“Cessate infine di ripetere che Auschwitz non
si spiega, che Auschwitz è il frutto di forze irrazionali, inconcepibili per la
ragione, perché il male ha sempre una spiegazione razionale. Ascoltatemi bene,
ciò che è realmente irrazionale e che non ha veramente spiegazione, non è il
male, al contrario: è il bene.”
Imre Kertész (1929), scrittore ungherese, deportato ad
Auschwitz, nel 1944, Premio Nobel della letteratura 2002, Kaddish a meg nem született gyermekért
(Kaddish per un bambino che non nascerà), 1990
Il 1° novembre 2005, l’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite adotta una risoluzione “storica”, che proclama il 27
gennaio, giorno della liberazione del campo di sterminio nazista di Auschwitz,
“Giornata Internazionale di Commemorazione in Memoria delle Vittime
dell’Olocausto”, per ricordare i crimini del passato e prevenire atti di
genocidio in futuro. Il 24 gennaio dello stesso anno, l’Assemblea aveva
commemorato, per la prima volta, il 60° anniversario della liberazione dei
campi di concentramento nazisti in una sessione storica. Più di trenta
personalità avevano preso la parola per rendere omaggio alle vittime dei
carnefici nazisti ed esortare la comunità internazionale a trarre lezione da quanto accaduto ad Auschwitz.
“I genocidi in Cambogia e in Rwanda non sarebbero
mai dovuti accadere e quanto accade nel Darfur, nell’indifferenza generale, non
dovrebbe verificarsi. Il mondo non trarrà, dunque, mai insegnamento da quanto è
accaduto ad Auschwitz e negli altri campi della morte?”
si era chiesto, il Premio Nobel della pace, sopravvissuto
ai campi di concentramento nazista, Elie Wiesel, e aveva proseguito:
“Noi sappiamo che per i morti è troppo tardi.
Per loro, abbandonati da Dio e traditi dall’umanità, la vittoria è venuta
troppo tardi. Ma non è troppo tardi per i bambini di oggi, i nostri e i vostri.
È solo per loro che noi testimoniamo.”
Più di 6 milioni di ebrei, di cui almeno 1,2
milioni di bambini sono stati sterminati dai nazisti durante la seconda guerra
mondiale, dei 9 milioni che vivevano in Europa alla vigilia della guerra. Nei
campi della morte sono periti circa mezzo milione di zingari e circa 250.000
portatori di handicap, nonché migliaia di oppositori al regime, di
intellettuali e di omosessuali.
Sessantacinque anni fa, il 27 gennaio 1945, alla
liberazione del campo di Auschwitz, l’esercito rosso scopriva 7.000
sopravvissuti, di cui 200 bambini, mantenuti
in vita come cavie per gli esperimenti degli scienziati nazisti.
Numerosi ebrei sopravvissuti all’Olocausto
hanno testimoniato l’orrore che hanno vissuto nei campi. A lungo, hanno avuto
difficoltà a essere ascoltati. La
Polonia comunista ha sempre mantenuto un silenzio sul fatto
che i campi facessero parte di un sistema concepito per sterminare
specificamente il popolo ebreo.
Raccontare quanto accadde è importante perché
questo non accada più. I sopravvissuti all’Olocausto sono, oggi, molto anziani
e, ben presto, non potranno più testimoniare. Spetta, quindi, alle nuove
generazioni conservare la memoria.
La
storia recente e i testi antichi, quali la Bibbia, abbondano di racconti di sterminio.
E, dunque, si devono mettere nello stesso
sacco i genocidi, i massacri di guerra, i crimini contro l’umanità…?
Per evitare ogni confusione, lo storico
Bernard Bruneteau, ricorda l’importanza di una definizione rigorosa dei
concetti di crimine contro l’umanità e di genocidio.
La distinzione tra crimine di guerra e crimine
contro l’umanità è introdotto dall’Accordo di Londra dell’8 agosto 1945, nello
Statuto del Tribunale Militare Internazionale che ha giudicato a Norimberga i
criminali nazisti.
