“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

mercoledì 27 novembre 2019

Andrew scandal deepens, Meghan ‘sets record straight’ | Nine News Australia

British Royal Scandals & Conspiracies

Biography: Prince Albert Victor Christian Edward

Could Jack The Ripper Have Been A Member Of The Royal Family?

martedì 26 novembre 2019

La 'Sardina' Mattia Santori: "Non conosco Prodi! Libero e La Verità non ...







IL VENDITORE DI GIORNALI CHI E'?
IL GIORNALAIO CHE NELLA SUA EDICOLA VENDE I GIORNALI O L'EDITORE CHE HA A CUORE LA VENDITA DELLE COPIE DEL SUO GIORNALE ED E', AL CONTEMPO, IL DATORE DI LAVORO DEI GIORNALISTI?
PERCHE' DIRE SEMPLICEMENTE IO NON SONO UN VENDITORE DI GIORNALI, SONO UN GIORNALISTA... OFFRE SPUNTI A DIVERSE POSSIBILITA'!
E SORVOLO SUL PASSAGGIO IN CUI DICHIARA CHE A LUI NON INTERESSA IL CASO BIBBIANO!
A LUI, NO, MA AL RESTO DEGLI ITALIANI CHE NON SONO SARDINE E NEPPURE PESCI CHE ABBOCCANO ALL'AMO, SI' E SOTTOLINEO SI'!



domenica 24 novembre 2019

Ilva, audio choc di Vendola. La telefonata integrale con Archinà









PER NON DIMENTICARE!



Katie Melua - If You Were A Sailboat



He is the best sailor who can steer within fewest points of the wind, and exact a motive power out of the greatest obstacles.

sabato 23 novembre 2019

Katie Melua - The Closest Thing to Crazy

venerdì 22 novembre 2019

500 anni fa moriva LEONARDO di Messer Piero da Vinci 6. Il Mondo non era pronto a entrare nel Futuro… di Daniela Zini

500 anni fa moriva
 LEONARDO
di Messer Piero da Vinci
[Anchiano, 15 aprile 1452 – Amboise, 2 maggio 1519]


a un Nobile Amico
 
“La Scienza è il Capitano,
e la pratica sono i soldati.”
Leonardo da Vinci
 
 

 Leonardo da Vinci, Arcangelo Gabriele [1471].
Questa piastrella in terracotta invetriata di forma quadrata [cm. 20 x 20], raffigurante l’Arcangelo Gabriele, sarebbe la più antica opera pittorica di Leonardo da Vinci, realizzata, verosimilmente, all’età di diciannove anni nella fornace del nonno a Bacchereto. Il giovane dai riccioli folti, lo sguardo determinato, l’aureola dorata che ne incornicia il volto, mentre ali di pavone fanno capolino dal basso, potrebbe essere anche il primo autoritratto del Maestro. A sostenere la scoperta sono lo studioso leonardesco Ernesto Solari e la consulente grafologa Ivana Rosa Bonfantino.

  

  Leonardo da Vinci, Arcangelo Gabriele [1471].


Lo studioso leonardesco Ernesto Solari e la consulente grafologa Ivana Rosa Bonfantino.


 
Leonardo da Vinci, Autoritratto.


Noi tutti siamo esiliati
Entro lo cornici di uno strano quadro.
Chi sa questo, viva da grande,
Gli altri sono insetti.
Leonardo da Vinci



Ernesto Solari, artista e studioso esperto di Leonardo da Vinci, attribuisce al Maestro questa terracotta, raffigurante un Gesù fanciullo, che avrebbe avuto come modello Salaì e di cui avrebbe fatto, in più occasioni, una precisa descrizione il pittore Giovanni Paolo Lomazzo, che ne sarebbe venuto in possesso. 

“Muovesi l’amante per la cos’amata come il senso alla sensibile, e con seco s’unisce e fassi una cosa medesima. L’opera è la prima cosa che nasce dall’unione. Se la cosa amata è vile, l’amante si fa vile.”
Leonardo da Vinci

“Alla mia età, ho incontrato tanta gente, ho sofferto e gioito, ma soprattutto ho imparato ad amare l’Amore, e a rifiutare l’odio. L’Amore dona a noi stessi l’eterna gioventù, e ogni domani è importante per incontrare nuova gente e vivere nuove storie importanti.”
Leonardo da Vinci

 
“E se tu sarai solo sarai tutto tuo.”
Leonardo da Vinci

 
“Amor ogni cosa vince.”
Leonardo da Vinci









Leonardo da Vinci, Busto di donna con velo.
Il disegno raffigurante un busto di giovane donna con velo, girata a destra, e realizzato con carbone e/o grafite su carta di cotone, incollata su un cartoncino bianco di mm. 232 x 172, presenta una grande somiglianza espressiva e proporzionale con il disegno della Galleria degli Uffizi,  realizzato con punta d’argento su carta filigranata, preparata in grigio-avorio, di mm. 236 x 155, dal quale si differenzia solo per alcuni piccolissimi particolari. 

Leonardo da Vinci, Busto di donna con velo.


Leonardo da Vinci, Autoritratto.
L’Autoritratto di Leonardo da Vinci è un disegno a sanguigna su carta, databile intorno al 1515 circa e conservato nella Biblioteca Reale di Torino, all’interno dei Musei Reali. Fu acquistato insieme ad altri disegni, sia di Leonardo da Vinci sia di altri famosi artisti italiani e stranieri, nel 1839,  da Carlo Alberto, re di Sardegna, per l’ammontare di 50mila lire, entrando, così, a fare parte delle raccolte della Biblioteca.
  




Lo schizzo che ritrae Leonardo da Vinci, realizzato da un suo assistente o da un suo allievo, poco prima della sua scomparsa, è databile intorno al 1517-18. È stato rivenuto e identificato da Martin Clayton, responsabile delle stampe e dei disegni della Royal Collection nel Castello di Windsor, durante i lavori di ricerca per l’allestimento della Mostra Leonardo da Vinci: a Life in Drawing, che, dal 24 maggio al 13 ottobre, si è tenuta nella Queen’s Gallery di Buckingham Palace. 
   
 

Nascosto tra le righe della pagina 10 del Codice sul volo degli uccelli di Leonardo da Vinci, conservato nella Biblioteca Reale di Torino, si nota un piccolo disegno a sanguigna, che ritrae il volto da giovane del Maestro. La scoperta è avvenuta grazie al lavoro del RIS dei Carabinieri, che, con nuove tecnologie digitali, ha ringiovanito il Leonardo da Vinci dell’Autoritratto autentico, comparandolo con quello nascosto.


“Ho notato che c’era un disegno di Leonardo da Vinci nascosto tra le parole della decima pagina del suo Codice del volo degli uccelli. Ho pensato fosse lui.”,
così, Piero Angela iniziava a raccontare la scoperta al centro dello speciale Il Segreto di Leonardo, in onda il 28 febbraio 2009, alle 21.30, su RAITRE.
“Ero andato a trovare il mio amico, il professor Pedretti, un esperto di Leonardo che insegna all’Università  di California a Los Angeles. Quando mi sono accorto del disegno che stava sotto le parole della pagina del quaderno proposi una specie di restauro per estrapolarlo. Grazie anche ad un lavoro di grafica della RAI è venuto fuori un personaggio rinascimentale.”


Disegno “nascosto” nel Codice sul volo degli uccelli.
In occasione dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci, i Musei Reali di Torino hanno inaugurato, il 16 aprile scorso, la Mostra Leonardo da Vinci.
Disegnare il futuro, che è rimasta aperta fino al 14 luglio scorso e ha rappresentato il fulcro delle iniziative che la città ha dedicato al Genio del Rinascimento.
Questa mostra è un momento importante e un’occasione di valorizzazione delle nostre straordinarie collezioni museali. Il focus è certamente sui tredici disegni di Leonardo acquistati dalla famiglia Savoia nel 1893, un nucleo che molti conoscono e di cui fanno parte capolavori assoluti. Tra le intenzioni di questa mostra c’è anche quella di approfondire la conoscenza di questi disegni, ecco perché l’opera di Leonardo è presentata a dialogo, in un percorso di tappe e temi, con i suoi comprimari.”,
aveva sottolineato Enrica Pagella, direttrice dei Musei Reali, che ha curato la rassegna con Francesco Paolo Di Teodoro e Paola Salvi. Cinquanta sono state le opere che il pubblico ha potuto ammirare oltre all’unicum, il celeberrimo Ritratto di vecchio, ritenuto l’autoritratto di Leonardo da Vinci.
Il percorso ha ruotato intorno al nucleo di disegni autografi di Leonardo da Vinci conservati nella Biblioteca Reale di Torino, tra i quali anche i tredici disegni acquistati dal re Carlo Alberto, nel 1840, e il celebre Codice sul volo degli uccelli, donato, nel 1893, dal collezionista russo Fëdor Vasil’evic Sabasnikov a re Umberto I di Savoia.

Giovanni Antonio Bazzi, detto il Sodoma, Ritratto di Leonardo giovane.
Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, Asciano.

Raffaello Sanzio [1483-1520], particolare della Scuola di Atene: Platone e Aristotele, Stanza della Segnatura in Vaticano.


Raffaello Sanzio [1483-1520], particolare della Scuola di Atene: Platone, Stanza della Segnatura in Vaticano.


Una visuale della Stanza della Segnatura con l’affresco La Scuola di Atene, nel quale sono rappresentati cinquantotto personaggi e alcuni di loro sono ritratti con le sembianze di uomini dell’epoca di Raffaello Sanzio, viventi o morti da poco. Al centro della scena Raffaello dipinse Platone e Aristotele, i due principali pensatori della Filosofia antica. Platone è rappresentato con una lunga barba grigia e un abito di un rosso sgargiante, con le sembianze di Leonardo da Vinci, contemporaneo di Raffaello Sanzio. Platone regge il Timeo, uno dei dialoghi che scrisse per far conoscere la sua dottrina, e punta un dito verso l’alto, a indicare che la sua Filosofia si basa sulle idee trascendenti che risiedono, appunto, nella sfera celeste. Al suo fianco si trova Aristotele, vestito di blu, che si pensa sia stato rappresentato con le sembianze di Bastiano da Sangallo, architetto collaboratore di Raffaello. Aristotele regge l’Etica Nicomachea, uno dei suoi trattati filosofici, e distende il braccio destro indicando una dimensione filosofica più umana e terrena, in linea con il suo pensiero.


Raffaello Sanzio, particolare del Cartone della Scuola di Atene: Platone e Aristotele, custodito nella Biblioteca Ambrosiana di Torino, dal 1610. 
 
Raffaello Sanzio, Scuola di Atene, il Cartone intero della Scuola di Atene, custodito nella  Biblioteca Ambrosiana di Torino, dal 1610.



PUBLIO ELIO TRAIANO ADRIANO
UOMINI DI STORIA STORIA DI UOMINI
1950 anni fa nasceva Adriano l’Imperatore della Pax Romana
di Daniela Zini

AKHENATON
UOMINI DI STORIA STORIA DI UOMINI
Amenofi IV l’Apostata
di Daniela Zini

JULIAN PAUL ASSANGE
Se WikiLeaks?...
di Daniela Zini

MIKHAIL VASILYEVIC BEKETOV
Veni, Vidi, Vi[n]ci
I. Giornalista, cronaca di una morte annunciata
di Daniela Zini

ZINE EL-ABIDINE BEN ALI
Ben Ali in fuga dalla Craxi Avenue
di Daniela Zini

PAOLO BORSELLINO
SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
6. Mafia: “Un muoittu sulu ‘un baista, ni siebbono chiossai!”
a. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino furono sacrificati alla Ragione di Stato?
di Daniela Zini

ANGELO BRUNETTI
UOMINI DI STORIA STORIA DI UOMINI
114 anni fa nasceva Ciceruacchio
di Daniela Zini

ANTONINO CAPONNETTO
Memento Memoriae di Antonino Caponnetto
di Daniela Zini
ANTON PAVLOVIC CECHOV
UNA VIAGGIATRICE EUROPEA ALL’ALBA DI UN NUOVO MILLENNIO SULLE STRADE CHE VIDERO GENGIS KHAN E MARCO POLO
Sakhalin: l’Inferno dei reclusi a vita
di Daniela Zini

BLAISE CENDRARS
Blaise Cendrars il soldato vagabondo che inventò la Poesia Moderna
di Daniela Zini

CONFUCIO  
Confucio e l’antica cultura
di Daniela Zini

DONATIEN-ALPHONSE-FRANCOIS DE SADE
UOMINI DI STORIA STORIA DI UOMINI
Il Divino Marchese
di Daniela Zini

DARIO I IL GRANDE
La gloria di Re Dario tramonta a Maratona
di Daniela Zini

CECCO D’ASCOLI
UOMINI DI STORIA STORIA DI UOMINI
Cecco d’Ascoli astrologo senza paura
di Daniela Zini

DWIGHT DAVID EISENHOWER
50 anni fa il monito di Eisenhower
di Daniela Zini

GIOVANNI FALCONE
Omaggio a Giovanni Falcone
di Daniela Zini

Memento Memoriae
Giovanni Falcone ce l’ha insegnato, la Mafia è un reato!
di Daniela Zini

SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
6. Mafia: “Un muoittu sulu ‘un baista, ni siebbono chiossai!”
a. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino furono sacrificati alla Ragione di Stato?
di Daniela Zini

MOHANDAS KARAMCHARD GANDHI
La non-violenza sconfiggerà la violenza
di Daniela Zini

La non-violenza sconfiggerà la violenza?
di Daniela Zini

GESU’
Gesù e le donne
di Daniela Zini
Gesù e i fanciulli
di Daniela Zini

… e abitò tra noi!
di Daniela Zini

FLAVIO CLAUDIO GIULIANO
Giuliano il restauratore del Paganesimo
di Daniela Zini

JOHN MAYNARD KEYNES
Keynes, profeta del New Deal
di Daniela Zini

MARTIN LUTHER KING
I have a dream…
di Daniela Zini
125 anni fa nasceva El Aurens
di Daniela Zini

LEONARDO DA VINCI
1. Perché Leonardo?
di Daniela Zini

2. Monna Lisa
di Daniela Zini

3. Leonardo e le donne
di Daniela Zini

4. Il Codice Atlantico
di Daniela Zini

5. Il Cenacolo
di Daniela Zini

MALCOLM
UOMINI DI STORIA STORIA DI UOMINI
Malcolm X
di Daniela Zini

NELSON ROLIHLAHLA MANDELA
Nelson Mandela una candela nel vento
di Daniela Zini

BRADLEY EDWARD MANNING
Eroi o traditori?
I. Il processo di Bradley Manning minaccia il giornalismo di inchiesta
di Daniela Zini

TOMAS GARRIGUE MASARYK
Dopo 60 anni ancora un enigma la fine di Masaryk
di Daniela Zini
JAFAR PANAHI
Omaggio a Panahi
di Daniela Zini

JORGE RAFAEL VIDELA REDONDO
UNA VIAGGIATRICE EUROPEA ALL’ALBA DI UN NUOVO MILLENNIO SULLA ROTTA DI CRISTOFORO COLOMBO
Argentina I. La Tripla A: un nome che semina morte
di Daniela Zini

LEV NICOLAEVIC TOLSTOJ
UOMINI DI STORIA STORIA DI UOMINI
105 anni fa moriva Lev Nicolaevic Tolstoj
di Daniela Zini



“I moti del Vinci sono della nobiltà dell’animo, della facilità, della chiarezza d’imaginare, della natura di sapere, pensare et fare, del maturo consiglio, congiunto con la beltà delle faccie, della giustitia, della ragione, del giuditio, del separamento delle cose ingiuste dalle rette, dell’altezza della luce, della bassezza delle tenebre, dell’ignoranza, della gloria profonda della verità, et della carità regina di tutte le virtù. Così Leonardo parea che d’ogni hora tremasse, quando si ponea a dipingere, e però non diede mai fine ad alcuna cosa cominciata, considerando quanto fosse la grandezza dell’arte, talché egli scorgeva errori in quelle cose, che agli altri pareano miracoli. Leonardo nel dar il lume mostra che habbi temuto sempre di non darlo troppo chiaro, per riservarlo a miglior loco et ha cercato di far molto intenso lo scuro, per ritrovarli suoi estremi.
Onde con tal arte ha conseguito nelle faccie e corpi, che ha fatti veramente mirabili, tutto quello che può far la natura. Et in questa parte è stato superiore a tutti, tal che in una parola possiam dire che ‘l lume di Leonardo sia divino.”
Giovanni Paolo Lomazzo [1538-1592]


Luigi Pampaloni [1791-1847], Statua di Leonardo da Vinci.
Loggiato degli Uffizi, Firenze.


