“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

mercoledì 1 maggio 2024

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25 APRILE 2024 di Daniela Zini

 


“Non c’ero e non conosco cosa accadde…

diffido della storia ufficiale

non ci vedo mai riferimenti alla gente comune.

Ho viaggiato per il mondo, senza tregua senza sosta, per lunghi anni. E quello che porto nel cuore non sono personaggi ma persone, gente comune e il loro quotidiano. Ogni loro racconto per me è un piccolo grande tesoro, di un valore inestimabile.

Non c’ero e non conosco cosa accadde…

ma so che oggi vivo un presente da uomo libero.

E questo mi basta per credere che oggi sia un giorno speciale.”

Anton Vanligt

 

 

Prendere delle decisioni non è mai facile, perché decidere vuol dire prendere una strada ben precisa, abbandonandone un’altra.

Ogni strada porta in una direzione e, molte volte, tornare indietro non è quasi mai possibile, quindi, prendere una decisione vuole dire avere delle conseguenze, scegliersi, indirettamente, una serie di avvenimenti e fare in modo che altri non si avverino mai.

A volte non è facile decidere, perché le decisioni non riguardano solo noi, ma anche una parte di Esseri che ci circondano. Le conseguenze che noi decidiamo, indirettamente, di subire, coinvolgono, inevitabilmente, anche il Destino di chi ci è vicino, per un motivo o per l’altro. Allora le decisioni si fanno più complicate, le variabili in gioco sono molte di più e propendere per una scelta o per l’altra diventa più complicato. Più il tempo passa e più le variabili in gioco aumentano, piccoli dettagli ci vengono in mente e divengono importanti, aspetti che, subito, non appaiono evidenti si affacciano nella nostra mente, rendendo il tutto sempre più confusionario.

Tuttavia, bisogna decidere, la Vita è fatta di decisioni.

Io sono convinta che ognuno di noi sappia, esattamente, che decisione arriverà a prendere, perché il subconscio ci conosce meglio di quanto la nostra mente ci sembra suggerire, ma il complicato è far emergere questa consapevolezza. Non a caso, chi ci ascolta sa perfettamente quale sarà la decisione che noi prenderemo, anche quando siamo nel pallone e la decisione sembra un monte da scalare.

Metabolizzare quella consapevolezza interiore, che agli Altri sembra pressoché evidente, non è dilettevole!

Pensare poco porta a conclusioni affrettate, molto spesso, avventate e rischiose, ma pensare troppo è altrettanto inutile, perché ci si tormenta per nulla, senza arrivare a una decisione migliore.

Io credo che l’importante sia scegliere sulla base della motivazione che si ritiene la più giusta, essere convinti delle proprie scelte e proseguire la propria strada, a testa alta, prendendo, sempre, le cose migliori da ogni piccolo aspetto.

Non è ciò che facciamo di tanto in tanto che conta, ma le nostre azioni costanti.

E qual è il padre di qualsiasi azione?

Che cosa, alla fine, determina ciò che diveniamo e dove andiamo nella Vita?

La risposta è: LE NOSTRE DECISIONI.

Se non siamo capaci di prendere decisioni per noi stessi, Altri le prenderanno per noi e noi vivremo una Vita in catene!

“...il 25 aprile. Una data che è parte essenziale della nostra Storia: è anche per questo che oggi possiamo sentirci liberi. Una certa Resistenza non è mai finita. C’è sempre da resistere a qualcosa, a certi poteri, a certe promesse, a certi servilismi. Il revisionismo a volte mi offende: in quei giorni ci sono state anche pagine poco onorevoli; e molti di noi, delle Brigate Partigiane, erano raccogliticci. Ma nella Resistenza c’è il riconoscimento di una grande dignità. Cosa sarebbe stata l’Italia agli occhi del Mondo? Sono un vecchio cronista, testimone di tanti fatti. Alcuni sono anche terribili. E il mio pensiero va ai colleghi inviati speciali che non sono ritornati dal servizio, e a quelli che speciali non erano, ma rischiavano la Vita per raccontare agli altri le pagine tristi della Storia.

I protagonisti per me sono ancora i fatti, quelli che hanno segnato una generazione: partiremo da uno di questi, e faremo un passo indietro per farne un altro, piccolo, avanti. Senza intenzione di commemorarci.”,

scriveva Enzo Biagi sul Corriere della Sera, il 22 aprile 2007.

Nel ricordo doveroso del Passato, volgeva il suo sguardo preoccupato al Presente e rifiutava, in maniera decisa, ogni subdolo tentativo di annacquare o di rimuovere la Memoria.

