psicanalisi avesse valicato i limiti dell’osservazione
scientifica, analizzando un sogno infantile riferito dall’artista: l’incubo di
un nibbio che si avventava sul suo letto e con la coda gli percuoteva la bocca.
Un
ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci.
“Questo scriver sì
distintamente del nibbio par che sia mio destino perché nella prima
ricordazione della mia infanzia e’ mi parea che, essendo io in culla, che un
nibbio venisse a me e mi aprissi la bocca colla sua coda e molte volte mi
percotessi con tal coda dentro alle labbra.”
Leonardo da Vinci, Studio per il drappeggio per Sant’Anna
[1517-1518].
Museo del Louvre, Parigi.
Leonardo da Vinci, Sant’Anna,
la Vergine e il Bambino con l’agnellino.
Museo del Louvre, Parigi.
Leonardo da Vinci, Il Cartone di Sant’Anna,
la Vergine, il Bambino e San
Giovannino è un disegno a gessetto nero, biacca e sfumino su carta [cm.
141,5 x 104,6] databile intorno al 1501-1505 e conservato nella National
Gallery di Londra.
Da questa immagine notturna Sigmund Freud risaliva alla malcerta
condizione del sognatore come “figliuolo
non legittimo” del notaio ser Piero da Vinci, coccolato dalla madre
Caterina e troppo presto strappato a lei.
Per tutta la vita, Leonardo da Vinci sublimò in un ideale di
bellezza androgino, che si evidenzia negli ambigui sorrisi dei suoi ritratti,
la carenza dell’affetto paterno e l’eccesso di quello materno; il suo stesso
eclettismo ossessivo si spiegherebbe, secondo Freud, con i dati della
sessualità infantile.
“Se un tentativo
biografico intende realmente spingersi a fondo nella comprensione della vita
psichica del proprio eroe, non può passar sotto silenzio, come succede per
discrezione o falso pudore nella maggior parte delle biografie, l’attività e le
caratteristiche sessuali specifiche del soggetto. Ciò che sappiamo di Leonardo
a questo proposito è poco, ma questo poco è significativo. In un periodo che
vedeva in lotta tra loro una sensualità sfrenata e una cupa ascesi, Leonardo fu
un esempio di freddo rifiuto della sessualità, quale non ci si aspetterebbe in
un artista e in un interprete della bellezza femminile. Solmi cita di lui la
seguente espressione, che ne caratterizza la frigidità: “L’atto del coito e le
membra a quello adoprate son di tanta bruttura che, se non fusse la bellezza de’
volti e li ornamenti delli opranti e la sfrenata disposizione, la natura
perderebbe la spezie umana.” Gli scritti postumi, i quali non trattano
unicamente dei più alti problemi scientifici ma contengono anche contributi di
poco conto che anzi sembrano indegni di uno spirito cosi grande [una storia
naturale allegorica, favole di animali, facezie, profezie], sono di un tale
grado di castità – si sarebbe tentati di definirli astinenti – che desterebbe
anche oggi meraviglia in un’opera letteraria. Essi evitano risolutamente
qualsiasi accenno alla sessualità, come se Eros soltanto, che conserva ogni
cosa vivente, non fosse argomento degno della brama di sapere del ricercatore. [Forse le “facezie belle” [ossia: facezie
per soli uomini] da lui raccolte, che non sono state tradotte, costituiscono un’eccezione,
del resto senza importanza]. È ben noto quanto spesso i grandi artisti
si compiacciano di sfogare le loro fantasie in raffigurazioni erotiche e
addirittura grossolanamente oscene; di Leonardo per contro possediamo soltanto alcuni
disegni anatomici che si riferiscono ai genitali interni della donna, alla
posizione del bambino nel corpo materno, e cosi via. È incerto se Leonardo
abbia mai stretto una donna in amplesso amoroso; né si sa se abbia avuto mai
una profonda relazione spirituale, come quella di Michelangelo con Vittoria
Colonna. Quando ancora viveva come apprendista in casa del suo Maestro, il
Verrocchio, fu accusato con altri giovani di pratiche omosessuali illecite, ma
l’accusa si concluse con la sua assoluzione. Pare che incorresse in tale
sospetto perché si serviva come modello di un ragazzo di cattiva fama. [A quest’incidente si riferisce secondo
Scognamiglio un punto oscuro, e persino variamente letto, del Codice Atlantico:
“Quando io feci Domeneddio putto, voi mi metteste in prigione; ora s’io lo fo
grande, voi mi farete peggio.”]. Divenuto Maestro, si circondò di bei
ragazzi e giovanetti, che accoglieva come discepoli. L’ultimo di questi,
Francesco Melzi, lo accompagnò in Francia, rimase con lui sino alla sua morte e
fu da lui nominato suo erede. Senza condividere la sicurezza dei suoi moderni
biografi, che naturalmente respingono la possibilità di un rapporto sessuale
tra lui e i suoi allievi come un oltraggio infondato al grand’uomo, si può
ritenere molto più probabile che i rapporti affettuosi tra Leonardo e quei
giovani – che secondo la consuetudine del tempo condividevano la vita del
Maestro – non sfociassero in una attività sessuale. Inoltre non deve essergli
attribuito un alto grado di attività sessuale.
La singolarità di questa
vita sentimentale e sessuale si può comprendere, in connessione con la duplice
natura di Leonardo, artista e ricercatore, soltanto in un modo. Tra i biografi,
che spesso sono restii a adottare punti di vista psicologici, soltanto uno,
Edmondo Solmi, si è accostato per quel che so alla soluzione dell’enigma; per
contro uno scrittore, Dmitrij Sergeevic Merezkovskij – che ha scelto Leonardo
come protagonista di un grande romanzo storico – ha fondato il suo ritratto su
una interpretazione analoga di quell’uomo eccezionale, esprimendo chiaramente
la sua concezione, se pur non in parole piane ma, alla maniera dei poeti, in
termini plastici. Il giudizio di Solmi su Leonardo è il seguente: “Ma la sete
inestinguibile di conoscere il mondo circostante e trovare col freddo esame il
segreto della perfezione aveva condannata l’opera di Leonardo a rimanere
imperfetta.” In un saggio delle “Conferenze fiorentine” viene citata un’espressione
di Leonardo che costituisce la sua professione di fede e fornisce la chiave
della sua natura:
...nessuna cosa si può amare né odiare, se prima non si ha
cognition di quella.
E questo egli ripete in
un punto del Trattato della Pittura, in cui sembra volersi difendere dal
rimprovero di irreligiosità:
Ma tacciano tali riprensori, che questo è il modo di conoscere l’operatore
di tante mirabili cose e questo è il modo di amare un tanto inventore, perché
invero il grande amore nasce dalla gran cognizione della cosa che si ama, e se
tu non la conoscessi, poco o nulla la potrai amare.
Il valore di queste frasi
di Leonardo non va cercato nella comunicazione di un’importante verità
psicologica, poiché ciò che esse affermano è palesemente falso e Leonardo lo
sapeva certo altrettanto bene quanto noi. Non è vero che gli uomini aspettino
di amare o di odiare finché non abbiano studiato e conosciuto nella sua essenza
ciò che forma l’oggetto di questi affetti; piuttosto essi amano impulsivamente,
secondo motivi sentimentali che nulla hanno a che fare con la conoscenza e il
cui effetto è se mai fiaccato dalla ponderazione e dalla riflessione. Leonardo
poteva dunque voler dire soltanto che l’amore praticato dagli uomini non è l’amore
vero, ineccepibile; che si dovrebbe amare in modo da trattenere l’affetto, da
sottometterlo al travaglio del pensiero e da lasciarlo libero solo dopo che
avesse superato l’esame della riflessione. E allo stesso tempo noi comprendiamo
che egli vuol farci intendere che in lui è cosi: sarebbe desiderabile che tutti
gli altri trattassero l’amore e l’odio nello stesso suo modo.
E in lui sembra realmente
che le cose stessero così. I suoi affetti erano controllati, sottomessi alla
pulsione di ricerca; egli non amava né odiava, ma si chiedeva donde venisse ciò
che doveva amare o odiare, e che cosa significasse, e così doveva apparire a
prima vista indifferente verso il bene e il male, verso il bello e il brutto.
Durante questo sforzo di ricerca, amore e odio perdevano i loro connotati e si
trasformavano regolarmente in interesse intellettuale. In realtà Leonardo non
era privo di passione, non gli mancava la scintilla divina che direttamente o
indirettamente è la forza motrice – “il primo motore” – di ogni fare umano.
Egli aveva semplicemente convertito la passione in sete di sapere; si dedicava
alla ricerca con quella continuità, perseveranza e profondità che derivano
dalla passione, e al culmine dell’attività intellettuale, raggiunta la
conoscenza, lasciava prorompere l’affetto lungamente trattenuto, come un corso
d’acqua deviato è lasciato scorrere liberamente dopo che ha compiuto il suo
lavoro. Al culmine di una scoperta, quando il suo sguardo è in grado di
abbracciare un vasto settore di quel tutto di cui è parte, egli è afferrato dal
pathos e celebra con parole esaltate la magnificenza di quel frammento di
creazione che ha indagato oppure – in termini religiosi – la grandezza del suo
Creatore. Solmi ha esattamente compreso questo processo di trasmutazione che si
verifica in Leonardo. Dopo aver citato uno di quei punti in cui Leonardo
celebra la sublime costrizione cui la natura soggiace [“O mirabile Necessità...”],
egli scrive: “Tale trasfigurazione della scienza della natura in emozione,
quasi direi, religiosa, è uno dei tratti caratteristici de’ manoscritti
vinciani, e si trova cento e cento volte espressa...”
Sigmund Freud, Un ricordo d’infanzia
di Leonardo da Vinci
Per evitare i rischi
delle biografie romanzate, Castellani aveva scelto la mediazione di un
personaggio didascalico, interpretato dall’attore Giulio Bosetti, vestito, in
modo inappuntabile, in completo grigio e cravatta, per introdurre, commentare e
integrare lo sceneggiato, creando una curiosa commistione di epoche.
Quanto all’interprete
di Leonardo da Vinci, la ricerca era stata lunga, aveva contemplato molti
grandi nomi del cinema, dall’attore svedese Max von Sidow all’attore francese
Laurent Terzieff.
Sempre insoddisfatto,
il regista ripeteva ai suoi collaboratori:
“Leonardo era uno che piegava con le mani un ferro di cavallo e
che poi, con quelle stesse mani, ha dipinto la Gioconda.”
Dopo molti provini era
stato scelto l’attore francese Philippe Leroy, quaranta anni, nobile dei conti
Leroy-Beaulieu, ex-parà in Indocina, ex-giocatore di rugby, interprete di
cinquanta films dal giorno del 1960,
in cui il regista Jacques Becker lo “intrappolò” tra i carcerati de Il buco.
Non era mancino come
Leonardo da Vinci, ma aveva promesso che si sarebbe esercitato,
puntigliosamente, tutti i giorni, a scrivere e a disegnare con la mano
sinistra.
E, il 24 ottobre 1971,
la RAI mandava in onda la prima delle
cinque puntate dello sceneggiato La vita
di Leonardo da Vinci per la regia di Renato Castellani [dal 24 ottobre al 21 novembre 1971].
Fu girato a colori, nonostante le
trasmissioni di allora fossero ancora in bianco e nero ed ebbe un cast di grandi volti del cinema, del
teatro e della televisione: da Giampiero Albertini a Ottavia Piccolo, da Bianca
Toccafondi a Glauco Onorato, da Bruno Cirino al piccolo Renato Cestiè.
Era un’opera
ambiziosa, che aveva richiesto circa sei mesi di lavorazione e l’impiego di oltre
un centinaio di attori e cinquecento comparse ed era stata girata nelle diverse
città italiane, che il Sommo Leonardo da Vinci aveva toccato, nel corso della
sua vita, Roma, Firenze, Milano e Venezia, solo per citarne alcune. Un’opera
che si discostava molto dalle produzioni televisive girate fino ad allora.
Lo sceneggiato si
apriva con le ultime ore di vita di Leonardo.
È il 2 maggio del
1519.
Il sessantasettenne
Leonardo da Vinci è, dall’autunno del 1516, ospite del suo più grande
estimatore, il re di Francia Francesco I, nel Castello di Clos Lucé. Leonardo
da Vinci è nel suo letto, indebolito da una probabile trombosi cerebrale, che
gli ha tolto, parzialmente, l’uso della mano destra e sta per ricevere la
visita del re in persona, preoccupato per le sue condizioni di salute. Tenta di
sollevarsi dal letto, ma il sovrano lo esorta a non sforzarsi:
“Come state, mon ami?”
chiede Francesco I a
Leonardo da Vinci.
“Pensavo a quante cose non fatte, studiate, incominciate…”
“Quante cose che avete fatto, invece…”
risponde il Re.
“Non ho offeso Dio
e gli uomini, perché il mio lavoro non ha raggiunto la qualità che avrebbe
dovuto avere.”
