“Sono azioni
contemplate nella Ragione di Stato quelle la cui giustificazione non richiede
altro che la stessa Ragione di Stato.”
Friedrich
Meinecke
di
Daniela Zini
Il Segreto di Stato è un atto politico, che può essere
disposto, esclusivamente, dal Presidente del Consiglio dei Ministri e che
impedisce alla Autorità Giudiziaria la acquisizione e la utilizzazione delle
notizie, sulle quali è apposto. Si differenzia dalle classifiche di segretezza
– la cui attribuzione ha natura di atto amministrativo – che non sono
opponibili alla Magistratura.
1. La
macchina del delitto
politico non si ferma mai
L’odio disperato dell’oppresso,
la follia, il desiderio di potere, la vendetta, la frustrazione, sono le
ragioni che, solitamente, armano il sicario. I “bagni di sangue” staliniani,
tedeschi, spagnoli, le esecuzioni seguite ai grandi processi del Tribunale Speciale
fascista,
per la difesa dello Stato, si identificarono nella applicazione dei metodi
terroristici, sui quali si fonda ogni
dittatura per reggersi.
Natalio Alberto Nisman
Sia
assassino o “suicidio costrittivo”, la morte del cinquantunenne procuratore argentino
Natalio Alberto Nisman,
trovato, il 18 gennaio scorso, con una pallottola in testa, dalla madre, nel
suo appartamento a Puerto Madero, un quartiere di Buenos Aires, restituisce
attualità alla domanda: il delitto politico torna di moda?
È
facile rispondere: il delitto politico non è, mai, stato fuori di moda.
Nulla è
definitivo come la eliminazione di un avversario politico!
Basta
scegliere il “momento giusto”, vale a dire non commettere l’errore di farne un
martire. Personaggi esperti nella eliminazione degli avversari politici, come
furono, a suo tempo, Adolf Hitler o Iosif Stalin, ne sapevano qualcosa.
Allorché,
nei mesi di giugno e di luglio del 1934, Adolf Hitler, cedendo alle pressioni
dei capi delle Forze Armate tedesche, dei suoi collaboratori Hermann Wilhelm Göring e Heinrich Luitpold Himmler e, non da ultimo,
ai suoi sentimenti, ordina la eliminazione di Ernst Röhm, dei capi delle SA
e della opposizione turbolenta, “mettendo nel mazzo” i nazisti di sinistra di Gregor
Strasser e l’ex-capo del governo Kurt
Ferdinand Friedrich Hermann von Schleicher, compie una astuta mossa
politica.
A
quanti credevano che una cosa del genere fosse impossibile, in Germania, Adolf Hitler
dà una dimostrazione di spregiudicata sottigliezza politica.
“La
gente non accetterà?
La
gente accetta, la gente lo desidera.”,
dirà il
führer ai suoi collaboratori.
Il
bisogno di ordine, nella Germania post-weimariana, è tale che la eliminazione
degli attaccabrighe, degli smargiassi e dei prepotenti delle SA viene salutata con sollievo.
Kurt Daluege, Heinrich Himmler ed Ernst Röhm
L’uomo
della strada si dice:
“Ecco l’uomo
d’ordine, che mette a posto i violenti.”
L’uccisione
di Röhm e camerati fu il
lasciapassare per milioni di altre vittime.
Ormai,
bastava preparare la strada, incanalando l’odio e le frustrazioni delle masse
verso obiettivi determinati: gli ebrei, i non ariani, i francesi, gli slavi.
La
stampa era, strettamente, in mano ai nazisti e ai loro alleati.
La
radio, anche.
Fu una
semplice questione di metodo.
Il
procedimento, seguito da Stalin, nell’ordinare le purghe degli anni 1930, partì
da un elemento più squisitamente mistico: le eliminazioni e il freddo siberiano
– tanto se ne occupava lui! – furono riservati agli anonimi. Per chi aveva un
nome e un rango nel partito, il successore di Vladimir Il’ic Ul’janov ricorse al rito del processo. Autentici
misteri orientali, legati a certe esigenze dell’anima russa e della tradizione
ortodossa, i processi dei “sedici”, nel 1936, dei “diciassette”, nel 1937, e dei
“ventuno”, nel 1938, sublimano l’apparato processuale, quale strumento di
eliminazione: la “giustizia” assurge a nuove vette.
Grigorij Evseevic Zinov’ev, Lev Borisovic Kamenev, Karl Berngardovic
Radek, Georgij Leonidovic Pjatakov, Nikolaj Ivanovic Bucharin, Aleksej Ivanovic Rykov, Nikolaj Nikolaevic
Krestinskij, si piegano alla “linea del partito”, confessano i propri
“errori”, accettano senza reazione la sorte dell’agnello pasquale.
Lenin
ha fatto la Rivoluzione, Stalin fa l’Unione Sovietica.
Sconvolto
dalle confessioni dei rei, il popolo sovietico è dilaniato tra la fede, il
dubbio e la paura.
Se il
processo contro il maresciallo Michail
Nikolaevic Tuchacevskij e l’epurazione, in seno all’Armata Rossa, hanno
lasciato il pubblico sovietico nella indifferenza – chi, mai, ama gli alti
ufficiali? – qui, sono sul banco degli imputati i Padri della Rivoluzione.
Si
accusano di errori, di tradimenti.
Come è
possibile?
Allora,
la morte la meritano!
Ecco
perché il popolo sta male!
L’anima
slava è incline alla sincerità.
Il
russo si confessa volentieri; è sufficiente che beva o abbia problemi
interiori, si pensi a Lev Nikolaevic
Tolstoj, a Fëdor Michajlovic Dostoevskijj.
Se
questi confessano, allora, vuole dire che sono sinceri.
