“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

martedì 26 gennaio 2021

Alan Walker & Ava Max - Alone, Pt. II (Live at Château de Fontainebleau)

Alan Walker & Ava Max - Alone, Pt. II (Live at Château de Fontainebleau)

Alan Walker & Ruben – Heading Home (Live at Château de Fontainebleau)

venerdì 22 gennaio 2021

Covid 19 & tests PCR Crimes contre l'humanité Reiner Fuellmich

domenica 17 gennaio 2021

Mozart | Lacrimosa from Requiem in D minor | Theremin choir and piano

"Succede. Uno si fa dei sogni, roba sua, intima, e poi la vita non ci sta a giocarci insieme, e te li smonta, un attimo, una frase, e tutto si disfa. Succede. Mica per altro che vivere è un mestiere gramo. Tocca rassegnarsi. Non ha gratitudine, la vita, se capite cosa voglio dire."


Alessandro Baricco

giovedì 14 gennaio 2021

Quand la télé était complaisante avec les pédophiles | Franceinfo INA

mercoledì 13 gennaio 2021

Biden HUMILIATED for FOOLISH ‘leadership’ against Trump: ‘He is always a...

martedì 12 gennaio 2021

ANTEPRIMA! estratto da: Serge VORONOFF di Daniela Zini

 

a breve qui:

UOMINI DI STORIA

STORIA DI UOMINI

70 anni fa moriva

 Serge VORONOFF

  nato Samuel Sergej Abramovic Voronov

[Voronez, 10 luglio 1866 – Losanna, 3 settembre 1951]

 

  “Datemi una scimmia e vi darò l’eterna giovinezza!”

 

“Mantenere durante tutta l’esistenza le energie della gioventù, l’ardore dei sentimenti, la fame di vita del cuore e del cervello. Questo è ciò che io desidero per gli uomini.”

Serge Voronoff 

 

Serge Voronoff è stato, per decenni, sulle labbra di milioni di persone, un uomo apprezzato e disprezzato con eguale intensità, uno scienziato ardito che aprì insospettate vie alla moderna medicina.

A settanta anni dalla sua morte, mi è sembrato opportuno soffermarmi un momento sul periodo tra le due guerre e l’atmosfera biomedica generata dalla pratica degli xenotrapianti di Voronoff e dei suoi discepoli parigini.

Per comprendere l’atmosfera biomedica indotta dalle pratiche di xenotrapianti negli Anni 1920-1930, dovremo risalire al 1889 e riandare agli esperimenti che il fisiologo Charles-Edouard Brown-Séquard [1817-1894] realizzò su se stesso. Brown-Séquard era succeduto a Claude Bernard nella cattedra di medicina sperimentale in uno dei più antichi istituti di ricerca parigini, il Collège de France. Il concetto di “ambiente interno”, elaborato da Claude Bernard, ha svolto un ruolo fondamentale in una nuova concezione della fisiologia in generale e nella fisiologia brownsequardiana in particolare.

Ma chi era Serge Voronoff?

Dove era nato?

Quando? 

A queste domande nessuno ha, mai, potuto dare risposte precise. 

 

 

segue...

 

M A L E F I C A

 


 

venerdì 8 gennaio 2021

OneRepublic - Rescue Me

mercoledì 6 gennaio 2021

Aus Protest gegen Lockdown-Politik: Tübinger Professor verlässt Akademie...

IL PROFESSOR THOMAS AIGNER PRENDE POSIZIONE CRITICA SULLA "PANDEMIA" IN UNA LETTERA APERTA E LASCIA L'ACCADEMIA CESAREA LEOPOLDINA DELLE SCIENZE E DELLA LETTERATURA.
UN ATTO CHE, IN ITALIA, CE LO SCORDIAMO DA PARTE DI CERTI SCIENZIATI, MA LA GERMANIA HA AVUTO LA SUA NORIMBERGA!
M A L E F I C A

martedì 5 gennaio 2021

“…E GLI OFFRIRONO IN DONO ORO, INCENSO E MIRRA…” di Daniela Zini

 “…E GLI OFFRIRONO IN DONO
ORO, INCENSO E MIRRA…”

Artemisia Gentileschi, Adorazione dei Magi.
Tra il 1636 e il 1637, su commissione del vescovo Martín de León y Cárdenas, fu realizzato dalla pittrice questo dipinto per il coro del Duomo di Pozzuoli insieme ad altri due quadri: San Gennaro nell’Anfiteatro di Pozzuoli e Santi Procolo e Nicea. L’opera dopo essere stata conservata al Museo di San Martino di Napoli, per circa cinquant’anni, è ritornata nella sua collocazione originaria a seguito della riapertura al culto della Cattedrale di Pozzuoli, nel maggio del 2014.


