“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

martedì 31 marzo 2015

SEGRETI DI STATO 1. LA MACCHINA DEL DELITTO POLITICO NON SI FERMA MAI di Daniela Zini






SEGRETI DI STATO
 
“Sono azioni contemplate nella Ragione di Stato quelle la cui giustificazione non richiede altro che la stessa Ragione di Stato.”
Friedrich Meinecke

di
Daniela Zini



Il Segreto di Stato è un atto politico, che può essere disposto, esclusivamente, dal Presidente del Consiglio dei Ministri e che impedisce alla Autorità Giudiziaria la acquisizione e la utilizzazione delle notizie, sulle quali è apposto. Si differenzia dalle classifiche di segretezza – la cui attribuzione ha natura di atto amministrativo – che non sono opponibili alla Magistratura.


1. La macchina del delitto 
politico non si ferma mai
L’odio disperato dell’oppresso, la follia, il desiderio di potere, la vendetta, la frustrazione, sono le ragioni che, solitamente, armano il sicario. I “bagni di sangue” staliniani, tedeschi, spagnoli, le esecuzioni seguite ai grandi processi del Tribunale Speciale fascista[1], per la difesa dello Stato, si identificarono nella applicazione dei metodi terroristici,  sui quali si fonda ogni dittatura per reggersi.  

 


Natalio Alberto Nisman

Sia assassino o “suicidio costrittivo”, la morte del cinquantunenne procuratore argentino Natalio Alberto Nisman[2], trovato, il 18 gennaio scorso, con una pallottola in testa, dalla madre, nel suo appartamento a Puerto Madero, un quartiere di Buenos Aires, restituisce attualità alla domanda: il delitto politico torna di moda?
È facile rispondere: il delitto politico non è, mai, stato fuori di moda.
Nulla è definitivo come la eliminazione di un avversario politico!
Basta scegliere il “momento giusto”, vale a dire non commettere l’errore di farne un martire. Personaggi esperti nella eliminazione degli avversari politici, come furono, a suo tempo, Adolf Hitler o Iosif Stalin, ne sapevano qualcosa.
Allorché, nei mesi di giugno e di luglio del 1934, Adolf Hitler, cedendo alle pressioni dei capi delle Forze Armate tedesche, dei suoi collaboratori Hermann Wilhelm Göring e Heinrich Luitpold Himmler e, non da ultimo, ai suoi sentimenti, ordina la eliminazione di Ernst Röhm, dei capi delle SA[3] e della opposizione turbolenta, “mettendo nel mazzo” i nazisti di sinistra di Gregor Strasser e l’ex-capo del governo Kurt Ferdinand Friedrich Hermann von Schleicher, compie una astuta mossa politica.
A quanti credevano che una cosa del genere fosse impossibile, in Germania, Adolf Hitler dà una dimostrazione di spregiudicata sottigliezza politica.
“La gente non accetterà?
La gente accetta, la gente lo desidera.”,
dirà il führer ai suoi collaboratori.
Il bisogno di ordine, nella Germania post-weimariana, è tale che la eliminazione degli attaccabrighe, degli smargiassi e dei prepotenti delle SA viene salutata con sollievo.


Kurt Daluege, Heinrich Himmler ed Ernst Röhm

L’uomo della strada si dice:
“Ecco l’uomo d’ordine, che mette a posto i violenti.”
L’uccisione di Röhm e camerati fu il lasciapassare per milioni di altre vittime.
Ormai, bastava preparare la strada, incanalando l’odio e le frustrazioni delle masse verso obiettivi determinati: gli ebrei, i non ariani, i francesi, gli slavi.
La stampa era, strettamente, in mano ai nazisti e ai loro alleati.
La radio, anche.
Fu una semplice questione di metodo.
Il procedimento, seguito da Stalin, nell’ordinare le purghe degli anni 1930, partì da un elemento più squisitamente mistico: le eliminazioni e il freddo siberiano – tanto se ne occupava lui! – furono riservati agli anonimi. Per chi aveva un nome e un rango nel partito, il successore di Vladimir Il’ic Ul’janov ricorse al rito del processo. Autentici misteri orientali, legati a certe esigenze dell’anima russa e della tradizione ortodossa, i processi dei “sedici”, nel 1936, dei “diciassette”, nel 1937, e dei “ventuno”, nel 1938, sublimano l’apparato processuale, quale strumento di eliminazione: la “giustizia” assurge a nuove vette.
Grigorij Evseevic Zinov’ev, Lev Borisovic Kamenev, Karl Berngardovic Radek, Georgij Leonidovic Pjatakov, Nikolaj Ivanovic Bucharin, Aleksej Ivanovic Rykov, Nikolaj Nikolaevic Krestinskij, si piegano alla “linea del partito”, confessano i propri “errori”, accettano senza reazione la sorte dell’agnello pasquale.
Lenin ha fatto la Rivoluzione, Stalin fa l’Unione Sovietica.
Sconvolto dalle confessioni dei rei, il popolo sovietico è dilaniato tra la fede, il dubbio e la paura.
Se il processo contro il maresciallo Michail Nikolaevic Tuchacevskij e l’epurazione, in seno all’Armata Rossa, hanno lasciato il pubblico sovietico nella indifferenza – chi, mai, ama gli alti ufficiali? – qui, sono sul banco degli imputati i Padri della Rivoluzione.
Si accusano di errori, di tradimenti.
Come è possibile?
Allora, la morte la meritano!
Ecco perché il popolo sta male!
L’anima slava è incline alla sincerità.
Il russo si confessa volentieri; è sufficiente che beva o abbia problemi interiori, si pensi a Lev Nikolaevic Tolstoj, a Fëdor Michajlovic Dostoevskijj.
Se questi confessano, allora, vuole dire che sono sinceri.
Ed ecco le condanne.
Approvate!
Il Grande Maestro dei Popoli si dimostra nella sua gelida statocrazia un autentico maestro di psicologia delle masse.
Al suo confronto, Benito Mussolini e gli altri piccoli personaggi, che azionano, negli anni 1930, la macchina del delitto politico sono dei semplici dilettanti. Eppure, la subdola macchina non si è, mai, fermata. Sia l’odio disperato, che arma la mano dei popoli oppressi; sia la follia; sia semplice dilettantismo o frustrazione; sia il desiderio di potere e di vendetta; la cronaca del delitto politico è tra le più nutrite.
Il filone lo hanno scoperto, dopo il teatro e la lirica, anche il cinema e la televisione.
E’ del 1973 il film su Giacomo Matteotti[4], il deputato socialista, che denunciò alla Camera le violenze e i brogli elettorali, che avevano accompagnato le elezioni dell’aprile del 1924, svoltesi in base alla Legge Acerbo[5] e sotto la paura delle squadracce nere. La sua uccisione, avvenuta, il 10 giugno 1924, per opera di sicari fascisti, e il mancato intervento del re a favore dei deputati ritiratisi sull’Aventino, che chiedevano l’abolizione della milizia fascista, aprono la via alla dittatura mussoliniana.
In questo senso, il duce approfitta di un gioco, che svolge con poco rischio.
Lo ripete tredici anni dopo, proprio il 9 giugno 1937, a Bagnoles-de-l’Orne. Per ordine del ministro degli esteri Galeazzo Ciano, su incarico del Servizio Informazioni Militari, un gruppo di cagoulards[6], i fascisti incappucciati di Otralpe, elimina Nello e Carlo Rosselli[7], i due fratelli fuorusciti, che si opponevano alla politica fascista.
In Francia, il fascismo finanziava i cagoulards per abbattere il Governo di Léon Blum.
 