È il primo utilizzo di questo concetto da…
Robespierre.
L’Accordo di Londra definisce il crimine di
guerra come “l’assassinio, lo sterminio, la
riduzione in schiavitù, la deportazione e qualsiasi altro atto inumano commesso
ai danni di una qualsiasi popolazione civile, prima e durante la guerra, ovvero
le persecuzioni per motivi politici, razziali o religiosi” (articolo 6).
Si può notare come questa definizione sia ristretta al quadro della seconda guerra
mondiale. Non sia generica. La sua conseguenza giuridica fondamentale è di
essere imprescrittibile: i suoi autori possono essere perseguiti fino
all’ultimo giorno della loro vita, si tratta di uno “strappo” a un principio
giuridico immemorabile che deve essere usato con precauzione.
Più tardi, nella prima sessione
dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, l’11 dicembre 1946, con la Risoluzione 96, è
definito il concetto di genocidio come “una negazione del diritto alla vita
di gruppi umani”, che questi “gruppi razziali, religiosi, politici o altri,
siano stati distrutti interamente o in parte”. Il genocidio entra così
nella categoria dei crimini contro l’umanità. Ma l’allusione al fatto politico
dispiace all’URSS, che ha molto da biasimarsi. E, la definizione è edulcorata
nell’articolo II della Convenzione delle Nazioni Unite del 9 dicembre 1948 (1)
che definisce come genocidio “atti commessi nell’intenzione di distruggere, interamente
o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale”. L’esclusione
del fatto politico fa ancora dibattere gli specialisti, così come sottolinea
Bernard Bruneteau, perché porta a escludere, a esempio, il massacro degli Hutu
moderati dal genocidio dei Tutsi, nel 1994, e non tiene conto, secondo lui, di
una constatazione evidente:
“I genocidi commessi contro dei gruppi
razziali, etnici o religiosi sono generati sempre da conflitti o da
considerazioni ideologico-politiche.”
Bernard Bruneteau mette in guardia da una
doppia deriva:
la
prima, ultrarestrittiva, vede nell’Olocausto (lo sterminio degli ebrei) il solo
vero genocidio; stabilisce, a esempio, una differenza tra la pretesa
“razionalità” dei crimini staliniani, commessi in nome di un ideale onorevole,
e l’assoluta “irrazionalità” dei crimini nazisti;
la
seconda, estensiva, induce a qualificare genocidio o crimine contro l’umanità
tutti i misfatti di una certa ampiezza rischiando di negare ogni pertinenza a
questi concetti.
L’antisemitismo è antico in Europa come lo
attestano i numerosi progroms che hanno insanguinato i paesi europei, dal
medioevo alla fine del XIX secolo. Ma l’antisemitismo nella sua forma “moderna”
e “razziale” appare nel XIX secolo. In Germania, Wilhelm
Marr (3) fonda una lega antisemita e, in Francia, Joseph Arthur de Gobineau scrive Essai sur
l’inégalité des races. Edouard Adolphe Drumont
pubblica, nel 1886, La
France juive.
Tuttavia, nulla predisponeva la Germania a sviluppare un
antisemitismo più radicale che avrebbe condotto al genocidio. Al contrario,
l’emancipazione degli ebrei tedeschi per tutto il XIX secolo aveva favorito la
loro integrazione in seno alla società.
Dalla sua origine l’antisemitismo fu un tema
ripreso e sviluppato dai movimenti e dai partiti di estrema destra di tutti i
paesi europei, come mostra il caso Dreyfus, in Francia.
Nel 1924, il partito nazista è ancora molto
piccolo, quando Adolf Hitler esce di prigione, dove ha scritto Mein Kempf.
Per accrescere il suo pubblico Hitler deve attendere la crisi economica che
inizia negli Stati Uniti, nel 1929, e colpisce la Germania, con estrema
violenza, dal 1930. La maggior parte dei militanti del partito nazista è,
allora, costituita da piccoli commercianti e da esercenti le libere professioni,
schiacciati dalla crisi e soggetti alla crescente concorrenza delle grandi
imprese.
