500 anni fa moriva
LEONARDO
di Messser Piero da Vinci
[Anchiano, 15 aprile 1452 – Amboise,
2 maggio 1519]
a mio Padre e a mio
Nonno
La Passione per il
Disegno e per la Pittura è una Passione che mi porto dentro sino da piccola, nata
guardando mio Padre e mio Nonno disegnare e dipingere. All’inizio erano loro a
fare dei disegni per me, ma, poi, a poco a poco, ho iniziato a farne io per
loro.
Noi tutti siamo esiliati
entro lo cornici di uno strano quadro.
Chi sa questo, viva da grande,
Gli altri sono insetti.
Leonardo
Ernesto Solari, artista e studioso
esperto di Leonardo, attribuisce al Maestro questa terracotta, raffigurante un Gesù
fanciullo, che avrebbe avuto come modello Salaì e di cui avrebbe fatto, in più
occasioni, una precisa descrizione il pittore Giovanni Paolo Lomazzo, che ne sarebbe
venuto in possesso.
PUBLIO ELIO TRAIANO ADRIANO
UOMINI DI STORIA
STORIA DI UOMINI
1950 anni fa
nasceva Adriano l’Imperatore della Pax Romana
di Daniela Zini
AKHENATON
UOMINI DI STORIA
STORIA DI UOMINI
Amenofi IV l’Apostata
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JULIAN PAUL ASSANGE
Se
WikiLeaks?...
di Daniela Zini
MIKHAIL VASILYEVIC BEKETOV
Veni,
Vidi, Vi[n]ci
I.
Giornalista, cronaca di una morte annunciata
di Daniela Zini
ZINE EL-ABIDINE BEN ALI
Ben Ali in fuga
dalla Craxi Avenue
di Daniela Zini
PAOLO BORSELLINO
SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
6. MAFIA: “UN
MUOITTU SULU ‘UN BAISTA, NI SIEBBONO CHIOSSAI!” a. Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino furono sacrificati alla Ragione di Stato?
ANGELO BRUNETTI
UOMINI DI STORIA
STORIA DI UOMINI
114 anni fa
nascava Ciceruacchio
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ANTONINO CAPONNETTO
Memento Memoriae
di Antonino Caponnetto
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ANTON PAVLOVIC CECHOV
UNA VIAGGIATRICE EUROPEA ALL’ALBA DI UN NUOVO MILLENNIO SULLE STRADE CHE VIDERO GENGIS
KHAN E MARCO POLO
Sakhalin: l’Inferno
dei reclusi a vita
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BLAISE CENDRARS
Blaise Cendrars il soldato vagabondo che inventò la Poesia
Moderna
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CONFUCIO
Confucio e l’antica
cultura
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DONATIEN-ALPHONSE-FRANCOIS DE SADE
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Il Divino Marchese
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DARIO I IL GRANDE
La gloria di Re
Dario tramonta a Maratona
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CECCO D’ASCOLI
UOMINI DI STORIA
STORIA DI UOMINI
Cecco d’Ascoli astrologo
senza paura
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DWIGHT DAVID EISENHOWER
50 anni fa il
monito di Eisenhower
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GIOVANNI FALCONE
Omaggio a Giovanni
Falcone
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MEMENTO MEMORIAE
Giovanni Falcone
ce l’ha insegnato, la Mafia è un reato!
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SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
6. MAFIA: “UN
MUOITTU SULU ‘UN BAISTA, NI SIEBBONO CHIOSSAI!” a. Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino furono sacrificati alla Ragione di Stato?
MOHANDAS KARAMCHARD GANDHI
La non-violenza
sconfiggerà la violenza
di Daniela Zini
La non-violenza
sconfiggerà la violenza?
GESU’ DI NAZARET
Gesù e le donne
di Daniela Zini
Gesù e i fanciulli
di Daniela Zini
FLAVIO CLAUDIO GIULIANO
Giuliano il
restauratore del Paganesimo
di Daniela Zini
JOHN MAYNARD KEYNES
Keynes, profeta del New Deal
di Daniela Zini
MARTIN LUTHER KING
I have a dream…
di Daniela Zini
THOMAS EDWARD LAWRENCE
125 anni fa
nasceva El Aurens Lawrence d’Arabia
di Daniela Zini
MALCOLM
UOMINI DI STORIA
STORIA DI UOMINI
Malcolm X
di Daniela Zini
NELSON ROLIHLAHLA MANDELA
Nelson Mandela una
candela nel vento
di Daniela Zini
BRADLEY EDWARD MANNING
Eroi o traditori?
I. Il processo di
Bradley Manning minaccia il giornalismo di inchiesta
di Daniela Zini
TOMAS GARRIGUE MASARYK
Dopo 60 anni
ancora un enigma la fine di Masaryk
di Daniela Zini
JAFAR PANAHI
Omaggio a Panahi
di Daniela Zini
JORGE RAFAEL VIDELA REDONDO
UNA VIAGGIATRICE EUROPEA ALL’ALBA DI UN NUOVO MILLENNIO SULLA ROTTA DI CRISTOFORO COLOMBO
Argentina I. La
Tripla A: un nome che semina morte
di Daniela Zini
LEV NICOLAEVIC TOLSTOJ
UOMINI DI STORIA
STORIA DI UOMINI
105 anni fa moriva
Lev Nicolaevic Tolstoj
Autoritratto di Leonardo
“I moti del Vinci sono della nobiltà dell’animo, della facilità,
della chiarezza d’imaginare, della natura di sapere, pensare et fare, del
maturo consiglio, congiunto con la beltà delle faccie, della giustitia, della
ragione, del giuditio, del separamento delle cose ingiuste dalle rette, dell’altezza
della luce, della bassezza delle tenebre, dell’ignoranza, della gloria profonda
della verità, et della carità regina di tutte le virtù. Così Leonardo parea che
d’ogni hora tremasse, quando si ponea a dipingere, e però non diede mai fine ad
alcuna cosa cominciata, considerando quanto fosse la grandezza dell’arte, talché
egli scorgeva errori in quelle cose, che agli altri pareano miracoli. Leonardo nel
dar il lume mostra che habbi temuto sempre di non darlo troppo chiaro, per riservarlo
a miglior loco et ha cercato di far molto intenso lo scuro, per ritrovarli suoi
estremi.
Onde con tal arte ha conseguito nelle faccie e corpi, che ha fatti
veramente mirabili, tutto quello che può far la natura. Et in questa parte è stato
superiore a tutti, tal che in una parola possiam dire che ‘l lume di Leonardo sia
divino.”
Giovanni Paolo Lomazzo
[1538-1592]
1.
Perché Leonardo?
Perché, oggi, Leonardo è tra noi con una vitalità che poche
figure della Storia, dell’Arte, della Scienza – anche di epoche ben più recenti
– possono vantare.
Di Leonardo, certamente uno dei più inquieti Geni dell’Umanità,
non si può considerare un aspetto se non intimamente connesso con gli altri.
Possiamo parlare delle Opere d’Arte sulle quali, esclusivamente,
la sua fama si è sostenuta, per circa tre secoli, o considerare la sua
artigiana genialità che mossa da una sfrenata curiosità, da una sconfinata sete
di conoscenza, quantunque “omo senza
lettere”, lo portò alle più geniali anticipazioni e intuizioni di scoperte
e Verità. Possiamo valutare, ancora, la fermezza d’animo dell’individuo che, chiaramente
controcorrente, per amore di vera Scienza si spinse avanti nelle sue
intenzioni, attitudini, pensieri e azioni, senza troppo preoccuparsi del
discredito tra i suoi contemporanei che, quando non lo accusavano di
profanazione e, perfino, di negromanzia, ne lamentavano che poco si dedicasse
all’Arte in cui appariva eccelso e che, invece, troppo amasse “i capricci del filosofar delle cose
naturali”.
È questo “filosofar”
la chiave per penetrare, anche, gli altri molteplici aspetti di un geniale
eclettismo?
Se per filosofia si intende una concezione organica del reale,
una ricerca sistematica della Verità, la coscienza speculativa di Leonardo ha,
certamente, raggiunto l’ambita Verità non tanto con il potere riflessivo della
mente, quanto con l’oggettivo proiettarsi della mente nella Natura, con il
ritrovare nella esperienza le ragioni della Scienza e la via per attuare il
dominio dell’Uomo su questa Natura. Temi universali, senza confini di Spazio o
di Tempo. E da qui viene l’attualità di un messaggio che è rivolto al Futuro
dell’Uomo; da qui viene la profondità di una interpretazione che offre cerchi,
sempre, più ampi di ispirazione e di stimolo alle persone, anche dopo cinque
secoli dalla morte del Maestro.