Ed ecco
le condanne.
Approvate!
Il
Grande Maestro dei Popoli si dimostra nella sua gelida statocrazia un autentico
maestro di psicologia delle masse.
Al suo
confronto, Benito Mussolini e gli altri piccoli personaggi, che azionano, negli
anni 1930, la macchina del delitto politico sono dei semplici dilettanti.
Eppure, la subdola macchina non si è, mai, fermata. Sia l’odio disperato, che
arma la mano dei popoli oppressi; sia la follia; sia semplice dilettantismo o
frustrazione; sia il desiderio di potere e di vendetta; la cronaca del delitto
politico è tra le più nutrite.
Il
filone lo hanno scoperto, dopo il teatro e la lirica, anche il cinema e la
televisione.
E’ del
1973 il film su Giacomo Matteotti,
il deputato socialista, che denunciò alla Camera le violenze e i brogli
elettorali, che avevano accompagnato le elezioni dell’aprile del 1924, svoltesi
in base alla Legge Acerbo
e sotto la paura delle squadracce nere. La sua uccisione, avvenuta, il 10
giugno 1924, per opera di sicari fascisti, e il mancato intervento del re a
favore dei deputati ritiratisi sull’Aventino, che chiedevano l’abolizione della
milizia fascista, aprono la via alla dittatura mussoliniana.
In
questo senso, il duce approfitta di un gioco, che svolge con poco rischio.
Lo
ripete tredici anni dopo, proprio il 9 giugno 1937, a Bagnoles-de-l’Orne.
Per ordine del ministro degli esteri Galeazzo Ciano, su incarico del Servizio
Informazioni Militari, un gruppo di cagoulards,
i fascisti incappucciati di Otralpe, elimina Nello e Carlo Rosselli,
i due fratelli fuorusciti, che si opponevano alla politica fascista.
In
Francia, il fascismo finanziava i cagoulards
per abbattere il Governo di Léon Blum.
Nello Traquandi, Tommaso Ramorino, Carlo
Rosselli,
Ernesto Rossi, Luigi Emery e Nello Rosselli [1925].
In
Spagna, il fascismo era impegnato nella lotta per l’insediamento di un regime
fascista a Madrid. Ci riuscirà con l’aiuto di Hitler e a prezzo di un atroce
bagno di sangue spagnolo, commisto a quelli italiano e tedesco e ne subirà lo
smacco della ingratitudine.
Il
mistero, che avvolge il delitto politico, esercita un fascino oscuro.
La
morte dei fratelli Kennedy, avvenuta in due tempi successivi, a Dallas, il 22
novembre 1963, e a Los Angeles, il 6 giugno 1968, ha ispirato sette
film: Executive action [1973], JFK [1991], Parkland [2013], Killing Kennedy [2013], Il prezzo del potere [1969]
e The Butler [2013],
per l’uccisione del presidente e The
second gun per quella di Robert Kennedy.
I films
dedicati a John Fitzgerald Kennedy ripropongono la tesi della congiura. I fatti
di Dallas hanno dell’incredibile: ucciso il presidente, viene arrestato Lee
Harvey Oswald, quale presunto assassino.
Il giorno dopo l’arresto, Oswald
viene assassinato, all’interno della sede della polizia: non parlerà più, né
come imputato, né come teste. Una serie di persone, coinvolte, in modo più o
meno diretto, con l’omicidio di Kennedy perde la vita: complessivamente 17
testimoni. Di questi, 6 sono uccisi a colpi di arma da fuoco, 3 muoiono in
incidenti di auto, 2 si suicidano, uno è trovato con la gola tagliata, un altro
è ucciso con un colpo di karate alla
nuca e 4 muoiono di morte, apparentemente, naturale.
Vi è di che
arricchire la leggenda.
Soprattutto, se si tiene conto che, dopo John
Fitzgerald Kennedy, verranno uccisi Martin Luther King Jr. e Robert Francis
Kennedy.
Assassinio di John Fitzgerald Kennedy, a
Dallas.
Una
congiura dei razzisti contro i diritti civili?
Dei
petrolieri del Texas contro il presidente?
Dei
militari del Pentagono per timore che Kennedy ceda nel Vietnam?
Il suo
successore, Lyndon Johnson, intensificherà, infatti, il conflitto nel Vietnam,
impegnando gli Stati Uniti nell’amara guerra, che non sapranno vincere.
Assassinio di Martin Luther King Jr., Premio
Nobel per la Pace 1964, a
Memphis.
Anche
la uccisione di Robert Francis Kennedy si presta al dubbio. Un altro cineasta
rivela che l’attorney general sarebbe
stato ucciso, all’Ambassador Hotel di
Los Angeles, non dal nazionalista giordano Sirhan Bishara Sirhan, bensì da un
altro uomo.
Da qui
il titolo: The second gun.
Assassinio di Robert Francis Kennedy, a Los
Angeles.
La
tesi: Sirhan non sarebbe, mai, giunto a meno di un metro di distanza da Kennedy;
mentre il proiettile fatale risulterebbe sparato alla nuca del senatore da tre
pollici di distanza.
Di
regola, se il delitto è commesso da chi sta in basso l’identificazione della
vittima con il tiranno è automatica.
“L’uccisione
del tiranno non è un crimine!”,
dicevano,
già, gli antichi greci, riferendosi a Dionigi di Siracusa.
Se chi
ordina o commette il delitto sta in alto, allora, si invoca la Ragione di
Stato.
La
storia dei delitti, commessi in nome e per conto di regnanti e di dittatori,
spesso, con il paravento della “grazia di Dio”, è classificatrice.