E, in questo senso, possiamo ancora dare ben ragione a Enzo Biagi: “una certa Resistenza non è mai finita”!

PROTEGGERE LA MEMORIA, TUTTO QUI!

La Memoria è patrimonio della Collettività da custodire, coltivare e tramandare nel suo altissimo significato ai nostri Ragazzi affinché loro proseguano con la consapevolezza che nulla è MAI scontato nel percorso di crescita e di difesa della LIBERTÀ e non si sottraggano alle brutture dei tempi che corrono nello sterile tentativo di girare le spalle a Chi soffre. 

Io lo sto, già, facendo... 

Buon 25 aprile a Voi e alle Vostre Famiglie.

       

Bea&Daniela (Zini)

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1939 QUANDO ARAGON AUSPICAVA LA PACE... di Daniela Zini

 1939

Quando Aragon auspicava la Pace…



“I know not with what weapons World War III will be fought, but World War IV will be fought with sticks and stones.”

Albert Einstein

 

A tutti i Ragazzi della Terra che hanno diritto a un Mondo Migliore e ai tanti Lazzaro, Uomini Invisibili, di cui non conosciamo il nome e non vediamo il volto, ma che scelgono di sacrificare la propria Vita per la nostra, come il mio protagonista di ACRONIA.

 

 

I nostri ragazzi non sanno che le guerre – si deve ben chiamarle con il loro nome – hanno, sovente, odore di petrolio, come in Medio Oriente, o tanfo di colonialismo, come in Africa, o ancora infiorano i succulenti contratti di armamenti.

La banalizzazione della guerra veicolata dallo spirito della difesa – la parola guerra è, accuratamente, cancellata dai programmi – contribuisce a far accettare con passività e fatalismo, quello che resta un flagello della nostra epoca, con spese militari irrazionali.

Gli istigatori dell’“educazione alla difesa” non hanno, mai, fatto mistero che uno dei loro obiettivi è, egualmente, soddisfare i bisogni di reclutamento degli eserciti.

Per fare questo, le porte degli edifici scolastici sono loro spalancate.

Convinto da un discorso ingannevole, che gli fa luccicare l’ingaggio militare come null’altro che un banale piano di carriera, il giovane che firma il contratto non può, realmente, avere coscienza che il mestiere delle armi non è un mestiere come gli altri, in cui si può uccidere o morire su ordine.

 

 

Alla fine del 1938, mentre i Francesi si apprestano a festeggiare il nuovo anno e la minaccia della guerra agita i loro animi, il Poeta Louis Aragon torna sull’ultimo anno e invoca la Pace.

Più che mai, l’Europa è in preda alla violenza. 

 


In Spagna, dove la Guerra Civile infuria dal 1936, i nazionalisti stanno guadagnando terreno sui repubblicani.

Tra il febbraio del 1937 e il gennaio del 1939 i trimotori italiani Savoia-Marchetti S.M.79 colpirono più volte Barcellona e altre 143 località catalane.

“Era una mattina radiosa, che anticipava la primavera. Il cielo era azzurro, il sole sfavillava come uno specchio. Gli uccelli cantavano. Nei parchi e nei giardini le violette sbocciavano luminose [...] Sorde tuonarono le esplosioni, migliaia di occhi sorpresi e attoniti si levarono in alto. E videro come sulla città volava la morte... La morte di metallo. La morte nera e sinistra [...] la morte che era arrivata silenziosa, inattesa, tacita, scesa dagli spazi brillanti per mietere vite in fiore.” ,

si legge sulla rivista catalana La Humanitat il 31 gennaio 1938, all’indomani di un terribile bombardamento aereo effettuato su Barcellona dall’Aviazione Legionaria di Benito Mussolini. I raids aerei si inquadravano nelle operazioni di supporto militare che Benito Mussolini e Adolf Hitler garantirono a Francisco Franco. I bombardamenti italiani sulla Catalogna e su Barcellona sono una delle pagine più oscure e meno note della nostra Storia, e hanno giocato un ruolo rilevante nella caduta della Seconda Repubblica spagnola, nonché nei conflitti che scoppiarono di là a poco.

 

Foto di esiliati spagnoli, scattata da Robert Capa e pubblicata sul quotidiano francese Ce soir, nel gennaio del 1939.

 

Barcellona sotto bombardamento il 17 marzo 1938, in una foto dell’Aviazione Legionaria delle Baleari.