Perché Leonardo da Vinci?
Perché, oggi, Leonardo da Vinci è tra noi con una vitalità che poche figure della Storia, dell’Arte, della Scienza – anche di epoche ben più recenti – possono vantare.
Di Leonardo da Vinci, certamente uno dei più inquieti Geni dell’Umanità, non si può considerare un aspetto se non intimamente connesso con gli altri.
Possiamo parlare delle opere d’arte sulle quali, esclusivamente, la sua fama si è sostenuta, per circa tre secoli, o considerare la sua artigiana genialità, che, mossa da una sfrenata curiosità, da una sconfinata sete di conoscenza, quantunque “omo senza lettere”, lo portò alle più geniali anticipazioni e intuizioni di scoperte e verità. Possiamo valutare, ancora, la fermezza d’animo dell’individuo, che, chiaramente controcorrente, per amore di vera Scienza si spinse avanti nelle sue intenzioni, attitudini, pensieri e azioni, senza troppo preoccuparsi del discredito tra i suoi contemporanei, che, quando non lo accusavano di profanazione e, perfino, di negromanzia, ne lamentavano che poco si dedicasse all’Arte in cui appariva eccelso e che, invece, troppo amasse “i capricci del filosofar delle cose naturali”. 
È questo “filosofar” la chiave per penetrare, anche, gli altri molteplici aspetti di un geniale eclettismo?
Se per Filosofia si intende una concezione organica del reale, una ricerca sistematica della verità, la coscienza speculativa di Leonardo da Vinci ha, certamente, raggiunto l’ambita verità non tanto con il potere riflessivo della mente, quanto con l’oggettivo proiettarsi della mente nella Natura, con il ritrovare nella esperienza le ragioni della Scienza e la via per attuare il dominio dell’Uomo su questa Natura. Temi universali, senza confini di Spazio o di Tempo. E da qui viene l’attualità di un messaggio che è rivolto al Futuro dell’Uomo; da qui viene la profondità di una interpretazione che offre cerchi, sempre, più ampi di ispirazione e di stimolo alle persone, anche dopo cinque secoli dalla morte del Maestro.



Domenica 24 ottobre 1971, sul Programma Nazionale, alle ore 21.00, andava in onda la prima delle cinque puntate dello sceneggiato La vita di Leonardo da Vinci, soggetto, sceneggiatura e regia di Renato Castellani, con Philippe Leroy [Leonardo da Vinci], Giulio Bosetti [il narratore], Bruno Cirino [Michelangelo], Giampiero Albertini [Ludovico il Moro], Bianca Toccafondi [Isabella d’Este], Glauco Onorato [ser Piero da Vinci], Marta Fischer [Isabella d’Aragona], Renzo Rossi [Sandro Botticelli], Carlos de Carvalho [zio Francesco], Bruno Cirino [Michelangelo], Carlo Simoni [Francesco Melzi], Filippo Scelzo [nonno Antonio], Sara Franchetti [Cecilia Gallerani], Marco Bonetti [Marco D’Oggiono], Ann Odessa [Catherine], Mario Molli [Andrea Verrocchio], Riad Gholmie [Francesco I di Francia], James Werner [Lorenzo di Credi], Maria Marchi [Mathurine], Ottavia Piccolo [Beatrice d’Este], Marco Mazzoni  [Leonardo a 5 anni], Renato Cestiè [Leonardo a 6 anni], Alberto Fiorini [Leonardo a 13 anni], Wanda Vismara [Margherita], Maria Tedeschi [nonna di Leonardo], Enrico Ostermann [Niccolò Machiavelli], Christian de Tillière [Luigi XII], Federico Pietrabruna [Cesare Borgia], Franco Leo [Girolamo Savonarola], Alberto Sorrentino [frate].
Si tratta di un romanzo-documentario, infatti, Giulio Bosetti si muove tra le varie scene in abiti moderni, come un presentatore sul posto, e illustra l’intera vita del celebre artista del Rinascimento partendo dall’infanzia. Il tutto ricostruito in base alle testimonianze, ai documenti e ai suoi scritti. È realizzato a colori, nonostante la RAI, all’epoca, non abbia, ancora, adottato tale tecnica e le trasmissioni a colori, in Italia, partiranno, ufficialmente, solo nel 1977.

In quel crogiolo di menti eccelse che il Rinascimento è stato per il mondo dell’Arte e della Cultura, la figura di Leonardo da Vinci campeggia  dall’alto del suo incommensurabile bagaglio del sapere. È lui il Genio Universale, nell’accezione sublime del termine, il poliedrico cervello cui nulla sfugge, tutto compreso del mosaico di conoscenze che persegue, con una profondità metodica, solo apparentemente scomposta.
Nella sua eccezionale lungimiranza, Leonardo da Vinci si rivela un portentoso innovatore, l’Uomo che “riprende tutto da capo”, per penetrare il mistero dell’Universo Umano nei suoi più reconditi aspetti, anticipando a tal punto i tempi da non essere compreso a pieno dai suoi contemporanei.
Non vi è materia che non abbia sviscerato, elaborando nuove e originali teorie che sono state alla base del moderno progresso scientifico.
I suoi progetti architettonici si sono rivelati di una sorprendente attualità, perfino, in questo secolo, che brucia gli ingegni, sull’altare del continuo rinnovamento.
Un Genio della sua levatura è, davvero, una plurisecolare rarità dalle origini misteriose, che si manifesta al genere umano con una frequenza tristemente rarefatta. Una simile virtù, condensata in somma misura, non segue, purtroppo, le leggi cromosomiche della successione ereditaria.
Il dopo Leonardo da Vinci si configura come una coltre nebbiosa, dietro la quale vi è solo un vuoto sconfortante, un buio quantificabile in anni luce di eclissi intellettuale.
In un film dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani del 1967, I sovversivi, appariva il personaggio di un regista cinematografico alle prese con la biografia di Leonardo da Vinci. Al cineasta Ludovico interessava, soprattutto, l’ultimo periodo della vita del Genio, nel quale si compiaceva di rispecchiare, con effetto piuttosto grottesco, la propria crisi personale. E il film nel film mostrava, così, un Leonardo da Vinci morente, in fuga dalle corti che l’avevano ospitato, animato da una smania tolstoiana di aria e di libertà. A breve distanza da I sovversivi, un regista vero si trovava nell’imbarazzante situazione dell’immaginario Ludovico, quella di confessarsi, raccontando la vita di Leonardo da Vinci.
Nel 1971, Renato Castellani, ligure, cinquantasette anni, laureato in architettura, autore di films famosi, Sotto il sole di Roma e Due soldi di speranza, realizzava, infatti, per la RAI un Leonardo da Vinci in cinque puntate, dopo avere impiegato due anni a scrivere la sceneggiatura, con la consulenza di Cesare Brandi. 
Vi sono figure della Storia di cui è agevole ricostruire, sulle cronache e sui documenti, l’itinerario biografico e psicologico e  altre, che viste da vicino, si rivelano ambigue e misteriose.
Tra queste ultime è Leonardo da Vinci.

Primogenito di una famiglia di contadini liguri emigrati in Argentina, il regista Renato Castellani era nato a Varigotti, una frazione di Finale Ligure, dove sua madre si era recata per partorire, il 4 settembre 1913. Dopo avere trascorso l’infanzia in terra argentina, il dodicenne Castellani tornò in Liguria per frequentare il liceo a Genova e, successivamente, il Politecnico di Milano, dove si laureò in Architettura. Agli inizi degli Anni Trenta, Castellani si stabilì a Roma, dove iniziò a collaborare con alcune riviste cinematografiche come recensore, per poi, dal 1936, divenire un consulente di registi del calibro di Mario Camerini, Alessandro Blasetti, Mario Soldati e Augusto Genina, allora impegnati in films del filone telefoni bianchi o di guerra. Nel 1941, iniziò a lavorare sul suo primo film come regista, Un colpo di pistola, liberamente tratto da un racconto di Aleksandr Sergeevic Puskin, incentrato su un drammatico triangolo amoroso nella Russia dello zar, con Fosco Giachetti e Assia Noris. Gli ultimi anni videro il regista lavorare per la televisione e, in particolare per la RAI, con miniserie quali La vita di Leonardo] del 1971 e Verdi del 1982, che sarà l’ultimo lavoro di Castellani prima della morte avvenuta, a Roma, il 28 dicembre 1985, lasciando incompiuto il progetto di una versione fantascientifica de L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson, portata, poi, a termine, due anni dopo, dal suo amico e collega Antonio Margheriti.

La sua biografia si fonda su scarsi elementi, appare laconica e misteriosa, infarcita di leggende e di inesattezze.
Giorgio Vasari, nelle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori et architettori fa morire l’artista “in braccio” a Francesco I e “nell’età sua d’anni settantacinque”.
“Mentre Leonardo”,
affermava Castellani,
“morì a sessantasette anni d’età e il giorno della sua morte Francesco I si trovava a Saint-Germain.”



 
La lettera di Leonardo da Vinci a Ludovico Il Moro.

Nell’enumerare le difficoltà incontrate il regista riferiva:
“Di Leonardo non possediamo lettere. L’unica che ci è pervenuta quasi per intero è la famosa epistola a Ludovico il Moro ed è una lettera, diciamo così, di affari. Anche della sua opera non conosciamo molto: poco più di una decina di quadri sono sopravvissuti al loro tempo e di questi, almeno quattro, sono d’incerta attribuzione.”
E non solo.
Del famoso cavallo per il monumento a Francesco Sforza, scultura alta sette metri, non esistono più che alcuni disegni; della grande Battaglia di Anghiari è rimasta solo una una sanguigna di Pieter Paul Rubens e una piccola copia; i ricchissimi Codici furono smembrati e dispersi.
Definito “mirabile e celeste” da Giorgio Vasari, Leonardo da Vinci “era tanto piacevole nella conversazione che tirava a sé gli animi delle genti”, eppure nelle memorie dei contemporanei è nominato ben poco.
E Leonardo stesso parla pochissimo di sé, appena qualche frase sintomatica, come quella famosa:
“E se tu sarai solo sarai tutto tuo.”,
da cui bisogna ricostruirne il carattere con la bravura dell’archeologo, che da un residuo frammento riesce a immaginare l’opera intera.

 Bottega di Leonardo da Vinci, L’Angelo incarnato [1515 circa].
Museo del Louvre, Parigi.

Così fece Sigmund Freud[2], nel 1910, pubblicando il saggio, Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci  [http://www.nilalienum.it/Sezioni/Freud/Opere/Leonardo%20ric.html], che fu accolto da proteste indignate. Parve, infatti, che il fondatore della psicanalisi avesse valicato i limiti dell’osservazione scientifica, analizzando un sogno infantile riferito dall’artista: l’incubo di un nibbio che si avventava sul suo letto e con la coda gli percuoteva la bocca.

Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci.



“Questo scriver sì distintamente del nibbio par che sia mio destino perché nella prima ricordazione della mia infanzia e’ mi parea che, essendo io in culla, che un nibbio venisse a me e mi aprissi la bocca colla sua coda e molte volte mi percotessi con tal coda dentro alle labbra.”

  Leonardo da Vinci, Studio per il drappeggio per Sant’Anna [1517-1518].
Museo del Louvre, Parigi.

 

Leonardo da Vinci, Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino. Museo del Louvre, Parigi.
 
Leonardo da Vinci, Il Cartone di Sant’Anna, la Vergine, il Bambino e San Giovannino è un disegno a gessetto nero, biacca e sfumino su carta [cm. 141,5 x 104,6] databile intorno al 1501-1505 e conservato nella National Gallery di Londra.

Da questa immagine notturna Sigmund Freud risaliva alla malcerta condizione del sognatore come “figliuolo non legittimo” del notaio ser Piero da Vinci, coccolato dalla madre Caterina e troppo presto strappato a lei.
Per tutta la vita, Leonardo da Vinci sublimò in un ideale di bellezza androgino, che si evidenzia negli ambigui sorrisi dei suoi ritratti, la carenza dell’affetto paterno e l’eccesso di quello materno; il suo stesso eclettismo ossessivo si spiegherebbe, secondo Freud, con i dati della sessualità infantile.  