Delitti,
repressioni, deportazioni, stragi ricevono una adeguata denominazione storica e
sono incasellati in accurate cronologie, che, con l’andare degli anni, fanno
perdere alle azioni descritte la crudezza del delitto, per diluirle nella
pietosa atmosfera della erudizione.
Se i
potenti mascherano il delitto con la Ragione di Stato, gli eversori lo
abbigliano del vestito della liceità morale.
Già,
nel XVII secolo, il “livellatore” inglese, il colonnello Edward Sexby, scrive il suo Killing no murder [Uccidere non è
assassinare], in cui documenta la giustificazione morale per l’uccisione del
tiranno, quella giustificazione filosofico-morale, che si aggirava latente, fino
dai tempi in cui Bruto aveva partecipato alla congiura contro Gaio Giulio Cesare.
Con l’andare
del tempo, i killers politici hanno
cambiato tanti nomi.
Sono
stati chiamati, in molti modi, perfino livellatori, in attesa che venissero gli
inquisitori, gli epuratori, i pacificatori.
Infine,
tra i poli della dottrina che vuole che la eliminazione di Oliver Cromwell sia
un “livellamento” e quella che vuole che la distruzione di ogni forma di vita
nel Delta del Mekong sia una “pacificazione”, vi sono mille sfumature,
rivestite di furfanteria, di follia.
Giustizieri
in nome proprio, ribelli, oppressori, squilibrati.
Chissà
quanti si sono avvalsi di una filosofia così spregiudicata?
Siano i
basilofagi, vale a dire gli anarchici mangia-re del XIX secolo; sia l’Inquisizione,
che ripristina il rispetto di Dio, facendo arrostire sul rogo i dubbiosi; siano
i regnanti bricconi che risolvono i problemi di politica interna ed estera,
mandando lietamente i propri villani a morte.
“Non si
può regnare nell’innocenza.”,
proclama
Louis-Antoine-Léon de Richebourg de
Saint-Just, nel perorare l’invio dell’imbelle re Luigi XVI sulla
ghigliottina.
Fare un
elenco degli omicidi politici sarebbe presuntuoso.
Al
massimo se ne possono citare i più conosciuti: Marco Giunio Bruto, che accoltella
Gaio Giulio Cesare,
per salvaguardare la libertà.
“Tu
quoque, Brute, fili mi!”,
grida il
dittatore, coprendosi con la toga, mentre cade sotto le pugnalate.
Mario
che fa uccidere gli amici di Silla.
Silla
che ristabilisce l’ordine, eliminando i fautori di Mario.
Jacques
Clément, che uccide Henri III
nell’“interesse
della cattolicità”; François Ravaillac, che uccide Henri IV per
impedirgli di ridivenire cattolico; i Borgia; il cavaliere Pierre Robinault de Saint-Régeant, che
vuole uccidere Bonaparte; Charlotte
Corday d’Armont, che pugnala Jean-Paul Marat; Adolf Hitler, che
incoraggia ad assassinare Engelbert Dollfuss; Claus Philipp Maria Schenk Graf von
Stauffenberg
che progetta, il 20 luglio 1944, l’attentato contro Hitler; Jean-Marie Bastien-Thiry, che cerca di uccidere il presidente francese Charles
de Gaulles, il 22 agosto 1962, all’epoca dell’OAS; il rivoluzionario serbo Gavrilo Princip, che spara a Sarajevo,
il 28 giugno 1914, all’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria e a sua moglie
Sofia; l’anarchico italiano Sante
Ieronimo Caserio, che pugnalò il presidente francese Marie-François-Sadi
Carnet, il 24 giugno 1894; l’anarchico Gaetano Bresci, che sparò al re Umberto
I, il 29 luglio 1900.
E le
belle congiure…
Giuseppe
Fieschi che, il 28 luglio 1835, attentò alla vita del re francese Luigi Filippo,
uccidendo diciotto persone, tra le quali il maresciallo di Francia Edouard Adolphe Casimir Joseph Mortier; Jaime
Ramón Mercader del Río Hernández,
che, trasferitosi, in Messico, nell’ottobre del 1939, con un falso passaporto a
nome di Jacques Mornard, nel nome di
Stalin, eliminò, a colpi di piccozza sulla testa, Lev Davidovic Bronstejn, detto Trotzkij; il ballo in maschera a
Stoccolma; l’uccisione di Abraham Lincoln da parte dell’attore shakespeariano John Wilkes Booth. Il presidente
nordista si accingeva a inaugurare una politica generosa verso i sudisti battuti.
Scomparso Lincoln, il suo successore Andrew Johnson – il nome Johnson è, per
due volte, fatale per debolezza e per iniquità nella Storia degli Stati Uniti –
farà spremere, malamente, i confederati dai cosiddetti carpet baggers, gli avventurieri dalle valigie di stracci del nord
vittorioso.
Vi sono
famiglie, come quella dei reali di Giordania, nelle quali la linea di
successione si svolge da assassinio ad assassinio.
L’elenco
potrebbe allungarsi a piacere.
È
caratteristico, tuttavia, che, nella maggior parte dei casi, il delitto
politico si ritorca contro i suoi autori. Riuscito o no, solo, in rari casi, l’attentato
premia l’attentatore.
Per lo
più saranno i suoi amici, i suoi sostenitori a goderne i frutti.
Altrimenti
ne subiranno le ritorsioni.
L’attentatore
in se stesso, l’uomo di mano, assume su di sé tutti i rischi e ne ricava
pochissimo utile.
Lo
stesso si dica per chi reprime con la forca o con le armi.
Corre
il rischio che l’ucciso si trasformi in martire.
È
meglio lasciare il condannato dinanzi alla propria coscienza?
È
meglio lasciare il tiranno osservare come l’opera sua degeneri?
È
meglio lasciare il mistico confrontarsi con i suoi problemi?
