“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

venerdì 26 ottobre 2018

Ministro Trenta Fiume in Piena contro Boldrini e Accuse di Propaganda ✰✰...

Gli africani non sanno che in Italia non si può stuprare





CE LA RICORDIAMO TUTTI LA GENIO, VERO!?


venerdì 19 ottobre 2018

TRAFFICO DI ORGANI UMANI II. MERCATO NERO DI ORGANI UMANI di Daniela Zini


TRAFFICO DI ORGANI UMANI


a R. G.
Che la Sua Morte trovi, infine, Giustizia, per la Pace, in Vita, dei Suoi Genitori.  

“Nel corso della Storia, è stata l’inattività di coloro che avrebbero potuto agire; l’indifferenza di coloro che avrebbero dovuto saperlo più degli Altri; il silenzio delle Voci quando più erano importanti; che ha reso possibile il trionfo del Male.”
Hailé Selassié

La Vita non è lineare. In genere, sicurezza e pericolo coesistono negli stessi oggetti e negli stessi fatti.
Nelle giuste o sbagliate condizioni, tutto ciò che è essenziale alla nostra esistenza può trasformarsi in qualcosa di dannoso o fatale: l’acqua può annegare, il cibo può avvelenare, l’aria può soffocare.
I Bambini nascono, mettendo a rischio la Vita delle loro Madri, e divengono adulti, dovendo affrontare innumerevoli rischi.
Per molti, in particolare, per i benestanti e i benpensanti, l’instabilità è sinonimo di cambiamento e il cambiamento non può che essere per il peggio.
Non stupiamoci se nessun uomo politico sostenga, pubblicamente, questa tesi!
La massa ama la stabilità. Lo status quo, benché non abbia alcun fondamento ideologico e non sia particolarmente meritevole di lode, è il risultato dell’interazione tra forze sociali. Forze che la massa conosce e comprende.
Questo equilibrio soddisfa la massa, che non auspica nulla di meglio della stabilità.
La paura spinge, incessantemente, la massa a inventare o a esagerare i rischi.
La televisione ci mette, inoltre, prepotentemente, a confronto con eventi che accadono a migliaia di chilometri di distanza. Sappiamo che, spesso, considerata la crescente interdipendenza tra i Paesi, i problemi che interessano una area del Mondo, possono coinvolgere rapidamente altre aree.
Tutto ciò genera confusione e suscita un atteggiamento distorto nelle nostre menti.
Nei salotti delle nostre case si riversano, ininterrottamente, problemi sempre nuovi.
Problemi così tangibili da divenire spaventosi, tuttavia, abbastanza remoti da non richiedere un coinvolgimento effettivo e affettivo.
Nella massa questo atteggiamento può essere giustificabile, negli uomini politici NO. 
Ho sempre pensato che i proverbi siano una coacervo di frasi fatte, un florilegio di luoghi comuni.
E, tuttavia, ve ne è uno che gode di tutto il mio rispetto:
“Non vi è peggiore sordo di chi non vuole sentire!”,
e io aggiungerei:
“E peggiore muto di chi non vuole parlare!”
Il 25 giugno 1942, quando i nazisti erano in difficoltà e le sorti della guerra poco distinte, il giornale inglese The Daily Telegraph pubblicò uno dei più grandi scoops della Storia dal titolo: 
Ma, nell’articolo, si parlava di un numero anche maggiore di vittime. Era una delle prime notizie su uno dei grandi fatti del Secolo.
E aveva, anche, il raro pregio di poter servire a qualcosa.
In quel momento, il massacro era ancora in atto e altri milioni di Esseri Umani sarebbero stati soppressi, negli anni a venire.
Saperlo avrebbe potuto spingere ad agire.
Ma il giornale, che di pagine ne contava solo sei, pubblicò quella breve notizia alla pagina cinque.
E nessun altro quotidiano la riprese.
Sarebbero trascorsi anni prima che l’Umanità decidesse di inorridire di fronte all’Olocausto.
In quei giorni non ne aveva intenzione…
L’Olocausto è stato un momento eccezionale della Storia.
Oggi, muoiono solo 8 milioni di Esseri Umani, l’anno, per cause legate alla fame.
Le guerre creano masse di rifugiati.
E migliaia di migranti affogano o si perdono, cercando una Vita migliore.
Naturalmente, ciò non accade a noi, che leggiamo queste notizie.
Sono, sempre, gli Altri, come Altri erano gli Ebrei.
E la loro Storia non cessa di uscire in penultima pagina, quando esce!
Platone diceva:
“Conoscere è ricordare.”
E, il tentativo evoca profondi strati di Passato: voci, suoni, odori, persone e così via, senza fine.
Nell’epoca in cui si porta al massimo sviluppo l’individualità, l’Uomo ha, fortemente, bisogno di una conoscenza che, per sua natura, spinga il pensiero verso il cuore e di là verso l’azione, che svegli il senso di appartenenza a innumerevoli Esseri e, quindi, a un comportamento armonico per la vita di questi Esseri.

D





“Il fatto che l’uomo sappia distinguere tra il bene e il male dimostra la sua superiorità intellettuale rispetto alle altre creature; ma il fatto che possa compiere azioni malvagie dimostra la sua inferiorità morale rispetto a tutte le altre creature che non sono in grado di compierle.”
Mark Twain

“I Balcani sono un crogiolo di particolarità che non cessano di confondersi e contrapporsi. Un luogo dove la Storia sfida la geografia e la Storia sfida persino la psicologia. Vogliamo partire dalla follia? Ebbene, là forse c’è davvero anche un rapporto particolare tra geopolitica e tare genetiche. Il padre di Milosevic, che era un pope ortodosso, si è suicidato. La madre si era impiccata. Anche un suo zio si era impiccato. Il padre del presidente croato Tudjman si era suicidato dopo aver ucciso la moglie. Il generale Mladic, il criminale di guerra massacratore dei bosniaci ha avuto una figlia suicida come Ofelia, perché non reggeva all’onta delle scelleratezze del padre. L’ideologo, consigliere di Karadzic a Pale, Koljevic, si è sparato un colpo in testa, venticinque anni prima si era suicidata sua madre, gettandosi nel fiume. Il padre di Mladic era stato ucciso dagli ustascia. Il padre del ministro croato Sushak era stato ucciso dai partigiani. Credo che se si considera la profondità shakespeariana delle tragedie balcaniche, le cose assumono un rilievo particolare. Non saprei come altrimenti spiegare un elemento particolarmente atroce dei conflitti più recenti. Nelle guerre europee sinora, anche nell’ultima Guerra Mondiale, si ammazzavano soprattutto soldati. Ora si ammazzano molto di più i civili.”
Milosevic? Non gli resta che il suicidio
Predrag Matvejevic[1] intervistato da Siegmund Ginzberg

Anna Politkovskaja diceva che la guerra in Cecenia riguardava l’Occidente, perché imbarbariva la Russia e le conseguenze sarebbero state internazionali.
Ebbe parole dure per quello che considerava il guanto di velluto dell’Occidente nei confronti di Vladimir Putin e della Russia:
“Il più delle volte dimenticano la parola Cecenia. La ricordano solo quando vi è un attentato. Putin ha cercato di convincere la Comunità Internazionale che anche lui sta combattendo il terrorismo globale, che anche lui partecipa a questa guerra così di moda. E ci è riuscito: per un periodo è stato il migliore amico di Blair. È stato spaventoso quando, dopo Beslan, ha iniziato a sostenere che si poteva quasi vedere la mano di Bin Laden. Che cosa c’entra in questa storia Bin Laden? È stato il Governo russo a creare e ad allevare quelle belve.”
Certo, Anna Politkovskaja era animata dalla passione. Amava il suo Paese, i suoi concittadini, perché aveva appreso a vederli attraverso lo sguardo di Osip Mandel’stam, di Marina Svetayeva, di Aleksandr Solgenitsin, che aveva letto perché suo padre, diplomatico, portava con sé, con valigia diplomatica, la letteratura proibita.
Ma va detto, anche, che Anna Politkovskaja vedeva giusto.
Aveva compreso quello che era in gioco, in Russia, prima di molti altri, a iniziare dai troppo saggi diplomatici e Governi occidentali, che consideravano e considerano, ancora, la Cecenia come un affare interno russo.
“No,”,
gridava,
“vi riguarda!”
Sosteneva che la criminalizzazione della Russia, accelerata dalla guerra in Cecenia, la scuola di violenza, senza limiti, che costituisce l’esercito russo in molte sue unità, la follia del danaro che non si imbarazza di alcuno scrupolo, tutto ciò costituisse un cancro che corrode questo Paese.
E aveva ragione.
“Questo cancro vi minaccia.”,
continuava, rivolgendosi agli occidentali.
Nel suo libro Cecenia, il disonore russo, Anna Politkovskaja evoca la preghiera di una vecchia donna cecena malata, madre di una vittima della guerra, una preghiera implorante:
“L’odio che alberga nei nostri cuori dopo questa tragedia ci lasci.”
La giornalista vi aggiungeva questo commento:
“Come mettere fine a questa guerra, con il suo bagaglio di orrori quotidiani? Come si fermano le guerre?
Le guerre finiscono precisamente quando i nostri sentimenti di odio cedono il passo. Altrimenti, come tanti condannati a morte, aspettiamo il nostro turno, perché abbiamo affidato il nostro Paese a persone che non hanno paura di sterminare i loro simili.
Non si tratta della guerra senza quartiere contro il “terrorismo internazionale”, dove i “dettagli” non contano. Si tratta di capire quello che è successo a NOI. È di noi che si tratta. Della bestialità che ha invaso i nostri cuori. E dal cuore di questa Cecenia “pacificata” io ho voglia di gridare: SOS!”
I Balcani sembravano una Brutta Addormentata, nell’attesa che il Principe tornasse dai giochi della guerra e la baciasse o che la svegliassero le trombe e i fischietti degli studenti di Belgrado e di Sofia.
A quanto pare, l’operazione non è riuscita.
Ora, la bruttina malvestita, talvolta affamata, abituata a tristi vicende – le tre M del transito faticoso: Mafia, Miseria e Malessere – cerca una cosa chiamata Europa.
Nel 1990, festeggiammo in anticipo la fine del XX secolo, una specie di mattatoio e inaugurammo il nuovo Millennio.
A Berlino, epicentro del terremoto che stava per scuotere il mondo, nella notte tra il 2 e il 3 ottobre, la bandiera della Germania riunificata fu issata sul pennone del Reichstag.
Nel crescendo di entusiasmo della folla, accalcata sul prato davanti al palazzo, alla tredicesima salva di cannone arrivò in cima.
Bandiere che salgono, bandiere che scendono!
Bandiere che scandiscono i tempi!
Lunghi drappi neri fradici che sbattono contro le facciate degli edifici quando muore la Primavera di Praga. Effimere bandierine di carta a stelle e strisce sostituite, il giorno seguente, da quelle abituali, rosse e di stoffa consunta, in occasione di uno degli scarti troppo rapidi di Ceausescu.
E, poi, il vessillo pantedesco che sventola alto sull’ex-Muro: preludio alla scomparsa della pesante bandiera sovietica di velluto, che viene ammainata sulla guglia del Cremlino per cedere il posto al nuovo tricolore russo, di nylon leggero e danzante, che non ha più bisogno dei giganteschi ventilatori del regime.
E tante altre ancora!
Sembrava che, nel domani postcomunista, la partita si sarebbe giocata tra il bene e il meglio e che il male, se non definitivamente scomparso, si sarebbe acquattato negli anfratti. Non si è tenuto conto di debiti insoluti, tragedie congelate, antiche questioni accantonate, che con il primo Inverno si sarebbero ridestati, per dare inizio a un domino di rivincite. Per cui, oggi, il futuro appare tutto sommato così così.
È difficile trovare una regola generale.
L’Asia Centrale ex-sovietica si era chiusa in se stesssa, aveva manifestato un vero plebiscito di consensi per gli ex-segretari comunisti travestiti da democratici o musulmani o ambedue le cose insieme, eletti nuovi leaders e insediati fino al Duemila e oltre.
Stavano seduti sul proprio petrolio.
Le compagnie occidentali perforavano il terreno per vedere cosa nascondesse; ma prevaleva l’idea che, una volta esaurite le riserve in Medio Oriente, da un Uzbekistan, fino ad allora dedito alla coltivazione del cotone, potessero zampillare fiumi di oro nero.
Per il secolo a venire, le multinazionali petrolifere chiedevano solo che fossero praticabili i corridoi degli oleodotti.
Comandasse chi volesse in Afghanistan e in Cecenia, purché a qualcuno non venisse in mente di danneggiare le condutture.
Durante la Guerra Fredda, I’Europa dimenticò i Balcani e ciò provocò una divisione all’interno della penisola: la Grecia e la Turchia europea da un lato, e gli altri Paesi dall’altro.
Questa separazione politica, economica, culturale, tra Est e Ovest, contribuì non poco a diversificare le mentalità e gli atteggiamenti.
Da un punto di vista geografico, si divise, erroneamente, I’Europa in due blocchi: quello mediterraneo [il Portogallo, la Spagna, l’Italia e la Grecia] e quello orientale [la Jugoslavia, l’Albania, la Bulgaria, la Romania, la Polonia, l’Ungheria e la Cecoslovacchia] e la realtà balcanica venne del tutto annullata.
Con la caduta del Muro di Berlino [9 novembre 1989], i Balcani ritornarono sulla scena internazionale e si assistette a una ripresa di rapporti economici con i Paesi vicini e, quindi, a una rinascita degli antichi problemi geopolitici.
Nel novembre del 2017, il suicidio in mondovisione dell’ex-generale croato Slobodan Praljak, presidente della Repubblica di Bosnia-Erzegovina[2], dal 1991 al 1994, e condannato per crimini di guerra, ha rinfocolato le rivendicazioni del nazionalismo croato, facendo parlare l’inquilino del Banski Dvori [il palazzo del Governo di Zagabria], Andrej Plenkovic, di “profonda ingiustizia morale”.
Poco tempo dopo quella sentenza, in occasione del Carnevale di Livno, nel febbraio scorso, è stato bruciato un fantoccio con le fattezze di Carmel Agius, presidente del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia, dal 17 novembre 2015, [http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Criminale-ex-Jugoslavia-si-uccide-bevendo-il-veleno-in-aula-al-momento-della-sentenza-b8bd9330-4138-4662-8e29-0eb3438527de.html].
Stessa sorte è toccata al pupazzo di Agius a Capljina, la cittadina che diede i natali a Praljak, nell’Erzegovina Meridionale.
Praljak era al comando delle forze croato-bosniache che attaccarono Mostar, il cui ponte, distrutto nel 1993, è divenuto il simbolo dell’odio etnico, della violenza dei nazionalismi, e dei più crudeli massacri avvenuti sotto gli occhi dell’Europa, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, di cui Srebrenica rappresenta il tragico culmine.
Eletto Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, quel ponte di origine ottomana abbattuto e ricostruito, voleva simboleggiare il MAI PIU’ dell’Unione Europea che, in occasione del centenario della Grande Guerra, il 28 giugno 2014, celebrava la pace con un concerto dell’Orchestra Filarmonica di Vienna, a Sarajevo  [https://www.youtube.com/watch?v=LbkNMetAmWU].
“Si tratta di un incredibile cinismo.”,
commentava il giornalista Zlatko Dizdarevic,
“Se vi è un luogo dove i principi europei vengono abbandonati, questo è Sarajevo.”