Non sappiamo quando sia nato l’uso di scambiarsi gli auguri all’inizio di un Nuovo Anno, di certo, in epoca romana esisteva già.

I Romani festeggiavano l’inizio del nuovo anno, il primo gennaio, con le celebrazioni in onore del Dio Giano, la Divinità bifronte, capace di guardare contemporaneamente al Passato e al Futuro, Padre del Creato e Custode della Città in tempo di guerra.

Per i Romani celebrare il Dio Giano, da cui trae origine il nome del mese di Gennaio, era un modo per tornare indietro, per fare il bilancio del Vecchio Anno, ma anche per proiettarsi nel Nuovo Anno.

Nei suoi Fasti, Ovidio menziona la preghiera rivolta a Giano:

“Giano Bifronte, origine del volgere degli anni il solo Nume che può guardare alle spalle…”

Lasciate il Vecchio Anno fluire, tranquillamente, nel vento dell’Inverno e avanzate fiduciosi verso il Nuovo Anno.

Nuovi incontri vi attendono all’angolo della strada.

Un nuovo libro sta per aprirsi.

Tutte le pagine sono, ancora, bianche.

Non vi resta che riempirle dei vostri Sogni più segreti.

Allora, prendete una penna e iniziate a scrivere il primo capitolo.

È per voi l’occasione di scrivere una bella Storia di cui sarete gli Eroi e le Eroine.

Il Tempo è come un ruscello che scorre.

E proprio come un ruscello, il Tempo non torna più.

“Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va.”

ci ammonisce Eraclito, in un suo frammento.

Siate sempre in guerra con i cattivi pensieri e in pace con i buoni propositi.

E lasciate ogni anno fare di voi una persona migliore.

Mettete in pratica tutte le lezioni che avete tratto dalle vostre vittorie e dalle vostre sconfitte, dalle vostre soddisfazioni e dalle vostre  delusioni, dalle vostre gioie e dai vostri dolori dell’anno appena trascorso, perché il 2021 sia per voi più ricco, più dolce e più sereno. 

Ogni momento possiede il suo valore.

L’Alba porta la speranza.

La Notte porta consiglio.

Il Nuovo Anno porta il rinnovo.

Accarezzate ogni momento che la Vita vi offre.

Che i miei auguri vi accompagnino per l’intero anno. 

Buona Epifania!

 Daniela

 

Mosaico, raffigurante i Re Magi, nella navata centrale della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna. I tre Re Magi guidati da una Stella a cinque punte offrono i loro doni al Cristo bambino. Vestono abiti tipicamente persiani diversamente colorati e ricamati. Sulla testa portano un pileo come copricapo. Sorreggono con le mani contenitori dorati variamente adorni. Il mosaico originale teodericiano doveva rappresentare, probabilmente, un corteo di dignitari ariani, che, in seguito al rescritto di Giustiniano del 561, venne condannato alla cosiddetta damnatio memoriae e, quindi, sostituito da quello delle Sante precedute dai Re Magi.


“2,1 Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del Re Erode. Alcuni Magi giunsero da Oriente a Gerusalemme e domandavano: 2 “Dov’è il Re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua Stella, e siamo venuti per adorarlo.” 3 All’udire queste parole, il Re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4 Riuniti tutti i Sommi Sacerdoti e gli Scribi del Popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. 5 Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del Profeta: 6 E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo
che pascerà il mio Popolo, Israele.”

7 Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la Stella 8 e li inviò a Betlemme esortandoli: “Andate e informatevi accuratamente del Bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo.”

9 Udite le parole del Re, essi partirono. Ed ecco la Stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il Bambino. 10 Al vedere la Stella, essi provarono una grandissima gioia. 11 Entrati nella casa, videro il Bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12 Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro Paese.”