Henri Rochefort
aveva detto non senza ragione:
“Se
Cristo fosse morto in un incidente d’auto, non vi sarebbe stato il
cristianesimo.”
Di
questo principio era talmente convinta l’amministrazione della giustizia dell’Impero
austriaco, che i funzionari del ministero fecero di tutto per indurre Guglielmo
Oberdan, nato Wilhelm Oberdank,
a ritirare la sua dichiarazione spontanea: le bombe che portava in valigia
erano destinate all’imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe. Da buon
anarchico, Oberdan si ostinò a non ritrattare e finì nelle mani del boia,
proprio perché “non era possibile fare altrimenti”, confesserà il magistrato
incaricato di indurlo a miti consigli.
D’altronde,
il XIX secolo – almeno la seconda metà del XIX secolo – è trascorso tra gli
interminabili dibattiti, in cui bakuniani e kropotkiniani si dilaniavano per
giustificare o deprecare la violenza, quale rullo compressore, che avrebbe
spianato la via alla abolizione della autorità e al trionfo della anarchia di
quella società senza imposizioni da secoli sognata e da nessuno realizzata.
Provvederà
la venuta di Lenin a mettere un po’ di ordine e a spiegare che la violenza
individuale serve solo ad alimentare la repressione, che il terrorismo è come
il concime per il partito dell’ordine, che l’omicidio politico può essere sì un
atto di rabbia, ma politicamente è poco fertile. In altre parole, Lenin accusa
basilofagi, violenti, nichilisti, attentatori a mano armata, che agiscano per
proprio impulso e non nell’ambito di un autentico movimento popolare, di essere,
oggettivamente, al servizio delle mire dei padroni dello Stato e della società.
Non è,
forse, la uccisione del deputato monarchico spagnolo José Calvo Sotelo, il 13 luglio
1936, a
dare il via al sollevamento dei generali Francisco Franco y Bahamonde, Gonzalo Queipo de Llano, Emilio
Mola Vidal e José Sanjurjo
Sacanell?
Ovviamente
l’azione era preparata e i militari aspettavano un pretesto: qualche colpo di
pistola contro José Calvo Sotelo lo offrirà.
La
Spagna lo paga un milione di morti!
Il
periodo tra le due guerre è stato fervido di omicidi politici.
La
Germania, sconfitta e ridimensionata, ne fu teatro ripetute volte.
Il 24
giugno 1922, due mesi dopo la firma del Trattato di Rapallo del 1922, l’assassinio
del ministro degli affari esteri tedesco, Walther Rathenau,
sparge l’emozione in Europa e la intimidazione nella Repubblica di Weimar. Gli
attentatori, Ernst Werner Techow, Erwin Kern e Hermann Fischer erano tutti
membri della Organisation Consul.
Erano coinvolti nel complotto anche il fratello minore di Ernst Werner Techow,
Hans Gerd Techow, il futuro scrittore Ernst von Salomon e Willi Günther.
Sebbene
il cancelliere Karl Joseph Wirth dichiari al Parlamento:
“Il
nemico sta a destra.”,
le
indagini si arrestano presto.
O,
forse, è proprio per questo?
L’assassinio
di Rathenau potrebbe aver influenzato, significativamente, lo sviluppo politico
ed economico, a lungo termine, dell’Europa. Fu, certamente, un primo segno della
instabilità e della violenza che avrebbero, infine, distrutto la Repubblica di
Weimar.
Lo
scrittore britannico Morgan Philips Price scrive:
“Nel giugno del 1922 Walter Rathenau, un grosso industriale ebreo
ed economista progressista, venne assassinato da scagnozzi della estrema
destra, che erano il cuore e l’anima dei Freikorps. Ero presente alla cerimonia
commemorativa al Reichstag e notai uno straordinario scoppio di entusiasmo tra
gli operai di Berlino, come espresso dai capi dei loro sindacati e partiti
socialisti, per la Repubblica e il presidente Ebert. La base dei
social-democratici di maggioranza era, ora, estremamente eccitata...
Prima i comunisti, quindi i socialisti, e, ora, un grande
industriale vennero assassinati per le loro idee liberali e, nell’ultimo caso,
per essere un ebreo. La situazione in Germania diventava sempre più sinistra.”
L’ombra
di Rathenau e dei delitti della Sacra
Fema paralizzeranno, per lunghi anni, la politica repubblicana, fino all’avvento
di Adolf Hitler.
Un
altro assassinio politico spargerà l’emozione, in Europa, negli anni 1930.
Il 9
ottobre 1934, in
occasione di una visita di Stato in Francia, il re Alessandro di Jugoslavia è
assassinato, a Marsiglia, da Vlado Cernozemski, appartenente alla Organizzazione Rivoluzionaria Interna
Macedone [https://www.youtube.com/watch?v=jErk1lllx14],
che mira alla indipendenza della Macedonia dalla Jugoslavia e che ha
collegamenti con la formazione degli Ustascia
croati di Ante Pavelic. Nella sparatoria rimane ucciso anche il ministro degli
esteri francese, Jean-Louis Barthou, che verrà sostituito al ministero da
Pierre Laval. A differenza del suo predecessore, che puntava alla alleanza con
la Jugoslavia, per fare da contrappeso all’Italia fascista, Laval si avvicina
ad duce. Si scoprirà, in seguito, che il movimento nazionalista croato, a
carattere fortemente fascista, guidato da Ante Pavelic, che aveva trascorso,
molti anni, in Italia, era finanziato da uffici dello Stato italiano.