Uno dei più bei ponti al mondo. Una sola arcata, esile, molto elegante. Collega tra loro due fortificazioni che campeggiano, massicce, sulle due sponde della Neretva, il fiume che attraversa la città bosniaca di Mostar. Il ponte ne è il simbolo. Sta a Mostar come il Golden Gate Bridge a San Francisco, volendo azzardare un parallelo.
Lo Stari Most – vecchio ponte nella lingua locale – fu costruito nel XVI secolo e restò in piedi per più di quattrocento anni, finché, il 9 novembre 1993, esattamente venticinque anni fa, non fu preso di mira dall’artiglieria croato-bosniaca [https://www.youtube.com/watch?v=kMSnskKpPpk]. E venne giù, tristemente. Quella fu una delle immagini più devastanti della Guerra di Bosnia, scoppiata nel 1992. Una guerra in cui i tre popoli del Paese, bosniaci [musulmani], serbi e croati, si combatterono senza sconti.
Lo Stari Most è stato ricostruito con i fondi della comunità internazionale, seguendo il progetto architettonico originale. L’ultima pietra è stata posata nel 2004. E si disse, allora, che il nuovo, vecchio ponte avrebbe ricongiunto le due anime litigiose della città.
In realtà, il ponte non ha mai riconciliato croati e bosniaci.

Il violoncellista Vedran Smailovic tra le macerie della Sarajevo assediata [https://www.youtube.com/watch?v=2f7ZoYn_-A0, https://www.youtube.com/watch?v=74weGNYbhYw&t=64s].
Nella notte tra il 25 e il 26 agosto del 1992, i proiettili al fosforo sparati dalle forze che assediavano la città scatenarono un incendio che durò per giorni e distrusse il cuore della cultura di Sarajevo, la Vijecnica, la storica Biblioteca Nazionale della Bosnia Erzegovina. L’80% dei libri andò distrutto. Due milioni di volumi, tra i quali moltissimi testi antichi, divennero cenere.


Nessuna pace e nessuna ferita del passato è stata, pienamente, cicatrizzata.
Nella zona serba della città bosniaca veniva inaugurata,  lo stesso giorno del concerto, patrocinato dalla Unione Europea, una statua a Gavrilo Princip, la cui mano, un secolo prima, aveva premuto il grilletto contro l’arciduca Francesco Ferdinando, trascinando il Vecchio Continente e il mondo nell’Apocalisse della Modernità.
Conoscere la Storia dei Balcani significa scoprire un pezzo di Europa che, troppo spesso, si tende a considerare lontano ed estraneo, nonostante la regione sia, sempre, stata tra le pagine dei nostri libri di Storia.
L’obiettivo di questo ciclo di articoli non è tanto fornirvi un piatto e dettagliato resoconto storico, quanto avvicinarvi a una parte del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro, con la speranza che desideriate continuare ad approfondire.





II. MERCATO NERO
DI ORGANI UMANI

di
Daniela Zini

TRAFFICO DI ORGANI: UNA REALTA’
I. Un commercio in piena espansione
di Daniela Zini

“La verità è che la definizione della morte cerebrale fu proposta dalla Harvard Medical School, nell’estate del 1968, pochi mesi dopo il primo trapianto di cuore operato da Christian Barnard [dicembre 1967], per giustificare eticamente i trapianti di cuore, che prevedevano che il cuore dell’espiantato battesse ancora, ovvero che, secondo i canoni della medicina tradizionale, egli fosse ancora vivo. L’espianto, in questo caso equivaleva a un omicidio, sia pure compiuto “a fin di bene”. La scienza poneva la morale di fronte a un drammatico quesito: è lecito sopprimere un malato, sia pure condannato a morte, o irreversibilmente leso, per salvare un’altra vita umana, di “qualità” superiore?”
Sandro Magister

 Carla Del Ponte
“Nella primavera del 2008 ho attirato l’attenzione su racconti credibili fatti alla Procura del TPIJ circa sequestri e sparizioni di persone in Kosovo nel 1999, e su indizi che alcune vittime di tali rapimenti erano state uccise nell’ambito di un traffico organizzato per procurarsi e commerciare organi umani.
Queste affermazioni indignate riportate nel mio libro di memorie, La Caccia, erano corroborate da indizi fisici credibili e verificabili, ottenuti durante una missione nel territorio della Repubblica d’Albania da investigatori del TPIJ e della Missione delle Nazioni Unite in Kosovo [UNMIK] in presenza di un pubblico ministero del Governo dell’Albania.”
Lei disse che prigionieri serbi erano stati rapiti dall’Esercito di Liberazione del Kosovo [UCK], alla fine della Guerra in Kosovo, tra il 1998 e il 1999.
Lei disse che prigionieri serbi erano stati deportati in Albania, dove erano stati assassinati.
Lei disse che da prigionieri serbi erano stati espiantati organi per essere venduti.
Lei è Carla Del Ponte[3], procuratore del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia [TPIJ], dal 1999 al 2007, la prima a dire che “l’uccisione intenzionale di prigionieri al preciso scopo di prelevare e vendere i loro organi per lucro sia stata organizzata da membri di alto livello dell’UCK, comprese persone che, oggi, hanno alte cariche nel Governo di quel Paese”.

  

Hashim Thaci e papa Francesco

Hashim Thaci, Fatmir Sejdiu e George W. Bush

 Hashim Thaci e Donald Trump

 Justin Trudeau e Hashim Thaci

Hashim Thaci e Tony Blair

 Hashim Thaci e Sebastian Kurz

 Federica Mogherini e Hashim Thaci

 Hashim Thaci e Matteo Renzi

 Roberta Pinotti e Hashim Thaci

Shaip Muja, cardiologo e consigliere di Hashim Thaci in ambito sanitario, di cui il rapporto Marty definisce il ruolo centrale “per oltre un decennio in reti internazionali per niente lodevoli, compresi i traffici di esseri umani, le procedure chirurgiche illecite e il crimine organizzato”.

Ricordiamo gli effetti di queste dichiarazioni.
Ricordiamo la risata a piena gola di Bernard Kouchner[4] – alto rappresentante del segretario generale dell’ONU in  Kosovo, nel periodo dal luglio del 1999 al gennaio del 2001 –, quando, nel marzo del 2010, un giornalista serbo lo interrogò sulla “Casa Gialla” [http://voix.blog.tdg.ch/archive/2013/08/18/l-eclat-de-rire-du-french-doctor-et-la-maison-jaune.html, https://www.youtube.com/watch?v=t8nCBv-9x0U&t=83s, https://www.youtube.com/watch?v=12HXAl-hFL0,



In visita  ufficiale in Kosovo, Bernard Kouchner, era stato intervistato da un giornalista, il primo marzo del 2010, circa le voci secondo cui sarebbe stato coinvolto nello scandalo del traffico di organi. Diversi media serbi avevano accusato Kouchner di aver coperto tali azioni, quando era alto rappresentante delle Nazioni Unite nella regione [1999-2001].
“Il caso della casa gialla”, riferendosi al colore della clinica clandestina dove gli organi stati espiantati a più di 300 civili serbi prigionieri, prima di essere assassinati, è stata attestata dall’ex procuratrice internazionale per i crimini di guerra Carla del Ponte, nel suo libro La Caccia. Io e i criminali di guerra [Feltrinelli, 2009]. Quattro anni dopo le vicende, gli investigatori dalla signora Del Ponte hanno individuato la casa gialla a Burrell [Albania], ma non sono riusciti a trovare elementi di prova per ricostruire la filiera.
Su proposta della delegazione russa, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha nominato il senatore svizzero Dick Marty, per aprire una nuova inchiesta.
Nel rispondere alla stampa, Bernard Kouchner non mostra alcuna compassione per le vittime e le loro famiglie. Assai stranamente, ha scelto di negare la complicità passiva a lui imputata, contestando l’esistenza del reato. Inoltre, egli definisce “bastardi assassini” coloro che hanno diffuso questa voce; dichiarazioni che includono anche Carla Del Ponte.
Sempre nel 2010, intervistato dal canale televisivo BBC riguardo al rapporto che Dick Marty aveva presentato al Consiglio d’Europa sul traffico di organi durante la Guerra nella ex-Jugoslavia, Kouchner si era detto scettico, ma comunque a favore di una inchiesta internazionale.
L’ex-alto rappresentante aveva, anche, ritenuta falsa l’accusa di Dick Marty a proposito di un numero considerevole di servizi segreti e di leaders  occidentali che fossero a conoscenza del traffico di organi alla fine degli Anni Novanta:
“Anche io sono stato accusato di esserne al corrente ma non ne sapevo nulla. Se avessi saputo avrei premuto perché fossero avviate delle indagini. Ho sentito parlare del traffico di organi, per la prima volta, nel 2008, quando l’ex-procuratrice Carla Del Ponte ne aveva scritto nel suo libro e ne ero rimasto molto sorpreso.”
“Dick Marty è un pover’uomo.”
ha dichiarato Kouchner ai microfoni della BBC,
“Nei Balcani ci siamo sempre battuti contro il crimine organizzato, abbiamo sempre operato nel nome della giustizia. Non mi devo difendere da alcuna accusa. Chi è Dick Marty? Non lo conosco. Fa parte del Consiglio d’Europa e come tale va rispettato. Lo rispetto, ho letto il suo rapporto ma sono scettico. E devo dire di non aver mai incontrato Marty in Kosovo.”
Riguardo all-ex premier del Kosovo Hashim Thaci, Kouchner era stato prudente:
“Non sono in grado di giudicare il suo operato. È un politico che rispetto. Il fattore importante è che la pace venga mantenuta in una regione dove la Comunità Internazionale ha investito sforzi e denaro. Ritengo che i leaders occidentali non debbano sentirsi a disagio all’idea di incontrare Thaci, perché lui non è un ostacolo. Neppure le accuse che pesano su di lui devono essere un ostacolo.”

  


In questa famosa fotografia, cinque personalità giurano, nel mese di ottobre del 1999, di portare il Kosovo verso l’indipendenza. A sinistra, si riconosce Hashim Thachi [allora leader dell’UCK], Bernard Kouchner [allora alto rappresentante delle Nazioni Unite in Kosovo], Sir Mike Jackson [ex-comandante delle truppe britanniche nel massacro del Bloody Domenica, in Irlanda, allora comandante delle forze di occupazione della NATO, oggi consulente di una società di mercenari], Agim Ceku [comandante dell’UCK, accusato di crimini di guerra dall’esercito canadese e dalla Serbia] e a destra, il generale Wesley Clark [allora comandante supremo della NATO, ora un lobbista per i biocarburanti].