Leonardo da Vinci, 2 maggio 1519
Era un Uomo
affascinante, racconta Giulio Bosetti, citando Giorgio Vasari:
“Grandissimi doni si veggono piovere dagli influssi celesti ne’
corpi umani molte volte naturalmente, e sopra naturali, talvolta,
strabocchevolmente accozzarsi in un corpo solo bellezza, grazia e virtù, in una
maniera, che dovunque si volge quel tale, ciascuna sua azzione è tanto divina,
che lasciandosi dietro tutti gl’altri uomini, manifestamente si fa conoscere
per cosa [come ella è] largita da Dio e non acquistata per arte umana. Questo
lo videro gli uomini in Lionardo da Vinci, nel quale oltra la bellezza del corpo,
non lodata mai a bastanza, era la grazia più che infinita in qualunque sua
azzione; e tanta e sì fatta poi la virtù, che dovunque l’animo volse nelle cose
difficili, con facilità le rendeva assolute. La forza in lui fu molta e
congiunta con la destrezza, l’animo e ‘l valore, sempre regio e magnanimo.”
6. Il Mondo non era pronto
a entrare nel Futuro…
Leonardo da Vinci,
Autoritratto Lucano di Leonardo [cm. 60 x 44].
Il presunto autoritratto di Leonardo da Vinci, realizzato tra
la fine del XV secolo e l’inizio del XVI secolo, è stato scoperto, nella
collezione privata della famiglia Ruffo di Baranello a Salerno, nel dicembre
del 2008, dal professor Nicola Barbatelli.
La tavola, presentata al pubblico nei primi mesi del 2009, in
occasione dell’inaugurazione della Mostra I
ritratti di Leonardo nelle sale del Palazzo del Campidoglio a Roma, fu,
immediatamente, affidata ai laboratori delle Università napoletane Suor Orsola
Benincasa e Federico II, per l’individuazione della datazione, la caratterizzazione
dei pigmenti e il riconoscimento della specie arborea.
Lo studio sul supporto ligneo e sul pigmento pittorico è stato
eseguito dal Centro Regionale di
Competenza per lo Sviluppo e il Trasferimento dell’Innovazione applicata ai
Beni Culturali e Ambientali [INNOVA].
L’aspetto più interessante dell’autoritratto riguarda,
indubbiamente, le caratteristiche fisiche del volto di Leonardo da Vinci, che
appaiono molto diverse dalle aspettative e da quelle già evidenziate dal famoso
ritratto di un anziano, custodito nella Biblioteca Reale di Torino.
Per i 500 anni dalla morte di
Leonardo da Vinci, da novembre di questo anno ad aprile del 2020, il Mastio
della Cittadella ospiterà Leonardo da
Vinci – The Genius, una mostra interattiva incentrata sul lavoro del genio
rinascimentale e, in particolare, sull’autoritratto originale conosciuto come Tavola lucana.
Leonardo da Vinci,
Autoritratto Lucano di Leonardo [cm. 60 x 44].
Leonardo da Vinci,
Autoritratto Lucano di Leonardo [cm. 60 x 44].
Il nome di Leonardo
da Vinci, in campo scientifico, si associa a pochissime realizzazioni
materiali.
Nessuna invenzione
rivoluzionaria, nessuna opera di portata tale da cambiare il mondo e neppure
nessun libro, inteso come trattato compiuto definitivo su uno specifico
argomento, a dispetto delle circa ottomila pagine che ci ha lasciato, eppure, Leonardo
da Vinci è riuscito, egualmente, a cambiare il mondo, anche se, sul momento,
nessuno sembrò accorgersene.
Sembra un paradosso,
ma è così!
Leonardo da Vinci, Leone
meccanico.
L’opera del suo
ingegno che gli rese i maggiori onori in vita fu un leone meccanico – purtroppo
andato perduto – in grado di muoversi e camminare da solo.
Ben poca cosa,
rispetto a tutto ciò che la sua mente produsse!
Che cosa ha
inventato, dunque, Leonardo da Vinci?
Nulla.
E tutto.
Ha inventato, sì, un’infinità
di cose, dal carro armato al girarrosto ad aria, ma non ci ha regalato l’invenzione,
la scoperta codificata.
E, tuttavia, è
andato vicino a molte di esse.
Ha, di fatto,
intuito circa quattro secoli di Scienza, ma senza giungere alla descrizione di
un fenomeno tale da poter essere compresa dai suoi contemporanei.
Per comprendere Leonardo
da Vinci nella sua epoca, infatti, sarebbe stato necessario un altro Leonardo
da Vinci.
Oggi, possiamo
entusiasmarci nel leggere quali precise e immaginifiche descrizioni avesse reso
di certi eventi fisici, ma solo perché ne abbiamo, già, compreso il
significato.
Sappiamo quanto
multiforme e variegato sia stato il suo ingegno, come Leonardo da Vinci si sia
occupato, praticamente, di ogni campo dello scibile scientifico. Ma le sue
riflessioni, le sue intuizioni su un particolare fenomeno, raramente,
superavano la lunghezza di una pagina.
Leonardo da Vinci era
dotato di una comprensione vivissima bruciante, che, immediatamente, stendeva
sul foglio. Dopo questa intensissima, ma breve concentrazione, allontanava il
suo pensiero dall’oggetto o perché correva a dare qualche pennellata al suo
interminabile Cenacolo o perché lo
studio dei petali di un fiore gli aveva suggerito una nuova teoria geometrica.
In questo studio ci
occuperemo, soprattutto, del modo in cui Leonardo da Vinci si avvicinò alla Scienza,
dei termini in cui, “pensava la Scienza”. Mi è sembrato come tema più nuovo,
più interessante delle tradizionali catalogazioni delle sue invenzioni e delle
sue scoperte, alle quali, peraltro, è stato dato opportuno rilievo.
Il suo punto di
partenza era uno e uno solo: la Natura.
Il suo pensiero
prendeva le mosse proprio dalla osservazione degli eventi naturali.
Leonardo da Vinci ha,
sempre, avuto, per così dire, bisogno di un punto di partenza, di qualcosa di
tangibile da limitare o da modificare, su cui cimentare il proprio ingegno.
Solo molto raramente e, perfino, con riluttanza, per risolvere problemi, ha
cercato strade, che non fossero quelle già praticate dai meravigliosi
meccanismi naturali. Un esempio ci è dato dalle teorie sul volo, che tanta
parte hanno nelle sue speculazioni scientifiche. Per lungo tempo, infatti,
Leonardo da Vinci studia i meccanismi del volo degli uccelli, cercando di
schematizzarli e, successivamente, riprodurli in maniera artificiale, così da
consentire il volo umano.
“Li termini dell’alia delli uccelli per necessità son piegabili.
L’aria è in disposizione di condensarsi e rarefarsi. L’uccello è strumento
operante per legge matematica, il quale strumento è in potestà dell’omo poterlo
fare con tutti li sua moti, ma non con tanta potenzia, ma solo s’astende nella
potenzia del bilicarsi.”
Osservazioni
iniziate molto presto, quando Leonardo da Vinci è un ragazzo e si aggira nelle
campagne di Vinci. E riprese in diversi anni, come, spesso, ci mostrano gli
stupendi disegni che fiancheggiano le sue annotazioni. Ma è, forse, negli
ultimi anni di permanenza a Milano e all’epoca del suo primo ritorno a Firenze,
che il tema è approfondito e, forse, accompagnato dai più arditi tentativi di
mettere in pratica le teorie che va elaborando e gli strumenti che ingegna.
In quegli stessi
anni, occorre ricordare, un altro italiano studia il modo di imitare gli
uccelli.
È Giambattista
Danti, perugino.
Nel 1494, in
occasione del matrimonio di Bartolomeo Aviano con una giovane Baglioni, Danti
vuole mostrare la sua capacità di gettarsi dalla cima di una altura e di
posarsi su un punto prefissato, il tetto della Sapienza Vecchia. Più che un
volo, dunque, una planata, che Danti vuole realizzare con una sua macchina
dotata di due ampie ali azionate da un congegno. L’impresa riesce a metà. La
macchina non si dirige esattamente dove avrebbe dovuto andare, ma non si può
neppure dire che precipti rovinosamente, se Danti ne esce malconcio, ma senza
lesioni gravi.
Leonardo da Vinci,
con tutta probabilità, ha sentito parlare di Danti. La sua impresa gli ha dato
fama, molti cronisti lo chiamano il “nuovo Dedalo”.
Tuttavia, le
osservazioni e le ipotesi di Leonardo da Vinci procedono indipendenti.
Osservazioni sulla
forma degli uccelli, sui loro movimenti e sulla reazione opposta dall’aria.
Punto di partenza è il concetto che, per volare, non è necessario che un corpo
sia più leggero dell’aria. Nota, anzi, che “l’aria, con più
velocità di mobile è percossa, con maggior somma di se medesima si condensa”.
È il principio della reciprocità aerodiamica. Il moto delle ali determina la
pressione dell’aria e, tale pressione provoca una condensazione che rende l’aria
più adatta a sostenere il peso.
“Tanta forza si fa
colla cosa in contro l’aria, quanto l’aria contro la cosa.”
L’esempio viene,
naturalmente, dagli uccelli:
“Vedi l’alie
percosse contro all’aria far sostenere la pesante aquila nella suprema sottile
aria. Ancora vedi la mossa aria sopra il mare,
ripercossa nelle gonfiate vele far correre la carica e pesante nave; sicché per
queste dimostrative e assegnate ragioni potrai conoscere l’uomo colle sue
congeniate e grand’alie, facendo forza contro alla resistente aria, vincendo,
poterla soggiogare e levarsi sopra di lei.”
Leonardo da Vinci, Codice Atlantico, fol. 381.
Studia su quali
parti dell’uccello si condensi con maggior pressione l’aria, durante il
movimento, e osserva le funzioni del timone, simili a quelle esercitate dalle gambe
di un nuotatore. Per descrivere un giro nello spazio il volatile si serve dell’“impeto dell’una delle alie gittata per taglio inverso la
coda”. E, così, ogni movimento è studiato e compreso.
Occorre trasferire
nell’Uomo queste capacità innate negli uccelli.
“Farai
l’anatomia dell’alie d’uno uccello, insieme colli muscoli del petto motori
d’esse alie. El simile farai dell’omo, per mostrare la possibilità che è
nell’omo a volersi sostenere infra l’aria con battimento d’alie.”
Perviene, quindi, al
primo procedimento. Vale a dire all’applicazione al corpo umano di due ali
artificiali, modellate su quelle del pipistrello.
“Ricordatisi come
il tuo uccello non debbe imitare altro che ’l pipistrello per causa ch’e
paniculi fanno armadura, over collegazione alle armadure, cioè maestre delle
alie.
E se tu imitassi
l’alie delli uccelli pennuti, esse son di più potente ossa e nervatura, per
essere esse traforate, cioè che le lor penne son disunite e passate dall’aria.
Ma il pipistrello
è aiutato dal panniculo, che lega il tutto e non è traforato.”
È la prima
concezione. L’Uomo si costruisce un’armatura simile a quella dei pipstrelli e,
in posizione orizzontale, come si vede fare da tutti i volatili, tenta di
librarsi nell’aria. È un’ipotesi formulata negli anni milanesi e, forse, anche
sperimentata, dai tetti del Castello del Moro. Vi è una nota con la quale,
secondo il suo stile solito, fa una esortazione a se stesso: si raccomanda di
non farsi vedere, durante gli esperimenti, dagli operai impegnati nei lavori
destinati al “tiburio” del Duomo:
“E
se stai sul tetto, allato alla torre, quei del tiburio non vedano.”
La posizione
orizzontale, se adottata per meglio imitare il volo degli uccelli, annulla,
d’altra parte, molte possibilità di manovra. E Leonardo da Vinci si applica a
studiare il modo di accordare l’applicazione e il movimento delle ali con la
più naturale stazione eretta dell’Uomo.
Gli studi, forse,
interrotti per alcuni anni, tornano a essere documentati nel 1505. Quando una
nota ci avverte che Leoardo da Vinci sta studiando il modo di far spiccare il
volo alla sua invenzione, partendo dal Monte Ceceri, nelle vicinanze di
Firenze. Nella nota, anzi, si gioca di ambiguità tra il nome del monte e la
parola cecero che sta a indicare anche il cigno:
“Piglierà
il primo volo il grande uccello sopra del dosso del suo magnio cecero, e
empiendo l’Universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e
gloria eterna al nido dove nacque.”
Sono indicate tra
queste note anche le precauzioni studiate in caso di cattiva riuscita
dell’esperimento. Si mostra dove vanno poste certe “baghe”, ossia vesciche, “dove l’omo, in sei braccia d’altezza cadendo, non si
faccia male, cadendo così in acqua come in terra”.
Nulla è detto, nelle
note di Leonardo da Vinci, sulla messa in pratica di questo volo dal Monte
Ceceri, uno sperone di 416 metri. Ma secondo una secolare tradizione la prova
si fece e il protagonista del volo fu assistente di Leonardo da Vinci, Tommaso
da Peretola, detto Zoroastro. Un uomo semplice, che in Leonardo da Vinci aveva
una fiducia cieca.
Zoroastro, dunque, forse,
di nascosto da Leonardo da Vinci, si sistemò sopra il proprio corpo le ali
inventate dal Maestro e si gettò da quello sperone verso i boschi e i prati sottostanti.
