“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

lunedì 17 febbraio 2014

TRAFFICO DI ORGANI: UNA REALTA’ I. Un commercio in piena espansione di Daniela Zini


a tutta la mia Famiglia

mio Nonno, Elnaz, Georgina, J, Ali e Amir


“La vita è un periodo in cui vengono concesse delle libertà affinché, se vogliamo, possiamo apprendere ad amare.”

Abbé Pierre 


La libertà di pensiero, per la quale mi sono, sempre, battuta, è per me la condizione essenziale per il bene e il progresso delle società. Fondandomi su questa convinzione, ho levato la mia voce ogni volta che le circostanze lo hanno richiesto.

Grazie di esistere per me.

Daniela

 
“Il capitale aborre la mancanza di profitto o il profitto molto esiguo. Quando vi è un profitto proporzionato, il capitale diventa audace. Garantitegli il dieci per cento, e lo si può impiegare dappertutto; il venti per cento, e diventa vivace; il cinquanta per cento, e diventa veramente temerario; per il cento per cento si mette sotto i piedi tutte le leggi umane; dategli il trecento per cento, e non vi sarà nessun crimine che esso non arrischi, anche pena la forca. Se il tumulto e le liti portano profitto, esso incoraggerà l’uno e le altre. Prova: contrabbando e tratta degli schiavi.”

Thomas  Joseph Dunning





  1. Che cos’è il traffico di organi?

Che cos’è il traffico di organi?

Il traffico di organi è un commercio illegale, clandestino di organi umani. Le organizzazioni criminali internazionali hanno scoperto questo traffico lucrativo, sovente, associato al traffico di droghe e armi e alla tratta di esseri umani per l’“industria del sesso” (prostituzione), e fanno pressione su soggetti in situazione di estrema miseria, particolarmente nei Paesi poveri, per incoraggiarli a vendere i loro organi. Esseri umani sono venduti come puri “pezzi di ricambio”, per rispondere alla domanda di ricchi malati, nell’attesa di un trapianto di organo, e ingrassano tutta una catena di clinici, chirurghi,  infermieri e intermediari compiacenti, cui interessa solo il danaro.

Nel corso degli ultimi anni, sono state smantellate reti in Kosovo, in Sud Africa, in Israele, negli Stati Uniti e in India. E il rene è l’organo più richiesto, perché può essere ottenuto da donatori vivi. Ogni persona possiede due reni e può vivere con uno solo di questi organi.

Le strade battute dai “ricercatori” di organi sono conosciute, portano, tradizionalmente, in Cina, in Pakistan, in Egitto, in India, nelle Filippine, in Colombia, che sono i principali Paesi di origine dei venditori. Gli acquirenti sono, sovente, originari dei Paesi ricchi, Stati Uniti, Paesi del Golfo, Israele, Giappone, Australia e Canada.

Studi dimostrano che lo sfruttamento commerciale degli organi comporta rischi per tutte le parti interessate. I pazienti che acquistano reni, all’estero, hanno più possibilità di contrarre infezioni e anche di morire, a seguito dell’intervento. I venditori, reclutati tra le popolazioni più povere, vedono, sovente, il loro stato psichico-fisico deteriorarsi, per la mancanza di controlli. Nella maggior parte dei casi, non ricevono che una minima parte del denaro versato dal ricevente e la loro situazione economica non migliora nel lungo termine.

Oggi, a eccezione dell’Iran, nessun Paese autorizza il commercio di organi. Ma le leggi sono lontane dall’essere, sempre, rispettate. 

Nel 2004, l’Organizzazione Mondiale della Sanità lanciava un appello agli Stati membri “al fine di prendere provvedimenti per proteggere i gruppi più poveri e vulnerabili dal turismo a fini di trapianto e dalla vendita di tessuti e organi, estendendo l’attenzione al problema più ampio del traffico internazionale di tessuti e organi umani”.