Una foto nell’album di famiglia della NATO che qualcuno a Bruxelles, oggi, pensa sarebbe stato meglio non venisse, mai, scattata. 


Furono le accuse mosse da Carla Del Ponte nel suo libro, La Caccia[5], che condussero a una inchiesta del Consiglio d’Europa, di cui fu incaricato Dick Marty.

Al termine della guerra, furono i soldati tedeschi della KFOR, la missione NATO in Kosovo, a controllare l’area di Thaci. E proprio due eurodeputati tedeschi, Bernd Posselt e Doris Pack, attaccarono il rapporto del Consiglio d’Europa, in cui Dick Marty denunciava un presunto traffico di organi in Kosovo.
Secondo Marty, il traffico sarebbe, prima, avvenuto con prigionieri catturati e uccisi dall’UCK, poi, continuato nella Clinica Medicus con donatori viventi provenienti da Paesi poveri europei e asiatici.
Nel marzo del 2011, Posselt e Pack riferirono al quotidiano Irish Times che Marty non aveva presentato alcuna prova concreta, durante un incontro a porte chiuse della Commissione per gli Affari Esteri del Parlamento Europeo.
Doris Pack dichiarò che “almeno il 90%” degli eurodeputati avevano criticato, aspramente, il dossier di Marty.
Tuttavia, l’eurodeputato italiano Pino Arlacchi, presente a quella seduta, aveva fornito una versione diversa dei fatti:
“Posselt e Pack hanno accusato Marty con argomenti molto deboli. Ma la maggior parte degli europarlamentari, compreso io, abbiamo appoggiato il rapporto del Consiglio d’Europa.”

La polizia fece irruzione nella Clinica Medicus, nel 2008, dopo che
le autorità di frontiera bloccarono uno dei donatori di organi, Yilman Altun, prima che si imbarcasse su un volo per Istanbul. Altun, cittadino turco, non avrebbe potuto affrontare il viaggio a causa delle sue cagionevoli condizioni di salute dovute all’esportazione di un rene. Secondo gli investigatori, cittadini tedeschi, israeliani, canadesi e polacchi erano disposti a pagare l’organizzazione fino a 90mila euro per un rene. I donatori, provenienti da Paesi poveri dell’Europa dell’Est e dell’Asia Centrale, ricevevano un compenso inferiore a 10mila euro.
Il procuratore Jonathan Ratel aveva chiesto il rinvio a giudizio per nove persone. Lufti Dervischi e il figlio Arban, personaggi chiave dell’inchiesta, sono attori influenti nella politica kosovara. Ma vi sono altri imputati eccellenti: Driton Jilta, ex-ufficiale della missione OSCE in Kosovo; Ilir Rrecaj, ex-ministro della sanità kosovara; Sokol Hajdini, Islam Bytyqi e Suleiman Dulla, anestesisti alla Clinica Medicus; Moshe Harel, un intermediario israeliano. E infine Yusuf Ercin Sonmez, chirurgo turco finito più volte nel mirino degli inquirenti per il suo coinvolgimento in altri presunti traffici di organi, e noto alle cronache con i soprannomi di “Dottor Avvoltoio” e “Dottor Frankestein”. Anche un chirurgo israeliano, Zaki Shapira, e un altro dottore turco, Kenan Demirkol, sono stati citati nell’atto di accusa del procuratore Ratel come “complici non ancora incriminati”.
La Clinica Medicus aveva ottenuto un’autorizzazione per attività sanitarie in cardiologia, ma non in urologia, nonostante le ripetute richieste presentate da Dervishi, a partire dal 2003.

“Quella del Consiglio d’Europa è stata l’unica inchiesta credibile mai intrapresa da un organo competente, locale o internazionale, su questa vicenda”, nonostante le dichiarazioni di ex-membri dello staff del TPIJ.
Nel rapporto, redatto per il Consiglio d’Europa, nel dicembre del 2010, Dick Marty accusa Hashim Thaci, ex-capo dell’Esercito di liberazione del Kosovo [UCK] ed ex-primo ministro del Kosovo, alla fine degli Anni Novanta, di essere stato alla testa di una rete mafiosa di traffico di organi.
Il rapporto stabilisce un legame tra questo presunto traffico, che avrebbero organizzato i combattenti dell’UCK su prigionieri serbi e il Caso Medicus, sopravvenuto anni più tardi e che ha visto la condanna, nell’aprile del 2013, di cinque medici per traffico internazionale di organi [https://www.youtube.com/watch?v=qFboznsjfas].

Lutfi Dervishi, professore all’Università di Pristina dal 1982, risultava, ufficialmente, proprietario della Clinica Medicus, ma il vero proprietario era un urologo di Berlino, il dottor Manfred Beer, con il quale Lutfi aveva studiato e lavorato in Germania. Nel 2013, giudicato colpevole di associazione criminale e traffico di essere umani, Lutfi è condannato, dal Tribunale di Pristina  a 8 anni di carcere e a una multa di 10mila euro. Al figlio e complice, Arban Dervishi, è stata, invece, inflitta una pena di 7 anni e 3 mesi per gli stessi reati imputati al padre. Entrambi sono stati, invece, assolti dalle accuse di frode, falsificazione di documenti e di aver arrecato gravi danni fisici alle vittime. Inibizione dell’esercizio della professione di anestesista per un anno e tre anni di carcere per Sokol Hajdini, capo anestesista durante gli espianti. Un anno di carcere, infine, per gli altri due anestesisti, Islam Bytyqi e Sulejman Dulla. Per i tre è stata invece rigettata l’accusa di attività medica illegale.
Assolto, inoltre, l’ex-ministro della Sanità kosovara Ilir Rrecaj, accusato di avere occultato informazioni che avrebbero permesso di scoprire quanto avveniva nella clinica. Rrecaj, pur ammettendo di essere a conoscenza dei fatti, aveva, tuttavia, negato di avere coperto o agevolato tali operazioni.
Nel marzo del 2016, la Corte di Appello del Kosovo aveva confermato le condanne, ma una sentenza della Corte Suprema aveva annullato il verdetto originale sulla base di irregolarità procedurali.
Nel luglio del 2017, il Tribunale di Pristina Basic ha avviato un nuovo processo a carico di Lufti Dervisci, di suo suo figlio Arban Dervishi e del capo anestesista Sokol Hajdini, tutti accusati di coinvolgimento nel crimine organizzato in relazione al traffico di esseri umani.
 

Il medico Arban Dervishi, figlio dell’urologo Lutfi Dervishi.


Lo scorso gennaio, Moshe Harel, cittadino israeliano, accusato di essere coinvolto nel traffico di organi della Clinica Medicus, è stato arrestato, a Cipro, dopo che da anni compariva negli elenchi dei ricercati dall’INTERPOL.

Il medico Boris Wolfman, possessore di doppia cittadinanza, russa e israeliana, è arrestato, nel 2016, a Tirana.

Il chirurgo Yusuf Ercin Sonmez, soprannominato Dottor Frankestein, accusato di essere l’esecutore materiale degli espianti, è arrestato, nel gennaio del 2011, per traffico di essere umani e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In un file in possesso dell’antropologa Nancy  Scheper-Hughes, Sonmez si vanta di avere eseguito più di 2.200 trapianti illegali di organi.

Nazim Bllaca è l’uomo, che, nel 2009, ammise, pubblicamente, di essere stato membro di una unità speciale incaricata di commettere omicidi politici per conto del Partito Democratico del Kosovo [PDK], subito dopo la fine del conflitto contro la Serbia, nel giugno 1999, [https://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Le-confessioni-di-un-assassino-47881,




 








 
Il 29 luglio 2014, Clint Williamson, procuratore capo della Task Force Investigativa speciale [SIFT] in relazione alle accuse secondo cui alti livelli dell’UCK avevano commesso gravi crimini di diritto internazionale contro i civili, dopo la conclusione del conflitto, ribadisce, nel suo rapporto, le responsabilità dell’UCK per le brutalità dell’estate del 1999 su minoranze serbe e rom, con omicidi, rapimenti, violenze sessuali, distruzione di chiese e di altri siti religiosi, avvenute a Sud del fiume Ibar.
“Forti indicazioni”, scrive Williamson, confermano che alcuni prigionieri siano stati sacrificati al traffico di organi, lungo un sistema di campi di reclusione, disseminati nei villaggi di Cahan, Kukës, Bicaj, Burrel Rripe, Fushë-Krujë, nelle montagne tra Kosovo e Albania.
Williamson denuncia un pesante clima di intimidazione sui testimoni e pressioni esercitate oltre che dal Governo kosovaro, da quello albanese e dai rappresentanti dell’Amministrazione Provvisoria delle Nazioni Unite [UNMIK], poco favorevoli a vedere i membri del nascente Governo kosovaro crollare in credibilità agli occhi della Comunità Internazionale, giacché nella inchiesta spuntavano, a più riprese, nomi altisonanti della gerarchia kosovara, quali Hashim Thaci, noto dai tempi dell’UCK ai servizi segreti mondiali per la sua attività nel traffico di eroina, e altri uomini del Gruppo di Drenica, Shaip Muja e Kadri Veseli, figure in grado di fare pressione sulle forze diplomatiche internazionali e di condizionare le strutture della intelligence kosovara e del PDK.




Il procuratore italiano Maurizio Salustro della missione europea EULEX in Kosovo, l’8 novembre 2013, aveva annunciato la messa in stato di accusa di 15 ex-combattenti della guerriglia indipendentista albanese, sospettati di crimini di guerra commessi contro civili durante il conflitto armato con i serbi del 1998-1999:
Sulejman Selimi, ex-capo di stato maggiore dell’Esercito di Liberazione del Kosovo [UCK], ambasciatore del Kosovo in Albania;
Sami Lushtaku, sindaco di Skenderaj, rieletto con l’82% dei voti nelle ultime municipali;
Nexhat Demaku, anche questi rieletto sindaco a Drebas, con il 64%;
Agim Demaj;
Bashkim Demaj;
Driton Demaj;
Selam Demaj;
Fadil Demaku;
Jahir Demaku;
Zeqir Demaku;
Sabit Geci;
Ismet Haxha;
Sahit Jashari;
Isni Thaci;
Avni Zabeli.
I crimini, di cui venivano imputati i 15 ex-guerriglieri – uccisioni, torture, maltrattamenti – sarebbero stati commessi in un centro di detenzione dell’UCK nella regione di Drenica [centro del Kosovo]. Associazioni di veterani kosovari avevano condannato la decisione della procura di EULEX, parlando di “incriminazioni politiche” [https://www.panorama.it/news/marco-ventura-profeta-di-ventura/kosovo-salustro/?fbclid=IwAR3xFDL7hCjv7_Gqwn8iHBAHTjNFAA71srwEKsSasRCNosTUhLnFIBaVJkg,





Leskovac
Nella primavera del 1999, la NATO intervenne per indurre l’allora leader serbo Slobodan Milosevic a porre fine alla politica di repressione e di pulizia etnica nel Kosovo a maggioranza albanese.
Dopo 78 giorni di pesanti bombardamenti, con migliaia di vittime e profughi e pesanti distruzioni, Milosevic accettò di ritirare le sue truppe dal Kosovo, che fu posto sotto il controllo internazionale.
Il 17 febbraio 2008, Pristina si autoproclamò, infine, indipendente dalla Serbia, con un atto sostenuto dalla maggioranza dei Paesi occidentali, che Belgrado rifiutò, invece, di riconoscere come legittimo [https://www.youtube.com/watch?v=6bpN39kKaWA, https://www.dailymotion.com/video/x2h6deh]].
Nel 2001, scoppiava il Caso della Sindrome dei Balcani, con l’emergere dei primi casi di militari italiani ammalatisi o deceduti al rientro dalle missioni in Bosnia Erzegovina e Kosovo, i due Paesi che erano stati bombardati dalla NATO, nel 1995 e nel 1999, con proiettili all’uranio impoverito [UI]. Agli inizi degli Anni Duemila, la primaria dell’Ospedale di Bratunac, Slavica Jovanovic, aveva rilevato un allarmante numero di morti per tumore tra i 5mila sfollati, tutti serbo-bosniaci, provenienti da Hadzici, una località a 27 chilometri da Sarajevo e uno dei siti bosniaci maggiormente bombardati dalla NATO con proiettili all’uranio impoverito, nell’estate del 1995.
“[Slavica Jovanovic] era stata inascoltata, aveva denunciato che in città i morti per tumore tra gli sfollati di Hadzici erano quattro volte superiori al resto della popolazione.”,
aveva dichiarato, il 31 marzo 2013, all’agenzia tedesca Deutsche Welle, Jelina Durkovic, che, nel 2005, presiedeva la commissione di indagine governativa della Bosnia Erzegovina sulle conseguenze dei proiettili all’uranio impoverito. Jelina Durkovic aveva, peraltro, sottolineato che, nel rapporto della commissione, erano stati inseriti i dati sulle conseguenze dell’uranio impoverito e il dettaglio delle azioni da perseguire per risolvere alla radice il problema, ma nulla era stato messo in atto. Il 2 maggio 2013, il quotidiano Vecernje Novosti aveva aperto con il titolo L’uranio della Nato uccide i veterani. La denuncia era di Dusan Nikolic, presidente dell’Associazione degli Ex-militari della città di Leskovac:
“Solo negli ultimi tre mesi, nella nostra municipalità sono morti più di cento reduci della guerra. Si tratta per lo più di militari che hanno operato in Kosovo, di un’età che va dai 37 ai 50 anni. Il 95% è morto di cancro.”
Nikolic spiegava di avere scoperto i dati grazie alle denunce dei familiari degli ex-militari deceduti, i quali si erano rivolti all’associazione per cercare di ottenere il riconoscimento della causa di servizio.
Sasa Grgov, primario di medicina interna del Servizio Sanitario della città, aveva aggiunto:
“È possibile, considerato che il numero di tumori in città è in crescita. Sebbene il Servizio Sanitario non stia facendo un monitoraggio specifico sulla categoria dei reduci che hanno operato in zone contaminate da DU.”
Ai primi posti tra le cause di morte figuravano il cancro all’intestino, all’esofago, ai polmoni, pochi i casi di infarto. Il quotidiano belgradese citava, anche, le ricerche effettuate al riguardo dall’autorevole istituto specialistico sanitario Batut, secondo cui, nei bombardamenti NATO sulla Serbia,  dal 23 marzo al 10 giugno 1999, furono lanciate 15 tonnellate di uranio impoverito e, come conseguenza, di ciò erano morte, fino ad allora, 40mila persone. 
 “[ANSA] - BELGRADO, 3 MAG - L’uranio impoverito contenuto nelle bombe sganciate dalla NATO durante i raid aerei contro la Serbia della primavera 1999 è sott’accusa per l’impennata delle morti per cancro registrata nel Sud del Paese ex- jugoslavo. Lo riferisce Vecernje Novosti. Il giornale cita anche ricerche dell’istituto specialistico sanitario Batut secondo cui nei bombardamenti NATO furono lanciate 15 tonnellate di uranio impoverito, e come conseguenza sarebbero morte in totale addirittura 40 mila persone.”
 