Nello Traquandi, Tommaso Ramorino, Carlo Rosselli,
Ernesto Rossi, Luigi Emery e Nello Rosselli [1925].

In Spagna, il fascismo era impegnato nella lotta per l’insediamento di un regime fascista a Madrid. Ci riuscirà con l’aiuto di Hitler e a prezzo di un atroce bagno di sangue spagnolo, commisto a quelli italiano e tedesco e ne subirà lo smacco della ingratitudine.
Il mistero, che avvolge il delitto politico, esercita un fascino oscuro.
La morte dei fratelli Kennedy, avvenuta in due tempi successivi, a Dallas, il 22 novembre 1963, e a Los Angeles, il 6 giugno 1968, ha ispirato sette film: Executive action [1973], JFK [1991], Parkland [2013], Killing Kennedy [2013], Il prezzo del potere [1969] e  The Butler [2013], per l’uccisione del presidente e The second gun per quella di Robert Kennedy.
 


I films dedicati a John Fitzgerald Kennedy ripropongono la tesi della congiura. I fatti di Dallas hanno dell’incredibile: ucciso il presidente, viene arrestato Lee Harvey Oswald, quale presunto assassino.
Il giorno dopo l’arresto, Oswald viene assassinato, all’interno della sede della polizia: non parlerà più, né come imputato, né come teste. Una serie di persone, coinvolte, in modo più o meno diretto, con l’omicidio di Kennedy perde la vita: complessivamente 17 testimoni. Di questi, 6 sono uccisi a colpi di arma da fuoco, 3 muoiono in incidenti di auto, 2 si suicidano, uno è trovato con la gola tagliata, un altro è ucciso con un colpo di karate alla nuca e 4 muoiono di morte, apparentemente, naturale. 
Vi è di che arricchire la leggenda. 
Soprattutto, se si tiene conto che, dopo John Fitzgerald Kennedy, verranno uccisi Martin Luther King Jr. e Robert Francis Kennedy.


Assassinio di John Fitzgerald Kennedy, a Dallas.

Una congiura dei razzisti contro i diritti civili?
Dei petrolieri del Texas contro il presidente?
Dei militari del Pentagono per timore che Kennedy ceda nel Vietnam?
Il suo successore, Lyndon Johnson, intensificherà, infatti, il conflitto nel Vietnam, impegnando gli Stati Uniti nell’amara guerra, che non sapranno vincere.


Assassinio di Martin Luther King Jr., Premio Nobel per la Pace 1964, a Memphis.

Anche la uccisione di Robert Francis Kennedy si presta al dubbio. Un altro cineasta rivela che l’attorney general sarebbe stato ucciso, all’Ambassador Hotel di Los Angeles, non dal nazionalista giordano Sirhan Bishara Sirhan, bensì da un altro uomo.
Da qui il titolo: The second gun



Assassinio di Robert Francis Kennedy, a Los Angeles.