“Iniziare da stanotte azione violenta su Barcellona con martellamento diluito nel tempo.”,

è il testo del telegramma inviato da Roma al generale Vincenzo Velardi, capo dell’Aviazione Legionaria di stanza a Maiorca, il 16 Marzo 1938. Il capoluogo della Catalogna fu investito, per due giorni consecutivi, da 44 tonnellate di bombe, sganciate a intervalli di 3 ore, che causarono circa 1.000 morti tra la popolazione civile. Fu il bombardamento più duro sofferto dalla città durante la Guerra Civile spagnola, una violenza che suscitò la reazione sdegnata del segretario di stato americano Cordell Hull, Premio Nobel per La Pace 1945, appoggiato da Francia e Gran Bretagna.

Nel 1998, il Parlamento tedesco ha presentato scuse ufficiali per la distruzione di Guernica, la cittadina basca rasa al suolo dall’aviazione nazista nel 1937.

L’Italia non ha, mai, ammesso la propria responsabilità per i bombardamenti sulla Catalogna, allineandosi al Pacto del Olvido, in vigore tra le istituzioni spagnole dopo la caduta del franchismo.

 

 

In Germania, cinque anni dopo la sua ascesa al potere, Adolf Hitler ha intensificato la sua politica persecutoria nei confronti degli Ebrei e persegue i suoi obiettivi pangermanici.

Il 13 marzo 1938, il führer ha annesso l’Austria e la Gran Bretagna, disponibile ad accettare una revisione dei confini tedeschi fissati, nel 1919, dopo la Prima Guerra Mondiale, a patto che non si alteri, eccessivamente, l’equilibrio politico europeo nel suo complesso, non solleva alcuna obiezione.

Su Ce Soir, Louis Aragon rivolge i suoi auguri alla Francia e al Mondo intero in un testo intenso e combattivo. Il Poeta denuncia, in particolare, ciò che costituisce ai suoi occhi la peggiore ignominia del 1938: l’Accordo di Monaco tra Germania (Adolf Hitler), Italia (Benito Mussolini), Gran Bretagna (Arthur Neville Chamberlain) e Francia (Edouard Daladier), in base al quale, senza interpellarne il Governo, la Germania è autorizzata ad annettere parte della Cecoslovacchia, un territorio di 28.345 chilometri quadrati, popolato da 2.800.000 tedeschi e 1 milione di cechi. 

 



Nel discorso pronunciato al suo ritorno da Monaco Chamberlain dichiarava:

“Credo che sia la Pace per il nostro tempo.”

Era un’illusione!

Hitler procedette nella sua folle espansione.

Il 16 marzo 1939, la Germania occupò Praga e il resto della Boemia, ponendo fine all’indipendenza della Cecoslovacchia.  

Di fronte a questo tradimento, il Poeta invoca una reazione popolare:

“Francesi, innocenti, ingannati, traditi, impotenti e disonorati. E lo dico con tutta la forza dei milioni di Uomini che la pensano come me, perché sono i Figli del Paese della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, perché sono i Figli del Paese che fece Chartres e vinse a Valmy. Lo dico solennemente: non ci sarà Pace degna di questo nome che renda possibile nel Cuore sanguinante dell’Europa questa negazione di Giustizia e questa Ignominia.

Io auspico la Pace che annienti fin nelle sue fondamenta il ricordo stesso di Monaco.”

Aragon fustiga quelli che fanno il gioco del fascismo, fa appello ai principi della Rivoluzione Francese e si scaglia contro tutto e tutti per la difesa degli ideali francesi:

“Il signor Léon Daudet vuole vedere quest’anno il crollo della Democrazia francese, dei principi dell’89 e di tutto il Bataclan.

Parla lo stesso linguaggio dei signori Hitler e Mussolini.

Io auspico, da parte mia, che il 1939 dichiari la Pace al Mondo, per riprendere le parole di Victor Hugo. La Pace non è la guerra civile che i nostri ipocriti sono disposti a fare ai Francesi grazie al signor Daudet.

La Pace non è la mutilazione della Francia.

La Pace non è l’asservimento dei francesi ai mercanti di guerra e alle ideologie razziste.

La Pace, io la auspico al Mondo intero. […]

E se ristabilire la Pace, come al tempo di Napoleone, la Libertà nel Mondo esige resistere armi in pugno a quelli che armi in pugno esigono che si inginocchi e si pieghi la Francia umiliata, a chi di noi ciò farebbe paura?

Io non auspico la guerra. Io auspico la Pace. Ma io dico ai signori della guerra, che portino l’ascia del littore o quella del carnefice, che si vestano di nero o di marrone, che i francesi guardano con tranquillità al 1939 e che, nonostante i Braillards, se necessario, sapranno difendere la loro Patria, non indietreggeranno davanti alla prova.”