 

  

Sulejman Selimi


  


Un rapporto pubblicato dal Global Financial Integrity [https://www.acamstoday.org/organ-trafficking-the-unseen-form-of-human-trafficking/], uno dei massimi centri mondiali di analisi sui flussi finanziari illeciti, colloca il traffico di organi umani tra le prime dieci attività economiche illegali al mondo, che produce utili che vanno da  600 milioni a 1,2 miliardi di dollari all’anno.
Secondo l’OMS, le reti internazionali del traffico di organi fornirebbero fino a 10mila dei 100mila trapianti annuali realizzati a livello mondiale, anche se questi interventi sono più frequenti di quanto si pensi, perché, in buona misura, hanno luogo nella clandestinità più totale.
Gli organi più comunemente commercializzati sono i reni e il fegato, che possono essere prelevati e riutilizzati.
Nel 2012, il trapianto di rene rappresentava il 60% degli interventi. Oggi, è effettuabile su ogni persona che soffra di insufficienza renale severa, a condizione che non esista un rischio cardiovascolare o altra controindicazione del medico.
Un solo rene è sufficiente ad assicurare la formazione delle urine, di conseguenza, il trapianto renale può essere realizzato da un donatore deceduto, ma anche da un donatore vivo.
Sul mercato nero, un rene può valere più di 200mila dollari. Al contempo, i “donatori” più disperati possono, talvolta, accettare di subire un prelievo di rene contro 2mila dollari, rischiando la vita durante l’intervento. Questi “donatori” vedono le loro difficoltà economiche sfruttate dai trafficanti, che realizzano notevoli margini di guadagno, talvolta, sotto il naso delle autorità locali.
Una conseguenza di questo traffico è un aumento del turismo medico[6], anche chiamato turismo del trapianto: cittadini di Stati esemplari, sul piano del rispetto dei Diritti Umani, si recano in Paesi in via di sviluppo, dove non esiste, malauguratamente, sempre, una legislazione chiara in materia, per sottoporsi a un trapianto.
In alcuni casi, non necessita spostarsi. Le reti internazionali di trafficanti di organi si incaricano di far pervenire agli acquirenti la merce grazie a Internet. Ovviamente, non daranno loro alcuna informazione sulla sua provenienza né loro cercheranno di sapere, ma il termine molto breve giustificherà ai loro occhi il prezzo.
È il traffico di organi l’ultima frontiera del liberismo!
Si stenta a credere, ma a suggerire la proposta di una sorta di borsa del corpo umano è un Premio Nobel per l’Economia, Gary Becker, secondo il quale l’unico modo per aumentare la disponibilità di reni per i trapianti è permettere alle persone interessate di vendere un proprio rene, in un vero e proprio mercato con prezzi fissati dalla autorità pubblica.
Il traffico di organi non è un settore di attività recente. Non si contano più le reti smantellate, le persone sospettate di farne parte, ma soprattutto non si contano più le vittime, viventi e decedute. È, oramai, una industria che rende miliardi su miliardi di dollari e fa leva sui conflitti e sulla povertà dei Paesi in via di sviluppo.
I trapianti dovrebbero salvare vite e, invece, sembrano avere un effetto più nefasto che benefico.
Dalla fine degli Anni Ottanta, l’Organizzazione Mondiale della Sanità lancia alerts in conseguenza dell’esponenziale diffusione del mercato degli organi umani, pur ammettendo la difficoltà nel reperire dati certi sul traffico a fini di lucro o sul trapianto illegale.
Risale al 1987 la prima Risoluzione adottata dall’Assemblea dell’OMS, con la quale si invitava il direttore generale a esplorare la possibilità di elaborare principi guida in tema di trapianti, in collaborazione con le altre organizzazioni interessate, al fine di rispondere all’emergente fenomeno del commercio di organi.
Una seconda risoluzione seguiva, nel 1989, con la quale l’Assemblea invitava gli Stati Membri a adottare misure adeguate per prevenire l’acquisto e la vendita di organi umani destinati ai trapianti, raccomandava loro di introdurre norme specifiche di divieto laddove il traffico di organi non si potesse efficacemente prevenire con altre misure, e li esortava a scoraggiare, in stretta collaborazione con le organizzazioni professionali sanitarie e con gli organi di controllo, tutte le prassi che potessero in qualche modo facilitare tale traffico.
Nel 1991, l’Assemblea dell’OMS adottava la prima versione dei Principi Guida per i Trapianti di Organo, volti a orientare i codici di deontologia medica e le prassi cliniche, nonché le scelte dei Governi nell’elaborazione e attuazione della normativa e delle politiche nazionali riguardanti le attività trapiantologiche.
Nel 2004, l’Organizzazione Mondiale della Sanità sollecitava gli Stati Membri “a adottare misure volte a proteggere i più poveri e i gruppi vulnerabili dal turismo del trapianto e dalla vendita di tessuti e organi, mettendo l’accento sul problema più ampio del traffico internazionale di tessuti e organi”.
Nel 2008, per affrontare i crescenti problemi legati al commercio degli organi, si teneva a Istanbul un vertice, dal 30 aprile al 2 maggio, con oltre 150 rappresentanti di organizzazioni scientifiche e mediche provenienti da tutto il mondo, funzionari governativi, sociologi, e studiosi di etica, allo scopo di fornire linee guida per un più preciso inquadramento giuridico e professionale, nonché per garantire la sicurezza e la salute del donatore e del ricevente. La Dichiarazione di Istanbul afferma, solennemente, che il traffico di organi e il turismo del trapianto violano i principi di equità, di giustizia e di rispetto per la dignità umana e dovrebbero essere vietati.
Il 21 maggio 2010, veniva riaffermato l’impegno dell’OMS, tramite la pubblicazione della Risoluzione WHA63.22 [http://www.transplant-observatory.org/download/resolution-wha63-22-on-human-organ-and-tissue-transplantation-may-2010-english, http://apps.who.int/gb/ebwha/pdf_files/wha63/a63_r22-en.pdf]. Nel documento, gli Stati Membri stigmatizzavano con vigore “l’acquisizione di parti del corpo umano tramite trapianto e lo sfruttamento delle popolazioni più povere e vulnerabili e il traffico di esseri umani derivanti da tali pratiche”.
Il 9 luglio 2014, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa adottava il testo definitivo della Convenzione contro il traffico di organi umani, firmata, il 25 marzo 2015, a Santiago de Compostela, in Spagna, da 14 Stati:  l’Albania, l’Austria, il Belgio, la Gran Bretagna, la Grecia, l’Italia, il Lussemburgo, la Norvegia, la Polonia, il Portogallo, la Repubblica Ceca, la Repubblica di Moldavia, la Spagna, la Turchia.
Successivamente, aderivano alla Convenzione, firmandola, la Federazione Russa, nel settembre 2015; l’Irlanda nell’ottobre 2015; la Svizzera, nel 2016; la  Lettonia, Malta  e l’Ucraina, nel 2017 e l’Armenia e il Montenegro, nel 2018.
Lo scorso primo marzo, la Convenzione, ratificata in 5 Paesi [l’Albania, nel 2016 e Malta, la Norvegia,  la Repubblica Ceca e  la Repubblica di Moldavia, nel 2017] è entrata in vigore, e il segretario generale Thorbjorn Jagland ha invitato gli Stati europei e non a aderirvi perché – come riportato nella nota stampa del Consiglio d’Europa –  “l’abietto traffico di organi umani provoca gravi violazioni dei diritti umani, che dobbiamo prevenire e combattere vigorosamente. Tali reati sono, spesso,  commessi da gruppi criminali organizzati e hanno una dimensione multinazionale. I governi devono agire in modo tempestivo e cooperare efficacemente, utilizzando il quadro giuridico offerto dalla Convenzione”.
Il 13 giugno 2016,  il Congresso americano approvava al’unanimità la Risoluzione H. Res. 343 [https://www.congress.gov/bill/114th-congress/house-resolution/343/text, http://it.minghui.org/html/articles/2016/4/5/1579.html], che condanna la sistematica persecuzione del Falun Gong, allineandosi, così, alla posizione del Parlamento Europeo e del Comitato delle Nazioni Unite contro la Tortura.
Il 5 luglio 2016, il Parlamento Europeo adottava la Risoluzione sulla lotta contro la tratta di esseri umani nelle relazioni esterne dell’Unione [http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2016-0300+0+DOC+XML+V0//IT].

“Seguire il percorso del denaro lungo tutta la catena della tratta è fondamentale per trasformare la tratta di esseri umani in un reato “ad alto rischio” e “dai bassi profitti”. A tal fine occorre intensificare le indagini e l’azione penale, nonché facilitare lo svolgimento di indagini finanziarie proattive e basate su informazioni, il recupero dei beni, il congelamento e la confisca dei proventi. Per conseguire questo obiettivo verrà promossa una più stretta cooperazione, che includerà il rafforzamento delle capacità delle autorità nazionali, anche in paesi non membri dell’UE, e che sarà condotta avvalendosi di reti appropriate, quali il gruppo di azione finanziaria internazionale, e del sostegno delle agenzie dell’UE.”

È nei Paesi dell’Asia e del Sud America che il fenomeno del traffico illegale di organi raggiunge i livelli più preoccupanti. Dopo che la Cina e l’India hanno introdotto alcuni provvedimenti per arginare il fenomeno, le traiettorie si sono spostate verso nuovi Paesi, quali la Colombia, il Pakistan e le Filippine.
Secondo dati recenti, sfruttando le comunità virtuali di incontro, molto popolari in India e tra gli indiani all’estero, migliaia di persone alimentano il traffico di organi. Negli anni scorsi, è stato, a esempio, calcolato che su Orkut fossero almeno 35 le comunità nelle quali cercare e vendere, soprattutto, un rene.
Attualmente, gli ospedali stanno affrontando una carenza di organi disponibili, a causa di un aumento del numero di persone diabetiche nel mondo. Le donazioni di organi restano irrilevanti di fronte alla domanda e questa dipendenza determina l’esplosione di traffici e trapianti illegali.
Da qui la tentazione di “fare la spesa” nei Paesi in via di sviluppo perché il ricco, per sopravvivere, arriva, anche, ad acquistare gli organi dal povero!

 

E lo sa bene Farhat Moazzam, direttore del Centre for Biomedical Ethics and Culture [CBEC] al Sindh Institute of Urology and Transplantation di Karachi, in Pakistan, che parla di un vero e proprio “turismo dei trapianto”, con viaggiatori stranieri che arrivano in Pakistan per acquistare reni. Tanto che, riferisce “in aree povere del Paese vi sono villaggi in cui il 40-50% della popolazione ha un rene solo perché l’altro lo ha venduto”.
Per quanto?
“Spesso per un organo vengono promesse anche più di 150 mila rupie [2.500 dollari], ma poi, tolti i costi medici e la quota che spetta al mediatore, ciò che resta a chi vende è molto meno.”
Nonostante una legge varata, nel 2010, in Pakistan, tristemente conosciuto per i suoi numerosi trapianti illegali, circa i due terzi dei reni espiantati sono destinati a stranieri.
Secondo le Nazioni Unite, persone di ogni età possono divenire bersaglio dei trafficanti, ma migranti, senzatetto e analfabeti sono, particolarmente, a rischio.
 
