TRAFFICO DI ORGANI UMANI
a R. G.
Che la Sua Morte trovi, infine, Giustizia,
per la Pace, in Vita, dei Suoi Genitori.
“Nel corso della Storia, è stata
l’inattività di coloro che avrebbero potuto agire; l’indifferenza di coloro che
avrebbero dovuto saperlo più degli Altri; il silenzio delle Voci quando più
erano importanti; che ha reso possibile il trionfo del Male.”
Hailé
Selassié
La
Vita non è lineare. In genere, sicurezza e pericolo coesistono negli stessi
oggetti e negli stessi fatti.
Nelle
giuste o sbagliate condizioni, tutto ciò che è essenziale alla nostra esistenza
può trasformarsi in qualcosa di dannoso o fatale: l’acqua può annegare, il cibo
può avvelenare, l’aria può soffocare.
I
Bambini nascono, mettendo a rischio la Vita delle loro Madri, e divengono
adulti, dovendo affrontare innumerevoli rischi.
Per
molti, in particolare, per i benestanti e i benpensanti, l’instabilità è
sinonimo di cambiamento e il cambiamento non può che essere per il peggio.
Non
stupiamoci se nessun uomo politico sostenga, pubblicamente, questa tesi!
La
massa ama la stabilità. Lo status quo, benché non abbia alcun fondamento
ideologico e non sia particolarmente meritevole di lode, è il risultato
dell’interazione tra forze sociali. Forze che la massa conosce e comprende.
Questo
equilibrio soddisfa la massa, che non auspica nulla di meglio della stabilità.
La
paura spinge, incessantemente, la massa a inventare o a esagerare i rischi.
La
televisione ci mette, inoltre, prepotentemente, a confronto con eventi che
accadono a migliaia di chilometri di distanza. Sappiamo che, spesso,
considerata la crescente interdipendenza tra i Paesi, i problemi che
interessano una area del Mondo, possono coinvolgere rapidamente altre aree.
Tutto
ciò genera confusione e suscita un atteggiamento distorto nelle nostre menti.
Nei
salotti delle nostre case si riversano, ininterrottamente, problemi sempre
nuovi.
Problemi
così tangibili da divenire spaventosi, tuttavia, abbastanza remoti da non
richiedere un coinvolgimento effettivo e affettivo.
Nella
massa questo atteggiamento può essere giustificabile, negli uomini politici NO.
Ho
sempre pensato che i proverbi siano una coacervo di frasi fatte, un florilegio
di luoghi comuni.
E,
tuttavia, ve ne è uno che gode di tutto il mio rispetto:
“Non
vi è peggiore sordo di chi non vuole sentire!”,
e
io aggiungerei:
“E
peggiore muto di chi non vuole parlare!”
Il
25 giugno 1942, quando i nazisti erano in difficoltà e le sorti della guerra
poco distinte, il giornale inglese The Daily Telegraph pubblicò uno dei più
grandi scoops della Storia dal titolo:
Ma,
nell’articolo, si parlava di un numero anche maggiore di vittime. Era una delle
prime notizie su uno dei grandi fatti del Secolo.
E
aveva, anche, il raro pregio di poter servire a qualcosa.
In
quel momento, il massacro era ancora in atto e altri milioni di Esseri Umani
sarebbero stati soppressi, negli anni a venire.
Saperlo
avrebbe potuto spingere ad agire.
Ma
il giornale, che di pagine ne contava solo sei, pubblicò quella breve notizia
alla pagina cinque.
E
nessun altro quotidiano la riprese.
Sarebbero
trascorsi anni prima che l’Umanità decidesse di inorridire di fronte
all’Olocausto.
In
quei giorni non ne aveva intenzione…
L’Olocausto
è stato un momento eccezionale della Storia.
Oggi,
muoiono solo 8 milioni di Esseri Umani, l’anno, per cause legate alla fame.
Le
guerre creano masse di rifugiati.
E
migliaia di migranti affogano o si perdono, cercando una Vita migliore.
Naturalmente,
ciò non accade a noi, che leggiamo queste notizie.
Sono,
sempre, gli Altri, come Altri erano gli Ebrei.
E
la loro Storia non cessa di uscire in penultima pagina, quando esce!
Platone diceva:
“Conoscere è
ricordare.”
E, il tentativo
evoca profondi strati di Passato: voci, suoni, odori, persone e così via, senza
fine.
Nell’epoca in
cui si porta al massimo sviluppo l’individualità, l’Uomo ha, fortemente,
bisogno di una conoscenza che, per sua natura, spinga il pensiero verso il
cuore e di là verso l’azione, che svegli il senso di appartenenza a
innumerevoli Esseri e, quindi, a un comportamento armonico per la vita di
questi Esseri.
D
“Il fatto che l’uomo sappia
distinguere tra il bene e il male dimostra la sua superiorità intellettuale
rispetto alle altre creature; ma il fatto che possa compiere azioni malvagie
dimostra la sua inferiorità morale rispetto a tutte le altre creature che non sono
in grado di compierle.”
Mark Twain
“I Balcani sono un crogiolo di
particolarità che non cessano di confondersi e contrapporsi. Un luogo dove la Storia
sfida la geografia e la Storia sfida persino la psicologia. Vogliamo partire
dalla follia? Ebbene, là forse c’è davvero anche un rapporto particolare tra
geopolitica e tare genetiche. Il padre di Milosevic, che era un pope ortodosso,
si è suicidato. La madre si era impiccata. Anche un suo zio si era impiccato.
Il padre del presidente croato Tudjman si era suicidato dopo aver ucciso la
moglie. Il generale Mladic, il criminale di guerra massacratore dei bosniaci ha
avuto una figlia suicida come Ofelia, perché non reggeva all’onta delle
scelleratezze del padre. L’ideologo, consigliere di Karadzic a Pale, Koljevic,
si è sparato un colpo in testa, venticinque anni prima si era suicidata sua
madre, gettandosi nel fiume. Il padre di Mladic era stato ucciso dagli
ustascia. Il padre del ministro croato Sushak era stato ucciso dai partigiani.
Credo che se si considera la profondità shakespeariana delle tragedie
balcaniche, le cose assumono un rilievo particolare. Non saprei come altrimenti
spiegare un elemento particolarmente atroce dei conflitti più recenti. Nelle
guerre europee sinora, anche nell’ultima Guerra Mondiale, si ammazzavano
soprattutto soldati. Ora si ammazzano molto di più i civili.”
Milosevic?
Non gli resta che il suicidio
Predrag
Matvejevic intervistato da Siegmund Ginzberg
Anna
Politkovskaja diceva che la guerra in Cecenia riguardava l’Occidente, perché
imbarbariva la Russia e le conseguenze sarebbero state internazionali.
Ebbe parole
dure per quello che considerava il guanto di velluto dell’Occidente nei
confronti di Vladimir Putin e della Russia:
“Il più delle volte dimenticano la parola Cecenia. La
ricordano solo quando vi è un attentato. Putin ha cercato di convincere la Comunità
Internazionale che anche lui sta combattendo il terrorismo globale, che anche
lui partecipa a questa guerra così di moda. E ci è riuscito: per un periodo è
stato il migliore amico di Blair. È stato spaventoso quando, dopo Beslan, ha
iniziato a sostenere che si poteva quasi vedere la mano di Bin Laden. Che cosa
c’entra in questa storia Bin Laden? È stato il Governo russo a creare e ad
allevare quelle belve.”
Certo, Anna
Politkovskaja era animata dalla passione. Amava il suo Paese, i suoi
concittadini, perché aveva appreso a vederli attraverso lo sguardo di Osip
Mandel’stam, di Marina Svetayeva, di Aleksandr Solgenitsin, che aveva
letto perché suo padre, diplomatico, portava con sé, con valigia diplomatica,
la letteratura proibita.
Ma va detto,
anche, che Anna Politkovskaja vedeva giusto.
Aveva compreso
quello che era in gioco, in Russia, prima di molti altri, a iniziare dai troppo
saggi diplomatici e Governi occidentali, che consideravano e considerano,
ancora, la Cecenia come un affare interno russo.
“No,”,
gridava,
“vi riguarda!”
Sosteneva che
la criminalizzazione della Russia, accelerata dalla guerra in Cecenia, la
scuola di violenza, senza limiti, che costituisce l’esercito russo in molte sue
unità, la follia del danaro che non si imbarazza di alcuno scrupolo, tutto ciò
costituisse un cancro che corrode questo Paese.
E aveva
ragione.
“Questo cancro vi minaccia.”,
continuava,
rivolgendosi agli occidentali.
Nel suo libro Cecenia,
il disonore russo, Anna Politkovskaja evoca la preghiera di una vecchia
donna cecena malata, madre di una vittima della guerra, una preghiera
implorante:
“L’odio che alberga nei nostri cuori dopo questa
tragedia ci lasci.”
La giornalista
vi aggiungeva questo commento:
“Come mettere fine a questa guerra, con il suo
bagaglio di orrori quotidiani? Come si fermano le guerre?
Le guerre finiscono precisamente quando i nostri
sentimenti di odio cedono il passo. Altrimenti, come tanti condannati a morte,
aspettiamo il nostro turno, perché abbiamo affidato il nostro Paese a persone
che non hanno paura di sterminare i loro simili.
Non si tratta della guerra senza quartiere contro il “terrorismo
internazionale”, dove i “dettagli” non contano. Si tratta di capire quello che
è successo a NOI. È di noi che si tratta. Della bestialità che ha invaso i
nostri cuori. E dal cuore di questa Cecenia “pacificata” io ho voglia di
gridare: SOS!”
I Balcani
sembravano una Brutta Addormentata, nell’attesa che il Principe tornasse dai
giochi della guerra e la baciasse o che la svegliassero le trombe e i
fischietti degli studenti di Belgrado e di Sofia.
A quanto pare, l’operazione non è riuscita.
Ora, la bruttina malvestita, talvolta affamata, abituata
a tristi vicende – le tre M del transito faticoso: Mafia, Miseria e Malessere –
cerca una cosa chiamata Europa.
Nel 1990, festeggiammo in anticipo la fine del XX secolo,
una specie di mattatoio e inaugurammo il nuovo Millennio.
A Berlino, epicentro del terremoto che stava per
scuotere il mondo, nella notte tra il 2 e il 3 ottobre, la bandiera della
Germania riunificata fu issata sul pennone del Reichstag.
Nel crescendo di entusiasmo della folla, accalcata sul
prato davanti al palazzo, alla tredicesima salva di cannone arrivò in cima.
Bandiere che salgono, bandiere che scendono!
Bandiere che scandiscono i tempi!
Lunghi drappi neri fradici che sbattono contro le
facciate degli edifici quando muore la Primavera di Praga. Effimere bandierine
di carta a stelle e strisce sostituite, il giorno seguente, da quelle abituali,
rosse e di stoffa consunta, in occasione di uno degli scarti troppo rapidi di
Ceausescu.
E, poi, il vessillo pantedesco che sventola alto sull’ex-Muro:
preludio alla scomparsa della pesante bandiera sovietica di velluto, che viene
ammainata sulla guglia del Cremlino per cedere il posto al nuovo tricolore
russo, di nylon leggero e danzante, che non ha più bisogno dei
giganteschi ventilatori del regime.
E tante altre ancora!
Sembrava che, nel domani postcomunista, la partita si
sarebbe giocata tra il bene e il meglio e che il male, se non definitivamente
scomparso, si sarebbe acquattato negli anfratti. Non si è tenuto conto di
debiti insoluti, tragedie congelate, antiche questioni accantonate, che con il
primo Inverno si sarebbero ridestati, per dare inizio a un domino di rivincite.
Per cui, oggi, il futuro appare tutto sommato così così.
È difficile trovare una regola generale.
L’Asia Centrale ex-sovietica si era chiusa in se
stesssa, aveva manifestato un vero plebiscito di consensi per gli ex-segretari
comunisti travestiti da democratici o musulmani o ambedue le cose insieme,
eletti nuovi leaders e insediati fino
al Duemila e oltre.
Stavano seduti sul proprio petrolio.