“Se un tentativo biografico intende realmente spingersi a fondo nella comprensione della vita psichica del proprio eroe, non può passar sotto silenzio, come succede per discrezione o falso pudore nella maggior parte delle biografie, l’attività e le caratteristiche sessuali specifiche del soggetto. Ciò che sappiamo di Leonardo a questo proposito è poco, ma questo poco è significativo. In un periodo che vedeva in lotta tra loro una sensualità sfrenata e una cupa ascesi, Leonardo fu un esempio di freddo rifiuto della sessualità, quale non ci si aspetterebbe in un artista e in un interprete della bellezza femminile. Solmi cita di lui la seguente espressione, che ne caratterizza la frigidità: “L’atto del coito e le membra a quello adoprate son di tanta bruttura che, se non fusse la bellezza de’ volti e li ornamenti delli opranti e la sfrenata disposizione, la natura perderebbe la spezie umana.” Gli scritti postumi, i quali non trattano unicamente dei più alti problemi scientifici ma contengono anche contributi di poco conto che anzi sembrano indegni di uno spirito cosi grande [una storia naturale allegorica, favole di animali, facezie, profezie], sono di un tale grado di castità – si sarebbe tentati di definirli astinenti – che desterebbe anche oggi meraviglia in un’opera letteraria. Essi evitano risolutamente qualsiasi accenno alla sessualità, come se Eros soltanto, che conserva ogni cosa vivente, non fosse argomento degno della brama di sapere del ricercatore. [Forse le “facezie belle” [ossia: facezie per soli uomini] da lui raccolte, che non sono state tradotte, costituiscono un’eccezione, del resto senza importanza]. È ben noto quanto spesso i grandi artisti si compiacciano di sfogare le loro fantasie in raffigurazioni erotiche e addirittura grossolanamente oscene; di Leonardo per contro possediamo soltanto alcuni disegni anatomici che si riferiscono ai genitali interni della donna, alla posizione del bambino nel corpo materno, e cosi via. È incerto se Leonardo abbia mai stretto una donna in amplesso amoroso; né si sa se abbia avuto mai una profonda relazione spirituale, come quella di Michelangelo con Vittoria Colonna. Quando ancora viveva come apprendista in casa del suo Maestro, il Verrocchio, fu accusato con altri giovani di pratiche omosessuali illecite, ma l’accusa si concluse con la sua assoluzione. Pare che incorresse in tale sospetto perché si serviva come modello di un ragazzo di cattiva fama. [A quest’incidente si riferisce secondo Scognamiglio un punto oscuro, e persino variamente letto, del Codice Atlantico: “Quando io feci Domeneddio putto, voi mi metteste in prigione; ora s’io lo fo grande, voi mi farete peggio.”]. Divenuto Maestro, si circondò di bei ragazzi e giovanetti, che accoglieva come discepoli. L’ultimo di questi, Francesco Melzi, lo accompagnò in Francia, rimase con lui sino alla sua morte e fu da lui nominato suo erede. Senza condividere la sicurezza dei suoi moderni biografi, che naturalmente respingono la possibilità di un rapporto sessuale tra lui e i suoi allievi come un oltraggio infondato al grand’uomo, si può ritenere molto più probabile che i rapporti affettuosi tra Leonardo e quei giovani – che secondo la consuetudine del tempo condividevano la vita del Maestro – non sfociassero in una attività sessuale. Inoltre non deve essergli attribuito un alto grado di attività sessuale.
La singolarità di questa vita sentimentale e sessuale si può comprendere, in connessione con la duplice natura di Leonardo, artista e ricercatore, soltanto in un modo. Tra i biografi, che spesso sono restii a adottare punti di vista psicologici, soltanto uno, Edmondo Solmi, si è accostato per quel che so alla soluzione dell’enigma; per contro uno scrittore, Dmitrij Sergeevic Merezkovskij – che ha scelto Leonardo come protagonista di un grande romanzo storico – ha fondato il suo ritratto su una interpretazione analoga di quell’uomo eccezionale, esprimendo chiaramente la sua concezione, se pur non in parole piane ma, alla maniera dei poeti, in termini plastici. Il giudizio di Solmi su Leonardo è il seguente: “Ma la sete inestinguibile di conoscere il mondo circostante e trovare col freddo esame il segreto della perfezione aveva condannata l’opera di Leonardo a rimanere imperfetta.” In un saggio delle “Conferenze fiorentine” viene citata un’espressione di Leonardo che costituisce la sua professione di fede e fornisce la chiave della sua natura:
...nessuna cosa si può amare né odiare, se prima non si ha cognition di quella.
E questo egli ripete in un punto del Trattato della Pittura, in cui sembra volersi difendere dal rimprovero di irreligiosità:
Ma tacciano tali riprensori, che questo è il modo di conoscere l’operatore di tante mirabili cose e questo è il modo di amare un tanto inventore, perché invero il grande amore nasce dalla gran cognizione della cosa che si ama, e se tu non la conoscessi, poco o nulla la potrai amare.
Il valore di queste frasi di Leonardo non va cercato nella comunicazione di un’importante verità psicologica, poiché ciò che esse affermano è palesemente falso e Leonardo lo sapeva certo altrettanto bene quanto noi. Non è vero che gli uomini aspettino di amare o di odiare finché non abbiano studiato e conosciuto nella sua essenza ciò che forma l’oggetto di questi affetti; piuttosto essi amano impulsivamente, secondo motivi sentimentali che nulla hanno a che fare con la conoscenza e il cui effetto è se mai fiaccato dalla ponderazione e dalla riflessione. Leonardo poteva dunque voler dire soltanto che l’amore praticato dagli uomini non è l’amore vero, ineccepibile; che si dovrebbe amare in modo da trattenere l’affetto, da sottometterlo al travaglio del pensiero e da lasciarlo libero solo dopo che avesse superato l’esame della riflessione. E allo stesso tempo noi comprendiamo che egli vuol farci intendere che in lui è cosi: sarebbe desiderabile che tutti gli altri trattassero l’amore e l’odio nello stesso suo modo.
E in lui sembra realmente che le cose stessero così. I suoi affetti erano controllati, sottomessi alla pulsione di ricerca; egli non amava né odiava, ma si chiedeva donde venisse ciò che doveva amare o odiare, e che cosa significasse, e così doveva apparire a prima vista indifferente verso il bene e il male, verso il bello e il brutto. Durante questo sforzo di ricerca, amore e odio perdevano i loro connotati e si trasformavano regolarmente in interesse intellettuale. In realtà Leonardo non era privo di passione, non gli mancava la scintilla divina che direttamente o indirettamente è la forza motrice – “il primo motore” – di ogni fare umano. Egli aveva semplicemente convertito la passione in sete di sapere; si dedicava alla ricerca con quella continuità, perseveranza e profondità che derivano dalla passione, e al culmine dell’attività intellettuale, raggiunta la conoscenza, lasciava prorompere l’affetto lungamente trattenuto, come un corso d’acqua deviato è lasciato scorrere liberamente dopo che ha compiuto il suo lavoro. Al culmine di una scoperta, quando il suo sguardo è in grado di abbracciare un vasto settore di quel tutto di cui è parte, egli è afferrato dal pathos e celebra con parole esaltate la magnificenza di quel frammento di creazione che ha indagato oppure – in termini religiosi – la grandezza del suo Creatore. Solmi ha esattamente compreso questo processo di trasmutazione che si verifica in Leonardo. Dopo aver citato uno di quei punti in cui Leonardo celebra la sublime costrizione cui la natura soggiace [“O mirabile Necessità...”], egli scrive: “Tale trasfigurazione della scienza della natura in emozione, quasi direi, religiosa, è uno dei tratti caratteristici de’ manoscritti vinciani, e si trova cento e cento volte espressa...”
Sigmund Freud, Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci



Per evitare i rischi delle biografie romanzate, Castellani aveva scelto la mediazione di un personaggio didascalico, interpretato dall’attore Giulio Bosetti, vestito, in modo inappuntabile, in completo grigio e cravatta, per introdurre, commentare e integrare lo sceneggiato, creando una curiosa commistione di epoche.
Quanto all’interprete di Leonardo da Vinci, la ricerca era stata lunga, aveva contemplato molti grandi nomi del cinema, dall’attore svedese Max von Sidow all’attore francese Laurent Terzieff.


Sempre insoddisfatto, il regista ripeteva ai suoi collaboratori:
“Leonardo era uno che piegava con le mani un ferro di cavallo e che poi, con quelle stesse mani, ha dipinto la Gioconda.”
Dopo molti provini era stato scelto l’attore francese Philippe Leroy, quaranta anni, nobile dei conti Leroy-Beaulieu, ex-parà in Indocina, ex-giocatore di rugby, interprete di cinquanta films dal giorno del 1960, in cui il regista Jacques Becker lo “intrappolò” tra i carcerati de Il buco.
Non era mancino come Leonardo da Vinci, ma aveva promesso che si sarebbe esercitato, puntigliosamente, tutti i giorni, a scrivere e a disegnare con la mano sinistra.  
E, il 24 ottobre 1971, la RAI mandava in onda la prima delle cinque puntate dello sceneggiato La vita di Leonardo da Vinci per la regia di Renato Castellani [dal 24 ottobre al 21 novembre 1971].
Fu girato a colori, nonostante le trasmissioni di allora fossero ancora in bianco e nero ed ebbe un cast di grandi volti del cinema, del teatro e della televisione: da Giampiero Albertini a Ottavia Piccolo, da Bianca Toccafondi a Glauco Onorato, da Bruno Cirino al piccolo Renato Cestiè.
Era un’opera ambiziosa, che aveva richiesto circa sei mesi di lavorazione e l’impiego di oltre un centinaio di attori e cinquecento comparse ed era stata girata nelle diverse città italiane, che il Sommo Leonardo da Vinci aveva toccato, nel corso della sua vita, Roma, Firenze, Milano e Venezia, solo per citarne alcune. Un’opera che si discostava molto dalle produzioni televisive girate fino ad allora.
Lo sceneggiato si apriva con le ultime ore di vita di Leonardo.
È il 2 maggio del 1519.
Il sessantasettenne Leonardo da Vinci è, dall’autunno del 1516, ospite del suo più grande estimatore, il re di Francia Francesco I, nel Castello di Clos Lucé. Leonardo da Vinci è nel suo letto, indebolito da una probabile trombosi cerebrale, che gli ha tolto, parzialmente, l’uso della mano destra e sta per ricevere la visita del re in persona, preoccupato per le sue condizioni di salute. Tenta di sollevarsi dal letto, ma il sovrano lo esorta a non sforzarsi:
“Come state, mon ami?”
chiede Francesco I a Leonardo da Vinci.
“Pensavo a quante cose non fatte, studiate, incominciate…”
“Quante cose che avete fatto, invece…”
risponde il Re. 
“Non ho offeso Dio e gli uomini, perché il mio lavoro non ha raggiunto la qualità che avrebbe dovuto avere.”
Leonardo da Vinci, 2 maggio 1519


Era un Uomo affascinante, racconta Giulio Bosetti, citando Giorgio Vasari:

“Grandissimi doni si veggono piovere dagli influssi celesti ne’ corpi umani molte volte naturalmente, e sopra naturali, talvolta, strabocchevolmente accozzarsi in un corpo solo bellezza, grazia e virtù, in una maniera, che dovunque si volge quel tale, ciascuna sua azzione è tanto divina, che lasciandosi dietro tutti gl’altri uomini, manifestamente si fa conoscere per cosa [come ella è] largita da Dio e non acquistata per arte umana. Questo lo videro gli uomini in Lionardo da Vinci, nel quale oltra la bellezza del corpo, non lodata mai a bastanza, era la grazia più che infinita in qualunque sua azzione; e tanta e sì fatta poi la virtù, che dovunque l’animo volse nelle cose difficili, con facilità le rendeva assolute. La forza in lui fu molta e congiunta con la destrezza, l’animo e ‘l valore, sempre regio e magnanimo.”



6. Il Mondo non era pronto
a entrare nel Futuro…
 


Leonardo da Vinci, Autoritratto Lucano di Leonardo [cm. 60 x 44].
Il presunto autoritratto di Leonardo da Vinci, realizzato tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI secolo, è stato scoperto, nella collezione privata della famiglia Ruffo di Baranello a Salerno, nel dicembre del 2008, dal professor Nicola Barbatelli.
La tavola, presentata al pubblico nei primi mesi del 2009, in occasione dell’inaugurazione della Mostra I ritratti di Leonardo nelle sale del Palazzo del Campidoglio a Roma, fu, immediatamente, affidata ai laboratori delle Università napoletane Suor Orsola Benincasa e Federico II, per l’individuazione della datazione, la caratterizzazione dei pigmenti e il riconoscimento della specie arborea.
Lo studio sul supporto ligneo e sul pigmento pittorico è stato eseguito dal Centro Regionale di Competenza per lo Sviluppo e il Trasferimento dell’Innovazione applicata ai Beni Culturali e Ambientali [INNOVA].
L’aspetto più interessante dell’autoritratto riguarda, indubbiamente, le caratteristiche fisiche del volto di Leonardo da Vinci, che appaiono molto diverse dalle aspettative e da quelle già evidenziate dal famoso ritratto di un anziano, custodito nella Biblioteca Reale di Torino.
Per i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci, da novembre di questo anno ad aprile del 2020, il Mastio della Cittadella ospiterà Leonardo da Vinci – The Genius, una mostra interattiva incentrata sul lavoro del genio rinascimentale e, in particolare, sull’autoritratto originale conosciuto come Tavola lucana.







Leonardo da Vinci, Autoritratto Lucano di Leonardo [cm. 60 x 44].

Leonardo da Vinci, Autoritratto Lucano di Leonardo [cm. 60 x 44].



Il nome di Leonardo da Vinci, in campo scientifico, si associa a pochissime realizzazioni materiali.
Nessuna invenzione rivoluzionaria, nessuna opera di portata tale da cambiare il mondo e neppure nessun libro, inteso come trattato compiuto definitivo su uno specifico argomento, a dispetto delle circa ottomila pagine che ci ha lasciato, eppure, Leonardo da Vinci è riuscito, egualmente, a cambiare il mondo, anche se, sul momento, nessuno sembrò accorgersene.
Sembra un paradosso, ma è così!
 


Leonardo da Vinci, Leone meccanico.
 

L’opera del suo ingegno che gli rese i maggiori onori in vita fu un leone meccanico – purtroppo andato perduto – in grado di muoversi e camminare da solo.
Ben poca cosa, rispetto a tutto ciò che la sua mente produsse!
Che cosa ha inventato, dunque, Leonardo da Vinci?
Nulla.
E tutto.
Ha inventato, sì, un’infinità di cose, dal carro armato al girarrosto ad aria, ma non ci ha regalato l’invenzione, la scoperta codificata.
E, tuttavia, è andato vicino a molte di esse.
Ha, di fatto, intuito circa quattro secoli di Scienza, ma senza giungere alla descrizione di un fenomeno tale da poter essere compresa dai suoi contemporanei.
Per comprendere Leonardo da Vinci nella sua epoca, infatti, sarebbe stato necessario un altro Leonardo da Vinci.
Oggi, possiamo entusiasmarci nel leggere quali precise e immaginifiche descrizioni avesse reso di certi eventi fisici, ma solo perché ne abbiamo, già, compreso il significato.
Sappiamo quanto multiforme e variegato sia stato il suo ingegno, come Leonardo da Vinci si sia occupato, praticamente, di ogni campo dello scibile scientifico. Ma le sue riflessioni, le sue intuizioni su un particolare fenomeno, raramente, superavano la lunghezza di una pagina.
Leonardo da Vinci era dotato di una comprensione vivissima bruciante, che, immediatamente, stendeva sul foglio. Dopo questa intensissima, ma breve concentrazione, allontanava il suo pensiero dall’oggetto o perché correva a dare qualche pennellata al suo interminabile Cenacolo o perché lo studio dei petali di un fiore gli aveva suggerito una nuova teoria geometrica.
In questo studio ci occuperemo, soprattutto, del modo in cui Leonardo da Vinci si avvicinò alla Scienza, dei termini in cui, “pensava la Scienza”. Mi è sembrato come tema più nuovo, più interessante delle tradizionali catalogazioni delle sue invenzioni e delle sue scoperte, alle quali, peraltro, è stato dato opportuno rilievo.
Il suo punto di partenza era uno e uno solo: la Natura.
Il suo pensiero prendeva le mosse proprio dalla osservazione degli eventi naturali.
Leonardo da Vinci ha, sempre, avuto, per così dire, bisogno di un punto di partenza, di qualcosa di tangibile da limitare o da modificare, su cui cimentare il proprio ingegno. Solo molto raramente e, perfino, con riluttanza, per risolvere problemi, ha cercato strade, che non fossero quelle già praticate dai meravigliosi meccanismi naturali. Un esempio ci è dato dalle teorie sul volo, che tanta parte hanno nelle sue speculazioni scientifiche. Per lungo tempo, infatti, Leonardo da Vinci studia i meccanismi del volo degli uccelli, cercando di schematizzarli e, successivamente, riprodurli in maniera artificiale, così da consentire il volo umano.

Li termini dell’alia delli uccelli per necessità son piegabili. L’aria è in disposizione di condensarsi e rarefarsi. L’uccello è strumento operante per legge matematica, il quale strumento è in potestà dell’omo poterlo fare con tutti li sua moti, ma non con tanta potenzia, ma solo s’astende nella potenzia del bilicarsi.”

Osservazioni iniziate molto presto, quando Leonardo da Vinci è un ragazzo e si aggira nelle campagne di Vinci. E riprese in diversi anni, come, spesso, ci mostrano gli stupendi disegni che fiancheggiano le sue annotazioni. Ma è, forse, negli ultimi anni di permanenza a Milano e all’epoca del suo primo ritorno a Firenze, che il tema è approfondito e, forse, accompagnato dai più arditi tentativi di mettere in pratica le teorie che va elaborando e gli strumenti che ingegna.
In quegli stessi anni, occorre ricordare, un altro italiano studia il modo di imitare gli uccelli.
È Giambattista Danti, perugino.
Nel 1494, in occasione del matrimonio di Bartolomeo Aviano con una giovane Baglioni, Danti vuole mostrare la sua capacità di gettarsi dalla cima di una altura e di posarsi su un punto prefissato, il tetto della Sapienza Vecchia. Più che un volo, dunque, una planata, che Danti vuole realizzare con una sua macchina dotata di due ampie ali azionate da un congegno. L’impresa riesce a metà. La macchina non si dirige esattamente dove avrebbe dovuto andare, ma non si può neppure dire che precipti rovinosamente, se Danti ne esce malconcio, ma senza lesioni gravi.
Leonardo da Vinci, con tutta probabilità, ha sentito parlare di Danti. La sua impresa gli ha dato fama, molti cronisti lo chiamano il “nuovo Dedalo”.
Tuttavia, le osservazioni e le ipotesi di Leonardo da Vinci procedono indipendenti.
Osservazioni sulla forma degli uccelli, sui loro movimenti e sulla reazione opposta dall’aria. Punto di partenza è il concetto che, per volare, non è necessario che un corpo sia più leggero dell’aria. Nota, anzi, che “l’aria, con più velocità di mobile è percossa, con maggior somma di se medesima si condensa”. È il principio della reciprocità aerodiamica. Il moto delle ali determina la pressione dell’aria e, tale pressione provoca una condensazione che rende l’aria più adatta a sostenere il peso.

