“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

mercoledì 31 agosto 2022

MICHELE SINDONA intervistato da Enzo Biagi

Sindona contro Cefis (Sindona 2° parte - La Bastogi)

I MISTERI DI EUGENIO CEFIS

Il caso De Mauro - La Storia Siamo Noi

LA STORIA SIAMO NOI:Le Sette Sorelle gli stati negli stati

martedì 30 agosto 2022

Conversazione con Francesco Rosi

lunedì 29 agosto 2022

Lo schiaffo di Celentano a Brindisi: “Se la gente inizia a capire sono g...

Le recul de la mort - l'immortalité à brève échéance? Laurent Alexandre ...

Laurent Alexandre devient dingue 🤪

sabato 27 agosto 2022

Il protocollo per curare il Covid a casa dell'Istituto Negri di Milano -...

Il 'protocollo' di Giuseppe Remuzzi per le cure del Covid a casa: "È la ...

giovedì 25 agosto 2022

Alteredo intervista Roberto Formigoni

Il vero volto di Comunione e Liberazione

Comunione e Liberazione striscia in università - Luca Perego

Alteredo intervista Roberto Formigoni

martedì 23 agosto 2022

Sacco & Vanzetti Una Storia Da Non Dimenticare

Sacco e Vanzetti (1971)

Sacco e Vanzetti 1971 Discorso Bartolomeo Vanzetti

giovedì 18 agosto 2022

Le basi Usa (2) e le bombe nucleari in Italia ed Europa - Mappa Mundi

Le basi americane in Italia e nel mondo - Mappa Mundi

LE PEN LE VISIONNAIRE ECRASE KOUCHNER

Le TPIY acquitte à nouveau Haradinaj, reactions à La Haye

Dick Marty, justice sans compromis

LES AFFREUX CRIMES DE GUERRE KOSOVARS - L'Effet Papillon

Trafic d'organes: Belgrade veut une enquête mandatée...

Strange Border Kidnappings in Kosovo: Correspondent Confidential

Strange Border Kidnappings in Kosovo: Correspondent Confidential

Kosovo : cinq condamnations pour trafic d'organes

Des dirigeants de l'UCK seront jugés pour crimes de guerre

Kosovo: une poignée de victimes du trafic d'organes

Trafic d'organes au Kosovo: un rapport demande la "vérité"

Pierre Péan sur B.Kouchner et la maison jaune : "Quand on lui pose la qu...

Interrogé sur la "maison jaune", Bernard Kouchner nie toujours le trafic...

Bernard Kouchner rit des victimes serbes du trafic d'organes au Kosovo

War crimes prosecutors question Kosovo leader Thaci in The Hague

Kosovo President Hashim Thaci indicted for war crimes

Biden në Kosovë

Speech of Mikis Theodorakis - Greeks against bombing of Serbia

Bill Klinton per here te pare ne Kosove 1999 - Bill Clinton in Kosovo

Joe Biden defends Kosovo Albania

President Joe Biden in Kosovo

(The Agony of Kosova) - DioGuardi Clashes with Sen. Biden in Q&A at Hear...

KOSOVO: UN ADMINISTRATOR KOUCHNER TOURS WAR RAVAGED CITIES

KOSOVO JUNE 1999: NATO BOMBS VILLAGE

Bombardamenti Belgrado - SERBIA (1999)

martedì 16 agosto 2022

Chi è veramente Bill Gates? Il passato oscuro del miliardario che vuole ...

De Gennaro: ''L’attentato all’Addaura? Falcone aveva alzato il tiro con ...

Cuffaro da Santoro e Costanzo davanti al giudice Falcone (da Blob)

Prefetto Monaco a Nuzzi: De Gennaro sapeva della Diaz

Intervista a Mario Draghi

De Gennaro, lo 'sbirro' che piace al Pd e agli Usa

CONDANNA DIAZ G8 - FRATOIANNI SEL: SU DE GENNARO ORFINI NON LASCI PAROLE...

De Gennaro e la macelleria messicana

TORTURA AL G8 DI GENOVA - RENZI: FIDUCIA A DE GENNARO

G8 Genova, De Gennaro non risponde ai giornalisti dopo l'attacco di Gabr...

Piazzapulita - Nei luoghi di Scajola e Matacena

Esclusivo, Scajola dopo incontro con Letta e Confalonieri: "Faccio scopp...

Commissione Indagine G8 (Claudio SCAJOLA)

Sgarbi: 'Pestaggio Diaz? Responsabili Fini, Scajola e De Gennaro, non la...

Infiltrati della polizia nei black bloc

Poliziotto infiltrato al G8 di Genova?

RAI 3, Blu Notte - G8 Genova 2001 di Carlo Lucarelli (9/9/07)

Genova, il pm Zucca: ''Chi coprì i torturatori del G8 è oggi ai vertici ...

mercoledì 10 agosto 2022

LETTERA 9/11 LUGLIO 2022 di Daniela Zini

Son Excellence M Sergio Mattarella

Presidente della Repubblica Italiana

Palazzo del Quirinale

Piazza del Quirinale

00187 Roma

 

  






Her Excellency Mme Michelle Bachelet

High Commissioner for Human Rights

Palais Wilson

52, rue des Pâquis

CH-1201 Geneva

SWITZERLAND

 

 




Son Excellence Mme Marija Pejčinović Burić

Secrétaire Générale du Conseil d’Europe

Conseil d’Europe

Avenue de l’Europe F-67075

Strasbourg Cedex

FRANCE

 

 


 

 Her Excellency Mme Ana Brian Nougrères

Special Rapporteur on the right to privacy HCHR-UNOG

8-14, Avenue de la Paix

1211 Geneve 10

SWITZERLAND

 

 

 


 

Madame la Députée Européenne Francesca Donato

Parlement Européen Bât. Altiero Spinelli – 03F343

60, rue Wiertz / Wiertzstraat 60

B-1047 Bruxelles/Brussel

BELGIQUE

 

 

Madame la Députée Européenne Virginie Joron

Parlement Européen Bât. Altiero Spinelli – 04F163

60, Rue Wiertz / Wiertzstraat 60

B-1047 Bruxelles/Brussel

BELGIQUE

 

 

Madame la Députée Européenne Michèle Rivasi

Parlement Européen Bât. Altiero Spinelli – 08G258

60, rue Wiertz / Wiertzstraat 60

B-1047 Bruxelles/Brussel

BELGIQUE

 

 



Spett. le CODACONS

Via Giuseppe Andreoli, 2

00195 Roma


 

Illustri Autorità,  

 

permettetemi di fare uso, per la prima volta, di quella Libertà democratica che impegnò tutte le forze vive del Paese, pubbliche e private, civili e militari, laiche e religiose al raggiungimento della nostra Repubblica e, di cui il Presidente Sergio Mattarella ha, pubblicamente, riconosciuto il pericolo di una compromissione, il 3 febbraio scorso, nel suo discorso di insediamento:

“Occorre evitare che i problemi trovino soluzione senza l’intervento delle istituzioni a tutela dell’interesse generale: questa eventualità si traduce sempre a vantaggio di chi è in condizioni di maggiore forza. Poteri economici sovranazionali tendono a prevalere e a imporsi, aggirando il processo democratico.” [Discorso di insediamento di Sergio Mattarella, 3 febbraio  2022, https://www.quirinale.it/elementi/62298, https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/02/03/sergio-mattarella-rivedi-il-discorso-dinsediamento-al-parlamento-il-video-integrale/6480203/]

Le considerazioni che seguono sono, molto semplicemente, il risultato della mia preoccupazione quotidiana, degli interrogativi che ne conseguono. Ragione per cui, preferisco optare per un linguaggio scevro da ogni ipocrisia e da ogni lusinga. Io sono di quelli che accorda importanza alla necessità di vedere i problemi dell’Italia, risolti dagli Italiani. Questa opzione trova il suo fondamento nell’Amore, nel profondo attaccamento al mio Paese e nell’adesione al modello di società, che la Costituzione propone al Popolo Italiano. Io sono convinta, come molti altri Italiani, che nessuna società possa vivere senza un ideale che la ispiri, né una conoscenza chiara dei principi che la guidano. Ho notato che i periodi di grande civiltà sono, proprio, quelli in cui queste due condizioni sono, intimamente, riunite.

Gli Italiani provano un bisogno legittimo di comprendere.

Gli Italiani vogliono sapere secondo quali principi siano governati e verso quale avvenire si avviino.

Circa due anni e mezzo prima del suo assassinio, il 27 aprile 1961, John Fitzgerald Kennedy tenne ai rappresentanti della stampa, riuniti presso l’Hotel Waldorf-Astoria di New York, un discorso incentrato sulla analisi e sul pericolo della Guerra Fredda [http://www.youtube.com/watch?v=PFMbYifiXI4], tuttavia, alcuni suoi passaggi, sembrano alludere, non alla sfida acerrima contro l’Unione Sovietica, ma a qualcosa di altro di più oscuro e di più pericoloso.

“[…]The very word “secrecy” is repugnant in a free and open society; and we are as a people inherently and historically opposed to secret societies, to secret oaths and to secret proceedings. We decided long ago that the dangers of excessive and unwarranted concealment of pertinent facts far outweighed the dangers which are cited to justify it. Even today, there is little value in opposing the threat of a closed society by imitating its arbitrary restrictions. Even today, there is little value in insuring the survival of our nation if our traditions do not survive with it. And there is very grave danger that an announced need for increased security will be seized upon by those anxious to expand its meaning to the very limits of official censorship and concealment. That I do not intend to permit to the extent that it is in my control. And no official of my Administration, whether his rank is high or low, civilian or military, should interpret my words here tonight as an excuse to censor the news, to stifle dissent, to cover up our mistakes or to withhold from the press and the public the facts they deserve to know.

But I do ask every publisher, every editor, and every newsman in the nation to reexamine his own standards, and to recognize the nature of our country’s peril. In time of war, the government and the press have customarily joined in an effort based largely on self-discipline, to prevent unauthorized disclosures to the enemy. In time of “clear and present danger,” the courts have held that even the privileged rights of the First Amendment must yield to the public’s need for national security.

Today no war has been declared - and however fierce the struggle may be, it may never be declared in the traditional fashion. Our way of life is under attack. Those who make themselves our enemy are advancing around the globe. The survival of our friends is in danger. And yet no war has been declared, no borders have been crossed by marching troops, no missiles have been fired.

If the press is awaiting a declaration of war before it imposes the self-discipline of combat conditions, then I can only say that no war ever posed a greater threat to our security. If you are awaiting a finding of “clear and present danger,” then I can only say that the danger has never been more clear and its presence has never been more imminent.

It requires a change in outlook, a change in tactics, a change in missions - by the government, by the people, by every businessman or labor leader, and by every newspaper. For we are opposed around the world by a monolithic and ruthless conspiracy that relies primarily on covert means for expanding its sphere of influence - on infiltration instead of invasion, on subversion instead of elections, on intimidation instead of free choice, on guerrillas by night instead of armies by day. It is a system which has conscripted vast human and material resources into the building of a tightly knit, highly efficient machine that combines military, diplomatic, intelligence, economic, scientific and political operations.

Its preparations are concealed, not published. Its mistakes are buried, not headlined. Its dissenters are silenced, not praised. No expenditure is questioned, no rumor is printed, no secret is revealed. It conducts the Cold War, in short, with a war-time discipline no democracy would ever hope or wish to match.

Nevertheless, every democracy recognizes the necessary restraints of national security - and the question remains whether those restraints need to be more strictly observed if we are to oppose this kind of attack as well as outright invasion. […]” [http://www.youtube.com/watch?v=AKhUbOxM2ik]

Pensare al passato può migliorare il modo in cui gestire il presente?

Se è così, il centenario del secondo Trattato di Rapallo, concluso il 16 aprile 1922 tra Germania e URSS, che riprendevano, così, i rapporti diplomatici e commerciali, rinunciando reciprocamente a riparazioni e compensi per i danni di guerra, potrebbe fare un grande servizio al mondo, persuadendo i politici moderni a dedicare più tempo a pensare a Sarajevo e meno tempo a preoccuparsi di Monaco. Per l’URSS significava la fine della politica di isolamento dall’Europa Occidentale, mentre la Germania poté avviare il proprio riarmo clandestino con la collaborazione dell’URSS, che, a sua volta, si avvalse della più avanzata tecnologia tedesca. “Sarajevo” e “Monaco di Baviera” sono, ovviamente, un’abbreviazione per le crisi diplomatiche che hanno preceduto lo scoppio della Prima e della Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, i due eventi sono stati utilizzati per supportare approcci molto diversi agli affari internazionali. Se i leaders mettono in guardia contro “un’altra Monaco”, quasi sempre sostengono una dura risposta all’aggressione, di solito un’azione militare. Se, invece, parlano di “Sarajevo”, mettono in guardia contro una deriva verso la guerra. Si ritiene, generalmente, che gli inglesi e i francesi abbiano commesso un terribile errore, che ha portato a una guerra più ampia, non affrontando Hitler durante la Crisi di Monaco del 1938. Al contrario, la maggior parte degli storici ripercorre gli eventi provocati dall’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinado d’Austria a Sarajevo, nell’estate del 1914, e sono inorriditi da come l’Europa sia scivolata incautamente in guerra. Margaret Macmillan, autrice di un avvincente resoconto dello scoppio del conflitto, The War that Ended Peace, lamenta che “nessuno degli attori chiave nel 1914 era un leader grande e fantasioso che ha avuto il coraggio di distinguersi dalle pressioni crescenti per la guerra”. Forse perché la lotta contro il nazismo è l’evento più recente, è l’analogia “Monaco” che domina il pensiero occidentale dal 1945. John Kerry, l’ex-Segretario di Stato americano, l’ha usata nell’estate del 2013, quando, definì l’uso delle armi chimiche da parte della Siria, “il nostro momento di Monaco” e chiese attacchi missilistici contro il regime di Bashar Al-Assad come dimostrazione necessaria della determinazione occidentale. La popolarità dell’analogia con Monaco non sembra essere stata influenzata dal fatto che ha portato fuori strada i leaders occidentali in numerose occasioni. Anthony Eden, Primo Ministro britannico, nel 1956, che si era opposto all’accordo originale di Monaco, citò la pacificazione di Hitler per giustificare il confronto con Nasser e l’uso delle truppe nella Crisi di Suez del 1956. Il Presidente statunitense Lyndon Johnson invocò Monaco per sostenere la Guerra in Vietnam. Anche i sostenitori della Guerra in Iraq, nel 2003, citarono Monaco di Baviera nel sollecitare un’azione militare contro Saddam Hussein. In tutti questi casi, è stato difficile e decisivo usare la forza militare. Eppure, ciascuno di questi conflitti è stato visto come un terribile errore. Al contrario, nel 1963, quando la Crisi dei missili di Cuba fece quasi precipitare l’America e l’Unione Sovietica in un conflitto nucleare, l’allora Presidente statunitense John F. Kennedy fu abbastanza coraggioso da ignorare quei consiglieri che lo esortavano a intraprendere un’azione militare. Kennedy aveva combattuto nella  Seconda Guerra Mondiale e aveva vissuto la Crisi di Monaco. Ma Sarajevo potrebbe essere stato nella sua mente. La studiosa canadese Margaret MacMillan fa notare che, poco prima della Crisi dei Missili a Cuba, Kennedy aveva letto The Guns of August, il saggio di Barbara Wertheim Tuchman sul “suicidio dell’Europa” che annientò milioni di vite sui campi insanguinati della Prima Guerra Mondiale, per il quale vinse il prestigioso Premio Pulitzer, nel 1963. Non solo, il libro di Barbara Wertheim Tuchman fu, anche, donato da Kennedy al Premier sovietico, Nikita Chruscev, all’indomani della Crisi dei Missili di Cuba a titolo di monito “affinché non accada più”. L’invito di Kennedy ai sovietici, nel 1962, fu semplice a complesso allo stesso tempo: come nel 1914 i politici non seppero gestire la crisi, lasciandosi trascinare dai militari, così non deve più accadere perché il potere politico, eletto democraticamente dal Popolo, deve saper mantenere la responsabilità della guida della Nazione, senza delegare a chi ha una visione limitata e parziale della vicenda. Ecco che così si delinea meglio la grande lezione all’Umanità del 1914, posta in luce con magnifica semplicità e accuratezza da Barbara Wertheim Tuchman. Nel 1914, i leaders nazionali erano così desiderosi di apparire forti e di proteggere il loro onore o la loro credibilità, come si definirebbe oggi, che non furono in grado di fare un passo indietro dall’orlo del conflitto. La riflessione sulla Crisi di Sarajevo potrebbe, semplicemente, impedire ai leaders di oggi di cadere nella stessa trappola, ma, sfortunatamente, molti degli attori politici di oggi affrontano, ancora, le loro rivalità con una mentalità monacale. Questo è il tipo di logica del parco giochi, con cui i bambini di 4 anni sono incoraggiati a crescere e, sfortunatamente, sembra, ancora, essere il modo di pensare dominante negli affari internazionali. La mentalità di Monaco è così radicata che sarà necessario un vero cambiamento intellettuale perché i leaders mondiali adottino un approccio meno pericolosamente maschilista alle loro rivalità, ma io voglio credere che questa Umanità conti ancora uomini sensati, che provino dolore e sconcerto nel vedere dei banditi ammantarsi del suo nome. Non vediamo intorno a noi che diffidenza, incertezza e fanatismo. Viviamo sotto il regime della grande paura. Per decine di milioni di esseri umani la fame e la disperazione sono più che una paura, sono realtà della vita giornaliera. Per cecità da una parte, per impotenza dall’altra, le soluzioni della disperazione sembrano essere le sole adottabili e realiste. Il problema dell’ordine internazionale è il problema più urgente, quello che deve avere una precedenza assoluta nella nostra considerazione, in quanto solo una sua razionale soluzione può dare un senso a tutte le soluzioni proposte per i particolari problemi politici, economici, spirituali che, oggi, si presentano nell’ambito dei singoli Stati. Se non arriveremo a un assetto internazionale che metta fine alle guerre a ripetizione, coinvolgenti tutti i Paesi del Mondo, non potremo salvare la nostra civiltà: entreremo in un nuovo Medioevo. La guerra non è più un urto tra eserciti. È una conflagrazione tra Popoli che nella lotta impegnano tutti i loro beni, tutte le loro vite. È la guerra totale, in cui ciascuna delle parti cerca, con i più efficienti strumenti forniti dalla scienza moderna, di distruggere il potenziale bellico e di abbattere il morale del nemico, come mezzo indiretto per annientarne l’esercito. È la negazione di ogni sentimento umano, il definitivo ripudio del diritto come regola di vita. È un turbine che sradica intere Popolazioni dalle terre sulle quali risiedevano da secoli, per gettarle senza più case, senza più mezzi per vivere, a migliaia di chilometri di distanza; che non rispetta né ospedali, né luoghi di culto, né asili d’infanzia; che riduce in macerie fumanti Biblioteche, Musei, Opere d’arte, i più preziosi patrimoni ereditati da innumerevoli generazioni passate. La cosiddetta intellighenzia risulta composta di propagandisti e di esperti, perché non si apprezzano più le opere di significato universale, né le ricerche disinteressate, ma solo le opere che esaltano i sentimenti nazionalisti e i ritrovati tecnici che possono tradursi in armi efficienti. Discorsi, giornali, televisione, fanno appello alle forze irrazionali dell’animo umano, per creare uno stato di follia collettiva che unifichi tutto il popolo in una sola volontà diretta a un unico fine: la vittoria, a qualunque costo, sopportando qualsiasi sacrificio. Non ci si deve neppure più domandare cosa la vittoria possa significare. Si vuole la vittoria per la vittoria, si vuole la distruzione del nemico, si vuole sopravvivere, anche se quello che di noi sopravvivrà non meriterebbe in alcun modo essere difeso. Le falsificazioni, le menzogne sono sistematicamente adoperate come strumenti di guerra al pari delle bombe e dei missili.

Chi ragiona, chi dubita, è un nemico della Patria.

Tutti i valori morali sono sovvertiti: la violenza, il misconoscimento di ogni regola di vita civile, l’odio che non ammette alcuna attenuante a favore dell’avversario, il conformismo e l’obbedienza cieca agli ordini che vengono dall’alto, sono lodati, premiati, divengono abiti spirituali, in luogo del rispetto della vita umana, dell’ossequio alle leggi, della tolleranza, dello spirito critico e del senso di responsabilità individuale.

Coloro che vogliono la Pace non si preparino più oltre alla guerra!

Se nell’Europa conquistata dai tedeschi si ripeté l’esperienza che Tacito aveva scolpito con le parole solenni:

“Senatus, equites, populusque romanus ruere in servitium.”,

ciò fu perché negli uomini lo spirito non sempre è pronto a vincere la materia. Nella nuova era atomica, guerra vuol dire distruzione, forse, non della razza umana, ma certamente di quell’Umanesimo per cui soltanto agli uomini è consentito di essere al Mondo. Un Mondo auspicabile, per la cui attuazione si deve lottare, non è un Mondo chiuso contro nessuno, è un Mondo aperto a tutti, un Mondo in cui gli uomini possono liberamente far valere i loro contrastanti ideali e le maggioranze rispettano le minoranze e ne promuovono le finalità. Un Mondo in cui ogni Stato è pronto a sacrificare una parte della propria Sovranità. Oggi, ogni Stato afferma, nel modo più intransigente, la propria assoluta Sovranità; non ammette alcun limite al proprio volere; pretende essere, in ogni caso, il solo giudice del proprio diritto. E per difendere il proprio diritto cerca di raggiungere una forza maggiore degli eventuali nemici, armandosi e alleandosi con altri Stati. La sicurezza conseguita da uno Stato corrisponde all’insicurezza, all’accettazione di una condizione di inferiorità, da parte di altri. Il cosiddetto diritto internazionale, in realtà, non è un diritto, perché afferma norme che le parti osservano finché desiderano rispettarle. In tutti gli accordi internazionali è, infatti, sottintesa la clausola rebus sic stantibus, per la quale i Governi, in pratica, si ritengono vincolati solo nei limiti in cui l’adempimento degli obblighi, che dagli accordi discendono, non sia, a loro insindacabile giudizio, in contrasto con l’interesse del proprio Paese. La più grandiosa e grottesca manifestazione della completa vacuità del diritto internazionale è stata, il Patto Briand-Kellog del 27 agosto 1928, che poneva la guerra “fuori legge”. Quasi tutti i Governi del Mondo – compresi quelli della Germania, dell’Italia e del Giappone – si affrettarono a dare pubblica prova delle loro pacifiche intenzioni, firmando la morte legale della guerra. Stupendi discorsi, scambio di telegrammi tra Capi di Stato, brindisi, felicitazioni, articoli ditirambici su grandi giornali. Ma di buone intenzioni è lastricato l’inferno. Il Patto Briand-Kellog, non prevedendo nessuna efficace sanzione, lasciò le cose come stavano. La guerra, tutta occupata a massacrare e a distruggere, neppure si accorse di essere stata messa “fuori legge” da tante brave persone. Gli ultimi anni del XIX Secolo furono illuminati da una proposta meravigliosa che fu, poi, lasciata cadere completamente in oblio. Nell’agosto del 1898, lo Zar Nicola II invitò gli Stati Uniti a incontrarsi per una conferenza destinata a garantire la pace tra le Nazioni e a mettere fine all’incessante aumento degli armamenti che impoverivano l’Europa. Il messaggio del sovrano iniziava così:

“Il mantenimento della Pace generale e un’eventuale riduzione degli armamenti eccessivi, il cui peso grava tutto sui Popoli, sono evidentemente, nelle attuali condizioni del Mondo intero, l’ideale verso il quale tutti i Governi dovrebbero tendere i loro sforzi.”

Le spese militari sono alternative alle spese sociali. Quanto più aumentano le une, tanto più devono necessariamente diminuire le altre. Nel 2012, l’Italia era avanzata al X° posto tra i Paesi con le più alte spese militari del Mondo, rispetto all’XI° del 2011. Lo documentava lo Stockholm International Peace Research Institute [SIPRI], l’autorevole istituto internazionale, che ha sede a Stoccolma [http://books.sipri.org/files/FS/SIPRIFS1304.pdf].

“Secondo le stime dell’Osservatorio Mil€x per l’anno 2022 la spesa militare da parte del Ministero della Difesa sfiorerà i 26 miliardi di euro [25.935 milioni per la precisione] con una crescita di 1.352 milioni di euro +5,4% rispetto al 2021.” [https://www.milex.org/2022/01/10/litalia-e-il-paese-che-armo-il-governo-draghi-stanzia-26-miliardi-di-spese-militari-per-il-2022/].

È possibile considerare tali preparativi militari senza concepire le più grandi inquietudini?

Se non ci conducono alla guerra, è alla bancarotta e alla rovina che ci condurranno e giorno verrà in cui gli Italiani saranno un Popolo di mendicanti davanti a una fila di caserme!

La scelta primaria di ogni essere umano, che va al di là del proprio sesso, della propria etnia, della propria lingua, della propria cultura, della propria religione e della propria classe sociale, è:

Da quale parte stare?” 

Dalla parte dei potenti o degli oppressi?

Dalla parte dei colonialisti o dei colonizzati?

Dalla parte di chi scrive la Storia, il vincitore di turno, o dalla parte di chi non ha voce pur avendo fatto ugualmente la Storia?

A quali Popoli e a quali classi sociali si riferiscono i nostri Governi quando parlano dei Popoli e dei loro bisogni?

“[...] Every gun that is made, every warship launched, every rocket fired signifies, in the final sense, a theft from those who hunger and are not fed, those who are cold and are not clothed.

This world in arms is not spending money alone.

It is spending the sweat of its laborers, the genius of its scientists, the hopes of its children.

The cost of one modern heavy bomber is this: a modern brick school in more than 30 cities.

It is two electric power plants, each serving a town of 60,000 population. It is two fine, fully equipped hospitals.

It is some fifty miles of concrete pavement.

We pay for a single fighter plane with a half million bushels of wheat.

We pay for a single destroyer with new homes that could have housed more than 8,000 people.

This is, I repeat, the best way of life to be found on the road the world has been taking.

This is not a way of life at all, in any true sense. Under the cloud of threatening war, it is humanity hanging from a cross of iron. These plain and cruel truths define the peril and point the hope that come with this spring of 1953.

This is one of those times in the affairs of nations when the gravest choices must be made, if there is to be a turning toward a just and lasting peace.

It is a moment that calls upon the Governments of the world to speak their intentions with simplicity and with honesty. [...],

ammoniva Dwight David Eisenhower, nel suo discorso del 16 aprile 1953, prima di divenire trentaquattresimo Presidente degli Stati Uniti e di fare il suo ingresso alla Casa Bianca, il 20 gennaio 1953, Eisenhower aveva condotto una brillante carriera militare, che aveva fatto di lui il soldato di più alto grado nella gerarchia militare americana: Generale a 5 stelle. La posizione centrale, che occupava in questa gerarchia, faceva di lui un osservatore privilegiato delle pratiche poco ortodosse del complesso industriale-militare. E gli 8 anni passati alla Casa Bianca avevano finito per convincerlo della pericolosità di questa potente lobby, che, senza la presenza di una “cittadinanza vigile e accorta”, rischiava di fare man bassa dei meccanismi decisionali della strategia militare e della politica estera degli Stati Uniti. 3 giorni prima di lasciare la Casa Bianca, il 17 gennaio 1961, dopo 2 mandati, Dwight David Eisenhower mettteva in guardia la Popolazione del suo Paese dal complesso industriale–militare, che non era affatto interessato alla Pace e avrebbe tentato, per mantenersi in vita e potenziarsi, di portare il Paese nuovamente in guerra. Ripropongo qui uno dei passaggi più significativi del discorso di commiato alla Nazione:

“[...] Until the latest of our world conflicts, the United States had no armaments industry. American makers of plowshares could, with time and as required, make swords as well. But we can no longer risk emergency improvisation of national defense. We have been compelled to create a permanent armaments industry of vast proportions. Added to this, three and a half million men and women are directly engaged in the defense establishment. We annually spend on military security alone more than the net income of all United States cooperations -- corporations.

Now this conjunction of an immense military establishment and a large arms industry is new in the American experience. The total influence -- economic, political, even spiritual -- is felt in every city, every Statehouse, every office of the Federal government. We recognize the imperative need for this development. Yet, we must not fail to comprehend its grave implications. Our toil, resources, and livelihood are all involved. So is the very structure of our society.

In the councils of government, we must guard against the acquisition of unwarranted influence, whether sought or unsought, by the military-industrial complex. The potential for the disastrous rise of misplaced power exists and will persist. We must never let the weight of this combination endanger our liberties or democratic processes. We should take nothing for granted. Only an alert and knowledgeable citizenry can compel the proper meshing of the huge industrial and military machinery of defense with our peaceful methods and goals, so that security and liberty may prosper together.[...]” [http://www.youtube.com/watch?v=jnaM8TqAzzo&feature=related, http://www.youtube.com/watch?v=KCRDp4OF5Ig&feature=related]

Il monito di Eisenhower è stato ignorato, perché non vi è stata negli Stati Uniti quella “cittadinanza vigile e accorta” a impedire le derive militari e politiche che, da decenni, non cessano di minare lo statuto, la reputazione e le finanze della superpotenza americana. Trattandosi di grandi scelte di strategia militare e di politica estera del Paese, la cittadinanza americana, nella sua maggioranza, non è né “vigile” “accorta” nel senso auspicato da Eisenhower, vale a dire nel senso di una forza capace di controllare, strettamente, le decisioni governative e di opporvisi, eventualmente, se queste vadano contro l’interesse generale. La sua assoluta indifferenza a quanto accade fuori delle sue frontiere la predispone a fare affidamento nei propri leaders e a prendere per oro colato tutto quello che dicono. L’esempio più sbalorditivo è la convergenza della maggioranza degli americani con l’ex-Presidente George W. Bush. Non è un segreto per nessuno che per servire gli interessi dei fabbricanti di armi e delle compagnie petrolifere, Bush e il suo staff abbiano manipolato il popolo americano, facendogli ingoiare la menzogna delle armi di distruzione di massa e del pericolo rappresentato da Saddam Hussein per il Mondo, in generale, e per gli Stati Uniti, in particolare.

Saddam Hussein potrebbe reagire a un eventuale attacco con un’arma devastante: il virus del vaiolo. È questa una delle preoccupazioni dell’amministrazione del Presidente George W. Bush che, pur non avendo mai mostrato prove a sostegno del sospetto che l’Iraq sia in possesso del virus, ammette – in base a quanto sostengono esperti nel campo delle armi biologiche - che c’è motivo per essere “molto preoccupati”.

Tra gli indizi che portano a trarre questa conclusione sarebbe stata la scoperta in Iraq di alcune casse di equipaggiamenti contrassegnate con la parola “vaiolo”. Un ex-alto dirigente del programma di armi biologiche dell’ex-Unione Sovietica afferma di non avere dubbi che l’Iraq sia in possesso del virus.

Gli unici campioni del virus esistenti nel mondo dovrebbero essere quelli custoditi nei laboratori statunitensi e russi. Si teme che una parte del vaiolo in possesso di questi ultimi sia stata trafugata. “C’è motivo per essere molto preoccupati” ha avvertito D. A. Henderson, un esperto statunitense.


In vista di questa terribile eventualità, la Gran Bretagna si sta preparando a una vaccinazione in massa della popolazione contro il vaiolo che avverrebbe nell’ambito più ampio delle misure di profilassi per far fronte all’eventualità di un attacco terroristico con armi biologiche. Lo hanno annunciato fonti governative.

Una portavoce del dipartimento della Sanità ha detto ieri sera all’Agenzia Reuters che, pur non essendoci cambiamenti nell’attuale valutazione dei rischi di un tale attacco di “bioterrorismo”, il Governo si prepara ad “ogni eventualità”, e che ciò può comprendere, se necessario, la vaccinazione in massa della popolazione.
“Ma non stiamo pianificando una vaccinazione in massa prima di un attacco con germi del vaiolo, e, anche in quel caso, la strategia primaria sarebbe quella del contenimento e di vaccinare in un primo momento selettivamente”, ha precisato la portavoce.

Nei prossimi mesi verranno vaccinati contro il vaiolo, come misura precauzionale, alcuni addetti del settore medico-sanitario. Le autorità ritengono che la vaccinazione di prossimità – consistente nell’immunizzare le persone intorno ad un malato – creerebbe una zona di sicurezza contro il germe, senza bisogno di procedere a un intervento di massa.”
[L’allarme degli esperti di armi biologiche statunitensi – Bagdad potrebbe usarlo come arma di distruzione di massa - Saddam possiede il virus del vaiolo – La Gran Bretagna si preparerebbe a una vaccinazione di massa, la Repubblica, 9 ottobre 2002,
https://www.repubblica.it/online/esteri/iraqnove/vaiolo/vaiolo.html]

“Sabato 21 dicembre, alle ore 12.15, il Presidente degli Stati Uniti d’America George W. Bush ha offerto il braccio sinistro a un tecnico esperto del Walter Reed Medical Center e si è fatto vaccinare contro il vaiolo. Malattia antica, ma ormai eradicata dal mondo intero. La notizia, divulgata da Jeanie Mamo, portavoce della Casa Bianca, si presta a una triplice lettura.

Una prima lettura è fattuale. L’iniezione al Presidente americano segna l’avvio della campagna di vaccinazione contro il vaiolo dell’esercito degli Stati Uniti, pronto ormai alla guerra. La campagna entrerà nel vivo nei primi giorni del prossimo anno e si concluderà con la vaccinazione di ben 500.000 soldati.

Una seconda lettura è politica. Facendosi inoculare il vaccino a base di virus del vaiolo, George W. Bush ha voluto dimostrare che la guerra all’Irak è ormai inevitabile. L’Amministrazione USA accusa Saddam Hussein di stoccaggio illegale di armi di distruzione di massa, comprese le armi biologiche.

Con la ostentata vaccinazione anti-vaiolo dell’esercito e sua personale, Bush vuol far credere di prendere in seria considerazione la minaccia biologica di Saddam.

La terza lettura della notizia offerta ai media di tutto il mondo da Jeanie Mamo è sanitaria.

L’Amministrazione Bush, infatti, ha elaborato un piano di vaccinazione della popolazione civile contro eventuali azioni terroristiche con armi biologiche costituite dal virus del vaiolo. Il piano prevede la vaccinazione volontaria ma immediata di 450.000 lavoratori del settore sanitario che, in prospettiva, dovranno diventare 10 milioni. Inoltre entro il 2004 gli USA avranno dosi di vaccino sufficienti a vaccinare l’intera popolazione. Tra due anni, chi vorrà, potrà farsi vaccinare anche in assenza di una minaccia immediata.

Lasciamo da parte le questioni militari e politiche. Non chiediamoci, non in questa sede almeno, se davvero Saddam possiede armi al vaiolo e se davvero queste armi costituiscono un pericolo per l’esercito USA. Poniamoci solo i problemi che interessano direttamente la popolazione civile del mondo intero. Il virus Varriola major costituisce una minaccia terroristica? E conviene che i medici, gli infermieri e quanti operano in campo sanitario si vaccinino contro di lui? E cosa deve fare la popolazione civile?

Le domande non sono accademiche. Se le stanno ponendo, in questo momento, molti negli Stati Uniti. Due grandi ospedali americani, per esempio, hanno deciso che il gioco non vale la candela e che, quindi, non attueranno il piano Bush. Attirandosi, per questo, gli strali del New York Times.

In realtà le risposte non sono affatto facili, come dimostra la rivista medica New England Journal of Medicine, che al problema scientifico della vaccinazione di massa contro il vaiolo ha dedicato un lungo dossier nel numero appena pubblicato. Il fatto è che le variabili in gioco sono tantissime e grande è, dunque, l’incertezza entro la quale i cittadini americani e, in definitiva, noi tutti, siamo chiamati a prendere una decisione.

Iniziamo dai problemi scientifici. È vero che il virus Varriola major è stato eradicato completamente dalla Terra, come certificato dall’Organizzazione Mondiale di Sanità fin dal 1980. È vero che di questo virus esistono, a quanto se ne sa, solo pochi esemplari, custoditi per motivi di studio in 2 laboratori uno americano [che ha fornito la base per il vaccino] e uno russo. Ma chi può escludere che qualche Paese o qualche gruppo terroristico non ne detenga in modo occulto campioni attivi?

In realtà non è facile per un Paese controllato come l’Irak o per gruppi di terroristi conservare a lungo armi biologiche che, nel tempo, perdono la loro capacità aggressiva. Le armi al vaiolo, come qualsiasi altra arma biologica, vanno ben custodite e periodicamente rimpiazzate. L’impresa non è facile.

Ma ammettiamo che il rischio potenziale esista. Che qualcuno abbia un’arma al vaiolo? Qual è la minaccia sottesa a quest’arma? Samuel Bozzette e altri esperti del RAND Center for Domestic and International Health Security di Santa Monica in California hanno realizzato dei modelli al computer per valutare la letalità di un attacco terroristico con l’agente del vaiolo. Nel peggiore dei casi, un attacco di alta intensità a un aeroporto, le vittime sarebbero circa 55.000. Non ci sarebbe epidemia. Non in un Paese Occidentale, almeno. Ma certo che l’agente del vaiolo, che è piuttosto virulento, tenderebbe a diffondersi. E a poco servirebbe la vaccinazione di massa dopo l’attacco. La cosa migliore da fare, sostengono Bozzette e i suoi colleghi, è vaccinare gli operatori sanitari se i servizi di intelligence valutano probabile un qualche attacco. Perché sono loro che sarebbero sottoposti a maggior rischio nel caso di un’emergenza e sarebbero loro la maggior fonte di rischio dopo l’emergenza [il vaiolo è una malattia infettiva]. Proposta equilibrata, quella di Bozzette fatta propria dall’Amministrazione Bush. Ma con qualche problema. Il primo è che è davvero difficile prevedere con un modello matematico il pensiero e l’azione di un terrorista. Il secondo è che è difficile valutare la minaccia terroristica. Il terzo è che la vaccinazione contro il vaiolo è essa stessa un fattore di rischio. Il vaccino è, infatti, a base proprio di virus Varriola major. Chi è stato vaccinato può [in rarissimi casi] restarne vittima, ma può molto più spesso trasmetterlo, sia pure in forma debole. È qui che il rischio cresce. Se, infatti, chi viene infettato dalla forma debole ha un sistema immunitario debole a sua volta, può sviluppare la malattia. E morirne.

Come ricorda Kent Sepkowitz, in forze all’Infectious Disease Service del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, nel corso degli Anni ‘60 negli USA vi furono gli ultimi 68 morti per vaiolo. Ebbene, 12 fra loro erano stati infettati da parenti vaccinati di recente.

Ora vaccinare gli operatori sanitari significa esporre le persone che frequentano gli ospedali alla forma debole del virus. Ma queste persone spesso hanno a loro volta un sistema immunitario debole. In breve, vaccinare gli operatori sanitari contro un pericolo del tutto ipotetico significa creare un rischio reale ai pazienti ospedalieri. Dal 1907 al 1975, ricorda Kent Sepkowitz, una diffusione epidemica del vaiolo è iniziata ben 12 volte da un qualche ospedale. E altre 85 volte c’è stata un’origine ospedaliera di una diffusione non epidemica del virus.

D’altra parte, anche le stime prudenziali di Samuel Bozzette riconoscono che vaccinare tutti gli operatori sanitari degli USA, come è nei piani dell’Amministrazione Bush, potrebbe comportare la morte di 25 persone. E vaccinare l’intera popolazione potrebbe causare la morte di 482 persone. La domanda a questo punto è: conviene causare la morte di 25 o più persone per prevenire una minaccia di cui non si conosce né la probabilità che si verifichi né l’intensità con la quale, eventualmente, si verificherà? E chi deve assumersi la responsabilità della scelta: le autorità politiche o quelle sanitarie?”

[Pietro Greco, I rischi del vaiolo e quelli del suo vaccino, l’Unità, 27 dicembre 2002,
https://www.epicentro.iss.it/archivio/2003/9-1-2003/vaiolo-greco.pdf]

 

“[…] In reazione alla vaccinazione possono comparire febbre, mal di testa e irritazioni su tutto il corpo. In qualche caso però si manifestano complicazioni gravi che possono arrivare fino alla morte. In passato, circa 1000 persone ogni milione di vaccinati per la prima volta presentavano qualche tipo di reazione al vaccino, come allergie o sintomi di tossicità, o, in qualche caso, una diffusione del virus in tutto l’organismo. Nella maggioranza dei casi non si trattava di condizioni a rischio elevato. Le persone con maggiori probabilità di effetti avversi sono quelle che hanno diverse malattie della pelle [eczemi, dermatiti] o quelle con sistemi immunitari indeboliti [chi ha ricevuto un trapianto, chi sta subendo un trattamento per il cancro, i sieropositivi, i malati di cuore]. In tempi più recenti si stanno studiando le correlazioni, verificate in qualche caso, tra la somministrazione del vaccino e l’emergenza di problemi cardiaci [attacchi di cuore e angina]. Negli Anni ‘60 e ‘70, quando la vaccinazione era in uso, furono riportati rari casi di infiammazione cardiaca.

Con la nuova ondata di vaccinazioni negli Stati Uniti, in seguito al programma speciale del Governo Bush attuato a partire dall’autunno 2002, è stato possibile evidenziare con maggiore precisione l’esistenza di complicazioni cardiache conseguenti la somministrazione del virus. Degli oltre 25 mila civili statunitensi, quasi tutti operatori sanitari, vaccinati negli ultimi mesi, poco meno di una decina ha riportato problemi di cuore e in due casi [a fine marzo 2003] le persone sono morte. Tra il dicembre 2002 e la fine di marzo 2003 sono stati vaccinati oltre 325 mila militari americani. Circa 1 su 20 mila ha manifestato problemi di infiammazione cardiaca. I problemi si sono verificati solo in persone che ricevevano il vaccino per la prima volta.

La storia dell’eradicazione

Dal 1967, anno in cui l’OMS ha lanciato il programma per l’eradicazione globale del vaiolo, al 1977, anno dell’ultimo caso registrato in Somalia, un decennio che ha cambiato il modo di affrontare le emergenze epidemiologiche.

Nuove campagne di vaccinazione

La vaccinazione di routine contro il vaiolo è stata sospesa nel corso degli Anni ‘70 in tutti i Paesi occidentali. Negli Stati Uniti l’ultimo caso di vaiolo si è avuto nel 1949 e la vaccinazione è stata interrotta nel 1972. In Italia, ufficialmente, è stata abrogata nel 1981. In anni recenti solo scienziati, medici e professionisti che lavoravano a contatto con virus simili a quelli del vaiolo in ambienti di ricerca hanno ricevuto il vaccino.

Dopo l’11 settembre 2001 il Governo statunitense si è allertato contro il rischio di un attacco bioterroristico. Ha quindi cominciato a produrre nuove dosi di vaccino per essere in grado di immunizzare la popolazione americana nel caso di una nuova epidemia di vaiolo e all’inizio di dicembre 2002 il Presidente degli Stati Uniti George W. Bush ha offerto la possibilità ai cittadini americani che lo desiderano di vaccinarsi contro il virus del vaiolo. A fine marzo 2003 sono stati vaccinati oltre 350 mila americani, tra civili appartenenti alle istituzioni sanitarie e militari impegnati in azioni di guerra in Iraq. Dopo che si sono verificati alcuni casi di reazione alla vaccinazione, le istituzioni sanitarie americane hanno pubblicato delle Linee Guida per dare indicazioni ai medici sull’opportunità di sospendere la vaccinazione in persone che presentano condizioni cardiache e che, quindi, possono correre rischi finché gli effetti collaterali della vaccinazione non saranno esplorati più a fondo.

L’Italia possiede oggi 5 milioni di dosi di vaccino antivaioloso che attraverso le diluizioni possono arrivare a 25 milioni di dosi. Tuttavia, date le complicanze possibili, il Ministero della Salute sconsiglia una vaccinazione estesa alla popolazione in assenza di pericolo imminente.”  [http://www.epicentro.iss.it/problemi/vaiolo/vaiolo.asp, https://www.ordineinfermieribologna.it/2017/vaiolo-la-prima-malattia-debellata-grazia-al-vaccino.html]

 

“Le Président s’est fait vacciner contre la variole!” Respectant la théâtralisation qui caractérise tous les préparatifs de la guerre annoncée contre l’Irak, George W. Bush, commandant en chef des forces armées américaines, a parfaitement mis en scène, samedi 21 décembre, sa vaccination contre le virus de la variole, l’un des plus redoutables agents pathogènes de l’arsenal, bien fourni, des bioterroristes.

“Le Président a été vacciné contre la variole à 12 h 15, heure locale [17 h 15 GMT], a indiqué une responsable du service de presse présidentiel. Le Président se sent bien et il n’y a pas d’effets secondaires.” Les services de presse n’étant pas avares de détails, on a appris que le vaccin lui avait été inoculé dans le bras gauche par un employé d’un centre médical militaire. Opération qui s’est déroulée dans la salle de soins de la présidence sous le contrôle du médecin de la Maison Blanche, Richard Tubb. Cette injection médiatisée fait suite à la décision prise il y a quelques jours de faire vacciner les militaires et les personnes qui seraient potentiellement les plus exposées à une éventuelle infection par le variole.

“J’ordonne, avait alors déclaré le Président Bush, que les militaires et les autres personnels au service de l’Amérique dans les régions très risquées du monde soient vaccinés contre la variole. Les hommes et les femmes qui sont sur le front d’une possible attaque biologique doivent être protégés.” Selon les premières estimations, onze millions de personnes sont concernées par cette décision. Prudent, George W. Bush, qui a tenu à montrer l’exemple, a cependant précisé que ce vaccin présente “un petit risque de complications sérieuses”. Mais il a souligné que sa famille et les membres de son administration ne seraient pas vaccinés. Quant aux Américains qui ne sont pas considérés comme étant exposés à une possible attaque bioterroriste, ils pourront également se faire vacciner s’ils le souhaitent.

La décision américaine marque une étape importante et spectaculaire dans la politique de prévention vis-à-vis des risques de guerre bactériologique. Pour autant, George W. Bush n’a pas été jusqu’à proposer la vaccination de l’ensemble des 280 millions de personnes qui vivent aux Etats-Unis. Une initiative d’ores et déjà contestée par certains experts qui estiment que – face à un risque qui demeure potentiel – la reprise d’une vaccination de masse contre la variole aura immanquablement des conséquences négatives.” [Les Etats-Unis reprennent la vaccination contre la variole, Le Monde, 24 décembre 2002, https://www.lemonde.fr/archives/article/2002/12/24/les-etats-unis-reprennent-la-vaccination-contre-la-variole_303348_1819218.html]

 

E nonostante la menzogna di Bush venisse alla luce, nonostante la sua invasione dell’Iraq volgesse al disastro, i cittadini americani lo rieleggevano, nel novembre del 2004, per un secondo mandato.

Una così grande mancanza di vigilanza e di coscienza farebbe rivoltare Eisenhower nella tomba!

Il Popolo americano, che conta 331 milioni di individui non si è, mai, posto la domanda perché si spenda per il suo esercito e per la sua sicurezza quanto se non di più del resto del mondo: 778 miliardi di dollari, pari al 37% del suo prodotto interno lordo, il cui principale beneficiario non è altri che il complesso industriale-militare. Il Popolo americano, che conta 331 milioni di ndividui, non si è neppure mai posto la domanda perché occorrano 800 basi militari dichiarate, disseminate in 177 Paesi, dal momento che l’America è il Paese meglio protetto del mondo, e non solo da un potente esercito e da una competitiva difesa antiaerea, ma soprattutto da 2 immensi oceani, capaci di scoraggiare, da soli, qualsiasi nemico tentasse di attraversarli per invaderlo. Anche in questo caso, il principale beneficiario della disseminazione e della moltiplicazione delle basi americane attraverso il mondo è il complesso industriale-militare, da cui aveva messo in guardia Eisenhower, poco più di 60 anni fa. La corsa all’armamento nucleare e convenzionale, imposto dagli Stati Uniti ai loro rivali della Guerra Fredda, le politiche condotte da Washington in Vietnam e in diversi Paesi del Medio Oriente e in America Latina e la “guerra globale contro il terrorismo” possono essere comprese solo attraverso l’influenza ingiustificata” del complesso industriale-militare, il cui unico interesse si limita al numero di contratti ottenuti e al calcolo della percentuale relativa all’incremento annuale del numero di affari.

 

Da diversi mesi, migliaia di Italiani che non hanno ottemperato all’obbligo vaccinale stanno ricevendo dal Ministero della Salute una comunicazione di procedimento sanzionatorio.

E io come loro.

“Sarà cura del Ministero della Salute predisporre gli elenchi dei soggetti inadempienti” all’obbligo vaccinale per gli ultra 50enni “anche acquisendo direttamente dal sistema della Tessera Sanitaria le informazioni relative alla somministrazione dei vaccini acquisite giornalmente dall’Anagrafe Vaccinale Nazionale. Anche se la verifica dell’inadempimento sarà in prima battuta con sistemi informatizzati, il Decreto Legge prevede una fase di contraddittorio con il rispetto dei principi enunciati a riguardo dalla Corte Costituzionale, in particolare il Ministero della Salute avvalendosi dell’Agenzia delle Entrate invierà una comunicazione ai soggetti inadempienti i quali potranno trasmettere alla ASL competente l’eventuale certificazione relativa al differimento o all’esenzione dell’obbligo vaccinale.”,

aveva dichiarato il Ministro della Salute, Roberto Speranza, il 12 gennaio scorso, rispondendo al Question Time n. 3-02712 [https://www.salute.gov.it/portale/ministro/p4_3_1_1.jsp?lingua=italiano&id=103&label=parlamento&menu=ministro] alla Camera sulle modalità di accertamento delle violazioni dell’obbligo vaccinale introdotto per gli over 50 [https://www.rainews.it/articoli/2022/01/obbligo-vaccino-speranza-dal-ministero-elenco-inadempienti-nel-rispetto-della-privacy-a0c9e63e-addd-4ec6-82d9-a0645c29b238.html]. La comunicazione non richiede subito un pagamento. Come previsto dalla legge, invece, il destinatario ha 10 giorni di tempo per comunicare alla propria ASL di competenza eventuali motivi di esenzione dal vaccino. Superato questo periodo senza avere indicato le ragioni della propria scelta, la normativa prevede che l’Agenzia delle Entrate-Riscossioni invii la sanzione vera e propria di 100 euro entro il termine di 270 giorni, non più 180 [https://www.ilsole24ore.com/art/vaccini-piu-tempo-over-50-no-vax-evitare-multa-AED1qbjB].  Con Decreto-Legge 7 gennaio 2022, n. 1 “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza Covid-19, in particolare nei luoghi di lavoro, nelle scuole e negli istituti della formazione superiore” [https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2022/01/07/22G00002/sg], convertito con modificazioni dalla Legge 4 marzo 2022, n. 18 [https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2022-03-04;18], è stato, infatti, introdotto l’obbligo vaccinale anti Covid-19 per tutti i cittadini italiani e stranieri dai 50 anni in su, residenti o soggiornanti in Italia.

“Il D. L. n. 44/2021, modificato dal D. L. n. 1/2022, convertito con modificazioni dalla Legge n. 18/2022 [https://www.agenziaentrateriscossione.gov.it/export/.files/LEGGE-4-marzo-2022-n.-18-GU-08032022.pdf], ha esteso l’obbligo di vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 agli ultracinquantenni. Nello stesso decreto è stata prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di 100 euro per i soggetti di cui agli articoli 4, 4-bis, 4-ter e 4-quater, che a far data dal 1° febbraio, non risultino in regola con gli obblighi vaccinali.” [https://www.agenziaentrateriscossione.gov.it/it/Per-saperne-di-piu/inosservanza-dellobbligo-vaccinale-procedimento-sanzionatorio-/],

si legge sul sito dell’Agenzia delle Entrate, che precisa:

“Con riferimento in generale al trattamento dei dati personali che viene effettuato dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito dei propri compiti istituzionali [fra i quali non rientra, come ricordato, il procedimento di irrogazione delle sanzioni previste dall’articolo 4-sexies del D. L. n. 44/2021], si evidenzia, comunque, che il divieto di trattare i dati personali appartenenti a categorie particolari di dati, tra cui quelli concernenti la salute della persona, previsto dall’art. 9, paragrafo 1, del Regolamento [UE] 2016/679 [https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A32016R0679], incontra la limitazione prevista dal successivo paragrafo 2, lett. g] del medesimo articolo: il divieto non è quindi applicabile nel caso in cui il trattamento sia necessario per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati Membri.”

Intervenendo, mediante lo strumento della decretazione d’urgenza, il Governo Draghi ha introdotto una disciplina uniforme sul piano nazionale, la quale, tuttavia, ha suscitato un acceso dibattito mediatico oltreché giuridico.

 

Se consultiamo il dizionario Treccani al termine vaccino viene associato questo significato:

“Preparazione rivolta a indurre la produzione di anticorpi protettivi da parte dell’organismo, conferendo una resistenza specifica nei confronti di una determinata malattia infettiva [virale, batterica, protozoaria]. In origine, il termine designava il vaiolo dei bovini [o vaiolo vaccino] e il pus ricavato dalle pustole del vaiolo bovino [pus vaccinico], impiegato per praticare l’immunizzazione attiva contro il vaiolo umano.” [https://www.treccani.it/enciclopedia/vaccino]

L’Istituto Clinico Humanitas, punto di riferimento mondiale per la ricerca sulle malattie legate al sistema immunitario, dai tumori all’artrite reumatoide, di cui è direttore scientifico il Professor Alberto Mantovani, docente dell’Università degli Studi di Milano nonché membro del board di GAVI Alliance [https://www.humanitas.it/news/unalleanza-mondiale-per-vaccinare-i-bimbi-poveri/], l’alleanza mondiale dedicata alle vaccinazioni, lanciata nel 1999 da Bill e Melinda Gates, che raccoglie Governi, istituzioni, donatori privati e fondazioni, definisce vaccini i “preparati in grado di indurre la risposta immunitaria”, per la cui “creazione si ricorre all’uso di una piccola parte di agenti infettivi virali o batterici interi vivi e attenuati o inattivati o uccisi o a proteine ottenute sinteticamente oppure ad antigeni polisaccaridici coniugati con proteine di supporto. È la presenza di antigeni di virus e batteri nei vaccini a renderli efficaci: questi antigeni infatti non sono sufficienti a causare la patologia, ma bastano a scatenare la reazione del sistema immunitario. Questo meccanismo attiva la memoria immunologica: il sistema immunitario ricorda l’antigene con cui è entrato in contatto, lo riconosce in un eventuale incontro successivo e si difende dal suo attacco.” [https://www.humanitas.it/enciclopedia/glossario-immunologia/vaccino/]

Il 23 agosto 2021, con l’approvazione definitiva del vaccino anti Covid-19 BioNTech/Pfizer dai 16 anni in su [https://www.fda.gov/news-events/press-announcements/fda-approves-first-covid-19-vaccine], autorizzato all’uso di emergenza [EUA], il 20 dicembre 2020 – “will now be marketed as Comirnaty [koe-mir’-na-tee], for the prevention of COVID-19 disease in individuals 16 years of age and older”, si legge nella nota della Food and Drugs Amministration [FDA] –, l’agenzia federale statunitense CDC, acronimo di Centers for Disease Control and Prevention, incardinata nel Department of Health and Human Services [HHS] e deputata a monitorare insieme alla FDA la sicurezza dei vaccini, ha modificato sul suo sito la definizione di vaccino da:

“A product that stimulates a person’s immune system to produce immunity to a specific disease, protecting the person from that disease. Vaccines are usually administered through needle injections, but can also be administered by mouth or sprayed into the nose.” [[https://web.archive.org/web/20210812210635/https://www.cdc.gov/vaccines/vac-gen/imz-basics.htm]

a:

“A preparation that is used to stimulate the body’s immune response against diseases. Vaccines are usually administered through needle injections, but some can be administered by mouth or sprayed into the nose.” [https://www.cdc.gov/vaccines/vac-gen/imz-basics.htm]

Una differenza evidentemente non formale, ma sostanziale: se in base alla definizione originaria un vaccino, per essere considerato tale, doveva rivelarsi un preparato in grado di “produrre immunità” [in italiano, secondo la definizione data dal dizionario Garzanti – “una condizione di refrattarietà di un organismo a una malattia infettiva”]; passando alla nuova definizione un vaccino diviene più modestamente un preparato in grado di “stimolare” una risposta immunitaria, eliminando il requisito del produrre reale refrattarietà.

“Nel maggio 2020, insieme all’OMS e ad altri partner, l’UE ha organizzato una conferenza internazionale dei donatori in cui ha contribuito a raccogliere impegni per un valore di 15,9 miliardi di EUR [1,4 miliardi dai paesi dell’UE] da donatori internazionali.” [https://www.consilium.europa.eu/it/policies/coronavirus/covid-19-research-and-vaccines/]

Il 4 giugno 2020, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte interveniva “alla sessione conclusiva dei lavori del “Global Vaccine Summit”, la conferenza sul rifinanziamento dell’Alleanza”, nel corso della quale si impegnava “a fornire un ulteriore contributo diretto di 120 milioni di euro per i prossimi 5 anni, con un aumento del 20% rispetto all’importo precedentemente stanziato”. “Il rinnovato impegno italiano si inserisce in un più ampio sforzo dell’Unione Europea, sancito dalla decisione della Commissione Europea, in occasione della citata conferenza sul rifinanziamento, di stanziare 300 milioni di euro a favore di GAVI.” E, il giovedì 11 giugno 2020, nella Seduta n. 23 della Camera di Giovedì, il Premier Conte ne rendeva all’Assemblea una informativa:

“Ricordo che la Global Alliance for Vaccination and Immunization [GAVI] è una partnership pubblico-privata creata nel 2000 allo scopo di diffondere nei Paesi poveri i programmi di immunizzazione e accelerare l’accesso ai nuovi vaccini. Rappresenta un modello unico, le cui finalità non si limitano alla mobilitazione delle risorse, ma anche a favorire un sistema sostenibile di immunizzazione in modo da dare la possibilità ai Paesi, una volta concluso il supporto, di poter affrontare da soli spese e distribuzione dei vaccini.

La GAVI Alliance contribuisce, dunque, in maniera significativa al perseguimento di uno dei più importanti Obiettivi di sviluppo sostenibile, ovvero la copertura sanitaria universale.

Come accennato, l’Alleanza coinvolge e coordina Governi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità [OMS], il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia [UNICEF], la Banca Mondiale, l’industria dei vaccini, nonché varie organizzazioni della società civile, tra cui la Fondazione Bill & Melinda Gates.

La GAVI Alliance si finanzia attraverso contributi diretti dei suoi membri e mediante 2 meccanismi di finanziamento innovativi, della cui attuazione è direttamente responsabile: l’International Finance Facility for Immunization [IFFIm] e l’Advance Market Commitment [AMC], finalizzato all’introduzione dei vaccini per le malattie da pneumococco.

In particolare, l’International Finance Facility for Immunization [IFFIm], mobilita risorse sui mercati di capitale attraverso l’emissione di titoli garantiti dagli impegni pluriennali e giuridicamente vincolanti dei Paesi donatori a versare i loro contributi in un arco di tempo di 20 anni.

L’Italia ha contribuito all’Alleanza globale fin dal 2006, figurando tra i membri fondatori dell’IFFIm, ed è il suo terzo donatore dopo Regno Unito e Stati Uniti, con un impegno totale di circa 492 milioni di euro. L’Italia ha anche assunto un ruolo di primo piano nel lancio del primo Advance Market Commitment [AMC] per accelerare lo sviluppo e la disponibilità di vaccini contro lo pneumococco, con un impegno di 635 milioni di dollari.