In quel crogiolo di menti eccelse che il Rinascimento è stato
per il mondo dell’Arte e della Cultura, la figura di Leonardo campeggia dall’alto del suo incommensurabile bagaglio
del sapere. È lui il Genio Universale, nell’accezione sublime del termine, il
poliedrico cervello cui nulla sfugge, tutto compreso del mosaico di conoscenze
che persegue, con una profondità metodica, solo apparentemente scomposta.
Nella sua eccezionale apertura mentale, Leonardo si rivela un
portentoso innovatore, l’Uomo che “riprende tutto da capo”, per penetrare il
mistero dell’Universo Umano nei suoi più reconditi aspetti, anticipando a tal
punto i tempi da non essere compreso a pieno dai suoi contemporanei.
Non vi è materia che non abbia sviscerato, elaborando nuove e
originali teorie che non sono state alla base del moderno progresso
scientifico.
I suoi progetti architettonici si sono rivelati di una
sorprendente attualità, perfino, in questo secolo che brucia gli ingegni
sull’altare del continuo rinnovamento.
Un Genio della sua levatura è, davvero, una plurisecolare rarità
dalle origini misteriose, che si manifesta al genere umano con una frequenza
tristemente rarefatta.
Una simile virtù, condensata in somma misura, non segue,
purtroppo, le leggi cromosomiche della successione ereditaria.
Il dopo Leonardo si configura come una coltre nebbiosa, dietro
la quale vi è soltanto un vuoto sconfortante, un buio quantificabile in anni
luce di eclissi intellettuale.
Il 24 ottobre 1971, la RAI
mandava in onda la prima delle cinque puntate dello sceneggiato La vita di Leonardo da Vinci per la regia di Renato Castellani.
Era un’opera ambiziosa, che aveva richiesto circa sei mesi di
lavorazione e l’impiego di oltre un centinaio di attori e cinquecento comparse
ed era stata girata nelle diverse città italiane, che il Sommo Leonardo aveva
toccato nel corso della sua vita, Roma, Firenze, Milano e Venezia, solo per
citarne alcune.
Un’opera che si discostava molto dalle produzioni televisive
girate fino ad allora.
Castellani, conscio delle molte zone d’ombra della vita di
Leonardo, aveva scelto di avvalersi dell’attore Giulio Bosetti quale voce narrante
per interagire con il reale, creando una curiosa commistione di epoche, con i
figuranti in abiti rinascimentali e Giulio Bosetti, disinvoltamente tra loro,
vestito, in modo inappuntabile, in completo grigio e cravatta.
Lo sceneggiato si apriva con le ultime ore di vita di Leonardo.
È il 2 maggio del 1519.
Il sessantasettenne Leonardo è, dall’autunno del 1516, ospite
del suo più grande estimatore, il Re di Francia Francesco I, nel Castello di
Clos Lucé.
Leonardo è nel suo letto, indebolito da una
probabile trombosi cerebrale, che gli ha tolto, parzialmente, l’uso
della mano destra e sta per ricevere la visita del Re in persona, preoccupato
per le sue condizioni di salute.
Tenta di sollevarsi dal letto, ma il Sovrano lo esorta a non sforzarsi:
“Come state, mon ami?”
chiede Francesco I a Leonardo.
“Pensavo a quante
cose non fatte, studiate, incominciate…”
“Quante cose che
avete fatto, invece…”
risponde il Re.
Era un Uomo affascinante, racconta Giulio Bosetti, citando Giorgio
Vasari:
“Grandissimi doni
si veggono piovere dagli influssi celesti ne’ corpi umani molte volte
naturalmente, e sopra naturali, talvolta, strabocchevolmente accozzarsi in un
corpo solo bellezza, grazia e virtù, in una maniera, che dovunque si volge quel
tale, ciascuna sua azzione è tanto divina, che lasciandosi dietro tutti gl’altri
uomini, manifestamente si fa conoscere per cosa [come ella è] largita da Dio e
non acquistata per arte umana. Questo lo videro gli uomini in Lionardo da
Vinci, nel quale oltra la bellezza del corpo, non lodata mai a bastanza, era la
grazia più che infinita in qualunque sua azzione; e tanta e sì fatta poi la
virtù, che dovunque l’animo volse nelle cose difficili, con facilità le rendeva
assolute. La forza in lui fu molta e congiunta con la destrezza, l’animo e ‘l
valore, sempre regio e magnanimo.”
Il David di Andrea di Michele di Francesco di Cione detto il Verrocchio [1435-1488] è una scultura bronzea, databile
al 1472-1475 e conservata nel Museo del Bargello, a Firenze. Questo giovane, dolce
e spavaldo David, che è scolpito
qualche decennio dopo quello di Donatello e ricalcherebbe le
sembianze di Leonardo adolescente, è uno degli esempi più significativi della Scultura Rinascimentale,
che ribalta i canoni precedenti per tornare agli ideali classici dell’Arte. Il Verrocchio lo esegue per i Medici, ma,
nel 1476, viene acquistato dalla Signoria di Firenze.
Immersa tra gli olivi secolari del Monte Albano, in un paesaggio
pressoché immutato nel tempo, la Casa Natale di Anchiano è il luogo simbolo del
legame di Leonardo con la sua città. In questa semplice dimora di campagna, a
pochi chilometri dal borgo di Vinci, Leonardo nacque il 15 aprile 1452.
L’antico complesso, di cui è attestata l’esistenza già nel 1427, è stato donato
al Comune di Vinci dal Conte Giovanni Rasini di Castelcampo per essere
trasformato in Museo, nel 1952.
La storia dei brevi
amori di Caterina e di Messer Piero era una storia come tante altre, ma è per
noi come illuminata di azzurro, del bell’azzurro del cielo toscano, del grigio
argenteo degli ulivi, del verde delle vigne e degli arbusti che crescono sui
fianchi del Monte Albano.
Se qualche
fattucchiera avesse predetto a Caterina che il figlio da lei partorito avrebbe
parlato, un giorno, da pari a pari, con i Principi e i Re, indubitabilmente, non
se lo sarebbe lasciato strappare così facilmente dalla famiglia di Messer
Piero.
Caterina viveva a
Vinci, un borgo sito a qualche chilometro da Firenze; era una bella e robusta
contadina, ma la povertà le toglieva qualsiasi speranza di sposare il suo seduttore,
quel Messer Piero che, pur esercitando, da due anni, la professione di notaio,
aveva soltanto ventitré anni quando si incapricciò di lei.
Per mettere fine a
questa relazione, la famiglia del giovane lo sposò a una fanciulla della ricca
borghesia: Albiera di Giovanni d’Amadori.
Le nozze furono
celebrate, nel 1452, pochi mesi dopo la nascita di Leonardo, frutto degli
illegittimi amori di Messer Piero con Caterina. Quando costei si sposò, a sua
volta, con un contadino, Messer Piero prese il bambino presso di sé. Non sarà
che dalla sua quarta moglie, Lucrezia, che avrà due figli legittimi: ma, nel
frattempo, allevato da una estranea, il bambino non conobbe le gioie dell’amore
materno e la sua educazione fu molto trascurata. Tuttavia era di spirito
curioso e di animo ardente e appassionato e riversava la sua sete inappagata di
tenerezza, nel corso di frequenti passeggiate intorno a Vinci, su tutta la
natura, gli animali, gli alberi, i campi, le rive dell’Arno, le rocce del Monte
Albano e i torrenti che ne sgorgano. Più tardi, quando la fortuna gli
sorriderà, Leonardo gradirà possedere dei cavalli e molte specie di animali e,
amandoli, li tratterà sempre con molta dolcezza.
A Firenze, a Milano
e a Roma, si fermerà, sovente, davanti alle botteghe dei venditori di uccelli e
acquisterà gli uccellini solo per trarli fuori lui stesso dalle gabbie e
rendere loro la libertà.
La Natura era stata
prodiga con questo giovane di tutti i doni che poteva elargirgli.
Era bellissimo,
amabile, di una forza fisica e una grazia senza pari.
La sua intelligenza
era così vasta e penetrante che poteva risolvere, senza sforzo, qualsiasi
difficoltà si presentasse al suo spirito.