Proprio
alla vigilia della seconda guerra mondiale, scompare, misteriosamente, Rudolf
Klement, detto “Camillo”, “Federico” o “Adolfo”. Klement è il segretario di
Trotzkij e, dopo l’uccisione di Lev
Davidovic Bronstejn, è nominato segretario della IV Internazionale. Esce l’11 luglio 1938 dalla sua abitazione
parigina in rue de Vanves e scompare. Il 24 agosto, è ripescato nella Senna, a
Meulan, un corpo decapitato, che viene riconosciuto per quello di Klement. Vi è
chi afferma si tratti di un certo Pierre Madiec. Il riconoscimento non sarà,
mai, definitivo. Ma Klement non ricomparirà mai più.
Dal
1936 al 1938, vengono uccisi diversi trotzkisti.
La GPU
è in azione, si dice.
Il 3
settembre 1937, qualche settimana dopo avere, pubblicamente, annunciato la sua
defezione a Stalin, è la volta di Ignace Reiss,
ucciso con quindici proiettili, nei pressi di Losanna.
Verranno
fatti altri nomi, tra cui personaggi scomparsi in Spagna, come Erwin Wolff,
Marc Rhein e, perfino, quello del figlio di Trotzkij e della sua seconda moglie
Natal’ia Sedova, Lev L’vovic Sedov,
che, in realtà, muore per una appendicectomia, il 16 febbraio 1938. Si
apprende, tuttavia, che il più vicino collaboratore di Sedov alla rivista Bollettino dell’Opposizione era un
agente della GPU.
Che gli
abbia causato un attacco di appendicite?
Con lo
scoppio del secondo conflitto mondiale, gli omicidi politici si trasformarono
in autentici genocidi. Tra le eliminazioni collettive di ebrei, di zingari, di
partigiani, di oppositori di ogni tipo, si inserisce l’oscuro episodio delle Fosse
di Katyn.
Chi ha
eliminato le migliaia di ufficiali polacchi?
I
tedeschi o i russi?
Ragioni
per odiarli ne hanno entrambi.
Scrupoli
non ne hanno né l’uno né l’altro.
La
scoperta del massacro è annunciata, il 13 aprile 1943, da Radio Berlino, che ne attribuisce la responsabilità ai sovietici.
Stalin, per ritorsione, decide la rottura delle relazioni diplomatiche con il
governo polacco in esilio, a Londra.
L’URSS
negherà le accuse, fino al 1990, quando riconoscerà l’NKVD, quale responsabile del massacro e della sua copertura.
Un
omicidio politico vero e proprio è considerato la fucilazione di Galeazzo
Ciano, il genero del duce, avvenuta, l’11 gennaio 1944, a Verona.
È la
vendetta del duce o l’ultima dimostrazione della impotenza di Benito Mussolini
di fronte alla volontà vendicativa dei nazisti?
Allorché
alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Benito Mussolini è catturato dai
partigiani e ucciso con una raffica di mitra, l’omicidio politico si colora di
molti sentimenti. Ma è, principalmente, una dimostrazione di sfiducia nella
giustizia, che dovrebbe giudicare il fuggiasco duce. Piuttosto che vederlo
ricomparire, quale deputato in uno dei futuri Parlamenti, il movimento di
Resistenza ne decreta la morte.
Una
recrudescenza degli omicidi politici si manifesta, nel dopoguerra, con la
rinascita del movimento anticolonialista, in Asia e in Africa.
Neppure
l’Italia ne è esente.
Robert William Michael de Winton
A Pola,
una insegnante aderente al Partito Nazionale Fascista, Maria Pasquinelli,
uccide, il 10 febbraio 1947, con tre colpi di pistola alla schiena, il generale
inglese Robert William Michael de
Winton, massima autorità alleata nella città di Pola, come atto di
protesta per la assegnazione della città alla Jugoslavia. In tasca le viene
trovato un biglietto di rivendicazione, nel quale si legge:
“Mi
ribello, col fermo proposito di colpire a morte chi ha la sventura di
rappresentarli, ai Quattro Grandi i quali, alla Conferenza di Parigi, in
oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e di saggezza politica, hanno
deciso di strappare ancora una volta dal grembo materno le terre più sacre d’Italia,
condannandole o agli esperimenti di una novella Danzica o con la più fredda
consapevolezza, che è correità, al giogo jugoslavo, sinonimo per la nostra
gente indomabilmente italiana, di morte in foiba, di deportazioni, di esilio.”
Ma è un
fatto individuale!
Attentato a Palmiro Togliatti.
Altrettanto
individuale l’attentato a Palmiro Togliatti, il 14 luglio 1948!
Antonio
Pallante, l’attentatore, sarà, subito, arrestato. I rapporti riservati della
polizia, lo descriveranno come un isolato, cancellando il sospetto di una trama
più vasta [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/04/29/attentato-togliatti-le-lettere-segrete.html].
Al
processo Antonio Pallante dichiarerà:
“Sul
giornale del PSDI Togliatti era descritto come un uomo infausto, pericoloso per
l’Italia, da inchiodare al muro. E il capo del PCI annunciava di essere pronto
a prendere a calci De Gasperi. Ecco, esaltato da tutto questo, decisi di
eliminare il pericolo”.
La lapide che ricorda la Strage di Portella
della Ginestra.
Succosa
è la storia degli omicidi tra l’Organisation
Armée Secrète [OAS] di Raoul Salan, ad Algeri, e i barbouzes di Charles de Gaulle. A uno a uno gli amici di de Gaulle
vengono eliminati. E l’OAS fa
affiggere sui muri delle case un manifesto, dove le foto dei barbouzes uccisi sono contrassegnate
dalla indicazione “sentenza eseguita”.
Mentre
la Francia lascia l’Algeria, “scoppia” la libertà in Congo. Moise Ciombe, capo
dei katanghesi, è dietro gli assassini, che liquidano Patrice Emery Lumumba [https://www.youtube.com/watch?v=29Gy_oD1jIQ],
fautore della indipendenza di un Congo unito, retto da un governo
paternalistico.