Ritengo anche opportuno segnalare che il Decreto-Legge n. 34 del 2020 [cosiddetto “Decreto Rilancio”], attualmente all’esame della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati per la conversione in legge, include una norma che prevede l’estensione della partecipazione dell’Italia all’IFFIm, con un contributo globale di 150 milioni euro, da erogare con versamenti annuali fino al 2030. Il Decreto-Legge, inoltre, autorizza il versamento aggiuntivo per l’anno 2020 di 5 milioni di euro, per il finanziamento della Coalition for Epidemic Preparedness [CEPI], partnership tra pubblico, privato, organizzazioni filantropiche e della società civile per lo sviluppo di vaccini e l’equo accesso ai vaccini stessi in caso di pandemia.”  [http://documenti.camera.it/leg18/resoconti/commissioni/stenografici/html/03/indag/c03_sviluppo/2020/06/11/indice_stenografico.0023.html]

Il 10 luglio 2020, per sviluppare, autorizzare e rendere più facilmente disponibili i vaccini anti Covid-19, il Parlamento Europeo adottava, con una procedura di urgenza [articolo 163 Urgenza del Regolamento del Parlamento Europeo https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/RULES-9-2020-02-03-RULE-163_IT.htm, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2020-0203_IT.html], un nuovo regolamento che avrebbe consentito di derogare, temporaneamente, su alcune norme per i tests clinici e, così, modificare la legislazione sugli OGM negli studi clinici, per accelerare lo sviluppo di vaccini contro la Covid-19. Alcuni vaccini e trattamenti anti Covid-19, già in fase di sviluppo, potevano, infatti, essere definiti Organismi Geneticamente Modificati [OGM] e, quindi, coperti dalle Direttive UE sugli OGM e, poiché i requisiti nazionali per valutare i rischi ambientali delle sperimentazioni cliniche sui medicinali che contengono o sono costituiti da OGM variano considerevolmente da uno Stato Membro all’altro, era necessaria una deroga a queste regole, per evitare ritardi significativi nello sviluppo di vaccini e trattamenti salvavita. Con 505 voti favorevoli, 67 contrari e 109 astensioni, il Parlamento Europeo approvava, così, la proposta di regolamento della Commissione Europea. Il 17 giugno 2020, la Commissione Europea, guidata dalla Presidente Ursula von der Leyen, aveva, infatti, proposto una strategia UE per sviluppare e distribuire i vaccini anti Covid-19, che prevedeva – solo per il periodo in cui la Covid-19 sarebbe stata un’emergenza di sanità pubblica e per il caso specifico di vaccini e trattamenti anti Covid una deroga temporanea ad alcune regole per le sperimentazioni cliniche [https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=COM%3A2020%3A261%3AFIN,  https://ec.europa.eu/health/human-use/advanced-therapies/gmo_investiganional_en], in quanto alcuni vaccini o trattamenti contro la Covid-19, già in fase di sviluppo, erano basati sull’uso di organismi geneticamente modificati. Sviluppare e distribuire un vaccino efficace e sicuro contro la Covid-19 rappresentava la soluzione più verosimile per fermare la pandemia. Tale deroga sarebbe stata, pertanto, temporalmente, subordinata alla pandemia Covid-19. Nella comunicazione della Commissione Europea al Parlamento Europeo, al Consiglio Europeo, al Consiglio e alla Banca Europea per gli Investimenti dal titolo Strategia dell’Unione Europea per i vaccini contro la Covid-19, al punto 3. 4. Disposizioni in materia di organismi geneticamente modificati si legge:

“Un approccio comune allo sviluppo dei vaccini si basa su virus attenuati e vettori virali che, pur conferendo l’immunità ai destinatari dei vaccini, non sono patogeni. Ciò vale anche per alcuni dei vaccini che vengono sviluppati contro la Covid-19. Questi prodotti possono rientrare nella definizione di organismi geneticamente modificati [OGM] e sono pertanto disciplinati dalla pertinente legislazione dell’UE. Negli Stati Membri vi è una grande varietà di requisiti e procedure nazionali per l’attuazione delle direttive sugli OGM, che sono utilizzati per valutare i rischi ambientali connessi alla sperimentazione clinica di medicinali contenenti OGM o da essi costituiti. Ciò potrebbe causare un notevole ritardo, in particolare per le sperimentazioni cliniche multicentriche in diversi Stati Membri. Si tratta proprio del tipo di prove cliniche necessarie per garantire la rappresentatività delle popolazioni cui sono destinati i vaccini e per produrre dati solidi e definitivi sui vaccini contro la Covid-19. La Commissione propone pertanto un regolamento che deroga temporaneamente, solo per il periodo durante il quale la pandemia di Covid-19 è considerata un’emergenza sanitaria pubblica, da alcune disposizioni della direttiva OGM per le sperimentazioni cliniche con vaccini contro la Covid-19 [e anche per i trattamenti contro la Covid-19] contenenti OGM o da essi costituiti. La deroga proposta si applicherà alle operazioni necessarie nella fase di sperimentazione clinica e nell’uso compassionevole o di emergenza nel contesto della pandemia di Covid-19. La conformità alle buone prassi per la fabbricazione o l’importazione di medicinali in fase di sperimentazione contenenti OGM, o da essi costituti, destinati a essere utilizzati nelle sperimentazioni cliniche continuerà ad essere obbligatoria e una valutazione del rischio ambientale dei prodotti sarà effettuata prima del rilascio di un’autorizzazione all’immissione in commercio nell’UE. La Commissione invita il Parlamento Europeo e il Consiglio ad adottare rapidamente la proposta per consentire che le sperimentazioni cliniche abbiano luogo quanto prima in Europa.” [https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2020/IT/COM-2020-245-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF, https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20200706IPR82731/covid-19-il-parlamento-deve-consentire-uno-sviluppo-piu-rapido-dei-vaccini]

Con il disco verde della plenaria, la deroga richiedeva, ora, solo un passaggio formale in Consiglio Europeo, nei giorni successivi, per divenire efficace [https://www.ansa.it/europa/notizie/europarlamento/news/2020/07/10/coronavirus-pe-ok-a-deroga-norme-ogm-per-favorire-vaccino_f4311b8a-5d79-4f96-9b87-bc0a0476acc5.html]. Il 14 luglio 2020, il Consiglio Europeo adottava il Regolamento inteso ad accelerare lo sviluppo e la diffusione di un vaccino anti Covid-19 nell’Unione Europea [https://data.consilium.europa.eu/doc/document/PE-28-2020-INIT/en/pdf]. Il Regolamento [UE] 2020/1043 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2020, relativo all’esecuzione di sperimentazioni cliniche con medicinali per uso umano contenenti organismi geneticamente modificati o da essi costituiti  e destinati alla cura o alla prevenzione della malattia da Coronavirus [Covid-19] e relativo ala fornitura di tali medicinali [https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=uriserv%3AOJ.L_.2020.231.01.0012.01.ITA&toc=OJ%3AL%3A2020%3A231%3AFULL], prevedeva, per le sperimentazioni cliniche con tali vaccini, una deroga temporanea alla valutazione preventiva del rischio ambientale richiesta dalla legislazione dell’UE sull’emissione deliberata nell’ambiente e sull’impiego confinato di Organismi Geneticamente Modificati [OGM]. Chiariva, inoltre, che tale deroga temporanea fosse applicata anche quando gli Stati Membri consentivano che medicinali contenenti OGM o da essi costituiti e destinati alla cura o alla prevenzione della Covid-19 fossero utilizzati in determinate situazioni eccezionali e urgenti definite nella legislazione in materia di prodotti farmaceutici. L’impatto ambientale dei medicinali [compresi i vaccini] contenenti OGM o da essi costituiti e destinati alla cura o alla prevenzione della Covid-19 avrebbe continuato a far parte del processo di autorizzazione all’immissione in commercio, nel rispetto dei requisiti di sicurezza per l’ambiente stabiliti dalla legislazione in materia di OGM. Il Regolamento sarebbe stato applicato solo finché la Covid-19 sarebbe stata considerata una pandemia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità [OMS] oppure finché sarebbe stato applicabile un atto di esecuzione con il quale la Commissione Europea riconosceva una situazione di emergenza sanitaria pubblica dovuta alla Covid-19. Il Regolamento veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, il 17 luglio 2020, ed entrava in vigore il giorno successivo alla pubblicazione.

“Occorre trovare con urgenza un vaccino contro la Covid-19. Questo regolamento garantirà che le sperimentazioni cliniche nell’UE possano cominciare senza ritardi e che non si perda tempo prezioso. L’atto adottato oggi dimostra che l’UE è pronta ad assumere un ruolo guida nello sforzo globale per garantire lo sviluppo di un vaccino sicuro ed efficace.” [https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/07/14/vaccine-against-covid-19-council-adopts-measures-to-facilitate-swift-development/],

erano state le parole del Ministro della Sanità tedesco Jens Spahn.

Non è un elemento politico secondario rilevare che l’atteggiamento europeo verso gli OGM si sia negli anni spostato su posizioni più favorevoli, dopo che la Commissione Europea ha dato il via libera alla fusione tra i due colossi della chimica e dell’agroindustria, la tedesca Bayer e l’americana Monsanto, divenendo il principale produttore di sementi transgeniche [https://www.rinnovabili.it/ambiente/europa-fusione-bayer-monsanto-333/, https://twitter.com/vestager/status/976405923471286272]. Nel 2018, la Bayer ha infatti, acquisito l’americana Monsanto per 63 miliardi di dollari [59.600 milioni di euro]. Il 22 giugno scorso, decidendo di non intervenire, la Suprema Corte degli Stati Uniti ha ratificato una sentenza storica che ha imposto al colosso chimico tedesco un risarcimento di 25 milioni di dollari a favore di Edwin Hardeman [https://www.centerforfoodsafety.org/files/ca9_glyphosate-decision_82995.pdf]. Hardeman, al quale era stato diagnosticato un linfoma non-Hodgkin, era riuscito a far valere, anche in Corte d’Appello, nel maggio del 2021, il nesso di causalità tra cancro e RoundUp di Monsanto, un diserbante a base di Glifosato, prodotto appunto dalla Monsanto e da lui utilizzato. La multinazionale, che, da allora, sta  affrontando migliaia di cause risarcitorie simili, aveva, quindi, presentato ricorso alla Corte Suprema degli Stati Uniti, forte di un report dell’Environmental Protection Agency [EPA], che, già, nel 2017, aveva escluso l’insorgenza di tumori a causa dell’utilizzo del prodotto:

L’EPA continua a sostenere che non vi siano rischi per la salute pubblica quando il Glifosato è usato in accordo con le indicazioni presenti sull’etichetta, e che non è cancerogeno.

Come riportava l’Agenzia Bloomberg, il 13 dicembre 2021, nel mese di luglio, Bayer confidava in una sentenza della Corte Suprema a suo favore che avrebbe posto fine in modo efficace e in gran parte” al contenzioso statunitense RoundUp:

“The U.S. Supreme Court signaled interest in Bayer AG’s bid to stop thousands of claims that its top-selling RoundUp weedkiller causes cancer, asking the Biden administration for advice on whether to hear the company’s appeal in potentially a multibillion-dollar case.

Bayer is challenging a $25 million award to Edwin Hardeman, a California man who says decades of exposure to RoundUp caused his non-Hodgkin’s lymphoma. Bayer argues that federal approval of RoundUp’s label meant Hardeman’s suit -- and others like it -- couldn’t go forward.

The litigation is a test case for what ultimately could be tens of thousands of claims. In July, Bayer said a Supreme Court ruling in its favor would “effectively and largely end” U.S. RoundUp litigation, while at the same time setting aside $4.5 billion in case the court rejected the appeal. All told, Bayer has pledged more than $16 billion to fight and settle RoundUp litigation.

Bayer shares jumped as much as 3.2% on the news and were trading at 46.86 euros [$53.18] as of 4:20 p.m. in Frankfurt trading. The stock has lost about half its value since it acquired Monsanto Co., the herbicide’s maker, in 2018.

The Supreme Court action prompted Bayer to say in a statement it won’t take part in any further settlement discussions with lawyers who represent a substantial number of plaintiffs. The company said it was “encouraged” by the request and “believes there are strong legal arguments to support Supreme Court review and reversal.”

The court directed its request to U.S. Solicitor General Elizabeth Prelogar, the Biden administration’s top courtroom lawyer. Under the court’s normal scheduling practices, the justices probably will say before their term ends in late June whether they will hear the case.

The Monsanto purchase closed just weeks before the first U.S. jury found that RoundUp had caused cancer.” [https://www.bloomberg.com/news/articles/2021-12-13/bayer-bid-to-end-roundup-suits-draws-u-s-supreme-court-inquiry]

In una nota la multinazionale tedesca si dice “rispettosamente in disaccordo con la decisione della Corte Suprema”, pur pienamente preparata ad affrontare il rischio legale associato a possibili rivendicazioni future negli Stati Uniti” e ribadisce di “non ammettere alcuna colpa o responsabilità”, ma di continuare a supportare i suoi prodotti RoundUp, uno strumento prezioso per una produzione agricola efficiente in tutto il mondo”.

Il 20 marzo 2015, l’Agency for Research on Cancer [IARC], ha inserito il Glifosato nella lista di sostanze probably
carcinogenic to humans” [
https://www.iarc.who.int/featured-news/media-centre-iarc-news-glyphosate/, https://www.iarc.who.int/wp-content/uploads/2018/07/MonographVolume112-1.pdf]: The herbicide glyphosate and the insecticides malathion and diazinon were classified as probably
carcinogenic to humans [Group 2A].”, mentre l’European Food Safety Authority [EFSA], ha definito “improbabile” tale pericolo.
https://www.efsa.europa.eu/en/news/glyphosate-efsa-and-echa-launch-consultations#:~:text=Glyphosate%20currently%20has%20a%20harmonised,not%20considered%20to%20be%20warranted, così come l’European Chemicals Agency [ECHA], la quale ha asserito, lo scorso 30 maggio, di non essere in possesso di prove scientifiche per classificare la sostanza come cancerogena [https://echa.europa.eu/it/-/glyphosate-no-change-proposed-to-hazard-classification].

Il termine tecnico è ghostwriter ovvero un professionista che scrive per conto di altri, ma quando è uno scienziato affermato a firmare un articolo preparato da una multinazionale quale la Monsanto, in cui si assolve il Glifosato dall’accusa, sostenuta dallo IACR, di essere “probabilmente cancerogeno”, è difficile non parlare di scienziato pagato” per difendere, oltre l’evidenza, una sostanza capace di provocare tumori. E di scienziati e ricercatori a libro paga di Monsanto il quotidiano francese Le Monde ne aveva “scovati” molti. Secondo quanto ricostruito da Le Monde, Henry Miller biologo associato alla Hoover Institution, editorialista del New York Times, del Wall Street Journal e della prestigiosa rivista Forbes, aveva firmato testi preparati da Monsanto e pubblicati su Forbes. Né Miller né la Hoover Institution avevano voluto rispondere alle domande di Le Monde [https://www.lemonde.fr/planete/article/2017/10/04/monsanto-papers-desinformation-organisee-autour-du-glyphosate_5195771_3244.html]. L’accusa più pesante era, tuttavia, rivolta a EFSA, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, “rea” di avere “copiato” dai documenti di Monsanto circa un centinario di pagine, nelle quali si dimostrava la non pericolosità del Glifosato per la salute umana [https://ilsalvagente.it/2017/10/21/monsanto-papers-lo-scandalo-degli-scienziati-pagati-per-assolvere-il-glifosato/, https://www.lemonde.fr/planete/article/2017/10/04/monsanto-papers-desinformation-organisee-autour-du-glyphosate_5195771_3244.html]

En quatre décennies, la version officielle n’a jamais changé: le glyphosate n’est pas cancérogène. C’est ce que concluent avec constance les expertises des plus grandes agences réglementaires, chargées d’évaluer la dangerosité d’un produit avant et après sa mise sur le marché: l’Agence de Protection de l’Environnement [EPA] américaine et, sur le Vieux Continent, l’Autorité Européenne de Sécurité des Aliments [EFSA] et l’Agence Européenne des Produits Chimiques [ECHA].

Il a fallu attendre mars 2015 pour qu’une autre organisation, le Centre International de Recherche sur le Cancer [CIRC] des Nations Unies [ONU], parvienne à la conclusion inverse. Pour cette institution de référence, l’herbicide – produit-phare de Monsanto et pesticide le plus utilisé au monde – est génotoxique, cancérogène pour l’animal et “cancérogène probable”  pour l’homme.

Comment expliquer cette spectaculaire divergence ? La plupart des observateurs invoquent une raison majeure: pour rendre leurs conclusions, les agences se sont largement fondées sur des données confidentielles fournies par… Monsanto, alors que le CIRC, lui, n’a pas eu accès à ces données. En d’autres termes, la décision favorable au glyphosate est essentiellement basée sur les conclusions de l’entreprise qui le fabrique.

Une expertise scientifiquement erronée 

Un toxicologue de renom va bientôt dénoncer cette situation: Christopher Portier, ancien directeur de diverses institutions fédérales de recherche américaines et associé, en 2015, aux travaux du CIRC. Grâce à des eurodéputés écologistes et une ONG qui en ont exigé copie auprès des autorités européennes, il est le seul scientifique indépendant à avoir pu ausculter les fameuses données ultra-secrètes.

 [Stéphane Horel et Stéphane Foucart, Monsanto Papers, les agences sous l’influence de la firme, Le Monde, 5 octobre 2017, https://www.lemonde.fr/planete/article/2017/10/05/monsanto-papers-les-agences-sous-l-influence-de-la-firme_5196332_3244.html]

Alcune parti importanti del parere scientifico del 12 novembre 2015, con cui EFSA aveva stabilito che “è improbabile che il glifosato sia genotossico [cioè che danneggi il DNA] o che rappresenti una minaccia di cancro per l’uomo. Non si propone di classificare il glifosato come cancerogeno in base al regolamento UE in materia di classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze chimiche. Nello specifico tutti gli esperti degli Stati Membri – tranne uno – hanno convenuto che né i dati epidemiologici [cioè sull’uomo] né le risultanze da studi su animali abbiano dimostrato nessi causali tra esposizione al glifosato e insorgenza di cancro nell’uomo” [https://www.efsa.europa.eu/it/press/news/151112, https://ilfattoalimentare.it/glifosato-efsa-copia-incolla-monsanto.html], erano state copiate da un centinaio di pagine di un documento del 2012 di Monsanto, presentato a EFSA dalla Glyphosate Task Force, un consorzio di oltre 20 aziende che commercializzano in Europa prodotti contenenti l’erbicida. Come scriveva La Stampa, nell’edizione del 17 settembre 2017, le pagine copiate dall’EFSA erano 100 “sulle circa 4.300 del rapporto finale, ma si tratta delle sezioni più controverse e al centro dell’aspro dibattito degli ultimi mesi, quelle sulla potenziale genotossicità, la cancerogenicità e la tossicità riproduttiva del Glifosato” [Roberto Giovannini, Glifosato, la valutazione dei rischi UE copiata dai documenti Monsanto, La Stampa, 15 settembre 2017, https://www.greenandblue.it/2017/09/15/news/glifosato_la_valutazione_dei_rischi_ue_copiata_dai_documenti_monsanto-267454409/

E The Guardian, il 12 novembre 2015:

“Herbicide can now be approved for relicensing in EU, despite World Health Organisation assessment linking it to cancer in humans

The European Food and Safety Authority [EFSA] has removed barriers to the relicensing of Glyphosate, a best-selling herbicide, despite World Health Organisation [WHO] warnings that the substance is “robably carcinogenic to humans”.

The ruling opens the door to a new 10-year licence for Glyphosate across Europe, although the authority set a threshold for exposure to the substance of of 0.5mg per kg of body weight for the first time.

“Glyphosate is unlikely to pose a carcinogenic hazard to humans and the evidence does not support classification with regard to its carcinogenic potential,” the EFSA assessment found.

Advertisement

But a row immediately broke out over its scientific basis, which relied on six industry-funded studies that have not been published in full.

The studies were submitted on behalf of an industry alliance called the Glyphosate Task Force by the GM multinational Monsanto, which also dealt with media inquiries about the group until recently.

Richard Garnett, the task force’s chair, described the Efsa ruling as “a key milestone” in the assessment process.

“It confirms the previous evaluations of glyphosate by regulatory authorities around the world, which have consistently concluded that the application of glyphosate poses no unacceptable risk to human health, animals or the environment,” he said.

Garnett has worked as Monsanto’s lead officer for crop protection regulatory affairs since 2003.

David Carpintero, a Monsanto spokesman, said the firm had a “special role” in the group as the first point of contact with regulatory authorities.

“We have a strong interest,” he told the Guardian. “We are a leading company in this product.”

But funding for the group was shared equally with other alliance members, including Syngenta, Dow and Barclays Chemicals, he added.

Glyphosate is a key ingredient in Monsanto’s multi-billion dollar RoundUp weedkiller brand and its relicensing has acted as a lightning rod for anger over GM foods, pesticide use and the influence of industry on EU policymaking.

Glyphosate is so widely-used that residues are commonly found in British bread. One survey found that people in 18 EU countries had traces of the weedkiller in their urine.

Shortly before the announcement, an Avaaz petition signed by 1.4 million people was handed in to the European commission, calling on the bloc not to relicense.

Alice Jay, Avaaz’s campaign director, said Monsanto’s RoundUp, which is meant to be used on herbicide-tolerant GM crops, could be “the new DDT”.

But Jose Tarazona, the head of EFSA’s pesticides unit, insisted that its 6,000-page assessment had been exhaustive, comprehensive and opposed by only one Swedish member of the peer review expert group of scientists and national experts.

“We included all the studies that have been assessed by the International Agency for Research on Cancer [IARC]”, he said, referring to the WHO’s assessment. “We also detected other studies – some very key – and so we had more evidence and information and a we had a different set of criteria.”

Efsa said the WHO scientists came to a different conclusion because they studied generic “Glyphosate-based” compounds rather than the active substance, glyphosate, in isolation.

But consumers are unlikely to come into the product in its “pure” form, and environmentalists say the studies cited by IARC, concerning glyphosate’s cancer-causing effects on mice, involved Glyphosate alone.

“As far as cancer associations are concerned, EFSA just dismissed seven positive animal studies showing an increase in cancerous tumours,” said Franziska Achterberg, Greenpeace EU’s food and policy director. “EFSA’s safety assurances on glyphosate raise serious questions about its scientific independence.”

An analysis by the Pesticide Action Network also criticised some industry studies for not comparing control groups of mice that had been exposed to glyphosate – and had high incidences of tumours – with similar groups that had not.

By using historic surveys of different rodents in different labs for comparison, a conclusion could be drawn that the tumour incidences were not significant, the group said.

The Efsa assessment was welcomed by farmers’ groups, who pointed to ecological benefits.

“Glyphosate is an important part of a farmer’s and gardener’s toolbox,” said Nick von Westenholz, CEO of the Crop Protection Association.

“It is particularly important in minimising food waste by controlling a broad spectrum of weeds and therefore reducing the need for ploughing of soils.

“This protects soils from degradation and reduces greenhouse gas emissions and energy consumption.”

This story was corrected on 13 November to say that the EU has removed barriers to the relicensing of Glyphosate. It has not approved relicensing as we had said previously.” [Arthur Neslen, EU watchdog opens door to new licence for controversial weedkiller, The Guardian, Thursday 12 November 2015, https://www.theguardian.com/environment/2015/nov/12/eu-watchdog-approves-new-license-for-controversial-weedkiller]

Nel 1978, Paul Reutershan, un veterano affetto da cancro all’intestino, aveva denunciato i produttori dell’Agent Orange ed era stato, subito, raggiunto da migliaia di veterani del Vietnam, affetti da vari sintomi, per costituire la prima azione di gruppo o class action mai intentata contro Monsanto. Questo caso sarà rivelatore dei metodi usati dalla società di Saint-Louis, quando si tratta di affrontare la giustizia. Per avere causa vinta, i veterani dovevano provare di essere stati contaminati dalla diossina presente nell’Agent Orange, al momento della Guerra del Vietnam, e che questa diossina TCDD fosse ben all’origine delle loro malattie. A sua difesa, la Monsanto aveva replicato che la “diossina è onnipresente nella popolazione americana, nell’ambiente e negli alimenti…”, cosa che è, purtroppo, vera, tanto questo genere di inquinamento è diffuso. Tuttavia, la percentuale presente nei veterani era ben superiore a quella che si può riscontrare in un normale contesto. Il 7 maggio 1984, i produttori dell’Agent Orange misero sul tavolo 180 milioni di dollari e i veterani accettarono un accordo conciliativo. Il giudice ordinò che il 45.5% della somma fosse pagato dalla Monsanto, a causa della forte percentuale di diossina nel suo 2,4,5-T. e, così, 40mila veterani ricevettero, secondo i casi, un aiuto compreso tra i 256mila e i 12.800 dollari. Il caso era chiuso, ma lasciava un gusto di amaro in bocca ai veterani, che dovevano contentarsi di risarcimenti ben inferiori alle spese sanitarie cui avevano dovuto fare fronte.

 

Il 9 novembre 2020, Albert Bourla, CEO di Pfizer annunciava al programma Squawk Box su CNBC,: “It is a great day for Humanity.” [https://www.adnkronos.com/vaccino-covid-ceo-pfizer-quarta-dose-necessaria_2d13Zx96EcrNSe1SyYztrD, https://video.milanofinanza.it/video/bourla-ceo-pfizer-il-nostro-vaccino-contro-il-covid-efficace-al-90-CO2uw9fLLf23, https://www.cnbc.com/video/2020/11/09/pfizer-ceo-on-covid-vaccine-efficacy-it-is-a-great-day-for-humanity.html, https://www.cnbc.com/video/2020/11/09/pfizer-ceo-covid-19-vaccine-younger-older-populations.html, https://www.cnbc.com/video/2020/11/09/pfizer-ceo-on-manufacturing-and-distributing-covid-19-vaccine.html, https://www.cnbc.com/video/2020/11/09/coronavirus-vaccine-pfizer-ceo.html]

 [...]

Albert Bourla: It was exactly what you can imagine. It is a great day for science. It is a great day for humanity. When you realize that your vaccine has a 90% effectiveness. That’s overwhelming. You understand that the hopes of billions of people and millions and businesses and hundreds of governments that were felt on our shoulders. Now, we can credibly tell them. I think we can see the light at the end of the tunnel.

[...]

Albert Bourla: Yes, we have published as you remember, in our r&d day at Pfizer unblinded safety data from the first I think 6000 patients now we have 36,000, almost 40,000 patients with second dose already been given. And it’s exactly the same situation hasn’t changed at all so the vulnerability profile. It is among the best.

[...]

Albert Bourla: I am telling you what I can because I don’t have this information as you know all this information is blinded then there is a committee of independent experts, that are reviewing the data, according to the protocol, the only information that they had to give us was, if the product is effective and the effectiveness of this product in the first primary endpoint but was people without prior infections. And also they had a look on their safety database, and they told us that they have no safety concerns. We are not even aware of the secondary endpoints, and one of them it is the severe covid, and we are just waiting for the study to be completed but given how quickly the events are occurring because unfortunately this great news are coming at the time that the world needs it. The most where we have hundred thousand cases every day. We will have completed the study I think before the end of the month.

[...]

Albert Bourla: Yeah, thank you very much and first of all let me tell you that there is no one more relieved than me. Seeing this result. And we are already started manufacturing some time back. And as I said, we believe we should be able to have up to 50 million this year, 1.3 billion next year. These two were becoming gradually in the beginning, a little bit less than the first quarter more of a second quarter more. And then we have a significant ramp up in the second half of the year, deliver the 1.3 billion, but given how effective this vaccine is. And we are aware about the demand will be much higher than anything we can produce. We are also looking right now to see if there are other ways thinking out of the box that increased even further. The manufacturing capacity now we’re speaking about 1000 people dying in the US, every day right so there’s no time to be lost here.

[...]

Albert Bourla: Well let me tell you when it comes to pandemic. The only competitor is the virus and time. And right now, the first of all of us was able to beat, and I hope that others will also be able to beat this virus, as effectively as we do because we need to, And let me take also the time right now to thank, not only the hundreds, thousands of scientists that work, investigators in this site but more importantly, the 44,000 volunteers that raise their hand to participate in a trial, but they didn’t know if the vaccine works, or even if the vaccine is safe. I think the world owes them, big time.

[...]

Albert Bourla: The study we’re doing all the way from 12 years old to 85, years old so we are collecting data and information for all the age cohorts. We are also doing for people that have chronic diseases, HIV, hepatitis C Hepatitis B. So we will have a lot of data to provide a person of course they will decide which ages, they’re going to recommend it, but the study is very robust right now.

[...]

Albert Bourla: I think about the older people more than 85 I think the likely regulators in cases that they’re doing studies to 85 they are giving in physicians, they are trading, very easily for the older people but that’s up to physicians simply FDA, of course. And right now we are focusing on the 12 years on but we will do also pediatric, I think the most vulnerable are the older people.

[...]

Albert Bourla: For some of it you’re right, I’m very happy but at the same time sometimes I have tears in my eyes when I realized that this is the end of the nine months, day and night work of so many people and how many as I said people, billions invested hopes on this. You know, I was going up and down and while I was trying to maintain my mind not to speculate if the vaccine works and then the other day I was thinking maybe it would not because I have seen many times, although the data, your phase one and phase two are very positive, sometimes you fail on phase three. But I was cautiously optimistic. I never thought it would be 90%. That surprised me.

[...]

Albert Bourla: Yes, we have already in our protocol provisions that this study will continue and we will follow the patients for two years. And the reason is we want to maintain but for two years that will be, we will exhaust every single possibility but we will pick up any safe event, but also we will see how long the immunogenicity lasts, and how long the cell immunity lasts. And so with this study as time progresses, we will find out about the, the durability of the protection.

[...]

Albert Bourla: You’re absolutely right and I truly believe that it is not for Pfizer to decide who would get the vaccine. I think it is for the health authorities of every country and in many cases within the same country of every region or of every state in the US, for example, because the situation differs from state to state or from country to country, and you need to tailor it to the needs of the specific geographical region. We will of course work with all these health authorities to provide them the insight that they need to understand how our product works in groups of other people, in groups of younger people. We will provide all this information and then eventually they have to make the decision, who gets it. Obviously, I believe that all these authorities will make the decisions in the more scientific and equitable ways.

[...]

Albert Bourla: Yeah, first of all, we have two separate manufacturing lines, one it is in the US, and that has three manufacturing sites in Massachusetts, in Missouri, and in Kalamazoo, Michigan. And we have a separate line in Europe with manufacturing sites in Germany and Belgium. So, we’ll be producing in parallel. We have offered this vaccine, and we have signed already contracts to multiple governments in the world and in most cases we define how these quantities will come month after month, all the way to 2021. And we do that proportionally to all of them.

[...]

Albert Bourla: I think is very, very important but will not stay where they’re manufactured, but we will send them to the entire world because you are as protected in a pandemic as your neighbor is protected. We need to understand that. Nevertheless, we have to manufacture in life and facilitate in fairness so I hope that we will be able to see the entire world from these manufacturing sites, and without problems.

[...]

Albert Bourla: I think that, that this was very important but only the first step. And now we feel very, very, very confident about the efficacy because it’s overwhelming. We feel very good about safety but we need to wait until next week when the safety data will mature completely based on the guidelines of FDA. And of course, we need to make sure that we can constantly manufacture in both, in both continents in Europe and in the US, in the quantities that we are saying, we feel good about all of that. But of course, as you said before, this is something that has done first time in the world I believe this is likely the most significant medical advance in the last hundred years, right, if you count the impact that this will have in health of the public health, global economy, etc. etc. So I’m happy that we have the whole Pfizer machine and of course biotechs are partners machines behind this and we will be able to support it, I hope.

[...]

Albert Bourla: For us, the Election Day was always an artificial date. We were not working with the election as a timeline. We were working, i.e. released a letter, if you remember, Meg, to our employees some time ago, saying that the only pressure we feel it is the pressure of the billions of people that are hoping on our vaccine. And we are going to follow the speed of science so science spoke, and I was predicting that this will happen at the end of October, it happened a week later. I think the most important thing right now for everyone it is to feel the joy that it happened and it happened so well. 90%.

[...]

Albert Bourla: It is too early because as I said I don’t have visibility to all the data, it is a group of independent experts, but they can see those data, unblinded. And once we have started completely unblinded but I think will happen at the end, before the end of November. And also keep in mind, I said that it is more than 90%, I didn’t say it is 90%.

[...]

Albert Bourla: We will not give a specific number because you know the numbers from 90 to 164 may change one, two points, up or down right so, but right now I feel comfortable it is more than 90%.

[...]

Albert Bourla: I believe, yes, in biology, you’ll never have hundred percent. And in general, speaking about more than 90% is one of the highest results that you can hope and expect for vaccines, right now, and there will be also, some people, but will be a small percentage. So when you see it from public health perspective, this is more than what you could ever hope to have. This is a game changer.

[...]

Albert Bourla: Look, I mean, speaking about mutations of coronavirus, I think that this is a likelihood scenario. We start seeing some of them – right now looks like our vaccine is, as I said, very effective for all the mutations that exist out there right now. But in case that a new mutation that requires – let’s say new vaccine emerges in one or two years – the good thing with this technology is that you can adapt to technology extremely quickly. Because as you were saying before, you’re sending a message to yourselves to produce DNA. It’s an RNA message that you’re sending. So, we can just change the code in our vaccine without changing manufacturing process, without changing virtually anything and then being able to be effective against the new mutation. So that’s why we selected this technology. When we started back in March, we had access as Pfizer to multiple platforms of technology. And our scientists proposed me and they selected to use this one for these reasons. You can boost as much as you want. For example, if you need to boost next year, you can do it because this technology allows you to do it and you can do it the year after. So you can have every year a revaccination. And also, if there is a mutation, you can produce in weeks, rather than months a new vaccine.

[...]

Albert Bourla: Right now, Pfizer has agreements with multiple governments, but also has discussions with even more. And we are, of course, in discussions with COVAX facility and offer to the COVAX facility to provide our vaccine to the low income countries – these are the poorest countries of the world – at the non-for-profit base for these countries. So, we are discussing as we speak, and I hope that we will be able to provide equitable protection to the entire world.

[...]

Albert Bourla: Yeah, I think the number one and most important thing is that we keep discussing about the vaccines from scientific and nonpolitical terms. I think this is what confuses people and makes them doubt. They don’t know whom and what to believe. The second is what we are already doing and we should continue doing it until the end, which is transparency. I believe that we were very transparent with our protocols, we were very transparent with our safety data, we are extremely fast to announce their efficacy data once we have them. We believe that it’s good that those data will be publicly exposed. I think FDA already plans to have a committee of external advisors to FDA, but they will review the data publicly. And of course I think it is up to the greatest scientists that we have right now in the world – and in the U.S. – to express their opinion about this vaccine. I understand those that they were confused and skeptical about the vaccine, but I need to repeat the decision to vaccinate is not affecting only yourself it is affecting the health of others. And likely the most vulnerable others. So because if you decide not to vaccinate, you will become the weak link that will allow this virus to replicate and produce the detrimental effects. Which means so many people unemployed, 1,000 deaths every day in the U.S. only and even more in the world – much more in the world. So it’s an important decision, but I want everyone to be open minded. From our perspective, we’ll do everything we can to convince them that 170 years of legacy is something that we count as Pfizer and plan to respect.

[...]

Albert Bourla: No, I don’t think – of course it’s up to FDA and their thoughts, but I don’t think really. The first primary endpoint is the only point that external experts were allowed by protocol to talk to us. But of course, they have data about also people that have been previously infected than more by people without taking into consideration if they were previously infected. That we will only know when the study is complete. But typically it’s a lesser hurdle. So if you are able to protect people that were not previously infected, likely you will have better chances to protect people that were. Also we are going to see information that we are going to have for 14 days after vaccination because, keep in mind, right now we use the most extreme test for this vaccine. We tested people seven days after the second injection. This means that we tested if people can be protected, four weeks after they start their vaccination schedule. First dose day one, 28 days we start looking for effects. It’s very, very quick and this is a very, very big test. We are testing also, what happens in 14 days after the second dose, which we expect would be an easier hurdle, but of course we need to see.

[...]

Albert Bourla: FDA approves it in the U.S. as we live. And if I was living in Europe, that the European authorities approve it. I truly believe in the integrity and scientific capabilities, first of all, of FDA – that is a renowned agency for this capabilities, but also the European agencies. Once they approve it, I know that it is safe for my family. Myself, I would like very much to get it among the first, so that we can demonstrate to the world that I am the first one. But I will try it with my family. We need to see some ethical considerations. If, for example, we have a limited number of doses, I don’t know if the government would recommend people of my age and my – I mean CDC – people of my age or work capacity to be among the first to get to the vaccine, so I want to respect that. But I will try to convince them to allow me to participate.”

 [https://www.cnbc.com/video/2020/11/09/full-interview-with-pfizer-ceo-on-vaccine-being-90-percent-effective-in-preventing-covid-19.html?&qsearchterm=bourla, https://www.cnbc.com/2020/11/09/first-on-cnbc-cnbc-transcript-pfizer-chairman-and-ceo-albert-bourla-speaks-with-cnbcs-squawk-box-today-.html, https://www.cnbc.com/video/2020/11/09/pfizer-ceo-on-covid-vaccine-efficacy-it-is-a-great-day-for-humanity.html,

https://video.milanofinanza.it/video/bourla-ceo-pfizer-il-nostro-vaccino-contro-il-covid-efficace-al-90-CO2uw9fLLf23]

 

“Pfizer Chairman and CEO Dr. Albert Bourla told CNBC on Monday he believes the world “can see light at the end of the tunnel,” after the U.S. pharmaceutical giant announced its coronavirus vaccine was more than 90% effective in preventing Covid-19 for those who had no evidence of previously being infected.

More than 50 million coronavirus infections have been recorded worldwide since the virus emerged in China in late December, according to data compiled by Johns Hopkins University. At least 1,257,747 people have died. Nearly a fifth of all global infections and fatalities are in the U.S. The race to develop a safe and effective vaccine has been closely watched as companies accelerated a process that normally takes years.

“It is a great day for science. It is a great day for humanity when you realize your vaccine has 90% effectiveness. That’s overwhelming,” Bourla in interview with CNBC’s Meg Tirrell on “Squawk Box.” “You understand that the hopes of billions of people and millions of businesses and hundreds of governments that were felt on our shoulders. Now... I think we can see light at the end of the tunnel.”

Dow future surged nearly 1,600 point, or 6%, on the news from Pfizer and its vaccine partner Germany-based BioNTech. The pan-European Stoxxs 600 was higher by more than 4%.

BioNTech and Pfizer’s late-stage study is continuing after the positive interim analysis, with hopes for it to be completed by the end of the month, Bourla said. The companies will need to apply for emergency use authorization with the U.S. Food and Drug Administration. Dr. Scott Gottlieb, a former FDA commissioner, told CNBC the vaccine could be available in limited use as early as late December and widely available by the third quarter of 2021.

There are expected to be up to 50 million doses of the Pfizer and BioNTech vaccine produced this year and up to 1.3 billion doses in 2021. The vaccine requires two doses per person. In July, the companies reached a nearly $ billion agreement with the U.S. government to supply 100 million doses.

“Given how effective this vaccine is, and we are aware that the demand will be much higher than anything we can produce, we are also looking right now to see if there are other ways, thinking out of the box, that we can increase even further the manufacturing capacity,” Bourla said.

Bourla noted the timing of Monday’s efficacy news, which comes as the U.S. has continued to set new records for daily cases and some European countries implemented partial lockdowns in response to surging infections. “There’s no time to be lost here,” he said.

Bourla also addressed questions about the timing of the announcement less than a week after the U.S. presidential election. The Pfizer CEO said the election was always an artificial deadline and the data was going to be ready when it was ready.

President Dolnald Trump, who has refused to concede the election after Democrat Joe Biden was projected as the winner on Saturday, tweeted Monday morning about the “GREAT NEWS!” about the vaccine and the stock market surge. President-elect Biden also called it “great news.”

Bourla said he has been cautiously optimistic throughout the development process about whether Pfizer’s vaccine would be safe and effective. That is because with vaccines for other diseases, despite positive signs from phase one and phase two trials, “sometimes you fail on phase three,” he said.

“I am very happy, but at the same time, sometimes I have tears in my eyes when I realize that this is the end of nine months, day-and-night work of so many people and how many people, billions, invested hopes on this,” he said. “I never thought it would be 90%” effective, added Bourla, who has worked at Pfizer for over 25 years. He became CEO in January 2019.

There have been some public concerns about taking a Covid-19 vaccine, but drugmakers and regulators alike have taken steps to assuage those worries. In September, Pfizer and other companies developing a vaccine such as Johnson&Johnson and MOderna made a pledge to demonstrate their commitment to safety and scientific principles.

Bourla told CNBC he wants to be among the first people to take Pfizer’s vaccine to show his confidence in it, should if receive approval from regulators. However, he acknowledged there ethical considerations at play. “If, for example, we have limited number of doses, I don’t know if the government would recommend people of my age ... or work capacity to be among the first to get the vaccine so I want to respect that,” said Bourla, who is in his late 50s.

He also thanked the more than 40,000 trial participants for volunteering, despite all the uncertainty. “I think the world owes them big time,” he said.

“I believe this is likely the most significant medical advance in the last 100 years, if you count the impact this will have in public health [and] global economy,” he said.” [[https://www.cnbc.com/2020/11/09/pfizer-ceo-albert-bourla-covid-vaccine-a-light-at-the-end-of-the-tunnel.html]

 

Il 21 dicembre 2020, l’Agenzia Europea per i Medicinali [EMA] raccomandava il rilascio di un’autorizzazione all’immissione in commercio subordinata a condizioni per il vaccino Comirnaty, sviluppato da BioNTech/Pfizer, destinato a prevenire la Covid-19 nei soggetti a partire dai 16 anni di età. Secondo quanto dichiarato da Emer Cooke, Direttore Esecutivo dell’EMA:

“La notizia positiva di oggi è un importante passo in avanti nella lotta contro questa pandemia, che ha causato sofferenze e difficoltà a tantissime persone. Abbiamo raggiunto questo traguardo grazie all’impegno di scienziati, medici, sviluppatori e partecipanti volontari agli studi clinici, nonché dei numerosi esperti di tutti gli Stati Membri dell’UE. Grazie alla valutazione approfondita condotta, possiamo garantire ai cittadini dell’UE che il vaccino è efficace e sicuro e soddisfa i necessari standard di qualità. Tuttavia, il nostro lavoro non si conclude qui. Continueremo a raccogliere e analizzare i dati sulla sicurezza e l’efficacia del vaccino per proteggere coloro lo riceveranno nell’UE.”
[
https://www.certifico.com/component/attachments/download/21002]

Informa il sito del Consiglio Europeo alla pagina Covid-19: ricerca e vaccini [https://www.consilium.europa.eu/it/policies/coronavirus/covid-19-research-and-vaccines/] che, attualmente, l’Unione Europea dispone di un portafoglio di vaccini basati su 4 diverse tecnologie:

-     mRNA [che utilizza parte del codice genetico del Coronavirus] “Si tratta di un nuovo approccio ai vaccini. Questi non contengono parte del virus ma trasportano le informazioni che consentono alle cellule di produrre una proteina simile a quella del Coronavirus, far scattare una risposta immunitaria e dotarci delle risorse per sconfiggere il vero virus.  I vaccini contro la Covid-19 di BioNTech/Pfizer [https://www.ema.europa.eu/en/medicines/human/EPAR/comirnaty] e di Moderna [https://www.ema.europa.eu/en/medicines/human/EPAR/spikevax], il cui uso è autorizzato nell’UE, si basano sulla tecnologia mRNA.” [https://www.consilium.europa.eu/it/policies/coronavirus/covid-19-research-and-vaccines/]

-     del vettore virale [virus geneticamente modificato per veicolare una sequenza del DNA del Coronavirus]. “I vaccini a vettore virale utilizzano un virus innocuo per trasmettere le istruzioni del Coronavirus al nostro organismo al fine di produrre una proteina unica del virus Covid-19 e attivare una risposta immunitaria. I vaccini AstraZeneca  [https://www.ema.europa.eu/en/medicines/human/EPAR/vaxzevria-previously-covid-19-vaccine-astrazeneca] e Janssen [https://www.ema.europa.eu/en/medicines/human/EPAR/jcovden-previously-covid-19-vaccine-janssen] contro la Covid-19 autorizzati nell’UE sono vaccini a vettore virale. Anche il vaccino Sputnik V, attualmente oggetto di riesame continuo da parte dell’EMA, è un vaccino a vettore virale. Un importante vantaggio dei vaccini a vettore virale è che sono molto resistenti e possono essere conservati a normale temperatura di frigorifero per un periodo massimo di 6 mesi. Un altro vantaggio del vaccino Janssen è che richiede un’unica dose per raggiungere l’immunità al virus.”

-     a base proteica [contenente frammenti di una proteina unica del coronavirus] “Questo tipo di vaccino contiene frammenti di una proteina unica del virus. Tali frammenti sono sufficienti affinché il sistema immunitario riconosca che la proteina unica non dovrebbe trovarsi nell’organismo e reagisca producendo difese naturali contro l’infezione da Covid-19. Il primo vaccino a base proteica autorizzato nell’UE è quello prodotto da Novavax [https://www.ema.europa.eu/en/medicines/human/summaries-opinion/nuvaxovid]. Anche il vaccino Sanofi/GSK, attualmente oggetto di riesame continuo da parte dell’EMA, è un vaccino a base proteica.”

-     del virus inattivato [costituito dal virus vivo sottoposto a inattivazione chimica]Questo tipo di vaccino contiene parti del virus Covid-19 vero e proprio, inattivato in laboratorio per distruggerne la capacità di causare la malattia. Quando entra in contatto con il virus inattivato, il sistema immunitario reagisce producendo difese naturali contro l’infezione da Covid-19. Anche il vaccino Valneva, attualmente oggetto di riesame continuo da parte dell’EMA, è un vaccino a virus inattivato.”

Sul sito del Ministero della Salute è presente una sezione dedicata alle domande sul vaccino contro il Covid in cui si spiega che i vaccini sono autorizzati solo a seguito di un’analisi della loro sicurezza. L’analisi si basa sui dati raccolti in fase di sperimentazione ed è, costantemente, portata avanti anche dopo l’autorizzazione alla somministrazione.

“L’AIFA [Agenzia Italiana del Farmaco], oltre alle attività di farmacovigilanza normalmente previste per farmaci e vaccini [basate sulle segnalazioni spontanee e sulle reti di farmacovigilanza già presenti], promuoverà l’avvio di alcuni studi indipendenti post-autorizzativi sui vaccini Covid-19.

Le attività di vigilanza riguarderanno sia la raccolta e valutazione delle segnalazioni spontanee di sospetta reazione avversa [farmacovigilanza passiva] che azioni proattive, attraverso studi/progetti di farmaco-epidemiologia [farmacovigilanza attiva]. L’AIFA si è dotata di un Comitato Scientifico [https://www.aifa.gov.it/-/l-aifa-istituisce-il-comitato-scientifico-per-la-sorveglianza-dei-vaccini-covid-19], che, per tutto il periodo della campagna vaccinale, avrà la funzione di supportare l’Agenzia e i responsabili scientifici dei singoli studi nella fase di impostazione delle attività, nell’analisi complessiva dei dati che saranno raccolti e nell’individuazione di possibili interventi. La finalità è quella di disporre, anche attraverso una rete collaborativa internazionale, della capacità di evidenziare ogni eventuale segnale di rischio e, nel contempo, di confrontare i profili di sicurezza dei diversi vaccini che si renderanno disponibili, di fornire raccomandazioni.” [https://www.salute.gov.it/portale/p5_1_2.jsp?id=249&lingua=italiano]

Sul sito-web del Ministero della Salute si legge, altresì:

“Da gennaio 2021, come previsto dall’articolo 3 del Decreto-Legge 14 gennaio 2021 n. 2, l’Anagrafe Nazionale Vaccini viene alimentata giornalmente dalle Regioni e Province Autonome con i dati relativi alle somministrazioni di massa dei vaccini anti Covid-19, al fine di monitorare l’attuazione del Piano Strategico Nazionale di preparazione e di implementazione della strategia vaccinale antiCovid-19. Tali informazioni alimentano, sempre giornalmente, la relativa dashboard pubblica e vengono trasmesse all’ISS per attività di sorveglianza immunologica e farmaco-epidemiologia.” [http://www.salute.gov.it/portale/vaccinazioni/dettaglioContenutiVaccinazioni.jsp?lingua=italiano&id=5067&area=vaccinazioni&menu=vuoto]

Le vaccinazioni contro la Covid-19 sono iniziate il 27 dicembre 2020 in tutta l’Unione Europea. Al 31 agosto 2021 il 70% della popolazione adulta era pienamente vaccinata. A ottobre del 2021 gli adulti pienamente vaccinati erano 3 su 4, vale a dire il 75% della popolazione adulta. Nel febbraio del 2022 4 adulti su 5 risultavano pienamente vaccinati, vale a dire oltre l’80% della popolazione adulta.

“Finora la Commissione Europea ha concesso l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata per 5 vaccini contro la Covid-19, a seguito di valutazioni positive da parte dell’Agenzia europea per i medicinali:

-     il vaccino BioNTech/Pfizer è stato autorizzato il 21 dicembre 2020;

-     il vaccino Moderna è stato autorizzato il 6 gennaio 2021;

-     il vaccino AstraZeneca è stato autorizzato il 29 gennaio 2021;

-     il vaccino Janssen [Johnson & Johnson] è stato autorizzato l’11 marzo 2021;

-     il vaccino Novavax è stato autorizzato il 20 dicembre 2021 [https://www.consilium.europa.eu/it/policies/coronavirus/covid-19-research-and-vaccines/].”

Il 23 giugno scorso, l’EMA ha raccomandato alla Commissione Europea di concedere l’autorizzazione all’immissione in commercio per il vaccino Valneva prodotto dall’omonima azienda francese per l’uso nella vaccinazione primaria di persone di età compresa tra i 18 e i 50 anni di età [https://www.aifa.gov.it/-/ema-raccomanda-autorizzazione-valneva, https://healthy.thewom.it/terapie/vaccino-valneva-covid/].

 “L’UE ha coordinato i negoziati a nome di tutti gli Stati Membri e ha contribuito agli acquisti anticipati con 2,15 miliardi di euro a titolo dello strumento per il sostegno di emergenza, un meccanismo speciale istituito dall’UE per aumentare la flessibilità nella risposta di emergenza alla pandemia di Covid-19.” [https://www.consilium.europa.eu/it/policies/coronavirus/covid-19-research-and-vaccines/]

Generalmente lo sviluppo di un vaccino è un processo lungo, che, normalmente, necessita dai 7 ai 10 anni, durante i quali le ricerche vengono condotte a tappe successive, che includono i tests di qualità, la sperimentazione pre-clinica e le fasi della sperimentazione clinica nell’uomo. I trials clinici richiedono molti tests su migliaia di persone e, normalmente, iniziano dopo circa 2-5 anni dalle iniziali ricerche sulla risposta immunitaria, cui seguono altri 2 anni di prove pre-cliniche che coinvolgono la sperimentazione animale. Tali studi vengono condotti per valutare in maniera continuativa, nel breve e nel lungo termine, la sicurezza e l’efficacia dei vaccini nella pratica clinica. Se le Fasi I, II, III hanno dato esito positivo, il vaccino viene registrato e si procede alla produzione e distribuzione su larga scala. Il monitoraggio della sicurezza è parte integrante di tutte le tappe dello sviluppo. Nell’attuale emergenza, è stato proposto un periodo di tempo più ristretto. In Europa, quando un’azienda farmaceutica ritiene di essere in grado di dimostrare la qualità, la sicurezza e l’efficacia del prodotto per una specifica indicazione terapeutica sottopone all’European Medicine Agency [EMA] una richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio. Solo dopo l’approvazione dell’EMA e l’autorizzazione da parte della Commissione Europea, l’azienda inizia il processo di produzione su ampia scala. In risposta a minacce per la salute pubblica, l’Unione Europea dispone di uno strumento normativo specifico per consentire la rapida messa a disposizione di medicinali da utilizzare in situazioni di emergenza. In tali situazioni di emergenza, come appunto nel caso della pandemia da SARS-CoV-2, lEMA può raccomandare un’autorizzazione condizionata all’immissione in commercio, un tipo di approvazione per i farmaci che rispondono a esigenze medico-sanitarie non ancora soddisfatte. Questa autorizzazione certifica che la sicurezza, l’efficacia e la qualità del vaccino sono comprovate e che i benefici del vaccino sono superiori ai rischi, consentendo, nel contempo, agli sviluppatori di presentare dati supplementari sul vaccino anche dopo l’autorizzazione all’immissione in commercio, contrariamente alle autorizzazioni normali, per le quali tutti i dati devono essere presentati prima del rilascio. Di conseguenza, il vaccino potrà essere commercializzato in tutta l’Unione Europea, senza bisogno di richiedere ulteriori autorizzazioni nei diversi Stati Membri dell’Unione Europea. Tuttavia, una volta concessa, le aziende sono obbligate a fornire, entro determinate scadenze, ulteriori dati per confermare che i benefici continuino a superare nettamente gli eventuali rischi.

Un’autorizzazione condizionata non è un’autorizzazione all’uso di emergenza, che alcuni Paesi utilizzano, a esempio, gli Stati Uniti o il Regno Unito, per consentire, in situazioni di emergenza, l’uso temporaneo di un medicinale non autorizzato. Un’autorizzazione di emergenza non è, infatti, un’autorizzazione alla messa in commercio del prodotto. Nella Nazione nordamericana i vaccini approvati hanno ricevuto un’autorizzazione diversa da quella di EMA. Si chiama Autorizzazione all’Uso di Emergenza [EUA], soluzione che la Food and Drug Administration [FDA] offre come opportunità durante le situazioni di crisi sanitaria per dare alle persone l’accesso rapido a farmaci che, potenzialmente, possono salvare vite umane.

Il 20 maggio 2021, la Commissione Europea annunciava di avere  firmato “un terzo contratto [https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_21_2548] con le aziende farmaceutiche BioNTech/Pfizer, con cui riserva ulteriori 1,8 miliardi di dosi per conto di tutti gli Stati Membri dell’UE, tra la fine del 2021 e il 2023. Tale contratto consentirà l’acquisto di 900 milioni di dosi del vaccino attuale e di un vaccino adattato alle varianti, con un’opzione per l’acquisto di ulteriori 900 milioni di dosi.” [https://www.consilium.europa.eu/it/policies/coronavirus/covid-19-research-and-vaccines/,

https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/coronavirus-response/timeline-eu-action_it].

e il 18 ottobre 2021:

“Negli ultimi dieci mesi l’Unione Europea ha esportato oltre 1 miliardo di dosi di vaccino in tutto il mondo. I vaccini prodotti nell’UE sono stati spediti in oltre 150 paesi di tutti i continenti. Parallelamente, oltre il 75% degli adulti nell’UE è stato completamente vaccinato.

L’UE e i suoi Stati Membri sono determinati a sostenere la lotta contro la pandemia di Covid-19 a livello mondiale. In qualità di Team Europa, l’UE e i Paesi dell’UE si sono impegnati a collaborare per raggiungere l’obiettivo di vaccinare il 70 % della popolazione mondiale entro la metà del 2022.

Per sostenere questo obiettivo, si sono impegnati a donare 700 milioni di dosi di vaccino contro la Covid-19 ai Paesi in difficoltà entro la metà del 2022.

L’UE è anche uno dei principali produttori mondiali di vaccini contro la Covid-19 e leader mondiale nelle esportazioni di vaccini. Nel solo 2021 l’UE ha esportato 1,4 miliardi di dosi di vaccino contro la Covid-19 in oltre 150 Paesi.” [https://www.consilium.europa.eu/it/policies/coronavirus/covid-19-research-and-vaccines/]

 

Il 25 marzo 2021, il Sottosegretario di Stato alla salute ed esponente di Noi con l’Italia, Andrea Costa, ai microfoni di Tra Poco in Edicola, su Rai Radio 1 aveva dichiarato:

“Dobbiamo introdurre subito l’obbligo vaccinale per il personale sanitario. Non è accettabile che un cittadino bisognoso di cure entri in una struttura sanitaria e corra il rischio di essere contagiato da chi dovrebbe curarlo e tutelarlo. Tutto questo è surreale. I pazienti hanno il diritto di entrare in ospedali sicuri e controllati. Medici, Infermieri, OSS dovrebbero vaccinarsi non solo per senso di responsabilità ma anche per dovere etico di proteggere se stessi e coloro che assistono. Il vaccino è il dispositivo di protezione individuale più importante che abbiamo contro la Covid-19. Pertanto, auspico un intervento normativo in tempi rapidissimi. È un provvedimento di buon senso. Sbaglia chi ne fa una battaglia ideologica.” [http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=93972]

Con Comunicato stampa del 17 febbraio 2021, il Garante per la Protezione dei Dati Personali aveva annunciato la pubblicazione sul proprio sito-web di faq con l’intento di “fornire indicazioni utili ad imprese, enti e amministrazioni pubbliche, affinché possano applicare correttamente la disciplina sulla protezione dei dati personali nel contesto emergenziale, anche al fine di prevenire possibili trattamenti illeciti di dati personali ed evitare costi di gestione o possibili effetti discriminatori” [https://www.altalex.com/documents/news/2021/02/22/vaccinazioni-dipendenti-e-privacy-le-faq-del-garante]. Il Garante aveva spiegato che il datore di lavoro non può acquisire il nominativo dei dipendenti che sono o non sono vaccinati, neppure con il consenso specifico di questi ultimi, ritenuti, infatti, in una posizione inidonea, data la loro subordinazione, a esprimere un consenso effettivamente libero. Allo stesso modo, il datore non può chiedere ai propri dipendenti di fornire copia dei documenti che comprovano l’avvenuta vaccinazione, o recuperare le medesime informazioni dal medico competente. L’unica informazione che il datore di lavoro può, infatti, raccogliere dal medico competente è il “giudizio di idoneità del lavoratore” rispetto alle specifiche mansioni cui è stato assegnato. Il Garante chiariva, altresì, che solo un atto normativo poteva imporre l’obbligo di vaccinazione contro la Covid-19 come condizione per l’accesso ai luoghi di lavoro e per lo svolgimento di determinate mansioni.

La questione della cosiddetta “privacy” si manifesta sempre più complessa, di difficile gestione e qualche volta persino irrazionale. Un anno fa, il Garante della Privacy ha comminato una sanzione a un odontoiatra di 20mila euro per avere richiesto a un paziente una serie di informazioni sul suo stato di salute e, dopo averle visionate, avere rifiutato le prestazioni in quanto “la diagnosi di sieropositività all’HIV [dichiarata dal paziente] non permetteva di scongiurare un possibile contagio del personale e degli altri pazienti” [https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9677521]. Il paziente, ritenendo ingiusta la richiesta sulle sue condizioni di salute, si era rivolto al Garante della Privacy, denunciando una violazione dei propri dati personali. Sul caso era intervenuto l’allora Ministro della Salute Giulia Grillo:

“Ho già chiesto ai tecnici del Ministero di effettuare le verifiche del caso. Farò al più presto un incontro con le associazioni che si impegnano ogni giorno nella lotta contro l’AIDS. I pregiudizi sui malati non possono essere tollerati.” [https://www.ilmessaggero.it/roma/news/sieropositivo_cacciato_da_studio_dentista-4224648.html]

“Non è accettabile”,

evidenziava il Ministro in un post su Facebook,

“che una persona sieropositiva sia cacciata da uno studio odontoiatrico perché non in grado di gestire un paziente con HIV.” 

Sembrerebbe evidente a tutti che quelle informazioni dovessero ritenersi utili per l’odontoiatra, allo scopo di approntare le cure necessarie e le opportune misure di prevenzione, il Garante, diversamente, lo aveva condannato, ritenendo che “la richiesta di informazioni relative all’eventuale stato di sieropositività di ogni paziente che si rivolge per la prima volta allo studio medico, indipendentemente dal tipo di intervento clinico o dal piano terapeutico che lo stesso deve eseguire, sia contraria ai principi di tutela dei dati personali”. Le “precauzioni finalizzate alla protezione dal contagio”, affermava il Garante, debbono essere adottate nei confronti della generalità delle persone assistite”, dunque, non è necessaria una richiesta di informazioni così invasiva. Singolare, inoltre, è il fatto che nel provvedimento del Garante sono, giustamente, oscurate le generalità del paziente, ma in chiara evidenza quelle del medico sanzionato.

La pandemia ha aggravato discriminazione, disuguaglianza, povertà in tutto il mondo. Lo stato di emergenza ha avuto conseguenze sui diritti civili e politici ovunque, sospendendo elezioni, cancellando assemblee, limitando la possibilità di manifestare, soffocando, financo, la critica verso i Governi. La pandemia ha, anche, facilitato ai Governi l’estensione della sorveglianza sui cittadini, violando il loro diritto alla privacy. Dopo il loro indebolimento vi è un bisogno strutturale di riaffermare l’importanza dei diritti umani.

 Surveillance measures rolled out across the world as Governments try curb the spread of Coronavirus could cause lasting damage to the right to privacy, a United Nations expert has warned.”,

avvertiva l’Inviato Speciale delle Nazioni Unite per il diritto alla privacy, Joseph A. Cannataci, in una intervista rilasciata, il 31 marzo 2020, alla Thomson Reuters Foundation [https://news.trust.org/item/20200331121336-e2zx7/,

https://www.independent.co.uk/news/world/coronavirus-lockdown-surveillance-tracking-dictatorship-authoritarian-united-nations-privacy-a9438561.html].

A causa dei contagi segnalati in più di 200 Paesi, dacché erano stati accertati, nel dicembre del 2019, i primi casi in Cina, i Governi avevano adottato una serie di misure per arginare il contagio.

“From facial recognition to phone tracking, Governments are turning to technology to trace infections and keep tabs on the population as they enforce lockdowns and quarantines. The danger is that measures brought in to protect citizens in exceptional circumstances, when most people accept they are needed, could outlast the current crisis.” [https://www.dataguidance.com/video/professor-joe-cannataci-special-rapporteur-right-privacy-united-nations].

“Dictatorships and authoritarian societies often start in the face of a threat.”,

metteva in guardia Cannataci.

La Cina aveva utilizzato un software per smartphone per determinare se le persone potessero muoversi o incontrarsi. Lo riferiva un lungo articolo del New York Times [https://www.nytimes.com/2020/03/01/business/china-coronavirus-surveillance.html], in cui veniva illustrato il funzionamento dell’applicazione Alipay Health Code, realizzata da una controllata del colosso dell’e-commerce Alibaba, fondato da Jack Ma, secondo Forbes, l’uomo più ricco della Cina e il 26esimo uomo più ricco del mondo con un patrimonio di 46 miliardi di dollari. L’applicazione generava per ogni utente iscritto un codice QR di un colore diverso: verde, giallo o rosso. Nel primo caso, si poteva circolare pressoché liberamente, pur sempre scansionando il codice all’ingresso di luoghi come condomini, uffici o centri commerciali. Nel secondo e nel terzo caso, l’accesso o gli spostamenti non erano consentiti e, anzi, occorreva rimanere in quarantena preventiva, rispettivamente, per 7 o 14 giorni. Un “esperimento di massa per regolamentare le vite dei cittadini”, lo definiva il quotidiano della Grande Mela, che aveva, anche, effettuato un’analisi del codice dell’app e riteneva di avere individuato una possibile connessione con la polizia. Ma soprattutto, un’operazione che rischiava di “individuare nuove forme di controllo sociale automatizzato che potranno resistere anche a lungo alla fine dell’epidemia” [https://www.italian.tech/2020/03/03/news/verde_giallo_o_rosso_il_codice_sull_app_che_in_cina_decide_la_liberta_dei_cittadini-299524486/]. Nella Corea del Sud, il Governo aveva, inizialmente, rilasciato informazioni molto dettagliate sui casi confermati, età, sesso e percorsi giornalieri, consentendo agli sviluppatori web di creare mappe dettagliate per tracciare i movimenti dei pazienti. In Israele, il premier Benjamin Netanyahu si era affidato al Mossad e allo Shin Bat per prevenire l’epidemia e individuare i positivi e le persone entrate in contatto con loro [https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/04/27/israele-lalta-corte-blocca-lo-shin-bet-non-e-compito-dei-servizi-segreti-monitorare-i-contagi/5784004/]; mentre Singapore aveva lanciato l’app per smartphone Trace Together per tracciare i contatti degli utenti e consentire alle autorità di identificare i sospetti portatori del virus [https://www.agi.it/estero/news/2021-01-08/singapore-contact-tracing-app-10950837/]. Il 30 marzo 2020, il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán si era fatto attribuire pieni poteri dal Parlamento e il Presidente della Serbia, Aleksandar Vucic, aveva annunciato uno stato di emergenza a tempo indeterminato, mettendo da parte il Parlamento e applicando alcune delle misure più severe in Europa. Il Cile aveva dichiarato lo “stato di catastrofe”, mentre il Congresso filippino aveva concesso poteri di emergenza al suo Presidente, Rodrigo Duterte, attraverso la legislazione.