La tesi: Sirhan non sarebbe, mai, giunto a meno di un metro di distanza da Kennedy; mentre il proiettile fatale risulterebbe sparato alla nuca del senatore da tre pollici di distanza.
Di regola, se il delitto è commesso da chi sta in basso l’identificazione della vittima con il tiranno è automatica.
“L’uccisione del tiranno non è un crimine!”,
dicevano, già, gli antichi greci, riferendosi a Dionigi di Siracusa.
Se chi ordina o commette il delitto sta in alto, allora, si invoca la Ragione di Stato.
La storia dei delitti, commessi in nome e per conto di regnanti e di dittatori, spesso, con il paravento della “grazia di Dio”, è classificatrice.
Delitti, repressioni, deportazioni, stragi ricevono una adeguata denominazione storica e sono incasellati in accurate cronologie, che, con l’andare degli anni, fanno perdere alle azioni descritte la crudezza del delitto, per diluirle nella pietosa atmosfera della erudizione.
Se i potenti mascherano il delitto con la Ragione di Stato, gli eversori lo abbigliano del vestito della liceità morale.
Già, nel XVII secolo, il “livellatore” inglese, il colonnello Edward Sexby, scrive il suo Killing no murder [Uccidere non è assassinare], in cui documenta la giustificazione morale per l’uccisione del tiranno, quella giustificazione filosofico-morale, che si aggirava latente, fino dai tempi in cui Bruto aveva partecipato alla congiura contro Gaio Giulio Cesare.
Con l’andare del tempo, i killers politici hanno cambiato tanti nomi.
Sono stati chiamati, in molti modi, perfino livellatori, in attesa che venissero gli inquisitori, gli epuratori, i pacificatori.
Infine, tra i poli della dottrina che vuole che la eliminazione di Oliver Cromwell sia un “livellamento” e quella che vuole che la distruzione di ogni forma di vita nel Delta del Mekong sia una “pacificazione”, vi sono mille sfumature, rivestite di furfanteria, di follia.
Giustizieri in nome proprio, ribelli, oppressori, squilibrati.
Chissà quanti si sono avvalsi di una filosofia così spregiudicata?
Siano i basilofagi, vale a dire gli anarchici mangia-re del XIX secolo; sia l’Inquisizione, che ripristina il rispetto di Dio, facendo arrostire sul rogo i dubbiosi; siano i regnanti bricconi che risolvono i problemi di politica interna ed estera, mandando lietamente i propri villani a morte.
“Non si può regnare nell’innocenza.”,
proclama Louis-Antoine-Léon de Richebourg de Saint-Just, nel perorare l’invio dell’imbelle re Luigi XVI sulla ghigliottina.
Fare un elenco degli omicidi politici sarebbe presuntuoso.
Al massimo se ne possono citare i più conosciuti: Marco Giunio Bruto, che accoltella Gaio Giulio Cesare[8], per salvaguardare la libertà.
“Tu quoque, Brute, fili mi!”,
grida il dittatore, coprendosi con la toga, mentre cade sotto le pugnalate.
Mario che fa uccidere gli amici di Silla.
Silla che ristabilisce l’ordine, eliminando i fautori di Mario.
Jacques Clément, che uccide Henri III[9] nell’“interesse della cattolicità”; François Ravaillac, che uccide Henri IV per impedirgli di ridivenire cattolico; i Borgia; il cavaliere Pierre Robinault de Saint-Régeant, che vuole uccidere Bonaparte; Charlotte Corday d’Armont, che pugnala Jean-Paul Marat; Adolf Hitler, che incoraggia ad assassinare Engelbert Dollfuss; Claus Philipp Maria Schenk Graf von Stauffenberg[10] che progetta, il 20 luglio 1944, l’attentato contro Hitler; Jean-Marie Bastien-Thiry, che cerca di uccidere il presidente francese Charles de Gaulles, il 22 agosto 1962, all’epoca dell’OAS; il rivoluzionario serbo Gavrilo Princip, che spara a Sarajevo, il 28 giugno 1914, all’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria e a sua moglie Sofia; l’anarchico italiano Sante Ieronimo Caserio, che pugnalò il presidente francese Marie-François-Sadi Carnet, il 24 giugno 1894; l’anarchico Gaetano Bresci, che sparò al re Umberto I, il 29 luglio 1900[11].
E le belle congiure…
Giuseppe Fieschi che, il 28 luglio 1835, attentò alla vita del re francese Luigi Filippo, uccidendo diciotto persone, tra le quali il maresciallo di Francia Edouard Adolphe Casimir Joseph Mortier; Jaime Ramón Mercader del Río Hernández[12], che, trasferitosi, in Messico, nell’ottobre del 1939, con un falso passaporto a nome di  Jacques Mornard, nel nome di Stalin, eliminò, a colpi di piccozza sulla testa, Lev Davidovic Bronstejn, detto Trotzkij; il ballo in maschera a Stoccolma; l’uccisione di Abraham Lincoln da parte dell’attore shakespeariano John Wilkes Booth. Il presidente nordista si accingeva a inaugurare una politica generosa verso i sudisti battuti. Scomparso Lincoln, il suo successore Andrew Johnson – il nome Johnson è, per due volte, fatale per debolezza e per iniquità nella Storia degli Stati Uniti – farà spremere, malamente, i confederati dai cosiddetti carpet baggers, gli avventurieri dalle valigie di stracci del nord vittorioso.
Vi sono famiglie, come quella dei reali di Giordania, nelle quali la linea di successione si svolge da assassinio ad assassinio.
L’elenco potrebbe allungarsi a piacere.
È caratteristico, tuttavia, che, nella maggior parte dei casi, il delitto politico si ritorca contro i suoi autori. Riuscito o no, solo, in rari casi, l’attentato premia l’attentatore.
Per lo più saranno i suoi amici, i suoi sostenitori a goderne i frutti.
Altrimenti ne subiranno le ritorsioni.
L’attentatore in se stesso, l’uomo di mano, assume su di sé tutti i rischi e ne ricava pochissimo utile.
Lo stesso si dica per chi reprime con la forca o con le armi.
Corre il rischio che l’ucciso si trasformi in martire.
È meglio lasciare il condannato dinanzi alla propria coscienza?    
È meglio lasciare il tiranno osservare come l’opera sua degeneri?
È meglio lasciare il mistico confrontarsi con i suoi problemi?
Henri Rochefort aveva detto non senza ragione:
“Se Cristo fosse morto in un incidente d’auto, non vi sarebbe stato il cristianesimo.”
Di questo principio era talmente convinta l’amministrazione della giustizia dell’Impero austriaco, che i funzionari del ministero fecero di tutto per indurre Guglielmo Oberdan, nato Wilhelm Oberdank, a ritirare la sua dichiarazione spontanea: le bombe che portava in valigia erano destinate all’imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe. Da buon anarchico, Oberdan si ostinò a non ritrattare e finì nelle mani del boia, proprio perché “non era possibile fare altrimenti”, confesserà il magistrato incaricato di indurlo a miti consigli.
D’altronde, il XIX secolo – almeno la seconda metà del XIX secolo – è trascorso tra gli interminabili dibattiti, in cui bakuniani e kropotkiniani si dilaniavano per giustificare o deprecare la violenza, quale rullo compressore, che avrebbe spianato la via alla abolizione della autorità e al trionfo della anarchia di quella società senza imposizioni da secoli sognata e da nessuno realizzata.