Aveva la parola
pronta e convincente, eccelleva in tutte le arti, era matematico, geometra,
ingegnere, naturalista, fisico, filosofo, musicista, architetto, scultore,
pittore e, perfino, scrittore, e tutto ciò che erompeva dalle sue mani e dalla sua
mente suscitava ammirazione.
Solo il suo animo
incostante dissipava, a volte, questi doni.
Iniziava molte più
cose di quante non ne avrebbe condotte a buon fine, ma ciò che è restato delle
sue creazioni, tanto sovente disperse, è stato, dopo la sua morte, raccolto
come reliquia senza pari…
Pur occupandosi
delle cose più diverse, Leonardo da Vinci aveva iniziato, molto presto, a
dipingere e a disegnare.
Un giorno, un
contadino delle terre di Messer Piero, andò a trovare il notaio e gli affidò
uno scudo di legno tagliato nel tronco di un fico, pregandolo di farlo decorare.
Messer Piero diede lo
scudo al figlio, esortandolo a dipingervi sopra qualcosa.
Dopo averlo fatto
sgrossare e piallare, Leonardo lo ricoprì di gesso.
Cosa poteva mai
dipingere?
Un’idea bizzarra gli
germoglia.
Di questa arma
difensiva farà il terrore per chi assalirà chi la possiede; lo scudo li
pietrificherà come la testa di Medusa sullo scudo di Minerva.
L’idea lo diverte.
Sul tavolo della
sala dove lavora raccoglie lucertole, serpenti, pipistrelli, un cane morto, un’istrice,
una tartaruga e, mettendo insieme diverse membra di quei corpi, crea un mostro,
una specie di drago che esce da una roccia, la bocca spalancata, gli occhi
scintillanti e le froge che lanciano fiamme.
L’opera è compiuta,
quando Messer Piero entra nella stanza del giovane. Non si rende conto che ciò
che vede è solo un dipinto, impallidisce, arretra di un passo, ma quando sente
suo figlio proferire tranquillamente:
“Padre mio, la mia
opera produce su di voi l’effetto che io mi attendevo da essa?”,
non nasconde il suo
stupore.
Messer Piero è un
uomo accorto negli affari e, dopo avere elogiato l’opera del figlio, ne intuisce
una fonte di guadagno. Ha, appena, visto da un bottegaio di Firenze uno scudo
ornato con un cuore trafitto da una freccia; lo acquista per pochi soldi e lo
consegna al contadino che se ne dichiara soddisfattissimo.
Quello dipinto da
Leonardo lo vende, invece, per 100 ducati, a certi mercanti che, a loro volta,
lo cederanno al Duca di Milano per una somma tre volte superiore.
Poco tempo dopo il
suo secondo matrimonio, Messer Piero si trasferisce a Firenze e porta i disegni
di suo figlio all’amico Andrea di Michele di Francesco di Cione, che ha preso
il nome di Verrocchio. Orafo, come il
suo omonimo Maestro, e, inoltre, scultore e pittore, Andrea gode di una grande
fama in tutta la terra di Toscana. I disegni gli piacciono e offre a Leonardo
di andare a vivere presso di lui insieme agli altri allievi che, secondo la
consuetudine, nutre, veste e istruisce.
Leonardo ha, appena,
sedici anni quando entra dal Verrocchio.
È alto, slanciato, i suoi riccioli biondi cadono sulle sue larghe spalle, è un
adolescente così bello che lo prendono, spesso, quale modello per dipingere gli
Arcangeli.
Andrea di Michele di Francesco di Cione detto Il Verrocchio [1435-1488], Il Battesimo di Cristo , databile tra il
1475 e il 1478.
Galleria degli Uffizi, Firenze
Nella bottega del Verrocchio, questo “Arcangelo” si lega
di grande amicizia con il Perugino,
più vecchio di lui di sei anni, e con Lorenzo di Credi, di sette anni più
giovane.
Oltre a studiare la
geometria e la prospettiva, apprende a modellare la creta, scolpire il marmo,
cesellare i metalli, fondere il bronzo.
È mancino, ma si
serve indifferentemente di tutte e due le mani.
Leonardo diviene,
presto, così abile che il Verrocchio
gli affida qualche particolare dei suoi quadri.
È così che esegue
uno degli Angeli che appaiono nel dipinto Il
Battesimo di Cristo.
L’Angelo dipinto da Leonardo [a sinistra] nel dipinto del Verrocchio: Il Battesimo di Cristo.
Seppure ancora
giovanissimo, narra Giorgio Vasari, Leonardo rese questa figura con tale
perfezione che Andrea, disperato nel vedere che un ragazzo ne sapesse più di
lui, non volle più toccare il pennello.
Ma questo non è
esatto.
Leonardo beneficerà ancora
degli insegnamenti del Verrocchio
fino al 1476.
Monumento Onorario a Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci e
Paolo dal Pozzo Toscanelli, eretto nel XIX secolo, nella Basilica di Santa
Croce, a Firenze.
Desideroso di
comprendere tutto, interroga i sapienti che vengono a trovare il Maestro o che
incontra in città, pone loro infinite domande e li mette, di frequente, in
imbarazzo, esponendo dubbi e sollevando difficoltà.
Leonardo si era avvicinato, tra il 1474 e il 1479, al mondo
della scienza; con l’anziano geografo e astronomo Paolo dal Pozzo
Toscanelli aveva approfondito gli studi di anatomia, assisteva alla dissezione
dei cadaveri a lume di candela, nelle camere mortuarie degli ospedali, studiava
la fisica [il moto delle acque, il volo degli uccelli] e la meccanica e
verificava le sue teorie tramite esperimenti diretti. Questo tipo di ricerca
era, severamente, punita dalle leggi del tempo, e Leonardo, scoperto a compiere
ricerche su un cadavere, andò in carcere. Solo grazie all’intervento immediato
del Duca Ludovico il Moro, venne liberato.
Nel Codice di Madrid, rivolgendosi a un immaginario
interlocutore, Leonardo scrive:
“Bada tu da che
maravigliose strutture ed invenzioni egli corpo è composito che niuno cervello
d’ingeniere o sublime meccanico potrebbe immaginare. E anco tu se l’indaghi e
lo leggi ad ogni istante te dovrai stupefacere pe’ quanti magnefici aggetti
movimentano esso corpo e producono flusso di sangue pe’ tutti li canali, anco
li più minuti. Come allocchito te starai dinanzi al moto delle costole che
sollevano i polmoni che, simile a uno pussente soffiatore, inspirano l’aria e
la ripompano de fuora. Io te dimando come si puote distruggere, uccidendola,
una sì fatta macchina, una sì stupefacente creazione della natura. Non truovi
tu sia cotesta distruzione orribile e crudele? Ma se poi tu consideri che
dentro esso corpo non alloggia solo movimento, vita e potenza che lo aziona, ma
si ritruova lo spirito, la ragione che n’è l’anima stessa d’uno suo intelletto
pruodigioso, allora se ne intendi il miracolo tu ne rimarrai per intero
sgomento all’idea che si possa toglier vita e render morta una sì fatta
creatura !”
Durante le ore di
svago, Leonardo si dedica allo studio della fisica e della storia naturale, e,
in pari tempo, a quello della meccanica. Inventa in questo periodo ogni sorta
di macchine: laminatoi, filatoi, torni e, perfino, un orologio ad acqua e uno
ad aria compressa, grazie ai quali può misurare la durata dei suoi esperimenti.
Seguendo l’illustre Paolo dal Pozzo Toscanelli
[1397-1482], si appassiona, anche, all’astronomia.
Ma la gioventù accampa i propri
diritti e, in assenza del Maestro, suona il liuto ai compagni di bottega, canta
in coro con loro, ama gli scherzi e le burle e si diverte a fare davanti agli
amici dei piccoli esperimenti di fisica. Si pavoneggia, anche, della
eccezionale forza, giacché può, con un semplice movimento delle sue belle mani,
spezzare una sbarra di ferro o torcere un ferro di cavallo.
Poco tempo dopo il suo ingresso nella
bottega di Andrea, aveva assistito a un grande torneo, offerto da Lorenzo il
Magnifico agli abitanti di Firenze, in occasione della firma della pace con la
Repubblica di Venezia.
Uso alla vita semplice del suo
villaggio, Leonardo fu sconvolto dallo splendore di quella festa e, da allora,
non fece che sognare l’indipendenza, la vita fastosa e la gloria.