Ed è a un altro convinto difensore della pace, “nel quale si incarna il più alto e il più puro pensiero francese” che Aragon dà la parola per concludere il 1938: lo scrittore Romain Rolland, Premio Nobel per la Letteratura 1915, che, nel 1939, presiedette il Comitato Mondiale contro la Guerra e il Fascismo.

“Il 1938 è per la Francia un anno di lutto. Ha tradito le sue amicizie internazionali, consegnato la Cecoslovacchia, abbandonato la Spagna. Un senso di vergogna e di rimorso pesa sulla nostra Democrazia. […]

Pensiamo alle Vedove e ai Bambini!

Aiutiamo i Poveri, i Feriti e i Prigionieri!

Noi sappiamo tutti che, sulla terra di Spagna, si difende la Francia. Asseriamolo!”

 

 


Durante la Seconda Guerra Mondiale, Louis Aragon si impegnò nella Resistenza, creando con Elsa Triolet, sorella minore di Lili Brik, moglie dello scrittore georgiano Vladimir Vladimirovic Majakovskij, il Comitato Nazionale degli Scrittori per la Zona Sud e il quotidiano La Drôme en armes.

Sia questa Pasqua 2024 una Pasqua di Pace secondo gli ideali difesi da Louis Aragon, ma per questo si dovrà capire e sapere chi vuole cosa.  

Buona Domenica di Lazzaro a Voi e alle Vostre Famiglie!

 

 

Bea&Daniela

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Il mio Amore un dì verrà… di Daniela Zini

 Il mio Amore un dì verrà…

Nelle fiabe di ieri e anche in molte di oggi emerge una figura che ha fatto e fa sognare milioni di donne: una creatura fantastica, bellissima, dotata di infinite virtù… e che non ha alcun corrispettivo nella realtà.  

 

http://www.youtube.com/watch?v=Rgf6ny_K38Y

 

NASCITA, VITA E MORTE

DEL PRINCIPE AZZURRO

 

http://www.youtube.com/watch?v=hAZVVLLtlZg

a me

che non dico ti amo sovente, ma se lo dico è  per sempre…

 

Che gli uomini non comprendano nulla della psicologia femminile è opinione di tutti gli iniziati a questa scienza, ma è stupefacente accorgersi quanto poco le stesse donne si conoscano. Tuttavia, la sorpresa deriva dall’ingenua convinzione che l’umanità conosca a fondo la propria anima. Conoscere e comprendere l’anima umana è il compito più difficile che possa presentarsi a una mente investigatrice. I più recenti sviluppi della psicologia dimostrano, sempre più chiaramente, non solo che non esistono formule semplici da cui si possa far derivare il mondo dell’anima, ma anche che non siamo ancora riusciti a delimitare, con sufficiente certezza, il campo dell’esperienza psichica. In verità, la psicologia scientifica, nonostante la sua immensa estensione in superficie, non ha neppure iniziato un processo di liberazione da quelle montagne di pregiudizi che sbarrano l’accesso alla conoscenza dell’anima nella sua verità. La psicologia, la più giovane delle scienze, è appena al principio del suo sviluppo e, pertanto, soffre di tutti quei disturbi infantili che hanno afflitto l’adolescenza delle altre scienze nel tardo Medioevo.

L’umanità sembra sia giunta a un punto in cui le interpretazioni, finora valide, non siano più sufficienti e l’uomo inizi a rendersi conto della presenza di un “ignoto”, il cui linguaggio non sia comprensibile. Noi viviamo in tempi in cui inizia a maturare la convinzione che il popolo, che vive dall’altro lato della montagna, non sia costituito soltanto da diavoli rossi, responsabili di tutti i mali. Un riflesso di questa profonda intuizione si può scorgere anche nelle relazioni tra i sessi: non siamo più tutti persuasi che “ogni bene è in me, ogni male in te”.

Le storie e i miti che ci vengono raccontati nell’infanzia sull’origine del mondo e del genere umano ci danno una visione generale della vita e del modo di condurci. È come se ci dicessero:

“Così sono state poste in essere le cose, questa è la loro essenza e queste le loro relazioni.”

Questi racconti leggendari sono per la maggior parte antichi come l’uomo e il genere umano li ha uditi fino dall’infanzia. Il fatto che i punti di vista che esprimono siano, ancora oggi, in qualche modo validi, per noi, sta a indicare che debbano rappresentare qualcosa di profondamente radicato nella mente dell’uomo. L’uomo ha modificato e raffinato queste credenze in alcuni campi; in altri, rimangono forze che, dal profondo, determinano la sua condotta. Queste forze invisibili e sconosciute si manifestano, soprattutto, nell’atteggiamento generale dell’uomo verso la donna.