Il 29 giugno scorso, il celebre violoncellista iracheno Karim Wasfi ha provato a invadere di armonia le rovine di Mosul, portando il suo violoncello in luoghi simbolo come la Chiesa Cattolica di Nostra Signora dell’Ora e le rovine del Minareto Al-Hadba, vicino alla Moschea di Nuri, distrutta durante i combattimenti [https://www.youtube.com/watch?v=mf8Zcb-eXQM].
“L’obiettivo di questa performance è di incoraggiare le istituzioni internazionali per dare un sostegno alla ricostruzione.”,
aveva spiegato.

Nel febbraio del 2015, l’ambasciatore dell’Iraq presso l’ONU Mohammed Ali Al-Hakim, accusava l’ISIS di avere fatto di Mosul, la grande città del Nord dell’Iraq, conquistata nell’estate del 2014, una delle maggiori assi del traffico internazionale di organi, per finanziare le proprie azioni terroristiche [http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2015/02/17/ambasciatore-iracheno-presso-onu-accusa-traffico-organi-per-finanziarsi_6hKDl2itXOco8AS0eNOX8J.html?refresh_ce].
Il diplomatico iracheno assicurava di avere le prove che i combattenti dello Stato Islamico praticassero il traffico di organi, prelevati dai prigionieri e dagli ostaggi giustiziati, e chiedeva al Consiglio di Sicurezza di aprire una inchiesta.
“Noi abbiamo dei corpi. Venite a esaminarli. È chiaro che manchino alcune parti.”
Le forze di sicurezza irachene avevano scoperto diverse fosse comuni, nelle quali erano ammassati corpi senza cuore, reni, polmoni o rotule e il Governo iracheno stava cercando di ottenere informazioni sul numero delle persone alle quali erano stati tolti gli organi e sulle circostanze delle loro morti.
Al-Hakim riferiva che almeno dieci medici erano stati giustiziati, nelle settimane precedenti, per essersi rifiutati di espiantare organi dai cadaveri.
Poi, vittime e profitti si erano moltiplicati senza che fosse possibile dare dati precisi.
Le testimonianze raccolte in Iraq accreditavano la tesi di un traffico di massa, orchestrato dai terroristi islamici in relazione con le reti mafiose.
Cuori, reni, polmoni, rotule…
A Mosul, i giovani di età compresa tra i 20 e i 25, non fumatori e senza una famiglia che chieda spiegazioni, correvano il rischio che venisse loro prelevato un organo o più organi.
Nel novembre del 2016, il direttore generale del Syria Coroner’s Office, Hossein Noufel, rivelava che gli organi di migliaia di civili siriani – in buona parte bambini – erano stati venduti sui mercati neri internazionali, nel corso degli ultimi sei anni [http://www.globalresearch.ca/body-organs-of-over-15000-syrians-sold-in-six-years-coroners-office/5557626].
“Abbiamo informazioni accurate che, dal 2011, oltre 25mila interventi chirurgici sono stati condotti nei campi profughi dei Paesi limitrofi e nelle aree controllate dai terroristi in Siria per espiantare gli organi di 15mila siriani e venderli nei mercati neri internazionali.”
Il dottor Noufel riferiva, altresì, che sul mercato nero turco”un rene è venduto per 10mila dollari, mentre lo stesso rene è venduto per 1.000 dollari in Iraq, ma in Libano e in Siria il prezzo per un rene è di 3mila”.
Secondo la stessa fonte, l’ISIS trasferiva gli organi congelati dalla città irachena di Mosul a Tal Afar a Ninive e, poi, a Raqqa, in Siria.
Il carico, poi, veniva venduto alla Mafia turca.
La Cina, una delle prime destinazioni al mondo per il trapianto di organi, è stata oggetto, nel 2006, di un reportage dell’ex segretario di Stato canadese David Kilgour e dell’avvocato per i diritti umani David Matas, nel quale si sostiene che i prigionieri di coscienza del Falun Gong sono uccisi su larga scala per i loro organi.
Matas definisce queste atrocità come “una forma di malvagità mai esistita prima su questo pianeta”.
Dal successivo aggiornamento dello studio, pubblicato nel 2016 dagli stessi Matas e Kilgour, insieme al giornalista Ethan Gutmann, emerge che i pazienti coreani hanno iniziato a recarsi in Cina nei primi anni del 2000, con una stima di 2 mila pazienti l’anno. Lo studio documenta, anche, come 169 centri per il trapianto, approvati dal regime cinese, abbiano eseguito oltre un milione di trapianti, a partire dal 2000 [http://organharvestinvestigation.net/report0701/report20070131-eng.pdf].
Il primo luglio del 2016, il giornale tedesco Neue Osnabrücker Zeitung dava notizia di 8.991 rifugiati minori non-accompagnati dispersi, tra i quali 867 di età inferiore ai 13 anni, dati confermati dal Bundeskriminalamt  [BKA].
Il traffico di organi esiste, anche, in Italia[7].
A dare l’allarme, nel gennaio del 2009, è il ministro dell’interno Roberto Maroni, che, intervenendo a Roma alla presentazione del Rapporto Umanitario 2009 dell’UNICEF, per riferire della situazione dei bambini migranti, aveva dichiarato:
“Abbiamo delle evidenze di traffici di questo tipo di minori presenti e rintracciati in Italia e uno dei mezzi più efficaci che useremo per contrastarlo sarà l’attuazione di un accordo internazionale chiamato “PRUD”, che istituisce la banca dati nazionale e degli altri Paesi europei del DNA. Con questi strumenti potremmo contrastare meglio il fenomeno.”
Evidenze,”che si incrociano con un dato che è assolutamente negativo e che riguarda i minori extracomunitari che spariscono ogni anno in Italia”.
Le “evidenze” di questo traffico, aveva spiegato Maroni, derivavano dall’analisi incrociata dei dati sui ragazzi extracomunitari scomparsi dopo essere arrivati a Lampedusa e le segnalazioni relative al traffico di organi inviate dai Paesi di origine alla polizia italiana tramitel’INTERPOL.
Maroni citava il dato relativo al 2008:
“Su 1.320 minori approdati a Lampedusa l’anno scorso, ovviamente portati da qualcuno, circa 400 sono spariti e di loro non abbiamo più notizie. Incrociando questo dato con alcuni esposti sul traffico di organi, arrivati dai Paesi d’origine di questi minori, possiamo ritenere che il fenomeno tocchi anche il nostro Paese.”
Parole pesantissime sulle quali il ministro era tornato al termine dell’incontro. 
“La traccia del traffico di organi”,
aveva spiegato, 
“si ritrova negli esposti provenienti da diversi Paesi del mondo che, nel corso degli anni e anche nel 2008, sono stati portati all’attenzione della polizia italiana, che ha iniziato un’attività di indagine.” 
[http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/cronaca/amroni-traffico-organi/amroni-traffico-organi/amroni-traffico-organi.html, http://www.lastampa.it/2009/01/30/italia/minori-in-italia-traffico-dorgani-5zLrAtb1AK27pjh0dFi6vJ/pagina.html][8].

Il 6 giugno 2013, all’aeroporto di Fiumicino, la Polizia di Frontiera in collaborazione con l’INTERPOL, arrestava Tauber Gedalya, ex-alto ufficiale di Tsahal, l’esercito israeliano. Su di lui, dall’ottobre del 2010, pendeva un mandato di cattura internazionale per traffico di organi umani in tutto il mondo. Per questo reato era stato condannato all’ergastolo dal tribunale brasiliano di Pernabuco [http://www.romatoday.it/cronaca/tauber-gedalya-ufficiale-israeliano-arresto-traffico-organi-umani.html].
Non è impossibile che questa sparizione attribuita al traffico di organi abbia riguardato un terzo dei migranti minori arrivati sul suolo italiano.
E, lo stesso Maroni, facendo riferimento alle recenti polemiche sul centro di prima accoglienza di Lampedusa, aveva ribadito che nessun minore ‘‘verrà espulso’’ e che, anzi, i bambini sbarcati nell’isola erano, già, stati tutti trasferiti in altri luoghi e in comunità di accoglienza.
‘‘Per questo,”,
aveva, poi, spiegato,
“c’è una collaborazione molto efficace con i Comuni d’Italia per assegnare i minori alle comunità familiari che li accudiscono al meglio.’’
L’allarme aveva scosso il mondo politico e non solo.
Per l’OMS il fenomeno era consistente, a livello mondiale, e in continua crescita.
Indicazioni su un qualche coinvolgimento italiano – ovviamente al di fuori della rete italiana trapianti che lavora per il Servizio Sanitario Nazionale e che ha il controllo totale sugli organi, ed è “estranea a qualunque traffico di organi” – aveva detto Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro Nazionale Trapianti, erano giunte nei mesi precedenti, anche, dalle organizzazioni di pediatri.
Save the Children aveva mostrato preoccupazione, seppure escludendo di avere avuto notizie dirette.
Di tutt’altro avviso era Vincenzo Passarelli, presidente dell’AIDO [Associazione Italiana per la Donazione di Organi, Tessuti e Cellule], secondo il quale non risultava alcuna denuncia da parte delle autorità competenti nei confronti dei centri trapianti del nostro Paese in relazione a presunti traffici di organi di minori.
“Spesso,”,
aveva spiegato lo stesso Passarelli,
“ci si trova a fronteggiare tutta una serie di miti, timori ancestrali, false notizie e illazioni senza conferme, che senza alcun dubbio hanno fatto presa sull’opinione pubblica e hanno creato una situazione di allarme generalizzato che non favorisce proprio per niente la donazione altruistica.”
“Quello che è certo,”,
aveva aggiunto,
“è che queste denunce cadono su un terreno propizio che gli attribuisce una certa credibilità. Centinaia di migliaia di bambini in tutto il mondo spariscono o vengono sottratti alle loro famiglie o semplicemente “comprati” per essere poi venduti in adozione, sfruttati sul lavoro o sessualmente o semplicemente vengono eliminati nelle vie del Brasile o della Colombia perché rappresentano un potenziale pericolo sociale.”
“Comunque,”,
concludeva,
“in nessun posto al mondo è stato possibile dimostrare nemmeno un solo caso esemplificativo del problema che stiamo trattando.”

Sospetti, invece, erano stati avanzati dal CENSIS, che adduceva la possibilità che l’Italia fosse non solo Paese di transito, ma destinazione finale dove vengono eseguiti gli espianti.
“In questi ultimi anni,
scriveva, già, il CENSIS nel rapporto del 2008 sulla tratta di esseri umani a scopo di traffico di organi, sono state avviate alcune indagini della magistratura su casi di vendita di minori, presumibilmente legata al traffico illegale di organi, senza peraltro che le indagini giungessero a prove concrete”.
In uno dei casi più recenti, sosteneva il CENSIS,
“Il dott. Adelchi d’Ippolito della Procura di Roma ha aperto in Albania un’inchiesta su un presunto traffico di minori, che si sospetta fossero stati trasferiti illegalmente in Grecia e in Italia e sottoposti a trapianti illegali. Il traffico di minori sembrerebbe coinvolgere l’Italia non solo come paese di transito, ma anche come destinazione finale dove vengono eseguiti gli espianti. L’inchiesta è in fase di svolgimento e i magistrati inquirenti si attendono sviluppi significativi.”
E precisava il CENSIS:
“Vi sono diverse prove di trapianti ricevuti da cittadini italiani nel Paese del donatore. Nella maggior parte dei casi si sono recati in India per ricevere un trapianto dato che, fino al 1994, in quel paese la vendita d’organi è stata legale.”
Avvertiva, altresì, l’istituto di ricerca:
“I controlli previsti parrebbero fornire garanzie sufficienti ad impedire l’inserimento di un organo di provenienza illecita nel circuito legale dei centri trapianti della Sanità pubblica”, ma “il quadro potrebbe essere diverso nel caso in cui si ipotizzi l’esistenza di un percorso clandestino svolto in centri privati, non ufficiali, molto attrezzati e totalmente sconosciuti al Servizio sanitario nazionale”

Un altro elemento importante era quello fornito dal Servizio Centrale Operativo della pubblica sicurezza. Dal 1974 al 30 settembre 2008, in Italia, erano scomparsi 9.802 minorenni, di questi 1.722 erano italiani e 8.080 stranieri. Nel primo semestre del 2008, i minori scomparsi erano aumentati di 178 unità rispetto allo stesso periodo del 2007.
Immediate le reazioni politiche: la Commissione Parlamentare d’Inchiesta del Senato sul Servizio Sanitario Nazionale aveva deciso di convocare, urgentemente, il ministro:
“Le parole di Maroni”
aveva detto il presidente della Commissione Parlamentare, Ignazio Marino,
“sono di una gravità inaudita.”
Della necessità che il responsabile dell’interno riferisse in Parlamento avevano parlato anche Alessandra Mussolini e Rosy Bindi. Per quest’ultima, “sarebbe irresponsabile gettare sospetti sulla sicurezza e affidabilità delle rete dei trapianti in Italia”.
Per Maria Burani Procaccini, ex-presidente della Commissione Bilaterale Infanzia, nel mondo vi erano almeno 60mila bambini vittime di questo traffico con un giro di affari di un miliardo e duecento milioni di euro e il ministro “ha fatto bene a sottolinerare l’emergenza”.
Ecco come riportava la notizia il quotidiano la Repubblica, nell’edizione del 30 gennaio 2009:

ROMA - Il traffico d’organi di bambini esiste anche in Italia. A dare l’allarme è il ministro dell’Interno Roberto Maroni intervenuto alla prima assemblea pubblica dell’UNICEF a Roma. Nel nostro Paese, ha riferito il ministro parlando della situazione dei bambini migranti, ci sono “evidenze di traffici di organi di minori che sono presenti e sono stati rintracciati sul territorio”. Ma L’AIDO, l’Associazione Italiana per la Donazione di Organi, si dissocia: “Nessuna evidenza e nessuna denuncia. Solo false notizie”.