Provvederà la venuta di Lenin a mettere un po’ di ordine e a spiegare che la violenza individuale serve solo ad alimentare la repressione, che il terrorismo è come il concime per il partito dell’ordine, che l’omicidio politico può essere sì un atto di rabbia, ma politicamente è poco fertile. In altre parole, Lenin accusa basilofagi, violenti, nichilisti, attentatori a mano armata, che agiscano per proprio impulso e non nell’ambito di un autentico movimento popolare, di essere, oggettivamente, al servizio delle mire dei padroni dello Stato e della società.
Non è, forse, la uccisione del deputato monarchico spagnolo José Calvo Sotelo, il 13 luglio 1936, a dare il via al sollevamento dei generali Francisco Franco y Bahamonde, Gonzalo Queipo de Llano, Emilio Mola Vidal e José Sanjurjo Sacanell? 
Ovviamente l’azione era preparata e i militari aspettavano un pretesto: qualche colpo di pistola contro José Calvo Sotelo lo offrirà.
La Spagna lo paga un milione di morti!
Il periodo tra le due guerre è stato fervido di omicidi politici.
La Germania, sconfitta e ridimensionata, ne fu teatro ripetute volte.
Il 24 giugno 1922, due mesi dopo la firma del Trattato di Rapallo del 1922, l’assassinio del ministro degli affari esteri tedesco, Walther Rathenau[13], sparge l’emozione in Europa e la intimidazione nella Repubblica di Weimar. Gli attentatori, Ernst Werner Techow, Erwin Kern e Hermann Fischer erano tutti membri della Organisation Consul. Erano coinvolti nel complotto anche il fratello minore di Ernst Werner Techow, Hans Gerd Techow, il futuro scrittore Ernst von Salomon e Willi Günther.
Sebbene il cancelliere Karl Joseph Wirth dichiari al Parlamento:
“Il nemico sta a destra.”,
le indagini si arrestano presto.
O, forse, è proprio per questo?
L’assassinio di Rathenau potrebbe aver influenzato, significativamente, lo sviluppo politico ed economico, a lungo termine, dell’Europa. Fu, certamente, un primo segno della instabilità e della violenza che avrebbero, infine, distrutto la Repubblica di Weimar.
Lo scrittore britannico Morgan Philips Price scrive:
“Nel giugno del 1922 Walter Rathenau, un grosso industriale ebreo ed economista progressista, venne assassinato da scagnozzi della estrema destra, che erano il cuore e l’anima dei Freikorps. Ero presente alla cerimonia commemorativa al Reichstag e notai uno straordinario scoppio di entusiasmo tra gli operai di Berlino, come espresso dai capi dei loro sindacati e partiti socialisti, per la Repubblica e il presidente Ebert. La base dei social-democratici di maggioranza era, ora, estremamente eccitata...
Prima i comunisti, quindi i socialisti, e, ora, un grande industriale vennero assassinati per le loro idee liberali e, nell’ultimo caso, per essere un ebreo. La situazione in Germania diventava sempre più sinistra.”
L’ombra di Rathenau e dei delitti della Sacra Fema paralizzeranno, per lunghi anni, la politica repubblicana, fino all’avvento di Adolf Hitler.
Un altro assassinio politico spargerà l’emozione, in Europa, negli anni 1930.
Il 9 ottobre 1934, in occasione di una visita di Stato in Francia, il re Alessandro di Jugoslavia è assassinato, a Marsiglia, da Vlado Cernozemski, appartenente alla Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone [https://www.youtube.com/watch?v=jErk1lllx14], che mira alla indipendenza della Macedonia dalla Jugoslavia e che ha collegamenti con la formazione degli Ustascia[14] croati di Ante Pavelic. Nella sparatoria rimane ucciso anche il ministro degli esteri francese, Jean-Louis Barthou, che verrà sostituito al ministero da Pierre Laval. A differenza del suo predecessore, che puntava alla alleanza con la Jugoslavia, per fare da contrappeso all’Italia fascista, Laval si avvicina ad duce. Si scoprirà, in seguito, che il movimento nazionalista croato, a carattere fortemente fascista, guidato da Ante Pavelic, che aveva trascorso, molti anni, in Italia, era finanziato da uffici dello Stato italiano.     
Proprio alla vigilia della seconda guerra mondiale, scompare, misteriosamente, Rudolf Klement, detto “Camillo”, “Federico” o “Adolfo”. Klement è il segretario di Trotzkij e, dopo l’uccisione di Lev Davidovic Bronstejn, è nominato segretario della IV Internazionale. Esce l’11 luglio 1938 dalla sua abitazione parigina in rue de Vanves e scompare. Il 24 agosto, è ripescato nella Senna, a Meulan, un corpo decapitato, che viene riconosciuto per quello di Klement. Vi è chi afferma si tratti di un certo Pierre Madiec. Il riconoscimento non sarà, mai, definitivo. Ma Klement non ricomparirà mai più.
Dal 1936 al 1938, vengono uccisi diversi trotzkisti.
La GPU[15] è in azione, si dice.
Il 3 settembre 1937, qualche settimana dopo avere, pubblicamente, annunciato la sua defezione a Stalin, è la volta di Ignace Reiss[16], ucciso con quindici proiettili, nei pressi di Losanna.
Verranno fatti altri nomi, tra cui personaggi scomparsi in Spagna, come Erwin Wolff, Marc Rhein e, perfino, quello del figlio di Trotzkij e della sua seconda moglie Natal’ia Sedova, Lev L’vovic Sedov, che, in realtà, muore per una appendicectomia, il 16 febbraio 1938. Si apprende, tuttavia, che il più vicino collaboratore di Sedov alla rivista Bollettino dell’Opposizione era un agente della GPU.
Che gli abbia causato un attacco di appendicite?
Con lo scoppio del secondo conflitto mondiale, gli omicidi politici si trasformarono in autentici genocidi. Tra le eliminazioni collettive di ebrei, di zingari, di partigiani, di oppositori di ogni tipo, si inserisce l’oscuro episodio delle Fosse di Katyn.
Chi ha eliminato le migliaia di ufficiali polacchi?
I tedeschi o i russi?
Ragioni per odiarli ne hanno entrambi.
Scrupoli non ne hanno né l’uno né l’altro.
La scoperta del massacro è annunciata, il 13 aprile 1943, da Radio Berlino, che ne attribuisce la responsabilità ai sovietici. Stalin, per ritorsione, decide la rottura delle relazioni diplomatiche con il governo polacco in esilio, a Londra.
L’URSS negherà le accuse, fino al 1990, quando riconoscerà l’NKVD, quale responsabile del massacro e della sua copertura.
Un omicidio politico vero e proprio è considerato la fucilazione di Galeazzo Ciano, il genero del duce, avvenuta, l’11 gennaio 1944, a Verona.
È la vendetta del duce o l’ultima dimostrazione della impotenza di Benito Mussolini di fronte alla volontà vendicativa dei nazisti?
Allorché alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Benito Mussolini è catturato dai partigiani e ucciso con una raffica di mitra, l’omicidio politico si colora di molti sentimenti. Ma è, principalmente, una dimostrazione di sfiducia nella giustizia, che dovrebbe giudicare il fuggiasco duce. Piuttosto che vederlo ricomparire, quale deputato in uno dei futuri Parlamenti, il movimento di Resistenza ne decreta la morte.
Una recrudescenza degli omicidi politici si manifesta, nel dopoguerra, con la rinascita del movimento anticolonialista, in Asia e in Africa.
Neppure l’Italia ne è esente.