Il congegno dovette incepparsi e Zoroastro ruzzolò nei prati e uscì
dall’esperimento con una gamba rotta.
Ma è da qui che gli
studi di Leonardo da Vinci si levano sopra l’antica tradizione che collegava i
tentativi all’impresa di Dedalo e di Icaro. Abbandona l’idea di rimodellare
l’uomo a somiglianza degli uccelli e medita come costruire una macchina che,
pur “più pesante dell’aria”, sappia alzarsi da
terra e prendere il volo. È una macchina al cui interno devono prendere posto
sia un uomo sia un complesso congegno, composto di molle, ruote, carrucole,
manovelle, atto a far sbattere le ali applicate all’apparecchio. Ali fabbricate
con una trama di nervature congiunte da stoffa e ogni tendine può essere
azionato dall’interno. Il pilota manovra le funi che sollecitano i vari
movimenti, per mezzo di un manubrio, non è più oberato dalla fatica fisica che
l’applicazione diretta delle ali al suo corpo richiedeva. Poi, un altro passo
rivoluzionario: dall’apparecchio scompaiono le ali mobili e compare un’elica.
Leonardo da Vinci si sta muovendo nell’esatta direzione, ma i tempi non sono
preparati ad accogliere la sua intuizione. Dovranno passare quattro secoli
perché le idee nate su quei fogli fitti di disegni e di scrittura quasi
illegibile – vergata, come si sa, da destra a sinistra – possano trovare una
pratica applicazione e dare vita ai nostri aerei.
Queste intuizioni,
rispecchiate nel Codice sul volo degli
uccelli, nel Codice Atlantico e
in altre carte, trovano, già, una traccia completa nel proposito che Leonardo
da Vinci rivolge a se stesso scrivendo:
“Dividi il trattato degli uccelli in quattro libri, de’ quali il
primo sia del volare per battimento d’alie: il secondo del volo sanza battere
d’alie, per favor di vento, il terzo del volare in comune, come d’uccelli,
pipistrelli, pesci, animali, insetti; l’ultimo del moto strumentale.”
I suoi progetti investono ogni
settore della Scienza e della Tecnica: dai calcoli sulle dimensioni della Luna
e sulla distanza tra la Luna e il Sole fino ai minuziosi studi di Botanica.
Molte delle macchine che Leonardo da Vinci inventa sono connesse all’acqua: dighe,
chiuse, pompe di ogni genere, una draga lagunare munita di pale scavatrici
rotanti, lo scafandro ideato per un palombaro, un battello capace di navigare
in sommersione .
Macchine guerresche
di ogni tipo sono ideate sui suoi quaderni. Uno degli ordigni escogitati è
chiamato da Leonardo da Vinci “architronito”; è un cannone che funziona
utilizzando come fonte di energia la forza di espansione del vapore, la forza,
che, secoli dopo, sarà alla base della prima civiltà industriale. Si vedono,
sulle carte di Leonardo da Vinci, balestre mobili sistemate sui carri a ruote
inclinate, carri muniti di falci roteanti e un vero antenato del moderno carro
armato, un veicolo rotondo, coperto da pesanti pannelli di legno, con un
meccanismo azionato a mano per mezzo di cavalli e una feritoia da cui i soldati
possono dirigere il tiro sui nemici. Anche il paracadute e l’elicottero hanno
le loro prime ideazioni nelle carte di Leonardo da Vinci. Sul foglio che
preannuncia il paracadute si vede un uomo agganciato a un grande ombrello
piramidale, e si legge:
“Se un uomo ha un
padiglione di pannolino intasato, che sia di dodici braccia per faccia e alto
dodici, potrà gittarsi d’ogni grande altezza sanza danno di sé.”
E giunge a predire,
in futuro, l’avvento di una macchina volante:
“Piglierà
il primo volo il grande uccello, empiendo l’Universo di stupore, empiendo di
sua fama tutte le scritture e di gloria eterna el nido dove nacque.”
Gli studi di
Leonardo da Vinci saranno tenuti in somma considerazione dal fisiologo francese
Etienne-Jules Marey, il Leonardo da Vinci del XIX secolo, che, nel 1890, farà i
primi esperimenti sul volo degli uccelli, e dai pionieri del volo umano, i fratelli
statunitensi Wilburg e Orville Wright e l’ingegnere tedesco Karl Wilhelm Otto Lilienthal – nella Letteratura
inglese, talvolta, soprannominato Glider
King, il Re degli alianti –, che,
il
9 agosto 1896, nel corso di un esperimento,
cadrà da diciassette metri di altezza e morirà, il giorno dopo, senza vedere la
sua invenzione collaudata, proferendo una semplice, serena costatazione nella
quale è racchiusa la consapevolezza della sua immolazione:
“Opfer müssen
gebracht werden!”
Solo dopo molti
anni, Leonardo da Vinci si rende conto che là, dove arriva la Natura, l’Uomo
non approderà mai, proprio a causa della diversa potenza delle muscolature
umana e animale e della difficoltà di bilicarsi, ossia di mantenersi in
equilibrio nell’aria, sfruttando le correnti e i venti. Decide, allora, di
percorrere un’altra strada e inventa l’elica. Non è, infatti, azzardato
ritenere che Leonardo da Vinci sia l’inventore del principio dell’elicottero,
ossia di un apparecchio sulla cui sommità è posta una grande vite. La macchina originale doveva essere
fabbricata con canne, legno, tela e filo di ferro, ma leggiamo cosa scrive lo
stesso Leonardo da Vinci negli appunti scritti a fianco al disegno:
“La stremità di
fori della vite sia di filo di ferro grosso una corda, e dal cerchio al centro
sia braccia 8 [circa 5 metri]. Truovo, se questo strumento fatto a vite sarà
bene fatto, cioè di tela lina, e voltato con prestezza, che dette vite si fa
femmina nell’aria e monterà in alto. Piglia lo esenplo da una riga larga e sottile,
e menata con furia in fra l’aria: vedrai essere guidato il tuo braccio per la
linia del taglio della detta asse. Sia l’armadura della sopra detta tela di
canne lunghe e grosse. Puosseno fare uno picciolo modello di carta, che lo
stile suo sia di sottile piastra di ferro, e torta per forza, e nel tornare in
libertà fa ravvolgere la vite.”
Leonardo
da Vinci, Il Grande Nibbio.
Il Grande
Nibbio, ispirato all’uccello predatore che segnò la sua infanzia, è molto probabilmente il progetto di macchina volante più
progredito che Leonardo da Vinci abbia mai elaborato.
Leonardo da Vinci ne
indica le dimensioni, descrive come posizionarne il baricentro, specifica quali
materiali utilizzare e quali evitare, a esempio i metalli. E non si limita al
solo aspetto costruttivo, spiega, chiaramente, il modo in cui la macchina deve
essere pilotata.
La scoperta del Grande
Nibbio è iniziata con l’analisi di un piccolo disegno del foglio 17v, non
descritto nel testo del Codice sul volo
degli uccelli. Si tratta di una vista frontale dell’abitacolo e rappresenta
la chiave di lettura dell’intero progetto. La macchina raggiungeva un’apertura
alare di circa 30 braccia, equivalente a circa 18 metri. Le grandi ali si
innestavano ai lati dell’abitacolo che ospitava il pilota in posizione
verticale, seduto su una sorta di seggiolino. Le braccia e le gambe del pilota
manovravano le ali, completamente articolate, che replicavano il movimento
delle ali di un uccello nella sua complessità. Il pilota poteva controllare
anche la coda, collegata con alcuni tiranti alla parte centrale dell’abitacolo,
attraverso i movimenti del busto.
Leonardo da Vinci, in
questa fase dei suoi studi, ha ben compreso che la potenza muscolare dell’Uomo
è insufficiente e inadatta al volo battente tipico dei piccoli uccelli. Il Grande
Nibbio imita, infatti, il volo planato dei grandi volatili.
Leonardo da Vinci
credeva, fermamente, in questo progetto e sognava di vedere la sua macchina
volante librarsi nei cieli, al punto da congedarsi, nell’ultima pagina del Codice sul volo degli Uccelli, con
questa celebre frase:
“Piglierà il primo volo il grande uccello, sopra del dosso del
suo magno cecero, empiendo l’universo di stupore, di sua fama tutte le
scritture e gloria eterna il nido dove nacque.”
Probabilmente,
se Leonardo da Vinci avesse pensato prima all’elica, ne avrebbe potuto
sviluppare ulteriormente i principi fisici, ma il rifiuto di doversi staccare
dalla Natura lo terrà avvinto a lungo all’idea di imitare il volo animale, cosa
che, peraltro, ha i suoi risultati sotto il profilo degli studi biologici.
“Questo scriver sì
distintamente del nibbio par che sia mio destino perché nella prima
ricordazione della mia infanzia e’ mi parea che, essendo io in culla, che un
nibbio venisse a me e mi aprissi la bocca colla sua coda e molte volte mi
percotessi con tal coda dentro alle labbra.”
Anche in altri campi
scientifici, Leonardo da Vinci cercherà di nucleare quelle leggi, quelle verità
che presiedono al cammino del mondo e al verificarsi dei fenomeni naturali, sovente,
mutuandole dall’uno all’altro campo, associando gravità e idrodinamica,
intuendo il significato di inerzia. Proprio sull’idrodinamica perviene a
enunciare – a parole sue, purtroppo, e non sotto forma di legge matematica – il
principio-cardine di questa disciplina, che trova una formulazione compiuta
solo nel 1728 a opera del fisico Daniel Bernoulli. Distingue l’energia
potenziale da quella cinetica e ha idea del principio del pendolo, per il quale
si dovrà attendere Galileo Galilei. Intuisce che il moto dei proiettili non
segue una traiettoria circolare verso il basso, ma una curva con raggio di
curvatura variabile, oggi, chiamata parabola.
Leonardo da Vinci si
ispira, sovente, all’inventore per eccellenza, Archimede. Intensa è, sempre, la
sua ricerca di scritti dello scienziato siracusano. Un contemporaneo lo
definisce, anzi, “notissimo per il suo impegno archimedeo”.
L’ammirazione, tuttavia, non si traduce, mai, in imitazione passiva.
Leonardo da Vinci
studia con venerazione gli scritti dell’antico Maestro, ma per portarlo a un
grado superiore di perfezione.
A proposito
dell’eterna questione della quadratura del cerchio, a esempio, scrive: “La quadratura del cerchio di Archimede fu ben detta e
mala data”, poiché ritiene che Archimede avrebbe quadrato non un
cerchio, “ma una figura laterata”,
mentre Leonardo da Vinci ritiene di essere andato oltre:
“Et
io quadro el cerchio, meno una portione tanto minima quanto lo intelletto possa
immaginare, cioè quanto il punto visibile.”
E all’alba del 30
novembre 1504 può, finalmente, annunciare sui suoi appunti la faticosa
risoluzione del problema:
“La
notte di S. Andrea trovai il fine della quadratura del cerchio, e in fine del
lume e della notte e della carta dove scrivevo, fu concluso, al fine dell’ora.”
A parte la vivissima
forza poetica di questo brano, non si può non osservare il riferimento a quella
“portione tanto minima”, ossia i famosi
decimali del π [pi greco], sui quali si sono arenati i tentativi analoghi di tutti i
matematici. Del resto, unificando i due schemi separati delle teorie di
Vitruvio sulla proporzione, aveva realizzato quella famosissima figura che
riproduce il corpo umano inscritto in un cerchio e in un quadrato. Il suo π [pi greco], l’elemento
unificatore era, dunque, un’altra volta, l’Uomo. Riteneva assolutamente
inconcepibile, che in Natura vi fosse un rapporto – il rapporto tra
circonferenza e diametro, il famoso pi
greco – che non potesse essere espresso sotto forma di frazione, che tra
due entità, il cerchio e un poligono di qualunque numero di lati, vi potesse
essere qualcosa – una percentuale infinitesima, quasi microscopica, ma pur
sempre esistente – di incommensurabile. E proprio in questa sua convinzione
risiede la grandezza di Leonardo da Vinci e insieme il suo limite. Un limite
accettabilissimo, beninteso, ma indicativo per comprendere attraverso quali
sentieri si snodasse il suo pensiero. L’esperienza, dunque, doveva essere alla
base di tutto e, in questo, senza dubbio, precorse, Galileo Galilei.
“Ma prima farò alcuna esperienza avanti ch’io più oltre proceda,
perché mia intenzione è allegare prima l’esperienzia e poi colla ragione
dimostrare perché tale esperienzia è costretta in tal modo ad operare. E questa
è la vera regola come li speculatori delli effetti naturali hanno a procedere,
e ancora che la natura cominci dalla ragione e termini nella sperienzia, a noi
bisogna seguitare in contrario, cioè cominciando, come di sopra dissi, dalla
sperienzia, e con quella investigare la ragione.”
La valutazione degli
studi scientifici di Leonardo da Vinci riceve valutazioni altamente positive
già dal Cinquecento, dal matematico Luca Pacioli, dal medico e storico Paolo
Govio, dallo scienziato Gerolamo Cardano.