“Tanta forza si fa colla cosa in contro l’aria, quanto l’aria contro la cosa.”

L’esempio viene, naturalmente, dagli uccelli:

“Vedi l’alie percosse contro all’aria far sostenere la pesante aquila nella suprema sottile aria. Ancora vedi la mossa aria sopra il mare, ripercossa nelle gonfiate vele far correre la carica e pesante nave; sicché per queste dimostrative e assegnate ragioni potrai conoscere l’uomo colle sue congeniate e grand’alie, facendo forza contro alla resistente aria, vincendo, poterla soggiogare e levarsi sopra di lei.”
Leonardo da Vinci, Codice Atlantico, fol. 381.

Studia su quali parti dell’uccello si condensi con maggior pressione l’aria, durante il movimento, e osserva le funzioni del timone, simili a quelle esercitate dalle gambe di un nuotatore. Per descrivere un giro nello spazio il volatile si serve dell’“impeto dell’una delle alie gittata per taglio inverso la coda”. E, così, ogni movimento è studiato e compreso.
Occorre trasferire nell’Uomo queste capacità innate negli uccelli.

“Farai l’anatomia dell’alie d’uno uccello, insieme colli muscoli del petto motori d’esse alie. El simile farai dell’omo, per mostrare la possibilità che è nell’omo a volersi sostenere infra l’aria con battimento d’alie.”

Perviene, quindi, al primo procedimento. Vale a dire all’applicazione al corpo umano di due ali artificiali, modellate su quelle del pipistrello.

“Ricordatisi come il tuo uccello non debbe imitare altro che ’l pipistrello per causa ch’e paniculi fanno armadura, over collegazione alle armadure, cioè maestre delle alie.
E se tu imitassi l’alie delli uccelli pennuti, esse son di più potente ossa e nervatura, per essere esse traforate, cioè che le lor penne son disunite e passate dall’aria.
Ma il pipistrello è aiutato dal panniculo, che lega il tutto e non è traforato.”

È la prima concezione. L’Uomo si costruisce un’armatura simile a quella dei pipstrelli e, in posizione orizzontale, come si vede fare da tutti i volatili, tenta di librarsi nell’aria. È un’ipotesi formulata negli anni milanesi e, forse, anche sperimentata, dai tetti del Castello del Moro. Vi è una nota con la quale, secondo il suo stile solito, fa una esortazione a se stesso: si raccomanda di non farsi vedere, durante gli esperimenti, dagli operai impegnati nei lavori destinati al “tiburio” del Duomo:

“E se stai sul tetto, allato alla torre, quei del tiburio non vedano.”

La posizione orizzontale, se adottata per meglio imitare il volo degli uccelli, annulla, d’altra parte, molte possibilità di manovra. E Leonardo da Vinci si applica a studiare il modo di accordare l’applicazione e il movimento delle ali con la più naturale stazione eretta dell’Uomo.
Gli studi, forse, interrotti per alcuni anni, tornano a essere documentati nel 1505. Quando una nota ci avverte che Leoardo da Vinci sta studiando il modo di far spiccare il volo alla sua invenzione, partendo dal Monte Ceceri, nelle vicinanze di Firenze. Nella nota, anzi, si gioca di ambiguità tra il nome del monte e la parola cecero che sta a indicare anche il cigno:

“Piglierà il primo volo il grande uccello sopra del dosso del suo magnio cecero, e empiendo l’Universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e gloria eterna al nido dove nacque.”   

Sono indicate tra queste note anche le precauzioni studiate in caso di cattiva riuscita dell’esperimento. Si mostra dove vanno poste certe “baghe”, ossia vesciche, “dove l’omo, in sei braccia d’altezza cadendo, non si faccia male, cadendo così in acqua come in terra”.
Nulla è detto, nelle note di Leonardo da Vinci, sulla messa in pratica di questo volo dal Monte Ceceri, uno sperone di 416 metri. Ma secondo una secolare tradizione la prova si fece e il protagonista del volo fu assistente di Leonardo da Vinci, Tommaso da Peretola, detto Zoroastro. Un uomo semplice, che in Leonardo da Vinci aveva una fiducia cieca.
Zoroastro, dunque, forse, di nascosto da Leonardo da Vinci, si sistemò sopra il proprio corpo le ali inventate dal Maestro e si gettò da quello sperone verso i boschi e i prati sottostanti. Il congegno dovette incepparsi e Zoroastro ruzzolò nei prati e uscì dall’esperimento con una gamba rotta.
Ma è da qui che gli studi di Leonardo da Vinci si levano sopra l’antica tradizione che collegava i tentativi all’impresa di Dedalo e di Icaro. Abbandona l’idea di rimodellare l’uomo a somiglianza degli uccelli e medita come costruire una macchina che, pur “più pesante dell’aria”, sappia alzarsi da terra e prendere il volo. È una macchina al cui interno devono prendere posto sia un uomo sia un complesso congegno, composto di molle, ruote, carrucole, manovelle, atto a far sbattere le ali applicate all’apparecchio. Ali fabbricate con una trama di nervature congiunte da stoffa e ogni tendine può essere azionato dall’interno. Il pilota manovra le funi che sollecitano i vari movimenti, per mezzo di un manubrio, non è più oberato dalla fatica fisica che l’applicazione diretta delle ali al suo corpo richiedeva. Poi, un altro passo rivoluzionario: dall’apparecchio scompaiono le ali mobili e compare un’elica. Leonardo da Vinci si sta muovendo nell’esatta direzione, ma i tempi non sono preparati ad accogliere la sua intuizione. Dovranno passare quattro secoli perché le idee nate su quei fogli fitti di disegni e di scrittura quasi illegibile – vergata, come si sa, da destra a sinistra – possano trovare una pratica applicazione e dare vita ai nostri aerei.
Queste intuizioni, rispecchiate nel Codice sul volo degli uccelli, nel Codice Atlantico e in altre carte, trovano, già, una traccia completa nel proposito che Leonardo da Vinci rivolge a se stesso scrivendo:

Dividi il trattato degli uccelli in quattro libri, de’ quali il primo sia del volare per battimento d’alie: il secondo del volo sanza battere d’alie, per favor di vento, il terzo del volare in comune, come d’uccelli, pipistrelli, pesci, animali, insetti; l’ultimo del moto strumentale.”

I suoi progetti investono ogni settore della Scienza e della Tecnica: dai calcoli sulle dimensioni della Luna e sulla distanza tra la Luna e il Sole fino ai minuziosi studi di Botanica. Molte delle macchine che Leonardo da Vinci inventa sono connesse all’acqua: dighe, chiuse, pompe di ogni genere, una draga lagunare munita di pale scavatrici rotanti, lo scafandro ideato per un palombaro, un battello capace di navigare in sommersione .
Macchine guerresche di ogni tipo sono ideate sui suoi quaderni. Uno degli ordigni escogitati è chiamato da Leonardo da Vinci “architronito”; è un cannone che funziona utilizzando come fonte di energia la forza di espansione del vapore, la forza, che, secoli dopo, sarà alla base della prima civiltà industriale. Si vedono, sulle carte di Leonardo da Vinci, balestre mobili sistemate sui carri a ruote inclinate, carri muniti di falci roteanti e un vero antenato del moderno carro armato, un veicolo rotondo, coperto da pesanti pannelli di legno, con un meccanismo azionato a mano per mezzo di cavalli e una feritoia da cui i soldati possono dirigere il tiro sui nemici. Anche il paracadute e l’elicottero hanno le loro prime ideazioni nelle carte di Leonardo da Vinci. Sul foglio che preannuncia il paracadute si vede un uomo agganciato a un grande ombrello piramidale, e si legge:

“Se un uomo ha un padiglione di pannolino intasato, che sia di dodici braccia per faccia e alto dodici, potrà gittarsi d’ogni grande altezza sanza danno di sé.”

E giunge a predire, in futuro, l’avvento di una macchina volante:

“Piglierà il primo volo il grande uccello, empiendo l’Universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e di gloria eterna el nido dove nacque.”

Gli studi di Leonardo da Vinci saranno tenuti in somma considerazione dal fisiologo francese Etienne-Jules Marey, il Leonardo da Vinci del XIX secolo, che, nel 1890, farà i primi esperimenti sul volo degli uccelli, e dai pionieri del volo umano, i fratelli statunitensi Wilburg e Orville Wright e l’ingegnere tedesco Karl Wilhelm Otto Lilienthal – nella Letteratura inglese, talvolta, soprannominato Glider King, il Re degli alianti –, che, il 9 agosto 1896, nel corso di un esperimento, cadrà da diciassette metri di altezza e morirà, il giorno dopo, senza vedere la sua invenzione collaudata, proferendo una semplice, serena costatazione nella quale è racchiusa la consapevolezza della sua immolazione:

“Opfer müssen gebracht werden!”[3]
Solo dopo molti anni, Leonardo da Vinci si rende conto che là, dove arriva la Natura, l’Uomo non approderà mai, proprio a causa della diversa potenza delle muscolature umana e animale e della difficoltà di bilicarsi, ossia di mantenersi in equilibrio nell’aria, sfruttando le correnti e i venti. Decide, allora, di percorrere un’altra strada e inventa l’elica. Non è, infatti, azzardato ritenere che Leonardo da Vinci sia l’inventore del principio dell’elicottero, ossia di un apparecchio sulla cui sommità è posta una grande vite. La macchina originale doveva essere fabbricata con canne, legno, tela e filo di ferro, ma leggiamo cosa scrive lo stesso Leonardo da Vinci negli appunti scritti a fianco al disegno:

“La stremità di fori della vite sia di filo di ferro grosso una corda, e dal cerchio al centro sia braccia 8 [circa 5 metri]. Truovo, se questo strumento fatto a vite sarà bene fatto, cioè di tela lina, e voltato con prestezza, che dette vite si fa femmina nell’aria e monterà in alto. Piglia lo esenplo da una riga larga e sottile, e menata con furia in fra l’aria: vedrai essere guidato il tuo braccio per la linia del taglio della detta asse. Sia l’armadura della sopra detta tela di canne lunghe e grosse. Puosseno fare uno picciolo modello di carta, che lo stile suo sia di sottile piastra di ferro, e torta per forza, e nel tornare in libertà fa ravvolgere la vite.”



Leonardo da Vinci, Il Grande Nibbio.
Il Grande Nibbio, ispirato all’uccello predatore che segnò la sua infanzia, è molto probabilmente il progetto di macchina volante più progredito che Leonardo da Vinci abbia mai elaborato. 
Leonardo da Vinci ne indica le dimensioni, descrive come posizionarne il baricentro, specifica quali materiali utilizzare e quali evitare, a esempio i metalli. E non si limita al solo aspetto costruttivo, spiega, chiaramente, il modo in cui la macchina deve essere pilotata.
La scoperta del Grande Nibbio è iniziata con l’analisi di un piccolo disegno del foglio 17v, non descritto nel testo del Codice sul volo degli uccelli. Si tratta di una vista frontale dell’abitacolo e rappresenta la chiave di lettura dell’intero progetto. La macchina raggiungeva un’apertura alare di circa 30 braccia, equivalente a circa 18 metri. Le grandi ali si innestavano ai lati dell’abitacolo che ospitava il pilota in posizione verticale, seduto su una sorta di seggiolino. Le braccia e le gambe del pilota manovravano le ali, completamente articolate, che replicavano il movimento delle ali di un uccello nella sua complessità. Il pilota poteva controllare anche la coda, collegata con alcuni tiranti alla parte centrale dell’abitacolo, attraverso i movimenti del busto.
Leonardo da Vinci, in questa fase dei suoi studi, ha ben compreso che la potenza muscolare dell’Uomo è insufficiente e inadatta al volo battente tipico dei piccoli uccelli. Il Grande Nibbio imita, infatti, il volo planato dei grandi volatili.
Leonardo da Vinci credeva, fermamente, in questo progetto e sognava di vedere la sua macchina volante librarsi nei cieli, al punto da congedarsi, nell’ultima pagina del Codice sul volo degli Uccelli, con questa celebre frase:
“Piglierà il primo volo il grande uccello, sopra del dosso del suo magno cecero, empiendo l’universo di stupore, di sua fama tutte le scritture e gloria eterna il nido dove nacque.”





Probabilmente, se Leonardo da Vinci avesse pensato prima all’elica, ne avrebbe potuto sviluppare ulteriormente i principi fisici, ma il rifiuto di doversi staccare dalla Natura lo terrà avvinto a lungo all’idea di imitare il volo animale, cosa che, peraltro, ha i suoi risultati sotto il profilo degli studi biologici.

“Questo scriver sì distintamente del nibbio par che sia mio destino perché nella prima ricordazione della mia infanzia e’ mi parea che, essendo io in culla, che un nibbio venisse a me e mi aprissi la bocca colla sua coda e molte volte mi percotessi con tal coda dentro alle labbra.”

Anche in altri campi scientifici, Leonardo da Vinci cercherà di nucleare quelle leggi, quelle verità che presiedono al cammino del mondo e al verificarsi dei fenomeni naturali, sovente, mutuandole dall’uno all’altro campo, associando gravità e idrodinamica, intuendo il significato di inerzia. Proprio sull’idrodinamica perviene a enunciare – a parole sue, purtroppo, e non sotto forma di legge matematica – il principio-cardine di questa disciplina, che trova una formulazione compiuta solo nel 1728 a opera del fisico Daniel Bernoulli. Distingue l’energia potenziale da quella cinetica e ha idea del principio del pendolo, per il quale si dovrà attendere Galileo Galilei. Intuisce che il moto dei proiettili non segue una traiettoria circolare verso il basso, ma una curva con raggio di curvatura variabile, oggi, chiamata parabola.
Leonardo da Vinci si ispira, sovente, all’inventore per eccellenza, Archimede. Intensa è, sempre, la sua ricerca di scritti dello scienziato siracusano. Un contemporaneo lo definisce, anzi, “notissimo per il suo impegno archimedeo”. L’ammirazione, tuttavia, non si traduce, mai, in imitazione passiva.
Leonardo da Vinci studia con venerazione gli scritti dell’antico Maestro, ma per portarlo a un grado superiore di perfezione.
A proposito dell’eterna questione della quadratura del cerchio, a esempio, scrive: “La quadratura del cerchio di Archimede fu ben detta e mala data”, poiché ritiene che Archimede avrebbe quadrato non un cerchio, “ma una figura laterata”, mentre Leonardo da Vinci ritiene di essere andato oltre:

“Et io quadro el cerchio, meno una portione tanto minima quanto lo intelletto possa immaginare, cioè quanto il punto visibile.”  

E all’alba del 30 novembre 1504 può, finalmente, annunciare sui suoi appunti la faticosa risoluzione del problema:

“La notte di S. Andrea trovai il fine della quadratura del cerchio, e in fine del lume e della notte e della carta dove scrivevo, fu concluso, al fine dell’ora.”

A parte la vivissima forza poetica di questo brano, non si può non osservare il riferimento a quella “portione tanto minima”, ossia i famosi decimali del π [pi greco], sui quali si sono arenati i tentativi analoghi di tutti i matematici. Del resto, unificando i due schemi separati delle teorie di Vitruvio sulla proporzione, aveva realizzato quella famosissima figura che riproduce il corpo umano inscritto in un cerchio e in un quadrato. Il suo π [pi greco], l’elemento unificatore era, dunque, un’altra volta, l’Uomo. Riteneva assolutamente inconcepibile, che in Natura vi fosse un rapporto – il rapporto tra circonferenza e diametro, il famoso pi greco – che non potesse essere espresso sotto forma di frazione, che tra due entità, il cerchio e un poligono di qualunque numero di lati, vi potesse essere qualcosa – una percentuale infinitesima, quasi microscopica, ma pur sempre esistente – di incommensurabile. E proprio in questa sua convinzione risiede la grandezza di Leonardo da Vinci e insieme il suo limite. Un limite accettabilissimo, beninteso, ma indicativo per comprendere attraverso quali sentieri si snodasse il suo pensiero. L’esperienza, dunque, doveva essere alla base di tutto e, in questo, senza dubbio, precorse, Galileo Galilei.