Secondo la Genesi “in principio Dio creò il cielo e la terra” con tutto ciò che contengono. L’apice della sua creazione fu il genere umano:

“Poi Dio disse: “Facciamo l'uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza, e abbia dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra.” Dio creò l'uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina.”

Genesi, 1, 26-27

Qui è espressa la credenza nell’origine divina della creazione, ma il racconto vuole affermare anche il fatto elementare che il genere umano sia, al tempo stesso, maschio e femmina. Il primo capitolo della Genesi ci dà, tuttavia, un’altra versione, che è, poi, quella più conosciuta, sulla creazione dell’uomo: è il racconto del sonno di Adamo e della creazione di Eva da una delle sue costole. La donna è concepita, qui, come una parte dell’uomo, ricavata dal suo fianco, senza che se ne accorga. È un mito, dunque, che rappresenta la donna come una parte inconscia dell’uomo, completamente dipendente da lui, senza uno spirito vivente e un’anima propria. Questo mito rappresenta un atteggiamento fondamentale dell’uomo verso la donna. Se il racconto fosse stato riferito da una donna, avremmo avuto una versione della creazione del tutto diversa…

Una volta, a esempio, in una scuola elementare fu dato un tema dal seguente titolo:

“Narrate la creazione dell’uomo.”

Una bambina, che voi conoscete molto bene, scrisse:

“Dio creò prima Adamo. Poi, guardandolo, si disse: “Credo che se provassi di nuovo potrei fare meglio.” Quindi, creò Eva.”          

Una ingenua versione del mito, del tutto femminile!

In tempi, in cui la frequenza dei divorzi ha raggiunto un record e il problema dei rapporti tra i sessi genera crescente perplessità, un articolo come questo mi sembra di grandissimo aiuto. Senza dubbio, non fornisce ciò che tutti si aspettano, vale a dire una ricetta valida per ognuno, che risolva, in modo semplice e pratico, questo spaventoso complesso di questioni, cosicché non sia più necessario tormentarsi su di esse, ma dà, in larga misura, qualcosa di cui, oggi, si sente un grande bisogno: la comprensione.

Oggi, che i sostegni esterni, nei quali l’uomo aveva riposto la sua fede, sembrano vacillare, è tanto più necessaria una interiore certezza per sostenere ogni urto che possa venire dal di fuori. Le forze della decadenza si fanno sentire ovunque: il conto in banca non è più un pensiero rassicurante; troppo spesso, si costruisce una fortuna come un bambino costruisce un castello di sabbia prima del sopraggiungere della marea; ogni sicurezza esterna sembra compromessa.

Dove rifugiarsi?

L’uomo religioso, nei periodi oscuri, si è sempre rifugiato nel regno dello spirito, disprezzando i beni mondani. Ma questa fuga dal mondo non soddisfa l’uomo moderno che aspira a una vita più completa e piena sulla terra. Desidera realizzare la propria spiritualità durante la vita, piuttosto che in un problematico Aldilà. Anche, l’interesse esclusivo per il mondo esterno si è dimostrato tanto insoddisfacente quanto la sua rinuncia. Oggi, noi assistiamo al sorgere di un assai diverso metodo di valutazione, basato sulla comprensione psicologica della natura umana la quale, forse, può trovare in sé l’equilibrio tra i due estremi, il materialismo e la fuga dal mondo.

La comprensione è un bene inestimabile; ma per molti, in particolare per le donne, deve accompagnarsi a una pratica operante, se non si vuole vivere invano la propria vita. L’uomo crea l’idea e la donna la trasforma in realtà vivente.

A coloro che cercano una simile pratica di vita, dedico questo mio articolo.   

Buon 2013 e… come terminano, per tradizione, le fiabe, possiate tutti vivere, per sempre, felici e contenti…

http://www.youtube.com/watch?v=EFi9N8CwFRc

Daniela

 

Quale donna non sogna il suo Principe Azzurro?

Noi non siamo più bambine e, tuttavia, confessiamolo, continuiamo ad attenderlo e a cantare:

“Il mio Amore un dì verrà… [http://www.youtube.com/watch?v=eLTwTOdOrkk]”

Ma il Principe Azzurro esiste veramente?

Dalla nostra infanzia, non sentiamo parlare che di lui.