Nel 1590, lo storico
d’arte Giovan Paolo Lomazzo scrive che i libri di Leonardo da Vinci sono
arrivati in tutta Europa e che, per certe materie, gli studi leonardeschi “sono tenuti in grandissima stima dagli intendenti, perché
giudicano non potersi dar di più di quello che egli ha fatto”.
Ricerche recenti rilevano che la diffusione
delle idee scientifiche di Leonardo da Vinci sono individuabili, soprattutto,
nell’Europa Settentrionale, massimamente in Germania e nelle Fiandre. Fanno
scuola, soprattutto il metodico ricorso di Leonardo da Vinci al controllo
sperimentale e il suo criterio di razionalità basato sulla giustificazione
matematica:
“Nessuna certezza è dove non si può
applicare una delle scienze matematiche, over che non sono unite con esse
matematiche.”
Riguardo ai limiti della esperienza
scrisse molto giustamente:
“La esperienza non
falla mai, ma fallano i nostri giudizî, promettendoci da lei cose che non sono
in sua facoltà. Il massimo inganno degli uomini è nelle loro opinioni, le quali
non si modellano sulla natura, ma modellano questa, alle proprie immagini. Mia
intenzione è allegare prima la esperienza, e poi con la ragione dimostrare che
essa è costretta in tal modo ad oprare.”
E ancora:
“Nessuna umana investigazione si può denominare vera scienza
s’essa non passa per le matematiche dimostrazioni e nessuna certezza è dove non
si può applicare una delle scienze matematiche.” e che “quelli che s’innamoran di pratica sanza scienzia son come ‘l
nocchier ch’entra in navilio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove
si vada. Sempre la pratica deve essere edificata sopra la bona teorica”.
Amava la matematica
solo quale supporto della conoscenza diretta, quale verifica dell’esperienza e,
infatti, postulò la creazione di una nuova disciplina, in cui la matematica e l’esperienza
fossero integrate, ma non come strumento di indagine. Per Leonardo da Vinci, i
numeri e le sottili relazioni che tra loro si intersecavano potevano servire
solo a esemplificare un certo aspetto della realtà, non a prevederlo o ad anticiparlo.
E, in realtà, la matematica fu una delle branche della scienza cui si applicò
più tardi. Arrivò a trent’anni, infatti, con un passato di pittore e di
ingegnere che avrebbe fatto impallidire chiunque, senza conoscere che le regole
elementari dell’aritmetica. Continuava – e lo farà per lungo tempo – a sbagliare
le moltiplicazioni e a fare errori nella somma di frazioni. In seguito, grazie
soprattutto all’amicizia con Luca Pacioli, il grande matematico autore del De divina proportione, Leonardo da Vinci
divenne molto più esperto nel manipolare i numeri e nel comprendere le leggi
della geometria, ma non rinunciò a considerare la matematica un mezzo con cui
verificare, a posteriori, una data
legge scientifica e non un sistema con cui determinarne, a priori, il risultato.
Un’altra
caratteristica della mente scientifica di Leonardo da Vinci, che trova
scarsissima rispondenza in tutti i suoi predecessori o nei successori dei
secoli a venire, è che il Maestro fu, insieme scienziato e inventore. Due
termini che, nel linguaggio comune, sono, sovente ed erroneamente, considerati
sinonimi, ma che sottendono, invece, due predisposizioni verso la materia
completamente diverse. In Leonardo da Vinci superbamente fuse e complementari. Leonardo
da Vinci scienziato suggerisce l’Uomo indagatore, curioso di tutto ciò che si
presenta dinanzi ai suoi occhi, l’Uomo deciso a penetrare ogni segreto della Natura,
siano le mille e mille ramificazioni dei vasi sanguigni del corpo umano, le
elegantissime spirali compiute dal flusso dell’acqua in un condotto, sulle
quali trova sorprendenti e immaginifiche assonanze con le ondulazioni dei
capelli intrecciati, le misteriose leggi della dinamica, le impercettibili,
demoniache fluttuazioni delle ali degli uccelli in volo.
“Tirato dalla mia bramosa voglia, vago di
vedere la gran copia delle varie strane forme fatte dalla artifiziosa natura,
ragiratomi alquanto infra gli ombrosi scogli, pervenni all’entrata d’una gran
caverna, e dinanzi alla quale restato alquanto stupefatto ed ignorante di tal
cosa, piegato le mie reni in arco, e ferma la stanca mano sopra il ginocchio, e
colla destra mi feci tenebre alle abbassate e chiuse ciglia, e spesso
piegandomi in qua e in là per vedere se dentro vi discernessi alcuna cosa, e
questo vietatomi [per] la grande oscurità che là entro era, e stato alquanto,
subito salse in me due cose, paura e desiderio: paura per la minacciante e
scura spilonca, desiderio per vedere se là entro fusse alcuna miracolosa cosa.”
Leonardo
da Vinci, Codice Arundel
Leonardo da Vinci, Codice
Arundel.
Questo passo
leonardesco tanto atipico, perché reso in termini metaforici, mostra, come
pochi altri, l’atteggiamento del Maestro davanti ai misteri della vita e del
mondo e quante caverne avrebbe esplorato, quante “miracolose
cose” portato alla luce del Sole!
Leonardo da Vinci
inventore è, invece, sospinto da un fortissimo istinto pragmatico: escogita
meccanismi, straordinarie combinazioni di ruotismi, ingranaggi, leve, che
trasformano il movimento originario in una cascata di cento movimenti
ausiliari, che tramutano il moto rettilineo in circolare, che sfruttano al
massimo grado, quasi esasperandone la potenza, quelle esili, scarne, deboli
energie di cui il mondo del Cinquecento era in grado di appropriarsi e
asservire all’Uomo: l’alitare del vento, la forza primordiale di un corso
d’acqua, la stanchevole forza muscolare, le guizzanti e inafferrabili scintille
del fuoco.
E non avrebbe potuto
scegliere epoca migliore per venire al mondo e cimentarsi sulle cose, perché il
mondo del Cinquecento era davvero tutto da scoprire: uscita dal tunnel del
Medioevo, l’Umanità iniziava a interrogarsi su ciò che vedeva, che percepiva,
da cui veniva colpita, ardendo di conoscenza.
Leonardo da Vinci
userà, infatti, un termine che, oggi, può far sorridere, ma che risulta
appropriato come nessun altro per spiegare le miriadi di nuove impressioni, di
sollecitazioni, che l’Uomo del Rinascimento riceveva dall’ambiente: la
percussione, che immaginò essere una delle forze primarie della fisica, insieme
con la gravità e il moto. Percussione per intendere il dinamismo del suono,
della luce, della forza degli urti, sui sensi e sui corpi.
Poche le leggi
universali che, all’epoca, si conoscevano.
L’Uomo del Cinquecento
intuiva di essere calato in un meraviglioso meccanismo naturale, al quale
presiedevano regole e norme da trasferirsi da questo a quel campo, molte
essendo comuni a tanti fenomeni che apparivano dissimili; di trovarsi, insomma,
per usare la frase di un filosofo posteriore di due secoli a Leonardo da Vinci,
“nel migliore dei mondi possibili”.
Ed è proprio la
convinzione di trovarsi al centro del mondo, di poterlo iniziare a decifrare, a
ridurne le manifestazioni a poche entità comuni, che spinge Leonardo da Vinci a
superare le cortine, fino a quel momento ritenute invalicabili, che si
frappongono tra il cervello umano e i fenomeni naturali, superando ogni
superstizione, ogni alchimia, smontando e rimontando in continuazione macchine,
eventi fisici, organi del corpo umano, anche ciò che in passato era ritenuto
inesplicabile, perché dominio del soprannaturale, come, a esempio, le morti
improvvise, che studia con la passione e il distacco del vero scienziato, privo
di ogni pregiudizio. Con il soprannaturale, infatti, Leonardo da Vinci ebbe
molto poco a che fare: non lo riteneva strettamente necessario al mondo né
sotto il profilo filosofico, né sotto il profilo più propriamente religioso.
“Fuggi
i precetti di quelli speculatori che le
loro ragioni non sono confermate dalla sperienza.”
Di Dio non parlò
quasi mai e quando vi accennò, lo chiamò Creatore, Artista.
Il suo vero Dio era
l’Uomo, l’Amore, inteso quest’ultimo come forza vitale e bramosia di
conoscenza.
I paragoni tra la Macchina
Umana e la Macchina della Natura intera si fanno via via sempre più serrati,
anche se Leonardo da Vinci non vuole attribuirvi una corrispondenza scientifica
rigorosissima, ma piuttosto una unità di principi, una comune radice, un
pulsare sincrono di tutte le parti, animate e inanimate, dell’Universo.
“L’omo è detto da li antiqui mondo minore, e certo la dizione è
bene collocata imperò che, sí come l’omo è composto di terra, acqua, aria e
foco, questo corpo della terra è il simigliante. Se l’omo à in sé ossa,
sostenitore e armadura della carne, il mondo à i sassi sostenitori della terra;
se l’omo à in sé il lago del sangue, dove cresce e discresce il polmone nello
alitare, il corpo della terra à il suo oceano mare, il quale, ancora lui,
cresce e discresce ogni sei ore per lo alitare del mondo; se dal detto lago di
sangue dirivan vene, che si vanno ramificando per lo corpo umano, similmente il
mare oceano empie il corpo de la terra d’infinite vene d’acqua. Manca al corpo
della terra i nervi, i quali non vi sono, perché i nervi sono fatti al
proposito del movimento, e il mondo, sendo di perpetua stabilità, non v’accade
movimento e, non v’accadendo movimento, i nervi non vi sono necessari. Ma in
tutte l’altre cose sono molto simili.”
La tentazione di
creare un nuovo ordine per le cose e per l’uomo, di trasferire nella vita
quotidiana i semplici e meravigliosi meccanismi della Natura attraverso la
laboriosità delle macchine o la purezza dei comportamenti, non lasciò, quindi,
Leonardo da Vinci indifferente allo straordinario fiorire delle utopie
rinascimentali, che vagheggiano società codificatissime, nelle quali nulla
fosse lasciato al caso o all’istinto. Ma anche in questo caso, il suo senso
pragmatico non gli venne mai meno e si accompagnò alla fantasia, per una volta
rivolta al mondo dell’utopia, come dimostra questo brano tratto dal Codice Atlantico, che parla di una
fantascientifica città con strade sopraelevate, fognature, tale da rispecchiare
una precisa divisione in classi della società, cosa all’epoca imprescindibile:
“Le strade N sono
più alte che le strade P S
braccia 6 e ciascuna strada de’ essere larga braccia 20 e avere ½ a braccio di
calo dalle stremità al mezzo, e in esso mezzo sia, a ogni braccio, uno braccio
di fessura, largo uno dito, ove l’acqua che piove debba scolare nelle cave
fatte al medesimo piano di P S,
e da ogni stremità della larghezza di detta strada sia uno portico di larghezza
di braccia 6 in su le colonne.
E sappi che chi
volessi andare per tutta la terra per le strade alte, potrà a suo acconcio usarle,
e chi volessi andare per le basse, ancora il simile. Per le strade alte non de’
andare carri ne altre simile cose, anzi sian solamente per li gentili omini,
per le basse deono andare i carri o altre some a l’uso e comodità del popolo.
L’una casa de’ volgere le schiene all’altra, lasciando la strada bassa in
mezzo, e da li ussi si mettine le vettovaglie, come legnie, vino e simili cose.
Per le vie socterane si de’ votare destri, stalle e simile cose fetide.
Dall’uno arco all’altro de’ essere braccia 300, cioè ciascuna via che riceve
lume dalla fessure delle strade di sopra, e a ogni arco de’ essere una scala a
lumaca tonda, perchè ne’ canton delle quadre si piscia, e larga, e nella prima
volta sia un uscio ch’entri in destri e pisciatoi comuni, e per la scala si
discenda dalla strada alta alla bassa, e le strade alte si comincino fori delle
porte, e giunte a esse porte abbino composte l’altezza di braccia 6.
Sia fatta decta terra apresso a mare o altro fiume grosso, acciò
che le bructure della città, menate dall’acqua sieno portate via.
Tanto sia larga la
strada quanto è la universale altezza delle case.
Facciansi fonti in
ciascuna piazza.”
Il fine sociale che
traspare da questo brano, il desiderio, più volte espresso, di migliorare l’Umanità
attraverso una nuova “civiltà delle
macchine”, come direbbe Leonardo Sinisgalli, la volontà di non
turbare gli equilibri naturali e di non nuocere ad alcuna cosa animata, tanto
da farlo divenire un irriducibile vegetariano, un ecologo ante litteram, sembrano stridere non poco, a prima vista, con le
note e perfezionatissime realizzazioni di Leonardo da Vinci in tema di macchine
belliche.
Pacifista o
guerrafondaio?
Né l’uno né l’altro,
dato che nel Cinquecento – non dimentichiamolo! – questi due attributi non
erano rivestiti del minimo significato, la guerra essendo, ancora, una
componente fondamentale della società umana, un ineluttabile, ma necessario
strumento di crescita. E, comunque sia, gli strumenti da difesa e da offesa di
Leonardo da Vinci posseggono una propria logica, essendo per così dire
espliciti, manifestamente offensivi, non insidiosi e, soprattutto, utili al
progresso tecnologico generale.