Al di là di questa base sociale, Hitler, che
si è lanciato in una strategia elettorale, cerca di attirare i sei milioni di
disoccupati che conta la
Germania e di allargare il suo elettorato tra gli operai. Di
più, tenta di ottenere il sostegno dei grandi capitalisti, che per fronteggiare
la crisi economica, sognano di un
partito capace di spezzare con forza tutte le organizzazioni operaie. Queste
classi sociali hanno, naturalmente, interessi contraddittori. L’antisemitismo è
allora l’elemento fondamentale che permette di fondere nello stesso partito
elettori provenienti da orizzonti diversi. Gli ebrei, che Hitler assimila
volentieri al socialismo e al comunismo sono qualificati parassiti viventi del
lavoro del popolo tedesco e ritenuti responsabili dalla propaganda nazista di
tutte le disgrazie che colpiscono la Germania.
Quando la guerra scoppia, nel 1939, diviene
sempre più difficile considerare la deportazione massiva degli ebrei in territori
che non siano sotto il controllo tedesco e i nazisti pianificano di concentrare
gli ebrei in riserve situate nei territori conquistati nell’est dell’Europa.
Eì, nel 1940, è creato a Lods il primo grande
ghetto che raggruppa 150.000 ebrei.
Il 20 maggio 1941, Goering afferma che, per
una “soluzione finale della questione ebraica”, vorrebbe indurre con
tutti i mezzi gli ebrei tedeschi alla partenza.
La repressione di ogni opposizione interna e
le condizioni di guerra rendono la situazione arroventata. Nonostante le
violenze e le persecuzioni, tuttavia, sembra che i nazisti non prendano ancora in
considerazione lo sterminio degli ebrei. Pensano, a esempio, nel giugno del
1940, di deportare gli ebrei in Madagascar. Eppure, l’ideologia nazista con la
violenza del suo antisemitismo lasciava già intravedere i massacri a venire. Il
30 gennaio 1939, Hitler in un discorso al Reichstag dichiarava:
“Se la giudecca internazionale, in Europa e al
di là dell’Europa, spingesse ancora una volta i popoli alla guerra mondiale, il
risultato non sarebbe la bolscevizzazione della terra e la vittoria degli
ebrei, ma la distruzione della razza ebrea in Europa.”
Fino al 1941 la Germania nazista riporta
una serie di vittorie militari folgoranti. La guerra-lampo ha permesso di
vincere e di occupare in poche settimane la Polonia e, poi, la Francia, il Belgio, i
Paesi Bassi… Ma con l’invasione dell’URSS, il 22 giugno 1941, la guerra cambia
natura: ormai la guerra diviene totale, la Germania deve impegnare tutte le sue risorse in
questa “guerra di annientamento” per sperare di vincere il giudaico bolscevismo.
Dall’inizio dell’invasione, sotto l’autorità
di Reinhard Tristan Eugen Heydrich erano state
create delle unità speciali della polizia e delle SS (4), le Einsatzgruppen,
incaricate di giustiziare, dapprima, i membri dell’intellighenzia, poi, tutte
le famiglie ebree. Anche se dall’estate del 1941, i nazisti hanno intrapreso lo
sterminio degli ebrei sovietici, questa decisione non concerneva ancora gli
altri ebrei.
Il 31 luglio 1941, Goering domanda a Heydrich
“di apportare alla questione ebraica, sotto la forma dell’emigrazione o
dell’evacuazione, la soluzione più favorevole”.
La decisione di procedere al genocidio, vale
a dire alla volontà di sterminio dell’insieme della popolazione ebrea dell’Europa,
è presa, solo progressivamente, nel corso dell’autunno del 1941, quando i primi
rovesci dell’esercito tedesco sul fronte russo annunciano il fallimento della
guerra-lampo.
La seconda potenza economica mondiale mette
allora in opera tutti i mezzi di cui dispone a profitto della sua follia
criminale. I nazisti applicano per il genocidio gli stessi metodi degli industriali
alle loro imprese: bisogna essere più rapidi, più redditizi. Le esecuzioni per
fucilazione sono troppo lente e troppo traumatizzanti per gli esecutori, allora
i nazisti procedono alla gasazione, all’inizio in camion mobili, poi, nei campi
di sterminio, vere officine dove è messo a punto l’assassinio industriale.