Matteo 2, 1-12

 

La potenza di questo passo evangelico nelle sue linee semplici e toccanti, non sfuggì ai Cristiani, fino dai più remoti secoli della Chiesa. È la prima manifestazione del Salvatore a uomini stranieri, estranei alla legge ebraica: una prova, dunque, del carattere universale della nuova alleanza. I confini della Giudea non rinserrano più il Popolo di Dio, chiuso nella consapevolezza della propria elezione, ma si sono dilatati, misticamente, ad abbracciare tutta la Terra.

L’Epifania contiene, già, in germe, un messaggio di salvezza, destinato ai Popoli del mondo, senza distinzione di gente né di ceto.

Di qui, l’importanza attribuita dalla Chiesa ufficiale all’avvenimento e la sua commemorazione in una delle principali solennità dell’anno.

Di qui, anche, il moltiplicarsi delle indagini, intese a completare il racconto evangelico e a precisare la figura dei Saggi[1], venuti dall’Oriente. Anatolè, νατολή, è, infatti, il termine usato dall’Evangelista nel testo greco: espressione piuttosto vaga e indeterminata.

Ma chi erano i Magi?

Da dove venivano?

E perché si misero in viaggio?

 

Albrecht Dürer, L’Adorazione dei Magi - Firenze, Galleria degli Uffizi. 

L’opera fu commissionata da Federico il Saggio per l’altare della cappella del Castello di Wittenberg e venne terminata nel 1504, come testimonia la data sulla pietra in primo piano vicino al monogramma dell’artista. Si tratta di uno dei dipinti più significativi dell’artista nel periodo compreso tra il primo [1494-1495] e il secondo viaggio in Italia [1505].

 

Hieronymus Bosch, Trittico dell’Adorazione dei Magi.

Madrid, Museo del Prado.

Con il nome di Oriente, le Scritture indicano tutta la vasta distesa delle regioni asiatiche, a Est della Palestina. Si può, dunque, pensare all’Arabia, alla Caldea, alla Persia, financo all’India.

San Giustino, Tertulliano e Sant’Epifanio fermano la loro attenzione sull’Arabia; Teodoro di Ancira, San Pietro Crisologo e San Massimo di Torino, basandosi sull’importanza della visione della Stella, indicano come loro più probabile terra di origine la Caldea, dove la scienza astrologica era tenuta nel massimo onore. Nondimeno la maggior parte degli studiosi antichi propende a credere che i Saggi provenissero dalla regione iranica. 

 

Giotto, Adorazione dei Magi.

Padova, Cappella degli Scrovegni.

Presso i Medi, i Magi rappresentavano una casta sacerdotale, ricca di dottrina e di prestigio. Da Erodoto sappiamo che il loro consiglio era considerato di capitale importanza nelle più gravi questioni di Stato, alla corte del sovrano medo Astiage.

Dottrinalmente, si professavano seguaci di Zarathustra e ne tramandavano gli scritti, ma lo scorrere dei secoli e il contatto con differenti sistemi avevano introdotto nelle teorie dei punti discordanti con il pensiero del Maestro, consegnato nell’Avesta. Gli autori greci del IV secolo che scrissero opere sulla religione persiana, concordano nell’indicare in Zarathustra, che chiamano Zoroastro, il capostipite della classe dei Magi.

Sostanzialmente, il pensiero del Maestro era monoteistico. Ravvisava in Ahura Mazda, il Signore Sapiente, la fonte dell’essere dell’Universo. Nondimeno, nel mondo, il principio del Male, radice di ogni dolore e della morte, coesisteva con quello del Bene, parimenti  eterno, con il quale era impegnato in una lotta perpetua. Gli uomini, provati dalla necessità di una continua scelta, guardavano alla fine dei tempi, in cui esseri straordinari, avrebbero percorso la venuta di un Saoshyant, il Soccorritore, destinato ad affrettare il trionfo del Bene in un mondo purificato.

Secondo queste linee procedeva il pensiero dei Magi, circa all’epoca della nascita di Gesù.

Della Magia nel suo aspetto più volgare, fondato sull’occultismo e la divinazione, i saggi seguaci dell’Avesta si disinteressavano, lasciandola ai Caldei o ai Maghi dell’Egitto. Vi furono, tuttavia, da parte dei Magi, dei tentativi di conciliare la dottrina di Zarathustra con la religione astrale, che esercitava un così profondo influsso in Oriente. Una delle loro caratteristiche essenziali era un acuto senso della giustizia, una urgenza di collaborare al suo trionfo.