Robert William Michael de Winton

A Pola, una insegnante aderente al Partito Nazionale Fascista, Maria Pasquinelli[17], uccide, il 10 febbraio 1947, con tre colpi di pistola alla schiena, il generale inglese Robert William Michael de Winton, massima autorità alleata nella città di Pola, come atto di protesta per la assegnazione della città alla Jugoslavia. In tasca le viene trovato un biglietto di rivendicazione, nel quale si legge:
“Mi ribello, col fermo proposito di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentarli, ai Quattro Grandi i quali, alla Conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e di saggezza politica, hanno deciso di strappare ancora una volta dal grembo materno le terre più sacre d’Italia, condannandole o agli esperimenti di una novella Danzica o con la più fredda consapevolezza, che è correità, al giogo jugoslavo, sinonimo per la nostra gente indomabilmente italiana, di morte in foiba, di deportazioni, di esilio.”
Ma è un fatto individuale!



Attentato a Palmiro Togliatti.

Altrettanto individuale l’attentato a Palmiro Togliatti, il 14 luglio 1948!
Antonio Pallante, l’attentatore, sarà, subito, arrestato. I rapporti riservati della polizia, lo descriveranno come un isolato, cancellando il sospetto di una trama più vasta [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/04/29/attentato-togliatti-le-lettere-segrete.html].
Al processo Antonio Pallante dichiarerà:
“Sul giornale del PSDI Togliatti era descritto come un uomo infausto, pericoloso per l’Italia, da inchiodare al muro. E il capo del PCI annunciava di essere pronto a prendere a calci De Gasperi. Ecco, esaltato da tutto questo, decisi di eliminare il pericolo”.
Torvo e mafioso il massacro di Portella della Ginestra del Primo Maggio del 1947 [https://www.youtube.com/watch?v=lAmx2ns17ww] e il conseguente omicidio di Salvatore Giuliano[18].

 La lapide che ricorda la Strage di Portella della Ginestra.

Succosa è la storia degli omicidi tra l’Organisation Armée Secrète [OAS] di Raoul Salan, ad Algeri, e i barbouzes di Charles de Gaulle. A uno a uno gli amici di de Gaulle vengono eliminati. E l’OAS fa affiggere sui muri delle case un manifesto, dove le foto dei barbouzes uccisi sono contrassegnate dalla indicazione “sentenza eseguita”.
Mentre la Francia lascia l’Algeria, “scoppia” la libertà in Congo. Moise Ciombe, capo dei katanghesi, è dietro gli assassini, che liquidano Patrice Emery Lumumba[19] [https://www.youtube.com/watch?v=29Gy_oD1jIQ], fautore della indipendenza di un Congo unito, retto da un governo paternalistico.
Dietro Ciombe vi è, a sua volta, l’Union Minière du Haut Katanga [UMHK].
Allorché Lumumba viene rovesciato, nel 1961, da un colpo di Stato del colonnello Mobutu Sese Seko e tenta la fuga presso il governo ribelle di Stanleyville, capeggiato dal suo amico Antoine Gizenga, viene catturato e brutalmente abbattuto.
Il generale Gerard Soete ha descritto come Lumumba fu ucciso per mano dei suoi sottoposti.
“Avevamo fucilato Lumumba nel pomeriggio.”,
racconta Soete alla Commissione Parlamentare Belga, incaricata delle indagini, a 40 anni di distanza dall’omicidio,
“Poi, tornai nella notte con un altro soldato, perché le mani dei cadaveri spuntavano ancora dal terriccio. Prendemmo l’acido che si usa per le batterie delle automobili, dissotterrammo i corpi, li facemmo a pezzi con l’accetta; poi, li sciogliemmo in un barile, facendo tutto di fretta, perché non ci vedesse nessuno.”
Ma Ciombe dura poco.
È costretto a espatriare e, mentre intriga contro Mobutu, nel suo rifugio europeo, il governo di Leopoldville, divenuta nel frattempo Kinshasa, lo condanna a morte, il 13 marzo 1967.
Ma come prenderlo?
Un aereo civile porta, il 29 giugno 1967, Moise Ciombe da Madrid a Palma de Maiorca. Il 30 giugno, altri passeggeri si imbarcano sull’aereo che fa rotta per Ibiza. Uno dei passeggeri intima al pilota di mutare rotta e di atterrare all’aeroporto di Boufarik, nei pressi di Algeri. Ciombe è fatto prigioniero dal colonnello Houari Boumédiène e, da allora, rimane “ospite” dell’Algeria, fino al 29 giugno 1969, allorché muore di infarto.
Medici in camice bianco attestano la regolarità della sua morte.
Ma il romanzo permane.
Nell’America Latina, si verificano, negli anni 1970, più omicidi politici. Perdono la vita nel corso di operazioni o di vendette, eseguite dai Guerrilleros, dai Tupamaros o da rivali politici:
-          il 5 aprile 1970, l’ambasciatore della Repubblica Federale Tedesca in Guatemala, Karl Graf von Spreti, per opera delle Fuerzas Armadas Revolucionarias [FAR];
-          il primo giugno del 1970, l’ex-presidente argentino Pedro Eugenio Aramburu Clivet, due giorni dopo essere stato rapito, dal gruppo filoperonista  Montoneros;
-          l’agente della CIA Daniel Mutrione, il 10 agosto 1970[20];
L’Algeria aveva, già, registrato l’omicidio politico dell’ammiraglio Jean Louis Xavier François Darlan, il 24 dicembre 1942.
Il Marocco aveva registrato la eliminazione di Jacques Lemaigre-Dubreuil, l’11 giugno 1955, fautore della indipendenza del Paese, assassinato dalla Main Rouge. Per una strana reazione a catena, la uccisione dell’uomo politico francese costringerà la Francia a richiamare, in Marocco, il sultano, che, in quell’epoca, era esiliato nel Madagascar. All’ombra delle lotte per l’indipendenza del Marocco si registra il tenebroso rapimento di Mehdi Ben Barka[21], assassinato dal generale Mohamed Oufkir, che, a sua volta, è fatto uccidere da re Hassan II, dopo un mancato regicidio.
In Asia, il 30 gennaio 1948, Nathuram Godse, un fanatico indù radicale, che ha legami con il gruppo estremista indù Mahasasabha, spara a Mohandas Karamchand Gandhi, detto il Mahatma, sull’onda del grande movimento di indipendenza dell’India.