A quattro anni di distanza, oramai
ventenne, sorride della ingenuità di un tempo, ma non rinnega le emozioni della
sua infanzia. Il periodo di apprendista è terminato e si iscrive al Libro Rosso de’ debitori e creditori della
Compagnia de’ Pittori di Firenze; ma Messer Piero, suo padre, non è
disposto a venirgli in aiuto e Leonardo deve continuare ad abitare presso Il Verrocchio, oramai come aiutante.
È così a corto di danari che non può
neppure pagare la quota di membro della corporazione dei pittori né comperare
le candele che si accendono per consuetudine davanti all’immagine di San Luca
il giorno della Festa del Santo.
Trascorrono due anni
e la Signoria di Firenze gli commissiona una pala di altare per la Cappella di
San Bernardo.
Nell’immaginazione
dell’artista questa pittura prende corpo e Leonardo pensa, già, alla gloria che
gliene verrà, quando grandi disordini mettono in subbuglio tutta la
Toscana.
Una domenica di
aprile del 1478, scoppia la Congiura dei Pazzi. Giuliano de’ Medici, fratello
minore di Lorenzo il Magnifico, viene assassinato nel Duomo di Firenze durante
la messa solenne. Inseguito dagli assassini fino nella Sacrestia, Lorenzo si
salva solo grazie alla presenza di spirito e al coraggio che gli sono propri.
Ma la Congiura dei
Pazzi ha fatto differire la commissione del quadro che Leonardo doveva
dipingere.
er risarcirlo, in
qualche modo, gli danno alcune commesse, tra le quali una piccola Annunciazione
che deve servire da predella per una grande pala di altare.
La composizione
risulta ispirata e squisita.
Il corpo reclino, il
viso pudicamente abbassato, la Vergine è inginocchiata davanti a un leggio, le
mani incrociate sul petto. In ginocchio lui stesso, le ali frementi, l’Arcangelo
Gabriele alza per benedirla due dita della mano destra e il gesto simbolico
completa il movimento delle labbra che pronunciano le parole meravigliose:
“Ave Maria!”
Intanto era
scoppiata la guerra tra Roma, Napoli e Firenze.
Leonardo,
appassionato di balistica, inventa affusti che rendono più maneggevoli i
pesanti cannoni. Disegna delle bombarde e, perfino, un cannone leggero, a molte
canne, una sorta di mitragliatrice, fissato su un affusto a ruote dentate, che
assicurano la stabilità al congegno e la precisione del tiro.
Firmata la pace,
Leonardo mette da parte questi progetti di nuove armi che, peraltro, la
Signoria aveva, sempre, rifiutato di prendere in esame e ritorna ai pennelli.
A dispetto della
fama, la sua vita è difficile.
Mentre altri Maestri
fiorentini, Domenico Ghirlandaio, Sandro Botticelli, Pietro Perugino, Cosimo
Rosselli, sono sovraccarichi di ordinazioni, lui, il più grande di tutti, non
ha lavoro e soffre di essere lasciato in disparte.
Cade in un amaro
sconforto che gli impedisce di portare a termine anche i pochi quadri che gli
sono stati ordinati.
Solo lo studio della
Scienza e la Musica riescono a consolarlo.
Costruisce una lira
d’argento a forma di testa di cavallo i cui denti tengono ferme le corde.
Lorenzo de’ Medici ammira lo strumento e lo acquista per offrirlo a Ludovico il
Moro, Signore di Milano…
Nella speranza di
trovare a Milano più comprensione per la sua arte di quella che ha trovato a
Firenze, Leonardo si incarica di consegnare, personalmente, questa lira al Moro.
Ludovico il Moro è
in pieni preparativi di guerra.
Leonardo cambia,
prontamente, gli abiti da pittore con quelli dello scienziato e redige a favore
del Principe la famosa lettera che poi arricchisce di disegni meravigliosi:
Avendo, Signor
mio Illustrissimo, visto et considerato oramai ad sufficienzia le prove di
tutti quelli che si reputono maestri et compositori de instrumenti bellici, et
che le invenzione e operazione di dicti instrumenti non sono niente alieni dal
comune uso, mi exforzerò, non derogando a nessuno altro, farmi intender da V.
Excellentia, aprendo a quella li secreti mei, et appresso offerendoli ad omni
suo piacimento in tempi opportuni, operare cum effecto circa tutte quelle cose
che sub brevità in parte saranno qui di sotto notate:
Ho modi de
ponti leggerissimi et forti, et atti ad portare facilissimamente, et cum quelli
seguire, et alcuna volta fuggire li inimici, et altri securi et inoffensibili
da foco et battaglia, facili et commodi da levare et ponere. Et modi de arder
et disfare quelli de l’inimico.
So in la
obsidione de una terra toglier via l’acqua de’ fossi, et fare infiniti ponti,
gatti et scale et altri instrumenti pertinenti ad dicta expedizione.
Item, se per
altezza de argine, o per fortezza di loco et di sito, non si potesse in la
obsidione de una terra usare l’officio de le bombarde, ho modi di ruinare omni
rocca o altra fortezza, se già non fusse fondata in su el saxo.
Ho ancora modi
de bombarde commodissime et facile ad portare, et cum quelle buttare minuti [saxi
a similitudine] di tempesta; et cum el fumo di quella dando grande spavento all’inimico,
cum grave suo danno et confusione.
Et quando
accadesse essere in mare, ho modi de molti instrumenti actissimi da offender et
defender, et navili che faranno resistenzia al trarre de omni g[r]ossissima
bombarda et polver & fumi.
Item, ho modi,
per cave et vie secrete et distorte, facte senza alcuno strepito, per venire [ad
uno certo] et disegnato [loco], ancora che bisognasse passare sotto fossi o alcuno
fiume.
Item, farò
carri coperti, securi et inoffensibili, e quali intrando intra li inimica cum
sue artiglierie, non è sì gran de multitudine di gente d’arme che non
rompessino. Et dietro a questi poteranno seg[ui]re fanterie assai, illesi e
senza alcuno impedimento.
Item,
occurrendo di bisogno, farò bombarde, mortari et passavolanti di bellissime et
utile forme, fora del comune uso.
Dove mancassi
la operazione de le bombarde, componerò briccole, mangani, trabucchi et altri
instrumenti di mirabile efficacia, et fora del usato; et insomma, secondo la
varietà de’ casi, componerò varie et infinite cose da offender et di[fendere].
In tempo di
pace credo satisfare benissimo ad paragone de omni altro in architectura, in
composizione di edificii et pubblici et privati, et in conducer acqua da uno
loco ad uno altro. Item, conducerò in sculptura di marmore, di bronzo et di
terra, similiter in pictura, ciò che si possa fare ad paragone de onni altro,
et sia chi vole. Ancora si poterà dare opera al cavallo di bronzo, che sarà
gloria immortale et eterno onore de la felice memoria del Signor vostro patre
et de la inclita casa Sforzesca. Et se alcuna de le sopra dicte cose a alcuno
paressino impossibile e infactibile, me offero paratissimo ad farne experimento
in el parco vostro, o in qual loco piacerà a Vostr’Excellenzia, ad la quale
humilmente quanto più posso me recomando.
I suoi disegni
rappresentano ponti leggeri, facilmente trasportabili, scale per scalare i muri
di una piazzaforte, trincee trasportabili, un gioco di travi orizzontali,
destinate a respingere le scale degli assalitori, gallerie sotterranee di mine
che giungono oltre le mura di una città assediata.
Si osservano, anche,
bombarde, spolette ruotanti, bombe riempite di zolfo, dalle quali si spandono vapori
soffocanti, carri armati di falci o coperti di una corazza, che li rende simili
a tartarughe e dalle quali sbucano le bocche dei cannoni.
Il Moro legge questi
memoriali, esamina i disegni, ma scuote la testa.
Diffida delle
novità.
Leonardo non lo interessa
come artista e neppure come scienziato.
Una felice
combinazione fa conoscere a Leonardo il pittore di corte: Ambrogio de Predis.
Questo Ambrogio ha circa
l’età del grande fiorentino e, tuttavia, si mostra deferente e lo prega di
annoverarlo tra i suoi discepoli.
Questo Ambrogio,
ammiratore del genio di Leonardo, è un uomo ambizioso e accorto; si dà da fare
così bene che, nel mese di aprile del 1483, ottiene dalla Confraternita della Concezione l’ordinazione di un trittico
d’altare.
Sarà, naturalmente,
il Maestro Leonardo che dipingerà a olio il quadro centrale. Su uno sfondo
montagnoso, dovrà disporre la Vergine e il Bambino attorniati da Angeli e
Profeti.