In Una presunta profezia di Zoroastro sulla venuta del Messia, Padre Giuseppe Messina scrive:

 

“ Nel libro di Ystaspe la dottrina di Sausyant occuava un posto centrale. La sua attesa si fondava sulla credenza tenace ad un avvenire migliore nel mondo Zarathustra aveva inculcato ai suoi seguaci un senso acuto della giustizia e una profonda aspirazione a collaborare al trionfo di essa. Le catastrofi politiche e religiose, che si abbatterono in diverse epoche sulla nazione iranica, lungi dall’affievolire, resero più acuta l’attesa di tempi più prosperi e gli sguardi del popolo si appuntavano verso l’epoca in cui un “Soccorritore” Sausyant, sarebbe apparso per ridare al mondo una nuova spinta al Bene. E tale fede si diffuse ben presto fuori i confini dell’Iran e quando i fedeli di Mithra nelle guarnigioni del limes romanus si rivolgevano a lui colla invocazione Nama Sebesio “adorazione al soccorritore” rendevano, forse incoscientemente, testimonianza che la fede ad un avvenire migliore li animava non altrimenti che aveva animato il fedele mazdeo. La storia del sorgere della dottrina del soccorritore e della sua evoluzione, l’ho schizzata altrove. Al nostro scopo interessa di conoscere le grandi linee di tale dottrina e metterla in parallelo con la predizione, che si attribuisce a Zarathustra presso Teod. bar Konai e al suo discepolo Vistaspa sulla venuta del Messia.

Dopo l’annunzio della dottrina di Zarathustra il Regno del Bene non avrebbe definitivamente prevalso, che anzi alla fine di ognuno dei tre millenni, che rimanevano ancora, il Male avrebbe talmente preso il sopravvento che sarebbe stata necessaria la comparsa di un essere straordinario per ricondurre al Bene il mondo. E allora si disse che Zarathustra aveva avuto la promessa che nel tempo di maggior bisogno alla fine di ciascun dei tre millenni dell’evo cosmico sarebbe apparso dal suo seme un figlio; l’ultimo Astvat-ereta “giustizia incarnata” avrebbe portato definitivamente il trionfo del Bene, e avrebbe effettuata la risurrezione dei morti, dopo di che la terra sarebbe stata invasa da un torrente di fuoco, che avrebbe tutto purificato, il Regno del Male sarebbe stato distrutto e Ahura-mazda avrebbe regnato per l’eternità senza nessun competitore.”

 

In una profezia attribuita a Zarathustra e riportata sulla fine dell’VIII secolo della nostra era da Teodoro bar Konai, si parla della “venuta del gran Re, della lotta contro di lui, delle sue sofferenze e della sua morte; infine anche della sua nuova venuta su candide nubi con l’esercito della luce.

Un tale linguaggio meriterebbe di essere chiamato biblico e non fa meraviglia che vari autori cristiani delle età primitive onorassero in Zarathustra un Profeta della venuta del Messia.

Nel Vangelo Arabo dell’Infanzia di Nostro Signore si legge:

“Ecco che i Magi vennero dall’Oriente a Gerusaleme, come aveva predetto Zaradust.”

Fu, dunque, proprio questa teoria del Soccorritore venturo, gelosamente tramandata dai Magi, che costituì il principale punto di contatto tra le dottrine mazdee e la religione israelitica. Dalla cattività di Babilonia in poi, le relazioni tra Giudei e Persiani erano costanti, favorite da un linguaggio internazionale: l’aramaico, familiare ai Popoli delle sponde del Mediterraneo, della Mesopotamia e dell’Altopiano Iranico.

Colonie ebraiche erano rimaste tra i Persiani e i Caldei dopo la fine della cattività: Ecbatana e Ragai nella Media, Nebardea e Nisibi nella regione del Tigri erano i centri principali. La presenza di queste colonie e la propaganda svolta dagli Israeliti possono spiegare varie analogie tra il pensiero dei Magi e quello della Bibbia; ma è un fatto che proprio l’attesa del Saoshyant formò il legame capace di riunire i saggi iranici ai Giudei in una comune speranza.

Quanto all’epoca dell’evento, i Magi indicavano la fine del primo millennio dopo la venuta di Zarathustra. Se, dunque, è esatta la notizia dello scrittore lidio Xanthos, che pone l’epoca del Maestro 600 anni prima della spedizione di Serse contro la Grecia [482 a.C.], il tempo auspicato dai Saggi viene pressoché a coincidere con l’inizio dell’Era Volgare.