È lui, che sveglia la Bella addormentata nel bosco, è lui, che salva Biancaneve dalla morte. È lui, che appare, con la sua immagine levigata e irreprensibile, dappertutto: sui muri delle città, nelle pubblicità televisive, nei romanzi rosa, sulle riviste patinate…

Ma ciò che ci stupisce, è che nessuno degli uomini che incontriamo gli somigli!

È difficile scardinare dalla mente stereotipi che hanno strutturato e nutrito l’immaginario fino dalla nostra più tenera infanzia!

Tuttavia, anche se il sogno del Principe Azzurro può apparire universale, la sua immagine è ben lungi dall’essere stereotipata e si adatta all’inconscio di ogni donna.

Oggi, in tempi di femminismo sempre più maturo, in cui le donne sempre più aprono gli occhi e guardano in faccia la realtà, sono, sempre meno, quelle che sono disposte a credere nelle favole, consapevoli che dagli uomini possono attendersi, forse, una modesta protezione, talvolta, uno scarso aiuto, spesso, molti guai.

Insomma questo mitico Principe Azzurro che, infilandoci al dito l’anello nuziale, ha il potere magico di fare di noi delle “vere donne”, sta stendendo le cuoia.

Pace all’anima sua!

Ma quando è nato questo Principe?

Chi lo ha inventato?

Molti, ignorando ciò che al riguardo ha scritto il noto psicologo Bruno Bettelheim [1903-1990], si affretteranno a rispondere:

“Lo hanno inventato i fratelli Grimm.”;

“Niente affatto!”,

replicheranno altri,

“L’autore è Giambattista Basile [1566-1632], quello del Pentamerone, o semmai Hans Christian Andersen [1805-1875].

Ma, a questo punto, si leverà la voce autorevole del Signor Sotutto che sentenzierà:

Charles Perrault [1628-1703] è l’autore e l’inventore del Principe Azzurro, prova ne sia che fu lui, tra il 1628 e il 1703 a scrivere, pare per divertire il Re Sole fanciullo, La Bella addormentata nel bosco, Biancaneve e tante altre splendide fiabe.”     

E sbaglia due volte: in primis, perché, al tempo di Perrault, il Principe Azzurro era, già, vecchio decrepito, dopo aver vissuto in racconti anonimi, tramandati, per secoli, di generazione in generazione. In secundis, perché molte favole di Perrault, in realtà, furono scritte, e prima di lui, da una donna, sua nipote Mademoiselle Marie-Jeanne L’Héritier de Villandon [1664-1734]. L’editore stimò opportuno pubblicarle con la firma del celebre zio e aveva le sue buone ragioni.

In un’epoca, in cui le donne contavano zero ed erano considerate macchine buone al più per cucinare, pulire la casa, procreare e allevare figli, chi avrebbe mai preso sul serio e acquistato un libro scritto da una donna?

Quanto all’antichissima origine del Principe Azzurro e della fiaba in genere, è proprio Mademoiselle Lhéritier, la nipote di Perrault, che ne informa le sue contemporanee, scrivendo:

“Non metto in dubbio che questo racconto [Finetta, N.d.R.] sia alquanto famoso, ma non so se siate informate di ciò che la tradizione riferisce sulla sua antichità. Si tramanda che i trovatori o narratori di Provenza avessero inventato Finetta molto prima che Abelardo o il celebre Thibaud, conte di Champagne, dessero alla luce i loro romanzi.”

Inoltre, nel suo racconto La gatta bianca, Madame Marie-Catherine, baronessa d’Aulnoy, nata Le Jumel de Barneville [1650-1705], descrive un castello, sulle cui pareti di porcellana sono raffigurate le famose avventure di Pelle d’Asino, di Finetta, del Melarancio, di Graziosa e della Bella addormentata nel bosco.

Mademoiselle Lhéritier non fu l’unica donna, in quel periodo, a scrivere fiabe e racconti di Fate, ovviamente pullulanti di Principi di tutti i colori; vi erano anche Madame d’Aulnoy, Madame de Murat, Henriette-Julie de Castelnau, [1670-1716], Mademoiselle Charlotte-Rose de Caumont La Force [1650-1724] e Madame Jeanne-Marie Leprince de Beaumont nata Vaimboult [1711-1780], tutte donne colte, “preziose” che, poi, in parte, Molière [1622-1673], mise in ridicolo in una sua celebre commedia [non a caso, appuntando i suoi strali sulle donne “preziose” e trascurando di fare altrettanto con gli uomini altrettanto “preziosi”, che, altrettanto, appartenevano a quella scuola letteraria francese].