Le scomparse e i dati incrociati. Le “evidenze” di questo traffico, ha spiegato Maroni, derivano dall’analisi incrociata dei dati sui ragazzi extracomunitari scomparsi dopo esser arrivati a Lampedusa e le segnalazioni relative al traffico d’organi inviate dai Paesi d’origine alla polizia italiana tramite INTERPOL. Nel 2008, ha fatto sapere il titolare del Viminale, “su 1.320 minori approdati a Lampedusa, ovviamente portati da qualcuno, circa 400 sono spariti e di loro non abbiamo più notizie”.

Le denunce degli altri Paesi e le indagini. La traccia del traffico d’organi, ha aggiunto Maroni, è rintracciabile “negli esposti provenienti da diversi Paesi del mondo che nel corso degli anni, e anche nel 2008, sono stati portati all’attenzione della polizia italiana, che ha iniziato un’attività di indagine”. Evidenze, inoltre, che “si incrociano con un dato che è assolutamente negativo e molto preoccupante e che riguarda i minori extracomunitari che spariscono ogni anno in Italia”.

Gli strumenti per contrastare il fenomeno. Il ministro ha poi parlato delle iniziative che il Governo può intraprendere per contrastare il fenomeno. “Oggi – ha detto – gli strumenti a disposizione non ci consentono di accertare se effettivamente la scomparsa di questi minori sia da mettere in relazione ad un traffico di organi”. “Saremo in grado di farlo – ha aggiunto – appena il Parlamento approverà il Trattato Internazionale di PRUM, già approvato al Senato”, che prevede l’istituzione della banca dati del DNA, in modo da poter prelevare il codice genetico dei minori e, incrociando i dati, proteggerli meglio.

Maria Burani: “Sono 60mila nel mondo”. Finora non si hanno cifre certe del fenomeno, ma secondo l’ex-presidente della Commissione Bicamerale Infanzia, Maria Burani Procaccini, “sono almeno 60mila i bambini vittime di traffico d’organi nel mondo, che provengono per lo più dal Brasile, dallo Sri Lanka, dal Congo e dalla Thailandia. “C’è un giro d’affari – ha aggiunto l’esponente del PDL – di un miliardo e duecento milioni di euro dietro questo scandalo che giustifica ancora di più gli interventi di tracciabilità dei bambini voluti dal Governo”.

La situazione a Lampedusa. Lo stesso Maroni, parlando sempre del tema minori, facendo riferimento alle recenti polemiche sul centro di prima accoglienza di Lampedusa, ha ribadito che nessun minore ‘‘verrà espulso’’ e che, anzi, i bambini sbarcati nell’isola sono già stati tutti trasferiti in altri luoghi e in comunità di accoglienza. ‘‘Per questo – ha poi spiegato – c’è una collaborazione molto efficace con i Comuni d’Italia per assegnare i minori alle comunità familiari che li accudiscono al meglio’’.

Alessandra Mussolini: “Maroni riferisca in Parlamento”. E intanto la presidente della Commissione Parlamentare per l’Infanzia, Alessandra Mussolini, ha annunciato che chiederà “urgentemente” un’audizione generale a Maroni “per riferire sui minori ed il traffico illecito di organi”. “Per combattere questa atrocità – ha affermato la Mussolini – occorrerebbe costituire una task force del Ministero dell’Interno e di quello degli Esteri”. La presidente ha poi riferito di voler presentare “una mozione unitaria di maggioranza e opposizione sulla problematica dei minori stranieri non accompagnati”.

I dubbi dell’AIDO. Di tutt’altro avviso però è l’Associazione Italiana per la Donazione di Organi, secondo la quale ad oggi non risulta nessuna denuncia da parte delle autorità competenti nei confronti dei centri trapianti del nostro Paese in relazione a presunti traffici di organi di minori. “Spesso – ha spiegato il presidente Vincenzo Passarelli – ci si trova a fronteggiare tutta una serie di miti, timori ancestrali, false notizie e illazioni senza conferme, che senza alcun dubbio hanno fatto presa sull’opinione pubblica e hanno creato una situazione di allarme generalizzato che non favorisce proprio per niente la donazione altruistica”.

“Quello che è certo – ha aggiunto – è che queste denunce cadono su un terreno propizio che gli attribuisce una certa credibilità. Centinaia di migliaia di bambini in tutto il mondo spariscono o vengono sottratti alle loro famiglie o semplicemente “comprati” per essere poi venduti in adozione, sfruttati sul lavoro o sessualmente o semplicemente vengono eliminati nelle vie del Brasile o della Colombia perché rappresentano un potenziale pericolo sociale”. “Comunque – conclude il presidente dell’AIDO – in nessun posto al mondo è stato possibile dimostrare nemmeno un solo caso esemplificativo del problema che stiamo trattando”.
Maroni: “In Italia traffico d’organi di minori”
Ma l’Aido smentisce: “False credenze”, la Repubblica, 30 gennaio 2009 [
http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/cronaca/amroni-traffico-organi/amroni-traffico-organi/amroni-traffico-organi.html].

Il 30 novembre 2015, un rapporto del Ministero delle Politiche Sociali segnalava che, in Sicilia, erano reclusi 3.967 minori, approdati dall’estero dopo un’odissea, vale a dire il 36,2 per cento dei 10.952 piccoli migranti non accompagnati.
Non era tutto!
Nel corso dell’anno, erano scomparsi altri 5.902 minori, mentre, nel 2014, gli “irreperibili” erano stati 3.707 [http://liberatorio.altervista.org/258216841-2/]. Di certo, non avevano varcato in senso inverso la frontiera italiana e in Italia non erano stati registrati ricongiungimenti familiari.
Già nel 1992, il professor Carlo Romano, allora direttore dell’Istituto di Medicina Legale del Secondo Policlinico di Napoli nonché componente del Comitato Nazionale per la Bioetica aveva denunciato pubblicamente:
Alcuni bambini scomparsi potrebbero essere stati rapiti al fine di prelevarne gli organi, che sarebbero immessi successivamente in una rete di commercializzazione illecita.” [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/03/25/rapiscono-bambini-poveri-per-rivenderne-gli.html]
La sua affermazione era stata giudicata “priva di fondamento” dal ministro della sanità Francesco De Lorenzo, “rammaricato del fatto che un professore universitario di grande dignità professionale diventi irresponsabile alla vigilia di elezioni politiche che lo vedono candidato per la DC a Napoli”.
Nel settembre del 1993, dal Parlamento Europeo si era levata la voce di Léon Schwartzenberg, medico ed ex-ministro della sanità francese. Secondo l’europarlamentare, dal 1988 al 1992, ben 4mila bambini brasiliani sarebbero stati “esportati” in Italia, ufficialmente, in vista di un’adozione.
“Ne sono stati ritrovati vivi solo mille: gli altri tremila sono scomparsi.”,
aveva denunciato Schwartzenberg dinanzi alla assemblea riunita in plenaria.
Immediata, durissima, da Roma, fu la smentita del ministro della giustizia Giovanni Conso.
“I bambini provenienti dal Brasile, ufficialmente entrati in Italia a scopo di adozione tra il 1988 e il 1992 sono 3.702 e tutti sono felicemente inseriti nella famiglia adottiva.”,
affermava il ministro.
Nel 1996, il professor Volnei Garrafa, docente di scienza della salute presso l’Università di Brasilia, aveva pubblicato, insieme al professor Giovanni Berlinguer, il libro La merce finale [https://www.disinformazione.it/merce_finale.htm].

“Giovanni Berlinguer, noto professore di medicina e fratello di Enrico, il defunto leader comunista, ha scritto con Volnei Garrafa, bioetico brasiliano, un libro che solleva giustamente il problema della nuova biologia e delle conseguenze sociali e morali di molti suoi “exploit”.  Il libro è denso e interessante, ma ha un difetto: quello di avallare la tesi che nel mondo esista un fiorente commercio di organi. Da una decina d’anni si mormora di una Mafia internazionale del traffico di organi e tessuti umani, le cui vittime principali sarebbero i bambini del Terzo Mondo, rapiti, uccisi e sezionati da diabolici chirurghi per distribuirne i cuori, i fegati e i reni a facoltosi ammalati dei Paesi industriali. In “La merce finale. Saggio sulla compravendita di parti del corpo umano”, Berlinguer prende per buona questa voce e mette l’ignobile commercio nell’elenco delle distorsioni a cui va incontro una medicina sempre più potente e lontana dall’uomo, vedi l’affitto dell’utero, la brevettazione di cellule altrui [il caso Moore in California], il copyright che ostacola il libero studio dell’Helicobacter pylori [ulcera gastrica] e così via.
Preoccupazioni condivisibili e giuste. Ma prima di strapparsi le vesti per il commercio d’organi occorre produrne le prove. Altrimenti si rischia di procurare un danno grave a un settore della medicina – i trapianti – sensibile come pochi alle emozioni collettive e ai cambiamenti d’umore. Ricordate l’ondata di donazioni dopo il generoso esempio di Nicholas Green, il bambino americano ucciso in Calabria? E poco dopo il crollo delle donazioni medesime per il sospetto, diffuso dalla stampa, che fossero stati sottratti organi a un ragazzo ancora vivo? Ora, quella del mercato d’organi ha tutta l’aria di una “leggenda metropolitana”, di una storia falsa ma comunemente creduta vera perché esprime le nostre ansie di fronte al progresso scientifico. La leggenda degli organi è stata diffusa in questi anni da programmi televisivi, da libri come “Ninos de Repuesto” [bambini pezzi di ricambio, Spagna 1994], da una Risoluzione del Parlamento Europeo basata su un articolo di “Le Monde”, da un documento, peraltro abbastanza vago, del direttore dell’Organizzazione Mondiale contro la Tortura. Una vasta letteratura, ma basata su sospetti e non su prove. Il meccanismo surreale che genera una leggenda metropolitana è bene illustrato dall’episodio del settembre 1994 quando l’allora ministro della famiglia Antonio Guidi parla di un “traffico illegale di bambini” sul quale aprire un’inchiesta. Messo alle strette, il ministro ammette di avere soltanto indizi e di essersi riferito alle adozioni, non ai trapianti. Ma ormai la notizia è in pasto ai media, il settimanale tedesco “Bild” scrive che da anni la Mafia adotta bambini nel Terzo Mondo per trasferirli in cliniche segrete italiane dove avviene l’espianto: solo di quelli provenienti dal Brasile, tremila mancherebbero all’appello. Più tardi si fanno i conti e si vede che il numero delle adozioni corrisponde a quello degli “scomparsi”. Intanto però la leggenda ha fatto altra strada. Ciò non significa che illeciti non si siano verificati [in Inghilterra un medico è stato condannato per avere organizzato trapianti di rene a pagamento da indiani diseredati] e continuino a verificarsi. Ma di qui a dire che esiste un flusso commerciale di organi da Sud a Nord ce ne corre. Uno studio della United States Information Agency per le Nazioni Unite lo nega categoricamente per quanto riguarda i bambini, e pure negativa risulta un’indagine commissionata dall’Etablissement francais des greffes alla sociologa Véronique Campion-Vincent, pubblicata in questi giorni. Perché allora un uomo del valore e della competenza di Berlinguer si presta all’equivoco? Forse la ragione va cercata nell’antipatia che, al di là delle dichiarazioni, la Sinistra prova per quel tipo di progresso medico-scientifico che va a toccare i meccanismi chiave della vita e l’essenza dell’uomo. Questa ostilità a sinistra si salda con una diffidenza uguale e contraria di parte cattolica, in una alleanza oscurantista che rimette continuamente in discussione pratiche come quella dei trapianti e che, in altro campo, ha impedito finora al nostro Paese di dotarsi di una legge sull’embrione e la procreatica in generale.”
Giovanni Maria Pace,  Il mistero dei bambini rapiti, la Repubblica, 13 giugno 1996 [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/06/13/il-mistero-dei-bambini-rapiti.html]

Il 24 gennaio 2004, il quotidiano Il Tempo segnalava l’apertura di un’inchiesta giudiziaria:
“Traffico di bimbi e organi. Roma crocevia dell’orrore.”
Il 18 settembre 2013, con la nota 340, il garante dell’infanzia e adolescenza, che si era accorto di un’anomalia, aveva segnalato al Governo la scomparsa di circa 20 minori dal CARA Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto, in Calabria.