Le compagnie occidentali perforavano il terreno per
vedere cosa nascondesse; ma prevaleva l’idea che, una volta esaurite le riserve
in Medio Oriente, da un Uzbekistan, fino ad allora dedito alla coltivazione del
cotone, potessero zampillare fiumi di oro nero.
Per il secolo a venire, le multinazionali petrolifere
chiedevano solo che fossero praticabili i corridoi degli oleodotti.
Comandasse chi volesse in Afghanistan e in Cecenia,
purché a qualcuno non venisse in mente di danneggiare le condutture.
Durante la Guerra Fredda, I’Europa dimenticò i Balcani e
ciò provocò una divisione all’interno della penisola: la Grecia e la Turchia
europea da un lato, e gli altri Paesi dall’altro.
Questa separazione politica, economica, culturale, tra
Est e Ovest, contribuì non poco a diversificare le mentalità e gli atteggiamenti.
Da un punto di vista geografico, si divise, erroneamente,
I’Europa in due blocchi: quello mediterraneo [il Portogallo, la Spagna, l’Italia
e la Grecia] e quello orientale [la Jugoslavia, l’Albania, la Bulgaria, la Romania,
la Polonia, l’Ungheria e la Cecoslovacchia] e la realtà balcanica venne del
tutto annullata.
Con la caduta del Muro di Berlino [9 novembre 1989], i
Balcani ritornarono sulla scena internazionale e si assistette a una ripresa di
rapporti economici con i Paesi vicini e, quindi, a una rinascita degli antichi
problemi geopolitici.
Nel
novembre del 2017, il suicidio in mondovisione dell’ex-generale croato Slobodan
Praljak, presidente della Repubblica di Bosnia-Erzegovina, dal
1991 al 1994, e condannato per crimini di guerra, ha rinfocolato le
rivendicazioni del nazionalismo croato, facendo parlare l’inquilino del Banski
Dvori [il palazzo del Governo di Zagabria], Andrej Plenkovic, di “profonda
ingiustizia morale”.
Stessa
sorte è toccata al pupazzo di Agius a Capljina, la cittadina che diede i natali
a Praljak, nell’Erzegovina Meridionale.
Praljak
era al comando delle forze croato-bosniache che attaccarono Mostar, il cui
ponte, distrutto nel 1993, è divenuto il simbolo dell’odio etnico, della
violenza dei nazionalismi, e dei più crudeli massacri avvenuti sotto gli occhi
dell’Europa, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, di cui Srebrenica
rappresenta il tragico culmine.
Eletto
Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO,
quel ponte di origine ottomana abbattuto e ricostruito, voleva simboleggiare il
MAI PIU’ dell’Unione Europea che, in
occasione del centenario della Grande Guerra, il 28 giugno 2014, celebrava la
pace con un concerto dell’Orchestra Filarmonica di Vienna, a Sarajevo [https://www.youtube.com/watch?v=LbkNMetAmWU].
“Si
tratta di un incredibile cinismo.”,
commentava
il giornalista Zlatko Dizdarevic,
“Se
vi è un luogo dove i principi europei vengono abbandonati, questo è Sarajevo.”
Uno dei più bei ponti al mondo.
Una sola arcata, esile, molto elegante. Collega tra loro due fortificazioni che
campeggiano, massicce, sulle due sponde della Neretva, il fiume che attraversa
la città bosniaca di Mostar. Il ponte ne è il simbolo. Sta a Mostar come il
Golden Gate Bridge a San Francisco, volendo azzardare un parallelo.
Lo Stari Most – vecchio ponte
nella lingua locale – fu costruito nel XVI secolo e restò in piedi per più di
quattrocento anni, finché, il 9 novembre 1993, esattamente venticinque anni fa,
non fu preso di mira dall’artiglieria croato-bosniaca [https://www.youtube.com/watch?v=kMSnskKpPpk]. E venne giù, tristemente.
Quella fu una delle immagini più devastanti della Guerra di Bosnia, scoppiata
nel 1992. Una guerra in cui i tre popoli del Paese, bosniaci [musulmani], serbi
e croati, si combatterono senza sconti.
Lo Stari Most è stato
ricostruito con i fondi della comunità internazionale, seguendo il progetto
architettonico originale. L’ultima pietra è stata posata nel 2004. E si disse,
allora, che il nuovo, vecchio ponte avrebbe ricongiunto le due anime litigiose
della città.
In realtà, il ponte non ha mai
riconciliato croati e bosniaci.
Nella notte tra il 25 e il 26
agosto del 1992, i proiettili al fosforo sparati dalle forze che assediavano la
città scatenarono un incendio che durò per giorni e distrusse il cuore della
cultura di Sarajevo, la Vijecnica, la storica Biblioteca Nazionale della Bosnia
Erzegovina. L’80% dei libri andò distrutto. Due milioni di volumi, tra i quali
moltissimi testi antichi, divennero cenere.
Nessuna
pace e nessuna ferita del passato è stata, pienamente, cicatrizzata.
Nella
zona serba della città bosniaca veniva inaugurata, lo stesso giorno del concerto, patrocinato
dalla Unione Europea, una statua a Gavrilo Princip, la cui mano, un secolo
prima, aveva premuto il grilletto contro l’arciduca Francesco Ferdinando,
trascinando il Vecchio Continente e il mondo nell’Apocalisse della Modernità.
Conoscere la Storia dei Balcani
significa scoprire un pezzo di Europa che, troppo spesso, si tende a
considerare lontano ed estraneo, nonostante la regione sia, sempre, stata tra
le pagine dei nostri libri di Storia.
L’obiettivo di questo ciclo di
articoli non è tanto fornirvi un piatto e dettagliato resoconto storico, quanto
avvicinarvi a una parte del nostro
passato, del nostro presente e del nostro futuro, con la speranza che
desideriate continuare ad approfondire.
II. MERCATO NERO
DI ORGANI UMANI
di
Daniela Zini
TRAFFICO
DI ORGANI: UNA REALTA’
I.
Un commercio in piena espansione
di
Daniela Zini
“La verità è che la definizione della
morte cerebrale fu proposta dalla Harvard Medical School, nell’estate del 1968,
pochi mesi dopo il primo trapianto di cuore operato da Christian Barnard [dicembre
1967], per giustificare eticamente i trapianti di cuore, che prevedevano che il
cuore dell’espiantato battesse ancora, ovvero che, secondo i canoni della
medicina tradizionale, egli fosse ancora vivo. L’espianto, in questo caso
equivaleva a un omicidio, sia pure compiuto “a fin di bene”. La scienza poneva
la morale di fronte a un drammatico quesito: è lecito sopprimere un malato, sia
pure condannato a morte, o irreversibilmente leso, per salvare un’altra vita
umana, di “qualità” superiore?”
Sandro Magister
Carla Del Ponte
“Nella primavera del 2008 ho
attirato l’attenzione su racconti credibili fatti alla Procura del TPIJ circa
sequestri e sparizioni di persone in Kosovo nel 1999, e su indizi che alcune
vittime di tali rapimenti erano state uccise nell’ambito di un traffico
organizzato per procurarsi e commerciare organi umani.
Queste affermazioni indignate
riportate nel mio libro di memorie, La Caccia, erano corroborate da indizi
fisici credibili e verificabili, ottenuti durante una missione nel territorio
della Repubblica d’Albania da investigatori del TPIJ e della Missione delle
Nazioni Unite in Kosovo [UNMIK] in presenza di un pubblico ministero del
Governo dell’Albania.”
Lei disse che prigionieri serbi
erano stati rapiti dall’Esercito di
Liberazione del Kosovo [UCK], alla
fine della Guerra in Kosovo, tra il 1998 e il 1999.
Lei disse che prigionieri serbi
erano stati deportati in Albania, dove erano stati assassinati.
Lei disse che da prigionieri
serbi erano stati espiantati organi per essere venduti.
Lei è Carla Del Ponte, procuratore del Tribunale Penale Internazionale
per l’ex-Jugoslavia [TPIJ], dal 1999 al 2007, la prima a dire che “l’uccisione intenzionale di prigionieri al
preciso scopo di prelevare e vendere i loro organi per lucro sia stata
organizzata da membri di alto livello dell’UCK, comprese persone che, oggi, hanno
alte cariche nel Governo di quel Paese”.
Hashim Thaci e papa
Francesco
Hashim Thaci, Fatmir Sejdiu e
George W. Bush
Hashim Thaci e Donald Trump
Justin Trudeau e Hashim Thaci
Hashim Thaci e Tony Blair
Hashim Thaci e Sebastian Kurz
Federica Mogherini e
Hashim Thaci
Hashim Thaci e
Matteo Renzi
Roberta Pinotti e
Hashim Thaci
Shaip Muja, cardiologo e
consigliere di Hashim Thaci in ambito sanitario, di cui il rapporto Marty
definisce il ruolo centrale “per oltre un
decennio in reti internazionali per niente lodevoli, compresi i traffici di
esseri umani, le procedure chirurgiche illecite e il crimine organizzato”.
Ricordiamo gli effetti di queste
dichiarazioni.
In
visita ufficiale in Kosovo, Bernard
Kouchner, era stato intervistato da un giornalista, il primo marzo del 2010,
circa le voci secondo cui sarebbe stato coinvolto nello scandalo del traffico
di organi. Diversi media serbi avevano accusato Kouchner di aver coperto tali
azioni, quando era alto rappresentante delle Nazioni Unite nella regione [1999-2001].
“Il
caso della casa gialla”, riferendosi al colore della clinica clandestina dove
gli organi stati espiantati a più di 300 civili serbi prigionieri, prima di
essere assassinati, è stata attestata dall’ex procuratrice internazionale per i
crimini di guerra Carla del Ponte, nel suo libro La Caccia. Io e i criminali
di guerra [Feltrinelli, 2009]. Quattro anni dopo le vicende, gli
investigatori dalla signora Del Ponte hanno individuato la casa gialla a
Burrell [Albania], ma non sono riusciti a trovare elementi di prova per
ricostruire la filiera.
Su
proposta della delegazione russa, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa
ha nominato il senatore svizzero Dick Marty, per aprire una nuova inchiesta.
Nel
rispondere alla stampa, Bernard Kouchner non mostra alcuna compassione per le
vittime e le loro famiglie. Assai stranamente, ha scelto di negare la
complicità passiva a lui imputata, contestando l’esistenza del reato. Inoltre,
egli definisce “bastardi assassini” coloro che hanno diffuso questa voce;
dichiarazioni che includono anche Carla Del Ponte.
Sempre
nel 2010, intervistato dal canale televisivo BBC riguardo al rapporto che Dick Marty aveva presentato al
Consiglio d’Europa sul traffico di organi durante la Guerra nella
ex-Jugoslavia, Kouchner si era detto scettico, ma comunque a favore di una inchiesta
internazionale.
L’ex-alto
rappresentante aveva, anche, ritenuta falsa l’accusa di Dick Marty a proposito
di un numero considerevole di servizi segreti e di leaders occidentali che fossero
a conoscenza del traffico di organi alla fine degli Anni Novanta:
“Anche
io sono stato accusato di esserne al corrente ma non ne sapevo nulla. Se avessi
saputo avrei premuto perché fossero avviate delle indagini. Ho sentito parlare
del traffico di organi, per la prima volta, nel 2008, quando l’ex-procuratrice
Carla Del Ponte ne aveva scritto nel suo libro e ne ero rimasto molto sorpreso.”
“Dick Marty è un pover’uomo.”
ha
dichiarato Kouchner ai microfoni della BBC,
“Nei Balcani ci siamo sempre
battuti contro il crimine organizzato, abbiamo sempre operato nel nome della
giustizia. Non mi devo difendere da alcuna accusa. Chi è Dick Marty? Non lo
conosco. Fa parte del Consiglio d’Europa e come tale va rispettato. Lo
rispetto, ho letto il suo rapporto ma sono scettico. E devo dire di non aver
mai incontrato Marty in Kosovo.”