Queste autrici di fiabe furono donne colte, che, più o meno, ruotarono intorno alla corte del Re Sole, e i loro racconti ne portano i chiari riflessi, sia nelle lunghe, pressoché ossessionanti descrizioni di costumi fastosissimi, grondanti oro, perle e pietre preziose nonché piume rare, sia nelle non infrequenti critiche alla corruzione, che a corte imperava.

Madame d’Aulnoy, normanna, fu la più prolifica di queste narratrici e anche la più dotata. Trovò, come le altre, del resto, fonte di ispirazione nelle sue personali sventure. Maritata a quindici anni, per volere della famiglia, con un uomo tre volte più vecchio di lei, sopportò il ruolo dell’angelo del focolare fino a quando restò vedova. E, in quel momento, iniziò a vivere la sua vera vita. Si stabilì in un convento, dove fu, finalmente, libera di esprimere quanto voleva: in tredici anni, scrisse ventisei volumi.

Madame de Murat disse di lei:

“Non ci si annoiava mai in sua compagnia… Scriveva come faccio io, per fantasia, in mezzo al frastuono e a tutta la gente che la andava a trovare.”

Va detto che, a quel tempo, i conventi non somigliavano, esattamente, a carceri, e, certamente, erano luoghi, in cui le donne potevano vivere meglio che nelle case di origine o di spose.

Anche Mademoiselle de la Force era una donna dell’alta società e scrisse, anche lei, per rifarsi della durezza della sua esistenza di donna: la sua vita fu “una costrizione perpetua” e ne evadeva solo scrivendo fiabe, fiabe così belle che furono definite “fiabe più fiabe delle altre”.

Opere indubbiamente interessanti, queste favole scritte da donne e non solo per la particolare ricchezza di fantasia e di inventiva delle autrici, ma anche perché, in vari modi, rispecchiano la condizione femminile, del tempo. A esempio, la bellezza aveva una importanza immensa ed era, sempre, sinonimo di bontà.

E non meravigli!

Mai come allora una donna veniva venduta bene, sul mercato del matrimonio, solo – quando non vi era una buona dote – se era bella. In questi racconti, il Principe Azzurro costituiva lo scopo supremo cui la donna tendeva con tutte le sue forze. L’amore era, sempre e soltanto, sinonimo di matrimonio; in molti casi, lei amava lui, ma gli resisteva fuggendolo, perché ne temeva la volubilità in quel secolo di farfalloni, particolarmente, virulenti. Queste dame, deluse dal matrimonio, non ebbero, dunque, la forza necessaria per denunciare altrimenti l’imbroglio che il matrimonio celava, ma difesero l’amore, anzi l’AMORE, questo sì. E ciò ha la sua grande importanza, poiché, come la storia di Madame d’Aulnoy insegna, una ragazza non aveva nessuna possibilità di scegliere e sposare, liberamente, l’uomo del quale si fosse, per caso, innamorata. In questo mare, talvolta, di stucchevoli descrizioni di meraviglie, di fate, di cocchi, di abiti splendidi e di gioielli a pioggia, troviamo segni che rivelano le pieghe segrete dell’animo femminile, ottima materia di studio per gli analisti, che volessero prendersi la pena di studiare a fondo questi racconti. Solo dalle pesanti repressioni, che le donne subivano, potevano, a esempio, avere origine certe fantasie sadiche, quali quelle, descritte in una di queste fiabe, in cui Principi, trasformati, per magia, in gatti, sono appesi al soffitto per la coda, con, a un palmo dai loro baffi, grossi topi, i quali non sono che Principesse condannate a vivere, per un certo numero di secoli, in quella forma, inchiodate al un tavolo, con, anche loro, a breve, ma irraggiungibile distanza, grossi pezzi di formaggio sotto il naso.

Sadismo, dunque, presente in dosi maggiori, si direbbe, di quanto le fiabe siano solite propinarne. Vi troviamo madri e padri sadici, quali il padre di Graziosa che, vedovo, sposa una orrenda megera, per amore del suo danaro, e abbandona la sua propria figlia ai perversi maltrattamenti della matrigna. Le matrigne, inutile dirlo, sono tutte sadiche e altrettanto pessime e nefaste sono, spesso, anche zie, sorelle, sorellastre e affini.

Insomma, traspare quale inferno dovesse essere la vita delle donne, se, come ci narrano, neppure la protezione delle Fate bastasse, giacché vi era, sempre, qualche altra Fata più potente e più cattiva da qualche altra parte.