Ambrogio de Predis
si accontenterà di dipingere Angeli e Cantori
nei due pannelli laterali.
Dopo avere
lungamente meditato ed eseguito, secondo il suo solito, infiniti disegni di
floridi bambini e di graziosi visi di donna e di adolescente, Leonardo
raggruppa in un paesaggio roccioso la Vergine, il Bambino, San Giovanni e un
Angelo di sorprendente bellezza.
Per fare meglio
risaltare i visi e le figure in primo piano, tiene il paesaggio su tinte molto
scure, soffuse di ombra, cosa che gli permette, come si è detto, di ottenere
quel risalto dei contorni, quegli effetti armoniosi di chiaroscuro, dei quali è
l’inventore e, nello stesso tempo, di dare più rilievo e più spicco alle
figure.
Ma non ha rispettato,
letteralmente, le clausole imposte dal contratto e la Confraternita della Concezione è così meschina da offrirgli 25
ducati invece dei 100 che gli sono dovuti.
Il grande artista
rifiuta.
Esige i suoi 100
ducati o la restituzione del quadro.
Chiamato arbitro di
questo litigio, Ludovico il Moro se ne lava le mani.
Solo dopo molti
anni, con l’appoggio del Re di Francia, Leonardo otterrà la restituzione del
quadro.
I posteri possono,
così, ammirare La Vergine delle Rocce.
Nel 1483, Leonardo inizia a dipingere a Milano, su committenza
della Confraternita dell’Immacolata
Concezione e con la collaborazione dei fratelli Giovanni Ambrogio e Cristoforo
de Predis, una pala d’altare da collocare nella Cappella della Confraternita
nella Chiesa di San Francesco Grande, oggi nota come La Vergine delle Rocce.
Il dettagliatissimo contratto prevedeva un trittico. Nella pala centrale la
Madonna con un ricco abito di “broccato
doro azurlo tramarino” e “con lo suo
fiollo”, Dio Padre in alto, anche lui con la “vesta de sopra brocato doro”, un gruppo di angeli alla “fogia grecha” e due profeti. Nelle due
parti laterali i confratelli chiedevano quattro Angeli, “uno quadro che canteno et l’altro che soneno”. Le tavole laterali,
affidate a de Predis, dovevano mostrare angeli in gloria, il tutto per un
compenso di 800 lire imperiali da pagarsi a rate fino al febbraio 1485.
Di quest’opera, la prima eseguita dall’artista nella città
lombarda, esistono due versioni, la prima, conservata al Louvre, l’altra, alla National
Gallery di Londra. È sicuramente uno dei più ammirati capolavori di
Leonardo, ma anche uno dei più complessi e controversi, poiché alcuni elementi
dell’opera, ricca di rimandi biblici, teologici e simbolici, rimangono,
tuttora, poco chiari ed enigmatici.
Parlando della
giovane Cecilia Gallerani, amata da Ludovico il Moro, Giovanni Ambrogio de
Predis aveva detto:
“È bella come un
fiore.”
Per fare piacere al
Principe, Leonardo farà di questa Dama un ritratto così fedele e seducente che
il poeta Bernardo Bellincioni [1452-1492] asserirà che la natura stessa ne era
gelosa.
Leonardo,
La Dama con l’ermellino [1488-1490]
Museo
Nazionale, Cracovia
“Siccome una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita
bene usata dà lieto morire.”
Leonardo da Vinci
Ma, nonostante il
successo che tale capolavoro ha riscosso, Leonardo attenderà, ancora a lungo,
di essere chiamato, ufficialmente, alla Corte di Ludovico il Moro.
Per quanto figlio di
una contadina e di un piccolo borghese, ha gusti aristocratici e sete di lusso.
Nessuno è più
generoso di lui e i suoi allievi lo sanno bene, perché non sa rifiutare loro
nulla.
Leonardo ama la biancheria
fine, i begli abiti, tiene in alta considerazione l’aspetto, l’igiene e la cura
del corpo.
Improvvisamente, la
peste piomba su Milano.
Leonardo invia al
Moro alcuni progetti urbanistici.
Perché non
costruire, propone, invece che città sovrappopolate, sporche e malsane, delle
cittadine dalle strade larghe dove gli abitanti non debbano vivere ammassati
come capre in un gregge?
Come al solito, il
Moro fa orecchi da mercante; accorda, tuttavia, finalmente, al grande artista
ciò che infinite volte gli è stato domandato: Leonardo farà la grande statua
equestre di Francesco Sforza, morto nel 1466.
Dopo tre anni di
prove, di ricerche, di meditazioni votate alle invenzioni, Leonardo porta a
termine la statua del colossale cavallo che deve tenere in sella l’antico Duca
di Milano.
Questo cavallo,
realizzato in gesso, è esposto nel cortile del Castello, nel 1493, in occasione
delle nozze dell’Imperatore Massimiliano e di Bianca Maria Sforza. Ma il bronzo
destinato alla fusione della statua deve essere ceduto al Duca di Ferrara per
farne dei cannoni, quando Ludovico il Moro si allea per combattere contro Carlo
VIII, Re di Francia, Roma, Venezia, il Re di Spagna e l’Imperatore
Massimiliano.
Il cavallo resterà
dov’è.
A lungo andare le
intemperie lo rovinano.
I balestrieri di
Luigi XII lo useranno come bersaglio e completeranno la sua distruzione.
Uno dei tanti vigorosi disegni per la Statua di Francesco
Sforza.
Leonardo si vede
così privato della gioia di contemplare la realizzazione in bronzo di
quell’opera e, poiché i forzieri del Moro sono vuoti, non riceve neppure più
danaro, e ha sei bocche da nutrire, ora che agli apprendisti e agli aiutanti si
è aggiunto anche il piccolo Giacomo, un ragazzo di dieci anni, al quale
Leonardo è molto affezionato, “vaghissimo di grazia et di bellezza, avendo begli capegli,
ricci et inanellati”, ma
anche “ladro, bugiardo, testardo e ingordo, mangia per due e fa guai
per quattro”
.
Nel 1497, Leonardo annota amareggiato:
“Salaj ruba li soldi.”
“Presi in Milano quello Salaì di cui
parlato avemo, che molto bellissimo e vago era e pieno di gracia, avendo begli
capelli et inanellati, con gli occhi e bocca molti [sic] proporcionati, al quale mostrai diverse cose che ad altri insegnar non
le volsi [volli], sì come a mio
amato pincerna.”
“Una
volta aver provato l’ebbrezza del volo, quando sarai di nuovo coi piedi per
terra, continuerai a guardare il cielo.”
Leonardo
Leonardo, Il Cenacolo.
Spinto dalla
necessità, Leonardo abbandona la Corte del Moro.
Si riconcilieranno
in seguito e il Duca gli darà la commissione di un grande dipinto: una cena per
il refettorio dove i Domenicani di Santa Maria delle Grazie prendono i pasti in
comunità.
Secondo le sue
abitudini, Leonardo fa molti schizzi e prende numerose annotazioni per le teste
degli apostoli. Principi della Chiesa e grandi Signori entrano, spesso, nel
refettorio, mentre il Maestro lavora circondato dagli allievi. Oramai non
restano che da dipingere due teste perché l’affresco sia completo: quella di Gesù
e quella di Giuda.
Ma il tempo passa e
Gesù e Giuda restano sempre senza testa.
Quando il Moro gli
rimprovera quel ritardo, Leonardo risponde:
“Per il Cristo non ho potuto
ancora trovare un viso degno di lui, per il Giuda cerco invano viso di delinquente
che corrisponde a tanta bassezza.”
E, poiché immagina
che il Priore di Santa Maria delle Grazie si sia lagnato con il Duca della sua
lentezza, aggiunge:
“Se non lo troverò sarò
costretto a prendere per modello il Priore stesso tanto è indiscreto e importuno.”
Il Duca scoppia a
ridere e dà ragione all’artista.
Al povero Priore,
tutto confuso, non rimane che occuparsi di più del proprio giardino e lasciare
Leonardo finire in pace la sua opera.
Nell’aprile del
1498, Luigi d’Orléans sale sul trono di Francia e prende il nome di Luigi XII.
Erede dei diritti di Carlo VIII su Napoli, il nuovo Re, nipote di una Visconti,
accampa anche delle pretese sul Ducato di Milano, usurpato dagli Sforza.
Un condottiero
italiano, passato al servizio della Francia, il Maresciallo Trivulzio, occupa,
quasi senza colpo ferire, il Ducato di Milano.