Riguardo
all-ex premier del Kosovo Hashim Thaci, Kouchner era stato prudente:
“Non sono in grado di giudicare
il suo operato. È un politico che rispetto. Il fattore importante è che la pace
venga mantenuta in una regione dove la Comunità Internazionale ha investito
sforzi e denaro. Ritengo che i leaders occidentali non debbano sentirsi a
disagio all’idea di incontrare Thaci, perché lui non è un ostacolo. Neppure le
accuse che pesano su di lui devono essere un ostacolo.”
In questa famosa fotografia,
cinque personalità giurano, nel mese di ottobre del 1999, di portare il Kosovo
verso l’indipendenza. A sinistra, si riconosce Hashim Thachi [allora leader dell’UCK], Bernard Kouchner [allora alto rappresentante delle Nazioni
Unite in Kosovo], Sir Mike Jackson [ex-comandante delle truppe britanniche nel
massacro del Bloody Domenica, in
Irlanda, allora comandante delle forze di occupazione della NATO, oggi consulente di una società di
mercenari], Agim Ceku [comandante dell’UCK,
accusato di crimini di guerra dall’esercito canadese e dalla Serbia] e a
destra, il generale Wesley Clark [allora comandante supremo della NATO, ora un lobbista per i
biocarburanti].
Una
foto nell’album di famiglia della NATO
che qualcuno a Bruxelles, oggi, pensa sarebbe stato meglio non venisse, mai,
scattata.
Furono le accuse mosse da Carla
Del Ponte nel suo libro, La Caccia, che condussero a una inchiesta
del Consiglio d’Europa, di cui fu
incaricato Dick Marty.
Al termine della guerra, furono
i soldati tedeschi della KFOR, la
missione NATO in Kosovo, a
controllare l’area di Thaci. E proprio due eurodeputati tedeschi, Bernd Posselt
e Doris Pack, attaccarono il rapporto del Consiglio d’Europa, in cui Dick Marty
denunciava un presunto traffico di organi in Kosovo.
Secondo Marty, il traffico
sarebbe, prima, avvenuto con prigionieri catturati e uccisi dall’UCK, poi, continuato nella Clinica
Medicus con donatori viventi provenienti da Paesi poveri europei e asiatici.
Nel marzo del 2011, Posselt e
Pack riferirono al quotidiano Irish
Times che Marty non aveva presentato alcuna prova concreta, durante
un incontro a porte chiuse della Commissione
per gli Affari Esteri del Parlamento Europeo.
Doris Pack dichiarò che “almeno il 90%” degli eurodeputati
avevano criticato, aspramente, il dossier
di Marty.
Tuttavia, l’eurodeputato
italiano Pino Arlacchi, presente a quella seduta, aveva fornito una versione
diversa dei fatti:
“Posselt
e Pack hanno accusato Marty con argomenti molto deboli. Ma la maggior parte
degli europarlamentari, compreso io, abbiamo appoggiato il rapporto del
Consiglio d’Europa.”
La polizia fece irruzione nella Clinica
Medicus, nel 2008, dopo che
le
autorità di frontiera bloccarono uno dei donatori di organi, Yilman Altun,
prima che si imbarcasse su un volo per Istanbul. Altun, cittadino turco, non
avrebbe potuto affrontare il viaggio a causa delle sue cagionevoli condizioni
di salute dovute all’esportazione di un rene. Secondo gli investigatori,
cittadini tedeschi, israeliani, canadesi e polacchi erano disposti a pagare l’organizzazione
fino a 90mila euro per un rene. I donatori, provenienti da Paesi poveri dell’Europa
dell’Est e dell’Asia Centrale, ricevevano un compenso inferiore a 10mila euro.
Il
procuratore Jonathan Ratel aveva chiesto il rinvio a giudizio per nove persone.
Lufti Dervischi e il figlio Arban, personaggi chiave dell’inchiesta, sono
attori influenti nella politica kosovara. Ma vi sono altri imputati eccellenti:
Driton Jilta, ex-ufficiale della missione OSCE
in Kosovo; Ilir Rrecaj, ex-ministro della sanità kosovara; Sokol Hajdini, Islam
Bytyqi e Suleiman Dulla, anestesisti alla Clinica Medicus; Moshe Harel, un intermediario
israeliano. E infine Yusuf Ercin Sonmez, chirurgo turco finito più volte nel
mirino degli inquirenti per il suo coinvolgimento in altri presunti traffici di
organi, e noto alle cronache con i soprannomi di “Dottor Avvoltoio” e “Dottor
Frankestein”. Anche un chirurgo israeliano, Zaki Shapira, e un altro dottore
turco, Kenan Demirkol, sono stati citati nell’atto di accusa del procuratore
Ratel come “complici non ancora
incriminati”.
La
Clinica Medicus aveva ottenuto un’autorizzazione per attività sanitarie in
cardiologia, ma non in urologia, nonostante le ripetute richieste presentate da
Dervishi, a partire dal 2003.
“Quella
del Consiglio d’Europa è stata l’unica inchiesta credibile mai intrapresa da un
organo competente, locale o internazionale, su questa vicenda”, nonostante le dichiarazioni di
ex-membri dello staff del TPIJ.
Nel rapporto, redatto per il Consiglio d’Europa, nel dicembre del
2010, Dick Marty accusa Hashim Thaci, ex-capo dell’Esercito di liberazione del Kosovo [UCK] ed ex-primo ministro del
Kosovo, alla fine degli Anni Novanta, di essere stato alla testa di una rete
mafiosa di traffico di organi.
Il rapporto stabilisce un legame
tra questo presunto traffico, che avrebbero organizzato i combattenti dell’UCK su prigionieri serbi e il Caso Medicus, sopravvenuto anni più
tardi e che ha visto la condanna, nell’aprile del 2013, di cinque medici per
traffico internazionale di organi [https://www.youtube.com/watch?v=qFboznsjfas].
Lutfi Dervishi, professore all’Università
di Pristina dal 1982, risultava, ufficialmente, proprietario della Clinica
Medicus, ma il vero proprietario era un urologo di Berlino, il dottor Manfred
Beer, con il quale Lutfi aveva studiato e lavorato in Germania. Nel 2013, giudicato
colpevole di associazione criminale e traffico di essere umani, Lutfi è
condannato, dal Tribunale di Pristina a
8 anni di carcere e a una multa di 10mila euro. Al figlio e complice, Arban
Dervishi, è stata, invece, inflitta una pena di 7 anni e 3 mesi per gli stessi
reati imputati al padre. Entrambi sono stati, invece, assolti dalle accuse di
frode, falsificazione di documenti e di aver arrecato gravi danni fisici alle
vittime. Inibizione dell’esercizio della professione di anestesista per un anno
e tre anni di carcere per Sokol Hajdini, capo anestesista durante gli espianti.
Un anno di carcere, infine, per gli altri due anestesisti, Islam Bytyqi e
Sulejman Dulla. Per i tre è stata invece rigettata l’accusa di attività medica
illegale.
Assolto, inoltre, l’ex-ministro
della Sanità kosovara Ilir Rrecaj, accusato di avere occultato informazioni che
avrebbero permesso di scoprire quanto avveniva nella clinica. Rrecaj, pur
ammettendo di essere a conoscenza dei fatti, aveva, tuttavia, negato di avere
coperto o agevolato tali operazioni.
Nel marzo del 2016, la
Corte di Appello del Kosovo aveva confermato le condanne, ma una sentenza della
Corte Suprema aveva annullato il verdetto originale sulla base di irregolarità
procedurali.
Nel luglio del 2017, il
Tribunale di Pristina Basic ha avviato un nuovo processo a carico di Lufti
Dervisci, di suo suo figlio Arban Dervishi e del capo anestesista Sokol
Hajdini, tutti accusati di coinvolgimento nel crimine organizzato in relazione
al traffico di esseri umani.
Il medico Arban
Dervishi, figlio dell’urologo Lutfi Dervishi.
Lo scorso gennaio, Moshe Harel,
cittadino israeliano, accusato di essere coinvolto nel traffico di organi della
Clinica Medicus, è stato arrestato, a Cipro, dopo che da anni compariva negli
elenchi dei ricercati dall’INTERPOL.
Il
medico Boris Wolfman, possessore di doppia cittadinanza, russa e israeliana, è
arrestato, nel 2016, a Tirana.
Il chirurgo Yusuf Ercin Sonmez, soprannominato
Dottor Frankestein, accusato di essere l’esecutore materiale degli espianti, è
arrestato, nel gennaio del 2011, per traffico di essere umani e favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina. In un file in possesso dell’antropologa
Nancy Scheper-Hughes, Sonmez si vanta di
avere eseguito più di 2.200 trapianti illegali di organi.
Il 29 luglio 2014, Clint
Williamson, procuratore capo della Task
Force Investigativa speciale [SIFT] in relazione alle accuse secondo cui
alti livelli dell’UCK avevano
commesso gravi crimini di diritto internazionale contro i civili, dopo la
conclusione del conflitto, ribadisce, nel suo rapporto, le responsabilità dell’UCK per le brutalità dell’estate del 1999
su minoranze serbe e rom, con
omicidi, rapimenti, violenze sessuali, distruzione di chiese e di altri siti
religiosi, avvenute a Sud del fiume Ibar.
“Forti
indicazioni”,
scrive Williamson, confermano che alcuni prigionieri siano stati sacrificati al
traffico di organi, lungo un sistema di campi di reclusione, disseminati nei
villaggi di Cahan, Kukës, Bicaj, Burrel Rripe, Fushë-Krujë, nelle montagne tra
Kosovo e Albania.
Williamson denuncia un pesante
clima di intimidazione sui testimoni e pressioni esercitate oltre che dal Governo
kosovaro, da quello albanese e dai rappresentanti dell’Amministrazione Provvisoria delle Nazioni Unite [UNMIK], poco
favorevoli a vedere i membri del nascente Governo kosovaro crollare in
credibilità agli occhi della Comunità Internazionale, giacché nella inchiesta spuntavano,
a più riprese, nomi altisonanti della gerarchia kosovara, quali Hashim Thaci,
noto dai tempi dell’UCK ai servizi
segreti mondiali per la sua attività nel traffico di eroina, e altri uomini del
Gruppo di Drenica, Shaip Muja e Kadri
Veseli, figure in grado di fare pressione sulle forze diplomatiche
internazionali e di condizionare le strutture della intelligence kosovara e del PDK.
Il procuratore italiano Maurizio
Salustro della missione europea EULEX
in Kosovo, l’8 novembre 2013, aveva annunciato la messa in stato di accusa di 15
ex-combattenti della guerriglia indipendentista albanese, sospettati di crimini
di guerra commessi contro civili durante il conflitto armato con i serbi del
1998-1999:
Sulejman
Selimi, ex-capo di stato maggiore dell’Esercito
di Liberazione del Kosovo [UCK], ambasciatore del Kosovo in Albania;
Sami
Lushtaku, sindaco di Skenderaj, rieletto con l’82% dei voti nelle ultime
municipali;
Nexhat
Demaku, anche questi rieletto sindaco a Drebas, con il 64%;
Agim Demaj;
Bashkim Demaj;
Driton Demaj;
Selam Demaj;
Fadil Demaku;
Jahir Demaku;
Zeqir Demaku;
Sabit Geci;
Ismet Haxha;
Sahit Jashari;
Isni Thaci;
Avni Zabeli.
Leskovac
Nella primavera
del 1999, la NATO intervenne
per indurre l’allora leader serbo
Slobodan Milosevic a porre fine alla politica di repressione e di pulizia
etnica nel Kosovo a maggioranza albanese.
Dopo 78
giorni di pesanti bombardamenti, con migliaia di vittime e profughi e
pesanti distruzioni, Milosevic accettò di ritirare le sue truppe dal
Kosovo, che fu posto sotto il controllo internazionale.