“Ma prima farò alcuna esperienza avanti ch’io più oltre proceda, perché mia intenzione è allegare prima l’esperienzia e poi colla ragione dimostrare perché tale esperienzia è costretta in tal modo ad operare. E questa è la vera regola come li speculatori delli effetti naturali hanno a procedere, e ancora che la natura cominci dalla ragione e termini nella sperienzia, a noi bisogna seguitare in contrario, cioè cominciando, come di sopra dissi, dalla sperienzia, e con quella investigare la ragione.”

La valutazione degli studi scientifici di Leonardo da Vinci riceve valutazioni altamente positive già dal Cinquecento, dal matematico Luca Pacioli, dal medico e storico Paolo Govio, dallo scienziato Gerolamo Cardano.
Nel 1590, lo storico d’arte Giovan Paolo Lomazzo scrive che i libri di Leonardo da Vinci sono arrivati in tutta Europa e che, per certe materie, gli studi leonardeschi “sono tenuti in grandissima stima dagli intendenti, perché giudicano non potersi dar di più di quello che egli ha fatto”.
 Ricerche recenti rilevano che la diffusione delle idee scientifiche di Leonardo da Vinci sono individuabili, soprattutto, nell’Europa Settentrionale, massimamente in Germania e nelle Fiandre. Fanno scuola, soprattutto il metodico ricorso di Leonardo da Vinci al controllo sperimentale e il suo criterio di razionalità basato sulla giustificazione matematica:

Nessuna certezza è dove non si può applicare una delle scienze matematiche, over che non sono unite con esse matematiche.

Riguardo ai limiti della esperienza scrisse molto giustamente:

“La esperienza non falla mai, ma fallano i nostri giudizî, promettendoci da lei cose che non sono in sua facoltà. Il massimo inganno degli uomini è nelle loro opinioni, le quali non si modellano sulla natura, ma modellano questa, alle proprie immagini. Mia intenzione è allegare prima la esperienza, e poi con la ragione dimostrare che essa è costretta in tal modo ad oprare.”

E ancora:

Nessuna umana investigazione si può denominare vera scienza s’essa non passa per le matematiche dimostrazioni e nessuna certezza è dove non si può applicare una delle scienze matematiche.” e che “quelli che s’innamoran di pratica sanza scienzia son come ‘l nocchier ch’entra in navilio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada. Sempre la pratica deve essere edificata sopra la bona teorica”.
Amava la matematica solo quale supporto della conoscenza diretta, quale verifica dell’esperienza e, infatti, postulò la creazione di una nuova disciplina, in cui la matematica e l’esperienza fossero integrate, ma non come strumento di indagine. Per Leonardo da Vinci, i numeri e le sottili relazioni che tra loro si intersecavano potevano servire solo a esemplificare un certo aspetto della realtà, non a prevederlo o ad anticiparlo. E, in realtà, la matematica fu una delle branche della scienza cui si applicò più tardi. Arrivò a trent’anni, infatti, con un passato di pittore e di ingegnere che avrebbe fatto impallidire chiunque, senza conoscere che le regole elementari dell’aritmetica. Continuava – e lo farà per lungo tempo – a sbagliare le moltiplicazioni e a fare errori nella somma di frazioni. In seguito, grazie soprattutto all’amicizia con Luca Pacioli, il grande matematico autore del De divina proportione, Leonardo da Vinci divenne molto più esperto nel manipolare i numeri e nel comprendere le leggi della geometria, ma non rinunciò a considerare la matematica un mezzo con cui verificare, a posteriori, una data legge scientifica e non un sistema con cui determinarne, a priori, il risultato.  
Un’altra caratteristica della mente scientifica di Leonardo da Vinci, che trova scarsissima rispondenza in tutti i suoi predecessori o nei successori dei secoli a venire, è che il Maestro fu, insieme scienziato e inventore. Due termini che, nel linguaggio comune, sono, sovente ed erroneamente, considerati sinonimi, ma che sottendono, invece, due predisposizioni verso la materia completamente diverse. In Leonardo da Vinci superbamente fuse e complementari. Leonardo da Vinci scienziato suggerisce l’Uomo indagatore, curioso di tutto ciò che si presenta dinanzi ai suoi occhi, l’Uomo deciso a penetrare ogni segreto della Natura, siano le mille e mille ramificazioni dei vasi sanguigni del corpo umano, le elegantissime spirali compiute dal flusso dell’acqua in un condotto, sulle quali trova sorprendenti e immaginifiche assonanze con le ondulazioni dei capelli intrecciati, le misteriose leggi della dinamica, le impercettibili, demoniache fluttuazioni delle ali degli uccelli in volo.

Tirato dalla mia bramosa voglia, vago di vedere la gran copia delle varie strane forme fatte dalla artifiziosa natura, ragiratomi alquanto infra gli ombrosi scogli, pervenni all’entrata d’una gran caverna, e dinanzi alla quale restato alquanto stupefatto ed ignorante di tal cosa, piegato le mie reni in arco, e ferma la stanca mano sopra il ginocchio, e colla destra mi feci tenebre alle abbassate e chiuse ciglia, e spesso piegandomi in qua e in là per vedere se dentro vi discernessi alcuna cosa, e questo vietatomi [per] la grande oscurità che là entro era, e stato alquanto, subito salse in me due cose, paura e desiderio: paura per la minacciante e scura spilonca, desiderio per vedere se là entro fusse alcuna miracolosa cosa.”
Leonardo da Vinci, Codice Arundel


Leonardo da Vinci, Codice Arundel.

Questo passo leonardesco tanto atipico, perché reso in termini metaforici, mostra, come pochi altri, l’atteggiamento del Maestro davanti ai misteri della vita e del mondo e quante caverne avrebbe esplorato, quante “miracolose cose” portato alla luce del Sole!
Leonardo da Vinci inventore è, invece, sospinto da un fortissimo istinto pragmatico: escogita meccanismi, straordinarie combinazioni di ruotismi, ingranaggi, leve, che trasformano il movimento originario in una cascata di cento movimenti ausiliari, che tramutano il moto rettilineo in circolare, che sfruttano al massimo grado, quasi esasperandone la potenza, quelle esili, scarne, deboli energie di cui il mondo del Cinquecento era in grado di appropriarsi e asservire all’Uomo: l’alitare del vento, la forza primordiale di un corso d’acqua, la stanchevole forza muscolare, le guizzanti e inafferrabili scintille del fuoco.
E non avrebbe potuto scegliere epoca migliore per venire al mondo e cimentarsi sulle cose, perché il mondo del Cinquecento era davvero tutto da scoprire: uscita dal tunnel del Medioevo, l’Umanità iniziava a interrogarsi su ciò che vedeva, che percepiva, da cui veniva colpita, ardendo di conoscenza.
Leonardo da Vinci userà, infatti, un termine che, oggi, può far sorridere, ma che risulta appropriato come nessun altro per spiegare le miriadi di nuove impressioni, di sollecitazioni, che l’Uomo del Rinascimento riceveva dall’ambiente: la percussione, che immaginò essere una delle forze primarie della fisica, insieme con la gravità e il moto. Percussione per intendere il dinamismo del suono, della luce, della forza degli urti, sui sensi e sui corpi.
Poche le leggi universali che, all’epoca, si conoscevano.
L’Uomo del Cinquecento intuiva di essere calato in un meraviglioso meccanismo naturale, al quale presiedevano regole e norme da trasferirsi da questo a quel campo, molte essendo comuni a tanti fenomeni che apparivano dissimili; di trovarsi, insomma, per usare la frase di un filosofo posteriore di due secoli a Leonardo da Vinci, “nel migliore dei mondi possibili”. 
Ed è proprio la convinzione di trovarsi al centro del mondo, di poterlo iniziare a decifrare, a ridurne le manifestazioni a poche entità comuni, che spinge Leonardo da Vinci a superare le cortine, fino a quel momento ritenute invalicabili, che si frappongono tra il cervello umano e i fenomeni naturali, superando ogni superstizione, ogni alchimia, smontando e rimontando in continuazione macchine, eventi fisici, organi del corpo umano, anche ciò che in passato era ritenuto inesplicabile, perché dominio del soprannaturale, come, a esempio, le morti improvvise, che studia con la passione e il distacco del vero scienziato, privo di ogni pregiudizio. Con il soprannaturale, infatti, Leonardo da Vinci ebbe molto poco a che fare: non lo riteneva strettamente necessario al mondo né sotto il profilo filosofico, né sotto il profilo più propriamente religioso.
“Fuggi i precetti  di quelli speculatori che le loro ragioni non sono confermate dalla sperienza.”

Di Dio non parlò quasi mai e quando vi accennò, lo chiamò Creatore, Artista.
Il suo vero Dio era l’Uomo, l’Amore, inteso quest’ultimo come forza vitale e bramosia di conoscenza.
I paragoni tra la Macchina Umana e la Macchina della Natura intera si fanno via via sempre più serrati, anche se Leonardo da Vinci non vuole attribuirvi una corrispondenza scientifica rigorosissima, ma piuttosto una unità di principi, una comune radice, un pulsare sincrono di tutte le parti, animate e inanimate, dell’Universo.

L’omo è detto da li antiqui mondo minore, e certo la dizione è bene collocata imperò che, sí come l’omo è composto di terra, acqua, aria e foco, questo corpo della terra è il simigliante. Se l’omo à in sé ossa, sostenitore e armadura della carne, il mondo à i sassi sostenitori della terra; se l’omo à in sé il lago del sangue, dove cresce e discresce il polmone nello alitare, il corpo della terra à il suo oceano mare, il quale, ancora lui, cresce e discresce ogni sei ore per lo alitare del mondo; se dal detto lago di sangue dirivan vene, che si vanno ramificando per lo corpo umano, similmente il mare oceano empie il corpo de la terra d’infinite vene d’acqua. Manca al corpo della terra i nervi, i quali non vi sono, perché i nervi sono fatti al proposito del movimento, e il mondo, sendo di perpetua stabilità, non v’accade movimento e, non v’accadendo movimento, i nervi non vi sono necessari. Ma in tutte l’altre cose sono molto simili.

La tentazione di creare un nuovo ordine per le cose e per l’uomo, di trasferire nella vita quotidiana i semplici e meravigliosi meccanismi della Natura attraverso la laboriosità delle macchine o la purezza dei comportamenti, non lasciò, quindi, Leonardo da Vinci indifferente allo straordinario fiorire delle utopie rinascimentali, che vagheggiano società codificatissime, nelle quali nulla fosse lasciato al caso o all’istinto. Ma anche in questo caso, il suo senso pragmatico non gli venne mai meno e si accompagnò alla fantasia, per una volta rivolta al mondo dell’utopia, come dimostra questo brano tratto dal Codice Atlantico, che parla di una fantascientifica città con strade sopraelevate, fognature, tale da rispecchiare una precisa divisione in classi della società, cosa all’epoca imprescindibile:

Le strade N sono più alte che le strade P S braccia 6 e ciascuna strada de’ essere larga braccia 20 e avere ½ a braccio di calo dalle stremità al mezzo, e in esso mezzo sia, a ogni braccio, uno braccio di fessura, largo uno dito, ove l’acqua che piove debba scolare nelle cave fatte al medesimo piano di P S, e da ogni stremità della larghezza di detta strada sia uno portico di larghezza di braccia 6 in su le colonne.
E sappi che chi volessi andare per tutta la terra per le strade alte, potrà a suo acconcio usarle, e chi volessi andare per le basse, ancora il simile. Per le strade alte non de’ andare carri ne altre simile cose, anzi sian solamente per li gentili omini, per le basse deono andare i carri o altre some a l’uso e comodità del popolo. L’una casa de’ volgere le schiene all’altra, lasciando la strada bassa in mezzo, e da li ussi si mettine le vettovaglie, come legnie, vino e simili cose. Per le vie socterane si de’ votare destri, stalle e simile cose fetide. Dall’uno arco all’altro de’ essere braccia 300, cioè ciascuna via che riceve lume dalla fessure delle strade di sopra, e a ogni arco de’ essere una scala a lumaca tonda, perchè ne’ canton delle quadre si piscia, e larga, e nella prima volta sia un uscio ch’entri in destri e pisciatoi comuni, e per la scala si discenda dalla strada alta alla bassa, e le strade alte si comincino fori delle porte, e giunte a esse porte abbino composte l’altezza di braccia 6.
Sia fatta decta terra apresso a mare o altro fiume grosso, acciò che le bructure della città, menate dall’acqua sieno portate via.
Tanto sia larga la strada quanto è la universale altezza delle case.
Facciansi fonti in ciascuna piazza.”

Il fine sociale che traspare da questo brano, il desiderio, più volte espresso, di migliorare l’Umanità attraverso una nuova “civiltà delle macchine”, come direbbe Leonardo Sinisgalli, la volontà di non turbare gli equilibri naturali e di non nuocere ad alcuna cosa animata, tanto da farlo divenire un irriducibile vegetariano, un ecologo ante litteram, sembrano stridere non poco, a prima vista, con le note e perfezionatissime realizzazioni di Leonardo da Vinci in tema di macchine belliche.
Pacifista o guerrafondaio?
Né l’uno né l’altro, dato che nel Cinquecento – non dimentichiamolo! – questi due attributi non erano rivestiti del minimo significato, la guerra essendo, ancora, una componente fondamentale della società umana, un ineluttabile, ma necessario strumento di crescita. E, comunque sia, gli strumenti da difesa e da offesa di Leonardo da Vinci posseggono una propria logica, essendo per così dire espliciti, manifestamente offensivi, non insidiosi e, soprattutto, utili al progresso tecnologico generale.
Leonardo da Vinci si adoperò, soprattutto, a migliorare, a utilizzare meglio le risorse esistenti; i suoi studi di balistica, i proiettili ogivali, che dovevano fendere meglio l’aria, le gigantesche balestre rotanti, i cannoni a vapore, quelli a ventaglio di canne dovevano servire a superare il nemico lealmente, non con l’inganno, il sotterfugio.
A questo proposito, è estremamente indicativo l’esempio di una sua invenzione, quella del sottomarino, mai divulgata proprio perché avrebbe sconvolto le regole del gioco bellico. I disegni relativi, forse, furono bruciati, forse, nascosti, ma comunque sono andati dispersi. Di questa che prometteva essere una delle più strabilianti innovazioni leonardesche, forse, qualcosa di veramente conclusivo – altrimenti non ne avrebbe celato al prossimo i disegni! – ci restano poche righe scritte intorno al 1506:

“Come è non si po star sotto l’acqua, se non quanto si po ritenere lo alitare. Come molti stieno con istrumento alquanto sotto l’acqua. Come, e perché io non iscrivo il mio modo di star sotto l’acqua quanto i’ posso star senza mangiare, e questo non pubblico o divolgo per le male nature delli omini, li quali userebbono li assassinamenti ne[l] fondo de’ mari, col rompere i navili in fondo, e sommergerli insieme colli omini, che vi son dentro; e benché io insegni delli altri, quelli non son di pericolo, perché disopra all’acqua apparisce la bocca della canna, onde alitano, posta sopra li otri o sughero.”