“La senatrice del PD ha presentato un’interrogazione rivolta ai ministri Alfano, Giovannini e Kyenge
La vicenda della sparizione di 20 minori immigrati non accompagnati dal CARA di Isola Capo Rizzuto, appurata alla fine di agosto dal garante per l’infanzia della Calabria, finisce in Consiglio dei ministri. La senatrice del PD Silvana Amati, membro dell’Ufficio di Presidenza del Senato, ha presentato un’interrogazione parlamentare rivolta ai ministri dell’interno, del lavoro e dell’integrazione per sapere “quali misure intendano assumere per accertare i fatti relativi alle segnalazioni fatte dal garante dell’infanzia e dell’adolescenza della Regione Calabria” in merito alle violazioni dei diritti dei minori presenti presso il CARA Sant’Anna di Isola di Capo Rizzuto, “garante al quale va riconosciuto l’impegno e la particolare dedizione con la quale ha seguito questa difficile vicenda”.
“La vicenda – spiega la senatrice Amati – si riferisce, come è noto, all’ispezione effettuata il 3 agosto 2013 presso il CARA di Isola Capo Rizzuto, in cui il garante per l’infanzia della Calabria ha verificato la presenza di 70 minori non accompagnati, tenuti in condizioni igienico-sanitarie improprie, inadeguate e precarie, tra l’altro insieme con adulti. In una successiva visita, fatta il 26 agosto, dei 70 minori ne risultavano presenti soltanto 50, custoditi in modo più opportuno ma sempre in condizioni di grave precarietà. Il garante per l’infanzia della Calabria ha denunciato, in quell’occasione, che non era disponibile un elenco dei minori e che ai ragazzi, il più piccolo di 11-12 anni, non era stato consentito di mettersi in contatto con le proprie famiglie di origine, anche per agevolarne l’identificazione. L’episodio ha suscitato varie polemiche sulla stampa locale. Un noto quotidiano nazionale ha anche riportato una polemica sulle forme della interlocuzione intercorsa tra il garante dell’infanzia della Calabria e il funzionario della Prefettura di Crotone preposto al controllo e alla corretta erogazione dei servizi presso il CARA, polemica che ci auguriamo non faccia passare in secondo ordine la gravità dei problemi denunciati circa le condizioni di permanenza nel centro dei minori immigrati. Oltre a verificare ciò che è accaduto e dove siano finiti 20 tra ragazze e ragazzi, ciò che chiediamo ai ministri competenti è di fare luce sulle responsabilità e sulle precarie condizioni di erogazione del servizio del CARA Sant’Anna, di competenza della Prefettura di Crotone.”
Amati: Governo intervenga su sparizione minori da CARA di Isola Capo Rizzuto, 18 settembre 2013

“Nella notte tra domenica e lunedì sono state arrestate 68 persone in un’operazione di polizia in Calabria che ha colpito diversi esponenti della cosca Arena, un clan della ‘Ndrangheta molto potente nelle province di Crotone e Catanzaro. Secondo le indagini guidate dal procuratore capo della Direzione distrettuale antimafia Nicola Gratteri e dal procuratore aggiunto Vincenzo Luberto, la cosca Arena controllava anche uno dei centri di accoglienza dei migranti più grandi d’Europa: il CARA “Sant’Anna” di Isola Capo Rizzuto, un comune sul mare di poco meno di 20mila abitanti a sud di Crotone. I CARA sono i centri di accoglienza per i richiedenti asilo e ospitano i migranti che vogliono avviare le procedure per chiedere allo stato italiano un qualche tipo di protezione internazionale: come molte delle strutture di accoglienza italiane, negli ultimi anni anche il CARA “Sant’Anna” era finito sui giornali perché sovraffollato e carente di molti servizi basilari.
L’ipotesi investigativa che ha portato agli arresti di questa notte sostiene che la cosca Arena guadagnasse dalle gestione del CARA “Sant’Anna” grazie alla collusione con esponenti della “Fraternità di Misericordia”, l’ente che gestisce il CARA. Sembra che la cosca Arena fosse coinvolta nelle attività del CARA da molti anni: in pratica creava delle imprese ad hoc che partecipavano agli appalti indetti dalla prefettura di Crotone per aggiudicarsi tra le altre cose i servizi di ristorazione e di lavanderia per lenzuola e tovaglie del CARA. Gli appalti erano in parte finanziati con fondi europei destinati all’accoglienza dei migranti: secondo le indagini svolte finora, su 103 milioni di euro di fondi UE che lo stato ha girato dal 2006 al 2015 per la gestione del CARA “Sant’Anna”, 36 sarebbero finiti alla cosca degli Arena.
Tra le persone arrestate ci sono anche Leonardo Sacco, presidente della sezione calabrese e lucana della Misericordia, e il parroco di Isola Capo Rizzuto, don Edoardo Scordio, entrambi accusati di reati legati all’associazione mafiosa. Secondo le indagini, scrive Repubblica, “Sacco avrebbe stretto accordi con don Scordio per accaparrarsi tutti i subappalti del catering e di altri servizi”. Grazie a Sacco, la ‘Ndrangheta sarebbe riuscita a entrare in possesso dei fondi girati dal governo non solo per la gestione del CARA “Sant’Anna”, ma anche di due SPRAR aperti nella stessa zona di Isola Capo Rizzuto, oltre che di alcuni centri aperti a Lampedusa [gli SPRAR sono i centri di seconda accoglienza]. Don Scordio sarebbe stato invece a capo del sistema di sfruttamento delle risorse pubbliche destinate all’emergenza migranti: solo nel 2017, per svolgere questa attività illecita don Scordio avrebbe ricevuto 132mila euro.”
Sembra che uno dei centri di accoglienza più grandi d’Europa sia in mano alla ‘Ndrangheta, Il Post, 15 maggio 2017.



Sul tema del traffico illegale di organi tra viventi era intervenuto con un proprio parere, il 23 maggio 2013, il Comitato Nazionale per la Bioetica [http://bioetica.governo.it/media/1831/p110_2013_traffico_illegale_organi_umani_tra_viventi_it.pdf]
La Legge di stabilità 2013 [Legge 24 dicembre 2012, n. 228 http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2012/12/29/012G0252/sg] ha introdotto l’art. 22-bis che punisce con la reclusione da 3 a 6 anni e con la multa da 50mila a 300mila euro chiunque a scopo di lucro svolga opera di mediazione nella donazione di organi da vivente. Se il fatto è commesso da persona che esercita una professione sanitaria, alla condanna consegue l’interdizione perpetua all’esercizio della professione. L’art. 22-bis ha colmato una lacuna del nostro ordinamento, che non conosceva, fino al 2012, la fattispecie di delitto di mediazione lucrativa nella donazione da vivente nei trapianti diversi dal rene. L’art. 22-bis ha, anche, configurato come illecito amministrativo la pubblicizzazione, con il conseguimento di un profitto finanziario o di un vantaggio analogo, della richiesta o dell’offerta di organi [comma 2] e l’accesso abusivo a sistemi che rendano possibile l’identificazione dei donatori o dei riceventi [comma 3].
Nel marzo del 2015, il presidente del Senato, Pietro Grasso, intervenendo alla presentazione del libro di Emilia Costantini, Quel segno sulla fronte, al Teatro Palladium di Roma, aveva ricordato che “sono 3.707 i minori non accompagnati, di cui si sono perse le tracce. Sono dati allarmanti, perché non sappiamo se sono finiti nelle mani di trafficanti, tra i quali ci possono essere anche i trafficanti di organi” [https://www.ecpat.it/immagini/Rassegna-Stampa-17-Marzo-2015.pdf].
Il 4 febbraio 2016, in occasione dell’audizione dell’ammiraglio di divisione Enrico Credendino, operation commander della missione EUNAVFOR MED – Operazione SOPHIA, dichiarava:  
“Vi è poi il problema dei minori non accompagnati, che l’anno scorso hanno rappresentato l’8 per cento dei migranti, in partenza prevalentemente dall’Egitto e dall’Eritrea. Di metà di questi bambini arrivati in Europa si perdono le tracce: alcuni vengono avviati alla prostituzione minorile, altri vengono venduti a chi procede alle adozioni in maniera illegale, qualcuno sembra che possa anche essere venduto alle reti che espiantano gli organi.” [http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Sindisp&leg=17&id=00987224&parse=si&toc=no].
Il 5 luglio 2016, sul sito Internet de Il Tempo si leggeva:
“Gli organi dei migranti in fuga venivano espiantati in Egitto. I soldi, così come la droga, erano amministrati dalle cellule romane e palermitane.” [http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=00987229&part=doc_dc-allegatob_ab-sezionetit_m&parse=no]

Il dramma dei bambini rifugiati non accompagnati è uno dei problemi più urgenti nell'ambito della crisi dei migranti.
Nel gennaio del 2016, il capo dello staff di Europol di Londra, Brian Donald, aveva lanciato un allarme: almeno 10mila minori emigrati in Europa erano scomparsi nel nulla, circa 5.315, in Italia, e un altro migliaio, in Svezia.
“Un'intera infrastruttura criminale si è sviluppata nel corso degli ultimi 18 mesi, pronta ad approfittare del flusso di migranti. Vi sono prigioni, in Germania e in Ungheria, dove la stragrande maggioranza delle persone arrestate è dietro le sbarre per attività criminali in relazione alla crisi dei migranti.”
Circa il 27% delle persone arrivate, nel 2015, in Europa, oltre un milione, erano minori.
“Che siano registrati o meno”,
aveva aggiunto Donald,
“stiamo parlando di circa 270mila bambini. Non tutti sono soli, ma sappiamo che tanti di loro potrebbero esserlo.” [https://www.theguardian.com/world/2016/jan/30/fears-for-missing-child-refugees]
Sono segnalati alla criminalità locale dai “mercanti di morte”, come vengono chiamati gli organizzatori dei “viaggi della speranza”. Non si può escludere che, oltre al lavoro o alla prostituzione minorile, vi sia un aberrante traffico di organi umani.  


È chiaro che il mondo ha bisogno di un sistema migliore per fornire organi sani a malati che ne hanno bisogno per sopravvivere, ma, come dice Carla Del Ponte, “la depravazione del traffico di organi umani e il rifiuto della gente di credere che i criminali sono anche capaci di uccidere persone innocenti, al fine di estrarre i loro organi e venderli, riflette, forse, la reticenza della stampa e della giustizia di portare alla luce questi problemi e la riluttanza delle autorità responsabili di perseguirli”.



Nel luglio del 1999, il Falun Gong è divenuto famoso in tutto il mondo per la persecuzione in Cina.
La gente si chiede: che cos’è il Falun Gong?
Perché il regime cinese è così accanito contro il Falung Gong?
Il Falun Gong, conosciuto anche come Falun Dafa, riprende un’antica forma di  Qigong, che risale all’antica tradizione cinese. È una pratica per purificare corpo e mente attraverso cinque esercizi, di cui quattro con movimenti lenti e armoniosi e un quinto di meditazione.
Questa è la testimonianza di una donna cinese che è stata torturata, nel 2003, in una prigione nella provincia di Liaoning. Questa donna è una praticante Falun Gong, ragione per cui è stata imprigionata.

Il 12 aprile 2003, sono stata denunciata alla polizia come praticante del Falun Gong e sono stata arrestata. Sono stata detenuta nel centro di detenzione di Fuxing, provincia del Liaoning. Nel marzo del 2004, sono stata condannata a quattro anni di carcere e condotta dal centro di detenzione di Fuxing alla prigione femminile della provincia del Liaoning.
Ho sperimentato e sono stata testimone di ogni specie di tortura utilizzata per perseguitare i praticanti Falung Gong: privazione del sonno, sanzioni fisiche, rovesciamento di acqua gelida su tutto il corpo in inverno, percosse continue, dormire su una superficie dura, non essere autorizzati ad andare in bagno, non avere carta igienica, confisca del cibo e di altri beni, confisca di danaro, essere appesi, soffocati, confinati in una gabbia e la lista non si ferma qui. L’ingozzamento di sostanze sconosciute ha portato molti praticanti a sviluppare turbe mentali. Le torture hanno causato ogni sorta di incapacità.