While it was too early assess each measure as the pandemic was still evolving, safeguards could be put in place to ensure the response was necessary and proportionate.”

 Surveillance and monitoring measures should be written in law and clearly limited in time.”

raccomandava Cannataci, esortando i Paesi a istituire organismi indipendenti per supervisionare tali misure.

In tempi normali, le misure politiche adottate sarebbero state vagliate dal legislatore e dalla magistratura, ma lo scenario attuale ha, palesemente, neutralizzato l’uno e l’altra.

In tutto il mondo, la pandemia è divenuta un invito all’autocrazia.

Any form of data can be misapplied in incredibly bad ways. If you have a leader who wants to abuse the system, the system is there.”

“Tracking people’s phones to monitor where they go and who they meet could also be used to identify members of ethnic or religious minorities, exposing them to the risk of violence and discrimination in some counties.”

“Health data could help protect those deemed more vulnerable to the virus, but it could also be abused to identify HIV-positive people in countries where the condition is seen as an indicator of homosexuality and homophobia is rife, he added.”

“We must be very careful how we use these tools.”

Non vi è chiarezza su cosa accadrà ai dati crittografati salvati sui servers dei Governi, una volta finita la pandemia.

“And citizens should use every means they have to influence both the policies and the laws that are made that affect them.”

La pandemia ha indotto i Governi a dichiarazioni che fanno riferimento a un nemico, a un aggressore invisibile. 

“That is why it is important to be vigilant today and not give away all our freedoms.”

Il 22 gennaio scorso, è apparso su The Lancet l’articolo Recognising Italy’s mistakes in the public health response to Covid-19 [https://www.thelancet.com/action/showPdf?pii=S0140-6736%2821%2902805-1, https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736[21]02805-1/fulltext]:

“The Day of the Dead in Italy this year was not only a time for remembrance but also for demanding justice for lives lost to COVID-19. On Nov 2, 2021, members of the #Sereni [also known as Serene and Always United] Association demonstrated in Rome against institutional omerta [ie, law of silence] and for the restoration of a parliamentary commission to examine the management of the epidemic. This event followed 520 complaints that were filed by the association 4 months earlier against the national government, the Ministry of Health, and Lombardy region administrators.

To understand the association’s objectives and the events that fuel its purpose, it is necessary to examine the beginning of the pandemic in Lombardy. The national government and regional government of Lombardy’s decision to not create a so-called red zone around Alzano Lombardo and Nembro [blocking off entrance to and exit from the two communes] when COVID-19 was discovered in people at the end of February, 2020, is seen to be directly responsible for the spread of infection to other towns throughout the province of Bergamo, particularly the Seriana Valley, then throughout Europe. How could a different public health response have stopped the COVID-19 epidemic in Bergamo Province, which went on to become famous in spring of 2020 for corpses piled up in hospitals, churches, and cemeteries and transported by military trucks to the crematoria?

The Lombardy population was shocked by the events and the inconsistency of public health and government authorities alongside an obsolete and unimplemented pandemic plan.

They were confronted by horror: loved ones dying at home without treatment and alone in hospital, scarcity of oxygen and respirators, and confusion in the identification of cremated bodies. The Istituto Nazionale di Statistica called the events a third world war.

In reaction, the civil society of Bergamo organised itself into a grassroots justice movement.

The objectives of the #Sereni Association are to obtain truth, justice, reparation, and dignity and offer emotional support in response to the pain, confusion, and resentment for the families of the deceased and the larger community. Many politicians and citizen activists have gravitated to the movement.

The contribution of anthropologists to documenting and analysing the social and political effects of epidemiological events has been crucial for other infectious diseases [eg, Ebola virus disease and AIDS]—for example, in Africa, where networks such as the Réseau Anthropologie des Épidémies Émergentes [of which we are members] have become central to addressing issues such as vaccine hesitancy, misinformation, and trust. Transdisciplinary research produces evidence on the actions of civil society associations, such as the Sereni Association. This evidence is key for institutions to identify and address mistakes in public health response, which is needed to support communities to prepare for future infectious threats, as recommended by WHO’s Community Preparedness Unit.”

La dichiarazione di emergenza non è problematica, di per sé: la situazione prevalente richiede misure così estreme. L’aspetto preoccupante è il potere incontrollato che conferisce al Capo di Governo, consentendogli di portare avanti un’agenda repressiva contro le voci dissidenti e di erodere i processi democratici che mirano a ritenerli responsabili. La più grande vittima di questa concentrazione di potere sono i diritti umani: i cittadini dall’oggi al domani vengono convertiti in “sudditi” e costretti a rinunciare ai propri diritti in nome di un bene pubblico più ampio. In nome del controllo della diffusione della pandemia, in Paesi come l’Ungheria, veniva manomesso il diritto alla libertà di espressione con pene detentive fino a 5 anni e in Paesi come il Cile, dove lo stato di emergenza, iniziato per le proteste di massa era stato prolungato per l’epidemia, l’esercito pattugliava le strade a causa dell’“emergenza”. Per il Cile, quello dal sabato del 19 ottobre 2019, dalle 21 alle 7, era stato il primo coprifuoco dai tempi della dittatura di Augusto Pinochet Ugarte. A decretarlo era stato il generale Javier Iturriaga del Campo, incaricato della sicurezza a Santiago del Cile, figlio di “Dante Iturriaga Marchese, accusato di aver consegnato prigionieri a centri di tortura durante la dittatura”, e nipote di “Pablo Iturriaga Marchese, responsabile della sparizione forzata nel 1973 dell’ex-sacerdote italo-cileno Omar Venturelli corresponsabile della repressione politica nell’area di Temuco e membro della DINA, la polizia segreta di Pinochet [https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/22/cile-chi-e-il-capo-della-difesa-che-ha-imposto-il-coprifuoco-padre-e-zio-erano-aguzzini-di-pinochet/5527181/]. Il 5 gennaio 2021, la Corte Costituzionale cilena, in applicazione del principio di proporzionalità, ha riconosciuto l’incostituzionalità della pena detentiva da 61 giorni a 3 anni, comminata congiuntamente alla pena pecuniaria dall’articolo 318 del Codice Penale cileno. La norma punisce chiunque, in tempo di calamità o epidemia, metta in pericolo la salute pubblica, violando le norme sanitarie ordinate dall’autorità  [https://www.criminaljusticenetwork.eu/it/post/la-corte-costituzionale-cilena-riconosce-lillegittimita-costituzionale-della-risposta-penale-cilena-alla-pandemia, https://www.criminaljusticenetwork.eu/contenuti_img/Proporcionalidad%20de%20la%20pena%20y%20ley%20penal%20en%20blanco.%20Comentario%20%20sentencia%20TC%20chileno.pdf, https://www.diarioconstitucional.cl/wp-content/uploads/2021/01/146328-1.pdf]. 

In un corposo rapporto di 46 pagine sullo stato della democrazia nel mondo, il Global State of Democracy [GSoD] in Focus, pubblicato, il 9 dicembre 2020, dall’International Institute for Democracy and Electoral Assistance[IDEA], un ente intergovernativo con sede a Stoccolma, fondato nel 1995, di cui fanno parte 30 Nazioni, ma non l’Italia, si legge:

“Per fronteggiare la pandemia da Covid-19, dal marzo del 2020, più della metà dei Paesi del mondo [59%] ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale, che ha consentito loro di adottare drastiche misure temporanee [e nella maggior parte dei casi necessarie] per combattere la pandemia. Queste misure hanno incluso, nella maggior parte dei casi, la temporanea limitazione delle libertà civili fondamentali, come la libertà di riunione e di movimento e, in alcuni casi, il rinvio delle elezioni.” [https://www.idea.int/our-work/what-we-do/global-state-democracy, https://www.agoravox.it/Istituto-IDEA-con-emergenza-Covid.html]

Secondo lo stesso rapporto, realizzato da Annika Silva-Leander [https://www.idea.int/news-media/news/devastating-effects-covid-19-democracy-what-if-there-silver-lining], più della metà dei Paesi del mondo [61%] ha attuato misure che violano gli standards democratici in quanto erano sproporzionate, illegali, indefinite o non necessarie in relazione alla minaccia per la salute”. Tra le misure criticate dall’IDEA “l’imposizione di severe restrizioni, senza una chiara base costituzionale o giuridica, quarantena forzata di persone con sospetta infezione, persone costrette ad assumere farmaci non testati contro la Covid-19”. La tabella 11 del rapporto mostra l’Italia in 35esima posizione, dopo le Filippine e prima dell’Argentina, della Sierra Leone, del Togo, del Botswana e dell’Honduras, il secondo Paese al mondo per durata ininterrotta dello Stato di Emergenza [https://europa.today.it/attualita/democrazia-italia-politica.html].

Il peggiore score fatto registrare dal 2006!

Il 30 aprile 2020, l’United Nations Human Rights Committee [UN HRC], il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, aveva adottato una dichiarazione in relazione alle possibili deroghe al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, invitando gli Stati contraenti ad attenersi all’obbligo di informare il Segretario Generale dell’ONU sulle misure restrittive attuate durante l’emergenza da Covid-19 [https://www.dejalex.com/2020/06/il-comitato-per-i-diritti-umani-dellonu-chiarisce-i-confini-delle-deroghe-al-patto-sui-diritti-civili-e-politici-durante-lemergenza-coronavirus/?lang=it]. Il General Comment prevede, infatti, che lo Stato che si avvale del diritto di deroga ha l’obbligo di informare, immediatamente, gli altri Stati contraenti delle disposizioni derogate e delle ragioni di tali misure, tramite il Segretario Generale, con allegata la documentazione sulle misure attuate. La notifica è essenziale non solo ai fini della valutazione della necessità delle misure da parte del Comitato, ma anche per consentire agli altri Stati contraenti di monitorare il rispetto delle disposizioni del Patto. La notifica è, altresì, necessaria qualora lo Stato adotti, successivamente, misure supplementari, quali la proroga dello stato di emergenza, come pure in caso di cessazione delle deroghe. L’articolo 4 del Patto sui Diritti Civili e Politici del 1966, infatti, consente agli Stati Parti:

“In caso di pericolo pubblico eccezionale, che minacci l’esistenza della Nazione e venga proclamato con atto ufficiale, gli Stati Parti del presente atto possono prendere misure le quali deroghino agli obblighi imposti dal presente Patto, nei limiti in cui la situazione strettamente lo esiga, e purché tali misure non siano incompatibili con gli altri obblighi imposti agli Stati medesimi dal diritto internazionale e non comportino una discriminazione fondata unicamente sulla razza, sul colore, sul sesso, sulla lingua, sulla religione o sull’origine sociale. La suddetta disposizione non autorizza alcuna deroga agli articoli 6, 7, 8 [par. 1 e 2], 11, 15, 16 e 18. Ogni Stato Parte del presente Patto che si avvalga del diritto di deroga deve informare immediatamente, tramite il Segretario Generale delle Nazioni Unite, gli altri Stati Parti del presente Patto sia delle disposizioni alle quali ha derogato sia dei motivi che hanno provocato la deroga. Una nuova comunicazione deve essere fatta, per lo stesso tramite, alla data in cui la deroga medesima viene fatta cessare.”

Pertanto, alcuni diritti come, tra gli altri, quello alla vita, al divieto di tortura, all’irretroattività della legge penale e alla libertà di pensiero, coscienza e di religione, sono inderogabili.

Secondo l’ultimo rapporto annuale di Freedom House [https://freedomhouse.org/report/freedom-world/2021/democracy-under-siege], il 2020 è stato l’anno peggiore per la democrazia nella Storia recente.

Il 2021 Edelmon Trust Barometer ha rivelato un livello preoccupante di sfiducia pubblica nei confronti dei giornalisti. Il 59% degli intervistati in 28 Paesi ritiene che i giornalisti cerchino, deliberatamente, di fuorviare il pubblico, riportando informazioni che sanno essere false [https://www.edelman.com/trust/2021-trust-barometer].

L’articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani recita:

“Ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari.”

Nel medesimo articolo e al precedente articolo 22 è riconosciuto il diritto di ogni individuo alla sicurezza sociale e alla realizzazione “dei diritti economici sociali e culturali indispensabili alla dignità e al libero sviluppo della sua personalità” da perseguire “attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale e in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato”.

Più di altri istituti specializzati, l’OMS trae vita in maniera diretta dalle Nazioni Unite. Nello Statuto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il cui fine è, per l’appunto,”condurre tutti i Popoli al più alto livello di salute possibile”, la salute viene definita come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non esclusivamente assenza di malattia”. Nello stesso documento la salute viene riconosciuta come un “diritto fondamentale di ogni essere umano senza distinzione di razza, religione, credo politico, condizione economica o sociale”. È, storicamente, il primo riconoscimento di questo diritto in un ordinamento internazionale. La salute, dunque, rappresenta un diritto in sé, che non può essere garantito a pieno se non in relazione con altri diritti fondamentali, che la società nel suo complesso è chiamata a garantire.

Troppo spesso abbiamo sentito appelli alla fiducia nell’“uomo solo al comando”, anziché al rispetto del lavoro di persone che dedicano le loro vite alla pura ricerca e condividono le loro scoperte per il bene comune.

Queste manipolazioni governative o mistificazioni pubbliche, raramente, vengono ritenute violazioni dei diritti umani!

In ambito sanitario il Decreto Legge 1° aprile 2021, n. 44:

-     esclude la responsabilità penale del personale medico e sanitario incaricato della somministrazione del vaccino anti Covid, per i delitti di omicidio colposo e di lesioni personali colpose commessi nel periodo emergenziale, allorché le vaccinazioni siano effettuate in conformità alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della Salute relative;

-     prevede la sospensione del personale medico e sanitario dall’esercizio della professione fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021;

-     stabilisce che le previsioni già vigenti per i soggetti incapaci ricoverati presso strutture sanitarie assistite in merito alla manifestazione del consenso alla somministrazione del vaccino anti-SARS-CoV-2 siano estese anche alle persone che, pur versando in condizioni di incapacità naturale, non siano ricoverate nelle predette strutture sanitarie assistite o in altre strutture analoghe.

L’art. 4 del suddetto Decreto Legge n. 44/2021, che introduce l’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario, prevede, altresì, che la vaccinazione possa essere omessa o differita solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale” [comma 2]. Fuori da tali ipotesi, la mancata adesione alla vaccinazione determina la sospensione dell’attività professionale sanitaria, alla quale possono seguire due diversi scenari. Se possibile, il datore di lavoro dovrebbe adibire il lavoratore a mansioni diverse, anche inferiori, purché non comportino contatti interpersonali o, comunque, il rischio di diffusione del contagio da  SARS-COV-2, con il riconoscimento del corrispondente trattamento economico alle nuove mansioni assegnate. Ove ciò non sia possibile, la norma prevede la sospensione della retribuzione e di qualsiasi compenso o emolumento, fino al completamento del Piano Vaccinale Nazionale e, comunque, non oltre il  31 dicembre 2021.

Tale normativa ha sollevato dei dubbi in termini di legittimità costituzionale, con specifico riferimento al contemperamento dei diritti e degli interessi coinvolti, tutti di respiro costituzionale.

 

“Purtroppo, le buone intenzioni della politica si scontrano con i tempi della scienza. EMA, secondo quanto riferito al Giornale da una fonte di alto livello, “darà il via libera all’autorizzazione al commercio completo dei vaccini Pfizer e Moderna, come se fossero dei normali farmaci, tra un paio d’anni”. Dunque, nel 2023. L’ostacolo da superare nasce dai tempi che le aziende produttrici hanno concordato per concludere la sperimentazione clinica del vaccino. Pfizer, che produce il vaccino più gettonato al mondo e il preferito dagli italiani, si è impegnata a concludere lo studio di Fase III tra ben 28 mesi circa. E l’azienda conferma. A domanda del Giornale risponde che, “siccome lo studio di Fase III prevede il follow-up dei partecipanti per 2 anni, per la sua chiusura si parla del 2023”. Moderna invece, per la fine degli studi, anticipa di un anno la concorrente: dicembre 2022. Ma il suo vaccino è poco diffuso in Europa, e comunque i tempi rimangono lunghi. Potrebbero superare, paradossalmente, la durata dell’attuale pandemia. La sperimentazione clinica deve comunque rispettare i suoi tempi. E l’ente regolatorio europeo si prenderà il tempo necessario per trasformare “l’autorizzazione condizionata”, che attualmente è stata concessa a Pfizer e Moderna, in “autorizzazione piena”, concessa valutando i rischi e benefici su dati completi forniti dalle aziende. Che non potranno essere presentati prima della fine della Fase III.” [Obbligo di vaccini, la frenata di EMA: “L’ok solo nel 2023”. Il piano d’emergenza per tagliare i tempi

4 Settembre 2021, https://www.ilgiornale.it/news/politica/lautorit-farmaco-europea-lautorizzazione-completa-commercio-1972896.html]

I vaccini anti Covid sono nella Fase III e sono stati autorizzati “con condizionalità”. I rapporti finali sugli studi clinici del vaccino di BioNtech/Pfizer dovrebbero essere presentati nel dicembre del 2023, consentendo di trasformare l’autorizzazione UE da condizionata a standard, ha chiarito l’Agenzia Europea del Farmaco [EMA], il 26 agosto 2021, rispondendo alle domande dell’ANSA, dopo l’approvazione del vaccino Pfizer/BioNtech da parte delle autorità statunitensi [https://www.dottnet.it/articolo/32528230/ema-autorizzazione-al-vaccino-pfizer-nel-2023/]:

“I rapporti finali sugli studi clinici del vaccino di Pfizer-BioNtech [Comirnaty] dovrebbero essere presentati nel dicembre 2023, consentendo di trasformare l’autorizzazione UE da condizionata a standard.

Lo chiarisce l’Agenzia Europea del Farmaco [EMA] rispondendo alle domande dell’ANSA, dopo la piena approvazione del vaccino Pfizer/BioNtech da parte delle autorità USA. Ma, sottolineano dalla Agenzia con sede a Amsterdam, “rispetto alle approvazioni d’uso di emergenza che altre regioni del mondo hanno utilizzato, nell’UE i vaccini Covid-19 hanno ricevuto fin dall’inizio un’autorizzazione all’immissione in commercio”, anche se condizionata a “obblighi specifici”. In questo modo il via libera ha potuto essere “valido in tutti gli Stati Membri allo stesso tempo”.

Le autorizzazioni concesse ai 4 vaccini approvati dall’UE, spiegano dall’EMA, impongono obblighi specifici al produttore, come la presentazione di dati su sicurezza ed efficacia a lungo termine, e “sono soggette a rinnovo annuale”. Una volta che questi dati sono presentati, in occasione dell’esame annuale, l’autorizzazione da condizionata può essere trasformata in standard. L’agenzia europea ha già fissato “un calendario per ciascun vaccino entro il quale prevediamo la presentazione degli ultimi dati in sospeso: per tutti i vaccini, questi saranno i rapporti finali sugli studi clinici dello studio cardine”. Per il Comirnaty i rapporti finali sugli studi clinici dovrebbero essere presentati nel dicembre 2023.” [ANSA, 26 agosto 2021 Vaccini: EMA, ancora presto per dire se occorre la terza dose, https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/sanita/2021/08/26/vaccini-emaancora-presto-per-dire-se-occorre-la-terza-dose_e205420b-763d-44ee-b737-16fb0d05cece.html]

Per l’autorizzazione definitiva di EMA, è prevista, infatti, la trasmissione di dati supplementari da parte di BioNTech/Pfizer in 5 successive tappe:

-     Gennaio 2021

-     Marzo 2021

-     Aprile 2021

-     Luglio 2021

-     Dicembre 2023

La relazione finale sarà sviluppata con i milioni di vaccinati nel frattempo [https://www.certifico.com/component/attachments/download/21170].

 

L’obbligo vaccinale può comportare la necessità del consenso informato?

Un vaccino in Fase III, autorizzato con condizionalità, per il quale è previsto il consenso informato, può essere reso obbligatorio?

Come viene condotta una sperimentazione medica lo spiega il testamento morale dell’omonimo processo: il Codice di Norimberga del 1947, considerato il documento più importante nella storia dell’etica della ricerca che detta le regole e i confini etici della sperimentazione sull’essere umano. Il Codice di Norimberga scaturì, infatti, dal primo dei 12 processi secondari che, a Norimberga, seguirono il dibattimento principale del 1945 ai 24 più importanti criminali nazisti, da Göring a Hess, a Ribbentrop: il Doctor Trial [1946-1947]. Al termine del processo ai medici nazisti [https://www.youtube.com/watch?v=RUszcgHBW8Y], i giudici incorporarono nella sentenza, a garanzia dei diritti delle persone sottoposte a sperimentazione clinica, un codice, che prese il nome di Codice di Norimberga e rappresentava il primo strumento giuridico internazionale di regolamentazione sulla sperimentazione umana. Nel codice si stabilisce che la persona sottoposta a ricerca clinica debba essere informata sulle modalità, gli scopi e i rischi prevedibili. Si stabilisce, altresì, che sia “assolutamente essenziale” il consenso libero e volontario di chi è sottoposto a sperimentazione [art. 1], che “l’esperimento dovrà essere condotto in modo tale da evitare ogni sofferenza o lesione fisica e mentale che non sia necessaria [art. 4]” e “dovrà essere tale da fornire risultati utili al bene della società [art. 2]” [http://bioetica.unicam.it/documenti.asp]. Dei 23 nazisti a processo tra dottori e amministratori tutti, incredibilmente, si dichiararono “non colpevoli”. Dopo avere esaminato 1.471 documenti e ascoltato 85 testimoni, il processo vide la sua conclusione il 20 agosto 1947. La maggior parte degli imputati fu condannata all’ergastolo o all’impiccagione. Al processo vi era un grande assente: Josef Mengele, “il Dottor Morte”, “l’Angelo della Morte”, epiteti quanto mai appropriati. Le sue vittime preferite erano i gemelli, l’ultima dei quali, Eva Mozes Kor, è morta il 4 luglio 2019. Nel 1999, Eva Mozes Kor [Una vittima dei nazisti contro la Bayer, la Repubblica, 20 febbraio 1999,    https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1999/02/20/una-vittima-dei-nazisti-contro-la-bayer.html], sopravvissuta agli esperimenti condotti su 1500 coppie di gemelli ad Auschwitz da Joseph Mengele, aveva intentato causa al colosso farmaceutico tedesco Bayer, che, durante il nazismo, faceva parte del complesso industriale chimico farmaceutico nazista Ig Farben.

“Dopo 54 anni, è arrivato per la Bayer il momento di assumersi le responsabilità delle sue azioni.”

Dai suoi racconti emerge l’orrore di questi bambini, letteralmente strappati ai propri genitori e sottoposti a esperimenti di ogni sorta, spesso causa di morte. Eva Mozes Kor aveva 9 anni quando insieme alla sorella gemella Miriam fu internata ad Auschwitz. Vi rimase 9 mesi fino alla liberazione da parte dei sovietici, nel gennaio del 1945.

Quel campo, quel pezzo d’Europa fu, infatti, liberato dai sovietici, ma un Oscar val bene una revisione storica della Seconda Guerra Mondiale!

Eva Mozes Kor accusava di essere stata, volutamente, contagiata con varie malattie per provare l’efficacia di medicinali della Bayer. La società ammise di avere approfittato della sperimentazione “gratuita”, fornita dai prigionieri di guerra dei tedeschi, e contribuì a un fondo per i risarcimenti alle vittime pari a 3mila miliardi di vecchie lire, voluto dal Cancelliere tedesco Gerhard Schroeder.

“Bayer provided toxic chemicals to the Nazis. ... Some of those experiments involved injecting concentration camp inmates with toxic chemicals and germs known to cause diseases in order to test the effectiveness of various drugs made by Bayer” [L.A. Times, Feb. 18, 1999, p. A-18].” [[https://www.usccb.org/issues-and-action/human-life-and-dignity/stem-cell-research/science-without-conscience]

Nel 2003, un’altra sopravvissuta, Zoe Polanska Pagner intentò causa alla Bayer, in risarcimento dei gravi danni alla salute subiti a causa degli esperimenti condotti su di lei da 2 medici, il Dottor Victor Capesius e il Dottor Helmut Vetter, che, all’epoca, lavoravano per la Bayer.

“Le grandi aziende farmaceutiche tedesche usarono gli esperimenti criminali del famigerato Dottor Mengele sui detenuti di Auschwitz per la loro ricerca scientifica. L’accusa viene da una anziana sopravvissuta, Zoe Polanska Pagner, che oggi vive ultrasettantenne in Scozia, ed è stata intervistata ieri dalla BBC. La signora Pagner ha fatto causa alla Bayer, la casa produttrice dell’aspirina, per chiedere un risarcimento dei gravi danni alla salute subiti a causa degli esperimenti condotti su di lei. I presunti colpevoli sono due medici, il Dottor Victor Capesius e il Dottor Helmut Vetter. Entrambi lavoravano allora per la Bayer, che durante il nazismo faceva parte del complesso Ig Farben, l’azienda che sviluppò e produsse il Zyklone-B, cioè il gas usato dai nazisti per l’Olocausto.” [Accuse alla Bayer usò le vittime di Mengele, la Repubblica, 22 agosto 2003, https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2003/08/22/accuse-alla-bayer-uso-le-vittime-di.html]

Due anni prima, il giornale britannico The Guardian aveva riportato la notizia di 2 sopravvissuti all’Olocausto, Kurt Julius Goldstein di 87 anni e Peter Gingold di 85 anni, che avevano depositato una class action contro il Governo degli Stati Uniti e la famiglia Bush:

Kurt Julius Goldstein, 87, and Peter Gingold, 85, began a class action in America in 2001, but the case was thrown out by Judge Rosemary Collier on the grounds that the government cannot be held liable under the principle of “state sovereignty”.

Jan Lissmann, one of the lawyers for the survivors, said: “President Bush withdrew President Bill Clinton’s signature from the treaty [that founded the court] not only to protect Americans, but also to protect himself and his family.”

Lissmann argues that genocide-related cases are covered by international law, which does hold governments accountable for their actions. He claims the ruling was invalid as no hearing took place.

In their claims, Mr Goldstein and Mr Gingold, honorary chairman of the League of Anti-fascists, suggest the Americans were aware of what was happening at Auschwitz and should have bombed the camp.

The lawyers also filed a motion in The Hague asking for an opinion on whether state sovereignty is a valid reason for refusing to hear their case. A ruling is expected within a month.

The petition to The Hague states: “From April 1944 on, the American Air Force could have destroyed the camp with air raids, as well as the railway bridges and railway lines from Hungary to Auschwitz. The murder of about 400,000 Hungarian Holocaust victims could have been prevented.”

The case is built around a January 22 1944 executive order signed by President Franklin Roosevelt calling on the government to take all measures to rescue the European Jews. The lawyers claim the order was ignored because of pressure brought by a group of big American companies, including BBH, where Prescott Bush was a director.

Lissmann said: “If we have a positive ruling from the court it will cause [president] Bush huge problems and make him personally liable to pay compensation.”

The US government and the Bush family deny all the claims against them. [https://www.theguardian.com/world/2004/sep/25/usa.secondworldwar, https://www.huffpost.com/entry/all-the-presidents-nazis_b_102022]

Nel loro libro, George Bush: The Unauthorized Biography, Webster G. Tarpley e Anton Chaitkin [https://etherzone.com/the-hitler-project-astonishing-revelations/] scrivono: 

“In October 1942, ten months after entering World War II, America was preparing its first assault against Nazi military forces. Prescott Bush was managing partner of Brown Brothers Harriman. His 18-year-old son George, the future U.S. President, had just begun training to become a naval pilot. On Oct. 20, 1942, the U.S. government ordered the seizure of Nazi German banking operations in New York City which were being conducted by Prescott Bush.

Under the Trading with the Enemy Act, the government took over the Union Banking Corporation, in which Bush was a director. The U.S. Alien Property Custodian seized Union Banking Corp.’s stock shares, all of which were owned by Prescott Bush, E. Roland “Bunny” Harriman, three Nazi executives, and two other associates of Bush.” [http://tarpley.net/online-books/george-bush-the-unauthorized-biography/chapter-2-the-hitler-project/]

Un libro dello studioso statunitense Richard Breitman ha messo in luce e denunciato l’indifferenza degli Stati Uniti nei confronti della cosiddetta “soluzione finale”, che secondo l’autore, si sarebbe potuta evitare. Il sottotitolo del libro di Breitman rimanda chiaramente a responsabilità morali degli Alleati nello sterminio degli ebrei. Richard Breitman, docente di storia all’American University di Washington, ha analizzato i documenti di guerra resi pubblici, nel 1996, dalla National Security Agency statunitense, che li aveva ottenuti da Londra, nel 1984. Sulla base di questi documenti, Breitman sostiene che il Governo della Gran Bretagna e quello degli Stati Uniti fossero, perfettamente, al corrente di ciò che stesse accadendo in Polonia e in altri luoghi. Dal 1941, erano state intercettate e decriptate molte notizie sui massacri di decine di migliaia di ebrei in Polonia, Lituania, Ucraina. Winston Churchill venne a conoscenza di queste informazioni, che rimasero all’interno del SIS. Fino al 1942, sia gli inglesi sia gli americani non avrebbero denunciato alcuna atrocità contro le minoranze e contro il popolo ebraico, ma avrebbero parlato, in modo generico, di atrocità e violenze sulle popolazioni dei territori occupati. All’inizio del 1943, la BBC iniziò a parlare di “soluzione finale”, progettata dai nazisti contro gli ebrei e presero a circolare descrizioni di ghetti e di campi di sterminio, e storie di fucilazioni di massa [https://books.google.it/books?id=HmdqDgAAQBAJ&pg=PT245&lpg=PT245&dq=war+secret+against+jews+loftus+rockefeller&source=bl&ots=gHVOnBy_07&sig=ACfU3U2iQEk3_6HBnlZrLezjNObNQW1xBg&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwiQ4dXYurD0AhUIC-wKHewPCwsQ6AF6BAgsEAI#v=onepage&q=war%20secret%20against%20jews%20loftus%20rockefeller&f=false

https://forum.termometropolitico.it/250450-fam-bush-soldi-nazisti.html].

“È una delle storie che Hollywood ama raccontare a se stessa e che viene tramandata di generazione in generazione: come la fabbrica dei sogni ebbe il suo momento di eroismo reale durante la II Guerra Mondiale, trasformandosi in un efficace braccio di propaganda e mandando al fronte divi come James Stewart, Robert Taylor e Clark Gable. C’è pure Carole Lombard, morta in un incidente aereo mentre era in un tour per vendere obbligazioni di guerra. Ma come le storie generate nelle sue sale di posa anche questa ha un difetto ed è che non corrisponde alla realtà, che è perlomeno un po’ più complessa: negli anni tra l’arrivo del nazismo in Germania e l’ingresso in guerra dell’America, Hollywood mantenne un atteggiamento alquanto timido e schizofrenico. Come il resto del Paese. Una tesi che emerge dalla ricerca di David Wilkes, professore di Storia all’Università dell’Arkansas e autore di The moguls and the dictators: Hollywood and the coming of World War II. I “moguls” sono Harry Cohn alla Columbia, Louis Mayer alla MGM, Sam Goldwyin, Jack e Harry Warner, i padri-padroni degli studios e tutti di origine ebraica. I dittatori sono Hitler, Franco, Mussolini. Ed ecco, siamo nel 1933, l’anno in cui arrivano al potere Hitler in Germania e Frankin D. Roosvelt negli Stati Uniti. Un Paese, in quegli anni, ancora alle prese con gli effetti devastanti della Grande Depressione e, oltre che isolazionista, percorso da fremiti antisemiti. Nonostante l’industria del cinema fosse stata fondata da ebrei sfuggiti ai progrom europei, che avevano trovato negli studios una nicchia dove operare, quando Hitler decise che i loro impiegati ebrei in Germania dovevano venire licenziati gli studios acconsentirono, perché quello tedesco era un mercato molto ricco. E perché spinti in quella direzione da due potentissime figure, Joseph Breen e Will Hays, responsabili rispettivamente dell’associazione di categoria dei produttori e del loro codice etico-morale. Il compito di Hollywood, secondo Breen e Hays, doveva essere “intrattenere” e dare un’immagine positiva e ottimistica della “American way of life”. E attenzione, aggiunsero: l’industria dello spettacolo “non va usata per fini di propaganda personale”. Timorosi di perdere il mercato tedesco e di alienare una parte della stessa popolazione americana, gli studios si adeguarono al diktat hitleriano con la sola eccezione di Harry Warner, che decise di chiudere le operazioni della Warner in Germania. Anzi, scatenando l’ira di Breen e Hays che avevano vietato ogni critica e volevano che si parlasse di “quel che di buono Hitler ha fatto per la Germania”, si mise a produrre film apertamente anti-fascisti, metaforicamente con Juarez e Robin Hood e poi apertamente con Confessioni di una spia nazista, basato sulla storia vera di alcuni agenti nazisti in azione e che copriva di ridicolo i loro simpatizzanti americani. Era il 1939, un anno in cui Hollywood produsse ben 954 film [contro i circa 400 di oggi] tra cui alcuni entrati nella leggenda: oltre a Via col vento, Mr. Smith va a a Washington, Il mago di Oz, Ninotchka, Goodbye Mr. Chips, Il giovane Lincoln, Uomini e topi. Mentre Hitler invadeva la Polonia, l’America si accalcava fuori dai cinema e seguiva appassionatamente la lotta per l’Oscar tra Judy Garland, Greta Garbo, Bette Davis e Vivien Leigh [alla fine la vincitrice]. E quando Hollywood iniziò a sfornare i primi film che prendevano di mira i dittatori europei, i “moguls” si trovarono sul banco di accusa del Senato americano. “Dovete fare spettacolo, non incitare alla guerra – ripeteva il senatore Gerald Nye – se esiste l’antisemitismo dovete dare la colpa solo a voi stessi”. Poco dopo, nel dicembre del 1941, ci fu l’attacco a Pearl Harbor. Roosvelt dichiarò guerra e finì per arruolare non solo milioni di giovani mandati a combattere sul fronte europeo e su quello del Pacifico ma anche Hollywood e le sue stelle. Fu solo a quel punto che venne fuori Il dittatore, con Charlie Chaplin nel duplice ruolo di un barbiere ebreo e del dittatore anti-semita Adenoid Hynkel, che Hitler volle vedere due volte e che negò ai suoi sudditi. Casablanca, con quella battuta “Scommetto che a New York dormono, scommetto che in America dormono” arriva solo nel 1942 e poi fu la volta di Sergeant York e Thank you Lucky Stars, di This is the Army e dei film eroici con Erroll Flynn e con John Wayne. Ma ormai era una questione di sopravvivenza, non di principi.” 

Lorenzo Soria, Quando il cinema di Hollywood faceva affari con il Terzo Reich Un saggio storico revisionista americano: “Inizialmente Hitler non fu contrastato”, La Stampa, 5 luglio 2010 [https://www.lastampa.it/spettacoli/2010/07/05/news/quando-il-cinema-di-hollywood-br-faceva-affari-con-il-terzo-reich-1.37005768]

Sulla scia delle posizioni di Breitman si pongono le tesi di un altro studioso e giornalista investigativo statunitense, Edwin Black. L’argomento e le tesi esposte nel libro di Black sono sensazionali e provocatoriamente dirompenti, poiché l’autore lancia chiare accuse di complicità e di collaborazionismo con le autorità naziste, nel loro piano di distruzione del popolo ebraico, a una delle maggiori imprese statunitensi, la quale, pur di conseguire grandi profitti, non si fece scrupoli morali.

L’ossessione di Hitler per la distruzione degli ebrei era tutt’altro che originale, prima di lui altri avevano accarezzato la stessa idea, ma il Führer  era in possesso di un’arma decisamente più efficace, l’utilizzo dell’automazione e dell’organizzazione delle informazioni.

Come è stato possibile ai nazisti procurarsi le liste dei deportati, catalogarli e, soprattutto, identificarli?

Come è stato possibile attuare una campagna sistematica di espropriazione di beni, il trasferimento degli ebrei nei ghetti?

Come è stato possibile coordinare operazioni tanto complesse?

La risposta sta nel sistema delle schede perforate, una sorta di precursore dell’odierno computer, frutto dell’ingegnosità di una società americana, la International Business Machine, ovvero la IBM, una delle più importanti corporation del mondo. La scheda perforata è un supporto di registrazione che serve a contenere informazioni da utilizzare nelle macchine per il trattamento automatico dei dati. Durante la Seconda Guerra Mondiale, periodo della prima generazione dei computers, le schede perforate erano di cartoncino e rappresentavano il principale supporto per l’immagazzinamento e il trattamento dei dati.

“L’IBM, il gigante americano dei computer, avrebbe aiutato Hitler ad identificare gli ebrei grazie ai suoi sistemi a schede perforate. È quanto sostiene uno scrittore investigativo, Edwin Black, nel suo libro ‘‘IBM e l’Olocausto’’ che uscirà questo lunedi in Gran Bretagna e Stati Uniti e di cui scrive il Sunday Times nel suo numero di domani.

Secondo Black, che si basa su 20mila pagine di documentazione rinvenute in archivi americani, europei ed israeliani, il sistema delle schede perforate, precursore del computer, fu usato per facilitare vari aspetti della persecuzione degli ebrei: dalla loro identificazione tramite il censimento del 1933 in Germania, al trasferimento degli ebrei dell’Europa Orientale nei campi di sterminio, fino alla conduzione dei lager. Esaminati singolarmente i documenti non dicono molto, ma messi assieme mostrano ‘‘il cosciente coinvolgimento dell’IBM nell’Olocausto, direttamente e tramite le sue sussidiarie’’ – scrive Black.

Il fondatore dell’IBM Thomas Watson era un ammiratore di Hitler e il dittatore nazista lo insignì della Croce dell’Aquila tedesca. Ufficialmente i rapporti fra l’IBM, che costruì un suo impianto a Berlino, e il regime nazista, cessarono nel 1940. Ma Black ha rinvenuto documenti che dimostrerebbero il contrario. Nel dopoguerra la direzione della IBM passò nelle mani del figlio del fondatore, che non condivideva l’entusiasmo paterno per Hitler. ‘‘L’ottimismo di papà – scrisse – lo rese cieco a quanto stava accadendo in Germania’’.

New York, 10 febbraio 2001 – [Adnkronos] – Olocausto: IBM aiutò Hitler a identificare ebrei [http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/2001/02/10/Esteri/OLOCAUSTO-IBM-AIUTO-HITLER-A-IDENTIFICARE-EBREI_184400.php]

Edwin Black nel suo libro documenta la stretta collaborazione tra la grande Corporation americana e la Germania di Hitler. Black riesce a provare che l’allora Presidente dell’International Business Machines, Thomas Watson, collaborò con il Governo nazista fin dall’inizio. Aiutò i nazisti nell’opera di classificazione degli ebrei per finalità razziste. Nel 1933, fornì la tecnologia necessaria per il primo censimento del nazismo, cui seguirono altri più perfezionati, anche negli anni di guerra. L’intera popolazione fu schedata in modo da potere identificare gli ebrei e differenziare anche altre categorie, a esempio, i soggetti che avevano sposato ebrei, gli ebrei che avevano combattuto durante la Prima Guerra Mondiale, la percentuale di sangue ebraico. La tecnologia dell’IBM permise una maggiore efficienza dell’industria bellica, e una migliore organizzazione dei trasporti. Black sostiene che l’aiuto della IBM fu fondamentale per realizzare l’Olocausto degli ebrei e per ottenere i migliori risultati nello sterminio dei soggetti ritenuti indegni di vivere, zingari, disabili, mendicanti, omosessuali. Dopo lo scoppio della guerra, la Dehomag aprì nuove filiali nei territori conquistati, Austria, Polonia, Cecoslovacchia, per attuare nuovi censimenti. L’IBM, con rapidità ed efficienza, istituì, perfino, nuove filiali nei territori che sarebbero stati occupati in seguito, anticipando, così, le mosse della Wehrmacht. In tale modo, i Governi nazisti locali potevano da subito smascherare gli ebrei e deportarli. Questa realtà agghiacciante è stata, inoppugnabilmente, provata da Black. Alla fine della guerra, l’IBM poté festeggiare una doppia vittoria: oltre agli enormi profitti maturati prima e durante la guerra, fu considerata dagli Alleati una vittima dell’esproprio nazista, e poté recuperare tutte le proprie macchine.

“Ciascun sistema Hollerith doveva essere personalizzato dagli ingegneri della Dehomag. Questi ultimi progettavano i sistemi per inventariare i pezzi di ricambio degli aerei della Luftwaffe, controllare gli orari ferroviari per la Reichsbahn e registrare gli ebrei all’interno della popolazione per l’Ufficio di Statistica del Reich in modo che fossero del tutto diversi tra loro. Naturalmente, le punzonature non potevano essere eseguite a caso. Ciascuna scheda doveva essere personalizzata con colonne e campi di dati studiati appositamente per i lettori. I dipendenti del Reich dovevano essere addestrati a utilizzarle. La Dehomag doveva conoscere i dettagli più segreti della destinazione d’uso, progettare le schede e quindi creare i codici. Per via dell’esigenza quasi illimitata di tabulatrici che caratterizzava le guerre razziali e geopolitiche di Hitler, l’IBM New York reagì con entusiasmo alle promesse del nazismo. Mentre altri uomini d’affari americani, spaventati o umiliati, riducevano o annullavano i rapporti con la Germania, Watson diede il via a un’espansione storica della Dehomag. Solo qualche settimana dopo la salita al potere di Hitler, l’IBM New York investì oltre 7 milioni di Reichsmark [più di un milione di dollari] per incrementare drasticamente la capacità della filiale tedesca di fabbricare macchine. I dirigenti della Dehomag erano devoti al movimento nazista quanto i soldati scientifici di Hitler. L’IBM New York lo comprese sin dall’inizio. Heidinger, un fanatico del nazismo, considerava quasi una vocazione divina la capacità unica della Dehomag di saturare il Reich di informazioni demografiche. Il suo trasporto rapito per il nuovo ruolo che la Dehomag avrebbe svolto si manifestò durante l’inaugurazione di uno stabilimento dell’IBM a Berlino. “La considero quasi una missione sacra – dichiarò enfatico – e prego affinché la benedizione del cielo scenda su questo luogo.” Quel giorno, mentre stava accanto al rappresentante personale di Watson e dell’IBM, in presenza di numerosi funzionari del partito nazista, Heidinger annunciò pubblicamente quanto lui e la Dehomag si trovassero d’accordo con gli scienziati nazisti della razza, che consideravano le statistiche demografiche come lo strumento fondamentale per sradicare i segmenti contaminati e inferiori della società: “Il medico esamina il corpo e verifica che tutti gli organi funzionino in modo da garantire il benessere dell’intero organismo. Noi [della Dehomag, n.d.r.] siamo molto simili a medici perché sezioniamo, cellula dopo cellula, il corpo della cultura tedesca. Indichiamo ogni singola caratteristica su una piccola scheda. Non si tratta di schede morte. Al contrario, si risvegliano alla vita più tardi, quando vengono selezionate alla velocità di 25mila l’ora in base a determinate caratteristiche. Siamo orgogliosi di poter contribuire a tale compito, un compito che fornisce al Medico della nostra Nazione [Hitler, n.d.r.] il materiale necessario ai suoi accertamenti. Egli potrà allora stabilire se i valori calcolati sono tali da garantire la salute del nostro popolo. In caso contrario, potrà prendere misure correttive per guarire il male”. Il discorso di Heidinger e la lista dei funzionari nazisti invitati furono trasmessi in tutta fretta a Manhattan e tradotti immediatamente per Watson. Il leader dell’IBM telegrafò a Heidinger un sollecito messaggio di congratulazioni per la qualità del suo lavoro e la chiarezza con cui aveva espresso i propri sentimenti. In quasi tutti i campi di concentramento nazisti operava un dipartimento Hollerith noto come Hollerith Abteilung. In certi campi, come Dachau e Storkow, erano installate non meno di 2 dozzine di selezionatrici, tabulatrici e stampanti IBM. Altri campi effettuavano solo la perforazione e mandavano le schede in centri come Mauthausen o Berlino. Il macchinario IBM era quasi sempre sistemato all’interno dello stesso campo, affidato a un ufficio speciale addetto all’assegnazione del lavoro, in tedesco Arbeitseinsatz. Dall’Arbeitseinsatz uscivano quotidianamente le importantissime assegnazioni ai posti di lavoro e l’ufficio era anche incaricato dell’elaborazione delle schede di tutti i prigionieri e dei ruolini dei turni di trasferimento. Necessitava quindi di un continuo traffico di elenchi, schede perforate e documenti codificabili dal momento che ogni gesto dei prigionieri era controllato e seguito con cura maniacale. Il Reich creò campi in tutta Europa, ma non erano tutti uguali. Alcuni, come Flossenbürg in Germania, erano campi di lavoro in cui i prigionieri dovevano lavorare fino alla morte per spossatezza. Altri, come Westerbork in Olanda, erano campi di transito, cioè tappe sulla strada della destinazione finale. Un certo numero, come per esempio Treblinka in Polonia, erano stati creati unicamente allo scopo di eliminare immediatamente i prigionieri nelle camere a gas. Infine campi come quello di Auschwitz univano tutti e tre gli elementi. Senza i macchinari dell’IBM, la manutenzione continua e il rifornimento di schede perforate, i campi di Hitler non avrebbero mai potuto eseguire i loro terrificanti compiti come invece fecero. Ai campi più grandi era stato assegnato un numero in codice Hollerith per il lavoro d’ufficio: Auschwitz 001, Buchenwald 002, Dachau 003, Flossenbürg 004, Gross-Rosen 005, Herzogenbusch 006, Mauthausen 007, Natzweiler 008, Neuengamme 009, Ravensbrück 010, Sachsenhausen 011, Stutthof 012. Auschwitz, codice 001, non era solo un campo, ma un immenso complesso comprendente posti di transito, fabbriche e fattorie in cui lavoravano schiavi, camere a gas e crematori. Nella maggior parte dei campi l’Arbeitseinsatz non si limitava a classificare i posti di lavoro, ma anche gli elenchi dell’ospedale del campo e le statistiche delle morti e dei reclusi da consegnare alla Sezione politica. È però possibile che ad Auschwitz le attrezzature Hollerith fossero utilizzate, e pertanto collocate, in altri uffici. Nell’agosto 1943 un commerciante di legname di Bendzin in Polonia arrivò con un gruppo di 400 reclusi, per la maggior parte ebrei. Un medico polacco lo visitò rapidamente per stabilire se fosse adatto al lavoro. Il suo stato fisico fu annotato su un registro medico per l’”indice dell’ospedale del campo”. Poi la sua registrazione di prigioniero fu completata con tutti i particolari personali. Il suo nome fu controllato sugli indici della Sezione Politica per vedere se fosse stato sottoposto a particolari efferatezze. Infine fu registrato su un’attrezzatura Hollerith nell’indice della manodopera per l’Arbeitseinsatz e gli fu assegnato un tipico numero Hollerith a cinque cifre, il 44673. Questo numero lo avrebbe seguito in assegnazione mentre il sistema Hollerith reperiva la sua disponibilità ai vari lavori e la riportava nell’archivio centrale dei reclusi conservato dal dipartimento DII. Il Dipartimento DII dell’Ufficio di Economia delle SS di Oranienburg dirigeva tutte le assegnazioni di lavori per gli schiavi. Più tardi lo stesso numero Hollerith a cinque cifre del commerciante di legname gli fu tatuato sull’avambraccio. Alla fine, quella stessa estate, tutti i non tedeschi di Auschwitz furono tatuati con i numeri Hollerith. Ma i numeri tatuati si svilupparono rapidamente ad Auschwitz. Ben presto non ebbero più alcuna relazione con la compatibilità Hollerith per un semplice motivo: il numero Hollerith era destinato a individuare un recluso che lavorasse, non un recluso morto. Quando il tasso di mortalità ad Auschwitz aumentò, i numeri basati sulle Hollerith semplicemente non servirono più. Ai cadaveri venivano subito tolti gli abiti, rendendo difficile l’identificazione per gli elenchi dei decessi basati sulle Hollerith. Perciò i numeri furono scritti con l’inchiostro sul torace dei reclusi. Ma siccome era difficile scorgerli tra i mucchi sempre più grandi di cadaveri, si decise che gli avambracci fossero più visibili. Furono subito inaugurati sistemi di numerazione ad hoc. Diverse serie di numeri, spesso anche con lettere, furono assegnate ai reclusi in ordine crescente. Il Dottor Josef Mengele, che eseguiva orribili esperimenti, tatuava il suo personale numero di serie sui suoi pazienti. La numerazione con i tatuaggi continuò con una sua caotica incongruenza come sistema d’identificazione specifico di Auschwitz. Ma i numeri Hollerith rimasero il metodo principale per identificare e rintracciare i prigionieri ad Auschwitz, in particolare quando il campo doveva rispondere agli ordini di Berlino. Per esempio, alla fine del 1943, le SS ordinarono di gassare circa 6.500 ebrei in salute e in grado di lavorare. Ma l’uccisione fu rimandata di due giorni quando la Sezione Politica controllò meticolosamente ogni numero con il suo stesso indice delle schede. La Sezione aveva ricevuto l’ordine di risparmiare momentaneamente gli ebrei che avessero tracce di discendenza ariana.”  [Edwin Black, L’IBM e l’Olocausto, http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/13/Ibm_segreto_mister_Watson_co_0_0102138520.shtml]

Se si uniscono le ricerche di Breitman a quelle di Black, si comprende come gli anglo-americani non si siano limitati a non contrastare direttamente i crimini nazisti contro le minoranze e gli ebrei, ma abbiano collaborato attivamente con le autorità naziste ad attuare crimini.

Il 6 novembre 1980, Big Blue, la più grande azienda di computer del mondo firmava una not holy alliance per portare un personal computer IBM con un sistema operativo Microsoft in tutto il mondo [https://www.repubblica.it/tecnologia/2021/07/22/news/l_incontro_segreto_fra_bill_gates_e_la_ibm_per_portare_un_personal_computer_in_ogni_casa-311225337/]. Il film Silicon Valley mostra bene l’episodio dell’incontro tra Bill Gates e gli uomini dell’IBM [https://www.youtube.com/watch?v=9nfgRf2A0Tc] e documenta anche come Bill Gates abbia barato a proposito del DOS, che, poi, diverrà MS-DOS,  quel 22 luglio 1980 [https://corrierequotidiano.it/tecnologia/lincontro-segreto-fra-bill-gates-e-la-ibm-per-portare-un-personal-computer-in-ogni-casa/]. Il giovane Gates ha, quindi, debuttato con un retroterra di tutto rispetto, non è spuntato dal nulla e divenuto multimiliardario in 10 anni, come nel miglior sogno americano del self–made man. E, come tutti i grandi capitalisti americani, anche lui si è fatto la sua foundation, che gode dello status giuridico del no-profit, la Bill & Melinda Gates Foundation, una istituzione filantropica senza scopo di lucro, autonoma, sostenuta pubblicamente, con lo scopo di costituire fondi permanenti per il raggiungimento dei suoi obiettivi e con ampie, se non totali, esenzioni dalle imposte. La Bill & Melinda Gates Foundation persegue come obiettivi, oltre alla ricerca medica, la lotta all’AIDS e alla malaria, il diritto a un accesso universale all’aborto e promuove la diffusione della teoria del gender, che distingue tra sesso e genere. Negli Stati Uniti, dove è diventato il più grande proprietario terriero, in poco tempo e silenziosamente, il fondatore di Microsoft è arrivato ad acquistare circa 269 mila acri di terreno, più di un 1 miliardo di metri quadrati. La notizia l’ha rivelata The Land Report [https://landreport.com/2021/01/bill-gates-americas-top-farmland-owner/], il principale magazine di proprietari agricoli degli Stati Uniti. Il multimiliardario americano ha un portafoglio di campi agricoli sparsi in ben 18 Stati. I possedimenti più grandi sono in Louisiana [69.071 acri], Arkansas [47.927 acri] e Nebraska [20.588 acri]. Secondo The Land Report, Bill Gates li possiede direttamente o tramite Cascade Investments, il suo principale fondo d’investimento personale. La Bill & Melinda Gates Foundation è il principale investitore della Svalbard Global Seed Vault, letteralmente il deposito globale di semi delle Isole Svalbard. Si tratta di una super banca dati di sementi costruita in Norvegia, nelle Isole Svalbard, a circa un migliaio di chilometri dal Polo Nord. Il deposito è stato attrezzato in una grotta scavata nel permafrost, ipertecnologica e ultra protetta: portoni a prova di bomba, rilevatori di movimento, pareti di cemento armato e titanio. Il suo obiettivo dichiarato è la conservazione di circa 4 milioni di diverse sementi [un vero e proprio patrimonio] che l’uomo ha sviluppato negli ultimi 10mila anni della sua Storia, ovvero dalla nascita dell’agricoltura, per fare in modo che la biodiversità sia preservata in caso di disastri nucleari o naturali. Altri promotori del progetto sono la Fondazione Rockfeller, Monsanto, DuPont Pioneer e Syngenta, le 3 società che controllano il 90% del mercato mondiale dell’agricoltura.

Viene in mente una vecchia frase di Henry Kissinger, uno dei grandi vecchi maitre à penser del mondialismo, che diceva:

“Chi controlla il petrolio controlla i Paesi, chi controlla il cibo controlla le popolazioni.” [https://pdf.usaid.gov/pdf_docs/PCAAB500.pdf]

La Bill & Melinda Gates Foundation ha donato miliardi alla causa del miglioramento della salute globale, in gran parte sponsorizzando vaccini e programmi agricoli nei Paesi del Terzo Mondo, ma Bill Gates, in realtà, non offre i suoi vaccini, chiede alla popolazione di ricevere un “certificato digitale” che dimostri che è stata vaccinata. ID2020 è il nome del progetto che potrebbe portare praticamente all’identificazione digitale di ogni persona del Pianeta. Nel suo sito ufficiale si legge che ID2020 è una sorta di partnership pubblico-privata che vede il coinvolgimento di ONU, Governi e soci fondatori, che sono, anche, i suoi più attivi finanziatori, Microsoft, GAVI Alliance e la famiglia Rockefeller. Nello Stato del Texas, i poveri senzatetto sono,  già, stati utilizzati per la sperimentazione. Anche il Governo del Bangladesh ha aderito, ufficialmente, a questa iniziativa, nel settembre del 2019 [https://www.biometricupdate.com/201909/id2020-and-partners-launch-program-to-provide-digital-id-with-vaccines]. Le implicazioni per la privacy sarebbero devastanti, dal momento che tutti virtualmente potrebbero essere sottoposti a una vera e propria sorveglianza digitale di massa. Nessuno ovviamente si è preoccupato di far notare il macroscopico conflitto d’interesse di Gates che, promuovendo uno strumento simile, difatti consegnerebbe a se stesso un enorme potere di controllo sulla popolazione mondiale. Nonostante il progetto venga presentato sotto una patina umanitaria, in realtà, nasconde implicazioni inquietanti sia per i profitti dei soggetti coinvolti in ID2020, sia per le dirette conseguenze sulla libertà personale, consentendo a chi gestisce l’archivio digitale di tracciare i movimenti di chiunque. Il Big Brother digitale, con la scusa di tutelare la salute personale, potrebbe sapere in tempo reale dove si trovi una persona e cosa stia facendo.

“Le persone incaricate di prendere decisioni finanziarie e politiche devono capire i progressi che registriamo ogni giorno. Credo che abbiamo l’opportunità di fare progressi ancora più importanti, in modo più rapido e per più persone. Questa opportunità è la ragione per la quale ho dedicato il mio tempo alla Fondazione Gates. Salute e sviluppo è il lavoro più importante che possa svolgere, e sia io che Melinda dedicheremo il resto della nostra vita a questo lavoro.” [http://www.nsis.salute.gov.it/portale/temi/documenti/rapporti/oms/64/C_17_pagineAree_1784_listaFile_itemName_34_file.pdf; http://www.vita.it/it/article/2011/05/19/bill-gates-alla-conquista-delloms/109134/, https://www.youtube.com/watch?v=ChIQ2KQ7eBw],

sono parole pronunciate da Bill Gates, il 18 maggio 2011, in occasione dell’inaugurazione della LXIVa Assemblea Annuale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità [OMS], svoltasi a Ginevra, dal 16 al 24 maggio 2011. La diminuzione delle donazioni volontarie aveva costretto l’OMS a ridurre le spese previste negli uffici regionali e presso la sede centrale di Ginevra, dove 300 posti su 2400 non erano stati confermati. Margaret Chan, l’allora Direttore Generale dell’OMS intendeva far approvare “la più vasta riforma mai intrapresa dalla nascita dell’organizzazione nel 1948”. Nel 2010, la Bill & Melinda Gates Foundation, azionista di rilievo del mercato vaccinale, aveva versato donazioni volontarie all’OMS per quasi 220 milioni di dollari, posizionandosi come secondo donatore dopo gli Stati Uniti.

“Il mio budget è altamente stanziato, per questo viene indirizzato verso quelli che io chiamo interessi dei donatori.”

sono parole dell’allora Direttore Generale dell’OMS Margaret Chan.

2 articoli de Il Sole 24 Ore Sanità, risalenti al 2011, denunciavano come il 76% del budget dell’OMS fosse costituito da donazioni volontarie, per lo più indirizzate a specifiche attività decise dai donatori. Uno degli articoli rimarcava testualmente che “l’OMS ha perso il controllo prima delle proprie politiche e poi delle proprie finanze”, che “non può più decidere autonomamente quali politiche di salute attuare; e che il filantrocapitalista Bill Gates, quell’anno, avesse inaugurato “il decennio dei vaccini”, all’Assemblea Annuale dell’OMS [https://www.saluteinternazionale.info/2011/05/bill-gates-inaugura-il-decennio-dei-vaccini/?pdf=5933].

“L’Organizzazione mondiale della Sanità ha riunito in questi giorni a Ginevra una sessione straordinaria del suo Consiglio esecutivo per affrontare un passaggio che possiamo dire storico: la riforma dell’agenzia, resa pressante dalla sua crisi finanziaria. La sessione ha coinciso con l’apertura del G20 a Cannes, dedicato alla crisi finanziaria internazionale, una sovrapposizione che rimanda al nesso fra i due eventi. L’OMS non sta bene. La sua crisi, sotto le mentite spoglie di un deficit che supera i 300 milioni di dollari quest’anno, è una crisi di identità. Di credibilità. Creata per governare la salute pubblica globale e per assicurare il più elevato standard di salute possibile per tutti i cittadini del mondo, fino al 1990 non aveva problemi ad attrarre finanziamenti pubblici. Da almeno 30 anni però l’OMS ha perso il controllo prima delle proprie politiche e poi delle proprie finanze. Oggi più dell’80% delle risorse disponibili proviene da contributi volontari, pubblici e privati, per specifiche attività decise dai donatori, mentre i contributi regolari dei 193 Stati Membri rappresentano meno del 20% del budget. Con una percentuale di contributi regolari così risicata, l’OMS non può più decidere autonomamente quali politiche di salute attuare. Il paradosso è che i fondi per la salute globale sono aumentati molto negli ultimi decenni, dai 5,7 miliardi di dollari del 1990 ai 26,9 nel 2010; ma questi soldi hanno via via cambiato direzione. Si sono allontanati progressivamente dalla funzione politica dell’OMS per essere dirottati verso la miriade di iniziative pubblico-private [ne esistono ormai oltre un centinaio, e toccano tutti i settori della medicina] sorte negli ultimi 15 anni per l’azione trainante della filantropia imprenditoriale e il connesso boom di interventismo sanitario di pochi Paesi donatori indirizzato, tramite questi nuovi soggetti, ad azioni specifiche su singole patologie [in primis HIV/AIDS, malaria e tubercolosi].” [https://osservatorioitalianosaluteglobale.files.wordpress.com/2011/12/sole24h_riformaoms_nov2011.pdf, http://www.medicinapiccoledosi.it/cosi-funziona-loms/, https://www.saluteglobale.it/index.php/2011/11/30/rispondere-ai-bisogni-e-non-al-potere-dei-soldi/]

L’Italia non ha conosciuto nulla di simile al Processo di Norimberga, sebbene sia stata con la Germania il principale socio dell’Asse. Anche il fascismo si è reso colpevole di crimini contro l’Umanità, ovvero “l’uccisione, lo sterminio, la riduzione in schiavitù, la deportazione o ogni altro atto disumano commesso contro qualsiasi popolazione civile prima e durante la guerra”, ma sappiamo bene che, per crimini di guerra, nessun italiano, militare o civile, è, mai, stato condannato. Il nazismo non finì con la caduta del regime, ormai si sa, e diversi furono gli ufficiali tedeschi che si rifugiarono nei Paesi vicini alla Germania. In Italia, molti si ricorderanno di Erich Priebke e dei momenti di tensione vissuti ad Albano, nel 2013, durante il suo funerale. Oltre a lui, vi fu un altro nazista che visse nel nostro territorio e morì a Castel Gandolfo. Il suo nome era Karl Hass e, come Priebke, fu uno dei responsabili dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Il periodo castellano fu solo l’ultimo di una vita lunga, vissuta come ufficiale della Gestapo prima, durante la guerra, e come agente segreto dopo, lavorando per gli americani. La storia italiana di Karl Hass inizia nel 1943, quando viene inviato a Roma subito dopo la caduta del regime fascista. Il suo compito era quello di arrestare i Ministri che si opponevano al Duce e, al contempo, fornire a Berlino informazioni sugli alleati per contrastarne l’avanzata dall’Italia Meridionale. L’attività romana di Hass culminò con l’eccidio delle Fosse Ardeatine, cui partecipò anche Priebke, dove morirono 335 persone tra civili e partigiani di tutte le età e confessione religiosa. Furono fucilati giovani e anziani, sani e malati, cristiani ed ebrei. La storia di Karl Hass diventa ancora più torbida nel dopoguerra, periodo in cui riesce a sfuggire a tutti i processi per crimini di guerra che lo coinvolgono grazie alla sua collaborazione con il Counter Intelligence Corps [CIC], il servizio segreto militare statunitense. Gli americani salvarono Hass dalla clandestinità e, sotto la loro protezione, l’ex-ufficiale delle SS collaborò come spia per il contrasto al comunismo. Karl Hass riuscì, così, a sfuggire al processo del 1962 per il massacro delle Fosse Ardeatine, per il quale fu condannato solo 30 anni dopo, nel 1996, anno in cui confermò la sua storica appartenenza a una rete sovversiva, composta da ex-nazisti e fascisti italiani, ai quali, negli Anni Settanta fu attribuita l’organizzazione della Strage di Piazza Fontana. Hass fu un tassello delle oscure connessioni tra americani e neofascisti italiani. Ebbe rapporti con Mario Tedeschi, noto giornalista e politico italiano che fu anche membro della Loggia P2, che, come dichiarò lo stesso Hass, era anch’egli un agente del Counter Intelligence Corps. Karl Hass proseguì le sue attività sul territorio italiano praticamente indisturbato fino al 1996, anno in cui fu processato insieme a Priebke. Viveva a Milano e, non appena venne a conoscenza che un gruppo di agenti della Digos stava arrivando per arrestarlo, fuggì a Ginevra, dove condusse una lunga trattativa con la Procura di Roma, che terminò con un accordo sulla sua testimonianza nel processo contro Priebke. Una volta giunto a Roma, Hass decise di tornare sui suoi passi e fuggì nuovamente, scappando dalla finestra dell’albergo in cui alloggiava in attesa del processo. Nella fuga, Hass riportò gravi ferite [aveva 84 anni], e fu ricoverato in una clinica di Grottaferrata. Dopo questo ennesimo tentativo di fuga, saltarono gli accordi con la Procura di Roma, che, nel medesimo processo di Priebke, lo condannò all’ergastolo per i crimini di guerra di cui si era macchiato. Sentenza che arrivò troppo tardi per un uomo come Hass, che per una vita contribuì a tenere in vita l’eredità nazista e fascista sul nostro territorio. Dopo il processo, Hass passò gli ultimi anni in una Casa di Riposo di Castel Gandolfo, dove morì nel 2004, a 91 anni. Il suo corpo è sepolto nel cimitero comunale della città sul lago. Un nome dimenticato, incarnazione di un male che da sempre affligge il nostro Paese e che non è certo finito con la caduta del regime fascista.