Ma torniamo ai Magi!

Che fossero anche Re è da escludersi.

Il Vangelo non fa il minimo accenno a questa pretesa regalità. L’idea sembra essersi formata all’alba del Medio Evo: probabilmente nel VI secolo. Nelle arti figurative è solo nell’VIII secolo che le immagini dei Saggi appaiono adorne di attributi regali.

La qualifica di Re potrebbe essere nata da una confusione con la carica di consiglieri del Re, che i Magi solevano ricoprire. Né si devono dimenticare vari passi delle Scritture, che parlano della venuta di Re, apportatori di doni.

Vi è innanzitutto il Salmo 71, composto da Davide inneggiante al futuro Messia:

 

“Si getteranno ai suoi piedi gli Etiopi, e i nemici di lui baceranno la terra.

I Re di Tharsis, e le isole a lui faranno le loro offerte: i Re degli Arabi, e di Saba porteranno i loro doni.

E lo adoreranno tutti i Re della terra, e le genti tutte a lui saran serve:

Imperocché egli libererà il povero dal possente, e tal povero, che non aveva chi lo aiutasse.”

 

Il nome di Tharsis alludeva alla remota India; con l’espressione Arabi si intendeva l’Arabia Petrea, mentre Saba comprendeva i territori dell’Arabia Felice, di Efa e di Madian. Tutto il passo è molto suggestivo e queste immagini prestigiose di Re, carichi di doni, non potevano non colpire la fantasia popolare. Il profeta Isaia traccia un quadro dell’arrivo dei Sovrani stranieri nella Città Santa:

 

“Le genti cammineranno alla tua luce, e il Re allo splendore che nascerà da te. Una moltitudine di cammelli ti coprirà, i dromedari di Madian e di Efa: verranno tutti quelli di Sabu recando oro e incenso e annunceranno le lodi del Signore.”

 

Oro, incenso, cammelli, dromedari e Re: il quadro dell’Epifania è già completo in questo annuncio.

Ma i Magi erano, realmente, tre?

Sembra – poiché l’Evangelista, anche a questo proposito, non dà precisazioni – che si tratti di una antica e pia credenza, testimoniata da Origene di Alessandria e, più tardi, confermata da San Leone, San Massimo di Torino e San Celso di Arles.

La sua origine è, forse, da ricercarsi nel numero dei doni, che sono effettivamente tre, oro, incenso e mirra, o, forse, in un richiamo, più o meno consapevole, alle famose triadi della Scrittura, che enumera tre uomini giusti al principio del mondo: Abele, Enoc e Set; poi, tre antenati del genere umano dopo il diluvio, Sem, Cam e Jafet, prole di Noè, e, infine, tre progenitori del Popolo Eletto: Abramo, Isacco e Giacobbe. A questa tradizione si allineano le più antiche rappresentazioni artistiche, con due sole eccezioni note: l’una, in un affresco di Santa Domitilla in Roma; l’altra in Santi Pietro e Marcellino, dove i Magi sono raffigurati in numero rispettivamente di quattro e di due. La rimanente iconografia, dai primi secoli fino alle età moderne, è fedele al numero di tre. Differisce, invece, da un’epoca e un’altra, la penetrazione psicologica dell’avvenimento.

I nomi dei Saggi sono menzionati per la prima volta – come Bithisarea, Melchior e Gathaspa – in un manoscritto che risale alla fine del VI secolo o all’inizio dell’VIII, ed è conservato nella Biblioteca Parigina. Lo storico Agnello del X secolo, nel Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis modifica questi nomi in Gaspare, Melchiorre e Baldassarre.

Scrive in proposito Ignazio Schuster:

 

“Nell’arte cristiana e dopo il secolo XII, essi sono raffigurati come i rappresentanti delle tre età dell’uomo, o come i capostipiti delle tre razze umane, dopo l’imperversare del peccato: Melchiorre, grigio, con una lunga barba rappresenta la discendenza di Jafet [l’Europa] e offre dell’oro; Gaspare, giovane e rossiccio, rappresenta la discendenza di Sem [l’Asia] e offre la mirra.”