Assassinio di Mohandas Karamchand Gandhi, detto il Mahatma, a New Delhi.

Ma l’omicidio politico più sensazionale è certamente quello che avviene a Saigon, il 2 novembre 1963, ed è battezzato discretamente “colpo di Stato dei militari”. Il primo presidente del Vietnam del Sud, Ngo Dinh Diem, e suo fratello minore, Ngo Dinh Nhu, principale consigliere politico, sono assassinati dai militari amici degli Stati Uniti [capitano Nguyen Van Nhung], per essersi opposti a certe esigenze statunitensi, durante il colpo di Stato, guidato dal generale Duong Van Minh. Avevano chiesto, fino all’ultimo, un intervento del presidente John Fitzgerald Kennedy, che glielo negò.

 Tran Le Xuan, vedova di Ngo Dinh Nhu, conosciuta come Madame Nhu.

La vedova di Ngo Dinh Nhu si prenderà il lusso di dichiarare in una intervista, dopo l’uccisione di John Fitzgerald Kennedy, avvenuta qualche settimana dopo:
“La signora Kennedy comprende, ora, che cosa significhi perdere il marito in un omicidio politico.”
Il 1963 è un anno, a suo modo, pacifico.
In gennaio, è assassinato, in Africa, anche il presidente del Togo, Sylvanus Olympio.
 

Sylvanus Olimpio e John Fitzgerald Kennedy

Né l’America Meridionale è rimasta indietro.
 

Ernesto Guevara de la Serna



Salvador Guillermo Allende Gossens

La cattura e l’assassinio di Ernesto Guevara de la Serna, più noto come Che Guevara o semplicemente el Che, in Bolivia, non sono stati altro che un anticipo di prove più impegnative, come dimostra la liquidazione brutale di Salvador Guillermo Allende Gossens, avvenuta, l’11 settembre 1973, a Santiago del Cile. Durante l’assedio e la successiva presa del Palacio de la Moneda, Allende morì in circostanze non del tutto chiarite, dopo un ultimo discorso alla radio, in cui affermò:
“Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore.”

 Strage di Piazza Fontana

Nella nostra cultura, inquinata dalla commercializzazione delle notizie, l’omicidio politico si incunea come un fatto di cronaca. Esercita un maggiore o minore effetto in rapporto al fascino o alla importanza della persona colpita. Difficilmente, si accetta di considerarlo parte di un metodo di lotta, che trae origine dai periodi brutali della Umanità e che continua a essere applicato anche dagli ambienti più rispettabili. O che almeno si credono tali.
Anche in questo campo, la indifferenza assume valori sempre più dittatoriali: la strage di piazza Fontana, il 12 dicembre 1969, tipico esempio di delitto politico per seminare il terrore, si disperde nelle more di una giustizia “incapace” di fare luce. La morte più o meno violenta di una decina di persone in contatto più o meno convincente con l’affare passa nella contabilità sotto la voce “fantasie e intrighi”.

 Luigi Calabresi

L’uccisione del commissario Luigi Calabresi[22], il 17 maggio 1972, diviene un fatto di cronaca e neppure il lancio di una bomba, a un anno dall’assassinio, il 17 maggio 1973, nel cortile della questura di via Fatebenefratelli di Milano, durante l’inaugurazione di un busto commemorativo in memoria del commissario – cerimonia, cui partecipa l’allora ministro dell’interno Mariano Rumor – riesce a ottenere quel fremito di rabbia, di rivolta, quell’anelito di ordine che gli autori si ripromettono. Al massimo saranno soggetti per i prossimi films, come i numerosi omicidi di mafia, che si aggirano, sempre più pericolosamente, nell’ambito della politica. 

 Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Antonino Caponnetto.


     Daniela Zini
Copyright © 31 marzo 2015 ADZ


[1] La Legge 25 novembre 1926, n. 2008 [http://www.memorieincammino.it/admin/UploadAllegatiArgomentiArchDoc/0000008/e.Le%20Leggi%20Fascistissime-Legge%2025-11-1926.pdf] reintrodusse la pena di morte per i reati contro la sicurezza dello Stato e istituì il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, un formidabile strumento di repressione del dissenso politico.
 