Così, nel finale di Graziosa e Persinetto, di Madame d’Aulnoy, al matrimonio dei due:

“Da mille leghe intorno arrivarono tutte le Fate in sontuosi equipaggi: alcune in cocchi tirati da cigni, altre da draghi, trasportate sulle nuvole, o anche in globi di fuoco. Venne perfino quella che aveva aiutato Brontolona a tormentare Graziosa; quando la riconobbe rimase di stucco per la sorpresa e la scongiurò di voler dimenticare quel che era accaduto, dicendole che avrebbe cercato, in ogni modo, di riparare tutti i mali che le aveva fatto soffrire. Sta di fatto che non osò partecipare al banchetto e, risalita sul suo cocchio tirato da due orribili serpenti, volò al palazzo del padre di Graziosa, vi cercò Brontolona e le tirò il collo senza che le sue guardie e le sue ancelle potessero impedirglielo.”  

Non abbiamo mai incontrato il Principe Azzurro?

Non sentiamoci disperate per questo.

È normale essere esigenti e non concedersi al primo venuto.

Tuttavia, se iniziamo ad averne abbastanza della condizione di single e sentiamo che è tempo di incontrare qualcuno, mettiamo in campo tutte le nostre chances per trovare il Principe Azzurro.

Soprattutto, non attendiamolo passivamente.

Attendiamo, forse, il Principe Azzurro, ma non siamo chiuse in una torre!

Come lo immaginiamo, questo Principe Azzurro?

Naturalmente, lo immaginiamo, raramente, con una spada e su un cavallo bianco!

L’immagine del Principe Azzurro evolve con il tempo e si è, se non altro, modernizzata.

Al di là del suo aspetto fisico, che si immagina perfetto ai nostri occhi, il Principe Azzurro deve possedere qualità morali essenziali per riuscire a conquistare il cuore delle donne. Per alcune, il partner ideale è, innanzitutto, qualcuno di leale, di onesto, di intelligente e di sincero. Per altre, può, al contrario, avere l’immagine di un avventuriero ed essere un amante appassionato e pieno di sorprese.

Intelligenza, bellezza, carattere, charme, sex-appeal, lealtà, empatia, tenerezza, humour, la lista delle caratteristiche del Principe Azzurro può divenire ben lunga!

Prestante, occhi azzurri o neri, di una sincerità assoluta, in piena forma, sempre pronto per l’avventura o per la vita familiare semplice, si prenderà cura di noi, asciugherà le nostre lacrime, ci difenderà contro il mondo intero, se occorre.

Forse, lo riveleremo a se stesso!

Fino ad allora, svolazzava di donna in donna?

Con noi, eccolo pronto a impegnarsi seriamente!

Méfions-nous des images d'Epinal!

Seriamente!

Crediamo, davvero, che lo stesso uomo standard convenga a tutte?

Queste belle immagini, di cui noi sogniamo tutte, sono artificiali!

L’uomo ideale e l’uomo reale fanno 2!

In verità, noi abbiamo, proprio, dimenticato un dettaglio: un uomo, non è solo una figura di cera che si modella a volontà. È, innanzitutto, un corpo vivo, che si trasforma, nel corso dei giorni e degli anni, che ha un odore, una barba che spunta e che punge, che perde i capelli e che, talvolta, ha desideri e bisogni dei più fisici.

Questo uomo, di cui noi sogniamo tanto, lo abbiamo mai immaginato stanco o di cattivo umore, dopo una giornata estenuante?

E, poi, crediamo si possa essere il Principe Azzurro di una Principessa che non è, neppure lei, sempre Rosa?

Perché riconosciamolo, anche noi, abbiamo i nostri umori, i nostri momenti di egoismo, i nostri scoraggiamenti, le nostre impennate!

Allora, vogliamo, realmente, incontrare il Principe Azzurro?

Il Principe Azzurro è, certamente, un bell’ideale, ma, in fondo, in una relazione, amiamo l’Altro per ciò che è e lo accettiamo con le sue qualità e i suoi difetti. 

L’uomo che cerchiamo non ha, certo, bisogno di essere perfetto per piacerci!

Allora, non inganniamoci!

Non rigettiamo tutti gli altri uomini, con il pretesto che non somigliano all’uomo ideale. Giorno verrà che uno di loro, semplicemente perché sarà innamorato di noi e noi di lui, inizierà a somigliare, terribilmente, all’uomo dei nostri sogni, con una qualità in più: esisterà!  

 

Stretta è la soglia, larga è la via, dite la vostra che ho detto la mia…

 

Assunta Daniela Veruschka Zini

Copyright © 1° gennaio 2013 ADZ