 

Il mistico richiamo ai tre figli di Noè – l’ultimo dei quali fu, come è noto, il progenitore degli Africani – spiega, dunque come mai la tradizione iconografica sia solita attribuire a Baldassarre l’aspetto fisico di un Moro o di un Etiope e, a un tempo, svuota di ogni pretesa storica questa leggenda. I Magi vennero, come sembra più che mai probabile, dalla Persia, tutti, tre o quattro o dieci che fossero. Non è ammissibile che li avesse raggiunti, poi, per la strada, un Africano, che non avrebbe potuto essere un Mago, proprio per la sua diversa provenienza e educazione.

Quanto alla Stella che diede loro il segnale che “la pienezza dei tempi” fosse giunta e che convenisse mettersi in cammino alla ricerca del neonato Soccorritore, pare che si debba intendere non come un determinato Astro o una Cometa, ma come una apparizione miracolosa in forma di Stella. Già Crisostomo faceva notare che non poteva trattarsi di una Stella ordinaria, poiché la direzione normale degli Astri è da Oriente a Occidente, questa invece, si muoveva dalla Persia alla Palestina, da Settentrione verso Mezzogiorno. Parimenti si può dire anche per l’ultima parte del tragitto, da Gerusalemme a Betlemme, in cui, secondo le parole dell’Evangelista, “la stella precedeva i Magi, finché, giunta sopra il luogo dove era il Bambino, si fermò”.

Non è possibile, inoltre, come Ignazio Schuster e Giovanni Battista Holzammer fanno notare, che una Stella alta nel cielo possa indicare una casa determinata:

 

“Lo poté fare solamente un’apparizione luminosa, in uno spazio dell’aria meno elevato.”

 

Tuttavia non è escluso dai dotti cattolici che Iddio si sia potuto servire di una Stella realmente esistente o di un fenomeno celeste normale per richiamare l’attenzione dei Magi, studiosi, come si è visto, anche di scienze astronomiche; in tal senso, le espressioni “li precedeva…” “si fermò sul luogo dov’era il Bambino” vanno prese in senso meno letterale. Ciò nondimeno, l’illuminazione interiore e soprannaturale dei Saggi, di cui la stella di Betlemme è in certo modo un simbolo, è operata esclusivamente dalla grazia di Dio, che, indubitabilmente, li aiutò anche a discernere, per mezzo di indizi esteriori o di una ispirazione interna, il luogo esatto dove aveva preso dimora la Sacra Famiglia.

Si è parlato anche di un fenomeno celeste che sarebbe avvenuto sette anni prima della nascita di Cristo, della congiunzione di Giove e di Saturno nel segno dei Pesci, avvenuta per ben tre volte in sei mesi. I Magi potrebbero avere osservato questo raro fenomeno nella loro terra di origine e, poi, di nuovo in Betlemme.

L’ipotesi è stata accettata anche da alcuni studiosi cattolici.

Occorre però fare i conti con la discrepanza delle date e anche con il fatto che la parola greca aster, come osserva il gesuita Franz Xaver Kugler, astronomo e assiriologo, “non può in nessun caso designare due pianeti appaiati, in quanto fin dall’antichità ogni singolo pianeta aveva una importanza mitologica e astronomica particolare e ben definita”. La congiunzione fu nuovamente visibile ai tempi di Giovanni Keplero [1604] e quel dotto astronomo fece notare come si fosse già prodotta alla nascita di Gesù.

Sull’itinerario seguito dai Saggi manca qualsiasi notizia precisa. Le tracce del loro passaggio – dalla Persia giù per la Mesopotomia, il Deserto Arabico, la regione del Giordano, Gerusalemme e, infine, Betlemme – se ve ne furono, sono state cancellate dal tempo.    

L’archeologo Ernst Emil Herzfeld, perlustratore dell’altopiano iranico, vide, forse, il punto di partenza della loro carovana, quando gli furono additati, sulla pendice meridionale del Kuh-e Khwajeh, nella regione del Sistan, zona Sud-Ovest dell’Afgnanistan, i ruderi diroccati del castello di Rostam-Gundofarr, che la tradizione locale attribuisce a uni dei tre Magi. 