[2] Il procuratore Natalio Alberto Nisman aveva accusato la presidente dell’Argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, il ministro degli esteri, Hector Timerman, e altri funzionari del Governo di avere cospirato per insabbiare una indagine, che si sarebbe dovuta occupare del coinvolgimento dell’Iran in un attacco esplosivo a un centro ebraico, a Buenos Aires, nel 1994, che causò la morte di 85 persone e il ferimento di almeno 200. Secondo Nisman, Cristina Fernandez de Kirchner aveva chiesto al suo ministro degli esteri e ad altri funzionari di attivarsi per trovare una qualche forma di immunità per alcune persone di origini iraniane, sospettate per l’attacco, sperando in questo modo di migliorare i rapporti diplomatici e commerciali con l’Iran, per ottenere forniture di petrolio a prezzi più vantaggiosi e attenuare, così, i problemi dovuti alla crisi energetica in Argentina. Il piano, tuttavia, non era stato realizzato.
Le accuse di Nisman, che indagava, da anni, sulla strage del 1994, erano basate su numerose intercettazioni telefoniche, effettuate, negli ultimi due anni, tra diversi funzionari governativi e altre persone molto vicine a Cristina Fernandez de Kirchner, che, invece, non er stata intercettata. Tra queste persone vi è, anche, Mohsen Rabbani, un iraniano che, per lungo tempo, è stato tra i membri più attivi dell’ambasciata a Buenos Aires e che è tra le persone sospettate per quanto avvenne al centro ebraico. Secondo Nisman, le prove raccolte erano molto consistenti.
A distanza di venti anni non sono ancora del tutto chiare le responsabilità per l’attacco contro il centro ebraico. Nisman sosteneva che la strage sarebbe stata organizzata dall’Iran, che avrebbe, poi, affidato al gruppo libanese Hezbollah il compito di eseguirla.
Nel 2007, furono emessi mandati internazionali per l’arresto di sei cittadini iraniani sospettati di essere coinvolti nell’attacco. Sono, ancora, latitanti e, in più occasioni, il governo iraniano ha negato qualsiasi coinvolgimento.
Il 26 marzo scorso, la Camera Federale argentina ha respinto l’imputazione presentata dal procuratore Natalio Alberto Nisman contro la presidente Cristina Fernandez de Kirchner.
[3] Le SA, abbreviazione di Sturmabteilung, letteralmente battaglione di assalto sono, anche, conosciute come camicie brune per il colore della loro divisa.

[4] Il delitto Matteotti è un film del 1973, diretto da Florestano Vancini e interpretato da Franco Nero.

[5] La Legge 18 novembre 1923, n. 2444, nota, anche, come Legge Acerbo, dal nome del deputato che redasse il testo, fu voluta da Benito Mussolini, per assicurare al Partito Nazionale Fascista una solida maggioranza parlamentare.

[6] Nel gennaio del 1935, Eugène Deloncle, fonda una organizzazione segreta di estrema destra, l’Organisation Secrète d’Action Révolutionnaire Nationale, detta Cagoule. È Eugène Schueller, fondatore della società L’Oréal, che mette i suoi mezzi personali e finanziari a disposizione della Cagoule e organizza riunioni nella sede della sua società.
Molti giovani studenti dell’Internat des Pères Maristes, in rue Vaugirard, a Parigi, tra i quali Pierre Emile Guillain de Bénouville, Claude Roy, François-Maurice-Adrien-Marie Mitterrand e André Bettencourt, frequentano i capi della Cagoule.
Robert Mitterand, fratello del presidente francese François-Maurice-Adrien-Marie Mitterrand, sposerà, nel 1939, Edith Cahier, figlia di Paul Cahier, la cui sorella era la moglie di Eugène Deloncle.

[7] Nel giugno del 1937, Carlo Rosselli soggiornava per delle cure termali a Bagnoles-de-l’Orne, dove veniva raggiunto dal fratello Nello, che aveva ottenuto il passaporto, nel maggio del 1937, su intercessione di Gioacchino Volpe, con una sollecitudine che ad alcuni amici, tra i quali Piero Calamandrei, parve sospetta e motivata dal fine di arrivare attraverso Nello al rifugio di Carlo.
Nel 1951, i familiari traslarono le salme dei fratelli Rosselli dal Père Lachaise al Cimitero Monumentale di Trespiano, dove sono sepolti, anche, Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi, Piero Calamandrei e Spartaco Lavagnini. La loro tomba riporta il simbolo della “spada di fiamma”, emblema di GL, e l’epitaffio scritto da Calamandrei:
GIUSTIZIA E LIBERTÀ
PER QUESTO MORIRONO
PER QUESTO VIVONO
Nel 1974, la RAI ha trasmesso lo sceneggiato televisivo, in tre puntate, L’assassinio dei fratelli Rosselli,  diretto da Silvio Maestranzi. Il cast includeva nomi celebri del teatro e della televisione, quali Orso Maria Guerrini, Renzo Palmer, Michele Malaspina, Nando Gazzolo, Vittorio Mezzogiorno e Daniele Formica. 

[8] Gaio Giulio Cesare ebbe un ruolo cruciale nella transizione del sistema di governo dalla forma repubblicana a quella imperiale. Fu dittatore di Roma alla fine del 49 a.C., nel 47 e nel 46 a.C., con carica decennale, e, dal 44 a.C., come dittatore perpetuo, e, per questo, ritenuto da Svetonio, il primo dei dodici Cesari.
“Cesare in pochi anni aveva posto i principi del principato augusteo. Si può considerare come il vero fondatore del regime imperiale. Svetonio non si è sbagliato iniziando con la sua, le Vite dei dodici Cesari.”
Marcel Le Glay, Jean-Louis Voisin, Yann Le Bohec

[9] Henri III  [1551-1589] fu re di Polonia, dal primo maggio del 1573 al 18 giugno 1574, e re di Francia, dal 1574 al 1589. Fu l’ultimo re della dinastia dei Valois.

[10] Claus Philipp Maria Schenk Graf von Stauffenberg, in una lettera inviata alla moglie, nel marzo del 1943, scriveva:
“Sento il dovere di fare qualcosa per salvare la Germania; noi tutti, ufficiali dello Stato Maggiore, dobbiamo assumere la nostra parte di responsabilità.”

[11] Lev Nikolaevic Tolstoj, anarchico cristiano non-violento, non approvò il gesto in sé, ma ne comprese le motivazioni profonde:
“Se Alessandro di Russia, se Umberto non hanno meritato la morte, assai meno la hanno meritata le migliaia di caduti di Plevna o in terra di Abissinia. Sono terribili tali uccisioni non per la loro crudeltà o ingiustizia ma per la irragionevolezza di coloro che le compiono. Se gli uccisori di re sono spinti ad essere tali da un sentimento personale di indignazione suscitato dalle sofferenze del popolo in schiavitù di cui appaiono loro responsabili Alessandro, Carnot, Umberto o da un sentimento personale di offesa e vendetta, allora tali azioni per quanto ingiuste appaiono comprensibili.”