Dietro
Ciombe vi è, a sua volta, l’Union Minière
du Haut Katanga [UMHK].
Allorché
Lumumba viene rovesciato, nel 1961, da un colpo di Stato del colonnello Mobutu Sese Seko e tenta la fuga
presso il governo ribelle di Stanleyville, capeggiato dal suo amico Antoine Gizenga,
viene catturato e brutalmente abbattuto.
Il
generale Gerard Soete ha descritto come Lumumba fu ucciso per mano dei suoi
sottoposti.
“Avevamo
fucilato Lumumba nel pomeriggio.”,
racconta
Soete alla Commissione Parlamentare Belga, incaricata delle indagini, a 40 anni
di distanza dall’omicidio,
“Poi,
tornai nella notte con un altro soldato, perché le mani dei cadaveri spuntavano
ancora dal terriccio. Prendemmo l’acido che si usa per le batterie delle
automobili, dissotterrammo i corpi, li facemmo a pezzi con l’accetta; poi, li
sciogliemmo in un barile, facendo tutto di fretta, perché non ci vedesse
nessuno.”
Ma
Ciombe dura poco.
È
costretto a espatriare e, mentre intriga contro Mobutu, nel suo rifugio
europeo, il governo di Leopoldville, divenuta nel frattempo Kinshasa, lo
condanna a morte, il 13 marzo 1967.
Ma come
prenderlo?
Un
aereo civile porta, il 29 giugno 1967, Moise Ciombe da Madrid a Palma de
Maiorca. Il 30 giugno, altri passeggeri si imbarcano sull’aereo che fa rotta
per Ibiza. Uno dei passeggeri intima al pilota di mutare rotta e di atterrare
all’aeroporto di Boufarik, nei pressi di Algeri. Ciombe è fatto prigioniero dal
colonnello Houari Boumédiène e,
da allora, rimane “ospite” dell’Algeria, fino al 29 giugno 1969, allorché muore
di infarto.
Medici
in camice bianco attestano la regolarità della sua morte.
Ma il
romanzo permane.
Nell’America
Latina, si verificano, negli anni 1970, più omicidi politici. Perdono la vita
nel corso di operazioni o di vendette, eseguite dai Guerrilleros, dai Tupamaros
o da rivali politici:
-
il 5 aprile 1970, l’ambasciatore della
Repubblica Federale Tedesca in Guatemala, Karl Graf von Spreti, per opera delle Fuerzas Armadas Revolucionarias
[FAR];
-
il primo giugno del 1970, l’ex-presidente
argentino Pedro Eugenio Aramburu Clivet,
due giorni dopo essere stato rapito, dal gruppo filoperonista Montoneros;
-
l’agente della CIA Daniel Mutrione, il 10 agosto 1970;
L’Algeria
aveva, già, registrato l’omicidio politico dell’ammiraglio Jean Louis Xavier François Darlan, il
24 dicembre 1942.
Il
Marocco aveva registrato la eliminazione di Jacques Lemaigre-Dubreuil, l’11
giugno 1955, fautore della indipendenza del Paese, assassinato dalla Main Rouge. Per una strana reazione a
catena, la uccisione dell’uomo politico francese costringerà la Francia a
richiamare, in Marocco, il sultano, che, in quell’epoca, era esiliato nel Madagascar.
All’ombra delle lotte per l’indipendenza del Marocco si registra il tenebroso
rapimento di Mehdi Ben Barka,
assassinato dal generale Mohamed Oufkir,
che, a sua volta, è fatto uccidere da re Hassan II, dopo un mancato regicidio.
In
Asia, il 30 gennaio 1948, Nathuram Godse, un fanatico indù radicale, che ha
legami con il gruppo estremista indù Mahasasabha,
spara a Mohandas Karamchand Gandhi, detto il Mahatma, sull’onda del grande
movimento di indipendenza dell’India.
Assassinio di Mohandas
Karamchand Gandhi, detto il Mahatma,
a New Delhi.
Ma l’omicidio
politico più sensazionale è certamente quello che avviene a Saigon, il 2
novembre 1963, ed è battezzato discretamente “colpo di Stato dei militari”. Il
primo presidente del Vietnam del Sud, Ngo Dinh Diem, e suo fratello minore, Ngo
Dinh Nhu, principale consigliere politico, sono assassinati dai militari amici
degli Stati Uniti [capitano Nguyen Van Nhung], per essersi opposti a certe
esigenze statunitensi, durante il colpo di Stato, guidato dal generale Duong Van
Minh. Avevano chiesto, fino all’ultimo, un intervento del presidente John
Fitzgerald Kennedy, che glielo negò.
Tran Le Xuan, vedova di Ngo Dinh Nhu, conosciuta
come Madame Nhu.
La
vedova di Ngo Dinh Nhu si prenderà il lusso di dichiarare in una intervista,
dopo l’uccisione di John Fitzgerald Kennedy, avvenuta qualche settimana dopo:
“La
signora Kennedy comprende, ora, che cosa significhi perdere il marito in un
omicidio politico.”
Il 1963
è un anno, a suo modo, pacifico.
In
gennaio, è assassinato, in Africa, anche il presidente del Togo, Sylvanus Olympio.
Sylvanus Olimpio e John Fitzgerald Kennedy
Né l’America
Meridionale è rimasta indietro.