“Borante Domizlaff, maggiore delle SS; Karl Hass, anche lui maggiore SS, e Otto Wachter, generale SS nonché governatore della Galizia e responsabile della morte di centinaia di migliaia di ebrei, sono i 3 ufficiali tedeschi che si guadagnavano il gettone “da 10mila lire” per le comparsate cinematografiche a Cinecittà.

“Che nel Dopoguerra Roma pullulasse di nazisti in fuga verso il Sudamerica o il Medio Oriente lo si sapeva. Che nella loro permanenza fossero aiutati e sostenuti da importanti pezzi delle gerarchie vaticane pure lo si sapeva. Che tutto ciò avvenisse con il beneplacito dei servizi segreti americani – che utilizzavano le ex prime linee di Hitler in chiave anticomunista – è ormai verità storica conclamata. Che invece tanti di loro, almeno 3 ma forse di più, sbarcassero il lunario recitando in ruoli minori in importanti film italiani – come Una Vita difficile di Dino Risi o La caduta degli Dei di Luchino Visconti –, questo è meno noto. O meglio: è noto per lo più a storici e addetti ai lavori. Che poi le parti a loro assegnate fossero autobiografiche – soldati tedeschi cattivi e senza cuore – beh, questo è il classico caso in cui la storia diventa farsa. O più precisamente, visto che parliamo di Cinecittà, è il caso in cui il confine fra finzione e realtà più che superato viene completamente abbattuto.

Borante Domizlaff, maggiore delle SS, Karl Hass, anche lui maggiore SS, e Otto Wachter, generale SS nonché governatore della Galizia e responsabile della morte di centinaia di migliaia di ebrei: sono loro i 3 ufficiali tedeschi che si guadagnavano il gettone “da 10mila lire” per le comparsate cinematografiche. Con un ulteriore dettaglio che ha del paradossale – come se del paradosso non ce ne fosse a sufficienza in questa vicenda –: 2 di loro, Domizlaff e Hass parteciparono attivamente all’eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma del 1944. Ma si sa, la Città Eterna perdona facilmente i propri figli prodighi, figurarsi quelli che vengono da lontano, in questo caso gli ex occupanti tedeschi. Il mistero Domizlaff Uno dei film più belli di Dino Risi, Una vita difficile, si apre con il partigiano Silvio, interpretato superbamente da Alberto Sordi, che in piena Seconda Guerra Mondiale cerca di sfuggire alla caccia nazista trovando rifugio in un albergo sul Lago di Como. Sfortunatamente per lui, però, viene scoperto da un ufficiale tedesco che intende fucilarlo sul posto. “Traditore italiano! Tu hai sparato ai camerati tedeschi”, gli urla mentre gli punta la pistola. Ma proprio un secondo prima dello sparo ecco che Elena [Lea Massari], la figlia della proprietaria dell’albergo, gli salva la vita uccidendo il tedesco con un ben assestato colpo di ferro da stiro. Sembra incredibile ma quel soldato non era un attore né un figurante qualsiasi. Era bensì qualcuno che di esecuzioni e crudeltà era avvezzo. Realmente avvezzo. Stiamo parlando di Borante Domizlaff, vero maggiore delle SS, che quelle uniformi non le portava per travestimento ma per convinzione. Durante l’occupazione tedesca di Roma aveva partecipato, sotto il comando del colonnello Herbert Kappler, alle operazioni di rastrellamento e poi all’esecuzione dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, con il quale il 24 marzo 1944 vennero uccisi 335 italiani, scelti tra civili, militari, prigionieri politici, detenuti comuni e cittadini di origine ebraica. Per questo fu poi processato nel 1948 da un tribunale militare italiano assieme a suoi altri 6 colleghi ma incredibilmente assolto per aver agito “nell’esecuzione di un ordine”. Alla fine infatti fu condannato solamente il colonnello Kappler.

Domizlaff continuò a vivere a Roma fino al 1961 e oltre, anno in cui il film di Risi fu girato, come ricostruisce bene il giornalista Mario Tedeschini Lalli, che da un lustro sta cercando di mettere assieme i pezzi della vita romana del maggiore SS. Secondo lui “l’unico lavoro che a quanto pare svolgeva era proprio nell’ambito del cinema: i famigliari ricordano vagamente che fosse traduttore italiano-tedesco a Cinecittà”. Ma soprattutto Tedeschini dà per certo che Domizlaff partecipò vestito da soldato tedesco ad almeno altre 2 produzioni di Cinecittà, anche se i ruoli non gli furono mai ufficialmente accreditati.

Il nazista a stelle e strisce Hass La Caduta degli Dei è uno dei capolavori di Luchino Visconti, il primo atto della trilogia tedesca, un film che racconta l’ascesa del nazismo attraverso la saga familiare di una aristocratica famiglia proprietaria di grandi acciaierie, industrie fondamentali per lo sforzo bellico imposto da Hitler. La pellicola è del 1969 e in quell’anno viveva indisturbato a pochi chilometri da Cinecittà Karl Hass, maggiore delle SS e vice di Herbert Kappler nel 1944. Sì, proprio quel Kappler che diede l’ordine di trucidare gli italiani alla Fosse Ardeatine. Hass organizzò il massacro assieme a un altro nome ben noto alle cronache nazionali e cioè Erich Priebke. Non a caso durante il processo a Priebke tenuto nel 1996 Hass fu costretto ad ammettere le sue colpe: l’aver eseguito l’ordine abominevole di Kappler e soprattutto aver sparato di proprio pugno ad almeno due persone. Ebbene, Hass è il secondo ufficiale ad aver lavorato a Cinecittà. Come scrive lo storico Fabio Simonetti nel libro “Via Tasso”, il maggiore SS partecipò alle riprese del film di Visconti interpretando il ruolo – ovviamente – di un ufficiale nazista. Ma come ha fatto Hass a sfuggire per anni alla giustizia italiana e soprattutto a vivere nel nostro Paese fino al processo del 96? Semplice: vendendosi ai servizi segreti americani. Nel Dopoguerra infatti il CIC [Counter Intelligence Corps], l’antenato della odierna CIA, pensò bene di reclutare una serie di militari nazisti in chiave anticomunista, in questo aiutato da alcune frange della gerarchia vaticana. In particolare Hass lavorava al soldo dell’agente segreto americano Thomas Lucid in cambio di protezione e a Roma si appoggiava al vescovo benefattore di tanti nazisti, Louis Hudal. Una rete – esposta dettagliatamente dal libro-inchiesta “La via di fuga” dell’accademico britannico Philippe Sands – che lo faceva sentire così al sicuro tanto da togliersi lo sfizio di comparire sul grande schermo in divisa nazista 25 anni dopo le Fosse Ardeatine. 25 anni vissuti da uomo libero.

10mila lire per Otto Wachter Proprio Sands ci conduce al terzo SS che amava costumi e macchine da presa. Stiamo parlando di Otto Wachter, sicuramente il nazista più potente dei 3 nonché quello che ha più morti e nefandezze a suo carico. Wachter infatti è stato l’artefice della creazione del Ghetto di Cracovia ma soprattutto è stato il “burocrate” che in qualità di Governatore della Galizia – regione che oggi appartiene all’Ucraina – ha agevolato la soluzione finale per centinaia di migliaia di ebrei che abitavano a Leopoli e dintorni. Lo scrittore inglese racconta per filo e per segno gli anni in cui il nazista della prima ora, di origini austriache, ha soggiornato a Roma fra conventi e strutture vaticane in attesa di imboccare la via di fuga verso l’Argentina. E lo fa potendo contare su quello che si può definire il “sogno bagnato” di ogni storico: le lettere che si scambiava con la moglie nel periodo di latitanza. Proprio dalla corrispondenza viene fuori la carriera cinematografica di Otto. Racconta alla sua Charlotte dei 2 film in cui partecipò come comparsa nel 1949. Il primo fu La forza del destino, lungometraggio basato sull’opera di Verdi in cui il protagonista era il famoso baritono Tito Gobbi. Un esperienza che soddisfò il boia di Leopoli sia artisticamente che economicamente. “Ho guadagnato i miei primi soldi come comparsa – scrisse entusiasta –. 10mila lire in soli 3 giorni!”. Ma è la sua seconda apparizione a essere clamorosa. Dopo qualche settimana fu arruolato come figurante in Donne senza nome dell’ungherese Geza von Radvanyi, regista famoso soprattutto per essere il fratello di Sandor Marai, quello del romanzo Le braci. Ebbene, è qui che il caso ci mette lo zampino producendosi in un incredibile ribaltamento di piani: Wachter, nazista fino al midollo, recita infatti come agente della polizia militare americana. Perfetta nemesi artistica prima ancora che storica. Chissà cosa avrebbe pensato, se l’avesse visto, il commilitone Hass, lui sì prezzolato dagli statunitensi per salvarsi la pelle. Peraltro i due si conoscevano bene e a quei tempi amavano nuotare assieme nel Lago di Albano, ai Castelli romani. Ma questa è tutta un’altra storia. Anzi, tutto un altro film.” [Gianni Del Vecchio, Nazisti a Cinecittà, Huff Post, 31 luglio 2021,  https://www.huffingtonpost.it/entry/a-cinecitta-nascondevano-i-nazisti-facendoli-recitare-da-nazisti_it_6102761be4b0d3b5897a887e/]

 

“Karl Hass, 84 anni, ex-maggiore delle SS, spia nazista prima, spia americana dopo. La sua storia è il filo nero che unisce – attraverso un percorso lungo e tortuoso – le Fosse Ardeatine alla strategia della tensione. Tra luglio e novembre dell’anno passato, l’ex-ufficiale nazista è stato interrogato dal giudice istruttore milanese Guido Salvini, che indaga sul terrorismo nero negli Anni Settanta. Ha raccontato – in modo cauto e reticente, secondo la valutazione della polizia giudiziaria – la sua storia. Ha così integrato il racconto fatto ai giudici militari nel processo sulla strage delle Fosse Ardeatine. Allora confessò di aver ucciso due degli ostaggi “per dare l’esempio ai soldati”.

Spia nazista. “Sono entrato nel servizio di sicurezza a Berlino, nel 1934 come militare semplice. Lavoravo nell’ufficio stampa. Il 25 luglio del 1943 vengo prescelto, insieme ad altre 15 persone, per la mia piccola conoscenza della lingua italiana, agli ordini di Otto Skorzeny al fine di arrestare i Ministri italiani che si erano opposti al Duce. Atterrammo a Pratica di Mare. Dopo 2 o 3 giorni venni prelevato da personale dell’ ambasciata, che mi fece presente che ero stato trasferito all’ufficio sesto del servizio sicurezza, che si occupa dello spionaggio estero. Avrei dovuto raccogliere informazioni sulla situazione italiana da trasmettere a Berlino. Tramite miei agenti riuscii ad anticipare a Berlino la fuga di Badoglio”.

Agente della CIA. Per il giudice Salvini, l’interrogatorio di Karl Hass è stata la conseguenza ovvia della più sconcertante delle scoperte fatte durante l’indagine sul terrorismo nero degli Anni Settanta e le stragi: l’esistenza in Italia, fin dal dopoguerra, di una struttura del servizio segreto americano dove convivevano agenti statunitensi, ex-nazisti e fascisti locali. Questi ultimi erano, contemporaneamente, eversori del sistema democratico italiano e informatori del servizio segreto del Paese alleato: nel 1969 collaborarono alla preparazione della Strage di Piazza Fontana. Hass, anni prima, aveva fatto parte di questa rete. Era stato arruolato dallo stesso ufficiale americano - Joseph Luongo, che è vivo, e ha 81 anni - che arruolava i fascisti italiani. “Nel novembre del 1947 vivevo in clandestinità nel convento, forse del Sacro Cuore, a Fermo. Mi trovavo là, proveniente da Roma dove ero stato accompagnato da un amico del Movimento Sociale Italiano. Arrivò una jeep americana con a bordo un capitano del CIC [servizio segreto militare americano operante in quegli anni, ndr].

Testualmente egli mi fece presente che aveva altro da fare che cercarmi per le mie varie fughe e mi chiese se volevo collaborare con loro per far fronte alla minaccia comunista. Fui molto contento perche mi offriva la possibilità di non vivere più in clandestinità.

Accettai”. Hass, vestito d’una divisa americana, viene portato in Austria dove incontra il suo arruolatore. “Il Luongo mi mandò in Italia con compiti informativi inerenti le elezioni dell’aprile 1948. Io in pratica ero inserito in una rete di numerosi agenti che operava sotto la responsabilità di Padre Morlion. Io mi avvalevo, o meglio recepivo le informazioni che riferivo agli americani, negli ambienti del MSI, in particolare da Mario Tedeschi e da Giorgio Almirante con il suo ufficio stampa. Faccio presente che Mario Tedeschi era un agente del CIC ed appresi questa circostanza nel corso di una accesa discussione che questi ebbe con Almirante sulla destinazione dei fondi americani che erano giunti al MSI. Altra collaborazione di valore si ebbe da De Boccard [...] Il mio stipendio era di 1.000 dollari al mese. Non avevo un nome in codice né sono a conoscenza del nome in codice della rete, se esisteva”.

Agente provocatore. Quel De Boccard di cui parla Hass a proposito della sua attività in Italia è un nome noto ai magistrati che si occupano dei fatti di eversione. Giornalista di estrema destra, fu tra i relatori del convegno sulla “guerra non ortodossa” che si tenne nel 1965 a Roma, nell’Hotel Parco dei Principi. Il fatto che Hass lo conoscesse ha un certo rilievo. Anche perché altre indagini hanno dimostrato che negli anni delle stragi esisteva un rapporto stretto tra i fascisti italiani e organizzazioni che erano in contatto con gli ex-nazisti.

Ma, durante l’interrogatorio, Hass probabilmente capisce che si è spinto troppo in là. Circoscrive la sua conoscenza con De Boccard a un rapporto tra amici e da quel momento in poi nega di conoscere tutti i personaggi di cui gli viene fatto il nome. Anche l’interrogatorio successivo non soddisfa. Ma subito dopo la conclusione si verifica un fatto sorprendente. [Qua non ci sono le parole di Hass ma la sintesi del suo discorso fatta dall’ufficiale di polizia giudiziaria]. “Terminato l’atto, Hass, probabilmente consapevole dell’impressione negativa suscitata e nel timore che questa potesse influire sul giudizio di cui tra breve sarà oggetto [cioè il processo che comincia oggi, ndr] si proponeva quale agente provocatore per fornire informazioni sulla strategia della tensione avendo conosciuto Cesare Ferri, quattro anni fa, in un ristorante, quale appartenente al Fronte Nazionale di Franco Freda. Aggiungeva inoltre di essere stato oggetto di un tentativo di contatto da parte di Stefano Delle Chiaie”. E coi nomi di Stefano Delle Chiaie e di Franco Freda la lunga storia di Karl Hass, dalle Fosse Ardeatine a piazza Fontana, si conclude. Ma per poco: la parte civile del processo per la Strage delle Fosse Ardeatine ha già chiesto che i verbali dell’inchiesta milanese vengano acquisiti agli atti del processo Priebke.” [Giovanni Maria Bellu, Karl Hass, carriera di un SS “Sì, farei ancora la spia”, la Repubblica, 14 aprile 1997 [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/04/14/karl-hass-carriera-di-un-ss-si.html]

L’Italia ha sulla coscienza anche una sua “Norimberga italiana” che non vi è, mai, stata.

E i crimini contro l’Umanità non sono soggetti a prescrizione: le sentenze di condanna sono emesse a nome dell’Umanità intera!

Il Codice di Norimberga traccia una linea di divisione tra sperimentazione lecita e tortura, e su sperimentazioni non regolate, prive di fondamenti etici e si articola su 10 punti, che è fondamentale conoscere:

1.   Il consenso volontario è assolutamente essenziale. Ciò significa che la persona interessata debba avere capacità legale di esprimere il consenso; che essa sia nella condizione di poter esercitare un libero potere decisionale senza che si intervenga con la forza, con la frode, con l’inganno, con minacce o esagerando con qualsiasi forma di vincolo o coercizione; che essa abbia sufficiente conoscenza e comprensione degli elementi coinvolti nello studio [cioè gli ingredienti!], tali da permettere una decisione consapevole e ragionata. Questo ultimo elemento fa sì che prima che il soggetto decida affermativamente sia informato circa la natura, la durata, lo scopo della sperimentazione, nonché dei metodi con cui verrà condotta, qualsiasi disagio o pericolo potenziale ed i possibili effetti sulla salute che potrebbero derivare dal partecipare alla sperimentazione. Il dovere e la responsabilità di accertare la bontà del consenso rimane in capo alla persona che avvia o dirige la sperimentazione. Questo è un dovere personale ed una responsabilità che non possono essere delegate impunemente.

2.   L’esperimento dovrà essere tale da fornire risultati utili al bene della società; la natura dell’esperimento non dovrà essere né casuale, né senza scopo.

3.   Ci dovrà essere una pianificazione dell’esperimento sulla base degli esperimenti in fase preclinica in vivo, e sulla base della conoscenza approfondita della malattia.

4.   L’esperimento dovrà essere condotto in modo tale da evitare ogni sofferenza o lesione fisica o mentale che non sia necessaria.

5.   Non si deve eseguire la sperimentazione se a priori si è a conoscenza che tale sperimentazione possa causare danni o morte.

6.   Il grado di rischio da correre non dovrà oltrepassare quello dei vantaggi, determinati dalla rilevanza umanitaria del problema che l’esperimento dovrebbe risolvere.

7.   Si dovrà fare una preparazione tale da evitare che il soggetto abbia lesioni, danni o morte.

8.   L’esperimento potrà essere condotto solo da persone scientificamente adeguate e qualificate, con il più alto grado di attenzione verso la sperimentazione e l’essere umano.

9.   Nel corso dell’esperimento il soggetto umano dovrà avere la libera facoltà di porre fine ad esso se ha raggiunto uno stato fisico o mentale per cui gli sembra impossibile continuarlo.

10.                  Durante l’esperimento lo scienziato responsabile deve essere pronto a interromperlo in qualunque momento se indotto a credere che la continuazione dell’esperimento comporterebbe probabilmente lesioni, invalidità o morte per il soggetto umano.

Proclamando, in modo solenne la necessità del consenso del soggetto umano, come requisito pieno e non sostituibile da altre forme di legittimazione, il Codice di Norimberga afferma la diversità della pratica sperimentale da quella medico-assistenziale [https://www.iss.it/documents/20126/45616/Pagina1_154Relazione98_5.pdf/b7310032-9f98-6e12-af13-bbbd616196d9?t=1581103017730]. Nei decenni successivi attraverso un percorso tutt’altro che uniforme nei vari Paesi e certo non esente da contraddizioni, sono stati adottati, da differenti organizzazioni, vari codici per una appropriata e responsabile conduzione degli esperimenti sull’uomo nella ricerca medica:

-     Dichiarazione di Ginevra [1948];

-     Dichiarazione di Helsinki [1964]: in cui vengono enunciati i principi fondamentali ai quali si deve ispirare la ricerca clinica. In primo luogo, viene affermato che lo scopo del medico è la salute del paziente, la sperimentazione sull’uomo viene considerata come il mezzo per lo sviluppo della medicina e nel corso di questa attività, devono essere prese tutte le precauzioni per evitare danni all’ambiente e preservare il benessere degli animali utilizzati nelle ricerche e deve essere effettuata una attenta valutazione del rapporto rischi/benefici. Viene ribadita, altresì, l’importanza del consenso informato. Tuttavia, mentre il Codice di Norimberga lascia ancora la richiesta del consenso nell’ambito del rapporto deontologico diretto tra paziente e medico, la Dichiarazione di Helsinki introduce una innovazione agli “attori della ricerca” che sono non solo lo sperimentatore e il soggetto della ricerca ma anche il comitato indipendente, al quale spetta il compito di esaminare, a garanzia esterna, il protocollo dello studio e fornire eventuali commenti e suggerimenti allo sperimentatore.

-     Rapporto Belmont [1979];

-     Convenzione di Oviedo per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti delle applicazioni della biologia e della medicina, adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa e firmata a Oviedo il 4 aprile 1997;

-     articolo 47 del Codice di Deontologia Medica: Sperimentazione scientifica.

Nell’aprile del 1992, l’Italia ha recepito nella normativa le Linee Guida sulla Sperimentazione Clinica, edite dalla Comunità Europea, che prevedono l’obbligo di istituire un Comitato Etico della sperimentazione oltre ad altri organismi importanti per la conduzione del trial e ribadiscono l’obbligo di ottenere il consenso informato.

Il Decreto Legislativo 24 giugno 2003, n. 211 “Attuazione della direttiva 2001/20/CE relativa all’applicazione della buona pratica clinica nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico” tratta, diffusamente, del consenso informato.

“I requisiti essenziali del consenso informato devono essere i seguenti:

Consapevole: Il consenso deve essere espresso da un individuo capace di intendere e di volere. La capacità di intendere non è valutabile separatamente dalla capacità di volere.

Personale: Ha titolo ad esprimere il consenso esclusivamente il paziente. L’informazione a terzi [compresi anche i familiari], è ammessa soltanto con il consenso esplicitamente espresso dal paziente, dai genitori del paziente nel caso dei minorenni, o da un rappresentante legale del paziente, nei casi previsti.

Manifesto: la volontà deve essere esplicita, inequivocabile, ed in forma scritta, o secondo le forme alternative previste come ad esempio la videoregistrazione.

Specifico: il consenso deve essere riferito allo specifico studio proposto, ovvero all’intervento o al trattamento proposto.

Preventivo e attuale: il consenso deve essere prestato prima dell’inizio della sperimentazione e l’intervallo di tempo tra la manifestazione del consenso e l’attuazione del primo atto clinico non deve essere tale da far sorgere dubbi sulla persistenza della volontà del paziente. È bene che sia l’informativa che il consenso siano datati e completati con il relativo orario.

Revocabile: il paziente può revocare il consenso e rinunciare alla partecipazione allo studio in qualsiasi momento.” [https://assr.regione.emilia-romagna.it/attivita/governo-ricerca/comitati-etici/cer/cer-sez-a-buone-pratiche-consenso-informato-guida-per-i-ricercatori.pdf/@@download/file/CER%20Sez%20A%20Buone%20pratiche%20per%20i%20Consenso%20Informato.pdf]

Come suggerisce il Regolamento [UE] n. 536/2014 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano e che abroga la Direttiva 2001/20/CE Testo rilevante ai fini del SEE [https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX%3A32014R0536], le informazioni devono essere chiare, concise, pertinenti e comprensibili ai non addetti ai lavori. Lo standard europeo medio fa, usualmente, riferimento alla comprensibilità da parte di un adulto di normale intelligenza, che abbia completato la scuola dell’obbligo. In ciò, la normativa europea si differenzia da quella statunitense, secondo cui le informazioni devono essere fornite “a prova di stupido”. Ciò spiega perché in media un modulo di consenso informato consti di 3 o 4 pagine in Italia, e di 20 pagine negli Stati Uniti.

Su questi principi minimi e inderogabili negli Stati Uniti e in Germania sono partiti i primi ricorsi a livello internazionale sulle modalità della vaccinazione anti Covid-19, sui rischi correlati, le conseguenze e anche il diritto inalienabile dell’individuo a opporsi.

Se l’adesione a una sperimentazione deve, quindi, essere volontaria con esplicito consenso informato, rendere obbligatorio un vaccino in Fase III con contestuale richiesta di consenso informato non rappresenta una contraddizione di fondo e un illecito penale e civile?

Il 7 gennaio 2021, il Codacons aveva presentato un’istanza [https://codacons.it/esonero-di-responsabilita-per-il-vaccino-anti-covid-la-clausola-e-illegittima/] al Ministro della Salute Roberto Speranza e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri perché si sforzassero maggiormente per favorire la tutela della salute nel rispetto dei diritti dei cittadini:

“Notizie di stampa [https://www.infermieristicamente.it/articolo/13096/un-documento-di-esonero-responsabilita-pfizer-tre-infermieri-rifiutano-vaccino] riportano che in alcuni casi, in sede di somministrazione del vaccino anti Covid-19 mRNABNT162b2 [Comirnaty] prodotto dalla società Pfizer, veniva richiesta la preventiva sottoscrizione di un modulo di esonero di responsabilità per danni, reazioni avverse ed inefficacia della vaccinazione in favore della società produttrice del vaccino e del personale medico impiegato nella sua concreta somministrazione.

Tuttavia, la clausola di esonero dalla responsabilità è da ritenersi illegittima – poiché in contrasto con la normativa italiana di cui alla Legge 210 del 1992. La nostra normativa prevede riconoscersi indennizzi per danni da vaccinazioni obbligatorie e la vaccinazione anti Covid-19, seppur non obbligatoria, risulta riconducibile alla suddetta disciplina. La ratio si ravvisa, infatti, nella volontà della tutela del diritto alla salute di coloro che si sottopongono, tra le altre cose, a vaccinazioni obbligatorie. Tuttavia, la Corte Costituzionale ha esteso questi principi alle vaccinazioni raccomandate affermando che “contrasterebbe con i parametri costituzionali evocati il diverso trattamento imposto dalla disposizione censurata, quanto alla corresponsione dell’indennizzo, tra coloro che risultano affetti da lesioni o infermità provocate da vaccinazioni obbligatorie e coloro che le medesime patologie manifestano a seguito di una vaccinazione, non obbligatoria ma raccomandata dall’autorità sanitaria […] Risultando tale vaccinazione finalizzata anche alla tutela della salute collettiva”. In questo modo è evidente la contrarietà della clausola di esonero della responsabilità alla disciplina applicabile nonché ai principi costituzionali riconosciuti e ribaditi dalla Corte Costituzionale.” [https://codacons.it/esonero-di-responsabilita-per-il-vaccino-anti-covid-la-clausola-e-illegittima/]

Quali erano le perplessità di Codacons?

Oltre ai dati personali e alle informazioni relative al vaccino, il modulo di consenso contiene un’informativa composta da 10 punti [https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_5452_3_file.pdf], di cui 3 sono quelli che destano maggiore preoccupazione secondo l’associazione.

Il punto 6 recita:

“Il vaccino potrebbe non proteggere completamente tutti coloro che lo ricevono. Infatti l’efficacia stimata dalle sperimentazioni cliniche [dopo due dosi di vaccino] è del 95% e potrebbe essere inferiore in persone con problemi immunitari.

Il punto 8 elenca una serie di effetti collaterali e la precisazione che “non è esaustivo di tutti i possibili effetti indesiderati che potrebbero manifestarsi durante l’assunzione del vaccino Pfizer-BioNTech COVID-19”.

Infine il punto 10 avverte:

“Non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza.”

Secondo il Codacons sembrerebbe che chi si sottopone al vaccino prodotto da Pfizer-Biontech debba obbligatoriamente sottoscrivere dei “moduli di scarico di responsabilità” che esonerano l’azienda farmaceutica e il personale sanitario che esegue la vaccinazione da qualsiasi responsabilità per eventuali reazioni avverse, danni a lunga distanza ovvero inefficacia della vaccinazione.

E, al riguardo, Codacons ricorda che l’articolo 1229 del codice civile [https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.progressivo=0&art.idArticolo=1229&art.versione=1&art.codiceRedazionale=042U0262&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.idGruppo=151&art.idSottoArticolo1=10&art.idSottoArticolo=1&art.flagTipoArticolo=2], tuttavia, stabilisce che è nullo qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore e dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico”. Non solo. La Legge n. 210 del 1992 [https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1992-02-25;210] riconosce indennizzi in favore dei soggetti che riportano danni irreversibili cagionati da vaccinazioni obbligatorie, e la Corte Costituzionale ha più volte affermato che la sua applicazione deve estendersi anche a quelle vaccinazioni riconoscibili come raccomandate”.

Partendo da questi presupposti “l’imposizione della sottoscrizione di un esonero di responsabilità per eventuali danni cagionati dal vaccino anti Covid è del tutto contraria alla disciplina prevista dalla legge nonché ai diritti costituzionalmente garantiti al singolo quali, in primo luogo, il diritto alla salute. Ne consegue, pertanto, che il modulo di cui si richiede la sottoscrizione per poter accedere alla campagna di vaccinazione contro la Covid-19 è da ritenersi contrario ai principi del nostro ordinamento e, quindi, nullo, nella parte in cui prevede un esonero di responsabilità in favore dell’azienda produttrice e del personale sanitario per eventuali reazioni avverse, danni a lunga distanza ovvero inefficacia della vaccinazione”.

[https://codacons.it/esonero-di-responsabilita-per-il-vaccino-anti-covid-la-clausola-e-illegittima/]

Il caso del Talidomide [https://www.pourlascience.fr/sd/histoire-sciences/la-terrible-affaire-de-la-thalidomide-3343.php?fbclid=IwAR356TzbPHQqw-N2LWYHYk9JcfOPz6QknDOk1XjoBbByeuCPuJOIskUnHlM], utilizzata per trattare l’insonnia e le nausee mattutine nelle donne in gravidanza, ha 70 anni. Memoria sinistra, che è utile rievocare, in quanto il prodotto è stato, recentemente, riutilizzato a fini terapeutici [https://www.aifa.gov.it/documents/20142/961234/Determina_283-2022_Thalidomide-BMS.pdf, http://www.farmacista33.it/ok-aifa-per-talidomide-contro-mieloma-multiplo/politica-e-sanita/news-10220.html, https://www.aifa.gov.it/-/nota-informativa-importante-su-talidomide].

“La storia del Talidomide inizia ufficialmente negli Anni Cinquanta. La prima apparizione sul mercato fu con il prodotto commerciale denominato Grippex [Talidomide in associazione con altri principi attivi] prodotta dalla ditta tedesca Chemie Grünenthal. Il Grippex somministrato in forma sperimentale per il trattamento di infezioni respiratorie non ebbe alcun successo e il suo impiego terapeutico fu sospeso.

Nel 1954, dopo anni di ulteriori prove e ricerche, la Chemie Grünenthal, depositò ed ottenne il brevetto per Contergan, a base di Talidomide, il “miracoloso” farmaco anti-nausea e sedativo.

Le prove ed i test eseguiti su organismi animali diedero, infatti, risultati eccellenti evidenziando un basso profilo di rischio per la scarsissima tossicità registrata rispetto ai sedativi allora presenti sul mercato.

Nel 1957 la Chemie Grünenthal, sulla scorta delle entusiasmanti proprietà del farmaco decise di attuare una campagna marketing senza eguali: il Talidomide venne pubblicizzata su una cinquantina di autorevoli riviste scientifiche, la scheda descrittiva delle sue proprietà farmacologiche venne distribuita capillarmente a 250mila medici e venne effettuata una campagna pubblicitaria nella quale si sottolineava la completa sicurezza del farmaco, talmente sicuro che se ne consigliava l’uso ai bambini e alle persone sottoposte a stress emozionali.

La campagna di marketing fu così efficace che le vendite subirono un incremento elevatissimo e il Talidomide conquistò in breve il mercato dei “sedativi” garantendo alla Chemie Grünenthal di superare di 5 volte le vendite dei suoi principali competitors.

Venne così distribuito e venduto in 46 Paesi [con nomi commerciali diversi: Distavel nel Regno Unito e in Australia, Isomin in Giappone, Contergan in Germania, e Softenon in Europa e molti altri], quale farmaco “da banco”, efficace e sicuro.

Nel 1959 alcuni studi europei evidenziarono possibili effetti neuropatologici correlati all’uso di Talidomide, nello stesso anno la Dottoressa Frances Kelsey, farmacologa in servizio presso il Food and Drug Administration [FDA] responsabile per la sicurezza dei farmaci, sulla base di quei primi studi e nonostante le pressioni della casa farmaceutica dinniegò la licenza di commercializzazione del farmaco negli USA.

Questo fu il primo campanello di allarme e anche il primo effetto collaterale individuato nel farmaco, nonostante questo la campagna di marketing proseguì a ritmi sostenuti, e per placare i dubbi di ricercatori e scienziati la Chemie Grünenthal commissionò uno studio ai suoi collaboratori Kunz e Blasiu, che con ricerche malcondotte e scarsamente dettagliate non evidenziarono effetti collaterali degni di nota.

Inutile sottolineare che la Chemie Grünenthal, non analizzò tutti i possibili effetti collaterali, nonostante già a partire dagli Anni Cinquanta un illustre embriopatologo, il Dottor Willis allertasse nei suoi scritti sull’impiego di farmaci in gravidanza e ponesse in evidenza la correlazione tra l’uso di alcuni farmaci durante la gravidanza e possibili danni sull’embrione. Il “principio di precauzione” invocato da Willis fu completamente disatteso.

Intanto nel 1960 per la prima volta venne documentata la registrazione di 2 casi clinici con difetti congeniti agli arti, i 2 casi furono presentati al Congresso Pediatrico Nazionale in Germania che si tenne nel 1961. Fu in quella sede che il professor [Widukind] Lenz suggerì che tali malformazioni erano ascrivibili all’uso di Talidomide in gravidanza ed iniziò i suoi studi.

Nel 1961, 2 rapporti indipendenti, uno del Dottor Lenz che documentò i casi in Germania e l’altro del Dottor [William] McBride in Australia, trassero analoghe conclusioni, confermando che l’assunzione di Talidomide in gravidanza, commercializzato come farmaco antiemetico efficace per la cura del morning sickness [nausea in gravidanza] era la causa delle molteplici anomalie congenite osservate negli studi.

Nel maggio 1961 la Chemie Grünenthal modificò le scritte sulla confezione del farmaco introducendo tra i possibili effetti collaterali, in caso di uso prolungato, l’insorgenza di neuropatie.

Nel novembre del 1961, il Talidomide venne infine ritirato dal mercato tedesco e da allora il numero di nascite con anomaile congenite diminuì drasticamente anche se in alcuni Paesi, purtroppo per scarsa informazione e/o per dolo, le scorte di farmaco furono vendute ancora per alcuni anni, nonostante gli annunci ed i ritiri da parte delle Autorità Sanitarie.

Le intuizioni della Dottor Kelsey vennero così tristemente confermate e lei, premiata nel 1962 dal Presidente John F. Kennedy per il merito di avere evitato che la tragedia del talidomide si potesse verificare negli Stati Uniti, anche se a un gruppo esiguo di medici nonostante non era approvato dalla FDA lo utilizzò ugualmente. La farmacologa ricoprì da allora un ruolo strategico nella definizione di emendamenti di legge e nella nascita della riforma sui farmaci.

In Italia, a seguito dei devastanti effetti della somministrazione di talidomide in gravidanza lo stesso fu ritirato dal mercato con “colpevole ritardo” nel 1962, verso la fine degli Anni Sessanta fu avviato il primo programma di farmacovigilanza e solo nel 1987 nel Decreto Legge 443/87 [art 9.1] furono definite le prime disposizioni in materia di farmacovigilanza.

Si dovranno però attendere i Decreti Ministeriali del 2003 e del 2006 per vedere emanata e perfezionata la normativa in materia e costituito il Sistema Italiano di Farmacovigilanza.
In Europa, il 26 gennaio 1965 fu emanata la prima direttiva che normava le modalità e gli adempimenti delle case farmaceutiche e degli Stati Membri prima dell’immissione sul mercato di qualsiasi farmaco [Dir 65/65/EEC1], successivamente con il Regolamento EU 726/2004 vengono definite procedure per l’autorizzazione e la supervisione dei farmaci ed istituita l’European Medicine Agency [EMA]. Nel 2010 vengono emanate una nuova direttiva Dir/2010/84 ed un nuovo Regolamento EU 1235/2010 che introducono ulteriori adempimenti di controllo per la riduzione dei rischi.” [
https://www.vittimetalidomideitalia.it/la-nostra-storia/]

Commercializzato fin dal 1957 questo principio attivo si dimostrò responsabile di gravissime malformazioni in migliaia di neonati. I casi di focomelia imputabili alla talidomide furono, in tutto il mondo, circa 15mila di cui 10mila con gravissime deformità, con una concentrazione di 6mila casi in Germania. Si valuta che molti bambini deformi non siano sopravvissuti, in numero analogo ai casi più gravi. La Chemie Grunenthal, pur informata da rapporti medici interni piuttosto negativi, commercializzò in varie forme medicinali contenenti talidomide tra il novembre 1956 e l’ottobre 1957. Con l’ampliarsi dell’uso, come sedativo e contro la nausea delle gestanti, cominciarono a essere noti “effetti collaterali” negativi, in particolare nevriti e malformazioni nei neonati. Ma la campagna pubblicitaria della Chemie Grünenthal fu martellante, sia sui medici sia sui farmacisti. Il successo presso i medici fu tale che altre imprese farmaceutiche chiesero e ottennero la licenza per la produzione di medicinali con talidomide. I rapporti sfavorevoli e preoccupati dei medici crebbero di numero nel 1959 e 1960, con un costante atteggiamento negativo da parte dell’impresa produttrice – cosa “comprensibile” in termini di profitto, dato che nel maggio del 1960 quasi metà del fatturato era collegato a prodotti con Talidomide.

“Nonostante la grande popolarità del farmaco – dovuta anche a una massiccia campagna pubblicitaria – e nonostante le forti pressioni esercitate per la sua approvazione, Frances Kelsey non era convinta dai dati degli studi preclinici, che riteneva fossero descritti superficialmente e riguardassero un numero esiguo di soggetti, monitorati per un periodo di tempo troppo breve.” [https://www.aifa.gov.it/en/-/scomparsa-a-101-anni-frances-oldham-kelsey-farmacologa-e-fisica-della-food-and-drug-administration-che-si-oppose-alla-commercializzazione-dei-farmaci-]

Mancavano, in particolare, i dati che indicavano se il farmaco potesse attraversare la placenta, che fornisce nutrimento al feto. Fu solo nel novembre del 1961, a un congresso di pediatria a Düsseldorf, che si iniziò a collegare l’uso del Talidomide con la crescita esplosiva dei casi di focomelia. Anche di fronte a queste nuove prove la Chemie Grünenthal si rifiutò di ritirare il prodotto, ma, il 26 novembre 1961, nell’edizione domenicale il diffusissimo giornale conservatore Welt am Sonntag con un articolo dal titolo: Malformazioni causate da pillole – allarmante sospetto di un medico nei confronti di un farmaco distribuito in tutto il mondo, cui seguiva una puntualizzazione e una richiesta, rompeva il muro di silenzio:

“Ogni mese di ritardo nel prendere una decisione significa che nasceranno da 50 a 100 bambini orribilmente mutilati. È ora che le autorità intervengano, e senza perdere un minuto di tempo!” [https://epiprev.it/page/giulio-a.maccacaro-il-talidomide-in-italia]

Il 27 novembre 1961, il medicinale incriminato veniva ritirato dal commercio sul mercato tedesco; seguirono prima della fine dell’anno Gran Bretagna e Svezia. In Italia, il Ministro della Sanità, il democristiano Angelo Raffaele Jervolino, padre del pluriministro democristiano Rosa Russo Jervolino, si mosse con 10 mesi di colpevole ritardo, nel settembre del 1962.

“Il farmaco, disponibile senza obbligo di ricetta, ufficialmente iniziò a circolare e ad essere prodotto anche in Italia nel 1958 ma, nel 1961, il pediatra tedesco Lenz e l’ostetrico australiano McBride dimostrarono un legame fra gravi difetti alla nascita e l’assunzione in gravidanza del Talidomide. Per tale ragione, nel dicembre 1961, il farmaco venne ritirato con urgenza dalle farmacie. In Italia il Ministero della Sanità ne ordinò il divieto di produzione e commercio soltanto nel 1962 [Gazzetta Ufficiale n. 186/1962], con 6 mesi di ritardo rispetto agli altri Paesi; l’assunzione di Talidomide in gravidanza causò un enorme aumento di difetti alla nascita come riduzione degli arti, spesso bilaterali e quasi sempre con asimmetrie anche molto evidenti. Stando a quanto si apprende, sarebbero più di 20mila i bambini in oltre 50 Paesi nati con gravi deformità. In Italia è mancato un censimento dei casi, ma sembrerebbe che fra il maggio 1959 e il settembre 1962, nei reparti di ostetricia dei principali ospedali milanesi sia stata accertata una frequenza di 4 nati ogni 10mila per i casi di focomelia o analoghi, a fronte di nessun caso paragonabile negli anni precedenti.” [http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=18&id=1084419]

Negli anni successivi, tuttavia, tali farmaci continuarono a circolare. Nella pubblicità se ne sottolineava la “completa atossicità”, basata sostanzialmente sull’osservazione che le cavie di laboratorio sopravvivevano anche a elevate quantità di farmaco iniettate loro con una sola dose. In una circolare inviata a tutti i medici professionisti, nella primavera del 1959, si poteva leggere:

“Anche con dosi eccessive e un consumo prolungato l’efficacia del farmaco non è ridotta da effetti collaterali indesiderati.”

Soltanto dopo la sciagura le sperimentazioni sugli animali registrarono parti focomelici in una delle centinaia di razze di coniglio sottoposte a dosi tra 25 e 300 volte superiori a quella per l’uomo. L’asserzione del pediatra tedesco, basata su un riscontro con centinaia di casi, era rimasta ignorata per 5 anni. A quel punto, nel 1962, erano nati complessivamente oltre 10mila bambini focomelici.

Nel marzo del 1969, sul numero 7 della rivista scientifica Le Scienze, a pagina 11, il Professor Renato Balbi, docente di neurochimica, neurofarmacologia e neurologia applicata all’Università di Napoli, scrive:

“I padri del Talidomide non possono essere accusati di negligenza criminale per non aver previsto gli effetti teratogeni che il farmaco avrebbe determinato nell’uomo

Dal 1962 fino al 2009, le nostre istituzioni sono state in silenzio. Solo il 5 ottobre 2009, lo Stato italiano ha riconosciuto una indennità mensile alle vittime del Talidomide nate tra il 1959 e il 1965 [https://www.salute.gov.it/portale/ministro/p4_8_0.jsp?label=servizionline&idMat=ASS&idAmb=IND&idSrv=L244T&flag=P] e, il 5 novembre 2009, circa 50 anni dopo il ritiro del farmaco, il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali emanava una circolare contenente le linee guida per l’istruttoria delle domande di indennizzo dei soggetti affetti da sindrome da talidomide nati dal 1959 al 1965 [G.U. Serie Generale n. 265 del 13 novembre 2009].

Sul sito-web dell’AIFA si legge:

“Il Talidomide è un farmaco con proprietà ipnotico-sedative commercializzato per la prima volta in Germania nel 1956 per la terapia dell’influenza, e successivamente, in 46 Paesi, per la terapia dell’insonnia. Fu inoltre ampiamente utilizzato in donne in gravidanza nella terapia delle nausee mattutine grazie anche a una pubblicità che sottolineava la “sicurezza” del prodotto. I test preclinici su roditori ed i trial clinici non avevano infatti evidenziato effetti collaterali. La vendita di Talidomide incrementò drasticamente in pochi anni e, entro il 1960, solo in Germania vennero prodotte circa 15 tonnellate di farmaco. In USA il Talidomide non ottenne l’autorizzazione all’immissione in commercio per una presunta associazione tra il farmaco e lo sviluppo di neuropatie periferiche. Fin dall’inizio degli Anni Sessanta si osservò un incremento di neonati con malformazioni congenite degli arti e fu ipotizzata una correlazione con l’assunzione materna di Talidomide in corso di gravidanza. Il farmaco venne pertanto ritirato dal commercio nel 1961; l’incidenza di malformazioni degli arti è ritornata nei limiti dopo il ritiro dal commercio, confermando l’effetto teratogeno della Talidomide.

Questa vicenda favorì negli Stati Uniti prima, e in Europa e in Giappone poi, la nascita di leggi che promossero la corretta sperimentazione dei medicinali. A questo episodio si deve inoltre nella pratica la nascita della Farmacovigilanza, l’insieme delle attività volte all’individuazione, valutazione e prevenzione di effetti avversi o altri problemi correlati all’utilizzo dei farmaci. La Farmacovigilanza ha l’obiettivo di monitorare costantemente il farmaco durante il suo impiego nella pratica clinica, con lo scopo di individuare la comparsa di reazioni avverse e verificare gli effetti terapeutici osservati nella sperimentazione clinica, confermandoli e/o individuandone di nuovi.

La storia del Talidomide ha dimostrato quanto sia importante che ci sia un investimento della sanità pubblica sulla sicurezza dei farmaci e che non basta l’autoregolamentazione del mercato. Insegna inoltre a chi lavora nella valutazione dell’efficacia e della sicurezza dei farmaci che l’indipendenza e lo spirito critico possono essere di enorme utilità per la salute delle persone.” [https://www.aifa.gov.it/en/-/aifa-indice-un-concorso-di-idee-sul-caso-talidomide-e-sul-valore-della-farmacovigilanza]

Nel maggio del 1968, la Chemie Grünenthal aveva dovuto comparire in un processo, il più lungo dopo quello di Norimberga ai criminali nazisti, del quale tentò, in ogni modo, di evitare la conclusione e la sentenza. Una così orrenda catastrofe si sarebbe compiuta e celata nel pianto di migliaia di madri, ciascuna convinta di una propria singolare sventura, se alcuni medici e legali non l’avessero portata a evidenza, dimostrandone le cause e denunciandone le responsabilità. A Henning Sjoström e Robert Nilsson, autori del libro Thalidomide and the Power of the Drug Companies, e alla parte migliore della Stampa straniera si deve se la tragedia del Talidomide ha avuto fine e dovrebbe insegnare a evitarne di analoghe. Ma contro di loro si schierarono, a suo tempo, l’establishment medico, abituato a compiacere l’industria farmaceutica, e il potere di questa. La Chemie Grünenthal non lasciò nulla di intentato per nascondere la verità, acquisire il silenzio di chi la conosceva, intimidire l’onestà di chi la dichiarava.Il suo ufficio legale arrivò ad assumere un detective per indagare sulla vita privata e le inclinazioni politiche dei medici che avevano criticato gli effetti tossici del Talidomide.

“Il padre del Dottor B. è un ex-comunista.”,

è scritto in uno dei rapporti di questo detective. È giusto ricordare tutto ciò per dire subito che gli autori di questo libro sono anche valorosi protagonisti di quella vicenda.

I capi di accusa erano omicidio plurimo colposo nei casi di decesso per le gravissime malformazioni fatali; negligenza nei tests clinici, lesioni e danni fisici plurimi e aggravati. Tra i primi imputati l’ex-medico nazista Heinrich Muckter e il titolare della Chemie Grünenthal, Hermann Wirtz. Hermann Wirtz usò la scusa dell’età avanzata e della salute precaria per non presentarsi in aula, generando profondo sdegno nell’opinione pubblica e mondiale che seguiva il caso dalla televisione e dai giornali. Ancora più scandalosi furono gli esiti dell’iter processuale, terminato, nel 1970, con un compromesso tra la Corte tedesca e la casa farmaceutica. La Chemie Grünenthal avrebbe pagato risarcimenti per 100 milioni di marchi, meno di 30 milioni di dollari, mentre ai responsabili non fu inflitto neppure un giorno di carcere. Di fronte alla tragica massa di dolore creata dal Talidomide non si può non ritenere indecente il fatto che la Chemie Grünenthal si presenti in rete come “esperta di medicinali per la cura del dolore e in ginecologia”. Nel 2009, nuovi fatti vennero alla luce, tingendo la storia di un alone ancora più inquietante. Martin Johnson, direttore del Thalidomide Trust, aveva scoperto che la molecola era stata sviluppata da un team di scienziati del Drittes Reich, guidato da Otto Ambros, come antidoto al gas Sarin e sperimentata sui prigionieri dei campi di concentramento nazisti.

“E ora appare sempre più probabile che il Talidomide è stato l’ultimo crimine di guerra dei nazisti [da qui il titolo del documentario del 2014 diretto da David e Jacqui Morris: Attacking the Devil: Harold Evans and the Last Nazi War Crime].”,

aveva commentato Johnson. L’argentino Carlos De Napoli, autore di diversi libri sul nazismo, poté supportare tale affermazione grazie al ritrovamento di una nota del 1944 di un dirigente IG Farben al medico personale di Adolf Hitler, che faceva riferimento allo sviluppo di una sostanza chimica con la stessa formula del Talidomide.

Nel settembre del 2012, a Stolberg, nella regione della Renania Settentrionale-Vestfalia, Harald Stock, Direttore Esecutivo del Grünenthal Group, ha chiesto, pubblicamente, scusa alle vittime e alle loro famiglie, nel corso di una cerimonia commemorativa dei bambini che avevano subito gli effetti collaterali del Talidomide. Stock si era rivolto alle vittime e alle loro famiglie, precisando anche di essere consapevole che le scuse arrivassero con troppo ritardo.

“Ci scusiamo per  il fatto che non abbiamo trovato modo di venire a scusarci con voi, uno per uno, per quasi 50 anni. Siamo stati in silenzio, e ci scusiamo per questo. In parte questo silenzio è dovuto allo shock che tutta la questione ha causato anche in noi.”,

aveva commentato, aggiungendo, poi, che prima di mettere in commercio la sostanza erano stati fatti tutti i tests possibili, date le conoscenze scientifiche degli Anni Cinquanta.

Il tono più duro era venuto da Sir Harold Matthew Evans, scomparso il 23 settembre 2020, che, dagli Anni Sessanta, aveva avviato una vasta campagna dalle pagine del Sunday Times per far risarcire le vittime del Talidomide:

“Victims of the drug scandal have been offered an apology, but Harold Evans, who was in charge of the Sunday Times and broke the story, says there is still no proper recompense

Justice delayed is justice denied. We know that too well. But how do you wrestle with your conscience when the injustice you have perpetrated has destroyed the lives of children and left thousands of thalidomide victims still enduring pain and suffering, without adequate compensation? The German company Chemie Grünenthal, having denied justice for 50 long years, has now unveiled a bronze statue of a child born without limbs, and its chief executive, Harald Stock, says: “We ask for forgiveness that for nearly 50 years we didn’t find a way of reaching to you from human being to human being. Instead we remained silent.”

Actually, Chemie Grünenthal remains silent still on adjusting compensation for inflation and the dreadful effects on the victims – the men and women in adulthood, many now without parental support.

CG did not just remain silent. It brought forth the drug thalidomide on 1 October 1957, from very murky origins indeed. It licensed its manufacture worldwide as a safe sleeping drug for mothers in pregnancy. One of the licensees was the British whisky company, Distillers, which put “Distaval” on the market as a tranquilliser in April 1958 and marketed it until 1962. Chemie Grünenthal was reckless. It had not tested the effect on pregnant women or animals to see if it could cross the placental barrier. It ignored early warnings. The wife of one of its own employees had given birth to a baby without ears 10 months before it puts its poison on the market. It made no difference. Nor did warning signs of deformed births and nerve damage from Australia.

It produced sales leaflets for doctors stressing the drug’s safety. It engaged – bribed might be a better word – compliant doctors who vouched for it though they did not know how it worked. A testimonial appeared in the American Journal of Obstetrics and Gynecology signed by Dr Ray Nulson Cincinnati, Ohio.

Eventually, he gave evidence in Germany that he had not tested the drug on pregnant women at all and was not even the author of the article. It had been written for him by an employee of the renowned American company, Richardson-Merrell in Cincinnati, a CG licensee. And the employee, like others around the world, had relied on Chemie Grünenthal which had itself done no tests on the effect on a foetus.

And to crown this pyramid of infamy none of the public authorities was curious enough to know how it all happened. In Britain, thanks to Chemie Grünenthal’s connections with the Ministry of Health, and a lazy press, fed pap by the ministry, the truth did not come out. It would never have come out either had it been left to the legal profession who dealt with the litigation the desperate families were forced to start.

I well remember the astonishment in the Sunday Times when the Insight team began opening three suitcases containing CG’s own documents. They showed a reckless get-rich-quick mentality yet the parents’ lawyers had allowed themselves to be convinced they could not win 100% damages in court.

I have described some of this in My Paper Chase, but what is new to me is the depth of iniquity exposed by investigative work since, primarily by Jonathan Stone, a former solicitor with Lord Goodman’s firm, Goodman Derrick, working with Roger Williams. Stone has been a special adviser to the victims in various countries. He and Williams trace the origins of thalidomide to murderous experiments in second world war concentration camps and they name names. There is the Wirtz family, esteemed as philanthropists in the German town of Stolberg, the sole owners of the company, notorious for its pro-Nazi sympathies.

There is Heinrich Mückter [1914-1987], responsible for the deaths of hundreds of prisoners in typhoid experiments; there’s Otto Ambros [1901-1990], chairman of the supervisory committee when thalidomide was developed; there’s Martin Staemmler [1890-1974], who played a role in Nazi racial hygiene programmes; there’s the SS doctor Ernst-Günther Schenck, who experimented with medicinal plants; there are the US companies ready to forgive and forget in their postwar haste to get their hands on the chemical expertise.

But decency requires me to identify some heroes in the struggle for justice – the thalidomide victims, now in middle age, who continue to fight for others: Freddie Astbury, president of Thalidomide UK, who describes the CG apology without compensation as a disgrace; the Lords Jack Ashley and Alf Morris, who fought so hard for the victims in their lifetimes, and Labour’s minister of health, Mike O’Brien.

On 14 January 2010 O’Brien made a dramatic announcement in parliament. He apologised to the victims and their parents but he also committed the government to give £20m to the Thalidomide Trust.

In the light of all this, one can only repeat to CG the words of Joseph Welch examining Joe McCarthy: “Have you no sense of decency, sir? At long last, have you left no sense of decency?”

[Harold Evans, Still no shame for thalidomide cover-up, The Guardian, 1 settembre 2012, https://www.theguardian.com/society/2012/sep/01/thalidomide-cover-up, https://www.theguardian.com/society/2012/sep/01/harold-evans-attacks-thalidomide-manufacturer]

Il dibattito intorno all’ingegneria genetica e ai problemi etici sollevati dalla possibilità di modificare il DNA degli organismi viventi, umani e non umani, risale agli Anni Settanta, quando un gruppo di scienziati invocò una moratoria della ricerca sul DNA ricombinante. L’allarme spinse gli scienziati a elaborare un codice di autoregolamentazione, per risolvere i problemi di sicurezza alla base della richiesta di moratoria. L’ingegneria genetica ha visto nascere nuove tecniche altamente innovative, in grado di modificare le sequenze del DNA degli organismi viventi con elevata precisione, relativa facilità, costi contenuti. L’espressione comunemente utilizzata è gene editing o genome editing, termini traducibili in italiano con modificazione, correzione, revisione genica o genomica. Si tratta di tecniche di ingegneria genetica che utilizzano “forbici molecolari” per tagliare il DNA in punti precisi, al fine di eliminare alcune parti, correggerne e/o sostituirne altre. Un editing in grado di trovare un errore nella sequenza del DNA, addirittura di una singola base, correggerlo e ripristinare la sequenza selvatica. È in questo ambito che è stato messo a punto CRISPR-CAS9 [Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats], un acronimo tecnico che indica una breve sequenza di RNA [acido ribonucleico] costruita in laboratorio, programmata per individuare una regione precisa del genoma e guidarvi l’enzima Cas9 [che appartiene al gruppo delle nucleasi di restrizione], una sorta di “forbice biologica” capace di tagliare il DNA nella regione scelta dal ricercatore. La parte del DNA rimossa, in quanto “difettosa”, può essere eliminata o sostituita con una sequenza “normale”. Secondo Nature, nel maggio del 2020, vi erano almeno 90 sperimentazioni di vaccini per la Covid-19. Tra le terapie al vaglio della comunità scientifica e delle case farmaceutiche vi sono quelle che scommettono sugli ultimi sviluppi dell’ingegneria genetica,  come a esempio la tecnica CRISPR [https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32315229/]. L’impiego di CRISPR sul genoma umano è considerato ancora poco sicuro. L’incertezza principale è tuttora rappresentata dalle “mutazioni fuori bersaglio, ovvero mutazioni genetiche non volute che si attivano in segmenti di DNA diversi da quelli programmati con CRISPR. Rispetto a tecniche già affermate [come TALENs], CRISPR è in grado di intervenire su un numero più alto di geni in un unico intervento; il problema delle mutazioni fuori bersaglio pone, dunque, un rischio maggiore. Inoltre, i biologi sono ancora lontani da una conoscenza completa di tutte le funzioni del DNA e delle relazioni tra cellule; non si ha, dunque, una contezza precisa delle reazioni provocate dalla manipolazione del genoma. Sono proprio queste grandi incertezze ad aver spinto la comunità scientifica a interrogarsi sull’utilizzo etico e le conseguenze sociali di CRISPR. Ancora prima della pandemia di Coronavirus, verso la fine del 2018, la Cina è entrata con veemenza al centro del dibattito globale in questo settore.
Il 25 novembre 2018, una notizia esclusiva della MIT Technology Review [https://www.technologyreview.com/s/612458/exclusive-chinese-scientists-are-creating-crispr-babies/, https://www.nationalacademies.org/gene-editing/2nd_summit/index.htm]. scuoteva la comunità scientifica internazionale. Secondo alcuni documenti pubblicati sul Chinese Clinical Trial Register, il giorno 8 dello stesso mese  [http://www.chictr.org.cn/showprojen.aspx?proj=32758], un team della Southern University of Science and Technology di Shenzhen, in Cina, aveva “prodotto” in laboratorio i primi bambini resistenti al virus dell’HIV. Il 26 novembre 2018, era lo stesso ricercatore He Jiankui ad annunciare in un video caricato sulla piattaforma YouTube [https://www.youtube.com/watch?v=th0vnOmFltc], di avere utilizzato la tecnologia CRISPR-CAS9 sulla linea germinale umana, modificando embrioni impiantabili con lo scopo di indurre una resistenza genetica all’HIV. Il biofisico cinese dell’università di Shenzen aveva pensato di disattivare CCR5 con le forbici genetiche di CRISPR, in modo da chiudere la porta al virus. La sua idea era quella di indurre una mutazione del gene, chiamata ∆32, già “presente in natura”: l’11% delle persone che vivono nel Regno Unito presentano almeno una copia di Ccr5-∆32. He Jiankui, laureato in fisica in Cina, aveva conseguito un dottorato in biofisica alla Rice University del Texas, aveva lavorato nel postdottorato a Stanford ed era, infine, tornato in patria, nel 2012, grazie ai piani di incentivo lanciati dal Governo cinese – il Mille talenti del 2008 e il Diecimila Talenti del 2012, per invertire la fuga dei cervelli iniziata negli Anni Ottanta. Dai dati disponibili non era possibile desumere a che punto fosse l’esperimento in oggetto, ma era fuori di dubbio che la nascita dei primi esseri umani geneticamente modificati sarebbe stato “un risultato medico straordinario, sia per He Jiankui che per la Cina”, sebbene controverso: “Mentre alcuni plaudono a una nuova forma di medicina in grado di eliminare le malattie genetiche, altri temono che si stia scivolando verso […] una nuova forma di eugenetica”, evidenziava la MIT Technology Review. In realtà il trial era in uno stato più avanzato di quanto si immaginasse. Iniziato nel 2016, a marzo del 2017, He Jiankui aveva iniziato a reclutare coppie, ciascuna con un padre sieropositivo, per la produzione di embrioni modificati e, all’inizio di novembre del 2018, – secondo quanto appurato dall’Associated Press – erano nate due gemelle, Lulu e Nana – nomi di fantasia, dati per proteggere la privacy della famiglia –, mentre era in fase di gestazione un terzo individuo, “prodotto”, probabilmente, nell’agosto del 2019 [https://www.lescienze.it/news/2019/03/02/news/scandalo_bambini_crispr_editing _genomico_umano-4317993/,  https://www.repubblica.it/scienze/2019/01/22/news/cina_l_universita_licenzia_lo_scienziato_delle_bambine_con_dna_modificato-217168121/]. Del destino e delle condizioni dei tre bambini non si hanno aggiornamenti da allora. Già nel 2015, un gruppo di scienziati di Guangzhou aveva pubblicato un articolo che descriveva, per la prima volta, l’uso delle tecniche di editing genetico in un embrione umano [https://www.nature.com/news/chinese-scientists-genetically-modify-human-embryos-1.17378]. I ricercatori avevano utilizzato embrioni con una mutazione che avrebbe loro impedito di trasformarsi in feti [e che di conseguenza non avrebbero potuto essere impiantati nell’utero], e tuttavia lo studio aveva generato molta preoccupazione nella comunità scientifica. Le modifiche genetiche ottenute con le tecnologie di editing hanno, infatti, un impatto del tutto diverso quando, invece di essere effettuate su cellule prelevate da un individuo adulto, vengono praticate sulle cellule che daranno origine a un nuovo individuo, e cioè ovuli, spermatozoi o embrioni. L’editing genetico, in questo caso, altera in modo definitivo e permanente la linea germinale, cioè il genoma umano che l’individuo manipolato trasmetterà ai prpri discendenti. Ciò significa che se gli embrioni geneticamente modificati venissero impiantati nell’utero e si trasformassero in un nuovo individuo, questo individuo trasmetterebbe ai suoi figli e ai figli dei suoi figli la modifica apportata in laboratorio al suo codice genetico. Esiste, altresì, un ulteriore problema, quello del mosaicismo genetico, riscontrato spesso negli embrioni di animali modificati con il CRISPR-CAS9 [https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0012160618302513]: mentre le cellule degli individui hanno, normalmente, tutte lo stesso patrimonio genetico, quelle di chi è affetto da mosaicismo presentano due [o più] linee genetiche diverse. Il fenomeno si presenta quando le modifiche apportate al genoma avvengono dopo che il DNA dell’uovo fertilizzato ha, già, iniziato a dividersi. In questo caso, alcune cellule presenteranno il genoma inalterato, mentre altre porteranno quello modificato, il che può provocare conseguenze del tutto imprevedibili sullo sviluppo futuro dell’embrione. Negli esperimenti condotti in Cina, per l’appunto, erano stati osservati tassi molto alti di mosaicismo. Queste considerazioni, che, probabilmente, fermerebbero ogni individuo di buon senso, non sono, tuttavia, bastate a placare il desiderio di onnipotenza degli scienziati: nei 2 anni successivi alla pubblicazione del primo studio diversi teams di ricerca – in Cina, Stati Uniti e Regno Unito – hanno pubblicato i risultati di nuovi esperimenti simili. Gli studi hanno utilizzato sia embrioni non vitali, sia embrioni che potevano essere impiantati nell’utero, e hanno testato nuove tecniche di editing genetico e di editing genetico combinato alla clonazione. Gli esperimenti hanno verificato la capacità della tecnologia CRISPR-CAS9 di correggere le mutazioni associate alle malattie genetiche e hanno analizzato i geni implicati nelle fasi precoci dello sviluppo embrionale, tra cui quelli responsabili del fallimento delle gravidanze, per cercare una cura per alcune forme di infertilità [https://www.nature.com/articles/d41586-019-00673-1]. Anche se gli scienziati coinvolti hanno pubblicizzato il loro lavoro come un’approfondita ricerca di base [quindi non destinata ad applicazioni cliniche], molti esperti di etica medica hanno affermato che l’obiettivo a lungo termine di questi trials potrebbe essere soltanto uno: impiantare nel corpo femminile embrioni geneticamente modificati, come ha fatto He. Accusato di avere violato le norme nazionali e i principi etici che regolano gli esperimenti genetici e la procreazione assistita, di praticare medicina senza le dovute qualifiche, e di avere condotto tali esperimenti per accrescere il proprio prestigio, il 30 dicembre 2019, He Jiankui era stato condannato dalla Corte del Popolo del Distretto di Nanshan [Shenzu] a scontare 3 anni di reclusione e a pagare una sanzione di 3 milioni di yuan, pari a circa 500mila dollari e a circa 360mila euro. La National Health Commissiono of the People’s Republic of China [NHC], aveva, inoltre, interdetto a vita i 3 ricercatori da qualsiasi attività legata alla procreazione umana assistita. He era stato, pesantemente, criticato. In primo luogo, perché l’esperimento era stato ritenuto pretestuoso dal punto di vista clinico. Esistono metodi testati perché un padre sieropositivo possa procreare in modo sicuro senza ricorrere all’editing genetico, che, in ogni caso, non rappresenterebbe un modo efficiente di contrastare l’epidemia di AIDS. In secondo luogo, perché la tecnologia CRISPR-CAS9 presentava ancora rischi, e, infine, perché appariva abbastanza chiaro che lo scienziato non avesse rispettato l’iter scientifico-burocratico che un esperimento di questo tipo richiede. Nessuna rivista medica ha, mai, pubblicato il lavoro di He Jiankui e i dettagli dell’esperimento sono rimasti sconosciuti finché, il 3 dicembre 2019, la MIT Technology Review ha pubblicato alcuni estratti esclusivi della ricerca originale inedita, che mostrava come He Jiankui “abbia ignorato le norme etiche e scientifiche nella creazione delle gemelle Lulu e Nana”. Il Tribunale di Shenzhen aveva scoperto dei documenti falsificati da He e da 2 dei suoi collaboratori per indurre medici inconsapevoli a impiantare embrioni geneticamente modificati nel grembo delle due donne, la madre delle gemelle e quella del terzo bimbo nato probabilmente ad agosto [https://www.sciencemag.org/news/2019/12/chinese-scientist-who-produced-genetically-altered-babies-sentenced-3-years-jail, https://www.technologyreview.com/s/614764/chinas-crispr-babies-read-exclusive-excerpts-he-jianku i-paper/?utm_source=newsletters&utm_medium=email&utm_campaign=the_download.unpaid.engagement, https://www.ilsuperuovo.it/lo-scienziato-che-ha-creato-i-gemelli-crispr-condannato-al-carcere-dalla-cina/].