Nel
2001, scoppiava il Caso della Sindrome dei
Balcani, con l’emergere dei primi casi di militari italiani ammalatisi o
deceduti al rientro dalle missioni in Bosnia Erzegovina e Kosovo, i due Paesi
che erano stati bombardati dalla NATO,
nel 1995 e nel 1999, con proiettili all’uranio impoverito [UI]. Agli inizi
degli Anni Duemila, la primaria dell’Ospedale di Bratunac, Slavica Jovanovic,
aveva rilevato un allarmante numero di morti per tumore tra i 5mila sfollati, tutti
serbo-bosniaci, provenienti da Hadzici, una località a 27 chilometri da
Sarajevo e uno dei siti bosniaci maggiormente bombardati dalla NATO con proiettili all’uranio impoverito,
nell’estate del 1995.
“[Slavica Jovanovic] era stata
inascoltata, aveva denunciato che in città i morti per tumore tra gli sfollati
di Hadzici erano quattro volte superiori al resto della popolazione.”,
aveva
dichiarato, il 31 marzo 2013, all’agenzia tedesca Deutsche Welle, Jelina Durkovic, che, nel 2005, presiedeva
la commissione di indagine governativa della Bosnia Erzegovina sulle
conseguenze dei proiettili all’uranio impoverito. Jelina Durkovic aveva, peraltro,
sottolineato che, nel rapporto della commissione, erano stati inseriti i dati
sulle conseguenze dell’uranio impoverito e il dettaglio delle azioni da
perseguire per risolvere alla radice il problema, ma nulla era stato messo in
atto. Il 2 maggio 2013, il quotidiano Vecernje
Novosti aveva aperto con il titolo L’uranio della Nato uccide i veterani. La denuncia era di Dusan
Nikolic, presidente dell’Associazione
degli Ex-militari della città di Leskovac:
“Solo negli ultimi tre mesi,
nella nostra municipalità sono morti più di cento reduci della guerra. Si
tratta per lo più di militari che hanno operato in Kosovo, di un’età che va dai
37 ai 50 anni. Il 95% è morto di cancro.”
Nikolic
spiegava di avere scoperto i dati grazie alle denunce dei familiari degli
ex-militari deceduti, i quali si erano rivolti all’associazione per cercare di
ottenere il riconoscimento della causa di servizio.
Sasa
Grgov, primario di medicina interna del Servizio Sanitario della città, aveva aggiunto:
“È possibile, considerato che il
numero di tumori in città è in crescita. Sebbene il Servizio Sanitario non stia
facendo un monitoraggio specifico sulla categoria dei reduci che hanno operato
in zone contaminate da DU.”
Ai primi posti tra le cause di morte figuravano il cancro all’intestino,
all’esofago, ai polmoni, pochi i casi di infarto. Il quotidiano belgradese citava,
anche, le ricerche effettuate al riguardo dall’autorevole istituto specialistico
sanitario Batut, secondo cui,
nei bombardamenti NATO sulla Serbia, dal 23 marzo al 10 giugno 1999, furono
lanciate 15 tonnellate di uranio impoverito e, come conseguenza, di ciò erano
morte, fino ad allora, 40mila persone.
“[ANSA] - BELGRADO, 3 MAG - L’uranio
impoverito contenuto nelle bombe sganciate dalla NATO durante i raid aerei
contro la Serbia della primavera 1999 è sott’accusa per l’impennata delle morti
per cancro registrata nel Sud del Paese ex- jugoslavo. Lo riferisce Vecernje
Novosti. Il giornale cita anche ricerche dell’istituto specialistico sanitario
Batut secondo cui nei bombardamenti NATO furono lanciate 15 tonnellate di
uranio impoverito, e come conseguenza sarebbero morte in totale addirittura 40
mila persone.”
Sulejman Selimi
Secondo l’OMS, le reti internazionali del traffico
di organi fornirebbero fino a 10mila dei 100mila trapianti annuali realizzati a
livello mondiale, anche se questi interventi sono più frequenti di quanto si
pensi, perché, in buona misura, hanno luogo nella clandestinità più totale.
Gli organi più
comunemente commercializzati sono i reni e il fegato, che possono essere
prelevati e riutilizzati.
Nel 2012, il
trapianto di rene rappresentava il 60% degli interventi. Oggi, è effettuabile su
ogni persona che soffra di insufficienza renale severa, a condizione che non
esista un rischio cardiovascolare o altra controindicazione del medico.
Un solo rene è
sufficiente ad assicurare la formazione delle urine, di conseguenza, il
trapianto renale può essere realizzato da un donatore deceduto, ma anche da un
donatore vivo.
Sul mercato nero,
un rene può valere più di 200mila dollari. Al contempo, i “donatori” più
disperati possono, talvolta, accettare di subire un prelievo di rene contro
2mila dollari, rischiando la vita durante l’intervento. Questi “donatori” vedono
le loro difficoltà economiche sfruttate dai trafficanti, che realizzano notevoli
margini di guadagno, talvolta, sotto il naso delle autorità locali.
Una conseguenza
di questo traffico è un aumento del turismo medico,
anche chiamato turismo del trapianto: cittadini di Stati esemplari, sul piano
del rispetto dei Diritti Umani, si recano in Paesi in via di sviluppo, dove non
esiste, malauguratamente, sempre, una legislazione chiara in materia, per sottoporsi
a un trapianto.
In alcuni casi,
non necessita spostarsi. Le reti internazionali di trafficanti di organi si
incaricano di far pervenire agli acquirenti la merce grazie a Internet. Ovviamente,
non daranno loro alcuna informazione sulla sua provenienza né loro cercheranno di
sapere, ma il termine molto breve giustificherà ai loro occhi il prezzo.
È il traffico di organi l’ultima
frontiera del liberismo!
Si stenta a credere, ma a suggerire la
proposta di una sorta di borsa del corpo umano è un Premio Nobel per l’Economia, Gary Becker, secondo il quale l’unico
modo per aumentare la disponibilità di reni per i trapianti è permettere alle
persone interessate di vendere un proprio rene, in un vero e proprio mercato
con prezzi fissati dalla autorità pubblica.
Il traffico di
organi non è un settore di attività recente. Non si contano più le reti
smantellate, le persone sospettate di farne parte, ma soprattutto non si
contano più le vittime, viventi e decedute. È, oramai, una industria che rende
miliardi su miliardi di dollari e fa leva sui conflitti e sulla povertà dei
Paesi in via di sviluppo.
I trapianti
dovrebbero salvare vite e, invece, sembrano avere un effetto più nefasto che
benefico.
Dalla fine degli Anni Ottanta, l’Organizzazione Mondiale della Sanità lancia alerts in conseguenza dell’esponenziale
diffusione del mercato degli organi umani, pur ammettendo la difficoltà nel
reperire dati certi sul traffico a fini di lucro o sul trapianto illegale.
Risale al 1987 la prima Risoluzione adottata dall’Assemblea
dell’OMS, con la quale si invitava il
direttore generale a esplorare la possibilità di elaborare principi guida in
tema di trapianti, in collaborazione con le altre organizzazioni interessate,
al fine di rispondere all’emergente fenomeno del commercio di organi.
Una seconda risoluzione seguiva, nel 1989, con la
quale l’Assemblea invitava gli Stati Membri a adottare misure adeguate per
prevenire l’acquisto e la vendita di organi umani destinati ai trapianti,
raccomandava loro di introdurre norme specifiche di divieto laddove il traffico
di organi non si potesse efficacemente prevenire con altre misure, e li
esortava a scoraggiare, in stretta collaborazione con le organizzazioni
professionali sanitarie e con gli organi di controllo, tutte le prassi che
potessero in qualche modo facilitare tale traffico.
Nel 1991, l’Assemblea dell’OMS adottava la prima versione dei Principi Guida per i Trapianti di Organo, volti a orientare i
codici di deontologia medica e le prassi cliniche, nonché le scelte dei Governi
nell’elaborazione e attuazione della normativa e delle politiche nazionali
riguardanti le attività trapiantologiche.
Nel 2008, per affrontare i crescenti problemi legati
al commercio degli organi, si teneva a Istanbul un vertice, dal
30 aprile al 2 maggio, con oltre 150 rappresentanti di organizzazioni
scientifiche e mediche provenienti da tutto il mondo, funzionari governativi,
sociologi, e studiosi di etica, allo
scopo di fornire linee guida per un più preciso inquadramento giuridico e
professionale, nonché per garantire la sicurezza e la salute del donatore e del
ricevente. La Dichiarazione di Istanbul
afferma, solennemente, che il traffico di organi e il turismo del trapianto
violano i principi di equità, di giustizia e di rispetto per la dignità umana e
dovrebbero essere vietati.
Il 9 luglio 2014, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa adottava il testo
definitivo della Convenzione contro il traffico
di organi umani, firmata, il 25 marzo 2015, a Santiago de Compostela, in
Spagna, da 14 Stati: l’Albania, l’Austria, il Belgio, la
Gran Bretagna, la Grecia, l’Italia, il Lussemburgo, la Norvegia, la Polonia, il
Portogallo, la Repubblica Ceca, la Repubblica di Moldavia, la Spagna, la Turchia.
Successivamente,
aderivano alla Convenzione, firmandola, la Federazione Russa, nel settembre
2015; l’Irlanda nell’ottobre 2015; la Svizzera, nel 2016; la Lettonia, Malta e l’Ucraina, nel 2017 e l’Armenia
e il Montenegro, nel 2018.
Lo
scorso primo marzo, la Convenzione, ratificata
in 5 Paesi [l’Albania, nel 2016 e Malta, la Norvegia, la Repubblica Ceca
e la Repubblica di Moldavia, nel 2017] è entrata in vigore, e il
segretario generale Thorbjorn Jagland ha invitato gli Stati europei e non
a aderirvi perché – come riportato nella nota stampa del Consiglio d’Europa
– “l’abietto traffico di organi umani provoca
gravi violazioni dei diritti umani, che dobbiamo prevenire e combattere
vigorosamente. Tali reati sono, spesso, commessi da gruppi criminali
organizzati e hanno una dimensione multinazionale. I governi devono agire in
modo tempestivo e cooperare efficacemente, utilizzando il quadro giuridico
offerto dalla Convenzione”.
“Seguire il percorso del denaro
lungo tutta la catena della tratta è fondamentale per trasformare la tratta di
esseri umani in un reato “ad alto rischio” e “dai bassi profitti”. A tal fine
occorre intensificare le indagini e l’azione penale, nonché facilitare lo
svolgimento di indagini finanziarie proattive e basate su informazioni, il
recupero dei beni, il congelamento e la confisca dei proventi. Per conseguire
questo obiettivo verrà promossa una più stretta cooperazione, che includerà il
rafforzamento delle capacità delle autorità nazionali, anche in paesi non
membri dell’UE, e che sarà condotta avvalendosi di reti appropriate, quali il
gruppo di azione finanziaria internazionale, e del sostegno delle agenzie dell’UE.”
È nei Paesi dell’Asia e del Sud America
che il fenomeno del traffico illegale di organi raggiunge i livelli più
preoccupanti. Dopo che la Cina e l’India hanno introdotto alcuni provvedimenti
per arginare il fenomeno, le traiettorie si sono spostate verso nuovi Paesi,
quali la Colombia, il Pakistan e le Filippine.
Secondo dati recenti, sfruttando le
comunità virtuali di incontro, molto popolari in India e tra gli indiani all’estero,
migliaia di persone alimentano il traffico di organi. Negli anni scorsi, è
stato, a esempio, calcolato che su Orkut
fossero almeno 35 le comunità nelle quali cercare e vendere, soprattutto, un
rene.
Attualmente, gli
ospedali stanno affrontando una carenza di organi disponibili, a causa di un
aumento del numero di persone diabetiche nel mondo. Le donazioni di organi restano
irrilevanti di fronte alla domanda e questa dipendenza determina l’esplosione
di traffici e trapianti illegali.
Da
qui la tentazione di “fare la spesa” nei Paesi in via di sviluppo perché il
ricco, per sopravvivere, arriva, anche, ad acquistare gli organi dal povero!