Ernesto
Guevara de la Serna
Salvador
Guillermo Allende Gossens
La
cattura e l’assassinio di Ernesto
Guevara de la Serna, più noto come Che Guevara o semplicemente el Che, in Bolivia, non sono stati altro che un anticipo di prove
più impegnative, come dimostra la liquidazione brutale di Salvador Guillermo Allende Gossens,
avvenuta, l’11 settembre 1973,
a Santiago del Cile. Durante l’assedio e la successiva
presa del Palacio de la Moneda, Allende morì in circostanze non del tutto
chiarite, dopo un ultimo discorso alla radio, in cui affermò:
“Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino.
Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento
pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i
grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società
migliore.”
Strage
di Piazza Fontana
Nella
nostra cultura, inquinata dalla commercializzazione delle notizie, l’omicidio
politico si incunea come un fatto di cronaca. Esercita un maggiore o minore
effetto in rapporto al fascino o alla importanza della persona colpita.
Difficilmente, si accetta di considerarlo parte di un metodo di lotta, che trae
origine dai periodi brutali della Umanità e che continua a essere applicato
anche dagli ambienti più rispettabili. O che almeno si credono tali.
Anche
in questo campo, la indifferenza assume valori sempre più dittatoriali: la
strage di piazza Fontana, il 12 dicembre 1969, tipico esempio di delitto
politico per seminare il terrore, si disperde nelle more di una giustizia
“incapace” di fare luce. La morte più o meno violenta di una decina di persone
in contatto più o meno convincente con l’affare passa nella contabilità sotto
la voce “fantasie e intrighi”.
Luigi Calabresi
L’uccisione
del commissario Luigi Calabresi,
il 17 maggio 1972, diviene un fatto di cronaca e neppure il lancio di una
bomba, a un anno dall’assassinio, il 17 maggio 1973, nel cortile della questura
di via Fatebenefratelli di Milano, durante l’inaugurazione di un busto
commemorativo in memoria del commissario – cerimonia, cui partecipa l’allora
ministro dell’interno Mariano Rumor – riesce a ottenere quel fremito di rabbia,
di rivolta, quell’anelito di ordine che gli autori si ripromettono. Al massimo
saranno soggetti per i prossimi films,
come i numerosi omicidi di mafia, che si aggirano, sempre più pericolosamente,
nell’ambito della politica.
Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e
Antonino Caponnetto.
Daniela
Zini
Copyright
© 31 marzo 2015 ADZ
Il procuratore Natalio Alberto Nisman aveva accusato la presidente
dell’Argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, il ministro degli esteri,
Hector Timerman, e altri funzionari del Governo di avere cospirato per
insabbiare una indagine, che si sarebbe dovuta occupare del coinvolgimento
dell’Iran in un attacco esplosivo a un centro ebraico, a Buenos Aires, nel
1994, che causò la morte di 85 persone e il ferimento di almeno 200. Secondo
Nisman, Cristina Fernandez de Kirchner aveva chiesto al suo ministro degli
esteri e ad altri funzionari di attivarsi per trovare una qualche forma di
immunità per alcune persone di origini iraniane, sospettate per l’attacco,
sperando in questo modo di migliorare i rapporti diplomatici e commerciali con
l’Iran, per ottenere forniture di petrolio a prezzi più vantaggiosi e
attenuare, così, i problemi dovuti alla crisi energetica in Argentina. Il
piano, tuttavia, non era stato realizzato.
Le
accuse di Nisman, che indagava, da anni, sulla strage del 1994, erano
basate su numerose intercettazioni telefoniche, effettuate, negli ultimi due
anni, tra diversi funzionari governativi e altre persone molto vicine a
Cristina Fernandez de Kirchner, che, invece, non er stata intercettata. Tra
queste persone vi è, anche, Mohsen Rabbani, un iraniano che, per lungo tempo, è
stato tra i membri più attivi dell’ambasciata a Buenos Aires e che è tra le
persone sospettate per quanto avvenne al centro ebraico. Secondo Nisman, le
prove raccolte erano molto consistenti.
A
distanza di venti anni non sono ancora del tutto chiare le responsabilità per
l’attacco contro il centro ebraico. Nisman sosteneva che la strage sarebbe
stata organizzata dall’Iran, che avrebbe, poi, affidato al gruppo libanese Hezbollah il compito di eseguirla.
Nel
2007, furono emessi mandati internazionali per l’arresto di sei cittadini
iraniani sospettati di essere coinvolti nell’attacco. Sono, ancora, latitanti
e, in più occasioni, il governo iraniano ha negato qualsiasi coinvolgimento.
Il
26 marzo scorso, la Camera Federale argentina ha respinto l’imputazione
presentata dal procuratore Natalio Alberto Nisman contro la presidente Cristina
Fernandez de Kirchner.
Le SA, abbreviazione
di Sturmabteilung, letteralmente
battaglione di assalto sono, anche, conosciute come camicie brune per il colore della loro divisa.
La Legge 18 novembre 1923, n.
2444, nota, anche, come Legge Acerbo, dal
nome del deputato che redasse il testo, fu voluta da Benito Mussolini, per
assicurare al Partito Nazionale Fascista una solida maggioranza parlamentare.
Nel gennaio del 1935, Eugène Deloncle, fonda una organizzazione segreta di
estrema destra, l’Organisation Secrète
d’Action Révolutionnaire Nationale, detta Cagoule. È Eugène Schueller, fondatore della società L’Oréal, che mette i suoi mezzi
personali e finanziari a disposizione della Cagoule
e organizza riunioni nella sede della sua società.
Molti
giovani studenti dell’Internat des Pères
Maristes, in rue Vaugirard, a Parigi, tra i quali Pierre Emile Guillain de
Bénouville, Claude Roy, François-Maurice-Adrien-Marie
Mitterrand e André Bettencourt, frequentano i capi della Cagoule.
Robert
Mitterand, fratello del presidente francese François-Maurice-Adrien-Marie Mitterrand, sposerà, nel 1939, Edith
Cahier, figlia di Paul Cahier, la cui sorella era la moglie di Eugène Deloncle.