Intermediari che incassano ingenti commissioni si incaricano del reclutamento di donatori nei villaggi. Si tratta, per la maggior parte, di poveri contadini – quando non sono bambini -  spinti a vendere un rene, un occhio, per permetttere alla propria famiglia di sopravvivere. Mutilati, non ricevono che una misera somma, mentre gli intermediari vendono, a peso d’oro, gli organi “rubati” a riceventi, pronti a mettere un bel “pacchetto” di bigliettoni per continuare a vivere. Così, in India, le proposte di vendita di reni sono pubbicate sui giornali. La soluzione potrebbe essere di rifiutare l’espianto di organi da persone vive, ma l’India non accetta i prelievi su cadaveri, che  urtano certe credenze religiose. Oltre a ciò, l’India non dispone, ancora, di una tecnologia medica sofisticata, che permetta trapianti riusciti mediante reni prelevati su cadaveri. In Cina, gli organi di persone condannate alla pena capitale sono utilizzati a fini di trapianto, generalmente, senza il consenso degli interessati. E, gli alti funzionari cinesi godrebbero di una priorità nell’attribuzione degli organi. Vi sono, dunque, forti motivazioni per indurre le autorità locali a lasciar fiorire questa pratica.  In America Latina, proposte di vendita di reni sono, anche, pubblicate sui giornali e provengono dagli strati più diseredati della popolazione.

Le prime voci di traffico di organi emergono, intorno alla metà degli anni 1980. Il 13 settembre 1993, l'eurodeputato Léon Schwartzenberg, noto cancerologo francese, nel presentare al Parlamento Europeo una importante mozione sull’interdizione del commercio degli organi, accusava la camorra napoletana di controllare un traffico di bambini in America Latina, al solo fine di prelevare loro organi per, poi, rivenderli e il trafficante di bambini Luca Di Nuzzo di aver fatto venire dal Brasile 4mila bambini perché fossero adottati. Mille furono ritrovati, degli altri nessuna traccia. Lo stesso anno, spuntavano in Polonia e in Ungheria agenzie, che proponevano organi umani a ospedali tedeschi e svizzeri.

Nel settore dei tessuti umani si sviluppa un altro tipo di attività commerciali che, se tollerate da certi Stati, non sembrano meno contestabili. Infatti, contrariamente agli organi, che debbono essere, imperativamente, trapiantati nelle quarantotto ore, i tessuti umani possono essere conservati, molto più a lungo, in banche, specializzate nella raccolta, la conservazione e il trattamento dei tessuti. Ne esistono due tipi: le banche dei tessuti senza fini lucrativi e le società commerciali. Le prime si limitano a fatturare il lavoro di preparazione e di conservazione dei tessuti al prezzo di costo. Per loro, il no-profit è la regola. Le seconde, per la maggior parte di origine nord-americana, partono dal principio che ogni servizio meriti una parcella e traggono importanti benefici dal trattamento dei tessuti. Una volta di più, la legge del profitto si scontra con l’etica di una medicina equalitaria e basata sulla solidarietà e la generosità.

In  seguito alle accuse di traffico di organi in Kosovo, avanzate da Carla Del Ponte, ex-procuratore presso il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja per l’ex-Jugoslavia, nel suo libro, La caccia: Io e i criminali di guerra, nel 2008, la Commissione degli Affari Legali e dei Diritti Umani nell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa nominava Dick Marty [http://www.dailymotion.com/video/xgr3ff_euronews-dick-marty-sur-le-trafic-d-organes-au-kosovo_news], come suo incaricato per avviare una inchiesta. Indagine che lo portava ad accusare il Primo Ministro kosovaro Hashim Thaci di aver gestito un traffico di organi per molti anni, ricavandone ingenti guadagni e mutilando, senza ritegno, prigionieri serbi e cittadini kosovari, accusati di tradimento. Un ruolo fondamentale avrebbe avuto in tutta la vicenda Shaip Muja, anch’egli ex-comandante dell’UCK.





  1. Qual è la causa del traffico di organi?

Qual è la causa del traffico di organi?