Fatto prigioniero, Il
Moro è mandato in Francia e rinchiuso nel Castello di Loches.
“La pittura è una poesia
che si vede e non si sente, e la poesia è una pittura che si sente e non si
vede. Adunque queste due poesie, o vuoi dire due pitture, hanno scambiati i
sensi, per i quali esse dovrebbero penetrare all’intelletto.”
Leonardo
“Nessun effetto è
in natura sanza ragione, intendi la ragione e non ti bisogna sperienza.”
Leonardo da Vinci
Leonardo non ha più
niente da fare a Milano.
Si reca, dapprima a
Mantova, dove esegue il ritratto di Isabella d’Este, poi parte per Venezia,
dove lo troviamo, nel marzo del 1500.
Su richiesta delle
autorità veneziane che temono una incursione dei turchi, dirige i lavori per
apprestare una difesa.
Due mesi più tardi,
si reca a Firenze.
Dopo sedici anni di
assenza, torna alla propria terra natale, con pochissimo danaro, ma celebre.
Fino dal suo arrivo,
i Frati dell’Annunziata pregano Leonardo di dipingere un quadro per l’altare
maggiore della loro chiesa.
Questo quadro
rappresenterà la Vergine, Sant’Anna e il Bambino, che giocano con un agnello.
Leonardo si
accontenterà, dapprima di eseguire un cartone, un meraviglioso cartone, dove il
viso della Vergine, il più rifinito di tutti, è adorabile.
Quanto al quadro,
che appartiene, oggi, al Museo del Louvre, non verrà eseguito che molti anni
più tardi. Il viso della Vergine e quello del Bambino saranno stemperati e come
fusi nel radioso sorriso di Sant’Anna.
Leonardo, Sant’Anna, la
Vergine e il Bambino [Cartone di Londra].
Leonardo, Sant’Anna, la
Vergine e il Bambino.
“È vero che l’uomo
è il re degli animali, perché la sua brutalità supera la loro. Viviamo grazie
alla morte di altri. Già in giovane età ho rinnegato l’abitudine di cibarmi di
carne, e ritengo che verrà un tempo nel quale gli uomini conosceranno l’anima
degli animali e in cui l’uccisione di un animale sarà considerata con lo stesso
biasimo con cui consideriamo oggi quella di un uomo.”
Leonardo
Da molto tempo,
Leonardo studia il volo degli uccelli e sogna di inventare una macchina che
possa sollevarsi come loro e reggersi in aria con ali artificiali. Dopo avere
pensato di fissare le ali alle spalle dell’aviatore, immagina un aviatore, in
piedi su una piattaforma, che azioni con due pedali una specie di motore
collegato alle ali da corde che scorrono su carrucole. Se la macchina non
dovesse funzionare, otri pieni d’aria e legati al corpo dell’uomo volante, dovrebbero
servirgli da paracadute.
Nel Codice sul volo degli uccelli, Leonardo
descrive, illustrandoli con disegni, le sue ricerche e i suoi progetti. E sulla
prima pagina di questo trattato scrive, non senza orgoglio:
“Piglierà il primo
volo il grande uccello sopra del dosso del suo magno cecero [grande cigno] e
empiendo l’universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture a
gloria eterna al nido dove nacque.”
“Il Grande Cigno” è
una montagna situata a Nord di Fiesole e dal sommo di questa altura si propone
di provare la sua macchina volante.
Tali ricerche sono,
bruscamente, interrotte, quando Leonardo si dedica alla direzione dei lavori
che la Signoria di Firenze gli affida per tentare di collegare, attraverso un
canale, la città di Firenze con quella di Pisa.
Riprenderà in mano i
pennelli, quando Piero Soderini, Gonfaloniere di Giustizia, deciderà, d’accordo
con i principali cittadini, di fargli dipingere “una bella opera”.
Questo meraviglioso
capolavoro pittorico è scomparso e noi non ne avremmo che la descrizione che ce
ne ha lasciato Giorgio Vasari, se un giovane pittore del Nord, un certo Peter
Paul Rubens, allora ignoto, non avesse copiato, un giorno, per proprio piacere,
il gruppo centrale della lotta intorno alla bandiera.
Peter
Paul Rubens, Copia della Battaglia di
Anghiari, 1603.
Le disillusioni, le
ingiustizie che gli sono state fatte, la distruzione di molte delle sue opere,
e non le minori, la coscienza che il suo genio è stato, per troppo tempo,
misconosciuto e, troppo spesso, male impiegato, la povertà che lo opprime,
hanno scavato due pieghe profonde ai lati del suo naso, abbassato gli angoli
della bocca, spento la fiamma dello sguardo e fatto di lui un uomo taciturno e
sdegnoso.
Preferisce affidare
le proprie impressioni alla carta piuttosto che agli uomini.
Nascono da qui le
caricature dei personaggi che non ama, con le quali riempie pagine intere dei
suoi quaderni.
Sono quei visi
ignobili, mostruosi a proposito dei quali scrive:
“Alcune persone
non sono che passaggi di cibo.”
Solo la giovinezza,
la grazia e la bellezza possono fargli dimenticare la misantropia. Sa meglio
degli altri che un bel viso è il più bello di tutti gli spettacoli e quando gli
capita di dipingerne uno, lo staglia, sempre, su uno sfondo di paesaggio
azzurrognolo, per riuscire a dargli una vita più intensa…
È ciò che fece
quando accettò di dipingere per il ricco e vecchio Francesco del Giocondo, il
ritratto della sua giovane sposa, Monna Lisa, che il mondo conosce come La Gioconda.
Monna Lisa era
veramente molto bella. Per evitare quell’aspetto prostrato, del quale parla
Vasari, quell’atteggiamento annoiato, pressoché inevitabile nei ritratti, per
conservare nella sua modella un’aria di dolce grazia, Leonardo le tenne sempre
vicino, mentre dipingeva, cantori, musici e buffoni.
Fu innamorato di
questa Dama al punto da impiegare quattro anni prima di finire il quadro?
Pensava a lei quando
scrisse, un giorno, nei suoi appunti questo interrogativo senza risposta:
“Dimmi, dimmi se
il tuo viso è la pagina dell’amore?”
Molti lo hanno
sostenuto.
La cosa sembra
probabile, quasi evidente, se si pensa alle lunghe ore che il Poeta e la bella Dama
hanno trascorso, per tanti anni, l’uno di fronte all’altra, in una atmosfera
incantata.
Questa misteriosa
atmosfera ha resistito a onta delle screpolature dei secoli e
dell’ingiallimento delle vernici.
Pervade, in modo
ammirevole, il viso eburneo della Gioconda e le sue mani bellissime, così
morbide e vive.
Questo capolavoro fu
acquistato da Francesco I per 400 scudi d’oro.
Leonardo, La
Gioconda.
Museo del Louvre, Parigi
“A torto si lamentan li omini della fuga del tempo, incolpando
quello di troppa velocità, non s’accorgendo quello essere di bastevole
transito; ma bona memoria, di che la natura ci ha dotati, ci fa che ogni cosa
lungamente passata ci pare esser presente.”
Leonardo
“Il giudizio nostro non
giudica le cose fatte in varie distanzie di tempo nelle debite e propie lor
distanzie, perché molte cose passate di molti anni parranno propinque e vicine
al presente, e molte cose vicine parranno antiche, insieme coll’antichità della
nostra gioventù, e così fa l’occhio infra le cose distanti, che per essere
alluminate dal sole, paiano vicine all’occhio, e molte cose vicine paiano distanti.”
Leonardo
Leonardo, San Giovanni
Battista.
Chiamato a Milano, Leonardo incontra Francesco Melzi.
Melzi è un giovane nobile, bello, dolce, buono e di
carattere gaio. È un grande ammiratore dell’opera di Leonardo e Leonardo
accetta di prenderlo come allievo. Non avrà da pentirsene, perché Melzi sarà
per lui un collaboratore prezioso e il più devoto degli amici.
Verso la fine del 1507, muore Francesco da Vinci, e
Leonardo viene a conoscenza che questo zio, che gli ha, sempre, dimostrato un
affetto sincero, lo ha nominato erede di tutti i suoi beni.
Ma il testamento è impugnato dalla famiglia.
Munito di una lettera del Re di Francia, Luigi XII, per
il Gonfaloniere di Firenze, Leonardo torna nella città natale, per difendere i
propri diritti.
Attendendo la sentenza del processo, raccoglie gli
appunti presi e le osservazioni fatte da lui stesso sui più diversi argomenti.