Torturarmi per farmi rinunciare al Falun Dafa
Io ero assegnata alla seconda équipe della seconda brigata quando sono arrivata. Il primo giorno, le guardie Shi Jinghe e Sun Yuanyuan hanno ordinato alle prigioniere di picchiarmi e hanno tentato di costringermi a “confessare”. Ho detto che il Falun Dafa non è un crimine, che seguire verità, benevolenza e tolleranza non è un crimine. Io ho tentato di parlare loro. Le prigioniere Ma Ning, Cheng Qili e Dong Yuezhen mi hanno colpita al viso, dato pedate e insultata. Mi impedivano di dormire la notte. Durante il giorno, erano sempre là, costringendomi a lavorare sempre più a lungo. Hanno utilizzato diversi metodi di tortura, perché io non ne potessi più e firmassi la loro dichiarazione che denunciava il Falun Gong.
Sostanze sconosciute mi hanno ridotta incapace di pensare o di concentrarmi.
Nel novembre del 2006, io non potevo più sopportare il duro lavoro e ho iniziato uno sciopero della fame per protestare. La guardiana Shi Jing mi sorvegliava, mentre le prigioniere mi conducevano in ospedale. Mi hanno fatto una iniezione e ho iniziato a parlare in modo incoerente e ad avere terribili allucinazioni. Ho perduto la capacità di pensare e ho iniziato a dire cose assurde. La mia vista si è annebbiata. Hanno detto che ero testarda e hanno aumentato la dose di droga. Io non potevo più concentrarmi e sono svenuta. Più tardi mi hanno ricondotta nella cinta della prigione, prendendomi carta e penne. Non mi hanno autorizzato ad andare in bagno. La prigioniera Yi Zhenjun mi ha dato pedate e mi ha picchiata. Zhou Lili ha messo più droga in un po’ di latte e ha cercato di farmi bere con la forza. Ho resistito e mi ha versato il latte sulla testa.

La capo-cella ha cercato di forzarmi a “donare” i miei organi [http://fr.ntdtv.com/ntdtv_fra/actualite/2009-12-19/286939739277.html]
Un giorno, avevo sonno dopo un pasto e mi sono addormentata. Vi sono regole rigide che impongono che le prigioniere non siano autorizzate a addormentarsi durante il giorno, ma quel giorno mi sono lasciata andare. Mi sono svegliata quando le altre prigioniere sono rientrate, in serata. La capo cella Wang Huijuan è venuta e mi ha chiamata:
“Il capo della brigata viene a vederti.”
Allora mi sono alzata e mi hanno detto:
“Il capo della brigata vuole che tu doni i tuoi organi.”
Io mi sono rifiutata di rispondere e se ne sono, infine, andati. Due giorni più tardi, due agenti dell’ufficio di polizia della prigione sono venute. Una di loro, di nome Ma, mi ha chiesto:
“Hai difficoltà economiche a casa?”
Io non ho risposto. L’altra poliziotta ha alzato quattro dita e ha chiesto:
“Quante?”
Io ho risposto:
“Quattro.”
Poi ha alzato due dita e ha chiesto:
“Quante?”
Io non ho risposto. Poi, loro se ne sono andate. Dopo avere riflettuto su ciò che avevano detto, ho realizzato che mi chiedevano di dare i miei organi. Io non potevo più stare tranquilla, ormai. Ho gridato:
“Falun Dafa è bene!”
La prigioniera Zhou Lili e la capo della prigione Wang Huijuan mi hanno condotta in una stanza e mi hanno lasciata tutta nuda. Mi hanno versato acqua fredda su tutto il corpo e non mi hanno autorizzata a utilizzare il bagno. Ho perso il controllo dei miei intestini. Mi hanno ricondotta nella cinta della prigione tra le sette le otto di sera. La detenuta Sun Lijie si è avvicinata per insultarmi e colpirmi alla testa. Una notte, una detenuta mi ha sussurrato che, se fossi stata condotta da qualche parte, non sarei più tornata. Più tardi, quella notte, le guardie sono venute e mi hanno ordinato di vestirmi e di seguirli. Hanno detto che mi conducevano in un ospedale esterno alla prigione per una assistenza medica. Mi sono spaventata. Che potevano ben volere fare nel cuore della notte?
Ho gridato:
“Falun Dafa è bene!”
“Io non verrò. Falun Dafa è bene! Falun Dafa è bene!”
Se ne sono, infine, andate.
Un giorno, mentre gridavo:
“Falun Dafa è bene.”,
le detenute mi hanno messo del nastro adesivo sulla bocca e mi hanno appesa a un tubo del riscaldamento. Mi è occorso molto tempo per riprendermi e non potevo più parlare dopo questo. Questo è ciò che posso ricordare, proprio un piccolo estratto di ciò che è accaduto nella prigione femminile della provincia del Liaoning. Vi sono sempre molti praticanti del Falun Gong, che sono torturati laggiù.

Squarcio della prigione per donne della provincia del Liaoning
La prigione femminile della provincia del Liaoning è situata nel quartiere Sud-Ovest della città di Shenyang. Ha undici divisioni [anche chiamate brigate]. Ogni brigata ha diverse équipes. Le praticanti del Falun Gong sono distribuite in ogni équipe, così vi sono quattro o cinque sorvegliate da criminali. Vi sono circa 20 guardie per ogni brigata, a eccezione della quinta brigata. Circa 200 guardie sono, direttamente, implicate nel maltrattamento quotidiano delle praticanti. Più di dieci altre persone, compresi i capi e gli ufficiali della prigione, sono, anche direttamente o indirettamente, implicati nel maltrattamento che avviene in questa prigione.

[La traduzione della testimonianza è di Daniela Zini]


Daniela Zini
Copyright © 19 ottobre 2018 ADZ





[1] Predrag Matvejevic, uno dei più importanti e tradotti scrittori balcanici, scomparso il 2 febbraio 2017, non veniva da una storia facile. Quale esponente del dissenso jugoslavo si era battuto contro le degenerazioni autoritarie del socialismo centralizzato, ma, alla crisi di quest’ultimo, aveva visto succedere non una moltiplicazione delle libertà e nuove forme di solidarietà, bensì quella spirale nazionalistica che aveva trascinato il suo Paese nella guerra civile. Questa costante condizione di opposizione lo aveva, così, costretto alla condizione di esule, a cercare rifugio, prima, in Francia e, poi, in Italia.
Nato a Mostar, il cui ponte crollato è divenuto un’icona delle distruzioni della guerra civile, da padre russo e da madre bosniaca, aveva dentro di sé quella trasversalità, quell’amore per un universalismo plurale, capace di chiedere agli uomini il meglio di se stessi.
In ricordo di Predrag Matvejevic, Rai Storia trasmetteva, il 4 febbraio 2017, il documentario Il tempo del dopo: i Balcani di Predrag Matvejevic di Graziano Conversano [http://www.raistoria.rai.it/articoli/il-tempo-del-dopo-i-balcani-di-predrag-matvejevic/36056/default.aspx].

[2] La Bosnia è il principale Paese di transito della nuova rotta balcanica dei migranti, meno importante nelle dimensioni rispetto al settembre del 2015 e sotto il controllo della  Mafia albanese.

[3] Grazie a una buona dose di caparbietà, Carla Del Ponte si crea, molto presto, una fama di giudice temibile e scomodo, tanto da essere soprannominata Carlina la peste. Va ricordata la proficua collaborazione con Giovanni Falcone, che consente, tra l’altro, di provare il legame tra il riciclaggio di danaro, effettuato in Svizzera e la Mafia siciliana nel quadro dell’indagine, avviata già nel 1979, sul traffico di droga tra l’Italia e gli Stati Uniti, denominata Pizza Connection.
Il 21 giugno 1989, mentre queste indagini sono in corso, sfugge, con il collega svizzero Claudio Lehmann, – grazie a una provvidenziale serie di circostanze – a un attentato dinamitardo nella spiaggetta antistante la villa affittata da Falcone, in località Addaura. 
Nel 1999, Carla Del Ponte diviene procuratore del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia [ICTY], sostituendo Louise Arbour, e, contemporaneamente, viene incaricata di seguire il dossier sul genocidio in Ruanda nel Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda.
Dal gennaio del 2008 al febbraio del 2011, ricopre la carica di ambasciatore della Svizzera in Argentina.
Nel 2013, entra nella Commissione Indipendente Internazionale d’Inchiesta sulla Siria delle Nazioni Unite, ma, il 6 agosto 2017, Carla Del Ponte annuncia le sue dimissioni, dal Festival del Cinema di Locarno, con un duro atto di accusa.
“È una Commissione inutile”,
dice.
“La Giustizia Internazionale non funziona in Siria perché non c’è una volontà politica. Servirebbe il sostegno degli Stati e, in particolare, in questo caso, del Consiglio di Sicurezza dell’ONU: quest’ultimo viene bloccato dai veti della Russi e della Cina e, quindi, non si prende la decisione di ottenere Giustizia per le vittime.”
Così, Carla Del Ponte sbatte la porta e se ne va:
“Perché non ci sto più a stare in questa Commissione che non riesce a ottenere giustizia per le vittime, in questa commissione che non ha nessun futuro perché non vi è volontà politica, perché gli Stati non vogliono giustizia per le vittime in Siria. Non posso rimanere in questa Commissione che in fondo non fa niente.”
Del Ponte rivela che questa decisione è maturata da tempo:
“Sono sette anni che in Siria vi è la guerra e la Commissione non fa nulla. Il Consiglio di Sicurezza deve istituire o una Corte permanente, o ancora meglio un Tribunale ad hoc, come per la ex-Jugoslavia, visto l’elevato numero di crimini commessi. Ma si tratta di un futuro che per ora non vedo. Abbandono la Commissione, non le vittime, sarei pronta domani ad assumere il ruolo di procuratrice se fosse creato un Tribunale internazionale per la Siria.”
Sono affermazioni gravi, che si commentano da sole, alle quali non seguono significative reazioni.
Anche questo si commenta da solo!

[4] Une guerre juste pour un Etat mafieux, un libro di Pierre Péan e Sébastien Fontenelle, pubblicato nel maggio del 2013, riferisce testimonianze agghiaccianti di ex-combattenti dell’UCK.

[5] Nel suo libro, La Caccia, Carla Del Ponte cita i testimoni che denunciarono l’espianto di organi su 300 serbi, deportati dal Kosovo nel Nord dell’Albania.
Tradotto in dodici lingue, il libro ripercorre, in più di 400 pagine, gli otto anni di caccia, che portarono all’arresto decine di criminali di guerra, accusati di genocidio, tra i quali l’ex-presidente serbo Slobodan Milosevic. 

[6] Il cosiddetto turismo medico esiste, in verità, da centinaia di anni. Il termine, oggi, viene, tuttavia, frequentemente utilizzato includendo il cosiddetto turismo del trapianto e per descrivere lo spostamento da uno Stato ad un altro, da una giurisdizione a un’altra, al fine di accedere a servizi medici, scegliendo un sistema sanitario maggiormente permissivo sul piano giuridico-legale.

[7] Traffici di armi e traffici di organi: chi si è avvicinato troppo alla verità, non ha vissuto abbastanza a lungo per raccontarla. 
Nel maggio del 1996, Xavier Bernard Gautier, trentacinque anni, corrispondente de Le Figaro e attento conoscitore dei Balcani, fu trovato impiccato nella sua casa di Ciudadela, nell’Isola di Minorca, alle Baleari. Le autorità spagnole non ebbero dubbi sulla sua morte: un suicidio. Tuttavia le circostanze erano, per così dire, singolari. Lo trovarono con le mani legate; sulle mura di casa la scritta: “Traditore Diavolo Rosso”.
Gautier, prima di partire per le vacanze, aveva lavorato a una lunga inchiesta su un presunto traffico di organi [http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/1996/05/27/Cronaca/TRIESTE-TRAFFICO-DI-ORGANI-UNA-VECCHIA-STORIA-DI-CALUNNIA_195400.php].
Un articolo molto dettagliato di Gautier era apparso su Le Figaro del 6 gennaio 1995.
I parenti del giornalista, soprattutto il padre e la sorella, erano convinti che Xavier fosse stato assassinato. Una circostanza strana, un altro giornalista, che si era interessato del traffico di armi, come l’inglese Jonathan Moyle, in Cile, aveva trovato la morte per impiccagione.
Un giornalista francese dichiarò alla stampa che Gautier stava scrivendo un articolo in cui “non solo criminali di guerra nell’ex Jugoslavia, ma anche importanti italiani” .
E qualche anno più tardi, i magistrati Nicola Maria Pace e Federico Frezza della Procura di Trieste seguirono proprio la pista di un presunto traffico di organi di migranti cinesi tra l’Italia e la ex-Jugoslavia.
 
[8] Il 21 settembre 1994, il ministro per la famiglia Antonio Guidi, in audizione parlamentare, aveva dichiarato che “dietro le adozioni dei bambini stranieri e le vacanze in Italia dei minori dell’Est un traffico di organi umani. Commercio d’organi prelevati da minori di anni 18. Trentacinque esperti dell’ONU ci hanno lavorato. Non dicono parole a vanvera il fenomeno è mondiale. Ma l’Italia, così com’è stata ed è un luogo di passaggio delle droghe, adesso è un punto di transito di bambini a rischio. parecchi di loro sono destinati ad essere carne di riserva per i ricchi. Piccoli depositi di organi per i figli di chi ha denaro” [http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnSalute/2000/12/06/Sanita/TRAFFICO-ORGANI-GUIDI-BLOCCATA-MIA-DENUNCIA-94-SU-MINORI_161300.php, https://www.youtube.com/watch?v=LOq5sXkwbdU, https://www.youtube.com/watch?v=qvOnVMcCd7A].