La penuria di organi. La domanda globale di organi è, infatti, ben superiore all’offerta. A causa dell’invecchiamento della popolazione e dell’incremento di malattie, il numero di persone, che ha bisogno di un trapianto, aumenta. La ricerca medica ha dimostrato che un trapianto aumenta la possibilità di sopravvivenza dei pazienti, ma l’ottenimento di organi da donatori deceduti, e, soprattutto da donatori vivi (la possibilità di donatori vivi non riguarda che due organi, vale a dire il rene e il fegato, anche se quest’ultimo, considerati i rischi, non concerne che una estrema minoranza di casi), è molto limitato e, strettamente, regolamentato in Europa.

Sostenitori della vendita di organi, credono che, ben inquadrato, il versamento di un compenso ai donatori sia il solo mezzo per ridurre la penuria di organi nel mondo.

L’economista Alex Tabarrok, in un articolo pubblicato sul Wall Street Journal, The Meat Market, difende la legalizzazione del commercio volontario di organi e l’introduzione di incentivi per aumentarne l’offerta e cita, a esempi, le misure applicate in Iran, in Israele o a Singapore.

In Iran, i pazienti, che non possono trovare un donatore deceduto o un donatore vivo nell’ambito della famiglia, possono iscriversi presso un organismo, che identifica i potenziali donatori. Il governo iraniano offre 1.200 dollari al donatore e gli assicura una copertura medica, per un anno. I riceventi pagano, egualmente, dai 2.300 e ai 4.500 dollari ai donatori. Singapore applica la presunzione legale di assenso di donazione di organo, dopo la morte, ma anche un programma di reciprocità. Quelli che desiderano lasciare questo programma perdono la priorità nella lista di attesa. Un compenso economico, fino a 25mila dollari, è, generalmente, pagato ai donatori. E, in Israele, vige una versione più flessibile di questo programma di reciprocità: le persone che accettano di donare un rene ricevono punti che li mettono in migliore posizione nella lista di attesa. Sono concessi punti a riceventi potenziali, dei quali un membro immediato della famiglia è stato o sarà donatore.

Nel loro studio Introducing  incentives in the market for live and cadaveric organ donations, il Premio Nobel per l’economia Gary Becker e Julio Jorge Elias stimano che un compenso economico di 15mila dollari a un donatore vivo potrebbe evitare la penuria di reni. E questo compenso potrebbe anche essere pagato dallo Stato, che ne trarrebbe un profitto, economizzando sulle interminabili dialisi, nell’attesa di un organo.

Gli economisti William Barnett II, Michael Saliba e Deborah Walker, nel loro studio, A free market in Kidneys: efficient and equitable, mostrano come un libero mercato di reni, congiunto a un sistema di pagamento da parte di compagnie assicurative eliminerrebbe gli effetti negativi del sistema attuale, aumenterebbe l’offerta di reni e incoraggerebbe a migliorare la qualità dei trapianti.

Infine, nel suo articolo A “ gift of life” with money attached, pubblicato nel New York Times, Sallty Satel equipara il compenso economico per le donazioni di organi al compenso ricevuto, contrattualmente, per il tempo e i rischi assunti dalle madri in prestito, che affittano il proprio utero.

Nella maggior parte dei Paesi dell’Europa e dell’America del Nord, esiste una legislazione che vieta il commercio di organi. Ma non è il caso nel resto del mondo. La maggior parte delle vendite sono effettuate nei Paesi poveri per conto di riceventi di Paesi ricchi. Questi riceventi sono, sovente, costretti a viaggiare in Paesi, dove non esiste una legislazione in materia o meglio in Paesi, dove i governi danno prova di lassismo nell’applicazione delle leggi esistenti o nella sorveglianza degli istituti medici, cosa che vale al traffico di essere soprannominato dalle organizzazioni internazionali e non governative: “turismo di trapianto”. E, il progresso di farmaci immunosoppressori, quali la ciclosporina, combinato all’espansione del turismo medico e di Internet, ha contribuito allo sviluppo del turismo di trapianto.