Leonardo da Vinci si
adoperò, soprattutto, a migliorare, a utilizzare meglio le risorse esistenti; i
suoi studi di balistica, i proiettili ogivali, che dovevano fendere meglio l’aria,
le gigantesche balestre rotanti, i cannoni a vapore, quelli a ventaglio di
canne dovevano servire a superare il nemico lealmente, non con l’inganno, il
sotterfugio.
A questo proposito,
è estremamente indicativo l’esempio di una sua invenzione, quella del
sottomarino, mai divulgata proprio perché avrebbe sconvolto le regole del gioco
bellico. I disegni relativi, forse, furono bruciati, forse, nascosti, ma
comunque sono andati dispersi. Di questa che prometteva essere una delle più
strabilianti innovazioni leonardesche, forse, qualcosa di veramente conclusivo
– altrimenti non ne avrebbe celato al prossimo i disegni! – ci restano poche
righe scritte intorno al 1506:
“Come
è non si po star sotto l’acqua, se non quanto si po ritenere lo alitare. Come
molti stieno con istrumento alquanto sotto l’acqua. Come, e perché io non
iscrivo il mio modo di star sotto l’acqua quanto i’ posso star senza mangiare,
e questo non pubblico o divolgo per le male nature delli omini, li quali userebbono
li assassinamenti ne[l] fondo de’ mari, col rompere i navili in fondo, e
sommergerli insieme colli omini, che vi son dentro; e benché io insegni delli
altri, quelli non son di pericolo, perché disopra all’acqua apparisce la bocca
della canna, onde alitano, posta sopra li otri o sughero.”
“Le
male nature dell’omini”, quindi.
Sembra che il brano sia
stato scritto negli ultimi anni della sua permanenza a Milano, prima di
compiere il suo vagabondaggio ultimo, in Francia. Una espressione che contrasta
non poco con quella, riportata qualche riga sopra, dei “gentili
omini” e che, seppure larvatamente, indica l’evoluzione del
pensiero di Leonardo da Vinci negli ultimi anni della sua vita.
L’Uomo, il grande
artefice, non è più al centro del mondo, non è un essere vicino alla
perfezione; anzi, “l’omo ha gran discorso del quale la più
parte è vano e falso; gli animali l’hanno piccolo, ma utile e vero”.
A mano a mano che
penetra sempre più profondamente nei segreti della Natura, che leva la testa
sempre più in alto per indagare sugli imperscrutabili misteri dell’Universo; Leonardo
da Vinci si sente sempre più piccolo, un granello di polvere davanti alla
Grande Macchina inimitabile del Creato, preda di una Natura incorruttibile e,
forse, inavvicinabile.
L’Uomo, dunque, non
è più lo specchio del mondo; probabilmente un suo vano accessorio. Non è
necessario al mondo. I famosi disegni della serie del Diluvio,
oggi custoditi nella Biblioteca Reale di Windsor, non mostrano più le gentili,
geometriche ramificazioni del flusso dell’acqua, dense di bellezza e di
armonia, ma flutti impetuosi, ribollenti schiuma, disobbedienti a qualsiasi
analisi scientifica, espressione di una natura violenta, primordiale, che non
intende cedere ai mortali lo scettro della spreazia sul mondo e che pertanto
manda in rovina ponti, dighe, argini artificiali.
Di pari tempo,
Leonardo da Vinci ha innalzato il suo febbrile sguardo indagatore verso la
profondità del Cosmo e ha compreso, senza ombra di dubbio, che “la Terra non è nel mezzo del cerchio del Sole, né nel
mezzo del mondo, ma è ben nel mezzo de’ suoi elementi, compagni e uniti con
lei, e chi stesse nella Luna, quand’ella insieme col Sole è sotto a noi, questa
nostra Terra coll’elemento dell’acqua parrebbe e farebbe ofizio tal qual fa la
Luna a noi”, proprio nello stesso periodo di tempo in cui il suo
contemporaneo Niccolò Copercnico si apprestava a demolire la teoria geocentrica
di Tolomeo.
Questo progressivo
ridimensionamento dell’Uomo come essere pensante e come elemento dell’Universo
ha come contropartita la celebrazione sempre più intensa del Sole, l’unico
elemento naturale cui Leonardo lascia il compito, nei suoi ultimi scritti, di
giganteggiare su tutto.
Così, dopo avere
indagato su tutto, sugli uomini e sulle acque, sui meccanismi e sulle
matematiche, sulle leggi della fisica e su quelle della prospettiva, dopo avere
impostato l’evoluzione della scienza a venire e avere dipinto tele e affreschi
soavissimi e meravigliosi, Leonardo sposta il baricentro del suo pensiero a milioni
di chilometri oltre le rive della Loira, suo ultimo scenario terreno, verso il
Sole. Il Sole in cui vede il nucleo dell’energia infinita, e non solo
strettamente termica, perché “tutte l’anime
discendon da lui”; il Sole come motore immobile da cui tutto ha
origine e al cui paragone la Terra stessa non è che “un
punto nell’Universo”, con il suo carico umano condannato a
rimanere “mortale, putrido e corruttibile nelle sue
sepolture”.
“Non si dimanda
ricchezza quella che si può perdere. La virtù è vero nostro bene ed è vero
premio del suo possessore: lei non si può perdere, lei non ci abbandona, se
prima la vita non ci lascia. Le robe e le esterne devizie sempre le tieni con
timore, ispesso lasciano con iscorno e sbeffato il loro possessore, perdendo
lor possessione.”
Leonardo da Vinci
LE MACCHINE DI PACE
“La
scienza strumentale over machinale è nobilissima e sopra tutte l’altre
utilissima conciosia che mediante quella tutti li corpi animati che hanno moto
fanno tutte le loro operazioni.”
Leonardo da Vinci
Macchina per Leonardo da Vinci è una parola
magica e, oggi, per comprenderne a pieno il significato dovremmo scrollarci di
dosso tutte le accezioni negative, dispregiative di “macchina-prevaricatrice-distruttrice-inquinante”
che sono emerse nella nostra era.
La macchina, per Leonardo da Vinci, è, invece,
qualcosa di perfetto, qualcosa di puro, di incontaminato, non importa se sia il
meraviglioso meccanismo della Natura e delle sue leggi o uno strumento creato
dall’Uomo. Con Leonardo da Vinci ha, dunque, inizio la “Civiltà delle Macchine”,
o meglio, la civiltà della filosofia delle macchine.
Ma, anche sotto il profilo strettamente
scientifico, le macchine di Leonardo da Vinci inaugurano una nuova epoca,
quella dell’automazione, dei servo-meccanismi, della macchina intesa come
entità autosufficiente, che ha bisogno dell’intervento umano solo per essere
avviata. Poi, fa tutto da sé. Proprio qui si riscontra la grande innovazione
concettuale dell’ingegneria leonardesca: nell’avere creato meccanismi che sanno
regolarsi da sé, che non hanno bisogno di successive correzioni dall’esterno
nelle varie fasi del loro funzionamento.
A esempio, l’intagliatrice di lime che,
automaticamente, fa avanzare il carrello porta-lima a mano a mano che il
martelletto intagliatore effettua il suo saliscendi. Lo stesso meccanismo che
muove il martelletto è assai significativo, giacché Leonardo da Vinci vi ha
realizzato la trasformazione del moto rotatorio – quello dell’arganetto
azionato dal peso – in moto alternativo.
La trasformazione del moto rotatorio in
alternativo e viceversa fu, sempre, un “pallino” del Maestro che, a questo
scopo, realizzò il complesso “alzapesi”, dotato anche di blocco automatico, una
specie di progenitore del moderno “cric” delle automobili.
Altro esempio dell’ingegno leonardesco nella
trasmissione del moto è il meccanismo per orologio dotato di un ingranaggio a
spirale, concepito in modo tale da compensare, con la spirale, la diminuzione
della potenza che si verifica a mano a mano che la molla dell’orologio va
svolgendosi.
Le energie utilizzate da Leonardo da Vinci in
questi meccanismi si limitano alla gravità e alla elasticità della molla. Ma
Leonardo da Vinci seppe sfruttare nel migliore modo possibile anche quella dell’acqua,
progettando mulini, macchine idrauliche dotate di straordinari sistemi per
accaparrare anche la più piccola briciola di energia utilizzabile, perché nulla
andasse perduto.
Oggi, nell’era in cui si brucia petrolio
irriguardosamente, queste minuzie possono sembrare superate; eppure
costituiscono una valida lezione all’Uomo moderno, affinché sappia sfruttare le
fonti di energia a sua disposizione con parsimonia e senza spreco.
Senza dubbio alcuno, Leonardo da Vinci precorse
i tempi. Il suo ingranaggio elicoidale non fu “reinventato” che tre secoli più
tardi, alla fine del Settecento, mentre un suo progetto per cuscinetti a sfere
e coni avrà bisogno di circa mezzo millennio perché se ne comprenda la
funzione. Fu, infatti, costruito poco prima della Seconda Guerra Mondiale per i
giroscopi degli aerei.
LE MACCHINE DI GUERRA
“Chi non punisce il male, comanda che si facci.”
Leonardo da Vinci
Una enorme balestra rappresenta una delle più
note realizzazioni belliche di Leonardo da Vinci. La struttura dell’arco è a
lamine sovrapposte, tale da consentire insieme la massima robustezza e la
massima flessibilità. Proprio da questo concetto si è sviluppato, mantenendone
il nome, il dispositivo di ammortizzazione delle auto che viene chiamato,
appunto, balestra. Sulla balestra Leonardo da Vinci effettuò infinite variazioni,
come l’originalissima balestra circolare a ripetizione che lanciava dardi in
successione. Si dedicò, poi, ai cannoni, progettando affusi di ciclopiche
dimensioni e una magnifica fresa a turbina per realizzare canne perfettamente
cilindriche. Ma il suo ingegno non si dispiegò solo nelle macchine da guerra.
Gli studi bellici gli furono utili anche per analizzare il moto dei proiettili
– che sappiamo essere, ancora oggi, una costante delle trattazioni della fisica
dei gravi e della meccanica razionale – individuando, per primo, la traiettoria
parabolica di un proiettile e intuendo il significato di inerzia:
“Ogni
moto attende al suo mantenimento ovvero ogni corpo mosso sempre si move, in
mentre che la impressione della potenzia del suo motore in lui si riserva.”
LA MACCHINA UOMO
“La funzione del
muscolo è di tirare e non di spingere, eccezion fatta per i genitali e la
lingua.”
Leonardo da Vinci
Lo studio
dell’anatomia umana ha portato Leonardo da Vinci alla progettazione di uno dei
primi noti robot [https://www.youtube.com/watch?v=SdP8cpwmWwk]
della Storia, intorno al 1495. Il robot
cavaliere potrebbe stare in piedi, sedersi, alzare la sua visiera, aprire
e chiudere la bocca, e manovrare in modo indipendente le braccia. L’intero
sistema robotico è azionato da una serie di pulegge, cavi, ingranaggi
interni e manovelle. Il primo a identificare il progetto dell’automa nascosto tra i
diversi disegni del Codice Atlantico
è stato lo storico dell’arte Carlo Pedretti , nel 1957. Nel 2002,
uno studioso di robotica, Mark Rosheim, ha realizzato il primo modello completo
del cavaliere meccanico, perfettamente funzionante, come aveva previsto
Leonardo da Vinci, per un documentario della BBC, Leonardo: The Story o
fan Undisputed Genius [https://www.youtube.com/watch?v=BcQy2ld6hrE].
Ricostruzione digitale con organi meccanici all’interno dell’automa
cavaliere.
Lo studio dell’anatomia umana era, per Leonardo
da Vinci, una condizione indispensabile per poter esercitare la Pittura, che,
pertanto, è anch’essa figlia della Scienza. Dapprima sulle proporzioni
antropometriche, poi, sugli organi interni, l’attenzione di Leonardo da Vinci
si appunta sempre più in profondità sulla Macchina Uomo, che studia con l’ardore
e la consapevolezza che ogni movimento, ogni funzione fisiologica, dalla
nascita alla stessa morte, possano essere spiegati con il lume della Ragione.
Per le ovvie corrispondenze che tale studio aveva
con la Pittura, è nello studio dei muscoli che Leonardo da Vinci raggiunse i maggiori
risultati; ma si concentrò e molto anche sulle funzioni umane, sui meccanismi
della voce, delle lacrime, della respirazione, della circolazione sanguigna,
sui sensi della vista, dell’olfatto, dell’udito.
Né si limitò all’anatomia, Leonardo da Vinci
sconfinò, anche, con risultati, talvolta modesti, ma talvolta eccelsi, nella
patologia, riuscendo a effettuare svariate autopsie negli spedali fiorentini.
Mirabile è rimasta la descrizione dell’arteriosclerosi, in seguito alla morte
di un vecchio che gli “disse lui passare
cento anni” e che “standosi a sedere
sopra uno letto senza altro movimento o segno d’alcuno accidente passò di
questa vita”. Cercando di scoprire la causa di “sì dolce morte”, Leoardo da Vinci osservò che “quando le vene s’invecchiano esse si destrugan la loro rettitidine
nelle loro ramificazioni, e si fan tanto più fressuose over serpeggianti e di
più grossa scorza […]. Negli anziani è ristretto al continuo il transito delle
vene miseraiche per lo ingrossamento della pelle d’esse vene successivamente
insino alle vene capillari”.