“Le male nature dell’omini”, quindi.
Sembra che il brano sia stato scritto negli ultimi anni della sua permanenza a Milano, prima di compiere il suo vagabondaggio ultimo, in Francia. Una espressione che contrasta non poco con quella, riportata qualche riga sopra, dei “gentili omini” e che, seppure larvatamente, indica l’evoluzione del pensiero di Leonardo da Vinci negli ultimi anni della sua vita.
L’Uomo, il grande artefice, non è più al centro del mondo, non è un essere vicino alla perfezione; anzi, “l’omo ha gran discorso del quale la più parte è vano e falso;  gli animali l’hanno piccolo, ma utile e vero”.
A mano a mano che penetra sempre più profondamente nei segreti della Natura, che leva la testa sempre più in alto per indagare sugli imperscrutabili misteri dell’Universo; Leonardo da Vinci si sente sempre più piccolo, un granello di polvere davanti alla Grande Macchina inimitabile del Creato, preda di una Natura incorruttibile e, forse, inavvicinabile.
L’Uomo, dunque, non è più lo specchio del mondo; probabilmente un suo vano accessorio. Non è necessario al mondo. I famosi disegni della serie del Diluvio[4], oggi custoditi nella Biblioteca Reale di Windsor, non mostrano più le gentili, geometriche ramificazioni del flusso dell’acqua, dense di bellezza e di armonia, ma flutti impetuosi, ribollenti schiuma, disobbedienti a qualsiasi analisi scientifica, espressione di una natura violenta, primordiale, che non intende cedere ai mortali lo scettro della spreazia sul mondo e che pertanto manda in rovina ponti, dighe, argini artificiali.  
Di pari tempo, Leonardo da Vinci ha innalzato il suo febbrile sguardo indagatore verso la profondità del Cosmo e ha compreso, senza ombra di dubbio, che la Terra non è nel mezzo del cerchio del Sole, né nel mezzo del mondo, ma è ben nel mezzo de’ suoi elementi, compagni e uniti con lei, e chi stesse nella Luna, quand’ella insieme col Sole è sotto a noi, questa nostra Terra coll’elemento dell’acqua parrebbe e farebbe ofizio tal qual fa la Luna a noi, proprio nello stesso periodo di tempo in cui il suo contemporaneo Niccolò Copercnico si apprestava a demolire la teoria geocentrica di Tolomeo.
Questo progressivo ridimensionamento dell’Uomo come essere pensante e come elemento dell’Universo ha come contropartita la celebrazione sempre più intensa del Sole, l’unico elemento naturale cui Leonardo lascia il compito, nei suoi ultimi scritti, di giganteggiare su tutto.
Così, dopo avere indagato su tutto, sugli uomini e sulle acque, sui meccanismi e sulle matematiche, sulle leggi della fisica e su quelle della prospettiva, dopo avere impostato l’evoluzione della scienza a venire e avere dipinto tele e affreschi soavissimi e meravigliosi, Leonardo sposta il baricentro del suo pensiero a milioni di chilometri oltre le rive della Loira, suo ultimo scenario terreno, verso il Sole. Il Sole in cui vede il nucleo dell’energia infinita, e non solo strettamente termica, perché “tutte l’anime discendon da lui”; il Sole come motore immobile da cui tutto ha origine e al cui paragone la Terra stessa non è che “un punto nell’Universo”, con il suo carico umano condannato a rimanere “mortale, putrido e corruttibile nelle sue sepolture”.        

“Non si dimanda ricchezza quella che si può perdere. La virtù è vero nostro bene ed è vero premio del suo possessore: lei non si può perdere, lei non ci abbandona, se prima la vita non ci lascia. Le robe e le esterne devizie sempre le tieni con timore, ispesso lasciano con iscorno e sbeffato il loro possessore, perdendo lor possessione.”
Leonardo da Vinci


LE MACCHINE DI PACE

“La scienza strumentale over machinale è nobilissima e sopra tutte l’altre utilissima conciosia che mediante quella tutti li corpi animati che hanno moto fanno tutte le loro operazioni.”
Leonardo da Vinci

Macchina per Leonardo da Vinci è una parola magica e, oggi, per comprenderne a pieno il significato dovremmo scrollarci di dosso tutte le accezioni negative, dispregiative di “macchina-prevaricatrice-distruttrice-inquinante” che sono emerse nella nostra era.
La macchina, per Leonardo da Vinci, è, invece, qualcosa di perfetto, qualcosa di puro, di incontaminato, non importa se sia il meraviglioso meccanismo della Natura e delle sue leggi o uno strumento creato dall’Uomo. Con Leonardo da Vinci ha, dunque, inizio la “Civiltà delle Macchine”, o meglio, la civiltà della filosofia delle macchine.
Ma, anche sotto il profilo strettamente scientifico, le macchine di Leonardo da Vinci inaugurano una nuova epoca, quella dell’automazione, dei servo-meccanismi, della macchina intesa come entità autosufficiente, che ha bisogno dell’intervento umano solo per essere avviata. Poi, fa tutto da sé. Proprio qui si riscontra la grande innovazione concettuale dell’ingegneria leonardesca: nell’avere creato meccanismi che sanno regolarsi da sé, che non hanno bisogno di successive correzioni dall’esterno nelle varie fasi del loro funzionamento.
A esempio, l’intagliatrice di lime che, automaticamente, fa avanzare il carrello porta-lima a mano a mano che il martelletto intagliatore effettua il suo saliscendi. Lo stesso meccanismo che muove il martelletto è assai significativo, giacché Leonardo da Vinci vi ha realizzato la trasformazione del moto rotatorio – quello dell’arganetto azionato dal peso – in moto alternativo. 
La trasformazione del moto rotatorio in alternativo e viceversa fu, sempre, un “pallino” del Maestro che, a questo scopo, realizzò il complesso “alzapesi”, dotato anche di blocco automatico, una specie di progenitore del moderno “cric” delle automobili.  
Altro esempio dell’ingegno leonardesco nella trasmissione del moto è il meccanismo per orologio dotato di un ingranaggio a spirale, concepito in modo tale da compensare, con la spirale, la diminuzione della potenza che si verifica a mano a mano che la molla dell’orologio va svolgendosi.
Le energie utilizzate da Leonardo da Vinci in questi meccanismi si limitano alla gravità e alla elasticità della molla. Ma Leonardo da Vinci seppe sfruttare nel migliore modo possibile anche quella dell’acqua, progettando mulini, macchine idrauliche dotate di straordinari sistemi per accaparrare anche la più piccola briciola di energia utilizzabile, perché nulla andasse perduto. 
Oggi, nell’era in cui si brucia petrolio irriguardosamente, queste minuzie possono sembrare superate; eppure costituiscono una valida lezione all’Uomo moderno, affinché sappia sfruttare le fonti di energia a sua disposizione con parsimonia e senza spreco.
Senza dubbio alcuno, Leonardo da Vinci precorse i tempi. Il suo ingranaggio elicoidale non fu “reinventato” che tre secoli più tardi, alla fine del Settecento, mentre un suo progetto per cuscinetti a sfere e coni avrà bisogno di circa mezzo millennio perché se ne comprenda la funzione. Fu, infatti, costruito poco prima della Seconda Guerra Mondiale per i giroscopi degli aerei. 


LE MACCHINE DI GUERRA
“Chi non punisce il male, comanda che si facci.”
Leonardo da Vinci
Una enorme balestra rappresenta una delle più note realizzazioni belliche di Leonardo da Vinci. La struttura dell’arco è a lamine sovrapposte, tale da consentire insieme la massima robustezza e la massima flessibilità. Proprio da questo concetto si è sviluppato, mantenendone il nome, il dispositivo di ammortizzazione delle auto che viene chiamato, appunto, balestra. Sulla balestra Leonardo da Vinci effettuò infinite variazioni, come l’originalissima balestra circolare a ripetizione che lanciava dardi in successione. Si dedicò, poi, ai cannoni, progettando affusi di ciclopiche dimensioni e una magnifica fresa a turbina per realizzare canne perfettamente cilindriche. Ma il suo ingegno non si dispiegò solo nelle macchine da guerra. Gli studi bellici gli furono utili anche per analizzare il moto dei proiettili – che sappiamo essere, ancora oggi, una costante delle trattazioni della fisica dei gravi e della meccanica razionale – individuando, per primo, la traiettoria parabolica di un proiettile e intuendo il significato di inerzia:
“Ogni moto attende al suo mantenimento ovvero ogni corpo mosso sempre si move, in mentre che la impressione della potenzia del suo motore in lui si riserva.”


LA MACCHINA UOMO
“La funzione del muscolo è di tirare e non di spingere, eccezion fatta per i genitali e la lingua.”
Leonardo da Vinci
 
Lo studio dell’anatomia umana ha portato Leonardo da Vinci alla progettazione di uno dei primi noti robot [https://www.youtube.com/watch?v=SdP8cpwmWwk] della Storia, intorno al 1495. Il robot cavaliere potrebbe stare in piedi, sedersi, alzare la sua visiera, aprire e chiudere la bocca, e manovrare in modo indipendente le braccia. L’intero sistema robotico è  azionato da una serie di pulegge, cavi, ingranaggi interni e manovelle. Il primo a identificare il progetto dell’automa nascosto tra i diversi disegni del Codice Atlantico è stato  lo storico dell’arte Carlo Pedretti , nel 1957. Nel 2002, uno studioso di robotica, Mark Rosheim, ha realizzato il primo modello completo del cavaliere meccanico, perfettamente funzionante, come aveva previsto Leonardo da Vinci, per un documentario della BBC, Leonardo: The Story o fan Undisputed Genius [https://www.youtube.com/watch?v=BcQy2ld6hrE].



Ricostruzione digitale con organi meccanici allinterno dell’automa cavaliere.

Lo studio dell’anatomia umana era, per Leonardo da Vinci, una condizione indispensabile per poter esercitare la Pittura, che, pertanto, è anch’essa figlia della Scienza. Dapprima sulle proporzioni antropometriche, poi, sugli organi interni, l’attenzione di Leonardo da Vinci si appunta sempre più in profondità sulla Macchina Uomo, che studia con l’ardore e la consapevolezza che ogni movimento, ogni funzione fisiologica, dalla nascita alla stessa morte, possano essere spiegati con il lume della Ragione.
Per le ovvie corrispondenze che tale studio aveva con la Pittura, è nello studio dei muscoli che Leonardo da Vinci raggiunse i maggiori risultati; ma si concentrò e molto anche sulle funzioni umane, sui meccanismi della voce, delle lacrime, della respirazione, della circolazione sanguigna, sui sensi della vista, dell’olfatto, dell’udito. 
Né si limitò all’anatomia, Leonardo da Vinci sconfinò, anche, con risultati, talvolta modesti, ma talvolta eccelsi, nella patologia, riuscendo a effettuare svariate autopsie negli spedali fiorentini. Mirabile è rimasta la descrizione dell’arteriosclerosi, in seguito alla morte di un vecchio che gli “disse lui passare cento anni” e che “standosi a sedere sopra uno letto senza altro movimento o segno d’alcuno accidente passò di questa vita”. Cercando di scoprire la causa di “sì dolce morte”, Leoardo da Vinci osservò che “quando le vene s’invecchiano esse si destrugan la loro rettitidine nelle loro ramificazioni, e si fan tanto più fressuose over serpeggianti e di più grossa scorza […]. Negli anziani è ristretto al continuo il transito delle vene miseraiche per lo ingrossamento della pelle d’esse vene successivamente insino alle vene capillari”.




















LA MACCHINA CITTA’
La società sarà civile quando chi uccide un cane sarà processato come chi uccide un uomo.”
Leonardo da Vinci
Fu vera gloria la gloria di Leonardo da Vinci in campo architettonico?
Alcuni sostengono di no, mettendo in risalto la scarsissima entità dei suoi progetti architettonici, come per il tiburio del Duomo di Milano, bocciato dai committenti.
Più che architetto, dunque, sarebbe meglio definirlo urbanista in senso lato, includendovi anche la sua attività di ingegnere idraulico e di creatore di opere civili di vastissima portata.
Noto è il suo progetto per la creazione di un canale che avrebbe dovuto mettere in comunicazione Milano con il Lago di Como e di là giungere in Svizzera.
Note sono anche le sue proposte per la realizzazione di chiuse e di tutta una serie di macchine che sfruttavano la forza dell’acqua.
E non dobbiamo dimenticare i suoi magnifici contatori d’acqua o le macchine scavatrici di canali.
Sotto il profilo più strettamente edile, Leonardo da Vinci progettò un teatro mobile, strutturato su una serie di quinte che ruotavano su se stesse, facendo mutare non solo lo scenario, ma anche la posizione degli spettatori rispetto al palcoscenico. Probabilmente, fu realizzato in occasione della rappresentazione dell’Orfeo di Poliziano, svoltasi a Milano nei primi anni del Cinquecento.
È certo, tuttavia, che il Maestro compì lunghi e particolareggiati studi di statica e di tecnica delle costruzioni.




Aliante
Codice Atlantico, f. 846 v [309 v-a], Biblioteca Ambrosiana, Milano  1493-95]
Leonardo da Vinci passa dallo studio dell’ala battente a quello dell’ala parzialmente fissa per un volo librato. Avendo notato che la parte interna delle ali dei volatili si muove più lentamente rispetto a quella esterna per dare sostegno durante il volo, concepisce delle ali, simili a quelle dei pipistrelli e dei grandi uccelli, fisse nella parte interna, mentre la parte esterna è mossa mediante un cavo comandato con maniglie dal volatore, posizionato al centro e in senso verticale.

 
Paracadute
Codice Atlantico, f. 1058 v [381 v-a], Biblioteca Ambrosiana, Milano [c. 1485]
Anche questo progetto ci dimostra quanto le idee di Leonardo da Vinci fossero geniali e futuristiche. Il paracadute doveva essere costruito con una tenda di lino a forma piramidale, con misura di 7 metri per lato. Con questa macchina chiunque avrebbe potuto gettarsi da qualsiasi altezza senza rischio.


Deltaplano
Codice di Madrid I, f. 64 r, Biblioteca Nacional, Madrid [c. 1495]
È possibile dividere le macchine volanti in due distinti periodi della vita di Leonardo da Vinci: quelle del primo periodo sono azionate dalla forza dell’Uomo, quelle del secondo sfruttano la potenza dei venti e delle correnti, tra le quali vi è il deltaplano, in cui l’Uomo si posiziona in senso orizzontale e manovra la macchina tramite due coppie di corde che, facendo spostare il mezzo a destra e a sinistra e in alto e in basso, permettono di regolare il volo.


Vite aerea
Ms. B, f. 83 v, Institut de France, Parigi [c. 1489]
È di certo uno dei disegni più famosi di Leonardo da Vinci, in cui si può intuire l’antenato dell’elicottero. Il mezzo doveva essere costruito con canne, tela di lino e filo di ferro e doveva essere azionato da quattro uomini che facendo ruotare l’albero sarebbero riusciti ad alzarsi da terra. È chiaro che la macchina così concepita non avrebbe, mai, volato, rimane comunque l’idea che con un’adeguata forza motrice la macchina avrebbe potuto realmente avvitarsi nell’aria e alzarsi da terra.


Macchina volante
Codice Atlantico, f. 824 v [302 v-a], Biblioteca Ambrosiana, Milano [c. 1485-87]
Anche la macchina volante appartiene ai progetti più noti che Leonardo da Vinci ci ha lasciato. Il volatore, che avrebbe dovuto sfruttare al massimo tutte le sue potenzialità motorie, si posizionava sopra il piano e inseriva i piedi nelle staffe che, tramite i cavi, trasportavano il moto alle ali che compivano due movimenti: 1] l’alzata e l’abbassata; 2] la flessione e la rotazione, simile al movimento di un remo.


Studio d’ala unita
Codice Atlantico, f. 858 r [313 r-a], Biblioteca Ambrosiana, Milano [c. 1480]
Leonardo da Vinci, dopo gli studi sull’anatomia degli uccelli, decise di applicare le caratteristiche rilevate in Natura alle proprie macchine volanti. Nei suoi progetti per un volo ad ali battenti, dopo avere, inizialmente, disegnato un’ala a “sportelli” [con aperture mobili], ideò un’ala “unita” somigliante a quella dei pipistrelli, coperta da un unico panno teso su di un’armatura di legno e canne.


Inclinometro
Codice Atlantico, f. 1058 r [381 r-a], Biblioteca Ambrosiana, Milano [c. 1485]
Con questo strumento, che consiste in un pendolo inserito in una campana di vetro [per evitare l’influenza del vento], il pilota poteva assumere il giusto equilibrio e la corretta inclinazione da mantenere durante il volo. La posizione della palla del pendolo, indicando la posizione della macchina, serve infatti a calcolare la verticalità. In uno dei suoi progetti, Leonardo da Vinci aveva dotato l’ornitottero a bicicletta di un inclinometro inserito sopra la testa del pilota.