In Africa, non esiste una legislazione in materia, tranne in Algeria, in Tunisia, in Sud Africa e nello Zimbawe. Nei Paesi Membri della Lega Araba, una legge, che vieta ogni forma di commercio, è adottata, in seno alla Conferenza della stessa Lega, svoltasi a Khartum dal 14 al 16 marzo 1987, che riunisce i Ministri della Sanità Pubblica dei vari Paesi: Legge Arabia Unificata, sui trapianti di organi umani.

In Asia, la Cina, l’Indonesia, Singapore e lo Sri Lanka dispongono di una legislazione. In India, il Parlamento Federale ha adottato, nel 1994, una legge che punisce, severamente, la vendita di organi. La responsabilità della salute pubblica riposa, tuttavia, su ciascuno dei 25 Stati Membri, di cui solo 5 hanno, fino a oggi, adottato questa legge. La Repubblica delle Filippine era, fino a molto recentemente, una destinazione di predilezione per i turisti di trapianto, che beneficiavano di organi prelevati, egualmente, su persone povere. Nel 2007, 1050 trapianti di rene sono stati praticati nel Paese, di cui il 50% a beneficio di stranieri, nonostante una regolamentazione, datata dal 2002, limitasse questa percentuale al 10%. Per lottare contro questo flagello, il governo filippino ha vietato, nel 2008, la vendita di organi agli stranieri e i contravventori incorrono in 20 anni di carcere. La vendita di organi resta, in mancanza di una legislazione chiara, autorizzata nei diversi Paesi del continente, quali il Giappone. Nel Pakistan, quasi i 2/3 dei trapianti renali sono destinati a stranieri. 

In  Oceania, solo l’Australia possiede una legislazione.

In Europa, in pratica, tutti i Paesi possiedono una legislazione. I Paesi dell’ex-blocco dell’Est non la hanno, ancora, a eccezione dell’Ungheria, della Romania e dell’ex-Jugoslavia. In Inghilterra, una legislazione è apparsa, nel 1989, dopo lo scandalo di un traffico di organi prelevati a soggetti turchi. In Francia, in conformità al principio di indisponibilità del corpo umano, la legge del 29 luglio 1994 è venuta a modificare la legislazione già esistente (legge n. 76-1181), in materia di trapianto di organi, e ha rafforzato questo divieto. I contravventori rischiano sette anni di carcere e più di 100mila euro di ammenda. Solo il Regno Unito definisce il commercio di organi un crimine. Non è, tuttavia, l’Inghilterra che punisce il commercio più severamente, poiché certi Paesi, quali la Polonia e la Turchia [http://ma-tvideo.france3.fr/video/iLyROoafteBC.html], puniscono gli autori con 2 anni di carcere. In Germania, una legge federale, che prevede fino a 5 anni di carcere, è stata adottata, nel 1997.

Gli argomenti contro la vendita degli organi sono quelli che hanno portato al suo divieto. In particolare ragioni etiche. Fin dal 1970, la International Transplantation Society stigmatizza:

“La vendita di organi di un donatore vivo o morto non è in alcun caso giustificabile.” 

Alla base di ogni prevenzione del traffico di organi si pone la domanda etica della strumentalizzazione della persona. Questo traffico porta a vedere l’Altro, non più un uomo, ma una riserva di organi. È, dunque, sul fondamento del principio superiore di dignità della persona umana che hanno potuto essere emanate regole di un’etica dei trapianti. Queste regole sono il primo baluardo contro ogni forma di traffico di organi.