Con l’idea di pubblicarli un giorno, si mette a classificarli, ma questo lavoro
lo stanca presto e gli sembra tanto più noioso in quanto ora è preso da una improvvisa passione per l’anatomia
e per le costruzioni idrauliche. Seziona cadaveri nella speranza di rivelare ai
vivi l’origine e la causa della vita stessa e, poiché i cadaveri si
decompongono in fretta, passa, lunghe ore, chino su loro e smette di
scorticare, di sezionare, segare ossa, mettere a nudo nervi, muscoli e vasi
sanguigni solo quando l’aria nella quale vive è divenuta irrespirabile.
Vinta la causa, Leonardo torna a Milano.
Insieme a un appannaggio, dal Re di Francia riceve la
commissione di un monumento a gloria del Maresciallo Trivulzio, monumento per
il quale fa dei bei disegni di cavalli, ma che non sarà mai eseguito. Nel
frattempo si occupa di lavori di idraulica, si propone di regolare il corso
dell’Adda, bonificare le zone paludose e prosciugarle con l’aiuto di una pompa
di sua invenzione.
Ancora una volta, lo scienziato mette da parte l’artista.
Dopo avere studiato la natura dell’acqua e le
canalizzazioni, Leonardo si interessa all’acustica, si appassiona all’astronomia,
si serve di lenti di varia grandezza per osservare la Luna e dichiara che tra
il Sole e la Terra non vi sono che tenebre, ecco perché “l’aria sembra azzurra”.
La pace della quale
gode Leonardo è, brutalmente, interrotta, nel dicembre del 1511, dagli Svizzeri
che invadono la Lombardia.
I Francesi
abbandonano l’Italia.
Accompagnato dai
suoi allievi, Giovanni Francesco Melzi, Salaì, Lorenzo e il Fanfoia, Leonardo
lascia Milano e parte per Roma.
Giulio II è morto da
poco, il nuovo Papa, Leone X è un Medici e mette a disposizione di Leonardo una
principesca dimora, costruita su un colle: Il
Belvedere.
Giuliano dei Medici,
fratello di Leone X, si dichiara amico e protettore di Leonardo. Su sua
richiesta costruisce specchi ustori, inventa laminatoi e una macchina per
filettare il passo delle viti, poi, si occupa di chimica.
Attendendo una
commissione dal Papa che non viene, Leonardo si dedica alla botanica nei
giardini del Vaticano. Distilla il succo di alcune piante per farne delle vernici.
Sono le distrazioni di un Uomo perpetuamente agitato, ma non bastano, certo, a
fargli dimenticare l’indifferenza di Leone X. Leonardo soffre di non vedersi
affidare lavori degni di lui, mentre Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio
sono oberati di commissioni.
Ma lo scienziato
riprende il sopravvento e si dedica, di nuovo, allo studio della meccanica.
“È il paradiso
delle scienze matematiche,”,
dice,
“perché, grazie
alla matematica si possono raccogliere i frutti di questa scienza.”
Tiziano, Ritratto di Re
Francesco I [1539].
Osserva
attentamente tutto quello che gli passa sotto gli occhi, il volo di una mosca,
i giri di una trottola o i movimenti delle labbra umane e da questi studi
nascono le leggi fisiche ed estetiche che ci ha tramandato nei suoi trattati.
Nel corso dell’estate
del 1515, Leone X apprende che i Francesi hanno valicato, di nuovo, le Alpi.
Alla loro testa
cavalca il Re Francesco I.
Dopo la presa di
Milano e la disfatta degli Svizzeri a Marignano, Leone X, preoccupato, firma
con il giovane Re un concordato che mette fine alle controversie tra la Francia
e la Santa Sede.
Assiste Leonardo
alle trattative?
La Storia non lo
dice; possiamo, tuttavia, affermare che, alla Corte di Francesco I, molti
Signori conoscono il grande artista e ammirano le sue opere. Così non desta,
certo, meraviglia apprendere che, nel 1516, Leonardo lascia Roma e l’Italia con
alcuni dei suoi allievi e segue Francesco I in Francia.
La Francia è un
Paese meraviglioso, Francesco I è un Re fiabesco.
Leonardo si lascia
conquistare da questo giovane Principe affascinante che gli dimostra amicizia.
Francesco I viaggia
molto e Leonardo lo accompagna, talvolta, a cavallo.
Leonardo è
alloggiato al Castello di Clos Lucé, non lontano da Amboise, sede della Corte.
Dal nuovo mecenate
Leonardo riceve una pensione di 700 scudi.
Il Castello di Clos Lucé, noto, soprattutto, per essere stato l’ultima
dimora di Leonardo da Vinci, che vi soggiornò dal’autunno
del 1516 alla morte sopraggiunta il 2 maggio 1519, si trova nel
cuore della città di Amboise, a 500 metri dal Castello Reale. In mattoni rosati
e pietra bianca, il maniero fu costruito su fondamenta gallo-romane da Hugues d’Amboise,
sotto il regno di Luigi XI, nella seconda metà del XV secolo, ed è collegato
alla residenza del Castello di Amboise da un passaggio sotterraneo
che consentiva al Re di rendere visita a Leonardo in qualunque momento con la
massima discrezione. Da numerose generazioni [1802] appartiene alla famiglia Saint-Bris,
che, negli anni 1960, ha deciso di ridargli l’aspetto che aveva all’epoca del
soggiorno di Leonardo.
Quando il Re non è
in viaggio, Leonardo riceve, di frequente, la sua visita e quella dei molti
personaggi che sostano ammirati davanti ai sorrisi che li accolgono. Sono i più
belli del mondo, i più attraenti, i più seducenti; da una parte il sorriso
squisito e tanto umano della Gioconda, più lontano risplende quello soave,
penetrante, misterioso di Sant’Anna, altrove, ancora più divino, quello affascinante
di San Giovanni Battista.
Di ritorno dalle
terre di Berry, Leonardo propone al Re di studiare un sistema di canalizzazione
della Loira e dello Cher, un sistema di canali navigabili che permettano di
unire comodamente la Turenna al territorio di Lione.
Disegna progetti,
rimoderna il Castello di Amboise, per renderlo più comodo e più confortevole.
Il suo agile spirito
è sempre pronto a realizzare tutto ciò che ci si attende da lui.
Divenuto pittore di
Corte, in Francia, disegna costumi per i balli mascherati e i tornei, crea
decorazioni fiabesche e automi.
Durante una delle
feste organizzate dall’illustre fiorentino, in occasione della nascita del
Delfino, si vede avanzare un gigantesco leone, che si arresta davanti a
Francesco I. Il suo petto si apre e lascia cadere una pioggia di gigli che si
spargono ai piedi del Re.
Leonardo, Il Leone Meccanico.
Leonardo, La Macchina del
Tempo.
Ma quando le risa e
i suoni delle feste tacciono, Leonardo sente pesare su di sé l’età e la
solitudine, si sente solo in mezzo alla folla.
La solerte amicizia
di Melzi veglia su di lui, quando sopraggiunge l’infermità che fiaccherà il suo
corpo, una volta così robusto, paralizzandone la mano destra.
Il 23 aprile 1519,
Leonardo chiama il notaio reale e detta il suo testamento.
Pochi giorni dopo i
suoi occhi si spengono.
Alla notizia della
morte di Leonardo, Francesco I che si trova a Saint-Germain-en-Laye, non
nasconde la propria commozione e ordina che la spoglia del grande artista venga
inumata nella Cappella Reale d’Amboise, tra i Principi della Casa di Francia.
“Alla
mia età, ho incontrato tanta gente, ho sofferto e gioito, ma soprattutto ho
imparato ad amare l’Amore, e a rifiutare l’odio. L’Amore dona a noi stessi l’eterna
gioventù, e ogni domani è importante per incontrare nuova gente e vivere nuove
storie importanti.”
Leonardo
All’inizio
dell’Ottocento, poiché la Cappella d’Amboise era pericolante, le steli
funerarie furono vendute, le tombe aperte e le casse di piombo fuse.
Tra tante osse, mani
pietose cercarono i resti di Leonardo. Scelsero quelli di un Uomo di alta
statura e il cranio più voluminoso e li seppellirono nella Cappella di San
Biagio.
Seguendo la sorte
dei quadri del Genio, anche i manoscritti andarono dispersi, molti sono, perfino,
scomparsi.
Jean Auguste Dominique Ingres, La morte
di Leonardo Da Vinci tra le braccia di Francesco I [1818].