[12] Jaime Ramón Mercader del Río Hernández [1913-1978] è stato un agente segreto spagnolo, naturalizzato sovietico, operante nel NKVD, durante il governo di Josif Stalin, nell’URSS. Era il fratello dell’attrice Maria Mercader, seconda moglie del regista Vittorio De Sica, e divenne noto, unicamente, per essere stato l’assassino di Lev Davidovic Bronstejn, detto Trotzkij.

[13] Walther Rathenau viene considerato l’ispiratore del personaggio di Paul Arnheim, l’industriale tedesco de L’uomo senza qualità di Robert Musil. Una lapide commemorativa sulla Königsallee, a Berlino-Grünewald, ricorda il crimine. 

[14] Il termine Ustascia fu adottato da Ante Pavelic, per designare gli appartenenti al movimento nazionalista croato di estrema destra, che si opponeva al Regno di Jugoslavia, dominato dalla etnia serba [1929].

[15] La GPU fu la polizia segreta del regime sovietico fino al 1934.

[16] Ignace Reiss, amico di infanzia di Samuel Ginsberg, conosciuto come Walter Krivitsky, è stato una spia russa. Il suo assassinio influenzò la defezione dell’agente Whittaker Chambers, qualche mese più tardi. Le polizie svizzera e francese sospettarono il marito della poetessa Marina Ivanovna Tsvetaeva, Sergei Yakovlevich Efron, in esilio in Francia, e Mark Zborowski, di essere coinvolti nell’assassinio.

[17] Maria Pasquinelli si diplomò maestra elementare e, successivamente, si laureò in pedagogia a Bergamo. Iscrittasi, nel 1933, al Partito Nazionale Fascista, frequentò la scuola di mistica fascista. Nel 1940, si arruolò volontaria crocerossina, al seguito delle truppe italiane, in Libia.
Nel novembre del 1941, lasciò l’ospedale di El Abiar, a 40 chilometri da Bengasi, dove prestava servizio, per raggiungere la prima linea travestita da soldato, con la testa rasata e documenti falsi. Scoperta, fu riconsegnata ai suoi superiori e rimpatriata in Italia.
Nel gennaio del 1942, chiese di essere inviata quale insegnante in Dalmazia, annessa all’Italia, nel 1941, a seguito dell’occupazione italo-tedesca della Jugoslavia.

[18] Il 5 luglio 1950, Salvatore Giuliano venne ritrovato morto nel cortile della casa di un avvocato di Castelvetrano. Sulla morte di Giuliano esistono almeno cinque differenti versioni e vige il vincolo del Segreto di Stato, fino al 2016.

[19] Oggi è noto che la CIA aiutò finanziariamente gli avversari di Patrice Emery Lumumba e fornì armi a Mobutu Sese Seko. Il governo belga ha riconosciuto, nel 2002, una responsabilità negli eventi che portarono alla morte di Lumumba:
“Alla luce dei criteri applicati oggi, alcuni membri del Governo di allora e alcuni personaggi belgi dell’epoca portano una indiscutibile responsabilità, negli eventi che hanno condotto alla morte di Patrice Lumumba. Il Governo considera, pertanto, appropriato porgere alla famiglia di Patrice Lumumba e al popolo congolese il proprio profondo e sincero rincrescimento e le proprie scuse per il dolore che è stato loro inflitto da quell’apatia e da quella fredda neutralità.”

[20] “Il dolore preciso, nel momento preciso, nella quantità necessaria all’effetto desiderato.”,
la frase appartiene a Daniel Mitrione e sintetizza chi fosse e a cosa si dedicasse, alla fine degli anni 1960 e agli inizi degli anni 1970, in America Latina. Gli insegnamenti, elargiti, tanto in Brasile quanto in Uruguay, sugli effetti dello shock elettrico nei genitali, degli aghi elettrificati conficcati sotto le unghie, delle bruciature di sigaretta e il lento soffocamento, finirono per decidere il suo sequestro e la posteriore esecuzione da parte dei Tupamaros.
Nel suo libro, The Praetorian Guard: The US Role In The New World Orde, l’ex-agente della CIA John R. Stockwell scrive:
“Si utilizzavano filmati e altro materiale didattico che gli studenti dovevano imparare a memoria, e praticare senza indugio. Dopodichè, Mitrione ordinava di sequestrare dei barboni lungo le strade periferiche di Montevideo, che venivano usati come cavie. Se perdevano i sensi, venivano loro iniettate delle vitamine e degli analgesici, e dopo un qualche periodo di riposo, si ricominciava, fino a morte avvenuta.”
A Daniel Mitrione è ispirato il film del regista greco, naturalizzato francese, Costa Gavras: Etat de Siège, del 1973.

[21] Il 29 ottobre 1965, a Parigi, Mehdi Ben Barka venne sequestrato da agenti della polizia francese, mentre si recava a un appuntamento con il cineasta Georges Franju, per la preparazione di un film sulla decolonizzazione. Da allora non si ebbero più sue notizie.

[22] Il 17 maggio 1972, il commissario di polizia Luigi Calabresi fu assassinato, a Milano, in via Francesco Cherubini, una traversa di Corso Vercelli, vicino alla sua abitazione, mentre si avviava alla sua auto per andare in ufficio, da un commando, composto da almeno due sicari, che gli spararono alle spalle. Il commissario Luigi Calabresi, in quel periodo, partendo da sue indagini sulla morte di Giangiacomo Feltrinelli, stava investigando su un traffico internazionale di esplosivi e di armi attraverso il confine triestino e quello svizzero. A questo traffico illegale vennero collegati i nomi di alcuni estremisti di destra, trai quali Gianni Nardi. Solo anni dopo, vennero individuati gli esecutori e i mandanti nelle persone di Ovidio Bompressi, Leonardo Marino, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri, tutti esponenti di Lotta Continua.