La Risoluzione 29 dell’11 maggio 1978, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio Europeo sull’armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri su prelievo, innesto e trapianto di sostanze di origine umana, all’art. 9 afferma che “nessuna materia biologica può essere offerta per profitto” e l’Atto Finale della Conferenza dei Ministri della Sanità, nel novembre del 1987, precisa che nessun organo umano può essere offerto per denaro da nessuna organizzazione impegnata nei trapianti. Principio fatto proprio dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, con la Risoluzione WHA 44.25 del 13 maggio 1991, relativa alle linee guida sul trapianto di organi umani, la quale definisce, in particolare, le modalità dell’esigenza del consenso del donatore (linea guida 1) e pone il principio della gratuità del trapianto (linee guida 5-9), mentre, nella Risoluzione del Parlamento Europeo del 14 settembre 1993, si assume il principio dell’anonimato e della gratuità della donazione. Ma la Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la Biomedicina, firmata a Oviedo, il 4 aprile 1997, unitamente al Protocollo Addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168, sul divieto di clonazione di esseri umani, enunciano condizioni, nettamente, meno restrittive di quelle previste dalla succitata risoluzione. Infatti, la condizione di un legame di parentela genetico è scomparsa a profitto di relazioni personali strette, perfino, in assenza di ogni relazione, se la legislazione del Paese lo prevede.

La regola del consenso preliminare è ricordata da tutti i grandi testi internazionali riguardanti la bioetica: dal Codice di Norimberga del 1947 fino alla Dichiarazione Universale sulla Bioetica e i Diritti Umani, adottata per acclamazione, il 19 ottobre 2005 dalla Conferenza Generale dell’Unesco.

Nel suo rapporto del 2003, il Segretario dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Bess Shields, ricordava, del resto, che una relazione genetica tra donatore e ricevente, anche se diminuisce il rischio di pressione, non lo elimina interamente.

Infine, autorizzare un mercato di organi e di tessuti farebbe pensare a una valutazione venale delle persone, contro l’affermazione della loro autonomia e la loro dignità intrinseche.

E quale valutazione ufficiale dare a un organo?

Come definire un prezzo “equo” per gli organi dei più poveri, senza compromettere i principi etici e i valori della democrazia?

Condannato dal 1987 dall’Organizzazione Mondiale della Salute, il traffico di organi non è incriminato, a livello internazionale, che, nel 2000, dal Protocollo Addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità Organizzata Transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, sottoscritto nel corso della Conferenza di Palermo (12-15 dicembre 2000). Questo protocollo fa del prelievo di organi uno dei possibili elementi della tratta delle persone.

Al contrario, né l’Unione Europea, né il Consiglio Europeo hanno integrato il prelievo di organi nel quadro della loro definizione della tratta di persone. I trapianti illeciti di organi restano, dunque, unicamente integrati in quello delle legislazioni sui trapianti. Da queste due logiche repressive sono scaturite due ottiche nazionali diverse, che riguardano la repressione del traffico di organi. Un primo gruppo di Stati ha, così, legiferato, criminalizzando il traffico di organi, nel quadro delle pratiche contrarie alle regole etiche sui trapianti. Il traffico di organi è, dunque, punito da queste legislazioni a solo titolo di una violazione delle norme, derivate dalla bioetica (es. Brasile, Bulgaria, Francia). Di fronte a questi esempi, un altro gruppo di Paesi, reprimendo, penalmente, le violazioni dell’etica medica, ha preferito seguire la logica delle Nazioni Unite, sanzionando il traffico di organi attraverso le sue regole sulla tratta delle persone (a esempio la Danimarca, la Finlandia e i Paesi Bassi).

Per affrontare il problema degli urgenti e crescenti problemi della vendita di organi, del turismo a scopo di trapianto e del traffico di donatori in un contesto di carenza globale di organi, si è tenuto a Istanbul, dal 30 aprile al 2 maggio 2008, un Summit Meeting, cui hanno partecipato più di 150 rappresentati di istituzioni scientifiche e mediche provenienti da tutto il mondo, ufficiali governativi, esperti di scienze sociali ed esperti di etica.

Gli organi umani non sono una merce come un’altra!

E, allora perché l’Essere Umano è divenuto una risorsa di vita?

















Daniela Zini

Copyright © 10 gennaio 2012 ADZ


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