Anemometro
Codice Atlantico, f. 675 r [249 v-a], Biblioteca Ambrosiana, Milano [c. 1487-90]
La grandezza dei suoi studi è dimostrata anche dal fatto che Leonardo da Vinci non si limita solo a creare delle macchine per il volo, ma crea, perfino, gli strumenti per controllarlo, tra i quali vi è l’anemometro “a lamelle” o “a pennello” [dal fatto che anticamente si usavano delle penne come indicatori] per misurare la velocità del vento. È un semplice legno graduato con una lamina che è spostata più o meno secondo l’intensità del vento.


Sega idraulica
Codice Atlantico, f. 1078 a-r [389 r-a], Biblioteca Ambrosiana, Milano [c. 1478]
Vi sono diverse macchine alle quali si può applicare l’energia delle acque: qui è riportata la sega idraulica. L’acqua, che scorre nell’apposita canaletta, muove la ruota a pale che aziona contemporaneamente la sega verticale e l’avanzamento del carrello dove è posto il tronco. L’operazione
è così resa automatica. Si tratta probabilmente della copia perfezionata di un modello già esistente ai tempi di Leonardo da Vinci, che ben conosceva la tecnologia e le macchine del suo tempo.


Vite di Archimede
Codice Atlantico, f. 26 v [7 v-a], Biblioteca Ambrosiana, Milano [c. 1480]
Il nome stesso indica che questo mezzo per il trasporto d’acqua era, già, conosciuto fin dal tempo degli antichi greci. Anche nel Rinascimento queste macchine avevano un largo utilizzo. Leonardo da Vinci ne disegnò molte, riuscendo, come suo solito, a migliorarle. La vite permette di sollevare l’acqua da una conca tramite un tubo avvolto a un cilindro, mosso da una manovella oppure direttamente dalla stessa corrente dell’acqua. Questo sistema poteva essere raddoppiato per portare l’acqua a serbatoi posti su alte torri.


Ponte mobile
Codice Atlantico, f. 885 r [312 r-a], Biblioteca Ambrosiana, Milano [c. 1487-89]
Sono molteplici gli esempi di ponte mobile a rapido impiego che Leonardo da Vinci disegna nel corso della sua carriera di ingegnere militare, applicazione progettuale concreta dei suoi studi di statica e meccanica. In questo foglio sono impaginate verticalmente tre diverse tipologie: 1] ponte poggiato su pali; 2] ponte girevole ad arco, con campata unica, fissato ad una delle sponde con pilone verticale che funge da centro di rotazione; 3] ponte appoggiato su botti o barche.


Ponte arcuato
Codice Atlantico, f. 69 a-r [22 r-a], Biblioteca Ambrosiana, Milano [c. 1485-87]
Si tratta di uno dei “ponti leggerissimi et forti” che Leonardo da Vinci prometteva nella celebre lettera di presentazione a Ludovico il Moro. Questi ponti erano realizzabili e smontabili rapidamente con materiale di facile reperibilità e trasporto, come piccoli tronchi e robusti legacci.
L’impiego era, essenzialmente, per scopi militari: il rapido superamento di un fiume consentiva, infatti, veloci e inaspettati movimenti delle truppe e contribuiva al fattore sorpresa, spesso, fondamentale agli esiti della battaglia.



Imbarcazione a doppio scafo
Ms. B, f. 11 r, Institut de France, Parigi [1484-86]
L’imbarcazione a doppio scafo è un sistema di difesa ideato per l’utilizzo in caso di guerra navale ed è, particolarmente, indicato, a esempio, contro lo sfondacarene: nel caso in cui la nave nemica avesse colpito con la sua arma la fiancata della nave, si sarebbe riempita d’acqua solamente la parte tra le due carene, preservando lo scafo interno ed evitando quindi l’affondamento.
È chiaramente l’antenato delle moderne camere stagne che si possono trovare sulle navi di oggi.


Salvagente
Ms. B, f. 87 v, Institut de France, Parigi [1487-90]
Tra le varie soluzioni che Leonardo da Vinci ideò per la permanenza nell’acqua vi è anche il salvagente.
Questo era fatto di cuoio, cucito e perfettamente stagno, e doveva essere gonfiato ad aria.
Leonardo da Vinci consigliava di impiegarlo durante le tempeste, in caso di naufragio, per agevolare il galleggiamento e la nuotata.
Con lo stesso fine, sul medesimo foglio, sono disegnati dispositivi palmati, che mostrano come Leonardo da Vinci trovasse, spesso, ispirazione per i suoi progetti nel mondo animale.


Modo per camminare sull’acqua
Codice Atlantico, f. 26 r [7 r-a], Biblioteca Ambrosiana, Milano [c. 1480-82]
Svariati sono i sistemi illustrati da Leonardo da Vinci per scendere sotto la superficie dell’acqua e rimanervi il tempo necessario per distruggere scafi nemici o riparare la chiglia di un battello senza bisogno di ricorrere al cantiere navale.
Così come non mancano, nel suo repertorio di disegni, modi di galleggiare e muoversi sulla superficie dell’acqua mediante racchette, sci e scarpe nautiche. Questo tipo di enormi sci dovrebbe permettere all’Uomo di galleggiare sull’acqua aiutato da bastoni.


Carro armato
Inv. n. 1860-6-16-99 [B.B. 1030], British Museum, Londra [c. 1483-85]
L’idea di un carro coperto che potesse penetrare nelle file nemiche seguito da soldati, si trova, già, nel Medioevo ed è ripresa, con assiduità, nel Quattrocento. Leonardo da Vinci prevedeva un carro pesante, a forma di testuggine, armato di cannoni tutt’attorno e, forse, rinforzato con piastre metalliche.
Il movimento, che altri avevano previsto a vela, secondo Leonardo da Vinci doveva essere affidato a un sistema di ingranaggi collegato alle ruote ed azionato, con manovelle, da “8 huomini” all’interno.


Escavatrice da trincea
Ms. L, f. 76 v, Institut de France, Parigi [c. 1502]
Tra i molti disegni di architettura militare, effettuati da Leonardo da Vinci, durante l’incarico prestigioso di “architetto ed ingegnere generale”, ricevuto da Cesare Borgia, duca di Valentino, vi è anche una macchina per scavare trincee che, attraverso un sistema di pesi e contrappesi oscillanti, facilitava il lavoro dell’uomo.


Proiettili ogivali
Codice Arundel, f. 54 r, British Library, Londra [c. 1508]
Di grande importanza sono gli studi sulla balistica, volti ad aumentare precisione e gittata delle armi da fuoco. Attraverso l’esperienza dei getti d’acqua, Leonardo da Vinci intuì l’analogia che lega il moto dei corpi nei fluidi e, quindi, l’influenza dell’aria sulla traiettoria delle palle di cannone. Pervenne, così, a disegnare proiettili ogivali d’incredibile modernità che sfruttano la forma aerodinamica per penetrare con più facilità l’aria; le alette direzionali delle quali sono corredati stabilizzano il volo.



Difesa delle mura
Codice Atlantico, f. 49 v-b [139 r], Biblioteca Ambrosiana, Milano [c. 1482-85]
Tra i vari sistemi che Leonardo da Vinci ideò per la difesa di castelli e fortezze durante gli assedi, appare anche questo ingegnoso sistema per respingere le scale nemiche. Qualora gli assedianti fossero riusciti ad appoggiare le scale contro le mura, una trave nascosta, azionata attraverso un complesso sistema di argani e tiranti, le avrebbe respinte e allontanate, facendole cadere. È un altro esempio di meccanica applicata che mostra la conoscenza da parte di Leonardo da Vinci della tradizione tecnologica toscana.




Volano
Codice di Madrid I, f. 114 r, Biblioteca Nacional, Madrid [c. 1497]
Leonardo da Vinci disegnò due tipi di volano: entrambi con albero verticale e con la manovella posizionata sulla parte superiore della struttura, uno è piatto, mentre l’altro ha quattro pesi di metallo collegati con delle catene.
È un meccanismo ideato per i “moti aumentativi”, poiché, una volta superati i punti d’inerzia, si ha una diminuzione dello sforzo.


Bicicletta
Codice Atlantico, f. 133 v, Biblioteca Ambrosiana,
Questo è uno dei molti misteri che ancora circondano la vita di Leonardo da Vinci.
Durante la restaurazione del Codice Atlantico si scoprirono due pagine incollate dove era raffigurata la bicicletta.
Il tratto del disegno, la mancanza di particolari, la firma dell’allievo Salaì, fanno pensare che il disegno non appartenga a Leonardo da Vinci, bensì al suo allievo che potrebbe avere copiato la bicicletta vedendo magari un modello nello studio del Maestro.


Catene
Codice di Madrid I, f. 10 r, Biblioteca Nacional, Madrid [c. 1497]
Sono molte e differenti le catene flessibili che Leonardo da Vinci progetta per la trasmissione del moto. Le forme e il peso attaccato al fondo delle catene, in alcuni disegni, fanno pensare che fossero state progettate per i meccanismi degli orologi. Ma l’applicazione più conosciuta appare in uno dei disegni più famosi di Leonardo da vinci: la bicicletta.



Carro con differenziale
Codice Atlantico, f. 1049 r, Biblioteca Ambrosiana, Milano
Il disegno mostra il sistema di trasmissione del moto a un assale di un carro. Una manovella gira la ruota dentata che ingrana il rocchetto a lanterna facente capo all’assale del carro e ne aumenta la velocità. Il moto è trasmesso a una sola ruota, permettendo, così, all’altra di muoversi con diversa velocità, quando il veicolo entra in curva e di evitarne lo slittamento.
Modernamente la stessa funzione è svolta dal differenziale.



Molla
Codice di Madrid I, f. 85 r, Biblioteca Nacional, Madrid [c.1497]
La molla è un elemento in grado di accumulare energia meccanica e Leonardo da Vinci la considerò, da subito, uno dei componenti fondamentali per la costruzione delle sue macchine, un’importantissima fonte di energia che descrisse e studiò, in maniera approfondita, nel Codice di Madrid I. Leonardo da Vinci ricorse all’uso delle molle, soprattutto, per gli orologi, ma le impiegò, anche, per le macchine più pesanti, come carri semoventi e forse anche per la vite aerea.



Solido tridimensionale [poliedro]
Codice Atlantico, f. 709 r, Biblioteca Ambrosiana, Milano
Leonardo da Vinci, da sempre attratto dalla geometria, disegna in assonometria questo modello formato da tre quadrati che si intersecano.



Modello teatrale per l’Orfeo
Codice Atlantico, f. 50 r, Biblioteca Ambrosiana, Milano [c.1506-08]
Si tratta di una scenografia mobile che Leonardo da Vinci studiò per la messa in scena dell’Orfeo di Poliziano. La data è quella del periodo di attività di Leonardo da Vinci come architetto e ingegnere al servizio del governatore francese di Milano, Charles d’Amboise. Artista, regista teatrale e ingegnere meccanico, Leonardo da Vinci ha, qui, ideato una macchina automatica che può essere azionata a distanza tramite funi, carrucole e un intelligente uso di contrappesi, che fanno aprire la montagna e permettono a Plutone, il Dio degli inferi, di apparire all’improvviso sul palco.



“Lo specchio si gloria forte tenendo dentro a sé specchiata la Regina e, partita quella, lo specchio riman vile.”
Leonardo da Vinci



Dedico questo Studio ai miei Nemici, che così tanto mi hanno aiutato nella mia “carriera”.

Dedico esto Estudio a mis Enemigos, que tanto me han ayudado en mi “carrera”.

Ich widme diese Studie meinen Feinden, die für meine Laufbahn eine so große Hilfe waren.

 I dedicate this Study to my Enemies who have helped me so much in my “career”.

 Je dédie cette Etude à mes Ennemis, parce qu’ils m’ont beaucoup aidé dans ma carrière. 

 

Daniela Zini
Copyright © 22 novembre 2019 ADZ



[1] “Il programma è la storia di una sorprendente scoperta: quella di un disegno autentico di Leonardo, mai visto prima d’ora, che riemerge dopo 5 secoli da un suo quaderno di appunti. È il ritratto di un uomo rinascimentale, dagli occhi chiari e i capelli lunghi, con il mento ornato da una leggera barba e lo sguardo assorto.
Chi è quest’uomo? Al di là dell’importanza della scoperta di un nuovo disegno originale del grande genio del Rinascimento, potrebbe addirittura trattarsi di un suo autoritratto in età più giovanile?
È la domanda che mi sono posto sin dall’inizio, dopo aver visto riaffiorare questo volto. Il programma è un’indagine per cercare di rispondere anche a questa domanda.
Ma da dove viene fuori questo ritratto? Da uno dei più celebri quaderni di Leonardo, il cosiddetto Codice del volo degli uccelli conservato alla Biblioteca Reale di Torino. Si trova nel verso del foglio 10 ed è un disegno in “sanguigna”, nascosto sotto la fitta scrittura.
Tra le righe spunta soltanto un naso rosso, e il disegno è talmente ricoperto dal testo in inchiostro nero che da sempre è passato inosservato. Il foglio è raramente riprodotto e solo per evidenziare quello che vi è scritto sulla possibilità del volo planato. Ho visto per la prima volta questa pagina in un fac-simile del Codice pubblicato dall’editore Giunti, in una preziosa edizione tirata in pochi costosissimi esemplari. Ero a casa del professor Carlo Pedretti, una delle massime autorità mondiali in studi leonardeschi e docente da quasi 50 anni all’Università di California a Los Angeles. Ero andato a trovarlo per preparare una serie di “appuntamenti con Leonardo” destinati alla nuova edizione di “Ulisse, il piacere della scoperta”.
Appena vidi quel naso rosso spuntare tra le righe capii subito che sarebbe stato possibile far riemergere il ritratto. Dissi al professor Pedretti che con ogni probabilità si sarebbero potute “virare” le scritte nere in bianco, per poi portarle al colore della carta. Infine ricollegare tra loro le linee mancanti nel disegno. Il professor Pedretti fu subito convinto di questa operazione. Mi disse anche che lui stesso, nel 1975, aveva tentato di fare riemergere quell’immagine con un procedimento foto-meccanico ma a quel tempo la tecnica non era adeguata.
La pagina venne trasferita su disco e la portai nel laboratorio di grafica della RAI, dove con il grafico Giovanni Stillitano cominciammo un lungo, paziente e minuzioso lavoro durato mesi per ritrovare le linee giuste da completare, compiere un restauro molto accurato, e infine realizzare una serie di elaborazioni delle immagini ritrovate.
Il programma racconta dettagliatamente questa storia e mostra soprattutto quanto il personaggio assomigli a Leonardo.
Infatti, poco dopo il ritrovamento del volto provai, in modo molto artigianale, con forbici e colla, a invecchiare il volto ritrovato e inserirlo dentro la chioma e la barba del celebre autoritratto: mi vennero i brividi ... Assomigliava a Leonardo come un fratello gemello!
Cominciarono così le elaborazioni elettroniche per realizzare in modo più preciso questo invecchiamento, attraverso un morphing graduale. Il risultato, davvero impressionante, è quello che si può vedere ora nel programma televisivo.
Mi venne a quel punto l’idea di compiere anche il processo inverso: cioè partire dal celebre autoritratto di Leonardo e “ringiovanirlo”: se si trattava dello stesso uomo avrei dovuto trovare anche in questo caso una stretta somiglianza tra il ritratto ritrovato e il Leonardo ringiovanito. Era la controprova. Anche in questo caso, come mostrerà il programma televisivo, la somiglianza risultò sorprendente.
Per avere conferma della correttezza delle nostre tecniche di invecchiamento e ringiovanimento, mostrai il lavoro svolto a un noto chirurgo estetico, il professor Giuseppe Leopizzi di Roma, e ai tecnici del laboratorio del RIS di Roma, il reparto di investigazione scientifica dei carabinieri: la loro risposta fu che il procedimento adottato era quello giusto.
Al fine di realizzare un confronto più coerente tra immagini di diversa età, chiesi al professor Giorgio Iannetti, ordinario alla Sapienza e chirurgo maxillo-facciale al Policlinico Umberto I, se era giusta la mia impressione che al Leonardo dell’autoritratto mancassero dei denti anteriori, e la risposta era stata sì.
Ma la risposta più documentata e significativa è arrivata recentemente dalla relazione tecnica del RIS di Roma, diretta dal tenente colonnello Luigi Ripani, che, a conclusione di un esame antropometrico, ha affermato quanto segue: “Le similitudini riscontrate tra le immagini a confronto consentono di esprimere un giudizio di COMPATIBILITA’, tale da ritenere ragionevole che le stesse ritraggano il medesimo soggetto”.
Per concludere ecco infine il parere espresso dal professor Pedretti su questo lavoro e sulla possibilità che il disegno ritrovato possa essere effettivamente un autoritratto di Leonardo da Vinci: “Io ne sono perfettamente convinto. Qui abbiamo a che fare con delle immagini che hanno le carte in regola. Io sono profondamente gratificato dai risultati di questa operazione; chiederei semplicemente di riflettere, di consultarmi con gli amici e i colleghi. Io mi sento profeta facile nel predire che questa sarà una delle acquisizioni più importanti nello studio di Leonardo, nello studio della sua immagine e anche, direi, nello studio del suo pensiero”.
Rimane un punto da chiarire. A che epoca risale il ritratto nascosto sotto la scrittura? Il quaderno viene datato 1505, ma il ritratto è stato ovviamente realizzato prima che Leonardo vi scrivesse sopra. Quanto tempo prima?
Negli 8 fogli centrali del quaderno appaiono altri sei piccoli disegni in sanguigna che non hanno attinenza con il volo degli uccelli, alcuni sono addirittura rovesciati, e tutti sono ricoperti dalla scrittura. È evidente che si tratta di vecchi fogli riutilizzati. Quanto vecchi? Difficile dirlo. Ma tra questi disegni ci sono due foglie di gelsomoro, l’albero su cui si allevano i bachi da seta. La seta era una ricchezza per Milano e il gelsomoro era uno degli stemmi personali di Ludovico il Moro. Leonardo visse molti anni a Milano, tra il 1482 e il 1499, e fu a lungo ospite di Ludovico il Moro [molti anni prima, quindi, nel 1505].
Come ha detto il professor Pedretti occorre ora un confronto tra studiosi per approfondire meglio i vari aspetti di questo ritrovamento e cercare di rispondere a certe domande che rimangono in sospeso.”
Piero Angela, Leonardo il volto nascosto, cronaca di un’indagine.