Un singolo scienziato pazzo?

Può, davvero, un Frankenstein cinese rompere un tale tabù in una stanza tranquilla senza che le autorità ufficiali se ne accorgano?

La vicenda è la prova di un divario tra i valori proclamati dagli scienziati e quelli che sostengono.

È un dato di fatto che il biofisico fosse una stella nascente nel campo della ricerca sul genoma e avesse ricevuto abbondante sostegno del Governo nel corso degli anni. Secondo il South China Morning Post, dal 2015 aveva ricevuto l’equivalente di 5 milioni di euro di danaro pubblico per il suo lavoro. He Jiankui aveva, anche registrato, ufficialmente il suo progetto di ricerca Evaluation of the safety and efficacy of gene editing with human embryo CCR5 gene [Valutazione della sicurezza e dell’efficacia dell’editing genetico con il gene CCRs dell’embrione umano] sul Chinese Clinical Trial Register, l’8 novembre 2018, con il numero di registrazione  ChiCTR1800019378 [http://www.chictr.org.cn/showprojen.aspx?proj=32758]. Dopo le rivelazioni di He Jiankui al summit di Hong Kong, alla fine di novembre del 2018, – il biofisico aveva informato un pubblico inorridito che 8 coppie con padri sieropositivi e madri sieronegative avevano partecipato all’esperimento – era, subito, divenuto chiaro che il genetista cinese non avesse agito da solo e neppure in segreto. La responsabilità di altri ricercatori che erano al corrente del suo esperimento è stata oggetto di un acceso dibattito tra gli addetti ai lavori. Secondo Emmanuelle Charpentier, una degli scopritori del meccanismo CRISPR/CAS9, He Jiankui aveva oltrepassato la linea rossa. Accuse sono state rivolte anche al supervisore al dottorato americano di He Jiankui, Michael Deem della Rice University, in Texas, che sapeva dell’editing genetico delle gemelle ed era presente quando le coppie avevano dato il loro consenso all’esperimento [https://www.dw.com/en/crispr-crisis-china-wants-to-protect-its-genetic-engineering-reputation/a-47209356]. Anche se accademici e Governo avevano preso le distanze dal controverso ricercatore, gli esperimenti con le forbici genetiche erano continuati. Il quotidiano tedesco Augsburger Allgemeine Zeitung, a esempio, citava il bioscienziato cinese Wang Haifeng, senior vice president della Compagnia cinese Baidu:

“Ich wage zu sagen, dass es zahlreiche weitere Labore gibt, die in dieser Richtung weiterarbeiten.” [https://www.focus.de/wissen/natur/china-will-den-ruf-seiner-boomenden-biotechnologie-schuetzen_id_10228116.html]

Lo scandalo legato all’esperimento di He Jiankui non è stato il primo indicatore di una potenziale faglia etica tra Cina e Occidente nell’ambito delle biotecnologie, in particolare nell’ingegneria genetica. All’inizio del 2015, il primo grande tabù relativo alla manipolazione genetica di embrioni umani fu infranto dal team di Huang Junjiu della Sun Yat-sen University. Il gruppo di ricerca inviò alla rivista Nature i risultati di un esperimento, in cui si affermava di avere manipolato embrioni umani non impiantabili usando CRISPR. Obiettivo dello studio era di correggere una mutazione responsabile della beta talassemia, conosciuta anche come anemia mediterranea. Le riviste Nature e Science si rifiutarono di pubblicare l’articolo per motivi etici. La ricerca trovò rapidamente un’altra collocazione, la rivista Protein & Cell, una pubblicazione open access, finanziata da enti collegati a vario titolo con il Ministero dell’Istruzione cinese. Nonostante il dibattito apertosi nella comunità scientifica internazionale, il paper del team di Huang ricevette un’accoglienza positiva in Cina, in particolare, sui social media e sulla stampa nazionale. La stessa rivista Nature inserì Huang nella classifica dei migliori 10 scienziati del 2015. Il risultato della ricerca evidenziava, tuttavia, che i margini di errore nell’utilizzo di CRISPR erano ancora troppo alti per poter applicare la tecnica sugli embrioni in maniera sicura. Infrangendo ancora un altro tabù, nel 2017, alcuni ricercatori della Guangzhou Medical University avevano testato CRISPR su embrioni impiantabili, sperando di ottenere risultati migliori dello studio precedente. Anche in questo caso la reazione della comunità scientifica fu di allerta e sospetto. Ciò nonostante, altri esperimenti della stessa natura furono realizzati negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Svezia.

Nel 2015, il Dottor Liangxue Lai responsabile di esperimenti genetici su beagles, riportava, sul Journal of Molecular Cell Biology, i risultati della sua ricerca per ottenere cani con il doppio della quantità di massa muscolare. Per “produrre” Hercules e Tiangou, i 2 beagles geneticamente modificati possenti come tori da usare nella caccia o in operazioni di polizia e militari avevano eliminato un gene che codifica la Miostatina. Il Dottor Liangxue Lai intendeva creare altri cani con altre mutazioni del DNA comprese quelle che imitano malattie umane come il Parkinson e la distrofia muscolare.

“L’obiettivo della ricerca è quello di approcciarsi ed esplorare la generazione di nuove malattie dei cani visto che sono molto vicini agli esseri umani in termini di metabolismo, fisiologia e caratteristiche anatomiche”,

aveva spiegato Lai.

“Nell’esperimento cinese si sono modificati in tutto 65 embrioni di cui 27 hanno dato vita a cuccioli e solo in 2 erano portatori della modificazione genetica oggetto dello studio”,

aveva spiegato a il Fatto Quotidiano.it Michela Kuan, responsabile nazionale del settore vivisezione LAV.

“La scusa apparente nel creare cani così forti è l’applicazione nel campo della distrofia, ma per stessa ammissione dei ricercatori, questi super-beagle potrebbero essere usati nella corsa e nella caccia alimentando un doppio sfruttamento basato prima sulla vivisezione e poi sul business del gioco d’azzardo. Al di là dell’inutilità della procedura che sperpera soldi, lavoro e soprattutto vite per qualcosa di totalmente superfluo, questo studio cinese sottolinea, ancora una volta, quanto sia fallimentare la modificazione genetica degli animali. Clonazione e inserimento di super-geni o di DNA umano comportano un numero di aborti altissimo, nascite malformi e cuccioli che non sopravvivono oltre l’anno di età, inoltre, per i pochi superstiti, li aspettano anni di dolore e debolezza con morti premature.”

“Questa volta non è l’Italia a essere protagonista dell’ennesimo inutile e folle esperimento  su animali, ma la Cina, sebbene nel nostro Paese non sia vietato.”

“Anzi, se non verrà rispettato il bando per gli xenotrapianti previsto dalla nostra legge dal 2017, studi con aberrazioni genetiche e crescita di organi psedo-umani in altre specie continueranno ad essere permessi; esperimenti fallimentari e immorali. Nel mondo abbiamo gravi emergenze sanitarie e intere popolazioni che muoiono di fame o per una dissenteria, non sarebbe meglio investire i fondi in qualcosa di utile?” [https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10/23/cina-creati-beagle-geneticamente-modificati-per-studiare-parkinson-e-distrofia-e-per-operazioni-militari/2152825/]

“Pensiamo per esempio alla possibilità di aumentare la forza muscolare modificando uno specifico gene. Un conto è farlo per curare la distrofia muscolare in un paziente, un altro per migliorare la performance di un aspirante atleta pur consenziente e un altro ancora farlo su un embrione per pianificare la nascita di un “superman”. Per non parlare poi della possibilità di conferire all’uomo delle nuove capacità che non avrebbe naturalmente, come vedere la luce infrarossa o resistere a certe tossine batteriche o a un veleno. Per usare un gergo a effetto, dove sta il confine tra curare una persona e creare improbabili “super-uomini”?” [https://www.osservatoriomalattierare.it/news/crispr-e-l-editing-genomico-per-le-malattie-rare/14569-l-appello-degli-scienziati-su-nature-stop-alla-sperimentazione-clinica-dell-editing-genetico-su-gameti-ed-embrioni-umani],

a parlare è il professor Luigi Naldini, medico e ricercatore di biologia molecolare e terapia genica all’Università San Raffaele di Milano e vincitore, nel 2019, del premio della Louis-Jeantet Foundation per la ricerca biomedica [https://www.jeantet.ch/en/louis-jeantet-prize/prix-louis-jeantet/] nonché unico italiano membro del gruppo di lavoro internazionale che ha scritto le prime linee guida sull’editing genetico].

Un altro istituto cinese di genetica, il BGI, dichiarava, pubblicamente, ai primi di settembre del 2015, che aveva iniziato a vendere per 1.600 dollari maiali in miniatura realizzati tramite la modifica del gene, predisposti a essere animali domestici come cani e gatti. Nello stesso 2015, un’azienda del Minnesota, la Recombinetics, “ha prodotto” – attraverso l’editing genetico prima e la clonazione poi – 2  tori senza corna, una modifica che sarebbe stata molto apprezzata dagli allevatori. Gli animali, Buri e Spotigy, erano divenuti il manifesto del gene-editing, e apparivano continuamente sui giornali come gli araldi di una nuova era di agricoltura molecolare. A marzo del 2019, la Food and Drug Administration pensò bene di analizzare il genoma di uno dei tori modificati, Buri, e scoprì nel suo patrimonio genetico un tratto di DNA batterico con un gene che conferiva la resistenza agli antibiotici. Come è noto, il problema della resistenza dei batteri agli antibiotici è, oggi,un’emergenza sanitaria globale. Per modificare geneticamente i tori la Ricombinetics aveva utilizzato i Plasmidi, piccoli filamenti circolari di DNA batterico: i Plasmidi “trasportavano” le istruzioni per la modifica del DNA dei tori ed erano, nelle intenzioni dei genetisti, destinati a persistere solo temporaneamente. Tuttavia il DNA batterico aveva trovato il modo di integrarsi nel genoma del toro, così il gene della resistenza agli antibiotici era finito nel DNA del bovino, “creando opportunità imprevedibili per la sua diffusione” [https://www.technologyreview.com/s/614235/recombinetics-gene-edited-hornless-cattle-major-dna-screwup/]. I tori erano stati abbattuti insieme ai 17 animali che avevano procreato e le loro carni erano state incenerite.

La Storia ci insegna che quando l’Uomo ha tra le mani una tecnologia pericolosa, difficilmente resiste alla tentazione di servirsene. Da Adamo ed Eva in poi, ha colto mele su mele dall’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, e, forse, anche lo sprezzo del pericolo fa parte del suo patrimonio genetico.

Enrico Fermi, uno dei padri dell’energia nucleare, ammoniva:

“La professione del ricercatore deve tornare alla sua tradizione di ricerca per l’amore di scoprire nuove verità. Poiché in tutte le direzioni siamo circondati dall’ignoto e la vocazione dell’uomo di scienza è spostare in avanti le frontiere della nostra conoscenza in tutte le direzioni.”

Fermi ha ricevuto il Premio Nobel per la Fisica, nel 1938, e le sue ricerche “in tutte le direzioni” hanno permesso di sfruttare l’energia rilasciata dalla esplosione di un atomo per costruire centrali nucleari e bombe, e Hiroshima e Cernobyl stanno a dimostrare che, forse, non fu una buona idea. Stiamo parlando di modificare geneticamente, o addirittura “produrre”, esseri umani vivi, che hanno 2 genitori – per ora! – e  non possono essere sterminati se la svista di un genetista li trasforma in mostri.

Ovviamente il problema più grande riguarda le modifiche alla linea germinale: anche se le tecniche di analisi fetale potessero evidenziare qualunque mutazione indesiderata già durante la gestazione [negli embrioni è impossibile] cosa si potrebbe fare?

Costringere le donne ad abortire?

Saranno necessari anni prima di capire se e quanto l’esperimento di He Jiankui abbia alterato lo stato di salute di Lulu e Nana, e, forse, nel frattempo, le gemelle avranno avuto, a loro volta, bimbi, ai quali avranno trasmesso il loro nuovo – forse pericoloso? – patrimonio genetico: intendiamo abbatterle insieme ai loro figli e incenerirne le carni come abbiamo fatto con Buri e Spotigy?

O impediremo loro di riprodursi come misura di sicurezza in attesa di scoprire a cosa potrebbero dare vita?

Sono domande scomode, me ne rendo conto!

Vi sono milioni di persone con difetti genetici che temono di trasmettere le loro malattie ai figli, o che vedono morire i propri cari per patologie che potrebbero essere guarite, oggi, e la scienza sembra avere la soluzione giusta. Ma dobbiamo essere consapevoli che si tratta anche dell’ennesima mela sull’albero.

Non possiamo fingere che la salute non sia un business, probabilmente il più promettente a lungo termine, che queste tecnologie non saranno, mai, per tutti…

Che non si riesca a porre un confine alle modifiche genetiche…

Che si considerano appropriate, aprendo la strada a scenari alla Blade Runner

Ci preoccupiamo tanto dei cibi OGM, tuteliamo la biodiversità, ma dell’ecologia dell’essere umano pare si preoccupino in pochi.

Chi deciderà fin dove ci si può spingere?

Il problema, tuttavia, non è solo se e dove porre un limite, ma chi deve essere a decidere il futuro di una tecnologia che può modificare la traiettoria evolutiva della specie.

La comunità scientifica?

I singoli Stati?

L’uomo non deve giocare a fare Dio.

Vogliamo, davvero, che bambini vengano concepiti e prodotti industrialmente in provetta sotto il costante controllo di ingegneri genetici, come nel romanzo di Aldous Huxley, Brave New World?

Negli Anni Quaranta, 750 vittime intentarono una causa da 1 miliardo di dollari contro la Rockefeller Foundation, il Johns Hopkins Hospital, la Johns Hopkins University, la Johns Hopkins University School of Medicine, la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, e la Johns Hopkins Health System Corporation, sostenendo di essere stati la forza trainante degli esperimenti umani di quegli anni, in cui esseri umani vulnerabili erano stati, intenzionalmente, esposti alla sifilide, alla gonorrea e ad altre malattie veneree, senza il loro consenso informato. Gli esperimenti erano rivolti a bambini in età scolare, orfani, pazienti di ospedali psichiatrici, detenuti e militari di leva. I ricercatori di Key Rockefeller e Johns Hopkins coinvolti negli esperimenti in Guatemala erano anche dietro gli ormai famigerati esperimenti di Tuskegee, in cui 600 mezzadri afroamericani impoveriti non erano, mai, stati informati di avere la sifilide e avevano ricevuto placebo anziché cure.Nel 1997, quando, tra l’altro, venne trasmesso il primo e unico film sulla vicenda [https://www.imdb.com/title/tt0119679/?ref_=ttpl_pl_tt] il governo statunitense, nella persona del Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, si è scusato formalmente con le vittime, durante una cerimonia alla Casa Bianca, dove erano presenti 5 delle 8 persone ancora in vita:

“Uomini poveri e afroamericani, senza risorse e con poche alternative, credevano di aver trovato speranza quando gli era stata offerta assistenza medica gratuita dal Servizio Sanitario Pubblico degli Stati Uniti. Sono stati traditi.”

Nella prima metà del secolo scorso la sifilide era la malattia  sessualmente trasmissibile che preoccupava di più. Non esistevano ancora cure molto efficaci contro l’infezione, e i pochi trattamenti disponibili avevano, spesso, pesanti effetti collaterali. Nel 1932, l’US Public Health Service [PHS] decise di condurre uno studio per monitorare l’evoluzione della malattia nei maschi che non avevano, mai, ricevuto trattamenti, e la scelta cadde, automaticamente, sulle comunità rurali afroamericane presenti nel Sud del Paese, dove non solo la prevalenza della sifilide era più alta, ma la povertà e la segregazione impedivano che le persone ricevessero una normale assistenza sanitaria. Collaborava alla ricerca la Tuskegee University, un college dell’Alabama riservato ai neri. Erano gli anni della Grande Depressione, e nella contea di Macon erano molti i mezzadri neri fortemente impoveriti. Dalla città di Tuskegee furono, quindi, reclutati, con l’aiuto di un’infermiera di colore, Eunice River, 399 maschi con una forma latente della malattia e 201 sani come controllo. A questi uomini non fu spiegato che facevano parte di un esperimento sulla sifilide né in cosa consistesse la malattia, sapevano solo che sarebbero stati curati gratuitamente dal bad blood, espressione che, nel gergo locale, comprendeva non solo la sifilide, ma anche anemia e affaticamento. Probabilmente, a loro non parve vero di poter ricevere cure mediche gratuite da parte del Governo, e per questo accettarono di partecipare allo studio. Non sapevano che sarebbero divenute le “cavie” per quello che è stato definito “senza dubbio lo studio più infame della ricerca biomedica nella Storia degli Stati Uniti”. Nel corso della durata dell’esperimento, 40 lunghissimi anni, le “cavie” erano state invogliate a proseguirlo perché ricevevano visite mediche gratuite, così come gli spostamenti da casa alla clinica e viceversa e le terapie per i disturbi collaterali. Avevano, anche, diritto a un pasto caldo nei giorni in cui erano sottoposti a esami. I medici spacciavano come “ultima possibilità di un trattamento gratuito speciale” una puntura lombare che, in realtà, serviva a prelevare un campione di fluido spinale per cercare i segni della neurosifilide. Tutte le cure fornite ai malati erano, in realtà, dei Placebo, e la morte era l’unico destino che aspettava quei pazienti curabili semplicemente con un antibiotico. Nel corso degli anni, molti medici dello staff si dimisero dal loro incarico, qualcuno avanzò considerazioni di carattere etico. Quella ricerca avrebbe dovuto, inizialmente, osservare gli effetti della sifilide non curata, su uomini afroamericani, per un periodo dai 6 ai 12 mesi. Dopo, i malati avrebbero dovuto ricevere cure adeguate, quelle conosciute all’epoca per la lue, a base di arsenico e mercurio. Peccato che, dopo pochi mesi di sperimentazione, i fondi destinati allo studio venissero cancellati e le cure previste non potessero più venire erogate. Nonostante questo il direttore del PHS, Taliaferro Clark, decise di proseguire con l’esperimento, che avrebbe dovuto determinare gli effetti della sifilide negli uomini afroamericani rispetto a quelli riscontrati in uomini di razza bianca, che si basavano su dati di uno studio condotto in Norvegia, che analizzava la storia clinica pregressa di pazienti in trattamento. Clark si dimise prima dello scadere dei 12 mesi dall’inizio dell’esperimento, ma l’intero staff fu pronto a farsi carico di quella responsabilità: nascondere la diagnosi, impedire alle “cavie” di accedere ai programmi di cura comunque presenti in quel territorio e osservare la progressione della lue fino alla morte in soggeti umani non curati. Quegli esseri umani andarono incontro a un destino orribile perché la sifilide porta cecità, sordità, malattie cardiache e mentali, deterioramento osseo fino al collasso del sistema nervoso e, quindi, la morte. Ma non solo, tutti quei malati, non informati del loro stato di salute, infettarono le mogli [in 40 casi] e misero al mondo dei figli con sifilide congenita [in 19 casi]. Nel 1941, l’esercito aveva arruolato, e quindi visitato, alcuni uomini di Tuskegee, ordinando loro di iniziare i trattamenti antisifilide il prima possibile. Per non compromettere lo studio, il PHS comunicò all’esercito i nomi dei 256 uomini perché non ricevessero terapie e l’esercito acconsentì [https://www.jstor.org/stable/3561468?seq=1#page_scan_tab_contents]. Nel 1943, era stata, anche, scoperta la Penicillina: il primo [e più famoso] antibiotico è anche oggi il principale farmaco con cui è possibile curare la sifilide. Con la fine della guerra era cominciata la sua produzione in massa e gli uomini di Tuskgee avrebbero potuto essere curati, ma si decise che l’esperimento dovesse continuare come stabilito. Il Dottor Thomas Parran Jr. scriveva, al contrario, nel suo rapporto annuale al PHS, che quello studio diveniva “più significativo ora che è stata introdotta una serie di metodi rapidi e programmi di terapia per la sifilide”. Insomma quell’esperimento rappresentava l’ultima occasione per studiare come la sifilide uccidesse un uomo non sottoposto a cure. L’anno seguente, il Dottor Peter Buxtun presentò i suoi dubbi al CDC, che ribadì, con l’approvazione delle diverse associazioni nazionali di medici, comprese quelle che rappresentavano i medici afroamericani, la necessità di ultimare lo studio, ovvero fino alla morte di tutte le “cavie”. L’esperimento era tutt’altro che sconosciuto alla comunità scientifica [https://scholar.google.it/scholar?start=10&q=tuskegee+untreated&hl=en&as_sdt=0,5&as_ylo=1934&as_yhi=1972]: i primi dati erano stati pubblicati nel 1934, nel 1936 era uscito il primo studio approfondito, poi iniziarono a essere pubblicati aggiornamenti a distanza di pochi anni gli uni dagli altri.  Nel giugno del 1965, il Dottor Irwin J. Schatz, un medico dello Henry Ford Hospital di Detroit, dopo avere letto uno dei reports sull’esperimento, scrisse al primo autore di un articolo pubblicato nel 1964 [https://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/fullarticle/570911] [https://academic.oup.com/jah/article-abstract/68/3/739/727461?redirectedFrom=PDF, https://drupalmountaincamp.ch/sites/default/files/2017-09/Bad-Blood-The-Tuskegee-_0.pdf]:

“I am utterly astounded by the fact that physicians allow patients with a potentially fatal disease to remain untreatedwhen effective therapy is available. If this is the case, then i suggest that the united states public health service and those physicians associated with it need to reevaluate their moral judgments in this regard.”

Il Dottor Schatz non ricevette nessuna risposta e la sua lettera fu archiviata negli schedari del Center for Disease Control and Prevention [CDC], con una nota della Dottoressa Anne Q. Yobs, coautrice del report, che riportava questa spiegazione:

“This is the first letter of this type we have received. I do not plan to answer this letter.”

Il Dottor Buxtun, che, per anni aveva tentato invano di cambiare le cose dall’interno, nel 1972, decise di rivolgersi alla stampa. Il 25 luglio 1972, la storia dell’esperimento uscì sul Washington Star e, il giorno dopo, era in prima pagina sul New York Times. Dopo 40 anni, l’esperimento terminò, iniziarono le cause legali e il lungo percorso per cercare di riparare l’enorme danno. Il bilancio finale dell’esperimento è drammatico: 28 uomini morti di sifilide, ai quali si devono aggiungere 100 decessi per complicazioni della malattia. Almeno 40 furono le donne infettate e 19 i  bambini già malati alla nascita. Non stupisce, quindi, che, nel 2006, sia stato definito “senza dubbio lo studio più infame della ricerca biomedica nella Storia degli Stati Uniti” [https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1780164/]. Lo studio è stato, anche, un fallimento dal punto di vista scientifico. Dopo la guerra, molti dei soggetti sifilitici avevano ricevuto dosi di penicillina e altri antibiotici nel corso di trattamenti per altre infezioni. Anche se non avevano ricevuto un’appropriata terapia, questo bastava per invalidare l’esperimento. 2 anni prima che la storia diventasse pubblica il Dottor James B. Lucas del CDC dichiarava:

“Nothing learned will prevent, find, or cure a single case of infectious syphilis or bring us closer to our basic mission of controlling venereal disease in the United States.” [https://www.infoplease.com/history/black-history/the-tuskegee-syphilis-experiment]

Il Governo degli Stati Uniti, attraverso le sue organizzazioni di sanità pubblica, ha infranto le sue stesse leggi e condotto esperimenti medici su cittadini ignari. Le firme e i timbri di molti dirigenti sono là a dimostrare che tutti sapevano e approvavano. Dei 399 malati ne rimasero in vita solo 74. Il PHS non si è, mai, scusato né con i sopravvissuti né con le famiglie delle “cavie”. Non lo ha fatto neppure l’infermiera di colore Eunice River, l’unica dello staff a partecipare all’esperimento per tutta la sua durata. Il suo ruolo era stato fondamentale per mantenere i contatti con la comunità nera e percarpire la fiducia degli afroamericani coinvolti. Nel 1975, ricevette, perfino, un riconoscimento dal Tuskegee Institute per i suoi “vari e straordinari contributi alla professione infermieristica, che hanno dato lustro al Tuskegee Institute”.

Nel 2010, l’allora Segretario di Stato Hillary Rodham Clinton, doveva ripetere scuse simili a quelle presentate dal marito, l’ex-Presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, alle vittime afroamericane di Tuskegee [https://www.reuters.com/article/us-usa-guatemala-experiment-idUSTRE6903RZ20101001, dopo le rivelazioni su un esperimento altrettanto inumano condotto, tra il 1946 e il 1948, sempre dall’US Public Health Service e di nuovo riguardante le malattie veneree. 

Il filo che lega i due esperimenti si chiama John C. Cutler, un luminare del suo campo, l’esperto di malattie sessuali che fino alla sua morte, nel 2003, ha strenuamente giustificato, nel nome della scienza, gli orrori di Tuskegee.”

John Charles Cutler, medico dell’United States Public Health Service, guidò gli esperimenti per, poi, partecipare anche alle fasi finali dello studio sulla sifilide di Tuskegee. Come risulta dagli archivi, Thomas Parran Jr., il dirigente del Surgeon General all’epoca dei fatti, riferiva che molti dei dettagli degli esperimenti erano stati tenuti nascosti alle autorità guatemalteche, ma che vi era stata cooperazione e consenso da parte di alcuni livelli del Governo del Guatemala. Gli esperimenti furono finanziati dal National Institutes of Health attraverso il Pan American Sanitary Bureau. Circa 1500 “cavie” furono coinvolte negli esperimenti, ma i risultati non furono mai pubblicati.

“Centinaia di persone infettate con la sifilide e la gonorrea. Bambini presi dagli orfanatrofi e usati come cavie. Prostitute accoppiate ai detenuti per trasmettere il virus. Malati di mente infettati senza saperlo. Uno “studio” pagato dal servizio sanitario degli Stati Uniti e condotto naturalmente a migliaia di chilometri da casa: nel Guatemala allora posseduto e controllato dalla potentissima United Fruit Company, la multinazionale USA che verrà ribattezzata Chiquita, e quindi perfetta “repubblica delle banane” dove avviare in gran segreto gli esperimenti. La pagina più vergognosa nella storia della medicina americana è stata svelata da Susan M. Reverby, una ricercatrice del Wellesley College. Un racconto dell’orrore che ha costretto il Segretario di Stato, Hillary Clinton, e il Ministro della Sanità, Kathleen Sebelius, a chiedere “profondamente scusa per queste pratiche abominevoli: lo studio della trasmissione delle malattie sessuali condotto in Guatemala dal 1946 al 1948 è eticamente inaccettabile. […] Fu proprio Cutler a coordinare gli esperimenti che, riconosceva lui stesso, “non si potrebbero mai condurre in America, scegliendo – scrive Reverby “il solito quartetto di pazienti disponibili e sotto costrizione: prigionieri del penitenziario nazionale, detenuti dell’unico ospedale mentale del Guatemala, bambini dell’orfanotrofio pubblico e soldati nelle caserme della capitale”. Tutti ovviamente ignari degli esperimenti, spacciati per cure ordinarie. In cambio, gli USA ripagarono l’ospedale criminale guatemalteco “con medicinali, un frigorifero, un proiettore per l’unica sala ricreativa per i detenuti, tazze di metallo, piatti e forchette”: come ai tempi dei nativi, comprati dai Conquistadores con le perline. L’infezione fu programmata in due tempi. Prima si tentò con le prostitute [infettando anche quelle sane]. Ma la trasmissione via sessuale era troppo lenta e così si passò all’infezione diretta: anche nel pene. Gli esperimenti non portarono neppure a una conclusione e furono abbandonati dopo 2 anni. Le 700 cavie furono lasciate al loro destino: una su 3 senza cure. [Cavie umane per la sifilide 60 anni dopo l’America si scusa, la Repubblica, 2 ottobre 2010, https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/10/02/cavie-umane-per-la-sifilide-60-anni.html]

Fu la professoressa Susan Mokotoff Reverby del Wellesley College a scoprire la documentazione di questi esperimenti, nel 2005, mentre svolgeva ricerche sullo studio di Tuskegee sulla sifilide, all’interno degli archivi di Cutler, e a condividere la scoperta con i funzionari del Governo degli Stati Uniti. L’ex-direttore del National Institutes of Health, Francis Collins, ha definito gli esperimenti un nero capitolo della Storia della Medicina” e ha rilevato che le regole attuali proibiscono la sperimentazione su soggetti umani senza il consenso informato.

Il primo ottobre 2010, l’allora Presidente statunitense Barack Obama, porse le sue scuse al presidente guatemalteco Alvaro Colom. E, in una dichiarazione congiunta, si scusarono l’allora Segretario di Stato Hillary Rodham Clinton e l’allora Segretario dei Servizi Umani Kathleen Sebelius:

“Nonostante questi eventi siano accaduti più di 64 anni fa, siamo indignate che queste biasimevoli ricerche siano state condotte sotto le spoglie della sanità pubblica. Ci rammarichiamo profondamente che questo sia successo, e ci scusiamo con tutti coloro che sono stati colpiti da tali aberranti ricerche. La condotta mostrata durante tali ricerche non rappresenta i valori degli Stati Uniti, o i nostri sforzi per la promozione della dignità umana e il grande rispetto verso il popolo del Guatemala.”

 

Anche in questo caso sofferenza, morte ed esseri umani consapevolmente abbandonati al loro destino in nome di un improbabile esperimento senza logica né vantaggi per la popolazione.

A questo punto viene da chiedersi: quante volte deve sbagliare l’uomo prima di fermarsi?

 

Nel giugno del 2007, in occasione della visita di 6 giorni del Presidente vietnamita Nguyen Minh Triet, negli Stati Uniti, l’allora Presidente George W. Bush, riferendosi alla causa intentata dalla Vietnam Association For Victims of Agent Orange [VAVA], nel 2004, per crimini contro l’umanità e crimini di guerra, presso il Tribunale di New York, contro le società produttrici dell’Agent Orange – tra le quali la Monsanto e la Dow Chemical – aveva liquidato l’argomento con poche, significative parole:

“Non saranno dei contenziosi giudiziari a fermare la collaborazione produttiva tra gli Stati Uniti e il Vietnam.”

Il 22 febbraio 2008, la Corte di Appello di New York avrebbe confermato il giudizio, precedentemente, espresso dalla Corte Distrettuale, per l’impossibilità di classificare l’Agent Orange come arma letale, in quanto semplice erbicida, pur contenente Diossina, sostanza letale per l’uomo. Di conseguenza, le aziende produttrici e il Governo americano non erano imputabili di reato, in quanto si erano limitati a fare uso di un “normale” diserbante, i cui effetti, drammaticamente visibili, sulla salute delle persone, sono “effetti collaterali” del diserbante stesso. Agli inizi di marzo del 2009, la Corte Suprema degli Stati Uniti si rifiutò di rivedere il giudizio pronunciato, l’anno precedente, dalla Corte di Appello di New York, a motivo che l’Agent Orange era stato utilizzato come defoliante e non come sostanza tossica nei confronti di esseri umani.

Il diserbante killer non è condannabile, l’arma chimica sì.

E se la sostanza è ambedue le cose?

È, dunque, un semplice problema di dizionario?

Di fatto, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha, molto semplicemente, scagionato il Governo americano e le società implicate nella produzione del defoliante. Questo crimine umano e ambientale resta, dunque, impunito.

 

Il primo dicembre 2011, France 24 dava la notizia che un team di scienziati olandesi dell’Erasmus Medical Center aveva sviluppato un nuovo ceppo altamente patogeno del virus aviario H5N1 in grado di essere facilmente trasmesso da persona a persona. Una scoperta che suscitò polemiche nel mondo della ricerca.

“C’est l’une des formes les plus mortelles de la grippe, responsable en 2007 d’une panique mondiale face à la crainte d’une pandémie. Selon l’Organisation Mondiale de la Santé [OMS], le virus H5N1, responsable de la grippe aviaire, est à l’origine de la mort de 335 personnes dans une douzaine de Pays. Jusqu’à présent, le virus ne se transmettait pas d’homme à homme, mais des animaux aux hommes.

Depuis le 18 septembre, la donne a changé. Le professeur Ron Fouchier, qui travaille au centre médical Erasmus de Rotterdam, est parvenu à créer les conditions d’une propagation entre humains. A l’origine, il ne cherchait en fait qu’à mieux comprendre le virus afin de mettre au point des traitements plus efficaces. Lors de la Quatrième Conférence Européenne sur la grippe qui s’est déroulée en septembre à Malte, il a présenté ses recherches menées en laboratoire sur des furets, des cobayes proches du modèle humain. Son équipe est parvenue à réaliser des mutations qui rendent le H5N1 facilement transmissible entre les mammifères. “Aussi facilement qu’une grippe normale”, selon Ron Fouchier.

Arme biologique

Depuis, l’annonce suscite l’émoi de nombreux scientifiques. Selon Thomas Inglesby, le directeur du Centre pour la biosécurité de l’université de Pittsburgh [Pennsylvanie] qui s’exprimait en marge de la Conférence [https://www.huffpost.com/entry/bird-flu-h5n1-avian-flu-virus_n_1118673], “l’idée de transformer un virus mortel en virus hautement contagieux est mauvaise”. “Nous devrions mettre au point une meilleure supervision des recherches potentiellement très dangereuses comme celle-ci”, a ajouté John Steinbrunner, directeur du Centre de recherche internationale et de sécurité du Maryland. Selon la radio publique américaine NPR, même le Conseil National Scientifique américain sur la biosécurité a demandé à regarder de plus près les résultats des expériences du professeur Ron Fouchier.

“Il est normal que les services de sécurité cherchent à vérifier ce type de découverte car le virus H5N1 peut servir d’arme biologique”, rappelle à France 24 Vincent Enouf, spécialiste des virus à l’institut Pasteur. L’OMS souligne que la grippe aviaire est mortelle dans 60% des cas. “Pour l’instant, seule une forte exposition avec des animaux porteurs de la maladie peut entraîner une transmission à l’homme”, souligne Vincent Enouf. La perspective d’une souche du “super H5N1” développée au centre Erasmus de Rotterdam qui serait lâchée dans la nature inquiète sérieusement la communauté scientifique. […]

“Ce n’est pas une bonne idée de mettre entre d’eventuelles mauvaises mains les éléments qui permettraient de copier l’expérience menée par Ron Fouchier”, estime Thomas Englesby. “La publication peut être utile, mais il ne faut pas révéler tous les détails de l’expérience”, juge, quant à lui, Vincent Enouf.

Ron Fouchier aurait, selon le site NewScientist [https://www.newscientist.com/article/dn21195-bioterror-fears-could-block-crucial-flu-research/?ignored=irrelevant], soumis ses travaux à la revue américaine de référence “Science” qui l’aurait refusé pour des raisons de sécurité. [Des scientifiques créent une variante extrêmement dangereuse du virus H5N1, France 24, 1 décembre 2011, https://www.france24.com/fr/20111201-h5n1-grippe-aviaire-mutation-erasmus-amsterdam-ron-fouchier-decouverte-transmission-polemique]

Alla notizia faceva seguito, il 30 dicembre 2011, un articolo dal titolo A flu virus risk worth taking e a firma di Anthony S. Fauci, director of the National Institute of Allergy and Infectious Diseases [NIAID],  Gary J. Nabel, director of the Vaccine Research Center at the National Institute of Allergy and Infectious Diseases, e Francis S. Collins, director of the National Institutes of Health. veniva pubblicato sul Washington Post:

“A deadly influenza virus has circulated widely in birds in recent years, decimating flocks but rarely spreading to humans. Nonetheless, because of its persistence in bird flocks, this highly pathogenic avian influenza virus has loomed as a major public health threat. Seasonal influenza kills less than 1 percent of the people it infects. In contrast, human infections with H5N1, though exceedingly rare, are fatal in more than half of cases. Should this virus mutate in a way that allows it to be transmitted as efficiently among people as seasonal influenza viruses are, it could take an unprecedented toll on human life. A number of important scientific and public health questions regarding this virus remain unanswered, including the likelihood of such mutations arising and the mechanisms by which they may occur. Two recent studies co-funded by the National Institutes of Health have shed light on how this potentially grave human health threat could become a reality. Working carefully with influenza viruses they have engineered in isolated biocontainment laboratories, scientists in Europe and the United States have identified several mechanisms by which the virus might evolve to transmit efficiently in the ferret, the best animal model for human influenza infection. This research has allowed identification of genetic pathways by which such a virus could better adapt to transmission among people. This laboratory virus does not exist in nature. There is, however, considerable concern that such a virus could evolve naturally. We cannot predict whether it or something similar will arise naturally, nor when or where it might appear.

Given these uncertainties, important information and insights can come from generating a potentially dangerous virus in the laboratory. While the World Health Organization and the Centers for Disease Control [CDC] and Prevention provide excellent public health surveillance for novel influenza strains, influenza outbreaks still occur suddenly and in unexpected places. The recent H1N1 pandemic exemplifies the problem: In 2009, a new influenza virus emerged. It was shown to have originated from an animal reservoir, and it spread so rapidly that it strained the pharmaceutical industry’s capacity to prepare vaccines fast enough to blunt its spread. We do not fully understand the underlying factors that allow influenza viruses to be transmitted efficiently in humans after they emerge from different species. The ferret transmission studies were intended in part to fill these important gaps in knowledge. Understanding the biology of influenza virus transmission has implications for outbreak prediction, prevention and treatment. In defining the mutations required for mammalian transmission, public health officials are provided with genetic signatures that, like fingerprints, could help scientists more readily identify newly emergent, potentially harmful viruses, track their spread and detect threatening outbreaks. The ability to identify such viruses even a few months faster than by conventional surveillance provides critical time to slow or stop an outbreak. For example, the CDC implements public health protective measures and stockpiles antiviral drugs. Identifying threatening viruses can also facilitate the early stages of manufacturing vaccines that protect against such a virus in advance of an outbreak.

Democracy Dies in Darkness Get one year for €20 Sign In Newsletters & alerts Gift subscriptions Contact us Help desk Skip to main content Opinions Editorial Board The Opinions Essay Global Opinions Voices Across America Post Opinión D.C., Md. & Va. Cartoons Podcasts Opinions A flu virus risk worth taking By Anthony S. Fauci, , Gary J. Nabel and Francis S. CollinsDecember 30, 2011 Anthony Fauci is director of the National Institute of Allergy and Infectious Diseases [NIAID], Gary Nabel is director of the Vaccine Research Center at the National Institute of Allergy and Infectious Diseases and Francis Collins is director of the National Institutes of Health. A deadly influenza virus has circulated widely in birds in recent years, decimating flocks but rarely spreading to humans. Nonetheless, because of its persistence in bird flocks, this highly pathogenic avian influenza virus has loomed as a major public health threat. Seasonal influenza kills less than 1 percent of the people it infects. In contrast, human infections with H5N1, though exceedingly rare, are fatal in more than half of cases. Should this virus mutate in a way that allows it to be transmitted as efficiently among people as seasonal influenza viruses are, it could take an unprecedented toll on human life. A number of important scientific and public health questions regarding this virus remain unanswered, including the likelihood of such mutations arising and the mechanisms by which they may occur. Two recent studies co-funded by the National Institutes of Health have shed light on how this potentially grave human health threat could become a reality. Working carefully with influenza viruses they have engineered in isolated biocontainment laboratories, scientists in Europe and the United States have identified several mechanisms by which the virus might evolve to transmit efficiently in the ferret, the best animal model for human influenza infection. This research has allowed identification of genetic pathways by which such a virus could better adapt to transmission among people. This laboratory virus does not exist in nature. There is, however, considerable concern that such a virus could evolve naturally. We cannot predict whether it or something similar will arise naturally, nor when or where it might appear. Given these uncertainties, important information and insights can come from generating a potentially dangerous virus in the laboratory. While the World Health Organization and the Centers for Disease Control [CDC] and Prevention provide excellent public health surveillance for novel influenza strains, influenza outbreaks still occur suddenly and in unexpected places. The recent H1N1 pandemic exemplifies the problem: In 2009, a new influenza virus emerged. It was shown to have originated from an animal reservoir, and it spread so rapidly that it strained the pharmaceutical industry’s capacity to prepare vaccines fast enough to blunt its spread. We do not fully understand the underlying factors that allow influenza viruses to be transmitted efficiently in humans after they emerge from different species. The ferret transmission studies were intended in part to fill these important gaps in knowledge. Understanding the biology of influenza virus transmission has implications for outbreak prediction, prevention and treatment. In defining the mutations required for mammalian transmission, public health officials are provided with genetic signatures that, like fingerprints, could help scientists more readily identify newly emergent, potentially harmful viruses, track their spread and detect threatening outbreaks. The ability to identify such viruses even a few months faster than by conventional surveillance provides critical time to slow or stop an outbreak. For example, the CDC implements public health protective measures and stockpiles antiviral drugs. Identifying threatening viruses can also facilitate the early stages of manufacturing vaccines that protect against such a virus in advance of an outbreak. In addition, determining the molecular Achilles’ heel of these viruses can allow scientists to identify novel antiviral drug targets that could be used to prevent infection in those at risk or to better treat those who become infected. Decades of experience tells us that disseminating information gained through biomedical research to legitimate scientists and health officials provides a critical foundation for generating appropriate countermeasures and, ultimately, protecting the public health.

The question is whether benefits of such research outweigh risks. The answer is not simple. A highly pathogenic bird flu virus transmissible in humans could arise in ways not predicted by laboratory studies. And it is not clear whether this laboratory virus would behave in humans as it does in ferrets. Nonetheless, new data provide valuable insights that can inform influenza preparedness and help delineate the principles of virus transmission between species. Along with support for this research comes a responsibility to ensure that the information is used for good. Safeguarding against the potential accidental release or deliberate misuse of laboratory pathogens is imperative. The engineered viruses developed in the ferret experiments are maintained in high-security laboratories. The scientists, journal editors and funding agencies involved are working together to ensure that access to specific information that could be used to create dangerous pathogens is limited to those with an established and legitimate need to know.

[https://www.washingtonpost.com/opinions/a-flu-virus-risk-worth-taking/2011/12/30/gIQAM9sNRP_story.html]

In Letters, diario dei suoi viaggi nell’Ovest degli Stati Uniti, il pittore ed etnografo George Catlin così scriveva, nel 1832, a proposito degli Indiani Mandan:

“Da quanto posso dedurre dai loro racconti, una volta furono una nazione numerosa e potente, ma a causa delle continue guerre si sono ridotti al numero di oggi.”

Un numero esiguo, se ne deduce. Catlin, animato da sincero amore per «gli uomini rossi», che ritrasse con ossessiva minuzia in oltre 400 tra quadri e schizzi, quella volta peccò di miopia storica: l’Uomo Bianco già prima di archiviare definitivamente la questione indiana con centinaia di trattati poco rispettati e il sostanziale annientamento dopo la Guerra Civile, aveva già inconsciamente posto le basi del l’Olocausto dei Nativi. Pochi anni prima della Guerra di Secessione Americana e della nascita degli Stati Uniti, Sir Jeffrey Amherst comandante delle forze anglo-americane nella Guerra Franco-Indiana, per fiaccare la resistenza delle tribù indiane, alleate dei Francesi,  pianificò e autorizzò il progetto di contaminare le Tribù Indiane ostili  con il virus del vaiolo.

“It was a notable fact that by this time [1763] the Ottawas were greatly reduced in numbers from what they were in former times, on account of the small-pox which they brought from Montreal during the French war with Great Britain. This small pox was sold to them shut up in a tin box, with the strict injunction not to open the box on their way homeward, but only when they should reach their country; and that this box contained something that would do them great good, and their people! The foolish people believed really there was something in the box supernatural, that would do them great good. Accordingly, after they reached home they opened the box; but behold there was another tin box inside, smaller. They took it out and opened the second box, and behold, still there was another box inside of the second box, smaller yet. So they kept on this way till they came to a very small box, which was not more than an inch long; and when they opened the last one they found nothing but mouldy particles in this last little box! They wondered very much what it was, and a great many closely inspected to try to find out what it meant. But alas, alas! pretty soon burst out a terrible sickness among them. The great Indian doctors themselves were taken sick and died. The tradition says it was indeed awful and terrible. Every one taken with it was sure to die. Lodge after lodge was totally vacated - nothing but the dead bodies lying here and there in their lodges - entire families being swept off with the ravages of this terrible disease. The whole coast of Arbor Croche... was entirely depopulated.... It is generally believed among the Indians of Arbor Croche that this wholesale murder of the Ottawas by this terrible disease sent by the British people, was actuated through hatred, and expressly to kill off the Ottawas and Chippewas because they were f riends of the French Government or French King.”  

Early Native American Writing: New Critical Essays

255 anni dopo, nel gennaio del 2018, veniva riportata su una rivista scientifica la notizia [https://www.folio.ca/creation-of-synthetic-horsepox-virus-could-lead-to-more-effective-smallpox-vaccine/], già apparsa su Science [https://www.sciencemag.org/news/2017/07/how-canadian-researchers-reconstituted-extinct-poxvirus-100000-using-mail-order-dna], nel luglio del 2017, che alcuni ricercatori canadesi dell’Università di Alberta, coordinati dal virologo David Evans, avevano creato il virus del vaiolo in laboratorio e avevano pubblicato on-line, all’interno di un articolo scientifico sulla prestigiosa rivista PloS ONE la procedura per ottenerlo. Per creare il virus del vaiolo, denominato horsepox virus [Hpvx], i virologi avevano acquistato sul Web, da comporre come  pezzi di un puzzle, singoli frammenti di DNA, costati 100mila dollari e finanziati dalla Tonix, un’azienda farmaceutica di New York, [https://www.youtube.com/watch?v=lDEgg8L13qY]. Lo studio canadese e la sua pubblicazione sull’acquisto on-line di frammenti di DNA, usati poi per costruire una versione sintetica del virus del vaiolo, aveva fatto molto discutere la comunità scientifica. Thomas Inglesby, direttore del Center for Health Security della Johns Hopkins University Bloomberg School of Public Health, aveva dichiarato:

“Il mondo è ora più vulnerabile al vaiolo.”,

e Andreas Nitsche del Robert Koch Institute:

“Se qualcuno vuole ricostruire un altro virus simile ora trova le istruzioni per farlo in un solo posto.”

L’ultima vittima diretta del virus è stata Janet Parker, una fotografa di medicina, che, nel 1978, entrò in contatto con un campione di vaiolo, in un laboratorio della Birmingham Medical School. Il Direttore del laboratorio, Henry Bedson, si suicidò prima che la morte di Janet Parker fosse confermata, per il rimorso di avere fatto uscire il virus dalla struttura. Dopo il contagio, la fotografa era entrata in contatto con molte persone, ma solo la madre della fotografa contrasse il vaiolo e ne fu, poi, curata. Un anno dopo l’accaduto, il vaiolo fu considerato, ufficialmente, eradicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e dopo un acceso dibattito – con i Paesi più colpiti dall’epidemia che premevano per la totale soppressione dei campioni, considerati una potenziale minaccia – si decise di custodire 2 campioni del virus da studiare in caso di improvvise recrudescenze della malattia presso i Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta, negli Stati Uniti, e il Centro di Ricerca Statale di Virologia e Biotecnologia [Vector] di Koltsovo, nella zona di Novosibirsk, in Siberia, al cui interno, il lunedì 16 settembre 2019, una fuga di gas aveva causato una esplosione e un incendio. La Vector aveva dichiarato che il settore interessato dall’incidente non era coinvolto in ricerche scientifiche e non conteneva materiale a rischio biologico [https://www.open.online/2019/09/18/incendio-in-un-laboratorio-russo-che-ospita-i-virus-di-ebola-e-di-vaiolo-ma-niente-panico/].

Perché ricreare il virus del vaiolo in laboratorio?

Qualunque gruppo terroristico potrebbe acquistare, con facilità, su Internet agenti patogeni utili alla realizzazione di armi batteriologiche!

E questo, a causa dell’assenza di regole certe che impediscano l’acquisto in Rete di virus mortali per l’uomo. Come sia facile realizzare un’arma batteriologica lo aveva, già, dimostrato, nel 2006, il quotidiano britannico The Guardian, che non aveva fatto altro che acquistare su Internet una piccola sequenza di DNA del virus del vaiolo. The Guardian aveva, infatti, acquistato on-line la sequenza di DNA dalla VH Bio Ltd, una società con sede a Gateshead, in Gran Bretagna, che forniva strumentazioni e sostanze chimiche usate nei laboratori genetici. Attraverso una semplice mail il quotidiano si era garantito una sequenza di 78 lettere di DNA della proteina del vaiolo, al modico prezzo di 33 sterline e 8 centesimi, più 7 sterline di spese postali [https://www.repubblica.it/2006/06/sezioni/esteri/guerra-batteriologica/guerra-batteriologica/guerra-batteriologica.htm].

“One of the country’s leading scientists yesterday called on the government to draw up new laws to regulate companies that sell DNA samples which could be used to manufacture a biological weapon.

Colin Blakemore, chief executive of the Medical Research Council, said foolproof protection was needed to prevent potentially dangerous material getting into the wrong hands. His comments were endorsed by other senior scientists and follow a Guardian investigation that revealed the ease with which a potential terrorist could buy such materials on the internet. The Guardian was able to order a small fragment of DNA from the variola virus, the virus that causes smallpox.

“It is obviously a worry that fragments of a potentially very dangerous pathogen can be obtained as easily as your investigation suggests,” said Professor Blakemore. “This is one area where legislation or new regulation might be appropriate.”

He said it was naive to think that self-regulation by scientists and the industry would be sufficient. “What we are looking for is foolproof protection against highly unusual behaviour and I don’t think that codes of conduct are the right way to approach that,” he said.

Alistair Hay, of Leeds University, an expert on biological and chemical weapons who advises the police and government, said: “I think it would first be important to get industry to put its house in order.” If that failed, he said there would be a need for legislation.

Mark Walport, director of the Wellcome Trust, the UK’s largest research charity said the risks should be weighed against the need for research.

Geoffrey Smith, a smallpox expert at Imperial College, London, pointed out that a short sequence of variola virus may be similar or identical to a sequence from a closely related and harmless relative. But he said companies should check orders from customers. “It’s sensible that requests [for DNA] are screened for sequences that match a known pathogen.”

A spokesperson for the Royal Society said there were already stringent regulations on micro-organisms, but added: “Science faces the challenge of identifying measures that can be taken to reduce risk without jeopardising the potential benefits from research advances.”

A dilemma for scientists is how much data should be shared publicly. Once the sequence of a virus genome is known, it is possible to manufacture the virus itself, said Prof Blakemore. The genome for smallpox is already freely available so it is too late to control access to it, he said.” [James Randerson, Tighter laws needed on sale of DNA samples, says research chief, The Guardian, 15 giugno 2006, https://www.theguardian.com/science/2006/jun/15/medicalresearch.terrorism]

 

“The smallpox virus last wreaked havoc on the human population in 1977 before a World Health Organisation programme eradicated it from the planet. It now exists only in government laboratories in the US and Russia.

But ordering part of this long-dead pathogen’s DNA proved easier than anyone dared imagine. All it took was a invented company name, a mobile phone number, a free email address and a house in north London to receive the order by post.

The investigation makes clear that anyone, without attempting to prove a link to a legitimate research organisation, can order DNA sequences from any potential pathogen without fear of extensive questioning. In our case VH Bio Ltd did not realise it was supplying part of the smallpox genome, but many scientists argue that it is the responsibility of companies selling custom-made pieces of DNA to check their orders for potentially dangerous sequences.

Without modifications that prevented the strand ordered by the Guardian ever forming part of a functional gene, it would probably have fallen foul of the Anti-Terrorism, Crime and Security Act 2001. This lists so-called Schedule 5 pathogens and toxins, including smallpox virus, ebola virus and the plague bacterium. It is illegal to keep or use these, along with any DNA “associated with the pathogenicity of the micro-organism”, without first notifying the authorities.

Last November New Scientist magazine surveyed 12 gene synthesis companies in North America and Europe. Only five said they always screened their orders for suspect sequences, and three said they never did. These were all doing relatively large-scale synthesis, providing sequences a few hundred letters long, but there are many more companies such as VH Bio Ltd which make so-called oligonucleotides, sequences around 100 letters or smaller.

Of three UK-based sequencing companies other than VH Bio Ltd canvassed by the Guardian, one did not screen customers or sequences, one carried out checks on customers only, and a third checked customers and had carried out a pilot study on screening DNA orders but is not currently doing so. Screening shorter sequences is more difficult because a chance match to a suspect piece of DNA is more likely. “Because they are short, sequence screening can pick those up, but the false positive rate is high,” said Robert Jones at Craic Computing in Seattle, which produces software to screen sequence orders against a database of DNA from nasty pathogens.

The Guardian’s investigation has sparked calls for DNA synthesis companies to be better regulated.

Edward Hammond, a biological weapons expert with the Sunshine Project, an NGO that campaigns against the development of biological weapons, said: “The most worrisome thing . . . is that [the field of synthetic biology] is going to enable people to create potentially very dangerous diseases that don’t otherwise exist or to re-create ones that have been wiped off the face of the Earth.”

The emerging science of synthetic biology holds great potential for medicine and other fields. There are, for example, research projects to develop synthetic bacteria that seek and invade tumour cells, and yeast cells that produce a malaria drug.

Eckard Wimmer at the State University of New York in Stony Brook said the 2002 experiment to make polio virus from scratch by stitching together short strands of DNA was fairly easy. “We did it as a wake-up call,” he said. “It’s surprising to me, after all these discussions for at least four years, that no more urgent recommendation has gone out to these companies saying that if you don’t [carry out more rigorous checks] you may be in trouble,” he said.

At a synthetic biology conference in Berkeley, California, last month delegates discussed how to minimise misuse of the technology. Delegates are currently consulting on four “resolutions”, which include an effort to develop improved and freely available software tools to screen DNA orders for potentially dangerous sequences and a pledge to “encourage individuals and organisations to avoid patronising companies that do not systematically check their DNA synthesis orders”.

But synthetic biologists have defended their efforts to regulate the field. “If scientists are willing to get the ball rolling when few others are acting, then they should be encouraged,” said George Church, a leading synthetic biologist at Harvard. He argued that voluntary regulation would would be quicker than legislation and would not preclude new laws.”

[James Randerson, Did anyone order smallpox?, The Guardian, 23 giugno 2006, https://www.theguardian.com/science/2006/jun/23/weaponstechnology.guardianweekly]

 

Nel 2013, Déclaration de Berne [DB], che, nel 2016, è divenuta Public Eye, pubblicava uno studio intitolato Des cobayes humains au rabais [https://www.publiceye.ch/fr/thematiques/medicaments/nos-enquetes], risultato di indagini effettuate sul campo, tra il giugno del 2012 e il luglio del 2013, dalla ONG svizzera in Ucraina, in Russia, in Argentina e in India, 4 Paesi nei quali i colossi svizzeri Novartis e Roche avevano effettuato, al minimo costo, una quota significativa di tests sui nuovi farmaci, approfittando delle lacune dei sistemi sanitari statali, del fallimento dei meccanismi di sorveglianza e della corruzione. Quando si parla di sperimentazioni cliniche delocalizzate o subappaltate, si corre, subito, con la mente al romanzo di John Le Carré The Constant Gardener, magistrale requisitoria contro le pratiche mafiose di un settore avido di profitti, che non esita a testare le sue molecole su una misera popolazione locale africana. Come lo Scandalo Kano in Nigeria. Nel 1996, la Pfizer, “approfittando” di un’epidemia di meningite che aveva colpito più di 110mila persone, aveva deciso di testare il Trovan, un antibiotico non autorizzato-omologato, su 200 bambini.

11 di loro morirono e molti altri rimasero invalidi...

Come dimostra l’inchiesta di Déclaration de Berne [DB], la realtà è apparentemente meno brutale, ma è altrettanto inquietante.

È una osservazione fredda e documentata che si aggiunge ai tanti articoli di stampa, rapporti di ONG, controversie legali e scandali registrati in tutto il mondo. Le grandi società farmaceutiche, che, da una ventina di anni, hanno sempre più delocalizzato i loro studi clinici in Paesi in via di sviluppo o emergenti, continuano a calpestare, nella più totale opacità, gli standards etici internazionali.

“Nel corso degli scandali legati alla delocalizzazione crescente degli esperimenti clinici nei Paesi del Sud e dell’Est, le società farmaceutiche  hanno affinato la loro strategia.”

spiega il suo responsabile sanitario Patrick Durisch.

“Queste società, oramai, effettuano principalmente sperimentazioni nei Paesi emergenti, in infrastrutture e con personale sanitario, a priori buoni sotto tutti i punti di vista. Ma accade, sempre, a porte chiuse, nella più totale opacità, e con la preoccupazione di andare sempre più velocemente.”

Per le società farmaceutiche, la posta in gioco è colossale. Tra il 60 e il 70% del budget di Ricerca e Sviluppo [R&S] è dedicato alle sperimentazioni cliniche. Per questo passaggio essenziale, che consiste nel testare l’efficacia e la sicurezza di una sostanza sugli esseri umani, il vantaggio di una delocalizzazione in Paesi in via di sviluppo o emergenti si è profilato dagli Anni Novanta. In particolare per le sperimentazioni della Fase III, la più costosa, che consiste nell’effettuare esperimenti su un gran numero di soggetti, e della Fase IV.