E
lo sa bene Farhat Moazzam, direttore del Centre for Biomedical Ethics and Culture [CBEC] al
Sindh Institute of Urology and
Transplantation di Karachi, in Pakistan, che parla di un vero e
proprio “turismo dei trapianto”, con viaggiatori stranieri che arrivano
in Pakistan per acquistare reni. Tanto che, riferisce “in aree povere del Paese vi sono
villaggi in cui il 40-50% della popolazione ha un rene solo perché l’altro lo ha
venduto”.
Per
quanto?
“Spesso
per un organo vengono promesse anche più di 150 mila rupie [2.500 dollari], ma
poi, tolti i costi medici e la quota che spetta al mediatore, ciò che resta a
chi vende è molto meno.”
Nonostante una
legge varata, nel 2010, in Pakistan, tristemente conosciuto per i suoi numerosi
trapianti illegali, circa i due terzi dei reni espiantati sono destinati a
stranieri.
Secondo le
Nazioni Unite, persone di ogni età possono divenire bersaglio dei trafficanti,
ma migranti, senzatetto e analfabeti sono, particolarmente, a rischio.
Il 29 giugno scorso, il celebre
violoncellista iracheno Karim
Wasfi ha provato a invadere di armonia le rovine di Mosul,
portando il suo violoncello in luoghi simbolo come la Chiesa Cattolica di
Nostra Signora dell’Ora e le rovine del Minareto Al-Hadba, vicino alla Moschea
di Nuri, distrutta durante i combattimenti [https://www.youtube.com/watch?v=mf8Zcb-eXQM].
“L’obiettivo
di questa performance è di incoraggiare le istituzioni internazionali per dare
un sostegno alla ricostruzione.”,
aveva spiegato.
Il diplomatico iracheno assicurava di
avere le prove che i combattenti dello Stato Islamico praticassero il traffico
di organi, prelevati dai prigionieri e dagli ostaggi giustiziati, e chiedeva al
Consiglio di Sicurezza di aprire una inchiesta.
“Noi abbiamo dei corpi. Venite a esaminarli.
È chiaro che manchino alcune parti.”
Le forze di sicurezza
irachene avevano scoperto diverse fosse comuni, nelle quali erano ammassati corpi senza cuore, reni, polmoni o
rotule e il Governo iracheno stava cercando di ottenere informazioni sul numero
delle persone alle quali erano stati tolti gli organi e sulle circostanze delle
loro morti.
Al-Hakim riferiva che almeno dieci medici
erano stati giustiziati, nelle settimane precedenti, per essersi rifiutati di espiantare
organi dai cadaveri.
Poi, vittime e profitti si erano
moltiplicati senza che fosse possibile dare dati precisi.
Le testimonianze raccolte in Iraq
accreditavano la tesi di un traffico di massa, orchestrato dai terroristi
islamici in relazione con le reti mafiose.
Cuori, reni, polmoni, rotule…
A Mosul, i giovani di età compresa tra i
20 e i 25, non fumatori e senza una famiglia che chieda spiegazioni, correvano
il rischio che venisse loro prelevato un organo o più organi.
“Abbiamo
informazioni accurate che, dal 2011, oltre 25mila interventi chirurgici sono
stati condotti nei campi profughi dei Paesi limitrofi e nelle aree controllate
dai terroristi in Siria per espiantare gli organi di 15mila siriani e venderli
nei mercati neri internazionali.”
Il dottor Noufel riferiva, altresì, che
sul mercato nero turco”un rene è venduto per 10mila dollari,
mentre lo stesso rene è venduto per 1.000 dollari in Iraq, ma in Libano e in
Siria il prezzo per un rene è di 3mila”.
Secondo la stessa fonte, l’ISIS trasferiva gli organi congelati
dalla città irachena di Mosul a Tal Afar a Ninive e, poi, a Raqqa, in Siria.
Il carico, poi, veniva venduto alla Mafia
turca.
La Cina, una
delle prime destinazioni al mondo per il trapianto di organi, è stata oggetto,
nel 2006, di un reportage
dell’ex segretario di Stato canadese David Kilgour e dell’avvocato per i
diritti umani David Matas, nel quale si sostiene che i prigionieri di coscienza
del Falun Gong sono uccisi su larga
scala per i loro organi.
Matas definisce queste atrocità come “una
forma di malvagità mai esistita prima su questo pianeta”.
Dal successivo aggiornamento dello
studio, pubblicato nel 2016 dagli stessi Matas e Kilgour, insieme al
giornalista Ethan Gutmann, emerge che i pazienti coreani hanno iniziato a
recarsi in Cina nei primi anni del 2000, con una stima di 2 mila pazienti l’anno.
Lo studio documenta, anche, come 169 centri per il trapianto, approvati dal
regime cinese, abbiano eseguito oltre un milione di trapianti, a partire dal
2000 [http://organharvestinvestigation.net/report0701/report20070131-eng.pdf].
Il primo luglio del 2016, il giornale tedesco Neue Osnabrücker Zeitung dava notizia di 8.991 rifugiati minori non-accompagnati dispersi, tra i
quali 867 di età inferiore ai 13 anni, dati confermati dal Bundeskriminalamt [BKA].
Il traffico di organi esiste, anche, in
Italia.
A dare l’allarme, nel gennaio del 2009, è
il ministro dell’interno Roberto Maroni, che, intervenendo a Roma alla
presentazione del Rapporto Umanitario
2009 dell’UNICEF, per riferire
della situazione dei bambini migranti, aveva dichiarato:
“Abbiamo delle evidenze di traffici di
questo tipo di minori presenti e rintracciati in Italia e uno dei mezzi più
efficaci che useremo per contrastarlo sarà l’attuazione di un accordo
internazionale chiamato “PRUD”, che istituisce la banca dati nazionale e degli
altri Paesi europei del DNA. Con questi strumenti potremmo contrastare meglio
il fenomeno.”
Evidenze,”che si incrociano con un dato che è
assolutamente negativo e che riguarda i minori extracomunitari che spariscono
ogni anno in Italia”.
Le “evidenze” di questo traffico, aveva
spiegato Maroni, derivavano dall’analisi incrociata dei dati sui ragazzi
extracomunitari scomparsi dopo essere arrivati a Lampedusa e le segnalazioni
relative al traffico di organi inviate dai Paesi di origine alla polizia
italiana tramitel’INTERPOL.
Maroni citava il dato relativo al 2008:
“Su 1.320 minori approdati a Lampedusa l’anno
scorso, ovviamente portati da qualcuno, circa 400 sono spariti e di loro non
abbiamo più notizie. Incrociando questo dato
con alcuni esposti sul traffico di organi, arrivati dai Paesi d’origine di
questi minori, possiamo ritenere che il fenomeno tocchi anche il nostro Paese.”
Non è impossibile
che questa sparizione attribuita al traffico di organi abbia riguardato un
terzo dei migranti minori arrivati sul suolo italiano.
E, lo stesso Maroni, facendo riferimento alle
recenti polemiche sul centro di prima accoglienza di Lampedusa, aveva ribadito
che nessun minore ‘‘verrà espulso’’ e che, anzi, i bambini sbarcati nell’isola erano,
già, stati tutti trasferiti in altri luoghi e in comunità di accoglienza.
‘‘Per questo,”,
aveva, poi, spiegato,
“c’è una collaborazione molto efficace
con i Comuni d’Italia per assegnare i minori alle comunità familiari che li
accudiscono al meglio.’’
L’allarme aveva scosso il mondo politico e non solo.
Per l’OMS
il fenomeno era consistente, a livello mondiale, e in continua crescita.
Indicazioni su un qualche coinvolgimento
italiano – ovviamente al di fuori della rete italiana trapianti che lavora per
il Servizio Sanitario Nazionale e che
ha il controllo totale sugli organi, ed è “estranea a qualunque traffico di organi”
– aveva detto Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro Nazionale Trapianti, erano giunte nei mesi precedenti,
anche, dalle organizzazioni di pediatri.
Save
the Children
aveva mostrato preoccupazione, seppure escludendo di avere avuto notizie
dirette.
Di tutt’altro avviso era Vincenzo
Passarelli, presidente dell’AIDO [Associazione
Italiana per la Donazione di Organi, Tessuti e Cellule], secondo il quale non risultava alcuna
denuncia da parte delle autorità competenti nei confronti dei centri trapianti
del nostro Paese in relazione a presunti traffici di organi di minori.
“Spesso,”,
aveva spiegato lo stesso Passarelli,
“ci si trova a fronteggiare tutta una
serie di miti, timori ancestrali, false notizie e illazioni senza conferme, che
senza alcun dubbio hanno fatto presa sull’opinione pubblica e hanno creato una
situazione di allarme generalizzato che non favorisce proprio per niente la
donazione altruistica.”
“Quello che è certo,”,
aveva aggiunto,
“è che queste denunce cadono su un
terreno propizio che gli attribuisce una certa credibilità. Centinaia di
migliaia di bambini in tutto il mondo spariscono o vengono sottratti alle loro
famiglie o semplicemente “comprati” per essere poi venduti in adozione,
sfruttati sul lavoro o sessualmente o semplicemente vengono eliminati nelle vie
del Brasile o della Colombia perché rappresentano un potenziale pericolo
sociale.”
“Comunque,”,
concludeva,
“in nessun posto al mondo è stato
possibile dimostrare nemmeno un solo caso esemplificativo del problema che
stiamo trattando.”
Sospetti, invece, erano stati avanzati dal
CENSIS, che adduceva la possibilità
che l’Italia fosse non solo Paese di transito, ma destinazione finale dove
vengono eseguiti gli espianti.
“In questi ultimi anni,
scriveva, già, il CENSIS nel rapporto del 2008 sulla tratta
di esseri umani a scopo di traffico di organi, “sono state avviate alcune
indagini della magistratura su casi di vendita di minori, presumibilmente
legata al traffico illegale di organi, senza peraltro che le indagini
giungessero a prove concrete”.
In uno dei casi più recenti, sosteneva
il CENSIS,
“Il dott. Adelchi d’Ippolito
della Procura di Roma ha aperto in Albania un’inchiesta su un presunto traffico
di minori, che si sospetta fossero stati trasferiti illegalmente in Grecia e in
Italia e sottoposti a trapianti illegali. Il traffico di minori sembrerebbe
coinvolgere l’Italia non solo come paese di transito, ma anche come
destinazione finale dove vengono eseguiti gli espianti. L’inchiesta è in fase
di svolgimento e i magistrati inquirenti si attendono sviluppi significativi.”
E precisava il CENSIS:
“Vi sono diverse prove di
trapianti ricevuti da cittadini italiani nel Paese del donatore. Nella maggior
parte dei casi si sono recati in India per ricevere un trapianto dato che, fino
al 1994, in quel paese la vendita d’organi è stata legale.”
Avvertiva, altresì, l’istituto di ricerca:
“I controlli previsti parrebbero
fornire garanzie sufficienti ad impedire l’inserimento di un organo di
provenienza illecita nel circuito legale dei centri trapianti della Sanità
pubblica”, ma “il quadro potrebbe essere
diverso nel caso in cui si ipotizzi l’esistenza di un percorso clandestino
svolto in centri privati, non ufficiali, molto attrezzati e totalmente
sconosciuti al Servizio sanitario nazionale”.
Un altro elemento importante era
quello fornito dal Servizio Centrale Operativo della pubblica sicurezza. Dal 1974
al 30 settembre 2008, in Italia, erano scomparsi 9.802 minorenni, di questi
1.722 erano italiani e 8.080 stranieri. Nel primo semestre del 2008, i minori
scomparsi erano aumentati di 178 unità rispetto allo stesso periodo del 2007.
Immediate le reazioni politiche: la Commissione Parlamentare d’Inchiesta del
Senato sul Servizio Sanitario Nazionale aveva deciso di convocare,
urgentemente, il ministro:
“Le parole di Maroni”
aveva detto il presidente della
Commissione Parlamentare, Ignazio Marino,
“sono di una gravità inaudita.”
Della necessità che il responsabile dell’interno
riferisse in Parlamento avevano parlato anche Alessandra Mussolini e Rosy
Bindi. Per quest’ultima, “sarebbe irresponsabile gettare sospetti
sulla sicurezza e affidabilità delle rete dei trapianti in Italia”.