[2] La sera del 17 ottobre 1909, appena tornato dall’America, piuttosto inquieto per l’esperienza insoddisfacente nel nuovo continente, Sigmund Freud [1856-1939] scrive a Gustav Jung, allora suo amico e confidente, oltre che discepolo:
“Da quando sono tornato ho avuto un’idea. Il mistero del carattere di Leonardo mi è divenuto improvvisamente trasparente.”,
tanto da annunciare il progetto di utilizzare la nuova Scienza per una ricerca biografica.
Poco dopo, il 27 novembre dello stesso anno, Marcel Duchamp [1887-1968] annota nel suo famoso diario:
“[…] Lucien Métivet […] nel numero di Le Rire della settimana scorsa ha svelato al suo pubblico i sorprendenti effetti, su certi capolavori, delle lastre di vetro usate per proteggerli. Un guardiano del Louvre pensa ormai di essere uscito di senno: ha visto infatti i suoi baffi da tricheco e la sua barbetta riflessi […] sul celebre volto della Gioconda.”
Apparentemente i due fatti non hanno molto in comune – il primo porterà alla stesura di Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci, il secondo suggerirà a Duchamp uno dei suoi readymade, La Gioconda con i baffi –, ma il legame con l’opera freudiana è, in realtà, molto forte, Duchamp denuncia, pesantemente, ciò che Freud cerca invano di spiegare: il fascino conturbante del famoso sorriso di Monna Lisa affonderebbe le sue radici nell’androginia del soggetto.
Il primo rischio di un approccio psicoanalitico deviante consiste nel considerare l’opera d’arte un semplice documento o banco di prova per la verifica della teoria medica, una conferma, a esempio, di certe esperienze cliniche.
Analizzando la Gradiva [1903] di Wilhelm Jensen, nel 1907, Freud considera i sogni del personaggio e le sue azioni come se fossero i dati clinici di un individuo vivente.
“I poeti”,
scrive,
“sono alleati preziosi e la loro testimonianza deve essere presa in attenta considerazione, giacché essi sanno in genere una quantità di cose tra Cielo e Terra che il nostro sapere accademico neppure sospetta.”
Più interessante è il saggio, Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci, pubblicato nel 1910. Sarà, in seguito, rivisto e corretto nel 1919 e nel 1923. È uno dei più illuminanti esempi di uso della nuova scienza psicoanalitica per una ricerca biografica.
A causa della scarsità di notizie sulla vita privata e sulla infanzia del grande Genio rinascimentale, della incertezza e della frammentarietà del materiale disponibile, il lavoro non ha l’ambizione di fornire spiegazioni definitive. Alla fine del saggio Freud non manca, infatti, di ribadire i limiti della psicoanalisi, che, per quanto possa disporre di dettagliate informazioni e documenti storici, non potrà mai “farci comprendere l’inevitabilità del fatto che la persona in questione abbia avuto una determinata reazione e non un’altra… Dobbiamo ammettere qui un certo grado di libertà che non si può ulteriormente risolvere con mezzi psicoanalitici”.
È, anzi, chiaro in lui un prudente riserbo contro i pericoli di indebite generalizzazioni, che purtroppo non mancarono nelle applicazioni dei suoi seguaci.
Tuttavia, malgrado le remore dichiarate ed esplicitate, Freud si lascia appassionare dal Caso Leonardo da Vinci e lo tratta con un trasporto che difficilmente si ritroverà in altre parti della sua opera.
Il punto di partenza per la ricostruzione dell’infanzia del Genio, è una nota lasciata sul Codice Atlantico [C-61r] dallo stesso Leonardo da Vinci:
“Questo scriver sì distintamente del nibbio par che sia mio destino, perché nella prima ricordazione della mia infanzia e’ mi parea che, essendo io in culla, che un nibbio venisse a me e mi aprissi la bocca colla sua coda, e molte volte mi percotessi con tal coda dentro alle labbra.”
Freud, innanzitutto, rammenta che i ricordi infantili sono, in realtà, fantasie nate successivamente, quando l’infanzia viene, teoricamente, “ricostruita” e rivestono importanza fondamentale per fare luce sui lati più controversi della personalità dell’artista: la sua instabilità creativa, la incompiutezza di molti dei suoi capolavori e la gentilezza pressoché femminea del suo carattere.
All’episodio riferito da Leonardo da Vinci fornisce due interpretazioni, riconducendolo sia a un atto sessuale orale, marcatamente passivo, reminiscenza della memoria dell’allattamento, sia all’immagine egizia della Dea-Madre Mut, raffigurata come uccello-avvoltoio.
L’avvoltoio, considerato nell’Antichità di sola specie femminile, fecondato dalla forza del vento, era divenuto simbolo, per la Patristica Cristiana, della nascita di Cristo, concepito da Vergine per opera dello Spirito Santo.
Leonardo da Vinci, argomenta Freud, era figlio illegittimo del notaio Pietro da Vinci e della giovane contadina Caterina, quindi, “figlio di sola madre”, “figlio di avvoltoio”.
I primi anni dell’infanzia, secondo la ricostruzione di Freud, Leonardo da Vinci li avrebbe trascorsi, esclusivamente, con la madre. Da fonti storiche si apprende che poi, all’età di cinque anni, il bimbo andò a vivere con il padre e con la giovane moglie di lui, Albiera.
Per Freud, dunque, il nibbio-avvoltoio è la madre, mentre la coda è il pene che il fanciullo ha pensato come attributo sessuale della madre. La scoperta che la madre ne fosse priva, e la delusione conseguente, avrebbero prodotto un desiderio – frustrato – di rintracciare in altre persone la tenerezza che aveva ispirato i rapporti felici tra lui e la madre durante i primi anni d’infanzia:
“La concentrazione sull’oggetto che una volta era così fortemente desiderato, il pene della donna, lascia tracce indelebili sulla vita mentale del bambino che ha perseguito con particolare accuratezza questa parte delle ricerche sessuali infantili.”
Freud spiega, poi, quelle notizie circa la vita di Leonardo da Vinci che lo vedrebbero come “sessualmente non attivo o omosessuale”, cui lo indirizzarono proprio le prime esclusive tenerezze materne: l’amore per la madre viene rimosso, ma il figlio prende il posto della madre e la sua stessa persona diventa il modello dei suoi oggetti d’amore. Leonardo si circonda di giovani, bellissimi assistenti, noti sicuramente più per la loro prestanza che per le doti artistiche. Ama i giovinetti come sua madre ha amato lui: il narcisismo è la base della sua scelta d’oggetto.
Questo tipo di investimento oggettuale si può riscontrare non solo nella scelta dei suoi allievi, ma anche nell’atteggiamento nei confronti delle sue opere, che, spesso, trascura come il padre aveva trascurato lui all’inizio della sua vita. Il momento della soddisfazione artistica viene differito così come viene inibita la realizzazione fisica della sessualità, che, quindi, secondo Freud, sarebbe rimasta inespressa, repressa, sublimata attraverso la curiosità intellettuale, l’indagine, la sperimentazione.
Freud crede all’assoluzione ottenuta da Leonardo da Vinci, che, a ventiquattro anni, a seguito di una denuncia anonima, venne incriminato e processato per sodomia, proprio sulla base delle testimonianze dei contemporanei, che lo descrivevano assolutamente lontano da ogni passione che non fosse la brama di conoscenza, e su quanto dedotto dalla sua analisi psico-biografica. Per Freud, Leonardo da Vinci fu un esempio di totale rifiuto della sfera sessuale. Freud, nel saggio, sottolinea come Leonardo da Vinci ritenesse brutale l’atto riproduttivo. Divenuto maestro, si circondò di bei ragazzi, suoi discepoli, e questo non fece altro che far aumentare le voci sul suo conto. Il disinteresse verso la vita sessuale porta Freud a definire quello del maestro come un atto di sublimazione in cui il desiderio sessuale ed il suo appagamento furono sublimati in una pulsione di ricerca, una brama di sapere appagata solo dalla scoperta.
Nel primo capitolo del saggio, Freud definisce Leonardo da Vinci “uno dei più grandi uomini del Rinascimento italiano”, il tributo a questo genio ed eroe personale fu, quindi, in un certo senso, doveroso nel momento in cui decise di cimentarsi, nell’ambito della dibattuta relazione tra arte e psicoanalisi, in una psicobiografia.
I risultati presentati da Freud si dimostreranno, con il tempo, non del tutto veritieri. Resta, tuttavia, importante sottolineare come una psicoanalisi “larvale” abbia provato a espandersi in un territorio fecondo di interpretazioni psicologiche.
È noto l’errore di traduzione che costituisce l’abbaglio più clamoroso di Freud. Le opere su cui si era documentato – il celebre romanzo di Dmitrij Sergeevic Merezkovskij [1865-1941] sulla vita di Leonardo, Leonardo, o la Resurrezione degli Dei  [1901], e un saggio di Nino Smiraglia Scognamiglio, Ricerche e documenti sulla giovinezza di Leonardo da Vinci [1900], nella versione in tedesco di Maria Herzfeld – traducevano il nibbio della fantasia leonardesca con la parola tedesca Geier, che significa avvoltoio, anziché usare Milan. Lo scambio di pennuti, in realtà, non è così grave, anche il nibbio, in quanto uccello, è, innegabilmente, un simbolo fallico.
Non cambia la sostanza dell’interpretazione psicoanalitica della fantasia leonardesca, né è possibile negare che la simbologia dell’avvoltoio, come affermato da Freud, fosse conosciuta da Leonardo da Vinci, che, di fatto, la utilizza nel famoso crittogramma del quadro di Sant’Anna con la Vergine e il Bambino, che Martin Clayton [https://www.youtube.com/watch?v=KLwnN2g2Mqg] ha, esaurientemente, esaminato nel corso del Convegno di Palazzo Loredan, legato alla Mostra Leonardo & Venezia, svoltasi a Palazzo Grassi, a Venezia, dal 23 marzo al 5 luglio 1992.
Il 17 giugno 1910, Jung esprime a Freud il suo entusiasmo per il saggio:
Il Leonardo è splendido.
[ ... ] Ho subito letto il Leonardo da cima a fondo.
[ ... ] È propriamente il primo dei Suoi scritti con le cui direttrici interne io mi sento a priori in perfetta sintonia.”
Salvo scrivere poi:
“Sarebbe piacevole per me fermarmi ancora in queste impressioni e abbandonarmi tranquillamente ai pensieri che vogliono collegarvisi e svilupparsi a catena.”
Sigmund Freud, Epistolario, Lettere tra Freud e Jung, 1906-1913.
Jung, per primo, a quanto sembra, vide un avvoltoio profilarsi nel panneggio del dipinto di Sant’Anna con la Vergine e il Bambino. L’avvoltoio “ha il becco esattamente nella regione pubica”.
Nel 1913, lo psicoanalista svizzero, amico e allievo di Freud, il pastore protestante Oskar Pfister [1873-1956], credette si potesse scorgere un avvoltoio come crittogramma inconscio. Il drappeggio che copre le gambe della Vergine, di colore blu, disegna quello che sembra essere proprio il contorno di un avvoltoio, con la testa appoggiata al fianco della Vergine, l’ala che scende lungo la gamba e la coda che lambisce la bocca del bambino. Nascosto tra le forme del dipinto, l’avvoltoio-madre continua a compiere l’atto di quella antica fantasia di Leonardo da Vinci.
Freud ne avalla la legittimità in un’aggiunta all’edizione del 1919, ma riconosce che “non tutti si sentiranno disposti a riconoscerne la validità”.  

[3] “I sacrifici devono essere fatti!”
Karl Wilhelm Otto Lilienthal venne sepolto nel cimitero di Lankwitz, presso Berlino, e sulla sua tomba è riportata la celebre citazione di Leonardo da Vinci:
“Piglierà il primo volo il grande uccello, empiendo l’universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e di gloria eterna el nido dove nacque.”

[4] “L’ acqua percossa dall’acqua fa circuli dintorno al loco percosso. Per lunga distanzia la voce infra l’aria. Più lunga infra ’l foco. Più la mente infra l’universo. Ma perché l’è finita non s’astende infra lo ’nfinito».
[Paris, Institut de France, Ms H, f. 67r]
Questo frammento del 1494 circa, intitolato, significativamente, De anima, ad alludere alla vitalità del “corpo” della Terra come macrocosmo
naturale, di cui l’acqua costituisce il fluido essenziale, ricorre alla classica immagine del sasso lanciato nello stagno – indice insieme di poetico lirismo e di sperimentale acribia –, per evocare la visione, di struggente bellezza, dei circuli ovvero le concentriche risonanze prodotte dalla mente nella contemplazione dello spazio incommensurabile dell’Universo, esattamente come le onde si propagano indefinitamente sulla superficie dell’acqua dal punto dell’impatto.
Questa suggestiva riflessione sulla prodigiosa naturalità dei fenomeni osservabili e rappresentabili così nell’Universo esteriore come nella coscienza interiore, non deve, tuttavia, far dimenticare la terribilità dello scatenamento incontrollato delle forze naturali, spesso, affidato proprio all’azione dirompente delle acque e degli agenti atmosferici. Le “operazioni” della Natura, anche quando distruttive, si segnalano pur sempre, in Leonardo da Vinci, per il loro carattere “mirabile”, come mostrano i disegni e le scritture della tarda serie del Diluvio.
Nella sua memorabile “Lettura Vinciana” sulle “curve della vita” di Leonardo da Vinci, estrinsecazione visiva razionale – matematicamente e geometricamente perfetta – di principi organici e generativi propri della Natura, Kenneth Clark fa, infatti, notare come “l’impotenza degli esseri umani di fronte a terremoti, inondazioni e ad altri fenomeni naturali” debba avere rappresentato “scoperta ben tragica per chi aveva considerato la Natura con tanto amore”, al punto da trovare “espressione in una serie di […] visioni di distruzione in cui le curve della vita diventano le curve della morte”.