Fino alla fine degli Anni Ottanta, la stragrande maggioranza delle sperimentazioni cliniche si svolgevano negli Stati Uniti, nell’Europa Occidentale e in Giappone, soprattutto in contesti accademici come le facoltà di medicina. Poi, a poco a poco, le società farmaceutiche si sono rivolte a società specializzate, le Contract Research Organizations [CRO], subappaltatori che organizzano sperimentazioni “chiavi in ​​mano”. Nel 1991, la percentuale di sperimentazioni effettuate nei Paesi emergenti era del 10%. Nel 2005 ha raggiunto il 40%. Nel 2013, una sperimentazione clinica su 2 vieniva condotta in un Paese povero o emergente, e affidata a una CRO. Nel 2010, l’Africa [soprattutto il Sudafrica] e il Medio Oriente hanno attratto il 14% delle sperimentazioni, l’Europa Orientale il 13%, l’America Centrale e Meridionale l’11%, la Cina il 7%, l’India il 5% e il resto dell’Asia il 5%. Questi Paesi rappresentano un enorme mercato potenziale per le case farmaceutiche. Delocalizzare le sperimentazioni cliniche consente una significativa riduzione dei costi e i rischi di onerose azioni legali sono minime. Le “cavie” “sono più numerose e più propense a partecipare a una sperimentazione che a volte è l’unica opzione di cura. Anche la manodopera, il reclutamento e il follow-up sono a buon mercato [...]. Essendo le norme più flessibili, le procedure sono spesso più rapide.”

Il risultato: reclutamento nei Paesi in via di sviluppo può ridurre la durata di una sperimentazione in media fino a 6 mesi e prolungare la fase molto redditizia di commercializzazione di un farmaco brevettato. Questa globalizzazione, di cui beneficiano principalmente i Paesi Occidentali, è accompagnata “da gravi mancanze in termini di ottenimento del consenso informato da parte dei partecipanti, da uso problematico del Placebo come prova di efficacia, da assenza di indennizzo in caso di gravi effetti collaterali e accesso alle cure al fine del test”. La maggior parte di questi principi etici sono fissati per guidare i medici nella ricerca biomedica dalla Dichiarazione di Helsinki, che al punto 17 ammonisce: “Tutta la ricerca medica sull’uomo deve essere preceduta da un’attenta valutazione dei rischi e dell’onere per gli individui e/o i gruppi coinvolti nella ricerca confrontati con i benefici prevedibili per loro e per gli altri individui o gruppi affetti dalla patologia in esame. Devono essere attuate tutte le misure atte a minimizzare i rischi. Questi ultimi devono essere continuamente monitorati, valutati e documentati dal ricercatore.” [https://www.uslcentro.toscana.it/images/ComEC/Dichiarazione_di_Helsinki.pdf]

L’Ucraina è una delle mete preferite dai grandi gruppi farmaceutici. Dal 1996, la conduzione di sperimentazioni cliniche internazionali è in costante aumento. Il Paese ha tutte le carte in regola: situato alle porte dell’Unione Europea con une population majoritairement urbaine [65 %] et génétiquement proche de celle des Pays Occidentaux. Du fait d’un système sanitaire étatique en très mauvais état et d’une situation économique difficile, les patients sont faciles à recruter et craintifs.

Avec un taux de recrutement jusqu’à vingt fois plus rapide qu’en Europe occidentale, les multinationales n’hésitent pas à délocaliser leurs tests de médicaments dans les pays de l’ex-bloc soviétique, en Ukraine notamment. Comme la Russie, ce pays a tenté de mettre en conformité sa législation avec les règles européennes, mais ces changements n’ont pas encore été mis en œuvre.

Amorcée en 1996, la conduite d’essais cliniques internationaux en Ukraine connait un essor fulgurant. Il faut dire que ce pays a de quoi séduire les pharmas : situé aux portes de l’Union européenne, sa population est en majorité urbaine et génétiquement proche de celle des pays occidentaux. La situation économique est difficile et le système de santé étatique laisse à désirer. Les patients, rendus craintifs par un héritage historique aliénant, sont faciles à recruter. Enfin, mener un test coûte jusqu’à deux fois moins cher en Ukraine qu’en Europe occidentale. Entre 2001 et 2009, le nombre de sites autorisés pour mener des essais cliniques a ainsi explosé dans ce pays, passant de 175 à plus 1300, selon les chiffres officiels.

Cette augmentation des essais cliniques s’accompagne de nombreuses violations éthiques, favorisées par un cadre législatif fragile. Alors que l’Ukraine a récemment intégré les standards internationaux dans sa législation, les réformes n’ont pas encore été assimilées par tous les acteurs-clés, les médecins et les commissions d’éthique en particulier. Autrefois gérée de manière centralisée, la procédure d’autorisation pour un essai est soumise depuis mi-2012 à l’aval de comités d’éthique locaux. Mais faute de moyens et de cadre clair, ces structures sont loin d’être opérationnelles dans tout le pays. Rattachés à l’institution qui héberge les essais cliniques, les comités d’éthiques manquent aussi cruellement d’indépendance. Et le comité central du Ministère de la santé, qui n’opère plus depuis avril 2012, a laissé un vide inquiétant en matière de contrôle éthique.

L’absence totale de débat public sur le sujet est également problématique. Pour les patients, les essais cliniques représentent une opportunité unique d’accéder à des soins de qualité qu’ils ne pourraient jamais s’offrir autrement. Dans certains cas particulièrement scandaleux, les médecins leur parlent même d’un “programme humanitaire distribuant des traitements gratuits ”, sans préciser qu’il s’agit d’un essai clinique. D’autres minimisent ouvertement l’importance des règles liées au consentement éclairé, affirmant qu’un membre de la famille peut très bien signer le formulaire à la place du patient. Comme la législation tolère la signature par un “témoin ” dans certains cas, les employés de plusieurs hôpitaux seraient allés jusqu’à parapher eux-mêmes les formulaires.

Des orphelins comme cobayes ?

En mars 2013, des parlementaires ukrainiens ont dénoncé les pratiques illégales de plusieurs pharmas dans leur pays. En cause : trois essais cliniques menés entre 2011 et 2012 sur des enfants, pour certains orphelins, qui auraient notamment violé la procédure de consentement. Parmi ces tests figure l’essai mené par la firme suisse Actelion sur le Tracleer [bosentan], un traitement contre l’hypertension artérielle pulmonaire. L’implication d’enfants est soumise au consentement des deux parents ou, s’il est orphelin, d’un représentant de l’Etat. Les députés affirment que cette règle a été enfreinte dans plusieurs cas. De plus, les essais se seraient déroulés sur des sites ne disposant pas des autorisations nécessaires. Le gouvernement ukrainien a formellement démenti les accusations. Les compagnies pharmaceutiques sont quant à elles restées silencieuses sur le sujet. ” [https://www.publiceye.ch/fr/thematiques/medicaments/nos-enquetes/ukraine, https://www.publiceye.ch/fr/publications/detail/clinical-drug-trials-in-ukraine, https://www.publiceye.ch/fileadmin/doc/Pharma/2013_PublicEye_Clinical_Drug_Trials_Ukraine_Study.pdf]

In Russia, le sperimentazioni cliniche internazionali sono in forte espansione, nonostante una legge “sulla circolazione dei farmaci” promulgata nel 2010 e apparentemente piuttosto severa. Nel 2011, il 33% dei farmaci approvati dalla Food and Drug Administration [FDA] statunitense e il 48% di quelli approvati dall’Agenzia Europea per i Medicinali [EMA] si basavano su dati generati dalla ricerca clinica in Russia e in Ucraina. Come in Ucraina, le sperimentazioni si svolgevano sullo sfondo del crollo del sistema sanitario statale, con un numero sempre crescente di candidati. Il personale medico, sottopagato e poco interessato ai problemi etici, lo vedeva come una manna dal cielo per sbarcare il lunario. La Déclaration de Berne ha potuto raccogliere diverse testimonianze in questo ambiente molto chiuso.

La Russie a légiféré en 2010 sur la mise en place de comités d’éthique décentralisés, tout en maintenant le comité central au niveau du Ministère de la santé. Malgré ces changements, la situation est loin d’être optimale : d’un côté, un comité “officiel ” qui a le pouvoir d’interdire un essai, mais qui est débordé ; de l’autre, des comités “locaux ” qui, lorsqu’ils existent, se penchent davantage sur les dossiers, mais n’ont aucun pouvoir de décision. Les conflits d’intérêts sont également fréquents. Dans un hôpital de Moscou, par exemple, le médecin responsable d’un essai n’est autre que le président du comité d’éthique chargé de l’évaluer. Interrogé, il dit ne pas voir le problème.

Les médecins en Russie n’hésitent pas à recruter des patients sur internet, allant jusqu’à parler de “programmes d’observation ” plutôt que de tests de médicaments comportant des risques pour celles et ceux qui y participent. Comme ils bénéficient des essais d’un point de vue financier  – une rémunération pouvant représenter plusieurs fois leur salaire de base – les médecins multiplient cette activité à outrance.

La situation de vulnérabilité dans laquelle se trouvent la plupart des patients est également dangereuse. En cas d’effets secondaires importants, les participants et participantes préfèrent garder les médicaments chez eux plutôt que de les consommer, par crainte d’être exclus. Une attitude qui biaise les résultats des essais cliniques.

Novartis mise en cause par des patients

Dans le cadre de notre enquête, nous avons pu interroger des personnes ayant participé à une étude de Novartis sur le Gilenya [un médicament contre la sclérose en plaques]. Elles dénoncent plusieurs violations éthiques : signature du formulaire de consentement après le début du traitement, absence de dédommagement pour les effets secondaires ou encore interruption du traitement à la fin de l’essai. Alors que le formulaire de consentement prévoit une police d’assurance en cas de problèmes, les indemnisations semblent inexistantes en Russie. Entre 2007 et 2009, aucun des quelque 70 000 patients assurés n’a été dédommagé.

Faute de moyens, les inspecteurs de l’agence du médicament russe sont totalement impuissants. D’autant plus que la législation ne leur permet pas d’infliger des sanctions sérieuses aux médecins investigateurs ou aux sites d’essais cliniques qui ne respectent pas la loi. Comme les comités d’éthique, les inspecteurs ne sont pas autorisés à rencontrer les patients. Interrogé, un inspecteur a même dénoncé “des recherches fantômes ” sans patient ni médecin responsable. Des accusations confirmées par le responsable d’une CRO [Contract Research Organizations], une entreprise sous-traitante mandatée par les pharmas pour mener les essais cliniques.

 [https://www.publiceye.ch/fr/thematiques/medicaments/nos-enquetes/russie,

https://www.publiceye.ch/fr/publications/detail/russie-le-mirage-des-essais-cliniques-suisses, https://www.publiceye.ch/fileadmin/doc/Pharma/2013_PublicEye_Essais_Cliniques_Russie_F_Studie.pdf, https://www.publiceye.ch/fileadmin/doc/Pharma/2013_PublicEye_Clinical_Drug_Trials_Russia_Study.pdf]

L’Argentina è il terzo Paese più importante dell’America Latina a ospitare sperimentazioni cliniche internazionali. L’indagine di Déclaration de Berne ha permesso di documentare gravi violazioni etiche sullo sfondo di gravi carenze nel sistema normativo argentino.

Alors que l’Argentine est souvent citée en exemple, l’envers du décor des essais cliniques dans ce pays est tout sauf irréprochable. De l’enrôlement de bébés parmi les couches les plus pauvres de la population à l’usage abusif du placebo sur des adolescents schizophrènes, les compagnies pharmaceutiques exploitent les failles du système de régulation argentin pour se soustraire à leurs obligations en matière d’éthique.

L’Argentine figure en troisième position des pays hébergeant le plus de tests de médicaments en Amérique latine, derrière le Brésil et le Mexique. Le pays présente en effet de nombreux atouts pour les pharmas. Au niveau structurel d’abord : des professionnels de la santé bien formés, une population variée d’un point de vue ethnique, mais génétiquement proche de celles d’Europe de l’Ouest et des Etats-Unis, un vaste réseau d’hôpitaux et des coûts plutôt bas en comparaison avec d’autres pays. Il y est également facile de recruter des patients pour les essais cliniques, car le système médical à plusieurs vitesses mis en place dans les années 1990 rend certains traitements inaccessibles pour une part importante de la population. Les médecins, très respectés dans ce pays, n’ont donc aucun problème à convaincre leurs patients que faire partie d’un “protocole ” est la meilleure option pour eux.

Si le niveau d’encadrement des essais cliniques en Argentine est jugé “plutôt bon ” par les acteurs de la recherche médicale, il présente des failles importantes : pas de loi nationale, des comités d’éthique privés à l’indépendance très discutable et une agence du médicament, l’ANMAT, qui ne contrôle pas vraiment le respect des normes éthiques.

Comités d’éthique : opacité et conflits d’intérêt

Face au vide juridique et aux lacunes de l’ANMAT, deux institutions privées ont été érigées en “comités d’éthique indépendants ”, seuls responsables en Argentine de la protection des participants. Ces organes, qui s’apparentent davantage à des chambres d’enregistrement de protocoles, sont montrés du doigt par de nombreux professionnels du secteur. Ceux-ci les accusent de manquer totalement de crédibilité et d’indépendance. Avec raison apparemment : dans une analyse portant sur 36 protocoles d’essais cliniques datant de 2005 et 2006, un médecin a identifié près de 100 violations des normes en vigueur dans 85 % des protocoles étudiés. A eux deux, ces comités approuvent 80 % des essais cliniques réalisés en Argentine. Le FEFyM, dirigé par un certain Dr Zieher, révise les protocoles de 85 % des essais cliniques menés par Roche et Novartis en Argentine. Deux essais non éthiques de Roche et Merck, révélés par notre enquête, ont d’ailleurs été révisés par le FEFyM.

Des adolescents schizophrènes privés de leur traitement

Si tester un médicament contre placebo permet d’obtenir des résultats plus clairs, administrer une “pilule de sucre ” à des patients qui ont besoin d’un traitement est dangereux et inacceptable d’un point de vue éthique. C’est pourtant ce qu’a fait la firme étatsunienne Merck dans une étude menée dès 2010, dans des pays du Sud et de l’Est, dont l’Argentine. Elle portait sur l’utilisation d’un médicament antipsychotique - le Saphris [Asenapine] - chez des adolescents atteints de schizophrénie. Pourtant approuvé par l’ANMAT, cet essai mettait en danger les participants, qui se sont vu retirer tous leurs traitements [antipsychotiques, antidépresseurs, etc.], pour recevoir de l’Asenapine ou un placebo. Suite à une dénonciation anonyme, l’étude a finalement été suspendue par l’ANMAT. Malgré la gravité des faits, aucune procédure judiciaire n’a été ouverte et l’histoire n’a pas filtré dans les médias. Public Eye est la première à dénoncer ouvertement ce scandale.

Un traitement non homologué comme standard

En 2008, Roche a testé l’utilisation d’un immunosuppresseur - l’ocrelizumab - pour traiter le lupus nephritis, une maladie auto-immune causant des problèmes rénaux. Mené dans plusieurs pays, dont l’Argentine, l’essai a finalement été suspendu car le médicament était responsable d’effets secondaires sérieux. Mais le problème n’est pas là. Selon le formulaire de consentement, les patients recevaient, en plus de l’ocrelizumab ou du placebo, un traitement dit “standard ” comprenant le CellCept, un immunosuppresseur utilisé pour prévenir les rejets lors de transplantations. Or, même si les médecins le prescrivent officieusement pour le lupus, le CellCept n’est pas autorisé pour traiter cette maladie. Le présenter comme un traitement “standard ” relève donc du mensonge et constitue une violation éthique. Cela signifie en outre que, une fois l’essai terminé, les patients ne peuvent plus avoir accès au Cellcept, même si celui-ci s’est avéré efficace. C’est ce qui est arrivé à Maria, une patiente qui a accepté de nous raconter son histoire.

GSK jugé coupable de violations éthiques

En Argentine, les décisions des comités d’éthique manquent totalement de transparence. Il n’existe en effet aucun registre public national, pas même pour les professionnels. Si un comité rejette un protocole, l’entreprise pharmaceutique peut simplement se tourner vers une autre institution, jusqu’à ce que l’une d’entre elles – moins scrupuleuse – accepte. C’est ce qui s’est passé dans le cas du COMPAS, une vaste étude menée par la firme britannique GlaxoSmithKline [GSK] sur le Synflorix, un vaccin contre la pneumonie, l’otite et la méningite. Entre 2007 et 2011, ce médicament a été testé sur 14 000 nouveau-nés, dans trois provinces parmi les plus pauvres du pays. L’affaire a fait scandale dans les médias, car quatorze bébés sont décédés pendant l’étude, ce qui a finalement conduit à l’ouverture d’une enquête officielle. Même si le lien entre le vaccin et les décès n’a pas pu être démontré, le travail des journalistes et les dénonciations de professionnels de la santé ont révélé des irrégularités importantes, confirmées par une investigation approfondie de l’ANMAT. Pour la première fois, les autorités argentines ont infligé des amendes à une multinationale pour violations éthiques.

Parmi les faits reprochés figurait notamment l’inclusion de bébés présentant des antécédents d’infections respiratoires ou porteurs du VIH. Des irrégularités dans l’obtention du consentement éclairé ont également été dénoncées par plusieurs parents. La maman d’une enfant décédée a ainsi raconté à un journaliste du magazine El Guardian que les médecins lui avaient assuré que le vaccin allait bientôt devenir obligatoire et coûterait 300 pesos. Ils lui auraient demandé : “Tu as 300 pesos pour le payer ? ” Ne disposant pas de cette somme, elle a signé le formulaire. Une autre mère aurait été menacée par le personnel médical de se voir retirer son enfant si elle n’acceptait pas une seconde injection. Certains parents ont inscrit leur nouveau-né pour obtenir une meilleure assistance médicale. Le père d’un bébé a ainsi expliqué aux enquêtrices : “Ici tu arrives et on te reçoit. Sinon tu dois venir à 4 heures du matin et tu es traité comme un rat. ”

L’intégrité des médecins a également été mise en cause en raison de leur intérêt financier à voir l’étude “s’étoffer ”. GSK versait en effet 350 dollars aux chercheurs pour chaque nouveau-né recruté, un montant important pour ces médecins dont le salaire mensuel oscillait alors entre 1200 et 1400 dollars.

Fait inquiétant, le coordinateur principal de cette étude ainsi qu’une responsable provinciale, tous deux condamnés par la justice pour violations éthiques, étaient engagés sur des essais similaires menés en parallèle par Novartis. Interrogé sur le sujet, des représentants du géant bâlois ont nié tout problème. Le directeur médical de la filiale argentine a même expliqué avoir réengagé sereinement l’une de ces deux personnes par la suite.

 [https://www.publiceye.ch/fr/thematiques/medicaments/nos-enquetes/argentine, https://www.publiceye.ch/fr/publications/detail/essais-cliniques-en-argentine]

https://www.publiceye.ch/fileadmin/doc/Pharma/2013_PublicEye_Essais_Cliniques_Argentine_F_Studie.pdf,

https://www.publiceye.ch/fileadmin/doc/Pharma/2013_PublicEye_Clinical_Drug_Trials_Argentina_Study.pdf]

L’India è pronta a difendere con le unghie e con i denti la sua industria dei generici, come dimostra la vittoria dell’aprile del 2013 su Novartis, che resisteva da 7 anni per mantenere il Glivec, un farmaco contro il cancro sotto brevetto, ma sembra meno attenta quando si tratta della regolamentazione delle sperimentazioni cliniche che si svolgono nel suo territorio. Contrariamente a quanto affermato dalle aziende farmaceutiche, le popolazioni svantaggiate rimangono un bassin de recrutement privilégié pour les essais cliniques en Inde”.

“Avec des essais cliniques deux à trois fois moins chers qu’en Europe et un bassin de recrutement gigantesque, l’Inde exerce un fort pouvoir d’attraction sur les multinationales. Mais les violations éthiques y sont fréquentes. Alors que de nombreux décès sont survenus ces dernières années au cours d’essais cliniques, les pharmas peinent à prendre des mesures et à indemniser les victimes.

Notre enquête en Inde montre que 80 % des participants et participantes aux essais “suisses ” sont d’origine rurale et vivent en situation de pauvreté. La population urbaine, plus éduquée, est quant à elle bien plus réticente à y participer. Si certains patients répondent à des annonces, la plupart sont recrutés par le biais de leur médecin traitant, en qui ils ont toute confiance. La perspective d’un traitement gratuit – inabordable pour eux – est souvent la raison première de leur participation.

Des conflits d’intérêts dangereux

Les conflits d’intérêts sont aussi monnaie courante dans ce pays, où le médecin remplit souvent simultanément le rôle de coordinateur principal de l’étude. Dans de telles circonstances, obtenir un consentement éclairé de manière désintéressée est totalement illusoire, d’autant plus face à des personnes très vulnérables. Il existe aussi de nombreux comités d’éthique “institutionnels ” en Inde, c’est-à-dire rattachés à une infrastructure de santé accueillant et bénéficiant financièrement des essais cliniques. Quel que soit leur degré d’indépendance, ces organes vérifient rarement les procédures de consentement. Comme l’Agence du médicament indienne, ils se contentent de vérifier l’existence de tels formulaires.

Pas de traitement à la fin de l’essai

Malgré les attentes très fortes des participants et participantes, notre enquête a révélé que l’accès à un traitement à la fin des essais cliniques “suisses ” est loin d’être garanti. Les médecins interrogés sont souvent incapables de répondre à cette question et renvoient à la politique des promoteurs en la matière.

Beaucoup de décès, peu d’indemnités

L’annonce d’effets secondaires lors de tests de médicaments laisse à désirer en Inde. Par peur de mettre en péril l’étude, les entreprises préfèrent les dissimuler, évitant ainsi d’effrayer les personnes qui y participent. De source officielle, plus de 2600 décès sont survenus en Inde dans le cadre d’essais cliniques entre 2005 et 2012, sur quelque 40 000 participants. Fait inquiétant, plus de la moitié ont été enregistrés entre 2010 et mi-2012. Au total, seuls 22 décès ont été attribués aux médicaments testés en 2010, et 16 en 2011. Les familles indemnisées ont obtenu entre 3000 et 4000 francs. Une somme dérisoire comparée aux millions générés par la vente de ces médicaments, et au préjudice subi.

Novartis fait partie des entreprises concernées, avec sept et 57 décès survenus en 2010 et 2011. Interrogé sur la question, un représentant du géant bâlois a déclaré qu’aucun de ces décès n’était dû aux essais. Cette affirmation n’a toutefois pas été vérifiée par une contre-expertise. Selon nos informations, Novartis n’a versé aucune indemnité.
En cas d’effets secondaires graves, les personnes lésées font face à des démarches fastidieuses si elles entendent prouver le lien avec le produit testé. Faute de moyens, elles n’ont généralement pas d’autre choix que de renoncer.

Les “cobayes ” de Bhopal

En 1984, les ruelles de Bhopal se transformaient en un piège mortel, tuant 3500 personnes sur-le-champ et faisant par la suite quelque 20’000 morts. Vingt ans plus tard, c’est dans un hôpital gratuit réservé aux victimes de la catastrophe industrielle qu’une dizaine de firmes, parmi lesquelles Pfizer, GlaxoSmithKline et Astra Zeneca,  ont trouvé des “cobayes ” pour tester des médicaments qui n’étaient a priori pas destinés à traiter les affections liées à cette tragédie. Ces essais cliniques, qui relevaient du cynisme absolu, ont été interrompus en 2008.

Le secteur des essais cliniques en Inde, qui a connu une forte expansion, a été secoué par plusieurs scandales de ce type, conséquences directes d’un certain laxisme dans la réglementation. Si la question est désormais débattue au niveau politique, des solutions contraignantes peinent à être mises en place, en raison des conflits d’intérêts. [https://www.publiceye.ch/fr/thematiques/medicaments/nos-enquetes/inde, https://www.publiceye.ch/fr/publications/detail/exploratory-study-on-clinical-trials-conducted-by-swiss-pharmaceutical-companies-in-india, https://www.publiceye.ch/fileadmin/doc/Pharma/2013_PublicEye_Exploratory_Study_Clinical_Trials_India_Report.pdf]

 

 “Tra qualche secolo,”,

scriveva Lev Tolstoj in Pensieri,

“la Storia di quella che ora noi chiamiamo attività scientifica del progresso sarà un argomento di grande ilarità e di pietà per le generazioni future.”

Domandarsi:

“Quo vadis, homo?”,

presuppone necessariamente:

“Unde venis?”

 

Il presupposto logico-giuridico della imposizione di una vaccinazione obbligatoria è, ovviamente, che tale vaccinazione sia indispensabile per perseguire un interesse pubblico e, nel caso in specie, per evitare che il personale medico e sanitario non vaccinato, nelle proprie attività di contatto con i pazienti, rischi di essere veicolo di contagio della Covid-19. Ma, come riportato sul sito dell’AIFA e le FAQ relative, il Rapporto ISS del 13 marzo 2021, i fogli illustrativi, le condizioni per cui un vaccinato non potesse trasmettere la Covid-19 non era dimostrata.

Ecco le risposte fornite dall’Agenzia Italiana del Farmaco [AIFA] alle domande più frequenti sul proprio sito web [https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1297852/domande_risposte_vaccini_COVID.pdf]:

2. La sperimentazione è stata abbreviata per avere presto questi vaccini?

Gli studi che hanno portato alla messa a punto dei vaccini Covid-19 non hanno saltato nessuna delle fasi di verifica dell’efficacia e della sicurezza previste per lo sviluppo di un medicinale, anzi, questi studi hanno visto la partecipazione di un numero assai elevato di volontari, circa dieci volte superiore a quello di studi analoghi per lo sviluppo di altri vaccini. La rapida messa a punto e approvazione si deve alle nuove tecnologie, alle ingenti risorse messe a disposizione in tempi molto rapidi e a un nuovo processo di valutazione da parte delle Agenzie regolatorie, che hanno valutato i risultati man mano che questi venivano ottenuti e non, come si faceva precedentemente, solo quando tutti gli studi erano completati.

3. Quanto dura la protezione indotta da questi vaccini?

La durata della protezione non è ancora definita con certezza perché fino ad ora il periodo di osservazione è stato necessariamente di pochi mesi, ma le conoscenze sugli altri tipi di coronavirus suggeriscono che dovrebbe essere di almeno 9-12 mesi.

4. Le persone vaccinate possono trasmettere comunque l’infezione ad altre persone?

Lo scopo degli studi registrati era di valutare l’efficacia dei vaccini nel proteggere dalla malattia Covid-19. Gli studi per stabilire se le persone vaccinate, infettate in modo asintomatico, possano contagiare altre persone sono in corso. Poiché è possibile che, nonostante l’immunità protettiva, in qualche caso il virus possa persistere nascosto nella mucosa nasale, le persone vaccinate e quelle che sono in contatto con loro devono continuare ad adottare le misure di protezione anti Covid-19.

5. I vaccini proteggono solo la persona vaccinata o anche i suoi familiari?

I vaccini proteggono la persona vaccinata, ma se siamo in tanti a vaccinarci, potremmo ridurre la circolazione del virus e quindi proteggere anche le persone che non si vaccinano: la vaccinazione protegge chi si vaccina, ma contribuisce a proteggere anche la comunità in cui si vive.

6. Sono state segnalate varianti del virus SARS-CoV-2: i vaccini saranno efficaci anche verso queste varianti?

Con una certa frequenza questo virus va incontro a mutazioni. La risposta immunitaria indotta dal vaccino protegge contro la maggior parte di queste varianti anche se, verso alcune di queste, l’efficacia della protezione può essere più bassa.

7. Perché non è possibile scegliere il vaccino?

La vaccinazione antiCovid-19 è un diritto riconosciuto a tutti, tuttavia il rischio di infettarsi e sviluppare la malattia in forma grave non è lo stesso per tutte le persone e, attualmente, la disponibilità di dosi non è la stessa per tutti i vaccini. Perciò, proprio per garantire la massima equità di accesso, è necessario seguire il Piano Strategico per la Vaccinazione AntiCovid-19 [Piano Vaccinale] elaborato dal Ministero della Salute.

In altri termini, è stata resa obbligatoria una vaccinazione sulla base di una “presunta” incapacità di trasmettere il virus da parte dei soggetti vaccinati.

Ricordiamo tutti le parole del presidente del Consiglio Mario Draghi in conferenza stampa, il 23 luglio 2021:

“Due cose: l’appello a non vaccinarsi è un appello a morire, sostanzialmente, non ti vaccini, ti ammali, muori oppure fai morire. Non ti vaccini e contagi, lui o lei muore. Secondo: senza vaccinazione si deve chiudere tutto.” [Draghi: “L’appello a non vaccinarsi significa appello a morire.”, https://www.youtube.com/watch?v=i8IGZehi1t0]

E, su questa base scientifica è stato imposto un trattamento sanitario obbligatorio, che ha ad oggetto, peraltro, la somministrazione di un farmaco dichiaratamente ancora in Fase III. Non si comprende, pertanto, quale sia la base giuridica – e prima ancora logica – che possa giustificare l’imposizione di un vero e proprio trattamento sanitario obbligatorio. A tale riguardo, invero, si potrebbe eccepire in punta di diritto che non si è davanti a un vero e proprio trattamento sanitario obbligatorio eseguito coattivamente, in quanto i destinatari della norma potrebbero decidere di non sottoporsi al trattamento sanitario stesso, con l’”unica” conseguenza di vedersi demansionati o sospesi dal lavoro, quel lavoro su cui, peraltro, si fonda la nostra Repubblica Italiana.

Il 19 marzo 2021, Paolo Mieli era intervenuto in collegamento con Tiziana Panella a Tagadà, la trasmissione di approfondimento politico e non solo, in onda tutti i giorni su La7. Il principale argomento di discussione era stato, ovviamente, il vaccino AstraZeneca, sul quale il giorno prima, l’EMA si era pronunciata nuovamente, ribadendo che “i benefici sono superiori ai rischi” e che non esisteva un singolo caso di evento avverso accertato riconducibile al siero. Come annunciato dal Premier Mario Draghi che a Bergamo nel suo intervento alla cerimonia per la giornata delle vittime del Covid:

“Il governo è impegnato a fare il maggior numero di vaccinazioni nel più breve tempo possibile. Questa è la nostra priorità. La sospensione del vaccino AstraZeneca, attuata lunedì con molti altri Paesi europei, è stata una decisione temporanea e precauzionale. Nella giornata di oggi, l’Agenzia Europea dei Medicinali darà il suo parere definitivo sulla vicenda. Qualunque sia la sua decisione, la campagna vaccinale proseguirà con la stessa intensità, con gli stessi obiettivi. L’incremento nelle forniture di alcuni vaccini aiuterà a compensare i ritardi da parte di altre case farmaceutiche.” [https://www.youtube.com/watch?v=-eLpuK3kQLQ]

la somministrazione era ripartita in Italia, a partire dalle 15 dello stesso venerdì 19 marzo, sull’esempio della Germania, diversamente da altri Paesi, quali tra gli altri la Spagna e la Francia, che avevano deciso di attendere prima di sbloccare AstraZeneca. Mieli aveva, però, voluto sottolineare un aspetto fondamentale e fin qui passato in sordina:

“Mi colpisce molto il fatto che i morti per trombosi dopo il vaccino Pfizer siano stati di più di quelli per AstraZeneca. Perché nessuno lo dice?”. Sarà perché AstraZeneca costa molto meno dei rivali Pfizer e Moderna ed è stato osteggiato fin dal primo momento… Per Mieli questa “non è una domanda irrilevante, ci sono 2 cose che producono lo stesso effetto infinitesimale”. 

L’editorialista del Corriere della Sera riteneva che l’errore fosse stato commesso a monte:

“Se noi avessimo detto fin dall’inizio che tutti i vaccini producono un caso su un milione di trombosi, ma anche una cosa più incidentale, allora non ci sarebbe stato questo maledetto disordine. Adesso tutti pensano “Oddio, se faccio AstraZeneca mi metto più a rischio!”. Sarebbe bastato dire una semplice verità, che con tutti i vaccini può verificarsi un caso su un milione riconducibile a un effetto avverso raro.” [https://www.la7.it/tagada/video/covid-paolo-mieli-i-morti-per-trombosi-da-vaccino-pfizer-sono-stati-piu-di-quelli-astrazeneca-19-03-2021-371006]

L’ex-direttore del Corriere della Sera aveva, già, stupito tutti, il 20 novembre 2020, ospite di Lilli Gruber al programma di La7 Otto e Mezzo:

“La procedura del vaccino anti Covid ha avuto qualcosa di sospetto. Il vaccino lo farei subito, ma se fossi giovane e dovessi avere figli sarei più cauto. Aspetterei che lo facessero le persone più anziane.”

Gettando il sospetto che i vaccini potessero causare sterilità, Mieli rilanciava, a suo modo, una osservazione simile del consulente della Regione Veneto, il professor Andrea Crisanti e giustificava la sua esternazione, facendo riferimento alla troppa “fretta” nella realizzazione dei vaccini.

“Una casa farmaceutica annuncia un vaccino sicuro al 92%. Il giorno dopo l’ad della ditta [Albert Bourla] vende le azioni realizzando un buon guadagno. Terzo giorno, arriva un’altra casa farmaceutica con un vaccino sicuro al 94,5, quinto giorno la casa farmaceutica precedente si corregge e dice che il suo vaccino è sicuro al 95%, poi arriva un’altra casa farmaceutica ne annuncia uno a 2 euro”.

Un susseguirsi di fatti e annunci che sembrava non convincessero affatto il giornalista.

BioNTech/Pfizer avevano, infatti, annunciato che il loro vaccino aveva un tasso di efficacia del 95%. Più o meno in contemporanea Moderna aveva rilasciato un comunicato stampa in cui riportava, per il suo vaccino, un’efficacia del 94,5%. Gregory Poland, ricercatore della Mayo Clinic, in un’intervista rilasciata al quotidiano The New York Times aveva affermato che erano numeri impressionanti:

“Ci aspettavamo un’efficacia compresa tra il 50 e il 70%.”

Non a caso, la Food and Drug Administration statunitense, aveva dichiarato che, considerando la situazione di emergenza, avrebbe preso in considerazione soltanto i vaccini con una efficacia doumentata pari almeno al 50% [https://orl.news/vaccini-anticoronavirus-efficaci-al-95-cosa-significa-esattamente/].

Il 19 marzo 2021, durante la trasmissione Porta a Porta, il ministro delle infrastrutture e dei trasporti del suo Governo, Enrico Giovannini, a un Bruno Vespa esterrefatto alla rivelazione aveva affermato:

“La vaccinazione non impedisce completamente la trasmissione del virus.” [https://www.youtube.com/watch?v=lfVVSDzdt4w,  https://100giornidaleoni.it/tv/bruno-vespa-sbianca-in-diretta-tv-dopo-le-dichiarazioni-del-ministro-giovannini-il-vaccino-non-evita-il-contagio/]

Il 20 marzo 2021, il Ministro della Cultura francese, Roselyne Bachelot, vaccinata con una dose, era risultata positiva alla Covid-19 [https://www.francetvinfo.fr/politique/jean-castex/gouvernement-de-jean-castex/covid-19-la-ministre-de-la-culture-roselyne-bachelot-testee-positive_4341585.html, https://www.lci.fr/politique/pandemie-roselyne-bachelot-positive-au-covid-19-la-ministre-de-la-culture-avait-recu-sa-premiere-dose-de-vaccin-2181401.html].

Il 31marzo 2021, il professor Domenico De Masi, vaccinato con 2 dosi, era risultato positivo [https://www.mediasetplay.mediaset.it/video/staseraitalia/de-masi-positivo-al-covid-dopo-il-vaccino_F310754701013C11, https://www.youtube.com/watch?v=yi0p9jV3wlQ].

Il primo aprile 2021, il professor Pierluigi Lopalco, nel corso della trasmissione di Corrado Formigli, Piazza Pulita, aveva dichiarato:

“I vaccinati possono contagiare.”

E alla domanda di Formigli:

“Quindi mi vuol dire che non sappiamo se i vaccinati possono contagiare?”

 “No, lo sappiamo. Abbiamo avuto casi di medici vaccinati che hanno infettato reparti.”,

aveva replicato il professor Lopalco. [https://www.imolaoggi.it/2021/04/04/covid-lopalco-medici-vaccinati-hanno-infettato-alcuni-reparti/, https://www.informazione.it/a/E356CCA1-D703-46E7-B1E9-5FA649C0CD17/Covid-Lopalco-medici-vaccinati-hanno-infettato-alcuni-reparti-Imola-Oggi, https://twitter.com/sonoallergico/status/1378604914063081472]

Il 6 aprile 2021, la moglie del Senatore e leader di Italia Viva, Matteo Renzi, vaccinata con 1 dose di AstraZeneca, era risultata positiva [https://www.adnkronos.com/renzi-mia-moglie-vaccinata-ora-e-positiva-al-covid_2vzdRCVtkA6uXnT8rod8ET].

“Il presidente Draghi mi ha telefonato mentre stavo per arrivare ad Aosta e la notizia è questa: grazie alle pressioni a livello europeo arriveranno, nel trimestre aprile, maggio e giugno, 50 milioni di vaccini in più, a livello europeo, di vaccino Pfizer. Chiaramente la presa percentuale italiana che è di circa il 13 e il 46% ci porterà ad avere già per fine aprile, la data è ancora da confermare,  670mila dosi in più. Per maggio 2.150.000 dosi  in più, e per giugno 4 milioni di dosi in più. Noi stiamo aspettando fiduciosi cosa dirà la comunità scientifica, soprattutto Roma e l’AIFA, che, credo, nei prossimi 2 o 3 giorni si pronunceranno. Rispetteremo chiaramente le prescrizioni della comunità scientifica. E questo è! Quindi, sono contento di essere qua. Sono sicuro che noi a fine mese raggiungeremo il target. Chiaramente abbiamo avuto difficoltà, lo stop di Astrazeneca non ha giovato, però dobbiamo pensare una cosa, mai nella Storia dell’Uomo era stato, si era riusciti a produrre in così poco tempo un vaccino contro una terribile pandemia, ma soprattutto si è iniettato, in pochissimo tempo, decine di milioni di dosi di vaccini, senza saperne chiaramente l’esito, se non quello sperimentale che ha portato il vaccino a essere approvato dalla comunità scientifica e dall’agenzia regolatoria. Questo che vuol dire? Che non c’è pazzia quando è stato detto questo vaccino Astrazeneca lo facciamo, lo proponiamo solo agli under 60. Perché? Perché nelle fasi di sperimentazione era stato sperimentato solo su 17 soggetti sopra i 60 anni e quindi, a titolo precauzionale, si era pensato questo, poi, un vaccino a adenovirus sperimentato di massa, facendo la cosiddetta rolling review è venuto fuori che dava una risposta immunologica forte nei giovani e, quindi, c’è stato quel discorso di andare in maniera di raccomandazione prudenziale sopra i 60 anni. Non è che non può essere inoculato sotto [dei 60 anni]. Però prudenzialmente, al fine proprio della massima tutela, è chiaro che poi saranno i medici che fanno l’anamnesi a cui spetta l’ultima decisione, a coloro i quali spetta l’ultima decisione.” [https://www.youtube.com/watch?v=31j8Eugmr_w, https://www.youtube.com/watch?v=3zRy5BxVMUA, https://www.blogo.it/post/figliuolo-gaffe-vaccini-assist-no-vax], 

sono le parole pronunciate, il 14 aprile 2021, a Torino, dal Commissario Straordinario per l’emergenza Covid-19, il Generale di Corpo d’Armata Francesco Paolo Figliuolo [https://www.governo.it/it/dipartimenti/commissario-straordinario-lemergenza-covid-19/cscovid19-commissario/14419], in occasione dell’inaugurazione del nuovo hub vaccinale del Lingotto!

Il Generale Figliuolo aveva citato il vaccino contro la poliomielite e la riuscita vaccinazione di massa degli Anni Sessanta. Ero anch’io, in quegli Anni Sessanta, in fila per la magica zolletta e non posso dimenticare le parole del Professor Albert Sabin, il ricercatore che non brevettò il vaccino antipolio, perche “il benessere dell’Umanità non si deve pagare con il denaro”.

Altra etica!

Anche in quegli anni non mancarono feroci polemiche sull’efficacia del vaccino.

Su quale base scientifica asseriva, a esempio, Astrazeneca sotto i 60 sì e sopra i 60 no?

La fiducia genera fiducia, ma va anche costruita...

Sabin non brevettò mai il vaccino e disse, prima di morire, molto povero, nel 1993:

“Tanti insistevano che brevettassi il vaccino, ma non ho voluto. È il mio regalo a tutti i bambini del mondo.”

Il 4 maggio 2021, il professor Paolo Bellavite, ematologo dell’Università di Verona, durante la trasmissione di Giovanni Floris DiMartedì, aveva ammonito: 

“Non abbiamo molte certezze tra la vera relazione tra un beneficio e il rischio. Questo discorso viene affrontato in maniera piuttosto superficiale. Dobbiamo sapere che siamo ancora in una vera e propria sperimentazione, quelle di Fase II e Fase III finiranno nel 2022, quella di Fase IV cosiddetta post-marketing è in piena attività però purtroppo viene fatta anche male. Nell’ultimo rapporto AIFA si parla di 40 casi gravi di reazioni avverse ogni 100mila vaccini iniettati, in realtà negli studi di sorveglianza attiva che stanno uscendo si parla del 4%, cioè 4mila su 100mila. Questo si deve sapere.”

E a Floris, che gli chiedeva:

“Lei consiglierebbe di vaccinarsi a un ottantenne o a un quarantenne?”,

il professor Bellavite aveva replicato:

“A un ottantenne sì, mia mamma che ha 94 anni si è vaccinata. Il  rischio però è più grande per le persone più anziane e con patologie. Sotto i 50 anni, dipende molto da che mestiere fanno o se sono portatori di altre patologie. La cosa più importante è avere una valutazione libera del medico curante, senza pressioni né condizionamenti” [https://www.la7.it/dimartedi/video/vaccini-prof-bellavite-ha-ragione-chi-ha-paura-siamo-ancora-nella-fase-di-sperimentazione-finira-nel-04-05-2021-379290, https://stopcensura.online/prof-bellavite-umilia-floris-ha-ragione-chi-ha-paura-sono-solo-dei-vaccini-sperimentali/]

Il 12 giugno 2021, a Milano, nella Palestra Virgin di via Amadeo, un operatore sanitario vaccinato con 2 dosi era risultato positivo e aveva contagiato su 140 frequentatori 12 persone, per una delle quali era stato reso necessario il ricovero, mentre per le restanti 11 era stata avviata una terapia domiciliare [https://www.ilsussidiario.net/news/milano-focolaio-covid-in-palestra-10-casi-uno-gia-vaccinato-con-variante-indiana/2183095/, https://www.ilgiornale.it/news/politica/focolaio-palestra-altri-due-positivi-e-140-persone-scattano-1954792.html].

Il 29 giugno 2021, in Israele, dove la percentuale di vaccinati contro la Covid-19 era la più alta del mondo e dove sembrava raggiunto il traguardo sia dei contagi sia dei decessi pari a zero, le autorità sanitarie lanciavano l’allerta: il 40% dei contagiati dalla variante Delta era vaccinato con 2 dosi di Pfizer [https://www.ilgiornale.it/news/cronache/variante-delta-israele-40-degli-infetti-vaccinato-due-dosi-1958446.html].

Il 5 luglio 2021, le autorità sanitarie in Israele confermavano 343 nuovi casi di Covid-19, nelle ultime 24 ore, il numero più alto registrato negli ultimi 3 mesi [https://www.adnkronos.com/covid-israele-salgono-i-contagi-al-vaglio-restrizioni-e-terza-dose-vaccino_35MjXYtDFcPDe8L2O2oiM1].

Il 17 luglio 2021, in un articolo del Jerusalem Post si leggeva:

Al momento circa il 60% dei pazienti in gravi condizioni sono stati vaccinati. Inoltre, secondo i ricercatori dell’Università Ebraica di Gerusalemme, circa il 90% dei nuovi contagi sopra i 50 anni sono vaccinati con 2 dosi. [https://www.jpost.com/breaking-news/for-first-time-since-march-855-new-coronavirus-cases-in-israel-674084, https://stopcensura.online/israele-smentisce-draghi-qua-piu-della-meta-dei-ricoverati-son-tutti-doppio-vaccinati/].

Il 28 luglio 2021, il professor Anthony Fauci, White House’s chief medical advisor, nel corso di un’intervista riconosceva:

“I dati sulla mutazione a disposizione mostrano che il livello di infezione nelle mucose in una persona vaccinata è lo stesso di quello in una persona non vaccinata.” [https://www.cnbc.com/2021/07/28/dr-fauci-on-why-cdc-changed-guidelines-delta-is-a-different-virus.html, https://edition.cnn.com/2021/07/28/health/us-coronavirus-wednesday/index.html, https://www.youtube.com/watch?v=mP9iHyj1uiU].

Il 25 gennaio 2022, il Giornale d’Italia riportava la notizia di 3 medici vaccinati con la terza dose morti di Covid: Giuseppe Comodo, Alberto Rossi e Roberto Marescotti:

“Altri 3 medici vaccinati con terza dose sono negli ultimi giorni. Si tratta di Giuseppe Comodo, Alberto Rossi e Roberto Marescotti, scomparsi nella seconda e terza settimana di gennaio. I loro decessi si aggiungono alla lunga lista di operatori sanitari scomparsi in questi 2 anni di pandemia. Professionisti sempre in prima linea a combattere il virus, a volte lasciando che la loro coscienza li facesse agire andando oltre le disposizioni del Governo.

Giuseppe Comodo era un medico salernitano 68enne in forza al 118 di Pontecagnano. Forte sostenitore delle terapie domiciliari, con cui aveva salvato decine di pazienti, sulla sua pagina Facebook aveva scritto una dedica ai malati di Covid: “Dormiremo domani, vi saremo sempre accanto”. Il medico salernitano, dopo essere stato ricoverato per giorni, è morto di Covid all’Ospedale di Scafati giovedì 20 gennaio. Il dottore si era pubblicamente espresso contro la dose booster del vaccino, ma i siti locali riferiscono che aveva comunque fatto la terza dose, per continuare a svolgere la sua professione. Ieri la tragica notizia della sua morte.

Il secondo professionista deceduto per Covid aveva 70 anni, ed era l’ex-colonnello medico della Folgore Alberto Rossi, morto l’11 gennaio all’Ospedale di Livorno per un’embolia polmonare da Covid. Il colonnello Rossi vantava un importante curriculum: aveva frequentato l’Accademia di Sanità Militare Interforze a Firenze e aveva partecipato come medico ufficiale della Folgore a missioni internazionali in Somalia. Impegnato anche in politica per un po’ di tempo, è stato sindaco di Fauglia per 8 anni, negli Anni Novanta. Le parole della figlia Enrica Maria Rossi: “Mio padre ha continuato a curare volontariamente chiunque glielo chiedesse, anche pazienti che lo cercavano perché positivi al Covid. Andava a visitarli e li assisteva. Partì per Piacenza nel marzo 2020 come medico volontario per un intero mese nella prima terribile ondata della pandemia. Si è messo a disposizione anche come medico vaccinatore. Il suo esempio ci riempie il cuore di orgoglio”.

Il terzo medico, Roberto Marescotti, è infine morto il 19 gennaio a 64 anni. Da qualche settimana era ricoverato in terapia intensiva all’ospedale di Cona, perché positivo al Covid. Tra i protagonisti di numerose iniziative No Green pass, secondo La Nuova Ferrara, Marescotti si era comunque sottoposto alla vaccinazione. Nonostante avesse la terza dose, Marescotti era classificato da molti un No Vax, omettendo il suo completo ciclo di vaccinazioni. Durante la pandemia aveva aiutato numerose persone a titolo gratuito, prescrivendo anche cure domiciliari. Inoltre, prestava servizio all’Ospedale del Delta di Lagosanto. Lo scrive il Secolo d’Italia”

 

A conclusione dell’Assemblea Parlamentare del 27 gennaio 2021, il Consiglio d’Europa, lo stesso che, il 24 giugno 2010, aveva accusato l’OMS di mancanza di trasparenza, ha votato, a larghissima maggioranza, il rapporto Vaccini Covid-19: questioni etiche, legali e pratiche, secondo cui gli Stati non devono rendere la vaccinazione contro la Covid-19 obbligatoria per nessuno e non devono utilizzare i certificati di vaccinazione come passaporti. L’Assemblea, infatti, che considera i vaccini un “bene pubblico globale”, chiede agli Stati Membri e all’Unione Europea:

-     “di vigilare affinché ogni Paese sia in grado di vaccinare il personale sanitario e i gruppi vulnerabili prima di estendere la vaccinazione ai gruppi non a rischio”;

-     “di assicurarsi che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno subisca pressioni politiche, sociali o di altro genere per farsi vaccinare, se non vuole farlo personalmente”;

-     “di vigilare affinché nessuno sia vittima di discriminazione per non essere stato vaccinato, in ragione dei rischi potenziali per la salute o per non volersi fare vaccinare.”

I parlamentari hanno, anche, votato, pressoché in blocco, per l’inserimento di un emendamento con il quale si chiede agli stessi Stati Membri e all’Unione Europea di “utilizzare i certificati di vaccinazione unicamente al fine di sorvegliare l’efficacia del vaccino, i potenziali effetto indesiderati”, perché utilizzarli come passaporti sarebbe contrario alla scienza in assenza di dati sulla loro efficacia nel ridurre la contagiosità, la durata dell’immunità acquisita [http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato3318432.pdf, http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato3318432.pdf, http://www.quotidianosanita.it/cronache/articolo.php?articolo_id=91964].

Vaccins contre la Covid-19: considérations éthiques, juridiques et pratiques

Résolution 2361 [2021]

Auteur[s] : Assemblée parlementaire

Origine – Discussion par l’Assemblée le 27 janvier 2021 [5e séance] [voir Doc. 15212 [https://pace.coe.int/fr/files/28925], rapport de la commission des questions sociales, de la santé et du développement durable, rapporteure: Mme Jennifer De Temmerman]. Texte adopté par l’Assemblée le 27 janvier 2021 [5e séance].

1. La pandémie de Covid-19, maladie infectieuse causée par le nouveau coronavirus SRAS-CoV-2, a été source de beaucoup de souffrances en 2020. En décembre 2020, plus de 65 millions de cas avaient été enregistrés dans le monde et plus d’1,5 million de personnes avaient perdu la vie. La charge de morbidité de la pandémie elle-même et les mesures de santé publique nécessaires pour la combattre ont ravagé l’économie mondiale, dévoilant au grand jour des fractures et des inégalités préexistantes [y compris dans l’accès aux soins] et causant chômage, déclin économique et pauvreté.

2. Le déploiement rapide, dans le monde entier, de vaccins sûrs et efficaces contre la Covid-19 sera déterminant pour contenir la pandémie, protéger les systèmes de santé, sauver des vies et contribuer à la relance des économies mondiales. Même si des mesures non pharmaceutiques comme la distanciation physique, le port du masque, le lavage fréquent des mains et les fermetures et confinements ont contribué à ralentir la propagation du virus, les taux d’infection sont de nouveau en hausse presque partout dans le monde. De nombreux États membres du Conseil de l’Europe sont confrontés à une seconde vague, pire que la première, et leurs habitants éprouvent de façon plus prononcée une certaine lassitude face à la pandémie [appelée en anglais “pandemic fatigue”] et se sentent démotivés à l’idée de suivre les comportements recommandés pour se protéger et protéger autrui du virus.

3. Cependant, les vaccins, même s’ils sont sûrs, efficaces et déployés rapidement, ne sont pas une panacée dans l’immédiat. En effet, après la période des fêtes fin 2020 et début 2021, avec leurs traditionnels rassemblements en intérieur, les taux d’infection seront probablement très élevés dans la plupart des États Membres. Par ailleurs, une corrélation vient d’être scientifiquement établie par des médecins français entre les températures extérieures et le taux d’incidence de la maladie sur les hospitalisations et les décès. Les vaccins ne suffiront sans doute pas à faire baisser de manière significative les taux d’infection cet hiver, d’autant plus si l’on tient compte du fait que, à ce stade, la demande est largement supérieure à l’offre. Un semblant de “vie normale” ne pourra donc reprendre, même dans les meilleures conditions, avant le milieu ou la fin de l’année 2021 au plus tôt.

4. Pour que les vaccins soient efficaces, il est absolument essentiel que leur déploiement soit réussi et qu’ils soient suffisamment acceptés par la population. Cependant, la rapidité avec laquelle les vaccins sont mis au point peut provoquer un sentiment de défiance difficile à combattre. Un déploiement équitable des vaccins contre la Covid-19 est également nécessaire pour garantir leur efficacité. En effet, s’ils ne sont pas assez largement distribués dans une région gravement touchée d’un Pays, les vaccins deviennent inefficaces et ne permettent pas d’endiguer la propagation de la pandémie. En outre, le virus ne connaît pas de frontières et il est donc dans l’intérêt de chaque pays de coopérer afin de garantir une équité mondiale dans l’accès aux vaccins contre la Covid-19. La réticence à la vaccination et le nationalisme en matière de vaccin sont à même de réduire à néant les efforts couronnés de succès et étonnamment rapides qui ont été déployés jusqu’ici pour mettre au point un vaccin, car ces comportements permettraient au virus SRAS-CoV-2 de muter, rendant ainsi partiellement inopérant l’outil le plus efficace au monde à ce stade pour lutter contre la pandémie.

5. La coopération internationale est ainsi plus que jamais nécessaire pour accélérer la mise au point, la fabrication et la distribution juste et équitable des vaccins contre la Covid-19. Le dispositif COVAX est l’initiative phare en ce qui concerne l’attribution des vaccins et leur accès à l’échelle mondiale. Codirigé par l’Organisation mondiale de la santé [OMS], GAVI l’Alliance du vaccin et la Coalition pour les Innovations en Matière de Préparation aux Epidémies [Coalition for Epidemic Preparedness Innovations-CEPI], COVAX mobilise des fonds auprès des pays adhérents afin de soutenir la recherche, le développement et la fabrication d’un large éventail de vaccins contre la Covid-19, mais aussi en négocie les prix. Une gestion adéquate des vaccins et une logistique de la chaîne d’approvisionnement, qui requièrent une coopération internationale et des préparatifs de la part des États Membres, seront également nécessaires afin d’assurer une distribution sûre et équitable des vaccins. À cet égard, l’Assemblée Parlementaire attire l’attention sur les orientations élaborées par l’OMS à l’intention des Pays concernant la préparation et la mise en œuvre des programmes ainsi que la prise de décision au niveau national.

6. Les États Membres doivent dès à présent mettre au point leurs stratégies de vaccination pour attribuer les doses de manière éthique et équitable, et déterminer notamment les groupes de population prioritaires durant les premières phases de déploiement, lorsque les stocks sont limités, ainsi que la manière d’étendre la couverture vaccinale à mesure que la disponibilité d’un ou plusieurs vaccins contre la Covid-19 s’améliore. Les spécialistes de la bioéthique et les économistes s’accordent largement à dire que les personnes de plus de 65 ans et celles de moins de 65 ans qui présentent le plus grand risque de contracter une forme grave de la maladie et d’en mourir en raison d’affections sous-jacentes, le personnel de santé [tout particulièrement ceux qui travaillent en contact étroit avec des personnes appartenant à des groupes à haut risque] et les personnes exerçant dans des infrastructures essentielles devraient être vaccinées en priorité. Les enfants, les femmes enceintes et les mères allaitantes, pour lesquels aucun vaccin n’a à ce jour été autorisé, ne doivent pas être oubliés.

7. Les scientifiques ont accompli un travail remarquable en un temps record. C’est maintenant aux gouvernements d’agir. L’Assemblée soutient la vision du secrétaire général des Nations Unies selon laquelle un vaccin contre la Covid-19 doit être un bien public mondial. La vaccination doit être accessible à toutes et tous, partout. L’Assemblée demande donc instamment aux États Membres et à l’Union Européenne:

7.1 en ce qui concerne la mise au point des vaccins contre la Covid-19:

7.1.1 de garantir des essais de haute qualité qui soient solides et menés dans le respect des règles éthiques, conformément aux dispositions pertinentes de la Convention pour la Protection des Droits de l’Homme et de la Dignité de l’Etre Humain à l’égard des applications de la biologie et de la médecine: Convention sur les Droits de l’Homme et la Biomédecine [STE no 164, Convention d’Oviedo] et son Protocole additionnel relatif à la recherche biomédicale [STCE no 195], et qui incluent progressivement les enfants, les femmes enceintes et les mères allaitantes;

7.1.2 de veiller à ce que les organismes réglementaires chargés d’évaluer et d’autoriser les vaccins contre la Covid-19 soient indépendants et à l’abri de toute pression politique;

7.1.3 de veiller à ce que les normes minimales pertinentes de sécurité, d’efficacité et de qualité des vaccins soient respectées;

7.1.4 de mettre en place des systèmes efficaces de contrôle des vaccins et de leur sécurité après leur déploiement dans la population générale, y compris en vue de surveiller leurs effets à long terme;

7.1.5 de mettre en place des programmes indépendants de réparation en cas de dommages ou de préjudices injustifiés consécutifs à la vaccination;

7.1.6 d’être particulièrement attentifs au risque de délit d’initié par des responsables de l’industrie pharmaceutique ou des entreprises pharmaceutiques qui s’enrichiraient anormalement aux dépens de la collectivité, en mettant en œuvre les recommandations figurant dans la Résolution 2071 [2015] [https://pace.coe.int/fr/files/22154] intitulée “La santé publique et les intérêts de l’industrie pharmaceutique: comment garantir la primauté des intérêts de santé publique?”;

7.1.7 de surmonter les obstacles et les restrictions découlant des brevets et des droits de propriété intellectuelle, afin d’assurer la production et la distribution à grande échelle de vaccins dans tous les Ppays et pour tous les citoyens;

7.2 en ce qui concerne l’attribution des vaccins contre la Covid-19:

7.2.1 de veiller au respect du principe de l’accès équitable aux soins de santé, tel qu’énoncé à l’article 3 de la Convention d’Oviedo, dans les plans nationaux d’attribution des vaccins, en garantissant que les vaccins contre la Covid-19 sont mis à la disposition de la population indépendamment du genre, de la race, de la religion, de la situation juridique ou socio-économique, de la capacité de payer, du lieu et d’autres facteurs qui contribuent souvent à des inégalités au sein de la population;

7.2.2 d’élaborer des stratégies de distribution équitable des vaccins contre la Covid-19 au sein des États Membres, en tenant compte du fait que l’offre initiale sera limitée, et de prévoir comment les programmes de vaccination seront déployés lorsque l’offre s’étoffera; de suivre les conseils des institutions et comités de bioéthique indépendants aux niveaux national, européen et international, ainsi que ceux de l’OMS, lors de l’élaboration de ces stratégies;

7.2.3 de veiller à ce que les personnes d’un même groupe prioritaire soient traitées équitablement, en accordant une attention spéciale aux plus vulnérables comme les personnes âgées, les personnes présentant des maladies sous-jacentes et les professionnels de la santé, tout particulièrement ceux qui travaillent en contact étroit avec des personnes appartenant à des groupes à haut risque, ainsi que les personnes exerçant dans des infrastructures essentielles et dans les services publics, notamment les services sociaux, les transports publics, les forces de l’ordre, les écoles, ainsi que dans les commerces;

7.2.4 de promouvoir un accès équitable aux vaccins contre la Covid-19 entre les Pays en soutenant des initiatives internationales, notamment le Dispositif pour accélérer l’accès aux outils de lutte contre la Covid-19 [Accélérateur ACT] et son initiative COVAX;

7.2.5 de s’abstenir de stocker des vaccins contre la Covid-19, car cette pratique affaiblit la capacité d’autres Pays à se procurer des vaccins pour leur population, et de veiller à ce que le stockage ne se traduise pas par une augmentation des prix des vaccins à l’avantage de celles et ceux qui les stockent contre celles et ceux qui ne le peuvent pas; d’effectuer des audits et un contrôle a priori pour assurer un déploiement rapide des vaccins à un coût minimal fondé sur la nécessité et non sur la puissance commerciale;

7.2.6 de veiller à ce que chaque Pays soit en mesure de vacciner ses professionnels de santé et ses groupes vulnérables avant que la vaccination ne soit déployée aux groupes non à risque, et donc d’envisager de faire don de doses de vaccin ou d’accepter que la priorité soit donnée aux Pays qui n’ont pas encore été en mesure de le faire, en gardant à l’esprit qu’une allocation mondiale juste et équitable des doses de vaccin est le moyen le plus efficace de vaincre la pandémie et de réduire les fardeaux socio-économiques qui y sont associés;

7.2.7 de veiller à ce que les vaccins contre la Covid-19 dont la sécurité et l’efficacité ont été établies soient accessibles à toutes celles et tous ceux qui en auront besoin à l’avenir, en ayant recours, là où cela sera nécessaire, à des licences obligatoires en contrepartie du versement de droits;

7.3 pour ce qui est de garantir un niveau élevé d’acceptation des vaccins:

7.3.1 de s’assurer que les citoyens et citoyennes sont informés que la vaccination n’est pas obligatoire et que personne ne subit de pressions politiques, sociales ou autres pour se faire vacciner, s’il ou elle ne souhaite pas le faire personnellement;

7.3.2 de veiller à ce que personne ne soit victime de discrimination pour ne pas avoir été vacciné, en raison de risques potentiels pour la santé ou pour ne pas vouloir se faire vacciner;

7.3.3 de prendre des mesures efficaces le plus tôt possible pour lutter contre les fausses informations, la désinformation et la méfiance concernant les vaccins contre la Covid-19;

7.3.4 de diffuser en toute transparence des informations sur la sécurité et les éventuels effets indésirables des vaccins, de travailler avec et réglementer les plateformes de médias sociaux pour empêcher la propagation des fausses informations;

7.3.5 de communiquer, de manière transparente, le contenu des contrats avec les producteurs de vaccins et de les rendre publics pour examen par les parlementaires et le public;

7.3.6 de coopérer avec des organisations non gouvernementales et/ou d’autres initiatives locales afin d’atteindre les groupes marginalisés;

7.3.7 de se rapprocher des communautés locales pour élaborer et mettre en œuvre des stratégies sur mesure visant à faciliter l’acceptation des vaccins;

7.4 en ce qui concerne la vaccination des enfants contre la Covid-19:

7.4.1 de veiller à un juste équilibre entre le déploiement rapide de la vaccination chez les enfants et l’examen justifié des préoccupations concernant la sécurité et l’efficacité des vaccins, et d’assurer la sécurité et l’efficacité complètes de tous les vaccins pour les enfants en mettant l’accent sur l’intérêt supérieur de l’enfant, conformément à la Convention des Nations Unies relative aux droits de l’enfant;

7.4.2 de mener des essais de haute qualité, en tenant dûment compte des garanties applicables, conformément aux recommandations et aux normes légales internationales, notamment de la répartition équitable des bénéfices et des risques pour les enfants inclus dans les essais;

7.4.3 de veiller à ce que les souhaits des enfants soient dûment pris en compte, en conformité avec leur âge et leur degré de maturité; lorsque le consentement de l’enfant ne peut pas être donné, de veiller à ce qu’un accord reposant sur des informations fiables et adaptées à son âge soit donné sous d’autres formes;

7.4.4 de soutenir le Fonds des Nations Unies pour l’enfance [UNICEF] dans les efforts qu’il déploie pour procurer à ceux qui en ont le plus besoin des vaccins de fabricants ayant passé des accords avec l’initiative COVAX;

7.5 en ce qui concerne la surveillance des effets à long terme des vaccins contre la Covid-19 et de leur innocuité:

7.5.1 d’assurer la coopération internationale pour la détection et l’élucidation en temps opportun de tout signal de sécurité au moyen d’un échange mondial, en temps réel, de données sur les manifestations postvaccinales indésirables [MAPI];

7.5.2 d’utiliser les certificats de vaccination uniquement dans le but désigné de surveiller l’efficacité du vaccin, les effets secondaires potentiels et les effets indésirables;

7.5.3 d’éliminer les ruptures dans la communication entre les autorités de santé publiques locales, régionales et internationales traitant des données MAPI, et de surmonter les faiblesses des réseaux de données de santé existants;

7.5.4 de rapprocher la pharmacovigilance des systèmes de santé;

7.5.5 de soutenir le domaine émergent de la recherche “adversomique”, qui étudie les variations interindividuelles des réponses vaccinales fondées sur les différences d’immunité innée, de microbiomes et d’immunogénétique.