Nel giugno del 1937, Carlo Rosselli soggiornava per delle cure termali a
Bagnoles-de-l’Orne, dove veniva raggiunto dal fratello Nello, che aveva
ottenuto il passaporto, nel maggio del 1937, su intercessione di Gioacchino
Volpe, con una sollecitudine che ad alcuni amici, tra i quali Piero
Calamandrei, parve sospetta e motivata dal fine di arrivare attraverso Nello al
rifugio di Carlo.
Nel
1951, i familiari traslarono le salme dei fratelli Rosselli dal Père Lachaise al Cimitero Monumentale di
Trespiano, dove sono sepolti, anche, Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi, Piero
Calamandrei e Spartaco Lavagnini. La loro tomba riporta il simbolo della “spada
di fiamma”, emblema di GL, e
l’epitaffio scritto da Calamandrei:
GIUSTIZIA E LIBERTÀ
PER QUESTO MORIRONO
PER QUESTO VIVONO
Nel
1974, la RAI ha trasmesso lo sceneggiato televisivo, in tre puntate, L’assassinio dei fratelli Rosselli, diretto da Silvio Maestranzi. Il cast
includeva nomi celebri del teatro e della televisione, quali Orso Maria
Guerrini, Renzo Palmer, Michele Malaspina, Nando Gazzolo, Vittorio Mezzogiorno
e Daniele Formica.
Gaio Giulio Cesare ebbe un ruolo cruciale nella transizione del sistema di
governo dalla forma repubblicana a quella imperiale. Fu dittatore di Roma alla
fine del 49 a.C.,
nel 47 e nel 46 a.C.,
con carica decennale, e, dal 44
a.C., come dittatore perpetuo, e, per questo, ritenuto
da Svetonio, il primo dei dodici Cesari.
“Cesare in pochi anni aveva
posto i principi del principato augusteo. Si può considerare come il vero
fondatore del regime imperiale. Svetonio non si è sbagliato iniziando con la
sua, le Vite dei dodici Cesari.”
Marcel Le Glay, Jean-Louis Voisin, Yann
Le Bohec
Henri III [1551-1589] fu re di Polonia, dal
primo maggio del 1573 al 18 giugno 1574, e re di Francia, dal 1574 al 1589. Fu
l’ultimo re della dinastia dei Valois.
Lev Nikolaevic Tolstoj, anarchico
cristiano non-violento, non approvò il gesto in sé, ma ne comprese le
motivazioni profonde:
Jaime Ramón Mercader del Río Hernández
[1913-1978] è stato un agente segreto spagnolo, naturalizzato sovietico,
operante nel NKVD, durante il governo
di Josif Stalin, nell’URSS. Era il fratello dell’attrice Maria Mercader,
seconda moglie del regista Vittorio De Sica, e divenne noto, unicamente, per
essere stato l’assassino di Lev
Davidovic Bronstejn, detto Trotzkij.
La GPU fu la polizia segreta del regime sovietico fino al 1934.
Ignace Reiss, amico di infanzia
di Samuel Ginsberg, conosciuto come Walter Krivitsky, è stato una spia russa. Il suo assassinio influenzò la defezione
dell’agente Whittaker Chambers, qualche mese più tardi. Le polizie svizzera e
francese sospettarono il marito della poetessa Marina Ivanovna Tsvetaeva, Sergei
Yakovlevich Efron, in esilio in Francia, e Mark Zborowski, di essere
coinvolti nell’assassinio.
Maria Pasquinelli si diplomò maestra elementare e, successivamente, si laureò
in pedagogia a Bergamo. Iscrittasi, nel 1933, al Partito Nazionale Fascista,
frequentò la scuola di mistica fascista. Nel 1940, si arruolò volontaria
crocerossina, al seguito delle truppe italiane, in Libia.
Nel
novembre del 1941, lasciò l’ospedale di El Abiar, a 40 chilometri da
Bengasi, dove prestava servizio, per raggiungere la prima linea travestita da
soldato, con la testa rasata e documenti falsi. Scoperta, fu riconsegnata ai
suoi superiori e rimpatriata in Italia.
Nel
gennaio del 1942, chiese di essere inviata quale insegnante in Dalmazia,
annessa all’Italia, nel 1941,
a seguito dell’occupazione italo-tedesca della
Jugoslavia.
“Il dolore preciso, nel momento preciso,
nella quantità necessaria all’effetto desiderato.”,
la
frase appartiene a Daniel Mitrione e sintetizza chi fosse e a cosa si
dedicasse, alla fine degli anni 1960 e agli inizi degli anni 1970, in America Latina.
Gli insegnamenti, elargiti, tanto in Brasile quanto in Uruguay, sugli effetti
dello shock elettrico nei genitali,
degli aghi elettrificati conficcati sotto le unghie, delle bruciature di
sigaretta e il lento soffocamento, finirono per decidere il suo sequestro e la
posteriore esecuzione da parte dei Tupamaros.
Nel suo libro, The
Praetorian Guard: The US Role In The New World Orde, l’ex-agente
della CIA John R. Stockwell scrive:
“Si utilizzavano filmati e altro materiale
didattico che gli studenti dovevano imparare a memoria, e praticare senza
indugio. Dopodichè, Mitrione ordinava di sequestrare dei barboni lungo le
strade periferiche di Montevideo, che venivano usati come cavie. Se perdevano i
sensi, venivano loro iniettate delle vitamine e degli analgesici, e dopo un
qualche periodo di riposo, si ricominciava, fino a morte avvenuta.”
A
Daniel Mitrione è ispirato il film
del regista greco, naturalizzato francese, Costa Gavras: Etat de Siège, del 1973.