LA MACCHINA CITTA’
“La società sarà civile quando chi uccide un cane sarà processato
come chi uccide un uomo.”
Leonardo da Vinci
Fu vera gloria la gloria di Leonardo da Vinci
in campo architettonico?
Alcuni sostengono di no, mettendo in risalto la
scarsissima entità dei suoi progetti architettonici, come per il tiburio del
Duomo di Milano, bocciato dai committenti.
Più che architetto, dunque, sarebbe meglio
definirlo urbanista in senso lato, includendovi anche la sua attività di
ingegnere idraulico e di creatore di opere civili di vastissima portata.
Noto è il suo progetto per la creazione di un
canale che avrebbe dovuto mettere in comunicazione Milano con il Lago di Como e
di là giungere in Svizzera.
Note sono anche le sue proposte per la
realizzazione di chiuse e di tutta una serie di macchine che sfruttavano la
forza dell’acqua.
E non dobbiamo dimenticare i suoi magnifici
contatori d’acqua o le macchine scavatrici di canali.
Sotto il profilo più strettamente edile, Leonardo
da Vinci progettò un teatro mobile, strutturato su una serie di quinte che
ruotavano su se stesse, facendo mutare non solo lo scenario, ma anche la
posizione degli spettatori rispetto al palcoscenico. Probabilmente, fu
realizzato in occasione della rappresentazione dell’Orfeo di Poliziano, svoltasi a Milano nei primi anni del
Cinquecento.
È certo, tuttavia, che il Maestro compì lunghi
e particolareggiati studi di statica e di tecnica delle costruzioni.
Codice Atlantico, f. 846 v [309 v-a], Biblioteca
Ambrosiana, Milano 1493-95]
Leonardo da Vinci passa dallo studio dell’ala battente a quello dell’ala
parzialmente fissa per un volo librato. Avendo notato che la parte interna
delle ali dei volatili si muove più lentamente rispetto a quella esterna per
dare sostegno durante il volo, concepisce delle ali, simili a quelle dei
pipistrelli e dei grandi uccelli, fisse nella parte interna, mentre la parte
esterna è mossa mediante un cavo comandato con maniglie dal volatore,
posizionato al centro e in senso verticale.
Paracadute
Codice Atlantico, f. 1058 v [381 v-a],
Biblioteca Ambrosiana, Milano [c. 1485]
Anche questo progetto ci dimostra quanto le idee di Leonardo da Vinci
fossero geniali e futuristiche. Il paracadute doveva essere costruito con una
tenda di lino a forma piramidale, con misura di 7 metri per lato. Con questa
macchina chiunque avrebbe potuto gettarsi da qualsiasi altezza senza rischio.
Deltaplano
Codice di Madrid I, f. 64 r, Biblioteca
Nacional, Madrid [c. 1495]
È possibile dividere le macchine volanti in due distinti periodi
della vita di Leonardo da Vinci: quelle del primo periodo sono azionate dalla
forza dell’Uomo, quelle del secondo sfruttano la potenza dei venti e delle
correnti, tra le quali vi è il deltaplano, in cui l’Uomo si posiziona in senso orizzontale
e manovra la macchina tramite due coppie di corde che, facendo spostare il
mezzo a destra e a sinistra e in alto e in basso, permettono di regolare il
volo.
Vite
aerea
Ms. B, f. 83 v, Institut de
France, Parigi [c. 1489]
È di certo uno dei disegni più famosi di Leonardo da Vinci, in
cui si può intuire l’antenato dell’elicottero. Il mezzo doveva essere costruito
con canne, tela di lino e filo di ferro e doveva essere azionato da quattro
uomini che facendo ruotare l’albero sarebbero riusciti ad alzarsi da terra. È chiaro
che la macchina così concepita non avrebbe, mai, volato, rimane comunque l’idea
che con un’adeguata forza motrice la macchina avrebbe potuto realmente
avvitarsi nell’aria e alzarsi da terra.
Macchina volante
Codice Atlantico, f. 824 v [302 v-a], Biblioteca
Ambrosiana, Milano [c. 1485-87]
Anche la macchina volante appartiene ai progetti più noti che
Leonardo da Vinci ci ha lasciato. Il volatore, che avrebbe dovuto sfruttare al
massimo tutte le sue potenzialità motorie, si posizionava sopra il piano e
inseriva i piedi nelle staffe che, tramite i cavi, trasportavano il moto alle
ali che compivano due movimenti: 1] l’alzata e l’abbassata; 2] la flessione e
la rotazione, simile al movimento di un remo.
Studio d’ala unita
Codice Atlantico, f. 858 r [313 r-a], Biblioteca
Ambrosiana, Milano [c. 1480]
Leonardo da Vinci, dopo gli studi sull’anatomia degli uccelli,
decise di applicare le caratteristiche rilevate in Natura alle proprie macchine
volanti. Nei suoi progetti per un volo ad ali battenti, dopo avere,
inizialmente, disegnato un’ala a “sportelli” [con aperture mobili], ideò un’ala
“unita” somigliante a quella dei pipistrelli, coperta da un unico panno teso su
di un’armatura di legno e canne.
Inclinometro
Codice Atlantico, f. 1058 r [381 r-a],
Biblioteca Ambrosiana, Milano [c. 1485]
Con questo strumento, che consiste in un pendolo inserito in una
campana di vetro [per evitare l’influenza del vento], il pilota poteva assumere
il giusto equilibrio e la corretta inclinazione da mantenere durante il volo.
La posizione della palla del pendolo, indicando la posizione della macchina,
serve infatti a calcolare la verticalità. In uno dei suoi progetti, Leonardo da
Vinci aveva dotato l’ornitottero a bicicletta di un inclinometro inserito sopra
la testa del pilota.
Anemometro
Codice Atlantico, f. 675 r [249 v-a], Biblioteca
Ambrosiana, Milano [c. 1487-90]
La grandezza dei suoi studi è dimostrata anche dal fatto che Leonardo
da Vinci non si limita solo a creare delle macchine per il volo, ma crea, perfino,
gli strumenti per controllarlo, tra i quali vi è l’anemometro “a lamelle” o “a
pennello” [dal fatto che anticamente si usavano delle penne come indicatori]
per misurare la velocità del vento. È un semplice legno graduato con una lamina
che è spostata più o meno secondo l’intensità del vento.
Sega idraulica
Codice Atlantico, f. 1078 a-r [389 r-a],
Biblioteca Ambrosiana, Milano [c. 1478]
Vi sono diverse macchine alle quali si può applicare l’energia delle
acque: qui è riportata la sega idraulica. L’acqua, che scorre nell’apposita
canaletta, muove la ruota a pale che aziona contemporaneamente la sega
verticale e l’avanzamento del carrello dove è posto il tronco. L’operazione
è così resa automatica. Si tratta probabilmente della copia
perfezionata di un modello già esistente ai tempi di Leonardo da Vinci, che ben
conosceva la tecnologia e le macchine del suo tempo.
Vite di Archimede
Codice Atlantico, f. 26 v [7 v-a], Biblioteca
Ambrosiana, Milano [c. 1480]
Il nome stesso indica che questo mezzo per il trasporto d’acqua
era, già, conosciuto fin dal tempo degli antichi greci. Anche nel Rinascimento
queste macchine avevano un largo utilizzo. Leonardo da Vinci ne disegnò molte,
riuscendo, come suo solito, a migliorarle. La vite permette di sollevare l’acqua
da una conca tramite un tubo avvolto a un cilindro, mosso da una manovella
oppure direttamente dalla stessa corrente dell’acqua. Questo sistema poteva essere
raddoppiato per portare l’acqua a serbatoi posti su alte torri.
Ponte mobile
Codice Atlantico, f. 885 r [312 r-a], Biblioteca
Ambrosiana, Milano [c. 1487-89]
Sono molteplici gli esempi di ponte mobile a rapido impiego che
Leonardo da Vinci disegna nel corso della sua carriera di ingegnere militare,
applicazione progettuale concreta dei suoi studi di statica e meccanica. In
questo foglio sono impaginate verticalmente tre diverse tipologie: 1] ponte
poggiato su pali; 2] ponte girevole ad arco, con campata unica, fissato ad una
delle sponde con pilone verticale che funge da centro di rotazione; 3] ponte
appoggiato su botti o barche.
Ponte arcuato
Codice Atlantico, f. 69 a-r [22 r-a], Biblioteca
Ambrosiana, Milano [c. 1485-87]
Si tratta di uno dei “ponti
leggerissimi et forti” che Leonardo da Vinci prometteva nella celebre
lettera di presentazione a Ludovico il Moro. Questi ponti erano realizzabili e smontabili
rapidamente con materiale di facile reperibilità e trasporto, come piccoli
tronchi e robusti legacci.
L’impiego era, essenzialmente, per scopi militari: il rapido superamento
di un fiume consentiva, infatti, veloci e inaspettati movimenti delle truppe e
contribuiva al fattore sorpresa, spesso, fondamentale agli esiti della
battaglia.
Imbarcazione a doppio scafo
Ms. B, f. 11 r, Institut de France, Parigi [1484-86]
L’imbarcazione a doppio scafo è un sistema di difesa ideato per
l’utilizzo in caso di guerra navale ed è, particolarmente, indicato, a esempio,
contro lo sfondacarene: nel caso in cui la nave nemica avesse colpito con la
sua arma la fiancata della nave, si sarebbe riempita d’acqua solamente la parte
tra le due carene, preservando lo scafo interno ed evitando quindi l’affondamento.
È chiaramente l’antenato delle moderne camere stagne che si
possono trovare sulle navi di oggi.
Salvagente
Ms. B, f. 87 v, Institut de
France, Parigi [1487-90]
Tra le varie soluzioni che Leonardo da Vinci ideò per la
permanenza nell’acqua vi è anche il salvagente.
Questo era fatto di cuoio, cucito e perfettamente stagno, e
doveva essere gonfiato ad aria.
Leonardo da Vinci consigliava di impiegarlo durante le tempeste,
in caso di naufragio, per agevolare il galleggiamento e la nuotata.
Con lo stesso fine, sul medesimo foglio, sono disegnati
dispositivi palmati, che mostrano come Leonardo da Vinci trovasse, spesso,
ispirazione per i suoi progetti nel mondo animale.
Modo per camminare sull’acqua
Codice Atlantico, f. 26 r [7 r-a], Biblioteca
Ambrosiana, Milano [c. 1480-82]
Svariati sono i sistemi illustrati da Leonardo da Vinci per
scendere sotto la superficie dell’acqua e rimanervi il tempo necessario per
distruggere scafi nemici o riparare la chiglia di un battello senza bisogno di
ricorrere al cantiere navale.
Così come non mancano, nel suo repertorio di disegni, modi di
galleggiare e muoversi sulla superficie dell’acqua mediante racchette, sci e
scarpe nautiche. Questo tipo di enormi sci dovrebbe permettere all’Uomo di
galleggiare sull’acqua aiutato da bastoni.
Carro armato
Inv. n. 1860-6-16-99 [B.B. 1030], British
Museum, Londra [c. 1483-85]
L’idea di un carro coperto che potesse penetrare nelle file
nemiche seguito da soldati, si trova, già, nel Medioevo ed è ripresa, con
assiduità, nel Quattrocento. Leonardo da Vinci prevedeva un carro pesante, a
forma di testuggine, armato di cannoni tutt’attorno e, forse, rinforzato con
piastre metalliche.
Il movimento, che altri avevano previsto a vela, secondo
Leonardo da Vinci doveva essere affidato a un sistema di ingranaggi collegato
alle ruote ed azionato, con manovelle, da “8
huomini” all’interno.
Escavatrice da trincea
Ms. L, f. 76 v, Institut de France, Parigi [c.
1502]
Tra i molti disegni di architettura militare, effettuati da Leonardo
da Vinci, durante l’incarico prestigioso di “architetto ed ingegnere generale”,
ricevuto da Cesare Borgia, duca di Valentino, vi è anche una macchina per
scavare trincee che, attraverso un sistema di pesi e contrappesi oscillanti, facilitava
il lavoro dell’uomo.
Proiettili ogivali
Codice Arundel, f. 54 r, British Library, Londra
[c. 1508]
Di grande importanza sono gli studi sulla balistica, volti ad
aumentare precisione e gittata delle armi da fuoco. Attraverso l’esperienza dei
getti d’acqua, Leonardo da Vinci intuì l’analogia che lega il moto dei corpi
nei fluidi e, quindi, l’influenza dell’aria sulla traiettoria delle palle di
cannone. Pervenne, così, a disegnare proiettili ogivali d’incredibile modernità
che sfruttano la forma aerodinamica per penetrare con più facilità l’aria; le
alette direzionali delle quali sono corredati stabilizzano il volo.