Il 20 gennaio 1942, una quindicina di
dignitari nazisti e di ufficiali delle SS si riuniscono in una villa sulle rive
del Lago di Wansee, su invito di Heydrich, e mettono a punto la deportazione
degli ebrei dell’ovest dell’Europa nei campi di concentramento situati in
Polonia.
Il genocidio perpetrato dai nazisti è il più efferato
del XX secolo.
Un genocidio non si distingue dalle
persecuzioni commesse da uno Stato unicamente per il numero dei morti ma per la
sua stessa natura. Generalmente uno Stato, che perseguita una parte della sua
popolazione, cerca di espellerne una parte. Più spesso ancora tenta di
sottometterla con la violenza per poter
continuare a sfruttarla. Nel caso di un genocidio, le barriere della
razionalità sono oltrepassate, il fine dello Stato non è di sottomettere, ma di
sterminare tutta una popolazione. Il genocidio commesso dal regime nazista non
si può comprendere senza ricordare che il razzismo è al centro dell’ideologia
di Hitler, per il quale la storia del mondo si realizza nella lotta delle razze
superiori contro le razze inferiori.
È sempre stato difficile dare una spiegazione
all’Olocausto, talmente rappresenta l’indicibile, l’orrore assoluto. Ma, questo
genocidio inimmaginabile fu il risultato indiretto della crisi del capitalismo
negli anni 1930. Per risolvere la crisi, i datori di lavoro tedeschi erano
pronti a dare il controllo dello Stato tedesco all’organizzazione nazista, che
rappresentava la follia paranoica della piccola borghesia.
Con i mezzi dello Stato più industrializzato
d’Europa, le conseguenze non potevano non essere orribili.
Gli eventi dimostrano che non vi è limite
agli orrori del capitalismo in crisi.
Note:
(1) Art. II: Nella presente Convenzione, per
genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di
distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o
religiose, come tale:
(a) uccisione di membri del gruppo;
(b) lesioni gravi all'integrità fisica o
mentale di membri del gruppo;
(c) il fatto di sottoporre deliberatamente il
gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica,
totale o parziale;
(d) misure miranti a impedire nascite
all'interno del gruppo;
(e)
trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.
(2) Pogrom è un termine storico di
derivazione russa (Погром, che, in italiano, significa letteralmente
distruzione), con cui vengono indicate le sommosse popolari antisemite, e i
conseguenti massacri e saccheggi, avvenuti in Russia al tempo degli zar, tra il 1881 e il 1921, con il consenso - se
non con l'appoggio - delle autorità.
(3) Wilhelm Marr (1819-1904), autore
dell’opuscolo Der Weg zum Siege des Germanentums über das Judentum (La strada
verso la vittoria del Germanismo sul Giudaismo) fonda, nel 1879, la Antisemiten-Liga
(Lega Antisemita), la prima organizzazione tedesca impegnata specificamente nel
combattere la presunta minaccia posta alla Germania dagli ebrei, che sostiene la
loro rimozione forzata dal paese. Marr rappresenta un importante anello della
catena evolutiva del razzismo tedesco che sfocia nel genocidio dell'epoca
nazista.
(4) Le SS – abbreviazione del tedesco
Schutzstaffeln (reparti di difesa) – erano un'unità paramilitare d'élite del
Partito Nazista. Vengono formate reclutando appartenenti delle SA, nel 1925,
per essere la guardia personale di Adolf Hitler e per sorvegliare i raduni del
partito. Il 6 gennaio 1929, Hitler nomina Heinrich Himmler capo delle SS, le
quali contano, al momento, solo 280 uomini. Con l'approvazione di Hitler,
Himmler amplia i ranghi delle SS e, alla fine del 1932, si calcolano ben 52.000
membri. Dopo un solo anno supereranno i 209.000 uomini.
Daniela Zini
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