Kuh-e Khwajeh

 

Kuh-e Khwajeh, il cui nome suona “Monte del Signore”, si trova proprio nel cuore della regione che fu il più probabile teatro dell’attività di Zarathustra e non lontano dal Lago Kayanseh, oggi Hamun-e Saberi, da dove, secondo le profezie mazdee, si attendeva il Saoshyant. Vale notare come le genti del luogo, ancora oggi, siano solite recarsi al Monte del Signore per un pellegrinaggio di tre giorni, in coincidenza con quella che era, nel calendario mazdeo, l’apertura dell’anno, 21 marzo.  

Ne Il Milione di Marco Polo al capitolo XXII ritroviamo il viaggio dei Magi:

 

“In Persia si è una provincia grande e nobole certamente, ma ‘l presente l’ànno guasta li Tartari. In Persia è l[a] città ch’è chiamata Saba, da la quale si partiro li tre re ch’andaro adorare Dio quando nacque. In quella città son soppeliti gli tre Magi in una bella sepoltura, e sonvi ancora tutti interi con barba e co’ capegli: l’uno ebbe nome Beltasar, l’altro Gaspar, lo terzo Melquior. Messer Marco dimandò piú volte in quella cittade di quegli 3 re: niuno gliene seppe dire nulla, se non che erano 3 re soppelliti anticamente.

Andando 3 giornate, trovaro uno castello chiamato Calasata, ciò è a dire in francesco  “castello de li oratori del fuoco”; e è ben vero che quelli del castello adoran lo fuoco, e io vi dirò perché. Gli uomini di quello castello dicono che anticamente tre lo’ Re di quella contrada andarono ad adorare un profeta, lo quale era nato, e portarono 3 oferte: oro per sapere s’era signore terreno, incenso per sapere s’era idio, mirra per sapere se era eternale. E quando furo ove Dio era nato, lo menore andò prima a vederlo, e parveli di sua forma e di suo tempo; e poscia ‘l mezzano e poscia il magiore: e a ciascheuno p[er] sé parve di sua forma e di suo tempo. E raportando ciascuno quello ch’avea veduto, molto si maravigliaro, e pensaro d’andare tutti insieme; e andando insieme, a tutti parve quello ch’era, cioè fanciullo di 13 die.

Allora ofersero l’oro, lo ‘ncenso e la mirra, e lo fanciullo prese tutto; e lo fanciullo donò a li tre Re uno bossolo chiuso. E li Re si misoro per tornare in loro contrada.”

 

Lasciamo, dunque, i Magi in viaggio alla volta del luogo ove è nato il Salvatore. Gli recano simbolici doni: la mirra, dice Sant’Ireneo, “perché egli dovrà morire per il genere umano; l’oro perché Egli è quel Re, il cui Regno non avrà fine; l’incenso, perché Egli è Dio”.

 

 

Daniela Zini

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[1] Il Protovangelo di Giacomo, forse anteriore al V secolo, e il Vangelo dello Pseudo-Matteo, un testo aramaico derivante dal precedente e datato al V – VI secolo, il Vangelo Arabo dell’Infanzia di Nostro Signore della metà del VI secolo, il Vangelo Armeno dell’Infanzia, che pone la nascita di Gesù al 6 gennaio e l’arrivo dei Magi al 9 e che fissa a tre il numero dei Magi, li chiama per nome e li definisce Re, Melkon Re dei Persiani, Gaspar Re degli Indiani, Balthasar Re degli Arabi.

Il culto dei Magi, rimasto forte per tutto l’Alto Medioevo – anche perché i germani convertiti al Cristianesimo, in quanto “barbari”, li sentivano come i loro patroni – si corroborò in Occidente a partire dai secoli VIII – X, quando la festa dell’Epifania si andò sempre più strettamente collegando con i rituali regali e imperiali e raggiunse l’acme nel XII secolo per volontà dell’Imperatore Federico I Barbarossa.

Secondo una tradizione che risaliberebbe al IV – VI secolo, le reliquie dei Magi erano custodite nella chiesa milanese di Sant’Eustorgio, ma, nel Duecento, Marco Polo ne avrebbe vedute altre in una città della Persia. Nel 1164, allorché Milano era stata distrutta perché ribelle all’Impero, l’Arcicancelliere imperiale Rainaldo di Dassel, Arcivescovo di Colonia, le prelevò per portarle nella sua città, dove furono deposte nel duomo, di cui era appena avviata la costruzione.

Là riposano ancora oggi e sono state oggetto del grande pellegrinaggio dei giovani guidato, nell’Estate del 2005, da Papa Benedetto XVI.