Difesa delle mura
Codice Atlantico, f. 49 v-b [139 r], Biblioteca
Ambrosiana, Milano [c. 1482-85]
Tra i vari sistemi che Leonardo da Vinci ideò per la difesa di
castelli e fortezze durante gli assedi, appare anche questo ingegnoso sistema
per respingere le scale nemiche. Qualora gli assedianti fossero riusciti ad
appoggiare le scale contro le mura, una trave nascosta, azionata attraverso un
complesso sistema di argani e tiranti, le avrebbe respinte e allontanate,
facendole cadere. È un altro esempio di meccanica applicata che mostra la
conoscenza da parte di Leonardo da Vinci della tradizione tecnologica toscana.
Volano
Codice di Madrid I, f. 114 r, Biblioteca
Nacional, Madrid [c. 1497]
Leonardo da Vinci disegnò due tipi di volano: entrambi con
albero verticale e con la manovella posizionata sulla parte superiore della
struttura, uno è piatto, mentre l’altro ha quattro pesi di metallo collegati
con delle catene.
È un meccanismo ideato per i “moti
aumentativi”, poiché, una volta superati i punti d’inerzia, si ha una
diminuzione dello sforzo.
Bicicletta
Codice Atlantico, f. 133 v, Biblioteca
Ambrosiana,
Questo è uno dei molti misteri che ancora circondano la vita di
Leonardo da Vinci.
Durante la restaurazione del Codice
Atlantico si scoprirono due pagine incollate dove era raffigurata la
bicicletta.
Il tratto del disegno, la mancanza di particolari, la firma dell’allievo
Salaì, fanno pensare che il disegno non appartenga a Leonardo da Vinci, bensì
al suo allievo che potrebbe avere copiato la bicicletta vedendo magari un
modello nello studio del Maestro.
Catene
Codice di Madrid I, f. 10 r, Biblioteca
Nacional, Madrid [c. 1497]
Sono molte e differenti le catene flessibili che Leonardo da Vinci
progetta per la trasmissione del moto. Le forme e il peso attaccato al fondo
delle catene, in alcuni disegni, fanno pensare che fossero state progettate per
i meccanismi degli orologi. Ma l’applicazione più conosciuta appare in uno dei
disegni più famosi di Leonardo da vinci: la bicicletta.
Carro con differenziale
Codice Atlantico, f. 1049 r, Biblioteca
Ambrosiana, Milano
Il disegno mostra il sistema di trasmissione del moto a un
assale di un carro. Una manovella gira la ruota dentata che ingrana il rocchetto
a lanterna facente capo all’assale del carro e ne aumenta la velocità. Il moto
è trasmesso a una sola ruota, permettendo, così, all’altra di muoversi con
diversa velocità, quando il veicolo entra in curva e di evitarne lo
slittamento.
Modernamente la stessa funzione è svolta dal differenziale.
Molla
Codice di Madrid I, f. 85 r, Biblioteca
Nacional, Madrid [c.1497]
La molla è un elemento in grado di accumulare energia meccanica
e Leonardo da Vinci la considerò, da subito, uno dei componenti fondamentali
per la costruzione delle sue macchine, un’importantissima fonte di energia che descrisse
e studiò, in maniera approfondita, nel Codice
di Madrid I. Leonardo da Vinci ricorse all’uso delle molle, soprattutto, per
gli orologi, ma le impiegò, anche, per le macchine più pesanti, come carri
semoventi e forse anche per la vite aerea.
Solido tridimensionale [poliedro]
Codice Atlantico, f. 709 r, Biblioteca
Ambrosiana, Milano
Leonardo da Vinci, da sempre attratto dalla geometria, disegna in
assonometria questo modello formato da tre quadrati che si intersecano.
Modello teatrale per l’Orfeo
Codice Atlantico, f. 50 r, Biblioteca
Ambrosiana, Milano [c.1506-08]
Si tratta di una scenografia mobile che Leonardo da Vinci studiò
per la messa in scena dell’Orfeo di
Poliziano. La data è quella del periodo di attività di Leonardo da Vinci come
architetto e ingegnere al servizio del governatore francese di Milano, Charles
d’Amboise. Artista, regista teatrale e ingegnere meccanico, Leonardo da Vinci
ha, qui, ideato una macchina automatica che può essere azionata a distanza
tramite funi, carrucole e un intelligente uso di contrappesi, che fanno aprire
la montagna e permettono a Plutone, il Dio degli inferi, di apparire all’improvviso
sul palco.
“Lo specchio si
gloria forte tenendo dentro a sé specchiata la Regina e, partita quella, lo
specchio riman vile.”
Leonardo da Vinci
Dedico questo Studio ai miei Nemici, che così tanto mi hanno
aiutato nella mia “carriera”.
Dedico esto Estudio a mis Enemigos, que tanto me han ayudado en mi
“carrera”.
Ich widme diese Studie meinen Feinden, die
für meine “Laufbahn” eine so große Hilfe waren.
I dedicate this Study to my Enemies who have helped me so much in my
“career”.
Je dédie cette Etude à mes Ennemis, parce qu’ils m’ont beaucoup aidé dans
ma “carrière”.
Daniela Zini
Copyright © 22 novembre 2019 ADZ
“Il programma è la storia di una sorprendente scoperta: quella di un
disegno autentico di Leonardo, mai visto prima d’ora, che riemerge dopo 5
secoli da un suo quaderno di appunti. È il ritratto di un uomo rinascimentale,
dagli occhi chiari e i capelli lunghi, con il mento ornato da una leggera barba
e lo sguardo assorto.
Chi è quest’uomo? Al di là
dell’importanza della scoperta di un nuovo disegno originale del grande genio
del Rinascimento, potrebbe addirittura trattarsi di un suo autoritratto in età
più giovanile?
È la domanda che mi sono posto
sin dall’inizio, dopo aver visto riaffiorare questo volto. Il programma è
un’indagine per cercare di rispondere anche a questa domanda.
Ma da dove viene fuori questo
ritratto? Da uno dei più celebri quaderni di Leonardo, il cosiddetto Codice del
volo degli uccelli conservato alla Biblioteca Reale di Torino. Si trova nel
verso del foglio 10 ed è un disegno in “sanguigna”, nascosto sotto la fitta
scrittura.
Tra le righe spunta soltanto un
naso rosso, e il disegno è talmente ricoperto dal testo in inchiostro nero che
da sempre è passato inosservato. Il
foglio è raramente riprodotto e solo per evidenziare quello che vi è scritto
sulla possibilità del volo planato. Ho visto per la prima volta questa
pagina in un fac-simile del Codice pubblicato dall’editore Giunti, in una
preziosa edizione tirata in pochi costosissimi esemplari. Ero a casa del
professor Carlo Pedretti, una delle massime autorità mondiali in studi
leonardeschi e docente da quasi 50 anni all’Università di California a Los
Angeles. Ero andato a trovarlo per preparare una serie di “appuntamenti con
Leonardo” destinati alla nuova edizione di “Ulisse, il piacere della scoperta”.
Appena vidi quel naso rosso
spuntare tra le righe capii subito che sarebbe stato possibile far riemergere
il ritratto. Dissi al professor Pedretti che con ogni probabilità si sarebbero
potute “virare” le scritte nere in bianco, per poi portarle al colore della
carta. Infine ricollegare tra loro le linee mancanti nel disegno. Il professor
Pedretti fu subito convinto di questa operazione. Mi disse anche che lui
stesso, nel 1975, aveva tentato di fare riemergere quell’immagine con un
procedimento foto-meccanico ma a quel tempo la tecnica non era adeguata.
La pagina venne trasferita su
disco e la portai nel laboratorio di grafica della RAI, dove con il grafico
Giovanni Stillitano cominciammo un lungo, paziente e minuzioso lavoro durato
mesi per ritrovare le linee giuste da completare, compiere un restauro molto
accurato, e infine realizzare una serie di elaborazioni delle immagini
ritrovate.
Il programma racconta
dettagliatamente questa storia e mostra soprattutto quanto il personaggio
assomigli a Leonardo.
Infatti, poco dopo il
ritrovamento del volto provai, in modo molto artigianale, con forbici e colla,
a invecchiare il volto ritrovato e inserirlo dentro la chioma e la barba del
celebre autoritratto: mi vennero i brividi ... Assomigliava a Leonardo come un
fratello gemello!
Cominciarono così le elaborazioni
elettroniche per realizzare in modo più preciso questo invecchiamento,
attraverso un morphing graduale. Il risultato, davvero impressionante, è quello
che si può vedere ora nel programma televisivo.
Mi venne a quel punto l’idea di
compiere anche il processo inverso: cioè partire dal celebre autoritratto di
Leonardo e “ringiovanirlo”: se si trattava dello stesso uomo avrei dovuto
trovare anche in questo caso una stretta somiglianza tra il ritratto ritrovato
e il Leonardo ringiovanito. Era la controprova. Anche in questo caso, come
mostrerà il programma televisivo, la somiglianza risultò sorprendente.
Per avere conferma della
correttezza delle nostre tecniche di invecchiamento e ringiovanimento, mostrai
il lavoro svolto a un noto chirurgo estetico, il professor Giuseppe Leopizzi di
Roma, e ai tecnici del laboratorio del RIS di Roma, il reparto di
investigazione scientifica dei carabinieri: la loro risposta fu che il
procedimento adottato era quello giusto.
Al fine di realizzare un
confronto più coerente tra immagini di diversa età, chiesi al professor Giorgio
Iannetti, ordinario alla Sapienza e chirurgo maxillo-facciale al Policlinico
Umberto I, se era giusta la mia impressione che al Leonardo dell’autoritratto
mancassero dei denti anteriori, e la risposta era stata sì.
Ma la risposta più documentata e
significativa è arrivata recentemente dalla relazione tecnica del RIS di Roma,
diretta dal tenente colonnello Luigi Ripani, che, a conclusione di un esame
antropometrico, ha affermato quanto segue: “Le similitudini riscontrate tra le
immagini a confronto consentono di esprimere un giudizio di COMPATIBILITA’,
tale da ritenere ragionevole che le stesse ritraggano il medesimo soggetto”.
Per concludere ecco infine il
parere espresso dal professor Pedretti su questo lavoro e sulla possibilità che
il disegno ritrovato possa essere effettivamente un autoritratto di Leonardo da
Vinci: “Io ne sono perfettamente convinto. Qui abbiamo a che fare con delle
immagini che hanno le carte in regola. Io sono profondamente gratificato dai
risultati di questa operazione; chiederei semplicemente di riflettere, di
consultarmi con gli amici e i colleghi. Io mi sento profeta facile nel predire
che questa sarà una delle acquisizioni più importanti nello studio di Leonardo,
nello studio della sua immagine e anche, direi, nello studio del suo pensiero”.
Rimane un punto da chiarire. A
che epoca risale il ritratto nascosto sotto la scrittura? Il quaderno viene
datato 1505, ma il ritratto è stato ovviamente realizzato prima che Leonardo vi
scrivesse sopra. Quanto tempo prima?
Negli 8 fogli centrali del
quaderno appaiono altri sei piccoli disegni in sanguigna che non hanno
attinenza con il volo degli uccelli, alcuni sono addirittura rovesciati, e
tutti sono ricoperti dalla scrittura. È evidente che si tratta di vecchi fogli
riutilizzati. Quanto vecchi? Difficile dirlo. Ma tra questi disegni ci sono due
foglie di gelsomoro, l’albero su cui si allevano i bachi da seta. La seta era
una ricchezza per Milano e il gelsomoro era uno degli stemmi personali di
Ludovico il Moro. Leonardo visse molti anni a Milano, tra il 1482 e il 1499, e
fu a lungo ospite di Ludovico il Moro [molti anni prima, quindi, nel 1505].
Come ha detto il professor
Pedretti occorre ora un confronto tra studiosi per approfondire meglio i vari
aspetti di questo ritrovamento e cercare di rispondere a certe domande che
rimangono in sospeso.”
Piero Angela, Leonardo il volto
nascosto, cronaca di un’indagine.
La
sera del 17 ottobre 1909, appena tornato dall’America, piuttosto inquieto per
l’esperienza insoddisfacente nel nuovo continente, Sigmund Freud [1856-1939]
scrive a Gustav Jung, allora suo amico e confidente, oltre che
discepolo:
“Da quando sono
tornato ho avuto un’idea. Il mistero del carattere di Leonardo mi è divenuto
improvvisamente trasparente.”,
tanto da annunciare il progetto di utilizzare
la nuova Scienza
per una ricerca biografica.
Poco dopo, il 27 novembre dello stesso anno,
Marcel Duchamp [1887-1968] annota nel suo famoso diario:
“[…] Lucien Métivet […] nel numero di Le Rire della settimana scorsa
ha svelato al suo pubblico i sorprendenti effetti, su certi capolavori, delle
lastre di vetro usate per proteggerli. Un guardiano del Louvre pensa ormai di
essere uscito di senno: ha visto infatti i suoi baffi da tricheco e la sua
barbetta riflessi […] sul celebre volto della Gioconda.”
Apparentemente i due fatti non hanno molto in
comune – il primo porterà alla stesura di Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci,
il secondo suggerirà a Duchamp uno dei suoi readymade,
La Gioconda con i baffi –, ma il
legame con l’opera freudiana è, in realtà, molto forte, Duchamp denuncia,
pesantemente, ciò che Freud cerca invano di spiegare: il fascino conturbante
del famoso sorriso di Monna Lisa affonderebbe
le sue radici nell’androginia del soggetto.