8. En référence à la Résolution 2337 [2020] [https://pace.coe.int/fr/files/28773] sur les démocraties face à la pandémie de Covid-19, l’Assemblée réaffirme que les parlements, en tant que clés de voûte de la démocratie, doivent continuer de jouer leur triple rôle de représentation, d’élaboration de la loi et de contrôle en ces temps de pandémie. L’Assemblée demande donc aux parlements d’exercer ces pouvoirs, selon le cas, également en ce qui concerne la mise au point, l’attribution et la distribution des vaccins contre la Covid-19.

[Vaccins contre la Covid-19: considérations éthiques, juridiques et pratiques, Résolution 2361 [2021], https://pace.coe.int/fr/files/29004/html]

L’8 ottobre 2020, il succitato Consiglio d’Europa, in seguito alla denuncia presentata al suo Segretario Generale Marija Pejcinovic Buric dall’Osservatorio per la Legalità Costituzionale [istituito presso il Comitato Popolare per la Difesa dei Beni Pubblici e Comuni Stefano Rodotà e composto da giuristi, avvocati, e professori universitari in discipline giuridiche, quali il professor Ugo Mattei dell’Università di Torino], aveva riconosciuto che, nella gestione della pandemia [per intenderci la dichiarazione dello “stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, deliberata, il 31 gennaio 2020, dal Governo Conte [https://www.osservatoriosullefonti.it/emergenza-covid-19/fonti-governative/delibere-del-consiglio-dei-ministri/3008-emcov-deliberacdm1], prima ancora della dichiarazione di pandemia mondiale da parte dell’OMS, l’11 marzo 2020 [https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2], e il ricorso a fonti normative, DD.PP.CC.MM., da considerarsi inappropriate e incostituzionali e, comunque, a effetto sproporzionato rispetto a diritti e libertà coinvolti], lo Stato italiano aveva commesso una violazione dell’articolo 15 della Convenzione per i Diritti Umani, CEDU, omettendo di notificare al segretario generale del Consiglio d’Europa Marija Pejcinovic Buric,  la sospensione dei diritti fondamentali  [https://www.ideawebtv.it/2020/10/24/strasburgo-impone-allitalia-il-rispetto-della-convenzione-europea-per-i-diritti-delluomo/].

L’articolo 15 Deroga in caso d’urgenza della Convenzione Europea per i Diritti Umani, CEDU, recita testualmente:

1. In caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della Nazione, ogni Alta Parte contraente può adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla presente Convenzione, nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale.

2. La disposizione precedente non autorizza alcuna deroga all’articolo 2, salvo il caso di decesso causato da legittimi atti di guerra, e agli articoli 3, 4 § 1 e 7.

3. Ogni Alta Parte contraente che eserciti tale diritto di deroga tiene informato nel modo più completo il Segretario Generale del Consiglio d’Europa sulle misure prese e sui motivi che le hanno determinate. Deve ugualmente informare il Segretario Generale del Consiglio d’Europa della data in cui queste misure cessano d’essere in vigore e in cui le disposizioni della Convenzione riacquistano piena applicazione [https://www.mondodiritto.it/codici/convenzione-europea-dei-diritti-dell-uomo/art-15-cedu-deroga-in-caso-di-stato-d--urgenza.html].

La ratifica con Legge 4 agosto 1955 n. 848 della Convenzione Europea per i Diritti Umani[CEDU], che è stata firmata a Roma, il 4 novembre 1950, imponeva, dunque, all’Italia il rispetto della stessa Convenzione.

La deroga alla Convenzione, prevista dal suo articolo 15, permette agli Stati Parte, che debbano fare fronte a una guerra o a un “altro pericolo pubblico che minacci la vita della Nazione” di introdurre misure straordinarie, a patto che siano necessarie e proporzionate al pericolo che si intende combattere, ma non di adottare provvedimenti che contrastino con gli altri obblighi internazionali che vincolano lo Stato derogante, o che incidano sul godimento di alcuni diritti fondamentali, indicati come non derogabili al paragrafo  2 della disposizione [novero, poi, ampliato dai Protocolli 6, 7 e 13 alla CEDU]. Lo Stato che intenda avvalersi della clausola derogatoria deve informarne il Segretario Generale del Consiglio d’Europa, attraverso una notifica che illustri “le misure prese e [i] motivi che le hanno determinate”. Disposizioni simili sono rinvenibili in alcuni dei principali trattati internazionali che tutelano i diritti umani, quali il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici o la Convenzione Americana sui Diritti Umani [articolo 27].

Il 24 giugno 2010, l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa aveva adottato la Risoluzione 1749 dal titolo Gestione della pandemia H1N1: necessità di maggiore trasparenza.

“Il Consiglio d’Europa ha approvato ieri il documento della Commissione Sanità sull’influenza A, già presentato lo scorso 4 giugno, che accusa l’OMS di avere “sprecato ingenti somme di denaro pubblico e aver diffuso in modo ingiustificato timori e paure circa il rischio di pandemia in Europa”. Il testo adottato afferma che ci sono state “ampie evidenze” del fatto che l’OMS ha “sovrastimato ampiamente” il virus H1N1, distorcendo le priorità di salute pubblica. 60 i voti a favore, uno solo il voto contrario, quello della francese Claude Greff, mentre sempre la francese Christine Marin si è astenuta. Nessun italiano nell’elenco dei votanti.

Rilevate anche, secondo il documento, gravi lacune nella trasparenza nelle scelte fatte, generando il dubbio di un conflitto di interessi e di una influenza pesante delle industrie farmaceutiche.

L’Assemblea del Consiglio d’Europa ha chiesto anche di istituire un fondo per supportare la ricerca indipendente, per tutelarsi dal rischio di eccessive collusioni con l’industria farmaceutica.

Le critiche al modo in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità [OMS] ha risposto alla pandemia di influenza H1N1 sono cresciute di una tacca, venerdì scorso, con la pubblicazione di un’inchiesta condotta congiuntamente dal British Medical Journal [BMJ] e dall’Agenzia di Giornalismo Investigativo di Londra [BIJ], e con il rapporto adottato quello stesso giorno dalla commissione sanità dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa. La prima rivela che alcuni degli esperti che avevano partecipato alla redazione delle linee guida dell’OMS per le pandemie erano sul libro paga di due industrie farmaceutiche – Roche e GlaxoSmithKline – che producono medicinali o vaccini contro i virus influenzali. Il secondo sottolinea una “mancanza di trasparenza” nella gestione della crisi del virus H1N1 da parte dell’OMS e delle istituzioni sanitarie pubbliche, le accusa di aver “dilapidato una parte della fiducia che gli europei hanno in questi organismi” e ritiene che “questo declino di fiducia in futuro potrebbe rappresentare un rischio”.

Un anno dopo l’annuncio, l’11 maggio 2009 [11giugno 2009, n.d.r. https://www.epicentro.iss.it/focus/h1n1/11-06-2009], dell’inizio della pandemia influenzale, molti Governi occidentali si ritrovano con scorte inutilizzate di farmaci antivirali e vaccini contro il nuovo virus A [H1N1], ordinati a un carissimo prezzo, mentre la Banca JP Morgan valuta il giro d’affari tra 5,8 e 8,3 miliardi di euro. Emerge che, a partire dal 1999, data delle prime linee guida dell’OMS per le pandemie, alcuni esperti con un ruolo chiave nella loro elaborazione hanno legami di interesse con gli industriali. Le raccomandazioni vengono scritte da 4 esperti in collaborazione con il “Gruppo di lavoro europeo sull’influenza” [ESWI]. “Ciò che questo documento non rivelava è che l’ESWI è interamente finanziato da Roche e dagli altri produttori di vaccini e che 2 degli esperti, René Snacken e Daniel Lavanchy [https://www.letemps.ch/sciences/h1n1-nouvelles-accusations-contre-loms, https://www.bmj.com/content/bmj/340/7759/Feature.full.pdf], l’anno prima avevano partecipato a eventi finanziati da Roche”, scrivono i giornalisti britannici Deborah Cohen e Philip Carter [https://acp.it/it/conflitti-di-interesse-e-pandemia, https://www.researchgate.net/publication/232266547_WHO_and_the_pandemic_flu_conspiracies, https://www.bmj.com/content/bmj/340/7759/Feature.full.pdf] .

L’articolo cita diversi altri esperti coinvolti in documenti strategici dell’OMS, che sono stati retribuiti dagli industriali e hanno pubblicato degli articoli sull’utilità dei farmaci retrovirali [Tamiflu della Roche o Relenza di GlaxoSmith Kline], utilità oggi contestata all’interno della comunità medica.

“Nessun dettaglio è stato fornito dall’OMS in risposta alle nostre domande”, scrivono Cohen e Carter. I due giornalisti deplorano anche il segreto tenuto dall’OMS sulla composizione del comitato d’urgenza, messo in piedi dalla direttrice generale [Margaret Chan], che l’ha consigliata sul momento in cui dichiarare la pandemia: “Una decisione che ha scatenato i costosi contratti per i vaccini in tutto il mondo”, commenta nel suo editoriale la direttrice di BMJ, Fiona Godlee.

Interpellato da “Le Monde”, il portavoce dell’OMS, Gregory Hartl, precisa che “ogni volta che l’OMS riunisce degli esperti, fa compilare una dichiarazione di interessi, che è sottoposta alla valutazione del presidente del comitato di esperti, ma non le pubblica perché contengono informazioni di ordine privato”.

Per quanto riguarda il comitato di urgenza, Hartl precisa che la sua composizione sarà resa pubblica quando avrà terminato la sua missione, una misura mirata “a evitare che i suoi membri subiscano pressioni, tenuto conto delle conseguenze enormi delle decisioni prese”. Anche il rapporto redatto da Paul Flynn, parlamentare britannico socialista, e adottato il 4 giugno dalla commissione sanità dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, accusa l’OMS di dar prova di una “grave mancanza di trasparenza” nei suoi processi decisionali, cui si aggiunge “la prova schiacciante che la gravità della pandemia è stata largamente sovrastimata dall’OMS”.

Il documento sottolinea che “è soprattutto il passaggio rapido verso il livello 6 della pandemia, in un momento in cui l’influenza dava sintomi relativamente modesti, combinato con il cambiamento di definizione dei livelli di pandemia poco prima dell’annuncio della pandemia H1N1, che ha sollevato preoccupazioni e sospetti nella comunità scientifica”. Il rapporto sarà sottoposto all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa e dei suoi 47 stati membri il prossimo 24 giugno.

[La grande truffa della “suina”, Il British Medical Journal: l’OMS ha gonfiato i rischi dell’influenza A per favorire l’industria, La Stampa, 7 giugno 2010, https://www.lastampa.it/esteri/2010/06/07/news/la-grande-truffa-della-suina-1.37010352].

Nel gennaio del 2010, il Consiglio d’Europa aveva aperto una inchiesta su quello che Wolfgang Wodarg, Presidente della Commissione Sanità dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, aveva definito “uno dei più grandi scandali sanitari del secolo” [https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-7-2010-2247_IT.html?redirect]. Wodarg aveva utilizzato i numeri per dimostrare costi e rischi di una malattia che era stata molto temuta o ignorata. Wodarg parlava di 18 miliardi di dollari per combattere la pandemia, come, da maggio, l’OMS aveva deciso di chiamarla. Spesa che, secondo Wodarg, era lievitata proprio in funzione del cambio di nome. Secondo il medico l’avere fatto conquistare a una banale influenza il ruolo di pandemia aveva aperto la strada all’enorme speculazione delle ditte farmaceutiche. Nell’aprile del 2009, l’OMS, aveva, infatti, pubblicato la nuova definizione di pandemia, su consiglio, tra gli altri, del SAGE di “Signor Influenza”, alias Albert Osterhaus, e di David Salisbury, appena in tempo per potere definire urgenza pandemica casi benigni di influenza, ribattezzata influenza A H1N1. 

Il 18 gennaio dello stesso anno, l’eurodeputata del Movimento Europe Ecology Michèle Rivasi, membro della Commissione Salute-Ambiente e della Commissione Industria, Ricerca ed Energia, aveva chiesto alla Commissione Europea, di istituire una Commissione Speciale Temporanea per esaminare la gestione dell’Influenza A / H1N1 nell’Unione Europea.

“Nel giugno del 2009, l’OMS ha annunciato il sesto grado di allarme per la pandemia H1N1, appena un mese dopo aver cambiato la sua definizione, in modo da non considerare più la gravità della malattia, ma soltanto l’estensione geografica.

Malgrado l’evidenza dell’emisfero meridionale riguardo al fatto che il virus non fosse molto virulento, e malgrado un chiaro riconoscimento da parte della Commissione europea, nel settembre 2009, che l’influenza H1N1 avesse causato soltanto “sintomi moderati”, e la maggior parte dei pazienti fossero affetti da “disturbi circoscritti e di lieve entità” e i servizi sanitari stessero, in gran parte, reagendo positivamente, la Commissione a identificato dei potenziali destinatari del vaccino, includendo tra il 30% e il 60,5% della popolazione totale. Sono stati definiti destinatari tutti coloro ai quali si raccomanda il vaccino. 

Secondo le informazioni del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie [ECDC] il numero complessivo dei decessi riportati nel 2009 dall’inizio della pandemia negli Stati membri dell’UE/EFTA ammonta a 1045.2 D’altra parte, la Commissione ha calcolato che l’influenza stagionale causa circa 40.000 e 220.000 decessi, rispettivamente per un anno in cui l’influenza si presenta in forma moderata e per un anno in cui ha carattere di estrema gravità.

Il 29 settembre 2009, la Commissione ha autorizzato i primi vaccini contro il virus H1N1 e il commissario Verheugen ha espresso la sua soddisfazione per il fatto che “la Commissione è stata in grado di decidere nel più breve tempo possibile”.

In risposta a una lettera inviata lo stesso giorno ad un deputato parlamentare, Zsuzsanna Jakab, direttrice dell’ECDC, ha ammesso che “è vero che nessun vaccino è stato autorizzato prima d’ora sulla base di dati così scarsi”.

Può la Commissione specificare quale sia stata la spesa complessiva degli Stati membri per i vaccini contro il virus H1N1? Visti i rischi moderati di H1N1, già noti nell’estate
del 2009 sia in termini assoluti sia, più precisamente, rispetto all’influenza stagionale, ritiene che la spesa sia giustificata? Quali insegnamenti ha tratto dalla risposta dell’UE a questa pandemia: è pronta a rivedere la sua politica riguardo alla preparazione in caso di influenza pandemica, più precisamente riguardo alle strategie di vaccinazione? Ritiene che siano sicuri i vaccini che ha autorizzato “nel più breve tempo possibile” sulla base di dati assai scarsi? [
https://www.europarl.europa.eu/meetdocs/2009_2014/documents/envi/cm/801/801843/801843it.pdf]

L’eurodeputata era stata sostenuta da più di 200 eurodeputati, di tutte le forze politiche. La Conferenza dei Presidenti, organo che riunisce i presidenti dei gruppi politici, aveva respinto la richiesta. L’articolo 185 del Regolamento prevede per l’istituzione di una commissione d’inchiesta le firme di almeno un quarto dei membri del Parlamento Europeo, vale a dire 185 firme. Il numero dei deputati firmatari era, quindi, ben al di sopra del minimo richiesto. In queste condizioni, la fine dell’inammissibilità sollevata dalla Conferenza dei Presidenti alla richiesta era una negazione democratica. Il rifiuto era stato sostenuto dal Partito Popolare Europeo e dal Partito dei Socialisti Europei.

Uno spreco di denaro pubblico e un ingiustificato allarmismo sui rischi che i cittadini europei correvano a causa della pandemia di H1N1: questo era stato il giudizio dato dal Comitato per la Sanità dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa nel rapporto approvato il 4 giugno 2010 sulla gestione della pandemia, in cui si sottolineava che vi erano prove schiaccianti che la pericolosità del H1N1 è stata enormemente gonfiata[https://www.castelvetranoselinunte.it/la-grande-truffa-del-business-dietro-linfluenza-a/5482/].

 Nel rapporto si criticava duramente la gestione della pandemia da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma anche da parte delle Agenzie dell’Unione Europea e dei Governi nazionali. Il parlamentare britannico, Paul Flynn, relatore del rapporto, aveva dichiarato che quella dell’H1N1 “è stata una pandemia che non è mai avvenuta” e ha descritto i programmi di vaccinazione come “medicinali Placebo su vasta scala”. Nell’adottare il rapporto il Comitato aveva evidenziato la grave mancanza di trasparenza nel processo che aveva portato alla dichiarazione della pandemia. In particolare si puntava il dito contro il fatto che né l’OMS né le Agenzie dell’Unione Europea erano state pronte a dare ai Parlamentari le informazioni che avrebbero potuto fugare i dubbi sul conflitto di interesse di alcuni esperti che collaborano con l’OMS e altre istituzioni, ma, allo stesso tempo, anche con le industrie farmaceutiche.

Com’è, oramai, ben noto, il livello di allarme proposto dall’OMS per quella pandemia si rivelò incauto ed eccessivo, le sue conseguenze furono enormemente meno gravi rispetto a quelle inizialmente previste, tuttavia, i Governi furono costretti – a causa dell’allarme dell’OMS – ad acquistare e ad accumulare enormi quantità di vaccini e farmaci antivirali, rimasti poi in larghissima parte inutilizzati. La corsa dei Governi di quasi tutto il mondo all’acquisto fu sollecitata da esperti che avevano lavorato e, in alcuni casi, lavoravano ancora come consulenti per le aziende farmaceutiche produttrici degli stessi farmaci. Lo aveva rivelato un’indagine del British Medical Journal e del Bureau of Investigative journalism che aveva messo in luce il conflitto di interessi di tre scienziati – Fred Hayden, Arnold Monto e Karl Nicholson – autori del rapporto pubblicato nel 2004 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui i Governi di tutto il mondo avrebbero dovuto premunirsi di antivirali per combattere la pandemia prevista a causa dell’influenza A. Un’accusa che rincarava la dose delle critiche mosse dal Consiglio d’Europa sull’allarme pandemia. I tre scienziati citati avevano svolto – o svolgevano – consulenze e ricerche per Roche e GlaxoSmithKline, produttori rispettivamente dei farmaci contro l’influenza A Tamiflu e Relenza.

Gli spacciatori di vaccini erano stati definitivamente smascherati [https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52011IP0077&from=DE, http://www.vita.it/it/article/2010/06/25/il-consiglio-deuropa-attacca-loms/102697/

 https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-06-04/oms-allarme-pandemia-h1n1-170600_PRN.shtml, https://www.epicentro.iss.it/focus/h1n1/10-6-2010, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52011IP0077&from=DE, https://www.ilfattoquotidiano.it/2010/01/18/vaccino-che-grande-imbroglio/12851/]!

Nous avons trouvé que parmi les scientifiques de l’OMS beaucoup sont payés par les compagnies pharmaceutiques. La directrice, madame Chan, ne nous a pas révélé qui a pris la décision de déclarer la pandémie l’année dernière. Nous avons trouvé que l’OMS n’est pas une institution transparente. Le principe de partenariat public-privé, selon lequel ils fonctionnent, ça me choque. Ils disent ouvertement, oui, nous travaillons ensemble avec les compagnies pharmaceutiques! L’industrie donne 2/3 du budget de l’OMS et seulement 1/3 vient de 190 et quelques pays membres! [https://www.franceculture.fr/amp/politique/gestion-de-la-pandemie-h1n1-necessite-de-plus-de-transparence?fbclid=IwAR07lckuAqDmvGtF4a6bWWfLPP4rLB2Em_C9i5I4-1vAI2gsmUZ0jPw-tV8].

 

Résolution 1749 [2010] Gestion de la pandémie H1N1: nécessité de plus de transparence

Auteur[s] : Assemblée parlementaire

Origine – Discussion par l’Assemblée le 24 juin 2010 [26e séance] [voir Doc. 12283 [https://pace.coe.int/fr/files/12463], rapport de la commission des questions sociales, de la santé et de la famille, rapporteur: M. Flynn]. Texte adopté par l’Assemblée le 24 juin 2010 [26e séance]. Voir également la Recommandation 1929 [2010] [https://pace.coe.int/fr/files/17888]

1. L’Assemblée Parlementaire est alarmée par la façon dont la grippe pandémique H1N1 a été gérée, non seulement par l’Organisation mondiale de la santé [OMS], mais aussi par les autorités de santé compétentes tant au niveau de l’Union européenne qu’au niveau national. Elle s’inquiète notamment de certaines répercussions de décisions et d’avis ayant entraîné une distorsion des priorités au sein des services de santé publique à travers l’Europe, un gaspillage de fonds publics importants et l’existence de peurs injustifiées relatives aux risques de santé encourus par la population européenne en général.

2. L’Assemblée fait état d’un grave manque de transparence dans les prises de décisions liées à la pandémie, qui soulève des préoccupations quant à l’influence que l’industrie pharmaceutique a pu exercer sur certaines des décisions les plus importantes concernant la pandémie. L’Assemblée craint que ce manque de transparence et de responsabilité ne fasse chuter la confiance accordée aux conseils délivrés par les grands organismes de santé publique. Cela pourrait se révéler désastreux en cas d’une prochaine maladie de nature pandémique qui pourrait être beaucoup plus grave que la grippe H1N1.

3. L’Assemblée rappelle ses précédents travaux sur la bonne gouvernance dans le secteur de la santé publique dans les Etats Membres du Conseil de l’Europe, en particulier les Recommandations 1725 [2005] [https://pace.coe.int/fr/files/17382] sur l’Europe face à la grippe aviaire – mesures préventives dans le domaine de la santé et 1787 [2007] [https://pace.coe.int/fr/files/17517]  sur le principe de précaution et la gestion responsable des risques. Dans la Recommandation 1908 [2010] [https://pace.coe.int/fr/files/17832] sur le lobbying dans une société démocratique [Code européen de bonne conduite en matière de lobbying], l’Assemblée note que les activités de lobbying non réglementées ou occultes peuvent constituer un danger et miner les principes démocratiques et la bonne gouvernance.

4. Concernant les aspects positifs, l’Assemblée salue le processus d’examen et d’évaluation de la gestion de la crise H1N1 lancé récemment – ou sur le point de l’être – par l’OMS, par les institutions européennes s’occupant des questions de santé et par un certain nombre de Gouvernements et de Parlements nationaux. L’Assemblée encourage vivement toutes les parties concernées à poursuivre et à renforcer le dialogue entre les organismes de santé publique, à tous les niveaux, et à procéder à l’avenir à des échanges plus réguliers sur la bonne gouvernance dans le secteur de la santé.

5. Malgré la volonté affichée par l’OMS et des organismes européens de santé publique concernés d’engager un dialogue et de lancer une enquête sur la gestion de la pandémie, l’Assemblée déplore vivement leur réticence à partager certaines informations essentielles et, en particulier, à publier les noms et déclarations d’intérêt des membres du Comité d’urgence de l’OMS et des organes consultatifs européens directement responsables des recommandations relatives à la gestion de la pandémie. Par ailleurs, l’Assemblée regrette que l’OMS n’ait pas réagi rapidement en révisant ou en réévaluant sa position quant à la pandémie et les véritables risques de santé encourus, malgré l’évidence écrasante que la gravité de la pandémie avait été largement surestimée par l’OMS au départ. En outre, l’Assemblée déplore l’attitude extrêmement défensive prise par l’OMS, que ce soit en ne voulant pas reconnaître que la définition de la notion de pandémie avait été modifiée, ou par un manque de volonté de réviser son pronostic de la pandémie.

6. A la lumière des préoccupations largement répandues qui ont été soulevées par la gestion de la pandémie H1N1, l’Assemblée en appelle aux autorités sanitaires aux niveaux international, européen et national – et notamment à l’OMS – afin de répondre de manière transparente aux critiques et aux inquiétudes formulées pendant la pandémie H1N1:

6.1. en modifiant le mandat de leurs organes de gouvernance générale et organes consultatifs spéciaux dans tous les cas où c’est nécessaire, afin de garantir la plus grande transparence et le plus haut niveau de responsabilité démocratique dans le domaine des décisions de santé publique;

6.2. en s’accordant, de manière transparente, sur un ensemble commun de définitions et de descriptions relatives aux pandémies de grippe, avec le concours d’un groupe d’experts varié, en vue d’une compréhension cohérente de tels événements dans le monde entier;

6.3. en modifiant et en actualisant les lignes directrices existantes sur la coopération avec le secteur privé ou, en l’absence de lignes directrices, en en élaborant, afin de garantir:

6.3.1. qu’un large éventail d’expertises et d’avis soit pris en compte, y compris les avis contraires d’experts particuliers et les avis d’organisations non gouvernementales;

6.3.2. que les déclarations d’intérêt des experts concernés soient rendues publiques sans exception;

6.3.3. que les organisations externes participantes soient tenues de préciser leurs liens avec les leaders d’opinion ou avec d’autres experts susceptibles d’être exposés au risque de conflits d’intérêts;

6.3.4. que quiconque exposé au risque de conflits d’intérêts soit exclu des prises de décisions sensibles;

6.4. en améliorant les stratégies de communication dans le domaine de la santé publique en tenant compte du contexte social actuel, caractérisé par un large accès aux nouvelles technologies, et en collaborant étroitement avec les médias pour éviter de donner dans le sensationnel et les discours alarmistes en matière de santé publique;

6.5. en préparant et en balisant le terrain en vue d’un usage adéquat du principe de précaution sanitaire à l’avenir, notamment par l’élaboration de stratégies de communication totalement transparentes et assorties de mesures d’éducation et de formation;

6.6. en partageant les résultats des enquêtes sur la pandémie de grippe H1N1 de la façon la plus transparente et complète possible entre toutes les parties prenantes concernées, notamment l’OMS, les institutions européennes [l’Union Européenne et le Conseil de l’Europe], les Gouvernements et Parlements nationaux, les organisations non gouvernementales et le public européen dans son ensemble, afin de tirer les leçons de cette expérience, de veiller à ce que les responsabilités soient assumées pour toute erreur commise et de restaurer la confiance dans les décisions et les conseils de santé publique.

7. L’Assemblée invite en outre l’OMS et, le cas échéant, les institutions sanitaires européennes concernées à s’engager dans des échanges européens plus réguliers sur la question de la bonne gouvernance dans le secteur de la santé:

7.1. en participant à des débats plus réguliers de l’Assemblée Parlementaire sur des sujets en rapport avec la bonne gouvernance dans le secteur de la santé publique;

7.2. en contribuant activement aux travaux intergouvernementaux entrepris au niveau du Conseil de l’Europe en matière de bonne gouvernance dans le secteur de la santé publique.

8. L’Assemblée en appelle également aux Etats Membres afin:

8.1. d’user de leurs moyens de contrôle démocratique, par le biais des systèmes de gouvernance internes de l’OMS et des institutions européennes, pour garantir la bonne mise en œuvre de la présente résolution;

8.2. de lancer des processus d’évaluation critique au niveau national si ce n’est déjà fait;

8.3. d’élaborer des systèmes de garantie contre l’influence abusive d’intérêts particuliers si ce n’est déjà fait;

8.4. d’assurer un financement stable pour l’OMS;

8.5. d’envisager l’établissement d’un fonds public pour soutenir des études, des essais et des avis d’experts indépendants, qui pourraient être financés par le biais d’une contribution obligatoire de l’industrie pharmaceutique;

8.6. de garantir que le secteur privé ne tire pas un profit abusif des alarmes de santé publique et qu’il ne puisse pas se dégager de ses responsabilités en vue de privatiser ses gains, tout en partageant les risques. A cette fin, les Etats Membres devraient être disposés à élaborer et à faire appliquer des lignes directrices nationales claires régissant les relations avec le secteur privé, ainsi qu’à coopérer entre eux dans le cadre des négociations avec les grandes firmes internationales chaque fois qu’il y a lieu.

9. L’Assemblée invite les Parlements nationaux à soutenir les politiques nationales visant à améliorer les systèmes de gouvernance dans le secteur de la santé publique, et les incite à garantir leur participation aux processus nationaux appropriés d’évaluation et d’élaboration des politiques afin de maintenir un niveau de responsabilité démocratique aussi élevé que possible.

10. Enfin, l’Assemblée invite l’industrie pharmaceutique, sociétés et associations comprises, à réviser ses règles et son fonctionnement en matière de coopération avec le secteur public, en vue de garantir le plus haut degré de transparence et de responsabilité sociale de la part des entreprises lorsque de grandes questions de santé publique sont en jeu.

[https://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-FR.asp?fileid=17889&lang=FR&fbclid=IwAR3QDp2TJTOHuh90fdYaEUTQNegse-SkElxZfKKJ1sB6D_T-zLzIhIlaZBo]

L’emergenza denunciata dall’OMS, nel giugno del 2009, vale a dire pochi mesi dopo un preallarme dello stesso OMS, aveva indotto molti Paesi a stipulare impegni di acquisto di vaccini pandemici, con tanto di assurda clausola contrattuale. Gli accordi prevedevano la responsabilità a carico degli Stati acquirenti, in caso di effetti collaterali, come se, per acquistare un elettrodomestico, in caso di malfunzionamenti, anziché essere coperti da una garanzia, dovessimo versare una penale all’azienda produttrice. Quei contratti sarebbero divenuti vincolanti se l’OMS avesse annunciato lo scoppio di una pandemia. La relazione di collaborazione tra OMS, case farmaceutiche e altri partners privati è, in realtà, una relazione di finanziamento. Come risulta, infatti, dal sito dell’OMS, i finanziamenti privati, Voluntary Contributions, oramai, rappresentano  oltre i tre quarti del patrimonio dell’OMS e si distinguono in flessibili – e come tali nella libera disponbilità dell’OMS – e vincolati a un progetto scelto dal contribuente stesso.

Intervistato, il 19 luglio 2009, da Johann Grolle e Veronika Hackenbroch della rivista tedesca Der Spiegel, che gli chiedevano se l’OMS avesse, deliberatamente, dichiarato lo stato di emergenza per la pandemia, al fine di poter creare un gigantesco mercato per i vaccini H1N1, oltre che per i farmaci, l’epidemiologo M. Thomas Jefferson membro della Cochrane Collaboration, una organizzazione internazionale no-profit di 24mila medici e professionisti sanitari di 20 Paesi, che conduce revisioni sistematiche sull’efficacia degli interventi sanitari, aveva risposto:

 “Una delle caratteristiche più sorprendenti di questa influenza, e di tutta la telenovela che ne è derivata, è che, anno dopo anno, alcune persone fanno previsioni sempre più pessimistiche. Finora, nessuna si è, mai, realizzata e queste persone sono sempre là a ripetere le loro predizioni. A esempio, cos’è successo all’influenza aviaria che avrebbe dovuto ucciderci tutti? Niente. Ma ciò non impedisce a queste persone di continuare a fare le loro predizioni. A volte sembra che ci sia un’intera industria che spera una pandemia.”

E ancora:

“L’OMS e i responsabili della salute pubblica, i virologi e i laboratori farmaceutici hanno costruito un sistema sull’imminenza della pandemia. Ci sono molti soldi in gioco, reti d’influenza, carriere e intere istituzioni! Ed è bastato che uno dei virus dell’influenza mutasse per vedere tutta la macchina mettersi in moto.”

Interview with Epidemiologist Tom Jefferson ‘A Whole Industry Is Waiting For A Pandemic’.

The world has been gripped with fears of swine flu in recent weeks. In an interview with SPIEGEL, epidemiologist Tom Jefferson speaks about dangerous fear-mongering, misguided, money-driven research and why we should all be washing our hands a lot more often.

21.07.2009, 12.19 Uhr

Tom Jefferson: I wash my hands very often -- and it’s not all because of swine flu. That’s probably the most effective precaution there is against all respiratory viruses, and the majority of gastrointestinal viruses and germs as well.

SPIEGEL: Do you consider the swine flu to be particularly worrisome?

Jefferson : It’s true that influenza viruses are unpredictable, so it does call for a certain degree of caution. But one of the extraordinary features of this influenza -- and the whole influenza saga -- is that there are some people who make predictions year after year, and they get worse and worse. None of them so far have come about, and these people are still there making these predictions. For example, what happened with the bird flu, which was supposed to kill us all? Nothing. But that doesn’t stop these people from always making their predictions. Sometimes you get the feeling that there is a whole industry almost waiting for a pandemic to occur.

SPIEGEL: Who do you mean? The World Health Organization [WHO]?

Jefferson: The WHO and public health officials, virologists and the pharmaceutical companies. They’ve built this machine around the impending pandemic. And there’s a lot of money involved, and influence, and careers, and entire institutions! And all it took was one of these influenza viruses to mutate to start the machine grinding.

SPIEGEL: On your Italian homepage, there is a “pandemic countdown” that expires on April 1. Don’t you think the situation calls for just a bit more seriousness?

Jefferson: I’m just using it ironically to expose the false certainty that we are fed. Will one-third of the world’s population get swine flu? Nobody can say for sure right now. For now, at least, I don’t really see any fundamental difference, no difference in the definition between this and a normal flu epidemic. Swine flu could have even stayed unnoticed if it had been caused by some unknown virus rather than an influenza virus.

SPIEGEL: Do you think the WHO declared a pandemic prematurely?

Jefferson: Don’t you think there’s something noteworthy about the fact that the WHO has changed its definition of pandemic? The old definition was a new virus, which went around quickly, for which you didn’t have immunity, and which created a high morbidity and mortality rate. Now the last two have been dropped, and that’s how swine flu has been categorized as a pandemic.

SPIEGEL: But, year after year, 10,000-30,000 people in Germany alone die from influenza. In the Western world, influenza is the most deadly infectious disease there is.

Jefferson: Hold on! These figures are nothing more than estimates. More than anything, you have to distinguish between an influenza-like illness and a genuine flu, the real influenza. Both of them have the same symptoms: a sudden high fever, a sore throat, coughing, rheumatic pain in the back and legs, possible bronchitis and pneumonia. But real flues, real influenzas are only caused by influenza viruses, while there are more than 200 different viruses that cause influenza-like illness. When it comes to figures related to so-called flu deaths, you always get other causes of death caused by other viruses mixed in. Now, in the case of elderly people who die of pneumonia, nobody would do a postmortem to figure out if it was really an influenza virus that killed them. Approximately 7 percent of influenza-like illness cases are caused by influenza viruses. It’s a very small percentage. What I know is that real influenza is systematically overestimated.

SPIEGEL: And what about the 200 other kinds of viruses?

Jefferson: They’re not as popular as influenza. Researchers are just not as interested in that. Take rhinovirus, a horse-derived virus. It’s the most commonly isolated agent in common colds. There are a hundred different types of these rhinoviruses. They usually only cause a normal runny nose, but they can be deadly, too. Or so-called RSV, the human respiratory syncytial virus, that is highly dangerous to infants and small children.

SPIEGEL: So why aren’t researchers interested in it?

Jefferson: It’s easy: They can’t make money with it. With rhinoviruses, RSV and the majority of the other viruses, it’s hard to make a lot of money or a career out of it. Against influenza, though, there are vaccines, and there are drugs you can sell. And that’s where the big money from the pharmaceuticals industry is. It makes sure that research on influenza is published in the good journals. And that’s why you have more attention being paid there, and the entire research field becomes interesting for ambitious scientists.

SPIEGEL: But is there any scientific reason to be interested in influenza viruses?

Jefferson: The strict focus on influenza is not only misguided; it’s also dangerous. Do you remember something called SARS? That was a truly dangerous epidemic. It was like a meteor: It came and it went quickly, and it killed a lot of people. SARS took us by surprise because it was caused by a completely unknown coronavirus. Where did it come from? Where did it go? Or is it still here? We still don’t know. There are lots of other strange things like that coming out. Every year, a new agent is identified. For example, there’s something called bocavirus, which can cause bronchitis and pneumonia in small children. And there’s something called metapneumovirus, which studies say is responsible for more than 5 percent of all flu-related illnesses. So, we should keep our eyes open in all directions!

SPIEGEL: But the great pandemic of 1918/1919 was caused by an influenza virus, and it killed up to 50 million people around the world. Or do scientists contest that?

Jefferson : It’s very well possible that it was, but there are many aspects about the 1918/1919 pandemic that still puzzle us. It was only 12 years ago that we learned that the H1N1 virus caused it. But there was also a lot of bacterial activity going on at the time. And it’s particularly unclear why the mortality rate for the flu dropped so dramatically after World War II. Today, you only get a fraction of what was standard before the war. When it comes to the later pandemics, such as the “Asian flu” of 1957 or the “Hong Kong flu” of 1968/69, you can barely detect them as exceptional figures when it comes to death statistics as a whole.

Contradictions between Scientific Findings and Practice

SPIEGEL: So why should we even speak of pandemics at all?

Jefferson: That’s something you should ask the World Health Organization!

SPIEGEL: In your opinion, what do you think it takes to make a virus like the swine flu a global threat?

Jefferson: Unfortunately, we can only say that we don’t know. I suspect that the whole issue is much more complex than we are even able to imagine it today. Given all the viruses that produce flu-like symptoms, perhaps Robert Koch’s postulate that one particular pathogen causes one particular disease doesn’t go far enough. Why, for example, do we not get influenza in the summertime? In the end, the pathogen is there all year long! Already in the 19th century, the German chemist and hygienist Max von Pettenkofer had developed a theory about how the pathogen’s contact with the environment can alter the disease. I think that research in this direction would be worthwhile. Perhaps it would allow us to understand the pandemic of 1918/1919 better or to be able to assess the dangers of swine flu.

SPIEGEL: Humans have better defenses today than they did in 1918, and it probably won’t be long before we have a swine flu vaccine. Last week, Germany’s federal government announced that it wanted to buy enough for 30 percent of the population. How much do you think that will protect us?

Jefferson: When it comes to pandemic vaccination, as we say in English, the proof is in the pudding. The proof is in using it. We’ll see. It does generate an antibody response, but will it really guard against the disease?

SPIEGEL: Are you pessimistic about that?

Jefferson: No, I’m just saying I think we’re about to find out [laughter]. Let’s have this conversation again in about a year’s time, shall we?

SPIEGEL: For a number of years, as part of the Cochrane Collaboration, you have been systematically evaluating all the studies on immunization against seasonal influenza. How good does it work?

Jefferson: Not particularly good. An influenza vaccine is not working for the majority of influenza-like illnesses because it is only designed to combat influenza viruses. For that reason, the vaccine changes nothing when it comes to the heightened mortality rate during the winter months. And, even in the best of cases, the vaccine only works against influenza viruses to a limited degree. Among other things, there is always the danger that the flu virus in circulation will have changed by the time that the vaccine product is finished with the result that, in the worst case, the vaccine will be totally ineffectual. In the best of cases, the few decent studies that exist show that the vaccine mainly works with healthy young adults. With children and the elderly, it only helps a little, if at all.

SPIEGEL: But aren’t those the exact groups that influenza immunization is recommended for?

Jefferson: Indeed. That’s one of the contradictions between scientific findings and practice, between evidence and policy.

SPIEGEL: So, what’s behind this contradiction?

Jefferson: Of course, that has something to do with the influence of the pharmaceutical industry. But it also has to do with the fact that the importance of influenza is completely overestimated. It has to do with research funds, power, influence and scientific reputations!

SPIEGEL: So, at the moment is it reasonable to keep vaccinating against seasonal influenza?

Jefferson: I can’t see any reason for it, but I’m not a decision maker.

SPIEGEL: And what about Tamiflu and Relenza, two of the anti-flu medications that are being deployed against swine flu? How well do they really work?

Jefferson : If taken at the right time, on average, Tamiflu reduces the duration of a real influenza by one day. One study also found that it diminishes the risk of pneumonia.

SPIEGEL: Could these medications lower mortality rates associated with the flu?

Jefferson : That’s possible, but it has yet to be scientifically proven.

SPIEGEL: And what about side effects?

Jefferson: Tamiflu can cause nausea. And there are things that point toward psychiatric side effects. There are reports coming out of Japan that young people who have taken Tamiflu have had acute psychotic reactions similar to those found in schizophrenics.

SPIEGEL: So, is it sensible to use such medications at all?

Jefferson : When it comes to severe disease, yes. But under no circumstances should Tamiflu be handed out to whole schools, as is currently sometimes being done. With that being the case, it doesn’t surprise me at all that we’re already hearing reports about resistant strains of swine flu.

SPIEGEL: In Germany, the government is supposed to stockpile flu medications for 20 percent of the population. Do you see that as being sensible?

Jefferson: Well, at least there are much cheaper ways to accomplish a lot more. For example, school children should be taught to wash their hands regularly -- preferrably after every class! And every airport should install a couple hundred wash basins. Whoever gets off a plane and doesn’t wash their hands should be stopped by the border police. You could tell for example by putting an invisible, neutral dye in the water. And wearing masks can be sensible, as well.

SPIEGEL: Has it really been shown that these measures work?

Jefferson : There are several good studies on this that were done during the SARS epidemic. They are so-called case-control studies that examined individuals that had had close contact with the SARS virus. They compared the characteristics of those who had been infected with the virus through this contact with those of people who had not been infected. These studies resulted in very clear results.

SPIEGEL: You sound pretty impressed.

Jefferson: I am. What’s great about these measures is not only that they are inexpensive, but also that they can help against more than just influenza viruses. This method can fight against the 200 pathogens that bring about flu symptoms as well as against gastrointestinal viruses and completely unknown germs. One study done in Pakistan has shown that hand washing can even save children’s lives. Someone should get a Nobel Prize for that!

SPIEGEL: Mr. Jefferson, we thank you for this interview.

Interview conducted by Johann Grolle and Veronika Hackenbroch. [https://www.spiegel.de/international/world/interview-with-epidemiologist-tom-jefferson-a-whole-industry-is-waiting-for-a-pandemic-a-637119.html?fbclid=IwAR0-hxkYftepCp2TqoUbLXOSMpQhu21Nok0tGaRNxuXa1Mpzc2_BElQy87k]

In Italia, il Governo Berlusconi stanziò circa 400 milioni di euro assicurandosi 48 milioni di dosi, di cui solo meno di 865mila inoculate.

“Il Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali Maurizio Sacconi ha illustrato in un question time il 22 luglio alla Camera gli elementi in ordine alla reale diffusione del virus influenzale di tipo A [H1N1] in Italia e indirizzi di politica sanitaria al riguardo. Di seguito il resoconto dell’intervento del Ministro.

“Signor Presidente, preciso in primo luogo che in Italia le misure di sorveglianza e controllo finora adottate hanno consentito di limitare il numero di casi di influenza del nuovo virus a 320 [in Europa i casi sono 17.181, di cui 10.169 nella sola Gran Bretagna] e solo 4 dei nostri casi non sono riferibili a viaggi in aree affette.

L’aumento dei casi in Italia è previsto, ma non desta particolare preoccupazione, sia perché questo nuovo virus è responsabile di una sintomatologia più leggera di quella determinata dal virus dell’influenza stagionale, sia perché è disponibile una rete di servizi di sanità pubblica in grado di condurre tempestive indagini sui casi sospetti e confermati e per la ricerca di contatti, nonché una rete di centri di riferimento di eccellenza per il ricovero, l’isolamento, ove necessario, e il trattamento delle persone affette.

È stata rafforzata la rete di sorveglianza epidemiologica e virologica dell’influenza [la rete Influnet] per permettere la raccolta di informazioni e campioni virali ai fini del tempestivo riconoscimento dei casi di influenza e per la conseguente adozione delle misure di sanità pubblica. Sono state allertate, attraverso le Regioni, le strutture di ricovero in generale e quelle specifiche per malattie infettive in particolare, per essere pronte a gestire i casi sospetti di influenza da nuovo virus, mediante idonee misure di contenimento, oltre che con misure di appropriato trattamento.

Gli Uffici di Sanità Marittima e Aerea di Frontiera sono stati allertati fin dal 25 aprile sulla necessità sia di applicare misure di sorveglianza straordinaria, sia di fornire informazioni ai viaggiatori internazionali diretti o provenienti dai Paesi interessati all’epidemia.

In data 11 maggio 2009 [11giugno 2009, n.d.r. https://www.epicentro.iss.it/focus/h1n1/11-06-2009], l’OMS ha dichiarato il passaggio dalla fase 5, prepandemica, alla fase 6, di allerta pandemica, anche se ha precisato che le azioni della fase 6 devono essere commisurate alla gravità della malattia, che, al momento, si presenta moderata. L’OMS, come peraltro nella altre fasi pandemiche, non ha raccomandato la chiusura delle frontiere e la restrizione di viaggi internazionali. Inoltre, non sono state raccomandate attività di screening dei viaggiatori in ingresso o in uscita, in quanto tali misure hanno uno scarso impatto sulla diffusione dell’infezione, ponendo, invece, maggiore attenzione sulla sorveglianza e corretta gestione dei casi.

Nella riunione dell’unità di crisi presieduta dal viceministro Fazio, il 15 luglio scorso, è stato approvato un documento che definisce la strategia preventiva nazionale, in base al quale il Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio sta predisponendo e procedendo all’acquisto di strumenti di prevenzione [vaccini, antivirali e dispositivi di protezione disinfettanti] in conformità alla valutazione tecnica dei bisogni.

La vaccinazione pandemica sarà offerta prioritariamente al personale sanitario, che dovrà assistere i malati, ed ai soggetti a rischio di complicanze per patologie, per un totale di 8,6 milioni di soggetti entro la fine del 2009. Poiché i bambini e i giovani sono maggiormente suscettibili di tale infezione, e quindi sono serbatoi di diffusione della stessa, si sta considerando di vaccinare dal gennaio 2010 anche tale fascia di popolazione, che va dai 2 ai 27 anni [15,4 milioni di soggetti].

Un ciclo vaccinale è costituito da 2 dosi di vaccino, pertanto verranno acquisite 48 milioni di dosi di vaccino pandemico, dalla fine di novembre a gennaio 2010, secondo la programmazione di produzione delle industrie farmaceutiche con le quali il nostro Paese ha stipulato contratti di prelazione dal 2005.

In merito a presunti dissensi tra gli organi di Governo ricordo che ciò che ha rappresentato il professor Fazio costituiva [a domanda insistita da parte della stampa sull’ipotesi di apertura posticipata delle scuole] soltanto il non rifiuto di una mera eventualità, allo stato però non sostenuta dai fatti, così come ci siamo pronunciati noi stessi direttamente. Quindi non vi è alcun dissenso.”

[Redazione, Influenza. Sacconi: Prenotate 48 milioni di dosi di vaccino, Vita, 22 luglio 2009, http://www.vita.it/it/article/2009/07/22/influenza-sacconi-prenotate-48-milioni-di-dosi-di-vaccino/91168/?fbclid=IwAR1tKXL-RIELF8qdVOax4oZmgLTQ05di4YlvKrtUNxxJdF_3zBPXJINsnD8]

“Novartis è obbligata a produrre le dosi di vaccino e a rispettare l’accordo con il ministero della Salute. Ma solo fino a quando ciò sia ritenuto “ragionevole”. E ancora, se il siero vaccinale è dannoso per la salute “il Ministero è tenuto a tenere indenne Novartis da qualsiasi perdita che l’azienda sia tenuta a risarcire in conseguenza di danni a persone e cose causati dal prodotto”. In altre parole, se il vaccino fa male a chi lo assume paga lo Stato. La multinazionale risponde soltanto dei difetti di fabbricazione. Infine, se il prodotto non viene consegnato per mancato ottenimento dell’autorizzazione all’immissione al commercio e di prove cliniche positive, è ancora il Ministero a pagare. Il forfait è di 24 milioni di euro netti.

Il contratto tra la casa farmaceutica e il governo italiano per fronteggiare l’eventuale pandemia del virus H1N1 non è più un segreto. Lo pubblica il sito del mensile Altreconomia, proprio adesso che Ferruccio Fazio, ministro della salute, in un’interrogazione ha annunciato che ha annullato metà delle dosi che avrebbe dovuto ricevere dalla Sanofi, cioè 24 milioni.

Fino ad oggi non si avevano idee chiare sul numero delle dosi di siero vaccinale acquistate dalla Novartis, sui tempi di consegna, sui prezzi. L’unica cosa nota dell’accordo con la multinazionale era che la Corte dei conti aveva ‘bacchettato’ il governo perché colpevole di aver accettato clausole troppo favorevoli all’azienda. Fra queste l’assenza di penali, l’acquisizione da parte del ministero dei rischi e il risarcimento alla multinazionale per eventuali perdite.

Il contratto è stato firmato il 21 agosto 2009 tra il direttore generale del ministero, Fabrizio Oleari, e l’amministratore delegato di Novartis Vaccines, Francesco Gulli. Nel testo si regolamenta l’acquisto diretto di 24 milioni di dosi di vaccino. Costo: 184 milioni di euro, iva inclusa. Di queste sono state prodotte e consegnate dieci milioni di dosi. Mentre quelle usate sono quasi 900 mila. Il contratto si può leggere e scaricare, sebbene ci sia la presenza di omissis.

Nell’articolo 1 si stabilisce che Novartis è obbligata a produrre e a rispettare il contratto ma solo fino a quando ciò sia ‘ragionevole’. Dove per ‘sforzi commercialmente ragionevoli’ si intende che l’azienda si impegna ad adempiere all’incarico ma che laddove intervengano ‘fattori esulanti dal pieno controllo della Novartis’ l’accordo decade, e lo Stato paga lo stesso [art.3.1]. Tra questi: “La disponibilità di uova e di altri materiali e il successo delle sperimentazioni cliniche necessarie a convalidare le caratteristiche di sicurezza e immunogenicità del prodotto”.

La confezione? Decide l’azienda. Ancora, il ministero non è autorizzato ad apportare modifiche alla confezione né a oscurare marchi su di essa. Alterare, oscurare, rimuovere o manomettere il marchio commerciale.

La consegna e la spedizione. La multinazionale – si legge nell’articolo 3 – si impegna a consegnare entro una data concordata il vaccino, ma qualora non sia in grado di consegnare il prodotto basta una comunicazione al Ministero sette giorni prima della scadenza, per ottenere un rinvio concordato tra le parti. E se il ministero si dovesse trovare impossibilitato a ritirare il prodotto Novartis potrà rivenderlo ad altri clienti o fatturare al ministero quanto non ritirato, con la possibilità di rivenderlo comunque dopo 90 giorni.

Articolo 4: garanzie e indennizzi. E se dall’assunzione del vaccino deriva un danno alla salute? L’azienda non è responsabile. Si legge nell’articolo 4.6: “Il Ministero è tenuto a indennizzare, manlevare e tenere indenne Novartis da qualsiasi perdita che l’azienda sia tenuta a risarcire in conseguenza di danni a persone e cose causati dal prodotto”. In altre parole se il vaccino è dannoso paga lo Stato. La multinazionale risponde soltanto dei difetti di fabbricazione.

Prezzo. Il prezzo per ciascuna dose di vaccino è pari a 7 euro. Totale: 168 milioni di euro più iva. Il ministero dovrà pagare entro 60 giorni dall’emissione della fattura, su un conto corrente del Monte dei Paschi di Siena [articolo 5].

Cause di forza maggiore. Ministero e azienda non sono responsabili l’uno nei confronti dell’altra se intervengono cause di forza maggiore. Quelle che limitano le responsabilità di Novartis vengono estese a situazioni che dovrebbero invece essere garantite da Novartis, come “epidemie e del

pandemie”, “atti di qualsiasi autorità pubblica”, “atti di enti sopranazionali”, come per esempio l’Oms [art. 8.3].

Durata e risoluzione [9.3]. Nel caso in cui il vaccino non possa essere consegnato per mancato ottenimento dell’autorizzazione all’immissione al commercio e di prove cliniche positive, il ministero paga Novartis con un forfait: 24 milioni di euro netti. E per chiudere, nell’articolo dieci, le parti si impegnano a mantenere assoluto riserbo sulle informazioni riservate.”[Adele Sarno, Vaccino per il virus H1N1, Novartis-Governo Ecco il contratto segreto, Adele Sarno, la Repubblica, 15 gennaio 2010, https://www.repubblica.it/salute/medicina/2010/01/15/news/vaccino_per_il_virus_h1n1_novartis-governo_ecco_il_contratto_segreto-5584674/].

 

La truffa dell’H1N1: più di 23 milioni di dosi inutilizzate
Gli spot del Governo e la strana prelazione di Sirchia alla Novartis

Il Governo Berlusconi ha buttato via 184 milioni di euro. La Novartis ha incassato un miliardo di euro.

Il Ministero della Salute ha sottoscritto un contratto con Novartis che definire sbilanciato a favore della multinazionale svizzera è poco, ma questo lo vedremo dopo aver puntato i riflettori su un altro fatto. Girolamo Sirchia – condannato in primo grado a 3 anni per aver intascato tangenti, carcere scampato grazie all’indulto, sospeso per 5 anni dai pubblici uffici – nel 2004 quando era ministro della sanità nel secondo Governo Berlusconi, a trattativa privata [cioè senza gara pubblica] ha versato a Novartis 3 milioni di euro per avere diritto alla prelazione sull’eventuale produzione di vaccini in caso di pandemia. Ed è arrivata l’influenza H1N1.

“Costruita” la pandemia, il Governo Berlusconi ha acquistato il vaccino dalla Novartis con un contratto che per le sue clausole previste è stato tenuto segreto, come “denuncia” la Corte dei Conti. 24 milioni di dosi per un costo di 184 milioni di euro da pagare anticipatamente con l’impegno da parte del Governo di accollarsi la responsabilità di eventuali effetti collaterali e del pagamento nel caso di danni a terzi per motivi che non fossero attribuibili a difetti di fabbricazione.

A conti fatti i vaccini ritirati e distribuiti alle ASL sono stati pari al valore di 10 milioni contro i 184 pagati. E ne sono stati inoculati solo 865 mila. Il resto? Finiranno al macero visto che scadranno tra poco. Risultato: spreco enorme di soldi pubblici di cui nessuno risponderà. Morale: i cittadini sono stati ingannati 3 volte in un colpo solo.

La prima quando l’allora viceministro e oggi ministro della salute, Ferruccio Fazio, ripeteva che eravamo di fronte a una pandemia mortale di dimensioni inimmaginabili creando tra la popolazione il panico.

Il secondo quando presi dall’ansia i cittadini si sono recati nei presidi ospedalieri per essere vaccinati e hanno scoperto che dovevano firmare il consenso informato in quanto il vaccino non aveva superato tutti i test obbligatori per essere immesso in commercio.

La terza quando hanno scoperto che lo Stato, cioè loro, aveva acquistato 24 milioni di dosi per 184 milioni di euro e ne aveva utilizzate 865 mila per 10 milioni di euro.

Tutt’altro esempio arriva invece dalla Polonia dove il primo ministro, Donald Tusk ha accusato le case farmaceutiche di voler scaricare la responsabilità per eventuali effetti collaterali in quanto il vaccino non era stato sufficientemente testato. E il ministro della salute, il medico Ewa Kopacz, ha rincarato la dose aggiungendo che se le aziende produttrici non accettavano di assumersi la responsabilità legale per ogni caso di persona danneggiata i vaccini non erano acquistabili.

Stessa cosa ha fatto la Finlandia decidendo che chi voleva vaccinarsi poteva farlo a proprie spese e a proprio rischio e pericolo perché lo Stato non avrebbe né finanziato né distribuito quel vaccino.

In Italia invece sono stati buttati via 184 milioni di euro nonostante il parere contrario di moltissimi farmacologi – compreso quello del direttore dell’Istituto di ricerca “Mario Negri” di Milano, Garattini [https://tg24.sky.it/cronaca/2009/10/21/garattini_inutile_allarmismo_sul_virus_n1h1, https://cgiltoscana.it/influenza-a-garattini-non-si-capisce-tanto-chiasso/, http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/2009/11/03/Cronaca/INFLUENZA-A-GARATTINI-ONLINE-SOLO-VACCINI-E-TEST-FASULLI_125046.php, http://www.terranauta.it/a1319/salute_e_alimentazione/influenza_suina_garattini_su_vaccino_pressione_delle_aziende.html], secondo cui la corsa al vaccino si spiega con “la grande pressione delle industrie che ne avrebbero tratto forti guadagni” – che si trattava di un virus “dalla mite virulenza” e acquistare il vaccino non sarebbe stato “un grande affare”.

Per i cittadini ma non per la Novartis, ovviamente. A questo si aggiunge che il vaccino, non casualmente a esclusione di quello americano, contiene lo squalene che secondo una ricerca condotta alla Tulane Medical School sui veterani della Guerra del Golfo vaccinati per l’antrace con un vaccino contenente l’immuno-coadiuvante MF59 [contenente lo squalene] ha dimostrato che “il 95% che ha sviluppato la Gulf War Syndrome, che ha causato migliaia di morti, aveva anticorpi verso lo squalene”.

Ma sulla decisione del nostro Governo pesa anche l’ombra del conflitto di interessi che è stato solo apparentemente risolto con la nomina di Fazio ministro della salute, ruolo ricoperto da Maurizio Sacconi la cui moglie Enrica Giorgetti è direttrice generale di Farmindustria.

Certo la Novartis che ha prodotto il vaccino non è un’azienda italiana. Ma come si può ignorare che Farmindustria aderisce in ambito internazionale alla Federazione europea [EFPIA] e a quella mondiale [FIIM-IFPMA]? Oltre al fatto che il ministero della Salute, attraverso la AIFA [Agenzia Italiana Farmaci], stabilisce i prezzi dei farmaci, quali ritirare dal commercio e quali no. Ha il controllo su Farmindustria [che riunisce oltre 200 imprese del farmaco operanti in Italia, nazionali e a capitale estero] rispetto all’avviamento dell’impresa, alla natura degli stabilimenti, ai prodotti, all’immissione in commercio e alla presentazione del prodotto [etichetta, foglio illustrativo e pubblicità] ecc.

Conflitto denunciato da Antefatto.it?, ignorato dai media e descritto dalla britannica Nature, una delle più antiche e prestigiose riviste scientifiche nell’articolo “Clean hands, please” [Mani pulite, per favore] in cui si legge: “Per di più le connessioni tra i Ministeri della Sanità e del Welfare con il sistema industriale sono sgradevolmente strette: per esempio la moglie del ministro Maurizio Sacconi è direttrice generale di Farmindustria, l’associazione che promuove gli interessi delle aziende farmaceutiche”.

Sandra Amurri, Vaccino, che grande imbroglio, il Fatto Quotidiano, 18 Gennaio 2010 [https://www.ilfattoquotidiano.it/2010/01/18/vaccino-che-grande-imbroglio/12851/amp/?fbclid=IwAR36sSWz1fb55wJnWCz3-7FyRWOmt79AAoc51dYYdiZ-v1HoIF_4lKxB19g]

 

 “La pandemia fugge. I costi dei vaccini restano. 24 milioni di dosi acquistate dall’Italia contro il virus H1N1 al prezzo di 184 milioni di euro, 10 milioni di dosi ritirate dalle fabbriche e distribuite alle ASL, 865mila effettivamente inoculate. La stragrande maggioranza delle confezioni resta stoccata nelle farmacie delle ASL, nei centri vaccinali dei distretti o negli studi dei medici di famiglia. Un viaggio tra le aziende sanitarie italiane parla di frigoriferi pieni [i vaccini vanno conservati a 4 gradi pena la loro degradazione] e di scetticismo fra i cittadini al centro della campagna di immunizzazione. Oltre 20 milioni di persone rientrano tra la “popolazione eleggibile” da vaccinare secondo il Ministero, ma solo 827mila hanno porto il braccio alla siringa, con una proporzione del 3,99%. E se l’Italia ha già deciso di donare il 10% delle proprie dosi [2,4 milioni] all’OMS perché le distribuisca ai Paesi poveri, la gran parte delle boccette sembra avviata alla scadenza, prevista 12 mesi dopo la data di produzione e quindi a scaglioni tra settembre e dicembre 2010. A quel punto, non resterà altro da fare che buttarle.