Per Maria Burani Procaccini, ex-presidente
della Commissione Bilaterale Infanzia,
nel mondo vi erano almeno 60mila bambini vittime di questo traffico con un giro
di affari di un miliardo e duecento milioni di euro e il ministro “ha
fatto bene a sottolinerare l’emergenza”.
Ecco
come riportava la notizia il quotidiano la
Repubblica, nell’edizione del 30 gennaio 2009:
ROMA
- Il traffico d’organi di bambini esiste anche in Italia. A dare l’allarme è il
ministro dell’Interno Roberto Maroni intervenuto alla prima assemblea pubblica
dell’UNICEF a Roma. Nel nostro Paese, ha riferito il ministro parlando della
situazione dei bambini migranti, ci sono “evidenze di traffici di organi di
minori che sono presenti e sono stati rintracciati sul territorio”. Ma L’AIDO,
l’Associazione Italiana per la Donazione di Organi, si dissocia: “Nessuna
evidenza e nessuna denuncia. Solo false notizie”.
Le scomparse e i dati incrociati. Le “evidenze” di questo traffico, ha spiegato
Maroni, derivano dall’analisi incrociata dei dati sui ragazzi extracomunitari
scomparsi dopo esser arrivati a Lampedusa e le segnalazioni relative al
traffico d’organi inviate dai Paesi d’origine alla polizia italiana tramite INTERPOL.
Nel 2008, ha fatto sapere il titolare del Viminale, “su 1.320 minori approdati
a Lampedusa, ovviamente portati da qualcuno, circa 400 sono spariti e di loro
non abbiamo più notizie”.
Le denunce degli altri Paesi e le indagini. La traccia del traffico d’organi,
ha aggiunto Maroni, è rintracciabile “negli esposti provenienti da diversi Paesi
del mondo che nel corso degli anni, e anche nel 2008, sono stati portati all’attenzione
della polizia italiana, che ha iniziato un’attività di indagine”. Evidenze,
inoltre, che “si incrociano con un dato che è assolutamente negativo e molto
preoccupante e che riguarda i minori extracomunitari che spariscono ogni anno
in Italia”.
Gli strumenti per contrastare il fenomeno. Il ministro ha poi parlato delle
iniziative che il Governo può intraprendere per contrastare il fenomeno. “Oggi
– ha detto – gli strumenti a disposizione non ci consentono di accertare se
effettivamente la scomparsa di questi minori sia da mettere in relazione ad un
traffico di organi”. “Saremo in grado di farlo – ha aggiunto – appena il
Parlamento approverà il Trattato Internazionale di PRUM, già approvato al
Senato”, che prevede l’istituzione della banca dati del DNA, in modo da poter
prelevare il codice genetico dei minori e, incrociando i dati, proteggerli
meglio.
Maria Burani: “Sono 60mila nel mondo”. Finora non si hanno cifre certe del
fenomeno, ma secondo l’ex-presidente della Commissione Bicamerale Infanzia,
Maria Burani Procaccini, “sono almeno 60mila i bambini vittime di traffico d’organi
nel mondo, che provengono per lo più dal Brasile, dallo Sri Lanka, dal Congo e
dalla Thailandia. “C’è un giro d’affari – ha aggiunto l’esponente del PDL – di
un miliardo e duecento milioni di euro dietro questo scandalo che giustifica
ancora di più gli interventi di tracciabilità dei bambini voluti dal Governo”.
La situazione a Lampedusa. Lo stesso Maroni, parlando sempre del tema minori,
facendo riferimento alle recenti polemiche sul centro di prima accoglienza di
Lampedusa, ha ribadito che nessun minore ‘‘verrà espulso’’ e che, anzi, i
bambini sbarcati nell’isola sono già stati tutti trasferiti in altri luoghi e
in comunità di accoglienza. ‘‘Per questo – ha poi spiegato – c’è una
collaborazione molto efficace con i Comuni d’Italia per assegnare i minori alle
comunità familiari che li accudiscono al meglio’’.
Alessandra Mussolini: “Maroni riferisca in Parlamento”. E intanto la presidente
della Commissione Parlamentare per l’Infanzia, Alessandra Mussolini, ha
annunciato che chiederà “urgentemente” un’audizione generale a Maroni “per
riferire sui minori ed il traffico illecito di organi”. “Per combattere questa
atrocità – ha affermato la Mussolini – occorrerebbe costituire una task force
del Ministero dell’Interno e di quello degli Esteri”. La presidente ha poi
riferito di voler presentare “una mozione unitaria di maggioranza e opposizione
sulla problematica dei minori stranieri non accompagnati”.
I dubbi dell’AIDO. Di tutt’altro avviso però è l’Associazione Italiana per la
Donazione di Organi, secondo la quale ad oggi non risulta nessuna denuncia da
parte delle autorità competenti nei confronti dei centri trapianti del nostro Paese
in relazione a presunti traffici di organi di minori. “Spesso – ha spiegato il
presidente Vincenzo Passarelli – ci si trova a fronteggiare tutta una serie di
miti, timori ancestrali, false notizie e illazioni senza conferme, che senza
alcun dubbio hanno fatto presa sull’opinione pubblica e hanno creato una
situazione di allarme generalizzato che non favorisce proprio per niente la
donazione altruistica”.
“Quello che è certo – ha aggiunto – è che queste denunce cadono su un terreno
propizio che gli attribuisce una certa credibilità. Centinaia di migliaia di
bambini in tutto il mondo spariscono o vengono sottratti alle loro famiglie o
semplicemente “comprati” per essere poi venduti in adozione, sfruttati sul
lavoro o sessualmente o semplicemente vengono eliminati nelle vie del Brasile o
della Colombia perché rappresentano un potenziale pericolo sociale”. “Comunque
– conclude il presidente dell’AIDO – in nessun posto al mondo è stato possibile
dimostrare nemmeno un solo caso esemplificativo del problema che stiamo
trattando”.
Il 30 novembre 2015, un rapporto del
Ministero delle Politiche Sociali segnalava che, in Sicilia, erano reclusi
3.967 minori, approdati dall’estero dopo un’odissea, vale a dire il 36,2 per
cento dei 10.952 piccoli migranti non accompagnati.
Non era tutto!
Nel corso dell’anno, erano scomparsi altri
5.902 minori, mentre, nel 2014, gli “irreperibili” erano stati 3.707
[http://liberatorio.altervista.org/258216841-2/]. Di certo, non avevano varcato in senso
inverso la frontiera italiana e in Italia non erano stati registrati
ricongiungimenti familiari.
Già nel 1992, il professor Carlo Romano,
allora direttore dell’Istituto di
Medicina Legale del Secondo Policlinico di Napoli nonché componente del Comitato Nazionale per la Bioetica aveva
denunciato pubblicamente:
La
sua affermazione era stata giudicata “priva di fondamento” dal ministro
della sanità Francesco De Lorenzo, “rammaricato del fatto che un professore
universitario di grande dignità professionale diventi irresponsabile alla
vigilia di elezioni politiche che lo vedono candidato per la DC a Napoli”.
Nel settembre del 1993, dal Parlamento
Europeo si era levata la voce di Léon Schwartzenberg, medico ed ex-ministro
della sanità francese. Secondo l’europarlamentare, dal 1988
al 1992, ben 4mila bambini brasiliani sarebbero stati “esportati” in Italia,
ufficialmente, in vista di un’adozione.
“Ne
sono stati ritrovati vivi solo mille: gli altri tremila sono scomparsi.”,
aveva
denunciato Schwartzenberg dinanzi alla assemblea riunita in plenaria.
Immediata,
durissima, da Roma, fu la smentita del ministro della giustizia Giovanni Conso.
“I
bambini provenienti dal Brasile, ufficialmente entrati in Italia a scopo di
adozione tra il 1988 e il 1992 sono 3.702 e tutti sono felicemente inseriti
nella famiglia adottiva.”,
affermava
il ministro.
Nel 1996, il professor Volnei Garrafa,
docente di scienza della salute presso l’Università di Brasilia, aveva
pubblicato, insieme al professor Giovanni Berlinguer, il libro La merce finale [https://www.disinformazione.it/merce_finale.htm].
“Giovanni Berlinguer,
noto professore di medicina e fratello di Enrico, il defunto leader comunista,
ha scritto con Volnei Garrafa, bioetico brasiliano, un libro che solleva
giustamente il problema della nuova biologia e delle conseguenze sociali e
morali di molti suoi “exploit”. Il libro
è denso e interessante, ma ha un difetto: quello di avallare la tesi che nel
mondo esista un fiorente commercio di organi. Da una decina d’anni si mormora
di una Mafia internazionale del traffico di organi e tessuti umani, le cui
vittime principali sarebbero i bambini del Terzo Mondo, rapiti, uccisi e
sezionati da diabolici chirurghi per distribuirne i cuori, i fegati e i reni a
facoltosi ammalati dei Paesi industriali. In “La merce finale. Saggio sulla
compravendita di parti del corpo umano”, Berlinguer prende per buona questa
voce e mette l’ignobile commercio nell’elenco delle distorsioni a cui va
incontro una medicina sempre più potente e lontana dall’uomo, vedi l’affitto
dell’utero, la brevettazione di cellule altrui [il caso Moore in California],
il copyright che ostacola il libero studio dell’Helicobacter pylori [ulcera
gastrica] e così via.
Preoccupazioni
condivisibili e giuste. Ma prima di strapparsi le vesti per il commercio d’organi
occorre produrne le prove. Altrimenti si rischia di procurare un danno grave a
un settore della medicina – i trapianti – sensibile come pochi alle emozioni
collettive e ai cambiamenti d’umore. Ricordate l’ondata di donazioni dopo il
generoso esempio di Nicholas Green, il bambino americano ucciso in Calabria? E
poco dopo il crollo delle donazioni medesime per il sospetto, diffuso dalla
stampa, che fossero stati sottratti organi a un ragazzo ancora vivo? Ora,
quella del mercato d’organi ha tutta l’aria di una “leggenda metropolitana”, di
una storia falsa ma comunemente creduta vera perché esprime le nostre ansie di
fronte al progresso scientifico. La leggenda degli organi è stata diffusa in
questi anni da programmi televisivi, da libri come “Ninos de Repuesto” [bambini
pezzi di ricambio, Spagna 1994], da una Risoluzione del Parlamento Europeo
basata su un articolo di “Le Monde”, da un documento, peraltro abbastanza vago,
del direttore dell’Organizzazione Mondiale contro la Tortura. Una vasta
letteratura, ma basata su sospetti e non su prove. Il meccanismo surreale che
genera una leggenda metropolitana è bene illustrato dall’episodio del settembre
1994 quando l’allora ministro della famiglia Antonio Guidi parla di un “traffico
illegale di bambini” sul quale aprire un’inchiesta. Messo alle strette, il
ministro ammette di avere soltanto indizi e di essersi riferito alle adozioni,
non ai trapianti. Ma ormai la notizia è in pasto ai media, il settimanale
tedesco “Bild” scrive che da anni la Mafia adotta bambini nel Terzo Mondo per
trasferirli in cliniche segrete italiane dove avviene l’espianto: solo di
quelli provenienti dal Brasile, tremila mancherebbero all’appello. Più tardi si
fanno i conti e si vede che il numero delle adozioni corrisponde a quello degli
“scomparsi”. Intanto però la leggenda ha fatto altra strada. Ciò non significa
che illeciti non si siano verificati [in Inghilterra un medico è stato
condannato per avere organizzato trapianti di rene a pagamento da indiani
diseredati] e continuino a verificarsi. Ma di qui a dire che esiste un flusso
commerciale di organi da Sud a Nord ce ne corre. Uno studio della United States
Information Agency per le Nazioni Unite lo nega categoricamente per quanto
riguarda i bambini, e pure negativa risulta un’indagine commissionata dall’Etablissement
francais des greffes alla sociologa Véronique Campion-Vincent, pubblicata in
questi giorni. Perché allora un uomo del valore e della competenza di
Berlinguer si presta all’equivoco? Forse la ragione va cercata nell’antipatia
che, al di là delle dichiarazioni, la Sinistra prova per quel tipo di progresso
medico-scientifico che va a toccare i meccanismi chiave della vita e l’essenza
dell’uomo. Questa ostilità a sinistra si salda con una diffidenza uguale e
contraria di parte cattolica, in una alleanza oscurantista che rimette
continuamente in discussione pratiche come quella dei trapianti e che, in altro
campo, ha impedito finora al nostro Paese di dotarsi di una legge sull’embrione
e la procreatica in generale.”