François-Guillaume Ménageot, La morte
di Leonardo.
Nelle sue Memorie, Benvenuto Cellini racconta di
avere acquistato, un giorno, da un povero gentiluomo, per 15 scudi d’oro, un trattato
di Leonardo da Vinci sulla pittura, la scultura e l’architettura.
“In questo libro”,
scrive,
“sfolgorava il
meraviglioso Genio dell’Uomo più grande che, secondo me, il genere umano abbia
prodotto.”
Tra quante parole
furono scritte a tessere le lodi di Leonardo e a piangerne la morte, non ve ne sono
che superino, in eloquente semplicità, in affettuosa ammirazione, quelle che
furono ispirate a Giorgio Vasari:
“E dolse la sua
perdita, fuor di modo a tutti quelli che l’avevano conosciuto, perché mai non
fu persona che tanto facesse onore alla pittura. Egli con lo splendore
dell’Arte sua, che bellissima era, rasserenava ogni animo mesto e con le parole
volgeva a sì e al no ogni indurata intenzione. Egli con le forze sue riteneva
ogni violenta furia e con la destra torceva un ferro d’una campanella di
muraglia ed un ferro di cavallo, come se fosse piombo. Con la liberalità sua
raccoglieva e pasceva ogni amico povero e ricco, purché fosse d’ingegno e
virtù. Ornava ed onorava con ogni azione qualsivoglia disonorata e spogliata
stanza: per il che ebbe veramente Fiorenza grandissimo dono nel nascere di
Leonardo e perdita più che infinita nella sua morte.”
Daniela
Zini
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Nel 1476, Leonardo subì un processo per sodomia, causa
nella quale venne coinvolto insieme ad altri suoi compagni, che come lui
frequentavano la bottega
del Verrocchio, a Firenze.
Dopo un breve periodo in carcere,
Leonardo e gli altri imputati, accusati
di aver molestato un apprendista orafo, il diciassettenne Jacopo Satarelli, apprendista
orafo, vennero assolti.
Il 15 luglio 1499, l’avanguardia di
un’armata francese, composta da 10mila cavalieri, 17mila fanti e 130 cannoni
invase il territorio di Milano. Al suo comando supremo vi era Gian Giacomo
Trivulzio, figlio proprio di questa città, il quale, essendo un nemico degli
Sforza, da lungo tempo era al servizio dei Francesi. Seminando ovunque terrore,
e senza incontrare alcuna seria resistenza, i francesi avanzarono rapidamente,
cosicché il Duca Ludovico non vide nessun’altra via di salvezza, se non
fuggire, il 2 settembre, con pochi fedeli a Innsbruck presso l’imperatore
Massimiliano. Solo sei anni prima, quest’ultimo aveva infeudato il Moro con il
Ducato di Milano e sposato, in seconde nozze, sua nipote Bianca Maria.
Massimiliano, sempre affamato di danaro, era stato, peraltro, addolcito con una
dote enorme di 400mila ducati. Appena due settimane più tardi, anche Milano si
consegnò a Trivulzio, nonostante le sue guarnigioni fossero ben fornite di
uomini, armi e mezzi di sussistenza. Incitato dagli annunci di vittoria,
l’artefice della campagna, il Re Luigi XII, accorse e, il 18 ottobre, entrò
solennemente a Milano, luogo che considerava suo possesso legittimo, in quanto
eredità di sua nonna Valentina Visconti. Al seguito del Re francese si trovava,
allora, il fior fiore non solo della nobiltà francese, ma anche di quella
italiana: il Cardinale Giuliano della Rovere [che divenne, quattro anni più
tardi, Papa Giulio II], Cesare Borgia, figlio del Papa regnante, così come
alcuni dei confinanti più o meno diretti del Moro: il Duca di Ferrara [che era
anche suo suocero], il Duca di Savoia, il Marchese di Mantova e naturalmente il
suo nemico giurato Trivulzio, al quale il Re Luigi avrebbe dato come feudo
Vigevano, la residenza preferita del Moro.
I Francesi si resero rapidamente così
impopolari a Milano, che, già, nel gennaio del 1500, una sollevazione li cacciò
di nuovo dalla città, permettendo a Ludovico Sforza di farvi ritorno. Il
contrattacco dei Francesi non si fece però attendere, e l’8 aprile, presso
Mortara, si svolse lo scontro decisivo, in cui gli svizzeri al soldo degli
Sforza si rifiutarono di combattere contro i loro fratelli nell’esercito
francese; si fecero corrompere e si schierarono con la parte avversa,
consegnando al Re francese il Moro come prigioniero, un tradimento, che
Ludovico Ariosto stigmatizzò:
e
mostra uno che vende il Castel che ‘l signor suo gli avea dato;
mostra
il perfido Svizzero che prende
colui
ch’a sua difesa l’ha assoldato:
le
quai due cose, senza abbassar lancia,
han
dato la vittoria al re di Francia.
Il Re di Francia non garantì al Moro né una
singola udienza, né un processo, ma lo fece, semplicemente, scomparire dietro
gli spessi muri di diverse prigioni: da ultimo nella torre grande del Castello
di Loches nei pressi della Loira. Là morì Ludovico il Moro, completamente
dimenticato da tutti, al punto che noi non sappiamo neppure se la data esatta
della sua morte sia il 1508 o il 1510.
Il cronista veneziano Girolamo Priuli
commentò il caso del Moro:
“Questa
caxa sforzesca in pochisimo tempo hera molto ruinata, che prima hera in
grandisima felicitade et la più famosa caxa de la Ytalia et la piui regnante.”
L’invasione del 1499 è stata, com’è noto,
preceduta da quella del 1494, che nella memoria storica, da Francesco
Guicciardini e Niccolò Machiavelli, ha, sempre, giocato un ruolo molto più grande.
Se si prescinde dai nomi dei protagonisti e di alcune località, vi erano,
peraltro, vistose somiglianze tra le due invasioni. Anche nel 1494 vi era un Re
francese, Carlo VIII, l’ultimo della linea diretta di discendenza dei Valois,
il quale, con un esercito quasi altrettanto forte di 30mila uomini, entrò in
Italia per conquistarsi un Regno. Lo scopo non era, allora, Milano, bensì
Napoli, su cui Carlo sollevava delle pretese ereditarie in quanto erede della
seconda Casa Angiò, che, nel 1480, si era estinta con il “buon Re” René. Se,
nel 1499, sul lato italiano furono i Veneziani a desiderare e sollecitare
attivamente, prima di tutti gli altri, l’invasione francese, nel 1494, ad
assumere questo ruolo non fu altri che Ludovico Sforza – la principale vittima
della successiva aggressione francese. L’una e l’altra campagna militare si
rassomigliavano anche per il fatto che gli assaliti non fecero grande
resistenza, ma, come Alfonso II di Napoli, nel 1495, e il Duca di Milano,
quattro anni più tardi, semplicemente abdicarono e fuggirono.
Ciò dipese, in ultima istanza, dal fatto
che in entrambi i casi i Sovrani minacciati non potevano fare affidamento
sull’aiuto, e, soprattutto, su nessun aiuto disinteressato, da parte delle
altre potenze italiane.
Nel 1504, a Leonardo viene
commissionato un grande affresco per onorare il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, a Firenze.
Il soggetto è La Battaglia di Anghiari,
che, nel 1440, aveva segnato la vittoria dei Fiorentini contro le forze dei
Visconti. Contemporaneamente, viene chiesto a Michelangelo di illustrare nella
medesima sala La Battaglia di Cascina per la vittoria
ottenuta su Pisa, nel 1364.
I
due artisti erano grandi rivali, ma non vi fu la sfida prevista.
Dopo
diversi studi preparatori, Leonardo applicò una tecnica sperimentale, ma
dipinse solo la cosiddetta Disputa per lo Stendardo.
Probabilmente rifacendosi all’Historia
Naturalis di Plinio il Vecchio, utilizzò una tecnica a olio simile alla
pittura a encausto, che, pur avendo superato la prova su un piccolo dipinto, si
rivelò fallace sulla grande parete.
Nel
1563, il capolavoro incompiuto di Leonardo fu nascosto dagli affreschi di
Giorgio Vasari nell’ambito delle modifiche strutturali e iconografiche di
Palazzo Vecchio commissionate dal Duca Cosimo I de’ Medici.
Michelangelo
fece un disegno a grandezza naturale, ma nel 1505, chiamato a Roma da Giulio
II, lasciò il lavoro.
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