Il primo rischio di
un approccio psicoanalitico deviante consiste nel considerare l’opera d’arte un
semplice documento o banco di prova per la verifica della teoria medica, una
conferma, a esempio, di certe esperienze cliniche.
Analizzando
la Gradiva [1903] di
Wilhelm Jensen, nel 1907, Freud considera i sogni del personaggio e le sue
azioni come se fossero i dati clinici di un individuo vivente.
“I poeti”,
scrive,
“sono alleati
preziosi e la loro testimonianza deve essere presa in attenta considerazione,
giacché essi sanno in genere una quantità di cose tra Cielo e Terra che il
nostro sapere accademico neppure sospetta.”
Più
interessante è il saggio, Un ricordo
d’infanzia di Leonardo da Vinci, pubblicato nel 1910. Sarà, in
seguito, rivisto e corretto nel 1919 e nel 1923. È uno dei più illuminanti
esempi di uso della nuova scienza psicoanalitica per una ricerca biografica.
A
causa della scarsità di notizie sulla vita privata e sulla infanzia del grande
Genio rinascimentale, della incertezza e della frammentarietà del materiale
disponibile, il lavoro non ha l’ambizione di fornire spiegazioni definitive.
Alla fine del saggio Freud non manca, infatti, di ribadire i limiti della
psicoanalisi, che, per quanto possa disporre di dettagliate informazioni e
documenti storici, non potrà mai “farci
comprendere l’inevitabilità del fatto che la persona in questione abbia avuto
una determinata reazione e non un’altra… Dobbiamo ammettere qui un certo grado
di libertà che non si può ulteriormente risolvere con mezzi psicoanalitici”.
È,
anzi, chiaro in lui un prudente riserbo contro i pericoli di indebite
generalizzazioni, che purtroppo non mancarono nelle applicazioni dei suoi
seguaci.
Tuttavia,
malgrado le remore dichiarate ed esplicitate, Freud si lascia appassionare dal
Caso Leonardo da Vinci e lo tratta con un trasporto che difficilmente si
ritroverà in altre parti della sua opera.
Il
punto di partenza per la ricostruzione dell’infanzia del Genio, è una nota
lasciata sul Codice Atlantico [C-61r]
dallo stesso Leonardo da Vinci:
“Questo scriver sì
distintamente del nibbio par che sia mio destino, perché nella prima
ricordazione della mia infanzia e’ mi parea che, essendo io in culla, che un
nibbio venisse a me e mi aprissi la bocca colla sua coda, e molte volte mi
percotessi con tal coda dentro alle labbra.”
Freud,
innanzitutto, rammenta che i ricordi infantili sono, in realtà, fantasie nate
successivamente, quando l’infanzia viene, teoricamente, “ricostruita” e
rivestono importanza fondamentale per fare luce sui lati più controversi della
personalità dell’artista: la sua instabilità creativa, la incompiutezza di
molti dei suoi capolavori e la gentilezza pressoché femminea del suo carattere.
All’episodio
riferito da Leonardo da Vinci fornisce due interpretazioni, riconducendolo sia
a un atto sessuale orale, marcatamente passivo, reminiscenza della memoria
dell’allattamento, sia all’immagine egizia della Dea-Madre Mut, raffigurata
come uccello-avvoltoio.
L’avvoltoio,
considerato nell’Antichità di sola specie femminile, fecondato dalla forza del
vento, era divenuto simbolo, per la Patristica Cristiana, della nascita di
Cristo, concepito da Vergine per opera dello Spirito Santo.
Leonardo
da Vinci, argomenta Freud, era figlio illegittimo del notaio Pietro da Vinci e
della giovane contadina Caterina, quindi, “figlio
di sola madre”, “figlio di avvoltoio”.
I
primi anni dell’infanzia, secondo la ricostruzione di Freud, Leonardo da Vinci
li avrebbe trascorsi, esclusivamente, con la madre. Da fonti storiche si
apprende che poi, all’età di cinque anni, il bimbo andò a vivere con il padre e
con la giovane moglie di lui, Albiera.
Per
Freud, dunque, il nibbio-avvoltoio è la madre, mentre la coda è il pene che il
fanciullo ha pensato come attributo sessuale della madre. La scoperta che la
madre ne fosse priva, e la delusione conseguente, avrebbero prodotto un
desiderio – frustrato – di rintracciare in altre persone la tenerezza che aveva
ispirato i rapporti felici tra lui e la madre durante i primi anni d’infanzia:
“La concentrazione
sull’oggetto che una volta era così fortemente desiderato, il pene della donna,
lascia tracce indelebili sulla vita mentale del bambino che ha perseguito con
particolare accuratezza questa parte delle ricerche sessuali infantili.”
Freud
spiega, poi, quelle notizie circa la vita di Leonardo da Vinci che lo
vedrebbero come “sessualmente non attivo
o omosessuale”, cui lo indirizzarono proprio le prime esclusive tenerezze
materne: l’amore per la madre viene rimosso, ma il figlio prende il posto della
madre e la sua stessa persona diventa il modello dei suoi oggetti d’amore.
Leonardo si circonda di giovani, bellissimi assistenti, noti sicuramente più
per la loro prestanza che per le doti artistiche. Ama i giovinetti come sua
madre ha amato lui: il narcisismo è la base della sua scelta d’oggetto.
Questo
tipo di investimento oggettuale si può riscontrare non solo nella scelta dei
suoi allievi, ma anche nell’atteggiamento nei confronti delle sue opere, che,
spesso, trascura come il padre aveva trascurato lui all’inizio della sua vita.
Il momento della soddisfazione artistica viene differito così come viene
inibita la realizzazione fisica della sessualità, che, quindi, secondo Freud,
sarebbe rimasta inespressa, repressa, sublimata attraverso la curiosità
intellettuale, l’indagine, la sperimentazione.
Freud
crede all’assoluzione ottenuta da Leonardo da Vinci, che, a ventiquattro anni,
a seguito di una denuncia anonima, venne incriminato e processato per sodomia,
proprio sulla base delle testimonianze dei contemporanei, che lo descrivevano
assolutamente lontano da ogni passione che non fosse la brama di conoscenza, e
su quanto dedotto dalla sua analisi psico-biografica. Per Freud, Leonardo da Vinci fu
un esempio di totale rifiuto della sfera sessuale. Freud, nel saggio,
sottolinea come Leonardo da Vinci ritenesse brutale l’atto riproduttivo.
Divenuto maestro, si circondò di bei ragazzi, suoi discepoli, e questo non fece
altro che far aumentare le voci sul suo conto. Il disinteresse verso la vita
sessuale porta Freud a definire quello del maestro come un atto di sublimazione
in cui il desiderio sessuale ed il suo appagamento furono sublimati in una
pulsione di ricerca, una brama di sapere appagata solo dalla scoperta.
Nel
primo capitolo del saggio, Freud definisce Leonardo da Vinci “uno dei più grandi uomini del Rinascimento
italiano”, il tributo
a questo genio
ed eroe personale fu,
quindi, in un certo senso, doveroso nel momento in cui decise di cimentarsi,
nell’ambito della dibattuta relazione tra arte e psicoanalisi, in una
psicobiografia.
I
risultati presentati da Freud si dimostreranno, con il tempo, non del tutto
veritieri. Resta, tuttavia, importante
sottolineare come una psicoanalisi “larvale” abbia provato a espandersi in un
territorio fecondo di interpretazioni psicologiche.
È
noto l’errore di traduzione che costituisce l’abbaglio più clamoroso di Freud.
Le opere su cui si era documentato – il celebre romanzo di Dmitrij Sergeevic
Merezkovskij [1865-1941]
sulla vita di Leonardo, Leonardo,
o la Resurrezione degli Dei
[1901], e un saggio di Nino Smiraglia
Scognamiglio, Ricerche
e documenti sulla giovinezza di Leonardo da Vinci [1900],
nella versione in
tedesco di Maria Herzfeld – traducevano il nibbio della fantasia leonardesca
con la parola tedesca Geier, che
significa avvoltoio, anziché usare Milan. Lo scambio di pennuti, in
realtà, non è così grave, anche il nibbio, in quanto uccello, è,
innegabilmente, un simbolo fallico.
Non cambia la sostanza
dell’interpretazione psicoanalitica della fantasia leonardesca, né è possibile
negare che la simbologia dell’avvoltoio, come affermato da Freud, fosse
conosciuta da Leonardo da Vinci, che, di fatto, la utilizza nel famoso
crittogramma del quadro di Sant’Anna con
la Vergine e il Bambino, che Martin Clayton
[https://www.youtube.com/watch?v=KLwnN2g2Mqg]
ha, esaurientemente, esaminato nel corso del Convegno di Palazzo Loredan,
legato alla Mostra Leonardo & Venezia,
svoltasi a Palazzo Grassi, a
Venezia, dal 23 marzo al 5 luglio 1992.
Il 17 giugno 1910, Jung esprime a
Freud il suo entusiasmo per il saggio:
“Il Leonardo è splendido.
[
... ] Ho subito letto il Leonardo da cima a fondo.
[
... ] È propriamente il primo dei Suoi scritti con le cui direttrici interne io
mi sento a priori in perfetta sintonia.”
Salvo scrivere poi:
“Sarebbe
piacevole per me fermarmi ancora in queste impressioni e abbandonarmi
tranquillamente ai pensieri che vogliono collegarvisi e svilupparsi a catena.”
Sigmund
Freud, Epistolario, Lettere tra Freud e Jung,
1906-1913.
Jung, per primo, a quanto sembra, vide
un avvoltoio profilarsi nel panneggio del dipinto di Sant’Anna con la Vergine e
il Bambino. L’avvoltoio “ha il becco esattamente
nella regione pubica”.
Nel 1913, lo psicoanalista svizzero,
amico e allievo di Freud, il pastore protestante Oskar Pfister [1873-1956], credette si potesse scorgere un
avvoltoio come crittogramma inconscio. Il drappeggio che copre le gambe della Vergine,
di colore blu, disegna quello che sembra essere proprio il contorno di un
avvoltoio, con la testa appoggiata al fianco della Vergine, l’ala che scende
lungo la gamba e la coda che lambisce la bocca del bambino. Nascosto tra le
forme del dipinto, l’avvoltoio-madre continua a compiere l’atto di quella
antica fantasia di Leonardo da Vinci.
Freud ne avalla la legittimità in
un’aggiunta all’edizione del 1919, ma riconosce che “non tutti si sentiranno disposti a riconoscerne la validità”.
“I sacrifici devono essere fatti!”
Karl Wilhelm Otto Lilienthal venne sepolto nel
cimitero di Lankwitz, presso Berlino, e sulla sua tomba è riportata la celebre citazione di Leonardo da Vinci:
“Piglierà il
primo volo il grande uccello, empiendo l’universo di stupore, empiendo di sua
fama tutte le scritture e di gloria eterna el nido dove nacque.”
“L’ acqua percossa dall’acqua fa circuli dintorno al loco percosso. Per
lunga distanzia la voce infra l’aria. Più lunga infra ’l foco. Più la mente
infra l’universo. Ma perché l’è finita non s’astende infra lo ’nfinito».
[Paris, Institut de France, Ms H, f. 67r]
Questo frammento del 1494 circa,
intitolato, significativamente, De anima,
ad alludere alla vitalità del “corpo” della Terra come macrocosmo
naturale, di cui l’acqua costituisce il
fluido essenziale, ricorre alla classica immagine del sasso lanciato nello
stagno – indice insieme di poetico lirismo e di sperimentale acribia –, per
evocare la visione, di struggente bellezza, dei circuli ovvero le concentriche risonanze prodotte dalla mente nella
contemplazione dello spazio incommensurabile dell’Universo, esattamente come le
onde si propagano indefinitamente sulla superficie dell’acqua dal punto
dell’impatto.
Questa suggestiva riflessione sulla
prodigiosa naturalità dei fenomeni osservabili e rappresentabili così
nell’Universo esteriore come nella coscienza interiore, non deve, tuttavia, far
dimenticare la terribilità dello scatenamento incontrollato delle forze
naturali, spesso, affidato proprio all’azione dirompente delle acque e degli
agenti atmosferici. Le “operazioni” della Natura, anche quando distruttive, si
segnalano pur sempre, in Leonardo da Vinci, per il loro carattere “mirabile”,
come mostrano i disegni e le scritture della tarda serie del Diluvio.
Nella sua memorabile “Lettura Vinciana”
sulle “curve della vita” di Leonardo da Vinci, estrinsecazione visiva razionale
– matematicamente e geometricamente perfetta – di principi organici e
generativi propri della Natura, Kenneth Clark fa, infatti, notare come “l’impotenza degli esseri umani di fronte a
terremoti, inondazioni e ad altri fenomeni naturali” debba avere
rappresentato “scoperta ben tragica per
chi aveva considerato la Natura con tanto amore”, al punto da trovare “espressione in una serie di […] visioni di
distruzione in cui le curve della vita diventano le curve della morte”.