Ma per la Novartis che ha stipulato il contratto con il Ministero della Salute l’incasso sarà pieno lo stesso. I 184 milioni pattuiti nel contratto del 21 agosto 2009 [quando la pandemia colpiva soprattutto le Americhe e non aveva ancora raggiunto l’Italia] saranno versati in toto anche se i vaccini consegnati sono meno della metà di quelli concordati. Nel contratto infatti non esiste una clausola di riduzione a favore del Ministero. E se ieri il Codacon ha annunciato una class action a nome dei 60 milioni di utenti del sistema sanitario italiano, anche la Corte dei Conti ha avviato una procedura di controllo sul “decreto direttoriale del 27 agosto 2009 concernente l’approvazione del contratto di fornitura di dosi di vaccini antinfluenzale A[H1N1] stipulato tra il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e la Novartis Vaccines and Diagnostics s. r. l.”.

Il Codacons chiede la risoluzione del contratto con l’industria farmaceutica [“Uno spreco immane vista la scarsa adesione alla vaccinazione”] e il rimborso ai cittadini dei 184 milioni di euro spesi. In caso di vittoria, a ognuno dei 60 milioni di utenti del sistema sanitario andrebbero 3 euro. “Oltre – prosegue il Codacons – a 50 euro di risarcimento simbolico per ogni iscritto”. La Corte dei Conti entra nel dettaglio delle clausole del contratto con Novartis. E si chiede perché “l’articolo 3.1 [ribadito dall’articolo 5.3] prevede la possibilità del mancato rispetto delle date di consegna del Prodotto, senza l’applicazione di alcuna penalità”. O perché “l’articolo 9.3 prevede il pagamento alla Novartis di euro 24.080.000 [al netto di IVA] ai fini della partecipazione ai costi in caso di non ottenimento dell’autorizzazione all’immissione in commercio del Prodotto”. Per fortuna il vaccino ha superato i test dell’EMEA, l’ente europeo incaricato dei controlli di sicurezza. Ma se qualcosa fosse andato storto, il Ministero avrebbe comunque dovuto pagare 24 milioni per un farmaco inutilizzabile.

La contestazione dei giudici di viale Mazzini riguarda poi la segretezza del contratto: “L’articolo 10.2 considera Informazioni Riservate anche l’esistenza del contratto e le disposizioni in esso contenute, clausola – in considerazione dell’evidenza pubblica della procedura – impossibile da rispettare”. E infine, ipotesi che per fortuna non si è verificata ma che avrebbe potuto comportare un salasso per lo Stato, il contratto prevede che gli eventuali effetti collaterali del vaccino sui pazienti siano a carico del Ministero e non come di solito avviene dell’azienda farmaceutica. “L’articolo 4.5 – contesta la Corte – prevede rimborsi al Ministero per danni causati a terzi, limitatamente a causa di difetti di fabbricazione, mentre ai sensi dell’articolo 4.6 il Ministero dovrà risarcire Novartis per danni causati a terzi in tutti gli altri casi”.

Clausole così squilibrate sono state dettate dalla fretta. Ma sul perché di una spesa tanto elevata a fronte di una campagna di vaccinazione mai decollata, il Ministero interrogato ieri si trincerava ancora dietro al no comment. Dalle università alcuni virologi provano a spiegarci cosa è successo, e il perché di tanta sproporzione. “Ora sappiamo che H1N1 è un virus blando. Ma all’inizio della pandemia avevamo ancora fresco il ricordo dell’aviaria, che ha una mortalità intorno al 50%” spiega Giovanni Di Perri, direttore di malattie infettive all’Amedeo Savoia di Torino. “L’influenza mette sempre in difficoltà chi deve fare previsioni. I modelli possono saltare, i virus ci sorprendono spesso” fa notare Pietro Crovari, professore emerito di igiene e medicina preventiva all’Università di Genova. E Guido Antonelli, virologo della Sapienza a Roma, non esclude che l’anno prossimo il virus H1N1 venga incluso nella normale vaccinazione stagionale: “All’inizio di ogni anno l’OMS decide contro quali virus influenzali il vaccino stagionale debba essere rivolto. Può darsi che il prossimo inverno ci ritroveremo H1N1 fra i tre ceppi del normale vaccino stagionale”.
Anche se la campagna vaccinale di quest’inverno non è ancora finita e il Ministero della Salute mette in guardia contro una possibile seconda ondata pandemica, i dati sulla copertura dei vaccini sono davvero bassi. Il personale sanitario cui era stata consigliata l’immunizzazione comprende poco più di un milione di persone: neanche 70mila si sono vaccinati [il 15,1%]. Agenti di pubblica sicurezza e operatori dei servizi essenziali non arrivano al 6% [6mila su 723mila]. Tra i donatori di sangue addirittura il dato si ferma allo 0,83%. Nelle ultime settimane alcune ASL hanno esteso la campagna di vaccinazione anche agli over 65 con patologie croniche. Ma neanche loro sembrano troppo convinti, e la partecipazione resta ferma all’1,5%. Più che vaccinazioni, ormai, sembrano saldi di fine stagione.

Elena Dusi, Ecco quanto ci è costato il flop del vaccino, la Repubblica, 16 gennaio 2010 [https://www.repubblica.it/cronaca/2010/01/16/news/vaccino_virus_a-1966773/].

 

Nel luglio del 2010, il Governo Berlusconi IV ammise che circa 8 milioni di dosi su 12 milioni, sarebbero state gettate. Non solo, altre 12 milioni acquistate, ma non ritirate, sarebbero state a carico dello Stato per via di un contratto capestro firmato dall’allora Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Maurizio Sacconi, con la Novartis.

Come sovente accade, un disastro per le finanze pubbliche un affare per poche multinazionali!

 

“È ufficiale, l’emergenza per la febbre “suina”, il Virus A, H1N1, che ha sconvolto il mondo lo scorso inverno, è finita. Lo ha proclamato l’Organizzazione mondiale della sanità con una dichiarazione formale della sua direttrice Margaret Chan, lo scorso 10 agosto. Non ci sono stati sfracelli, i morti sono stati molto meno di una banale influenza ma le società farmaceutiche globali hanno guadagnato un sacco di soldi dalla realizzazione di un vaccino che si è rivelato poi inutile. Forse perché quelle società hanno dentro la stessa Oms più di qualche sponda. Non siamo noi sospettosi a denunciarlo ma lo ammette la stessa Oms che l’11 agosto ha pubblicato la lista completa dei componenti il suo Comitato d’urgenza; lista dalla quale emergono, comprovate, i legami fortissimi con l’industria farmaceutica.

Il Comitato di Urgenza è composto da 16 nomi che possono essere consultati sul sito ufficiale dell’OMS. Di questi, solo sei hanno pubblicato, sullo stesso sito, la “dichiarazione di interesse”, cioè una scheda in cui vengono riportati curriculum e eventuali conflitti di interesse. Benché, in calce alla dichiarazione, la stessa Oms precisi che non si riscontrano “conflitti particolari” e che comunque questi legami erano stati resi noti agli altri membri del Comitato, quello che si legge desta più di un’inquietudine.

La Dottoressa Nancy Cox riceve regolarmente “supporto finanziario” per la sua attività di ricerca direttamente dalla Ifpma, cioè l’associazione internazionale delle industrie farmaceutiche. Il professor Arnold Monto ha svolto consulenze proprio nel campo delle influenze pandemiche e/o stagionali per Gsk, Novartis, Roche, Baxter and Sanofi. cioè le principali società produttrici di vaccino. Il Dottor John Wood ha avuto contratti per le sue ricerche in Inghilterra con Sanofi, Csl, Ifpma e Novartis. Ancora in Gran Bretagna, la Professoressa Maria Zambon riceve fondi dalle industrie produttrici di vaccino come Sanofi, Novartis, CSL, Baxter and GSK. Consulenze sempre per Roche e Gsk, infine, da parte del professor Neil Morris Ferguson. Solo uno dei sei ha dichiarato di aver collaborato solo con le associazioni del trasporto aereo, mentre gli altri dieci “saggi” – tra cui non figurano italiani – non hanno rilasciato dichiarazioni di “interesse”.

L’influenza A ha provocato nel mondo 18500 decessi contro i 250-500 mila attribuibili ogni anno all’influenza stagionale. Un rapporto incredibile che non giustifica in nessun modo l’allarme lanciato lo scorso anno e che spinse i governi a stanziare circa 10 miliardi di euro, finiti nelle casse delle grandi case farmaceutiche, per la produzione di vaccini che oggi, spiega ancora l’Oms, «non servono più a niente». L’Italia stanziò circa 400 milioni di euro assicurandosi 48 milioni di dosi. Lo scorso luglio il governo ha ammesso che circa 8 milioni di dosi, su 12, sarebbero state gettate. Non solo, altre 12 milioni acquistate ma non ritirate saranno a carico dello Stato per via di un contratto capestro firmato dal ministero della Sanità con la Novartis. Da ricordare che lo scorso anno il ministro della Salute era Maurizio Sacconi la cui moglie è direttrice di Farmindustria. Un conflitto di interessi che allora non colpì a sufficienza e che forse andrebbe meglio indagato.

Negli Usa sono stati già gettati via 40 milioni di dosi per una perdita di 260 milioni di euro. Come spesso capita, un disastro per le finanze pubbliche un affari per poche multinazionali.

[Salvatore Cannavò, Virus A, gli esperti dell’Oms sul libro di BigPharma, il Fatto Quotidiano, 14 agosto 2010, https://www.ilfattoquotidiano.it/2010/08/14/virus-a-gli-esperti-delloms-sul-libro-di-bigpharma/50399/]

 

Come spiegava il Professor Silvio Garattini:

“L’acquisto di questi vaccini sarà una spesa non indifferente per le già malandate casse dello Stato, e addirittura probabilmente inutile. Se il virus A/H1N1 della nuova influenza non muterà, acquisendo dunque una maggiore virulenza rispetto allo stato attuale, la vaccinazione di massa annunciata dal Governo italiano e da quelli di molti altri Paesi non è necessaria. Esiste, certamente una grande pressione da parte delle industrie, che da tale corsa trarranno molte risorse economiche.

Il 5 ottobre 2010, l’allora Direttore Generale della Direzione Generale per la Salute e la Sicurezza Alimentare della Commissione Europea, Paola Testori Coggi [https://www.politico.eu/article/commission-accepts-resignation-of-senior-official-2/], suggerì, durante una audizione sul tema H1N1 in Commissione Sanità [ENVI] del Parlamento Europeo, che, in occasione di pandemie future, la Commissione Europea avrebbe dovuto decidere su una base giuridica forte e vincolante, come per gli animali, che vanno vaccinati:

“Do you know that for animals, not for humans, for animals, it is the Commission who decides the vaccination strategies, who has the vaccine, who buys the vaccine, who identifies which part of Europeans are to be vaccinated, how many animals have to be vaccinated. We have this. It’s not contested. Member states follow because there is a strong legal basis and there is, you know years and years. So, I think, in area of public health, we are at the beginning, we will start but there will be a moment when we will arrive there.” [http://www.europarl.europa.eu/wps-europarl-internet/frd/vod/player?eventCode=20101005-0900-COMMITTEEENVI&language=fr&byLeftMenu=researchcommittee&category=COMMITTEE&format=wmv#anchor1, https://www.mondialisation.ca/audition-du-5-octobre-au-parlement-europ-en-sur-le-h1n1-les-masques-sont-tomb-s/21643, http://initiativecitoyenne.be/article-ue-l-achat-groupe-de-vaccins-devient-une-realite-mais-c-est-une-tres-mauvaise-nouvelle-124004602.html, http://initiativecitoyenne.be/article-audition-du-5-octobre-au-parlement-europeen-sur-le-h1n1-les-masques-sont-tombes-59638981.html, https://ec.europa.eu/health/documents/community-register/2010/2010102588768/dec_88768_it.pdf,]

L’allora direttore generale della Direzione Generale per la Salute della Commissione Europea, chiedeva che gli umani dovessero essere vaccinati come animali…

Come siamo arrivati a questo punto?

Come sempre per gradi…

Mentre in Italia il fatto non era tale da guadagnarsi le prime pagine dei giornali e le aperture dei telegiornali e, di conseguenza, di non suscitare l’indignazione di cittadini non informati, all’estero non è così. In un articolo del 6 agosto 2008, dal titolo Clean hands, please, Nature, una delle più antiche ed importanti riviste scientifiche, ricorda – diversamente da quanto accade nel nostro Paese, dove la Memoria viene considerata ingombrante! – che gli scandali nel nostro Paese hanno origini lontane:

The Italian Government needs to maintain a careful distance from industry.

Fifteen years ago, at the height of Italy’s “Clean Hands” anticorruption campaign, police broke into the house of Duilio Poggiolini, head of the national committee for drug registration, and discovered gold bullion under his floorboards. For many Italians, the image of that gleaming bullion still resonates — an enduring symbol of a time when Government officials, up to and including the health minister, routinely took bribes from the pharmaceutical industry to approve drugs and fix their prices.

Steps were taken to avoid such a situation arising again. So it is worrying that Nello Martini, a pharmacist with no political associations, has been removed by Prime Minister Silvio Berlusconi’s new Government as head of AIFA, the autonomous agency created in 2004 to register drugs and supervise their use. Martini successfully carried out a mandate to limit spiralling drug expenditure to 13% of the total health budget. But in the process he incurred the wrath of industry. Only a few weeks ago, Government prosecutors in Turin charged Martini with disastro colposo, or “causing unintentional disaster”, for bureaucratic delays in updating the packaging information on the side effects of a few drugs — although none required more than minor rewording of existing text.

Martini was replaced in the middle of July by microbiologist Guido Rasi, a member of AIFA’s administrative board, who has been described in the Italian press as being close to the far-right party Alleanza Nazionale, which forms part of Berlusconi’s coalition Government. Even more worryingly, the Government, which took office in May, says it plans to reduce AIFA’s power by separating the pricing of drugs from technical considerations of their efficacy, bringing pricing back into the health and welfare ministry.

At a time when all countries are struggling to find a way to pay for hugely expensive new-generation drugs within limited budgets, this makes little sense. The autonomous agency needs to be able to integrate all technical and economic information if Italy is to operate a cost-effective health system. Moreover, the health and welfare ministry’s connections with industry are uncomfortably close. For example, the wife of the minister Maurizio Sacconi is the director-general of Farmindustria, the association that promotes the interests of the pharmaceutical industry.

In fact, Berlusconi’s Government has shown unsettling tendencies to allow industrial interests to gain influence over state agencies. A few weeks after Martini’s dismissal, the Italian space agency was put into the hands of a commissioner who heads the space division of the aerospace giant Finmeccanica. The Government should think twice about whether it really wants to open the door that was deliberately closed after the Poggiolini affair.”[Clean hands, please, Nature, 6 agosto 2008 [https://www.nature.com/articles/454667b, https://www.ilblogdellestelle.it/2008/09/le_mani_sulla_salute.htm].

 

Il 10 aprile 2014, la Cochrane Collaboration pubblicava sul British Medical Journal “la revisione sistematica più solida e più completa sugli inibitori della neuraminidasi” [http://www.gestionerischio.asl3.liguria.it/pdf/Cochrane%20review%20Tamiflu%20e%20Relenza%20il%20quadro%20completo%20delle%20evidenze.pdf].

Il suo verdetto era senza appello:

“Il Tamif riduce di mezza giornata la durata dei sintomi influenzali, ma non ci sono prove convincenti secondo cui permetta di ridurre le ospedalizzazioni o le complicanze.”

Di conseguenza, il quotidiano britannico The Guardian aveva fatto dei calcoli riguardo agli effetti collaterali:

“Se si dà il Tamiflu a un milione di persone, 45mila vomiteranno, 31mila avranno mal di testa e 11mila disturbi psichiatrici.”,

e aveva aggiunto con il tipico senso dello humour inglese:

“E ricordatevi, che ne avevamo immagazzinato per l’80% della popolazione. Ciò che rappresenterebbe un bel po’ di vomito.”

 

Morale, triste morale, per ricordare cosa è avvenuto, e per apprendere cosa avviene in Italia, dobbiamo leggere la Stampa estera!

 

L’8 aprile 2021, la Corte Europea dei Diritti Umani, riunita nella Grande Camera, nell’esaminare la controversia che vedeva opposti diversi genitori e la Repubblica Ceca sulla legge che prevede l’obbligo di sottoporre i bambini a vaccinazione contro 9 malattie, quali Difterite, Morbillo, Parotite, Pertosse, Poliomielite, Rosolia, Tetano, Haemophilus Influenza, Epatite B, pena l’esclusione dalla scuola materna e una multa per i genitori, ha stabilito che la legge sui vaccini obbligatori per i bambini in Repubblica Ceca non costituisce una violazione dei diritti umani, in quanto l’obiettivo della norma è che “ogni bambino venga protetto dalle malattie infettive gravi, attraverso la vaccinazione e l’immunità di gregge” e le le misure adottate dalla Repubblica Ceca per quanto concerne la vaccinazione obbligatoria dei bambini possono essere considerate come “necessarie in una società democratica” [https://www.quotidianogiuridico.it/documents/2021/04/13/la-corte-di-strasburgo-decide-sulla-vaccinazione-infantile-obbligatoria-non-e-violazione-della-cedu#].

Da qui a pensare che la Corte Europea dei Diritti Umani avesse invitato, dalla sua sede di Strasburgo, a rendere obbligatoria in Europa la vaccinazione contro la Covid-19, è stato un attimo, felicemente colto da alcuni media, che non hanno esitato a titolare:

“La CEDU ritiene che la vaccinazione obbligatoria sia necessaria in una società democratica.” [Corte Strasburgo, sentenza storica: obbligo vaccini necessario, In una sentenza che passerà alla storia, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che le vaccinazioni obbligatorie possono essere considerate necessarie nelle società democratiche, Il Giornale, 8 Aprile 2021, https://www.ilgiornale.it/news/mondo/corte-strasburgo-sentenza-storica-obbligo-vaccini-necessario-1937172.html]. È ciò che accade quando per prestare troppa attenzione al contesto che circonda il caso si corre il rischio di perdere i principali contributi di questa sentenza. Pronunciandosi sul caso “ceco” in cui si discuteva della legittimità della decisione delle autorità della Repubblica Ceca che avevano, in un caso sanzionato con una multa il genitore di un minore e, negli altri, vietato alle famiglie l’accesso alla scuola per non aver sottoposto i propri figli minori alla vaccinazione obbligatoria, la Grande Camera della Corte Europea dei Diritti Umani aveva, con maggioranza schiacciante [16 voti contro 1], escluso che la previsione della vaccinazione infantile obbligatoria, imposta dalle autorità ceche, fosse contraria all’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani: diritto al rispetto della vita privata e familiare. L’obbligo del vaccino non è il modello dominante in Europa. La Repubblica Ceca è uno di quei rari Stati europei, quali l’Italia [la normativa vigente prevede l’obbligo di somministrazione, nella fascia di età 0-16 anni, di 10 vaccini obbligatori,  https://www.enfeasalute.it/vaccinazioni-obbligatorie-facoltative-bambini/], la Francia, la Polonia e la Slovacchia, ad aver adottato l’obbligo legale di vaccinare i bambini contro 9 malattie ben note alla scienza medica.  Sono 15 i Paesi europei che non ne hanno alcuna obbligatoria: Austria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Irlanda, Islanda, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Portogallo, Spagna, Svezia, Regno Unito [https://www.ilsole24ore.com/art/vaccini-obbligatori-come-funziona-europa-francia-sono-undici-AE0uqRYF]. Il rispetto dell’obbligo non può essere imposto fisicamente. Il genitore che non adempie a tale obbligo, senza un valido motivo, incorre in una multa di 400 euro. I bambini non vaccinati non sono ammessi negli asili nido [fatta eccezione per coloro che non possono essere vaccinati per motivi di salute]. Nella fattispecie, il primo ricorrente era stato multato per mancato rispetto dell’obbligo di vaccinazione in relazione ai suoi due figli. A tutti gli altri ricorrenti era stata negata l’ammissione dei figli alla scuola materna per la stessa ragione. La Corte Europea dei Diritti Umani non ha convalidato, dunque, in alcun modo la vaccinazione obbligatoria. La Corte Europea dei Diritti Umani aveva sottolineato, infatti, che, in base alla sua giurisprudenza, la vaccinazione obbligatoria, in quanto intervento medico volontario, rappresenta un’interferenza con l’integrità fisica e riguarda, quindi, il diritto al rispetto della vita privata, tutelato dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Le malattie prese in considerazione sono, per usare le parole della Corte e del Governo ceco, “9 malattie ben note alla medicina”. La Corte ha insistito sulla necessità per lo Stato che ricorre all’obbligo di vaccinazione di provare l’innocuità e l’efficacia della vaccinazione dei bambini, come richiesto dal pieno rispetto dell’interesse superiore del bambino. È solo attraverso il prisma di tutte queste considerazioni che la Corte stabiliva che:

“[Lo Stato] non ha superato il [suo] margine di apprezzamento e quindi le misure contestate possono essere considerate necessarie in una società democratica.”

Da un punto di vista giuridico, la trasposizione della logica del Tribunale di una “vaccinazione obbligatoria compatibile con una società democratica” alla vaccinazione contro la Covid-19 sembra tanto più distante in quanto la CEDU aveva insistito sull’idea che le nove malattie in questione erano “particolarmente ben note alla medicina”. Siamo d’accordo che questo non sia il caso della Covid-19, di cui scopriamo ogni giorno nuove caratteristiche. La CEDU aveva proposto un green pass di libera circolazione che non è un certificato di vaccinazione, in quanto la vaccinazione non è disponibile per l’intera popolazione e, quindi, non può costituire una condizione per la libera circolazione in Europa, ma un certificato che attesta la vaccinazione o qualsiasi altra forma di immunità o non contagio per consentire ai cittadini europei di accelerare il valico di frontiera.

Introdotto per la prima volta con il Decreto Legge 22 aprile 2021, n. 52 [https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/04/22/21G00064/sg], il Green Pass diveniva, in Italia, necessario per svolgere la quasi totalità delle attività.

“Altro risultato è che si è esteso il green pass a tutto il mondo dei fruitori dei servizi, pubblici e privati. Per andare in banca, dal notaio, alle Poste, all’INPS o all’INAIL occorrerà avere il green pass, quasi dappertutto, tranne che per andare a comprare pane e formaggio, vale a dire il cibo. È un risultato che spingerà fortissimamente alla vaccinazione delle quote di popolazione che finora non si è vaccinata.” [https://www.lastampa.it/speciale/cronaca/speciale-coronavirus/2022/01/06/video/obbligo_vaccinale_e_green_pass_brunetta_nessuna_spaccatura_nella_maggioranza_-2725412/]

dichiarava, il 5 gennaio scorso, il Mministro per la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, al termine del Consiglio dei Ministri, parlando con i giornalisti davanti a Palazzo Chigi [https://www.lapresse.it/ultima-ora/2022/01/05/covid-brunetta-green-pass-per-servizi-spinta-fortissima-vaccini/].

 

L’8 dicembre 2021, a Ginevra, in un videomessaggio l’Alto Commissario dell’ONU per  i Diritti Umani, Michelle Bachelet, aveva ammonito:

“Vaccine mandates must comply with the principles of legality, necessity, proportionality and non-discrimination. In no circumstances should people be forcibly administered a vaccine." [https://www.republicworld.com/world-news/rest-of-the-world-news/un-rights-chief-michelle-bachelet-asserts-forced-vaccination-is-not-acceptable.html]

 

Il 6 gennaio scorso,  su N12 News [https://www.mako.co.il/news-columns/2022_q1/Article-dfd99ca599e2e71026.htm], il Professor Ehud Qimron, capo del Dipartimento di Microbiologia e Immunologia dell’Università di Tel Aviv e uno dei principali immunologi israeliani, ha scritto una lettera aperta al Ministero della Sanità israeliano, in cui critica aspramente la gestione israeliana – e globale – della pandemia di Coronavirus.

Ministry of Health, it’s time to admit failure.

In the end, the truth will always be revealed, and the truth about the coronavirus policy is beginning to be revealed. When the destructive concepts collapse one by one, there is nothing left but to tell the experts who led the management of the pandemic – we told you so.

Two years late, you finally realize that a respiratory virus cannot be defeated and that any such attempt is doomed to fail. You do not admit it, because you have admitted almost no mistake in the last two years, but in retrospect, it is clear that you have failed miserably in almost all of your actions, and even the media is already having a hard time covering your shame.

You refused to admit that the infection comes in waves that fade by themselves, despite years of observations and scientific knowledge. You insisted on attributing every decline of a wave solely to your actions, and so through false propaganda “you overcame the plague.” And again you defeated it, and again and again and again.

You refused to admit that mass testing is ineffective, despite your own contingency plans explicitly stating so [“Pandemic Influenza Health System Preparedness Plan, 2007”, p. 26].

You refused to admit that recovery is more protective than a vaccine, despite previous knowledge and observations showing that non-recovered vaccinated people are more likely to be infected than recovered people. You refused to admit that the vaccinated are contagious despite the observations. Based on this, you hoped to achieve herd immunity by vaccination — and you failed in that as well.

You insisted on ignoring the fact that the disease is dozens of times more dangerous for risk groups and older adults, than for young people who are not in risk groups, despite the knowledge that came from China as early as 2020.

You refused to adopt the “Barrington Declaration” [https://childrenshealthdefense.org/defender/kim-iversen-great-barrington-declaration-lockdowns-young-people/], signed by more than 60,000 scientists and medical professionals, or other common sense programs. You chose to ridicule, slander, distort and discredit them. Instead of the right programs and people, you have chosen professionals who lack relevant training for pandemic management [physicists as chief government advisers, veterinarians, security officers, media personnel, and so on].

You have not set up an effective system for reporting side effects from the vaccines and reports on side effects have even been deleted from your Facebook page. Doctors avoid linking side effects to the vaccine, lest you persecute them as you did to some of their colleagues. You have ignored many reports of changes in menstrual intensity and menstrual cycle times. You hid data that allows for objective and proper research [for example, you removed the data on passengers at Ben Gurion Airport]. Instead, you chose to publish non-objective articles together with senior Pfizer executives on the effectiveness and safety of vaccines.

Irreversible damage to trust

However, from the heights of your hubris, you have also ignored the fact that in the end the truth will be revealed. And it begins to be revealed. The truth is that you have brought the public’s trust in you to an unprecedented low, and you have eroded your status as a source of authority. The truth is that you have burned hundreds of billions of shekels to no avail – for publishing intimidation, for ineffective tests, for destructive lockdowns and for disrupting the routine of life in the last two years.

You have destroyed the education of our children and their future. You made children feel guilty, scared, smoke, drink, get addicted, drop out, and quarrel, as school principals around the country attest. You have harmed livelihoods, the economy, human rights, mental health and physical health.

You slandered colleagues who did not surrender to you, you turned the people against each other, divided society and polarized the discourse. You branded, without any scientific basis, people who chose not to get vaccinated as enemies of the public and as spreaders of disease. You promote, in an unprecedented way, a draconian policy of discrimination, denial of rights and selection of people, including children, for their medical choice. A selection that lacks any epidemiological justification.

When you compare the destructive policies you are pursuing with the sane policies of some other countries — you can clearly see that the destruction you have caused has only added victims beyond the vulnerable to the virus. The economy you ruined, the unemployed you caused, and the children whose education you destroyed — they are the surplus victims as a result of your own actions only.

There is currently no medical emergency, but you have been cultivating such a condition for two years now because of lust for power, budgets and control. The only emergency now is that you still set policies and hold huge budgets for propaganda and psychological engineering instead of directing them to strengthen the health care system.

This emergency must stop. [https://www.mako.co.il/news-columns/2022_q1/Article-dfd99ca599e2e71026.htm ,  https://theroanokestar.com/2022/03/30/professor-ehud-qimrons-letter-to-the-israeli-ministry-of-health-its-time-to-admit-failure/]

 

Inaugurando l’Anno Accademico 1883-1884, con un discorso sulla  
Difesa delle società contro le malattie infettive, Giulio Bizzozero, Professore di patologia generale all’Università di Torino, affermò tra l’altro:

“Voi udite, e udrete sempre più parlare di questioni sociali. Ma quando si tratta di bonificare terreni malarici, di costruire spedali, di migliorare le condizioni igieniche dei quartieri operai, allora l’erario è esausto, allora si grida ai quattro venti la necessità di ricorrere a nuove imposte. Ma, al tempo stesso, si trovano e si profondono milioni per rendere più teatralmente pomposa un’incoronazione – come quella, cinque anni prima, del nuovo re Umberto I – o per ricostruire più splendidi i palazzi dei Parlamenti – come quelli romani recentemente restaurati – o per imporre a colpi di cannone il proprio protettorato a popoli – come quello eritreo – che si vogliono sfruttare a beneficio di pochi affaristi.”

Bizzozero fu il maggiore interprete italiano di Rudolf Ludwig Karl Virchow, professore di anatomia patologica all’Università di Berlino e parlamentare del Partito del Progresso Tedesco. Di Virchow, capostipite di quella generazione di medici che, attenti alle questioni sociali, ritennero di dovere svolgere, anche, un’attività politica – e di advocacy [ante litteram] del diritto alla salute – a favore dei gruppi più vulnerabili della Popolazione, è rimasta celebre la seguente affermazione:

“La medicina è una scienza sociale e la politica non è altro che medicina su larga scala.” 

Di fronte alla condizione di miseria, in cui versava la maggioranza della popolazione, criticava l’indifferenza e l’apatia dei governanti, e, nel 1849, mentre imperversava un’epidemia di colera a Berlino, così espresse tutta la sua indignazione:

“Non è chiaro che la nostra battaglia debba essere sociale? Che il nostro compito non è quello di scrivere le istruzioni per proteggere i consumatori di meloni e di salmoni, di dolci e gelati, ossia la borghesia benestante, ma quello di creare istituzioni che proteggano i poveri, coloro che non possono permettersi pane fresco, carne e caldi vestiti? Potrebbero i ricchi durante l’inverno – davanti alle calde stufe e alle torte di mele –  ricordarsi che gli equipaggi delle navi che portano carbone e mele muoiono di colera? È triste constatare che migliaia devono sempre morire in miseria per consentire a poche centinaia di vivere bene.”

Virchow sviluppò la tesi dell’origine multifattoriale delle malattie, sostenendo che erano le condizioni materiali della vita quotidiana degli individui la principale causa di morbilità e di mortalità, pertanto, un efficace sistema sanitario non poteva limitarsi a trattare i disturbi clinici dei pazienti, ma doveva affrontare le radici profonde delle malattie e delle epidemie.

L’oggettività sperimentale assoluta rivendicata e ricercata dalle scienze, che la medicina e la biologia, alla fine del XIX Secolo accettarono con pochi ripensamenti epistemologici e morali, furono il terreno fecondo su cui germogliò la pianta della discriminazione razziale. L’opinione pubblica rimase affascinata da questo messaggio ideologico, ma apparentemente e saldamente scientifico, un messaggio che asseriva come si potesse intervenire sulle persone migliorandole, allo stesso modo di un allevatore nel selezionare mucche da latte o cavalli da corsa. La politica, la filosofia e la religione non contrastarono né disapprovarono queste idee, che sembravano indubitabili, grazie al prestigio che la medicina moderna si stava guadagnando, affrancando l’Umanità da flagelli secolari, quali la sifilide, e da malattie infettive in genere. Quando la Germania nazista iniziò a praticare l’eugenetica, l’esempio costituito dagli Stati Uniti attraverso la sterilizzazione forzata risultò un punto di inizio per un processo che sarebbe giunto, progressivamente, a estendere la gravità dei suoi interventi, passando dalla sterilizzazione dei malati di mente non autosufficienti all’eutanasia degli stessi e di tutti i soggetti che fossero, indipendentemente dall’età, in una condizione di minorità e di non adeguatezza ai criteri di una normalità presunta. Criteri che erano stabiliti da un insieme di medici appositamente selezionati e formati dallo Stato. Nel 1926, in pieno clima di cultura eugenetica e di pulizia etnica che spirava anche in Svizzera, un insegnante di ginnasio, Alfred Siegfried, espulso dall’insegnamento per pedofilia, divenne responsabile della sezione Scolarità Infantile della fondazione Pro Juventute,  un ente a “favore dei giovani” noto per la vendita annuale di francobolli molto ambiti dai filatelici professionisti e dilettanti non solo svizzeri.

“Non solo intere famiglie ma clan di diverse centinaia di individui costituendo una stretta associazione che assume atteggiamenti e modi di vita asociali e amorali li trasmette consapevolmente e intenzionalmente anche alla propria prole. […]

I loro singoli membri possono sembrare abbastanza innocui, le loro trasgressioni possono limitarsi a irregolarità e infrazioni di polizia lievi. Il fatto però che essi si sostengano e si aiutino vicendevolmente conferisce loro una potenzialità pericolosa.”

Il programma Hilfswerk fur die Kinder der Landstrasse [Opera di Assistenza per i Bambini di Strada], finanziato da privati e istituzioni proseguì fino al 1972, con l’intento di “sradicare il male del nomadismo, fin dall’infanzia, attraverso misure educative sistematiche e coerenti”, consistenti innanzitutto nel sottrarre i bambini ai loro genitori e nel sterilizzare forzatamente i loro genitori. in sostanza un programma di pulizia etnica, camuffato da scolarità infantile, sostenuto dal Governo elvetico. Molti bambini venivano affidati ai contadini, le bambine, si ritrovarono recluse in cliniche psichiatriche o in prigione, dove subirono maltrattamenti, violenze terapeutiche, come l’elettroshock, e abusi sessuali.

Erano 35mila i jenisches, ne rimasero 5mila.

n Europa 500mila zingari sono stati sterminati durante la Seconda Guerra Mondiale.

Dal 1938, per formale richiesta della Svizzera, sui passaporti dei cittadini tedeschi di  “razza non ariana” erano stati apposti timbri distintivi. Gli ebrei avevano una J, gli zingari una Z. Le stesse lettere che venivano tatuate sul braccio prima del numero di identificazione nei campi di sterminio.

A Milano un liceo classico e scientifico è intitolato ad Alexis Carrel. Carrel fu un grande pioniere della chirurgia, inventò brillanti tecniche di sutura dei vasi sanguigni, la tecnica odierna dei trapianti gli deve molto. Alla nascita del Governo Vichy nel 1940, Carrel accettò l’invito del maresciallo Pétain di dirigere la Fondazione Carrel per lo studio dei problemi umani, che, in pratica, si occupava di selezioni razziali. Ammiratore di Adolf Hitler e Benito Mussolini, pubblicò in America, nel 1935, Un uomo, questo sconosciuto. Nel suo farneticante libro scrive:

“Rimane poi il problema insoluto dell’immensa folla dei deficienti e dei criminali, che pesano interamente sulla popolazione sana: le spese per le prigioni e per i manicomi, per la protezione del pubblico dai banditi e dai pazzi sono diventate gigantesche. Le Nazioni civili stanno compiendo inutili sforzi per la conservazione di essere inutili e nocivi, e così gli anormali impediscono il progresso dei normali.”

Nel corso degli Anni Ottanta e Novanta, quando furono rese disponibili nuove procedure tecnologiche di riproduzione assistita, come la surrogazione di maternità [disponibile dal 1985], la diagnosi genetica pre-implantazione [disponibile dal 1989] e il trasferimento citoplasmatico [eseguito per la prima volta nel 1996] si temette un eventuale rinnovarsi delle idee e pratiche eugenetiche, con l’emersione eclatante dell’ampliamento del divario tra ricchi e poveri del mondo.

Una domanda che spesso ci si pone quando si parla di Olocausto è:

“Ma possibile che nessuno lo sapesse o che tutti fossero d’accordo?” 

Se è verosimile ritenere che l’opinione pubblica potesse ignorare le dimensioni effettive del fenomeno o i particolari più agghiaccianti, è, tuttavia, doveroso denunciare il lento ma inesorabile lavoro di indottrinamento eseguito dagli eugenisti, che, sostenuti da eminenti psichiatri, crearono quell’humus culturale in cui le idee di purezza razziale e di “soppressione della vita indegna di essere vissuta potevano proliferare ed essere accettate come necessarie verità scientifiche.

L’eugenetica – dal greco “buona nascita” – prese piede sulla scia delle teorie darwiniane verso la fine del XIX Secolo. All’inizio del Novecento, spinta con forza anche dalla Fondazione Rockefeller, l’eugenetica si diffuse sempre più. L’idea di “sopravvivenza del più forte” fu, dapprima, usata per impedire che i deboli procreassero e, in seguito, per giustificare la soppressione della “vita indegna di essere vissuta”. In seguito fu sufficiente sviluppare un’intensa campagna antisemita, stigmatizzando gli ebrei come appartenenti a una razza inferiore, e il gioco era fatto: il concetto di razza inferiore germogliò con vigore in questo substrato culturale imbevuto di pseudoscienza eugenetica, fornendo la base di consenso allo sterminio.

La sospensione della democrazia rischia di passare senza accorgersene, se equivoci e ambiguità rendono particolarmente fragile il tessuto sociale.

 

“Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile. Ed un altro uomo, fatto anche lui come tutti gli altri, ma di tutti gli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della Terra per porlo nel punto dove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra, ritornata alla forma di nebulosa, errerà nei cieli privati ​​di parassiti e di malattie.”,

sono le parole profetiche che chiudono il romanzo di Italo Svevo, pubblicato nel 1923, La coscienza di Zeno. Svevo non sentì mai parlare di bomba atomica, eppure la sua sensibilità gli fece presagire l’immane catastrofe che doveva avvenire di là a una ventina di anni.

Dopo Hiroshima e Nagasaki, avevamo sperato che la lezione fosse stata appresa e che gli Stati Uniti e i loro partners non avrebbero più impegnato armi nucleari. Un tabù internazionale aveva impedito la loro utilizzazione fino al 1991, quando gli Stati Uniti lo infransero, per la prima volta, sui campi di battaglia dell’Iraq e del Kuwait.  

Descritto come il Cavallo di Troia della guerra nucleare, l’Uranio Impoverito è l’arma che continua a distruggere. Sotto forma di aerosol l’Uranio Impoverito contaminerà, in modo permanente, vaste regioni e distruggerà, gradualmente, il futuro genetico delle popolazioni che vivono in quelle regioni. L’emivita dell’Uranio 238 è di 4,5 miliardi di anni, l’Età della Terra e, poiché l’Uranio 238 degenera in sottoprodotti radioattivi, in quattro fasi prima di trasformarsi in Grafite, continua a emettere più radiazioni a ogni fase. Non vi è modo per arrestarlo e non vi è modo per ripulirlo. Si accorda con la definizione del Governo americano delle armi di distruzione di massa:

“Weapons that are capable of a high order of destruction and/or of being used in such a manner as to destroy large numbers of people. Weapons of mass destruction can be high explosives or nuclear, biological, chemical, and radiological weapons, but exclude the means of transporting or propelling the weapon where such means is a separable and divisible part of the weapon.” [https://www.militaryfactory.com/dictionary/military-terms-defined.asp?term_id=5781]

Secondo il diritto internazionale relativo al controllo degli armamenti, le armi all’Uranio Impoverito sono illegali:

-   Convenzione dell’Aia del 29 luglio 1899, concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre [https://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/ISSMI/Corsi/Corso_Consigliere_Giuridico/Documents/81521_Aja1899.pdf];

-   Convenzione dell’Aia del 18 ottobre 1907, concernente le leggi e gli usi della guerra per terra [https://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/ISSMI/Corsi/Corso_Consigliere_Giuridico/Documents/65159_convenzione4.pdf];

-   Protocollo di Ginevra del 17 giugno 1925, concernente la proibizione di usare in guerra gas asfissianti, tossici o simili e mezzi batteriologici [http://unipd-centrodirittiumani.it/it/strumenti_internazionali/Protocollo-concernente-la-proibizione-di-usare-in-guerra-gas-asfissianti-tossici-o-simili-e-mezzi-batteriologici-1925/113];

-   Statuto o Carta del Tribunale Internazionale Militare di Norimberga dell’8 agosto 1945 [http://unipd-centrodirittiumani.it/it/strumenti_internazionali/patto-di-londra-e-statuto-del-tribunale-internazionale-militare-di-norimberga-1945/170]; 

-   Quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 per la protezione delle vittime di guerra [https://www.asgi.it/wp-content/uploads/public/convenzione.ginevra.12.agosto.1949.pdf];

-   Convenzione delle Nazioni Unite del 10 ottobre 1980 detta Convenzione delle armi inumane, sul divieto o la limitazione dellimpiego di talune armi classiche che possono essere ritenute capaci di causare effetti traumatici eccessivi o di colpire in modo indiscriminato [https://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/19800274/199809240000/0.515.091.pdf].

-   Risoluzione delle Nazioni Unite per la messa al bando dell’Uranio Impoverito n. 16 del 29 agosto 1996 [https://www.peacelink.it/disarmo/a/700.html];

-   Risoluzione del Parlamento Europeo del 15 gennaio 2001, sul divieto di utilizzo dell’Uranio Impoverito in tutti i tipi di armi;

-   Risoluzione della Prima Commissione delle Nazioni Unite del primo novembre 2007, sugli effetti dell’uso di armamenti e munizioni contenenti Uranio Impoverito [http://www.bandepleteduranium.org/en/a/144.html, https://www.peacelink.it/disarmo/a/23856.html]  

Il 9 gennaio 2018, la Commissione Europea ha riconosciuto la pericolosità dell’Uranio Impoverito per la salute umana [https://blogs.mediapart.fr/jean-marc-b/blog/110218/tambouille-nucleocrate-ravalement-de-facade-propos-de-luranium-dit-appauvri].

Dopo la fine ufficiale della Guerra del Golfo, l’esercito americano ha sparato circa un milione di proiettili all’Uranio Impoverito, in 3 giorni, sulle migliaia di rifugiati e di soldati iracheni che battevano in ritirata, sulla strada per Bassora, – in violazione dell’articolo 3 della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 :

Nel caso in cui un conflitto armato privo di carattere internazionale scoppiasse sul territorio di una delle Alte Parti contraenti, ciascuna delle Parti belligeranti è tenuta ad applicare almeno le disposizioni seguenti:

1. Le persone che non partecipano direttamente alle ostilità, compresi i membri delle forze armate che abbiano deposto le armi e le persone messe fuori combattimento da malattia, ferita, detenzione o qualsiasi altra causa, saranno trattate, in ogni circostanza, con umanità, senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole che si riferisca alla razza, al colore, alla religione o alla credenza, al sesso, alla nascita o al censo, o fondata su qualsiasi altro criterio analogo.

A questo scopo, sono e rimangono vietate, in ogni tempo e luogo, nei confronti delle persone sopra indicate:

a. le violenze contro la vita e l’integrità corporale, specialmente l’assassinio in tutte le sue forme, le mutilazioni, i trattamenti crudeli, le torture e i supplizi;

b. la cattura di ostaggi;

c. gli oltraggi alla dignità personale, specialmente i trattamenti umilianti e degradanti;

d. le condanne pronunciate e le esecuzioni compiute senza previo giudizio di un tribunale regolarmente costituito, che offra le garanzie giudiziarie riconosciute indispensabili dai Popoli civili.

2. I feriti e i malati saranno raccolti o curati.

Un ente umanitario imparziale, come il Comitato internazionale della Croce Rossa, potrà offrire i suoi servigi alle Parti belligeranti.

Le Parti belligeranti si sforzeranno, d’altro lato, di mettere in vigore, mediante accordi speciali, tutte o parte delle altre disposizioni della presente Convenzione.

L’applicazione delle disposizioni che precedono non avrà effetto sullo statuto giuridico delle Parti belligeranti.

Ironicamente, la Risoluzione n. 661, riguardante la situazione dei rapporti tra Iraq e Kuwait, era stata adottata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU il giorno anniversario di Hiroshima, il 6 agosto 1990.

La scoperta, nel 1999, che, in Jugoslavia, crateri di bombe erano radioattivi e che un missile inesploso conteneva una testata di Uranio Impoverito, indicava che la quantità totale di Uranio Impoverito, utilizzata dal 1991, era stata, grandemente, sottostimata. Ciò che è ancora più inquietante è che il 100% dell’Uranio Impoverito delle bombe e dei missili è vaporizzato all’impatto e immediatamente liberato nell’atmosfera.  Questa quantità può arrivare fino a 1,5 tonnellate per le grosse bombe. Per i proiettili e le granate, la quantità vaporizzata è del 40-70%, lasciando frammenti e granate inesplose nell’ambiente, che saranno nuove fonti di polvere radioattiva e di contaminazione delle acque sotterranee per la concentrazione disciolta di Uranio Impoverito, per lungo tempo, dopo la fine dei conflitti, come riferito nel rapporto The Kosovo conflit consequences for the environment and human settlements dell’UNEP/UNCHS [Habitat] Balkans task Force [BTF] [http://wedocs.unep.org/handle/20.500.11822/8433, https://wedocs.unep.org/bitstream/handle/20.500.11822/8433/-The%20Kosovo%20Conflict%20Consequences%20for%20the%20Environment%20%26%20Human%20Settlements-1999378.pdf?sequence=3&isAllowed=y].

Le donne dell’ex-Jugoslavia, dell’Afghanistan, dell’Iraq, della Siria hanno, ora, paura di avere bambini e quando partoriscono anziché chiedere se è un maschio o una femmina, chiedono:

“È normale?”

Il 6 novembre 2020, l’ex-Presidente del Kosovo Hashim Thaci è stato arrestato per crimini di guerra e contro l’Umanità. Nel mese di aprile, alla domanda se avesse dato le dimissioni in caso di incriminazione da parte del Tribunale Speciale, Thaci aveva risposto:

"Perché dovrei dimettermi? Risponderò positivamente [all’invito di comparire in tribunale, ndr], ma non mi dimetterò".

 

The Kosovo Specialist Chambers has extended the detention period for former Kosovo President Hashim Thaci ahead of his trial for war crimes and crimes against humanity during the 1998-1999 conflict in Kosovo. 

Judge Nicolas Guillou rejected a request from Thaci’s defense team for his release, citing the risk that Thaci may abscond, obstruct the progress of Specialist Chambers proceedings, or pose a threat to witnesses providing evidence in the case. 

Thaci’s defense argued that Kosovo’s police force had sufficiently prepared “to implement a series of additional measures to ensure the effective implementation, supervision and enforcement of any other measures ordered by the pre-trial judge” to keep Thaci in check. 

Thaci’s defense also suggested that Thaci’s detention be relocated to a publicly unknown third country. 

According to the prosecution, “no conditions of release in Kosovo can mitigate the particular risks at issue”.

Ultimately, Judge Guillou concluded that the “risk of flight; risks of obstruction and committing further crimes” was too great, and that “no other conditions that might be implemented could sufficiently address the risks posed by Mr. Thaci”.

The Kosovo Specialist Chambers [KSC] was established in 2015 to investigate alleged crimes against ethnic minorities and political opponents by the Kosovo Liberation Army [KLA] during the conflict in which Kosovo first broke away from Serbia. The tribunal is bound by Kosovo law, but is made up of international judges and prosecutors. 

Thaci and his three co-defendants have been accused of committing a series of war crimes and crimes against humanity from March 1998 to September 1999, including illegal detentions, torture, murder, enforced disappearances and persecution. 

In June 2020, the special prosecutor accused the Kosovo leader of being “criminally responsible for nearly 100 murders.” 

News of the indictment, first announced in November 2020, was welcomed by human rights groups and civic organizations. 

“[Thaci’s indictment] brings hope for thousands of victims of the Kosovo war who have waited for more than two decades about the horrific crimes committed against them and their loved ones”, said Jelena Sesar, Balkans Researcher at Amnesty International, at the time. 

Thaci is a former senior commander of the KLA. He stepped down from the presidency after charges were filed in order to “defend the integrity of the state.” He has denied the charges against him. 

Serbia has similarly put a number of former soldiers, paramilitaries and police on trial for the alleged killing of ethnic Albanians during the Balkan conflicts of the 1990s.” [Hague-based Kosovo Specialist Chambers extends detention of former President Hashim Thaci,EU-OCS, January 31, 2022 [https://www.eu-ocs.com/hague-based-kosovo-specialist-chambers-extends-detention-of-former-president-hashim-thaci/, https://balkaninsight.com/2022/01/28/kosovo-special-court-extends-ex-president-thacis-detention/]

 

Lei disse che prigionieri serbi erano stati rapiti dall’Esercito di Liberazione del Kosovo [UCK], alla fine della Guerra in Kosovo, tra il 1998 e il 1999.

Lei disse che prigionieri serbi erano stati deportati in Albania, dove erano stati assassinati.

Lei disse che da prigionieri serbi erano stati espiantati organi per essere venduti.

Lei è Carla Del Ponte, procuratore del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia [TPIJ], dal 1999 al 2007, la prima a dire che l’uccisione intenzionale di prigionieri al preciso scopo di prelevare e vendere i loro organi per lucro sia stata organizzata da membri di alto livello dell’UCK, comprese persone che, oggi, hanno alte cariche nel Governo di quel Paese”.

Affermazioni gravi, che si commentano da sole, cui non seguirono significative reazioni.

Anche questo si commenta da solo!

Ricordiamo gli effetti di queste dichiarazioni.

Ricordiamo la risata a piena gola di Bernard Kouchner – Alto Rappresentante del Segretario Generale dell’ONU in  Kosovo, nel periodo dal luglio del 1999 al gennaio del 2001 –, quando, nel marzo del 2010, un giornalista serbo lo interrogò sulla “Casa Gialla” [http://voix.blog.tdg.ch/archive/2013/08/18/l-eclat-de-rire-du-french-doctor-et-la-maison-jaune.html, https://www.youtube.com/watch?v=t8nCBv-9x0U&t=83s, https://www.youtube.com/watch?v=12HXAl-hFL0,

https://www.youtube.com/watch?v=3Xi-uLR0wcM, https://www.youtube.com/watch?v=-DduKVfiuVM].

Une guerre juste pour un Etat mafieux è un libro di Pierre Péan, pubblicato nel maggio del 2013, che riferisce testimonianze agghiaccianti di ex-combattenti dell’UCK.

Grazie a una buona dose di caparbietà, Carla Del Ponte si era creata, molto presto, una fama di giudice temibile e scomodo, tanto da essere soprannominata Carlina la peste. Va ricordata la proficua collaborazione con Giovanni Falcone, che consentì, tra l’altro, di provare il legame tra il riciclaggio di danaro, effettuato in Svizzera e la Mafia siciliana nel quadro dell’indagine, avviata già nel 1979, sul traffico di droga tra l’Italia e gli Stati Uniti, denominata Pizza Connection. Il 21 giugno 1989, mentre queste indagini erano in corso, sfuggì, con il collega svizzero Claudio Lehmann, – grazie a una provvidenziale serie di circostanze – a un attentato dinamitardo nella spiaggetta antistante la villa affittata da Falcone, in località Addaura. 

Il 24 marzo 1999 segna l’inizio di una delle pagine più buie della Storia dell’Europa: l’avvio dei bombardamenti sulle città di Belgrado in Serbia e di Pristina in Kosovo da parte di aerei NATO, decollati da aeroporti italiani. Una ricorrenza che, a distanza di 23 anni cade proprio nel mezzo di una nuova guerra piombata sul Vecchio Continente. L'Operazione Allied Force è la seconda azione militare nella storia della NATO, dopo l'Operazione Deliberate Force del 1995 in Bosnia ed Erzegovina, ma la prima in cui la NATO ha usato la forza militare senza l'approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il 16 agosto 2016, l’allora Vicepresidente statunitense Joe Biden, esprimeva il proprio cordoglio alle famiglie dei serbi uccisi nei bombardamenti NATO. Da Senatore Federale in rappresentanza del Dlaware, negli Anni Novanta, Joe Biden è stato uno dei più ferventi sostenitori dell’azione militare statunitense contro i serbi, in Croazia [1991-95], in Bosnia [1992-95] e in Kosovo [1998-1999]. Biden ha, continuamente, chiesto agli Stati Uniti di bombardare, bombardare, bombardare i serbi [https://www.rferl.org/a/biden-nato-airstrikes/27926992.html, https://www.youtube.com/watch?v=G7PPYpJBbh8&t=3s, https://www.youtube.com/watch?v=hoZogeRmbjo, https://www.youtube.com/watch?v=urspubn1pmw].

Vi è una foto dell’ottobre del 1999 nell’album di famiglia della NATO che qualcuno a Bruxelles, oggi, pensa sarebbe stato meglio non venisse mai scattata e di cui la passata dirigenza politico-mafiosa kosovara andava fiera. Ritrae cinque personalità, mentre impilano le loro mani in un gesto che va oltre l’amicizia, giurano, di portare il Kosovo verso l’indipendenza. A sinistra, si riconosce Hashim Thachi [allora leader dell’UCK], Bernard Kouchner [allora Alto Rappresentante per il Kosovo [UNMIK] del Segretario Generale delle Nazioni Unite e cofondatore di Médecins sans Frontières; Sir Mike Jackson [ex-comandante delle truppe britanniche nel massacro del Bloody Sunday, in Irlanda, allora comandante delle forze di occupazione della NATO e, successivamente, consulente di una società di mercenari], Agim Ceku [comandante dell’UCK] e a destra, il generale Wesley Clark [allora comandante supremo della NATO e, successivamente, lobbista di biocarburanti]. Prima dell’inizio della guerra  Hashim Thaci, nome di battaglia Gjarper, che, in albanese, significa serpente, parlava dell’UCK come della fanteria della NATO. Fino a sostenere che la NATO fosse “l’aviazione dell’UCK”. Dietro le sue parole vi era tutta la protervia del capo di un approssimativo esercito che, per tutti i 78 giorni dei bombardamenti aerei sulla Jugoslavia, scacciato dal Kosovo, era rimasto timidamente arroccato in territorio albanese e che, quando era riuscito a penetrare in territorio kosovaro, si era visto bombardare da “fuoco amico”, da quella che considerava la propria aviazione, i caccia della NATO. Nelle vicende del Kosovo, l’UCK non è stato soltanto una variante armata nello schieramento politico interno, ma, di volta in volta, la causa, il catalizzatore, l’artefice, la vittima di tutte le tensioni della regione. E, in questo senso, Thaci è stato soprattutto la pedina mediatica di un abile gioco internazionale, che ha visto il mondo intero intervenire in suo favore con la convinzione di promuovere una “Guerra Umanitaria” in favore del suo Popolo. E, pur di mantenere il suo potere, è stato disposto ad accettare un pur blando protettorato della NATO, ricevendone in cambio la possibilità di continuare a essere il padrone assoluto di un Paese: il Kosovo. Diventando allo stesso tempo il principale alimentatore dei valori più retrivi: l’odio, il razzismo, la protervia, la violenza elevata a unica componente della politica.

Dove finiscono le armi quando finiscono le guerre?

 

 

 

Tutto ha origine quando l’Unione Sovietica inizia a dismettere gli arsenali e la preoccupazione di una Terza Guerra Mondiale viene meno. I Balcani costituiscono, da sempre, un’area molto appetibile per i mercanti di armi: guerre continue, sia pure di portata regionale, a causa della forte compresenza di diverse etnie e religioni.

Il 23 Dicembre 1990 – data dell’esito positivo del Referendum popolare sull’indipendenza della Slovenia – inizia la disgregazione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia [Socijalistička Federativna Republika Jugoslavija, SFRJ]. Da quel momento, i maggiori Stati produttori e venditori di armi iniziano a “farsi i loro affari”, anche se favorevoli alla Risoluzione 713 [http://www.un.org/fr/documents/view_doc.asp?symbol=S/RES/713[1991]], adottata, il 25 settembre 1991, dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che decretava l’embargo generale sulle armi e sull’equipaggiamento militare contro l’intera Federazione Jugoslava e invitava il Segretario Generale Javier Pérez de Cuéllar a offrire la propria assistenza per sostenere lo sforzo negoziale condotto dalla Comunità Europea nell’ambito della Conferenza dell’Aia.

La Serbia ha il triste primato di tumori in Europa.

E la NATO potrebbe andare a processo per le bombe all’Uranio Impoverito.

La Corte Suprema di Belgrado contesta, infatti, l’uso delle bombe “umanitarie” [https://onanotiziarioamianto.it/nato-denuncia-processo-uranio-impoverito/].

Se vi è proprio una cosa che non comprendo è il clima di indifferenza di fronte a questa distruzione irreversibile di ogni vita sul Pianeta!

E in quale sofferenza!

 

La Vita non è lineare. In genere, sicurezza e pericolo coesistono negli stessi oggetti e negli stessi fatti. Nelle giuste o sbagliate condizioni, tutto ciò che è essenziale alla nostra esistenza può trasformarsi in qualcosa di dannoso o fatale: l’acqua può annegare, il cibo può avvelenare, l’aria può soffocare.I Bambini nascono, mettendo a rischio la Vita delle loro Madri, e divengono adulti, dovendo affrontare innumerevoli rischi. Per molti, in particolare, per i benestanti e i benpensanti, l’instabilità è sinonimo di cambiamento e il cambiamento non può che essere per il peggio.

Non stupiamoci se nessun uomo politico sostenga, pubblicamente, questa tesi!

La massa ama la stabilità. Lo status quo, benché non abbia alcun fondamento ideologico e non sia particolarmente meritevole di lode, è il risultato dell’interazione tra forze sociali. Forze che la massa conosce e comprende. Questo equilibrio soddisfa la massa, che non auspica nulla di meglio della stabilità. La paura spinge, incessantemente, la massa a inventare o a esagerare i rischi. La televisione ci mette, inoltre, prepotentemente, a confronto con eventi che accadono a migliaia di chilometri di distanza. Sappiamo che, spesso, considerata la crescente interdipendenza tra i Paesi, i problemi che interessano una area del Mondo, possono coinvolgere rapidamente altre aree. Tutto ciò genera confusione e suscita un atteggiamento distorto nelle nostre menti. Nei salotti delle nostre case si riversano, ininterrottamente, problemi sempre nuovi. Problemi così tangibili da divenire spaventosi, tuttavia, abbastanza remoti da non richiedere un coinvolgimento effettivo e affettivo.

Nella massa questo atteggiamento può essere giustificabile, negli uomini politici NO. 

Ho sempre pensato che i proverbi siano una coacervo di frasi fatte, un florilegio di luoghi comuni. E, tuttavia, ve ne è uno che gode di tutto il mio rispetto:

“Non vi è peggiore sordo di chi non vuole sentire!”,

e io aggiungerei:

“E peggiore muto di chi non vuole parlare!”

Il 25 giugno 1942, quando i nazisti erano in difficoltà e le sorti della guerra poco distinte, il giornale inglese The Daily Telegraph pubblicò uno dei più grandi scoops della Storia dal titolo: Germans murder 700,000 Jews in Poland [http://www.telegraph.co.uk/history/world-war-two/11370972/Holocaust-Memorial-Day-Telegraph-revealed-Nazi-gas-chambers-three-years-before-liberation-of-Auschwitz.html]. Ma, nell’articolo, si parlava di un numero anche maggiore di vittime. Era una delle prime notizie su uno dei grandi fatti del Secolo. E aveva, anche, il raro pregio di poter servire a qualcosa. In quel momento, il massacro era ancora in atto e altri milioni di Esseri Umani sarebbero stati soppressi, negli anni a venire. Saperlo avrebbe potuto spingere ad agire. Ma il giornale, che di pagine ne contava solo sei, pubblicò quella breve notizia alla pagina cinque. E nessun altro quotidiano la riprese.

Sarebbero trascorsi anni prima che l’Umanità decidesse di inorridire di fronte all’Olocausto.

In quei giorni non ne aveva intenzione…

Ogni minuto 6 persone muoiono di FAME e per la FAME non vi è un VACCINO [https://www.agensir.it/quotidiano/2022/2/2/africa-oxfam-ogni-minuto-6-persone-muoiono-di-fame-1-persona-su-5-denutrita/].

Le guerre creano masse di rifugiati.

E migliaia di migranti affogano o si perdono, cercando una Vita migliore.

Naturalmente, ciò non accade a noi, che leggiamo queste notizie.

Sono, sempre, gli Altri, come Altri erano gli Ebrei.

E la loro Storia non cessa di uscire in penultima pagina, quando esce!

Platone diceva:

“Conoscere è ricordare.”

E, il tentativo evoca profondi strati di Passato: voci, suoni, odori, persone e così via, senza fine.

Nell’epoca in cui si porta al massimo sviluppo l’individualità, l’Uomo ha, fortemente, bisogno di una conoscenza che, per sua natura, spinga il pensiero verso il Cuore e di là verso l’Azione, che svegli il senso di appartenenza a innumerevoli Esseri e, quindi, a un comportamento armonico per la vita di questi Esseri.

“Più che incolpare i dubbiosi serve chiarezza sui dati. Visto che nel caos ci stiamo perdendo i guariti, gli ultimi ad aver bisogno di una dose.”,

ha ammonito, il Professor Paolo Gasparini, Presidente della Società Italiana di Genetica Umana, a gennaio di questo anno [https://www.laverita.info/e-un-errore-insistere-su-no-vax-e-bambini-2656364362.html?utm_campaign=RebelMouse&share_id=6862983&utm_medium=social&utm_source=twitter&utm_content=La+Verit%C3%A0].

Vi è una parte non trascurabile della Popolazione, indignata per il decadimento dei valori tradizionali, per l’irrisione del concetto di Patria, per lo svilimento del senso di Nazione.

E vi è la maggioranza che fonda la propria delusione su ragioni economiche: i piccoli e i medi industriali che vedono andare in rovina le loro fabbriche, gli impiegati e i professionisti che constatano la crescente insicurezza della loro posizione.

Vi è, poi, a giocare un ruolo importante il distacco irreparabile della classe politica dal Paese.

I discorsi in chiave ermetica soprattutto.

Gli elettori hanno iniziato ad accorgersene.

Gli oratori sembra che badino più al ritmo che alla chiarezza dei concetti; i loro discorsi sono come le canzoni quando nascono, fatte di numeri: tre-cinquanta-quaranta / otto-sei-ventiquattro. E, quando vogliono essere chiari, si buttano sulla retorica e sulla demagogia.

Scriveva Giuseppe Berto nel suo libro Modesta proposta per prevenire:

“Quando ci accorgiamo che qualcosa difetta di sostanza, noi la scriviamo con l’iniziale maiuscola, in questo modo conferendole una specie di garanzia immunitaria che la mette al riparo dal buonsenso e dalla critica.”

].

Auspicando un Vostro autorevole intervento finalizzato a correggere questa discrasia porgo cordiali saluti.

 

Roma, 9 luglio 2022

 

Assunta Daniela Zini