Il 24 gennaio 2004, il quotidiano Il Tempo segnalava l’apertura di un’inchiesta
giudiziaria:
“Traffico di bimbi e organi. Roma
crocevia dell’orrore.”
Il 18 settembre 2013, con la nota 340, il
garante dell’infanzia e adolescenza, che si era accorto di un’anomalia, aveva segnalato
al Governo la scomparsa di circa 20 minori dal CARA Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto, in Calabria.
“La senatrice del PD ha presentato un’interrogazione
rivolta ai ministri Alfano, Giovannini e Kyenge
La vicenda della sparizione di 20 minori immigrati non
accompagnati dal CARA di Isola Capo Rizzuto, appurata alla fine di agosto dal garante
per l’infanzia della Calabria, finisce in Consiglio dei ministri. La senatrice
del PD Silvana Amati, membro dell’Ufficio di Presidenza del Senato, ha
presentato un’interrogazione parlamentare rivolta ai ministri dell’interno, del
lavoro e dell’integrazione per sapere “quali misure intendano assumere per
accertare i fatti relativi alle segnalazioni fatte dal garante dell’infanzia e
dell’adolescenza della Regione Calabria” in merito alle violazioni dei diritti
dei minori presenti presso il CARA Sant’Anna di Isola di Capo Rizzuto, “garante
al quale va riconosciuto l’impegno e la particolare dedizione con la quale ha
seguito questa difficile vicenda”.
“La vicenda – spiega la
senatrice Amati – si riferisce, come è noto, all’ispezione effettuata il 3
agosto 2013 presso il CARA di Isola Capo Rizzuto, in cui il garante per l’infanzia
della Calabria ha verificato la presenza di 70 minori non accompagnati, tenuti
in condizioni igienico-sanitarie improprie, inadeguate e precarie, tra l’altro
insieme con adulti. In una successiva visita, fatta il 26 agosto, dei 70 minori
ne risultavano presenti soltanto 50, custoditi in modo più opportuno ma sempre
in condizioni di grave precarietà. Il garante per l’infanzia della Calabria ha
denunciato, in quell’occasione, che non era disponibile un elenco dei minori e
che ai ragazzi, il più piccolo di 11-12 anni, non era stato consentito di
mettersi in contatto con le proprie famiglie di origine, anche per agevolarne l’identificazione.
L’episodio ha suscitato varie polemiche sulla stampa locale. Un noto quotidiano
nazionale ha anche riportato una polemica sulle forme della interlocuzione
intercorsa tra il garante dell’infanzia della Calabria e il funzionario della
Prefettura di Crotone preposto al controllo e alla corretta erogazione dei
servizi presso il CARA, polemica che ci auguriamo non faccia passare in secondo
ordine la gravità dei problemi denunciati circa le condizioni di permanenza nel
centro dei minori immigrati. Oltre a verificare ciò che è accaduto e dove siano
finiti 20 tra ragazze e ragazzi, ciò che chiediamo ai ministri competenti è di
fare luce sulle responsabilità e sulle precarie condizioni di erogazione del
servizio del CARA Sant’Anna, di competenza della Prefettura di Crotone.”
Amati: Governo intervenga su
sparizione minori da CARA di Isola Capo Rizzuto, 18 settembre 2013
“Nella notte tra domenica e
lunedì sono state arrestate 68 persone in un’operazione di polizia in Calabria
che ha colpito diversi esponenti della cosca Arena, un clan della ‘Ndrangheta
molto potente nelle province di Crotone e Catanzaro. Secondo le indagini
guidate dal procuratore capo della Direzione distrettuale antimafia Nicola
Gratteri e dal procuratore aggiunto Vincenzo Luberto, la cosca Arena
controllava anche uno dei centri di accoglienza dei migranti più grandi d’Europa:
il CARA “Sant’Anna” di Isola Capo Rizzuto, un comune sul mare di poco meno di
20mila abitanti a sud di Crotone. I CARA sono i centri di accoglienza per i
richiedenti asilo e ospitano i migranti che vogliono avviare le procedure per
chiedere allo stato italiano un qualche tipo di protezione internazionale:
come molte delle strutture di accoglienza italiane, negli ultimi anni
anche il CARA “Sant’Anna” era finito sui giornali perché sovraffollato e
carente di molti servizi basilari.
L’ipotesi investigativa che ha
portato agli arresti di questa notte sostiene che la cosca Arena guadagnasse
dalle gestione del CARA “Sant’Anna” grazie alla collusione con esponenti della
“Fraternità di Misericordia”, l’ente che gestisce il CARA. Sembra che la cosca
Arena fosse coinvolta nelle attività del CARA da molti anni: in pratica creava
delle imprese ad hoc che partecipavano agli appalti indetti dalla prefettura di
Crotone per aggiudicarsi tra le altre cose i servizi di ristorazione e di
lavanderia per lenzuola e tovaglie del CARA. Gli appalti erano in parte
finanziati con fondi europei destinati all’accoglienza dei migranti: secondo le
indagini svolte finora, su 103 milioni di euro di fondi UE che lo stato ha
girato dal 2006 al 2015 per la gestione del CARA “Sant’Anna”, 36 sarebbero
finiti alla cosca degli Arena.
Tra le persone arrestate ci sono
anche Leonardo Sacco, presidente della sezione calabrese e lucana della
Misericordia, e il parroco di Isola Capo Rizzuto, don Edoardo Scordio, entrambi
accusati di reati legati all’associazione mafiosa. Secondo le indagini, scrive
Repubblica, “Sacco avrebbe stretto accordi con don Scordio per accaparrarsi
tutti i subappalti del catering e di altri servizi”. Grazie a Sacco, la ‘Ndrangheta
sarebbe riuscita a entrare in possesso dei fondi girati dal governo non solo
per la gestione del CARA “Sant’Anna”, ma anche di due SPRAR aperti nella stessa
zona di Isola Capo Rizzuto, oltre che di alcuni centri aperti a Lampedusa [gli
SPRAR sono i centri di seconda accoglienza]. Don Scordio sarebbe stato invece a
capo del sistema di sfruttamento delle risorse pubbliche destinate
all’emergenza migranti: solo nel 2017, per svolgere questa attività illecita
don Scordio avrebbe ricevuto 132mila euro.”
Sembra che uno dei centri di
accoglienza più grandi d’Europa sia in mano alla ‘Ndrangheta, Il Post, 15
maggio 2017.
La Legge di stabilità 2013
[Legge 24 dicembre 2012, n. 228 http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2012/12/29/012G0252/sg]
ha introdotto l’art. 22-bis che punisce con la reclusione da 3 a 6 anni e con
la multa da 50mila a 300mila euro chiunque a scopo di lucro svolga opera di
mediazione nella donazione di organi da vivente. Se il fatto è commesso da
persona che esercita una professione sanitaria, alla condanna consegue l’interdizione
perpetua all’esercizio della professione. L’art. 22-bis ha colmato una lacuna
del nostro ordinamento, che non conosceva, fino al 2012, la fattispecie di
delitto di mediazione lucrativa nella donazione da vivente nei trapianti
diversi dal rene. L’art. 22-bis ha, anche, configurato come illecito
amministrativo la pubblicizzazione, con il conseguimento di un profitto
finanziario o di un vantaggio analogo, della richiesta o dell’offerta di organi
[comma 2] e l’accesso abusivo a sistemi che rendano possibile l’identificazione
dei donatori o dei riceventi [comma 3].
Nel marzo del 2015, il presidente del
Senato, Pietro Grasso, intervenendo alla presentazione del libro di Emilia
Costantini, Quel segno sulla fronte, al Teatro Palladium di Roma, aveva ricordato che “sono 3.707 i minori non accompagnati, di
cui si sono perse le tracce. Sono dati allarmanti, perché non sappiamo se sono
finiti nelle mani di trafficanti, tra i quali ci possono essere anche i
trafficanti di organi” [https://www.ecpat.it/immagini/Rassegna-Stampa-17-Marzo-2015.pdf].
Il 4 febbraio 2016, in occasione dell’audizione
dell’ammiraglio di divisione Enrico Credendino, operation commander
della missione EUNAVFOR MED – Operazione
SOPHIA, dichiarava:
“Vi è poi il problema dei minori non
accompagnati, che l’anno scorso hanno rappresentato l’8 per cento dei migranti,
in partenza prevalentemente dall’Egitto e dall’Eritrea. Di metà di questi
bambini arrivati in Europa si perdono le tracce: alcuni vengono avviati alla
prostituzione minorile, altri vengono venduti a chi procede alle adozioni in
maniera illegale, qualcuno sembra che possa anche essere venduto alle reti che
espiantano gli organi.” [http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Sindisp&leg=17&id=00987224&parse=si&toc=no].
Il 5 luglio 2016, sul sito Internet de Il Tempo si leggeva:
“Gli organi dei migranti in fuga
venivano espiantati in Egitto. I soldi, così come la droga, erano amministrati
dalle cellule romane e palermitane.” [http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=00987229&part=doc_dc-allegatob_ab-sezionetit_m&parse=no]
Il dramma dei bambini rifugiati non
accompagnati è uno dei problemi più urgenti nell'ambito della crisi dei
migranti.
Nel gennaio del 2016, il capo dello staff di Europol di Londra, Brian Donald, aveva lanciato un allarme: almeno
10mila minori emigrati in Europa erano scomparsi nel nulla, circa 5.315, in
Italia, e un altro migliaio, in Svezia.
“Un'intera infrastruttura
criminale si è sviluppata nel corso degli ultimi 18 mesi, pronta ad
approfittare del flusso di migranti. Vi sono prigioni, in Germania e in
Ungheria, dove la stragrande maggioranza delle persone arrestate è dietro le
sbarre per attività criminali in relazione alla crisi dei migranti.”
Circa il 27% delle persone arrivate, nel
2015, in Europa, oltre un milione, erano minori.
“Che siano registrati o meno”,
aveva aggiunto Donald,
Sono
segnalati alla criminalità locale dai “mercanti di morte”, come vengono chiamati
gli organizzatori dei “viaggi della speranza”. Non si può escludere che, oltre al
lavoro o alla prostituzione minorile, vi sia un aberrante traffico di organi umani.
È
chiaro che il mondo ha bisogno di un sistema migliore per fornire organi sani a
malati che ne hanno bisogno per sopravvivere, ma, come dice Carla Del Ponte, “la
depravazione del traffico di organi umani e il rifiuto della gente di credere
che i criminali sono anche capaci di uccidere persone innocenti, al fine di
estrarre i loro organi e venderli, riflette, forse, la reticenza della stampa e
della giustizia di portare alla luce questi problemi e la riluttanza delle
autorità responsabili di perseguirli”.
Nel
luglio del 1999, il Falun Gong è
divenuto famoso in tutto il mondo per la persecuzione in Cina.
La
gente si chiede: che cos’è il Falun Gong?
Perché
il regime cinese è così accanito contro il Falung
Gong?
Il
Falun Gong, conosciuto anche come Falun Dafa, riprende un’antica forma
di Qigong,
che risale all’antica tradizione cinese. È una pratica per purificare corpo e
mente attraverso cinque esercizi, di cui quattro con movimenti lenti e
armoniosi e un quinto di meditazione.
Questa è la testimonianza di una donna cinese che è
stata torturata, nel 2003,
in una prigione nella provincia di Liaoning. Questa donna
è una praticante Falun Gong, ragione per cui è stata imprigionata.
Il 12 aprile 2003, sono stata denunciata
alla polizia come praticante del Falun Gong e sono stata arrestata. Sono stata
detenuta nel centro di detenzione di Fuxing, provincia del Liaoning. Nel marzo
del 2004, sono stata condannata a quattro anni di carcere e condotta dal centro
di detenzione di Fuxing alla prigione femminile della provincia del Liaoning.
Ho sperimentato e sono stata testimone di
ogni specie di tortura utilizzata per perseguitare i praticanti Falung Gong:
privazione del sonno, sanzioni fisiche, rovesciamento di acqua gelida su tutto
il corpo in inverno, percosse continue, dormire su una superficie dura, non
essere autorizzati ad andare in bagno, non avere carta igienica, confisca del
cibo e di altri beni, confisca di danaro, essere appesi, soffocati, confinati
in una gabbia e la lista non si ferma qui. L’ingozzamento di sostanze
sconosciute ha portato molti praticanti a sviluppare turbe mentali. Le torture
hanno causato ogni sorta di incapacità.
Torturarmi per farmi rinunciare al Falun
Dafa
Io ero assegnata alla seconda équipe
della seconda brigata quando sono arrivata. Il primo giorno, le guardie Shi
Jinghe e Sun Yuanyuan hanno ordinato alle prigioniere di picchiarmi e hanno
tentato di costringermi a “confessare”. Ho detto che il Falun Dafa non è un
crimine, che seguire verità, benevolenza e tolleranza non è un crimine. Io ho
tentato di parlare loro. Le prigioniere Ma Ning, Cheng Qili e Dong Yuezhen mi
hanno colpita al viso, dato pedate e insultata. Mi impedivano di dormire la
notte. Durante il giorno, erano sempre là, costringendomi a lavorare sempre più
a lungo. Hanno utilizzato diversi metodi di tortura, perché io non ne potessi
più e firmassi la loro dichiarazione che denunciava il Falun Gong.
Sostanze sconosciute mi hanno ridotta
incapace di pensare o di concentrarmi.
Nel novembre del 2006, io non potevo più
sopportare il duro lavoro e ho iniziato uno sciopero della fame per protestare.
La guardiana Shi Jing mi sorvegliava, mentre le prigioniere mi conducevano in
ospedale. Mi hanno fatto una iniezione e ho iniziato a parlare in modo
incoerente e ad avere terribili allucinazioni. Ho perduto la capacità di
pensare e ho iniziato a dire cose assurde. La mia vista si è annebbiata. Hanno
detto che ero testarda e hanno aumentato la dose di droga. Io non potevo più
concentrarmi e sono svenuta. Più tardi mi hanno ricondotta nella cinta della
prigione, prendendomi carta e penne. Non mi hanno autorizzato ad andare in
bagno. La prigioniera Yi Zhenjun mi ha dato pedate e mi ha picchiata. Zhou Lili
ha messo più droga in un po’ di latte e ha cercato di farmi bere con la forza.
Ho resistito e mi ha versato il latte sulla testa.
Un giorno, avevo sonno dopo un pasto e mi
sono addormentata. Vi sono regole rigide che impongono che le prigioniere non
siano autorizzate a addormentarsi durante il giorno, ma quel giorno mi sono
lasciata andare. Mi sono svegliata quando le altre prigioniere sono rientrate,
in serata. La capo cella Wang Huijuan è venuta e mi ha chiamata:
“Il capo della brigata viene a vederti.”
Allora mi sono alzata e mi hanno detto:
“Il capo della brigata vuole che tu doni
i tuoi organi.”
Io mi sono rifiutata di rispondere e se
ne sono, infine, andati. Due giorni più tardi, due agenti dell’ufficio di
polizia della prigione sono venute. Una di loro, di nome Ma, mi ha chiesto:
“Hai difficoltà economiche a casa?”
Io non ho risposto. L’altra poliziotta ha
alzato quattro dita e ha chiesto:
“Quante?”
Io ho risposto:
“Quattro.”
Poi ha alzato due dita e ha chiesto:
“Quante?”
Io non ho risposto. Poi, loro se ne sono
andate. Dopo avere riflettuto su ciò che avevano detto, ho realizzato che mi
chiedevano di dare i miei organi. Io non potevo più stare tranquilla, ormai. Ho
gridato:
“Falun Dafa è bene!”
La prigioniera Zhou Lili e la capo della
prigione Wang Huijuan mi hanno condotta in una stanza e mi hanno lasciata tutta
nuda. Mi hanno versato acqua fredda su tutto il corpo e non mi hanno
autorizzata a utilizzare il bagno. Ho perso il controllo dei miei intestini. Mi
hanno ricondotta nella cinta della prigione tra le sette le otto di sera. La
detenuta Sun Lijie si è avvicinata per insultarmi e colpirmi alla testa. Una
notte, una detenuta mi ha sussurrato che, se fossi stata condotta da qualche
parte, non sarei più tornata. Più tardi, quella notte, le guardie sono venute e
mi hanno ordinato di vestirmi e di seguirli. Hanno detto che mi conducevano in
un ospedale esterno alla prigione per una assistenza medica. Mi sono
spaventata. Che potevano ben volere fare nel cuore della notte?
Ho gridato:
“Falun Dafa è bene!”
“Io non verrò. Falun Dafa è bene! Falun
Dafa è bene!”
Se ne sono, infine, andate.
Un giorno, mentre gridavo:
“Falun Dafa è bene.”,
le detenute mi hanno messo del nastro
adesivo sulla bocca e mi hanno appesa a un tubo del riscaldamento. Mi è occorso
molto tempo per riprendermi e non potevo più parlare dopo questo. Questo è ciò
che posso ricordare, proprio un piccolo estratto di ciò che è accaduto nella prigione
femminile della provincia del Liaoning. Vi sono sempre molti praticanti del
Falun Gong, che sono torturati laggiù.
Squarcio
della prigione per donne della provincia del Liaoning
La prigione femminile della provincia del
Liaoning è situata nel quartiere Sud-Ovest della città di Shenyang. Ha undici
divisioni [anche chiamate brigate]. Ogni brigata ha diverse équipes. Le
praticanti del Falun Gong sono distribuite in ogni équipe, così vi sono quattro
o cinque sorvegliate da criminali. Vi sono circa 20 guardie per ogni brigata, a
eccezione della quinta brigata. Circa 200 guardie sono, direttamente, implicate
nel maltrattamento quotidiano delle praticanti. Più di dieci altre persone,
compresi i capi e gli ufficiali della prigione, sono, anche direttamente o
indirettamente, implicati nel maltrattamento che avviene in questa prigione.
[La traduzione della testimonianza è di
Daniela Zini]
Daniela Zini
Copyright © 19 ottobre 2018 ADZ
Grazie a una buona dose di
caparbietà, Carla Del Ponte si crea, molto presto, una fama di giudice temibile
e scomodo, tanto da essere soprannominata Carlina la peste. Va ricordata
la proficua collaborazione con Giovanni Falcone, che consente, tra l’altro, di
provare il legame tra il riciclaggio di danaro, effettuato in Svizzera e la
Mafia siciliana nel quadro dell’indagine, avviata già nel 1979, sul traffico di
droga tra l’Italia e gli Stati Uniti, denominata Pizza Connection.
Il
21 giugno 1989, mentre queste indagini sono in corso, sfugge, con il collega
svizzero Claudio Lehmann, – grazie a una provvidenziale serie di circostanze –
a un attentato dinamitardo nella spiaggetta antistante la villa affittata da
Falcone, in località Addaura.
Nel 1999, Carla Del Ponte
diviene procuratore del Tribunale Penale
Internazionale per l’ex-Jugoslavia [ICTY], sostituendo Louise Arbour, e,
contemporaneamente, viene incaricata di seguire il dossier sul genocidio in Ruanda nel Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda.
Dal gennaio del 2008 al febbraio
del 2011, ricopre la carica di ambasciatore della Svizzera in Argentina.
Nel 2013, entra nella Commissione Indipendente Internazionale d’Inchiesta
sulla Siria delle Nazioni Unite, ma, il 6 agosto 2017, Carla Del Ponte annuncia
le sue dimissioni, dal Festival del
Cinema di Locarno, con un duro atto di accusa.
“È
una Commissione inutile”,
dice.
“La
Giustizia Internazionale non funziona in Siria perché non c’è una volontà
politica. Servirebbe il sostegno degli Stati e, in particolare, in questo caso,
del Consiglio di Sicurezza dell’ONU: quest’ultimo viene bloccato dai veti della
Russi e della Cina e, quindi, non si prende la decisione di ottenere Giustizia
per le vittime.”
Così, Carla Del Ponte sbatte la
porta e se ne va:
“Perché
non ci sto più a stare in questa Commissione che non riesce a ottenere
giustizia per le vittime, in questa commissione che non ha nessun futuro perché
non vi è volontà politica, perché gli Stati non vogliono giustizia per le
vittime in Siria. Non posso rimanere in questa Commissione che in fondo non fa
niente.”
Del Ponte rivela che questa
decisione è maturata da tempo:
“Sono
sette anni che in Siria vi è la guerra e la Commissione non fa nulla. Il
Consiglio di Sicurezza deve istituire o una Corte permanente, o ancora meglio
un Tribunale ad hoc, come per la ex-Jugoslavia, visto l’elevato numero di
crimini commessi. Ma si tratta di un futuro che per ora non vedo. Abbandono la
Commissione, non le vittime, sarei pronta domani ad assumere il ruolo di procuratrice
se fosse creato un Tribunale internazionale per la Siria.”
Sono affermazioni gravi, che si
commentano da sole, alle quali non seguono significative reazioni.
Anche questo si commenta da
solo!
Une guerre juste pour un Etat mafieux, un libro di Pierre Péan e
Sébastien Fontenelle, pubblicato nel maggio del 2013, riferisce testimonianze
agghiaccianti di ex-combattenti dell’UCK.
Nel suo libro, La Caccia, Carla Del Ponte cita i
testimoni che denunciarono l’espianto di organi su 300 serbi, deportati dal
Kosovo nel Nord dell’Albania.
Tradotto
in dodici lingue, il libro ripercorre, in più di 400 pagine, gli otto anni di
caccia, che portarono all’arresto decine di criminali di guerra, accusati di
genocidio, tra i quali l’ex-presidente serbo Slobodan Milosevic.
Il
cosiddetto turismo medico esiste, in verità, da centinaia di anni. Il termine,
oggi, viene, tuttavia, frequentemente utilizzato includendo il cosiddetto
turismo del trapianto e per descrivere lo spostamento da uno Stato ad un altro,
da una giurisdizione a un’altra, al fine di accedere a servizi medici,
scegliendo un sistema sanitario maggiormente permissivo sul piano
giuridico-legale.
Traffici di armi e traffici di organi: chi si è
avvicinato troppo alla verità, non ha vissuto abbastanza a lungo per
raccontarla.
Nel maggio del 1996, Xavier Bernard Gautier,
trentacinque anni, corrispondente de Le Figaro e attento conoscitore dei
Balcani, fu trovato
impiccato nella sua casa di Ciudadela, nell’Isola di Minorca, alle
Baleari. Le autorità spagnole non ebbero dubbi sulla sua morte: un suicidio.
Tuttavia le circostanze erano, per così dire, singolari. Lo trovarono con le
mani legate; sulle mura di casa la scritta: “Traditore
Diavolo Rosso”.
Un articolo molto dettagliato di
Gautier era apparso su Le Figaro del
6 gennaio 1995.
I parenti del giornalista,
soprattutto il padre e la sorella, erano convinti che Xavier fosse stato
assassinato. Una circostanza strana, un altro giornalista, che si era
interessato del traffico di armi, come
l’inglese Jonathan Moyle, in Cile, aveva trovato la morte per
impiccagione.
Un giornalista francese dichiarò
alla stampa che Gautier stava scrivendo un articolo in cui “non solo criminali di guerra nell’ex Jugoslavia, ma anche importanti
italiani” .
E qualche anno più tardi, i magistrati Nicola Maria Pace e Federico Frezza
della Procura di Trieste seguirono proprio la pista di un presunto traffico di
organi di migranti cinesi tra l’Italia e la ex-Jugoslavia.