“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

lunedì 10 febbraio 2014

LA FATTORIA DEGLI ANIMALI Un apologo? di Daniela Zini



“In tempi di menzogna universale dire la verità diviene un atto rivoluzionario.”

George Orwell




agli Italiani, Popolo di Poeti, di Artisti, di Eroi, di Santi, di Pensatori, di Scienziati, di Navigatori, di Trasmigratori…

e di Franchi Tiratori…  

Daniela Zini





In cosa il racconto di George Orwell può essere considerato un apologo?

Associa le due caratteristiche fondamentali di questo genere:

- è un breve racconto, accessibile nel suo senso primo;

- è messaggero di un insegnamento, di un secondo senso.






Ha detto George Bernard Shaw:

“I rivoluzionari non hanno, mai, alleggerito il fardello della tirannia, lo hanno solo spostato su altre spalle.”

Si pensi a quei rivoluzionari incapaci di vedere al di là del fatto politico la questione morale; uomini incompleti, che nell’uomo riconoscono e valorizzano le esigenze materiali a scapito di quelle spirituali e che, a lungo andare, non possono se non soccombere al pericolo che minaccia ogni combattente, di finire per rassomigliare a coloro contro i quali ha combattuto.

Nessuna frase mi parrebbe, quindi, più adatta di questa per sintetizzare il proponimento del racconto che intendo in breve presentare, come pure la fede del suo autore prematuramente scomparso, tipico Figlio di un secolo inquieto.

George Orwell è, soprattutto, conosciuto per 1984, ma, è un’altra opera di questo autore che si deve leggere se si vuole cogliere tutta l’ampiezza del totalitarismo: La Fattoria degli Animali. Questo racconto, al quale Orwell diede il sottotitolo di fairy story, favola, fu scritto tra il novembre del 1943 e il febbraio del 1944, e, per ostacoli di ordine contingente, non pubblicato prima dell’estate del 1945.

Per confessione dell’autore, l’unico libro che lo fece “veramente sudare” e anche l’unico che non rechi traccia di fatica né di stanchezza, essendo “tutto scorrevole dall’inizio alla fine”.

Come Le Favole di Esopo e quelle di Jean de La Fontaine, e come gran parte de I Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, anche La Fattoria degli Animali si può accettare semplicemente come una divertente favola per ragazzi, mentre un lettore avveduto vi potrà cogliere continue allusioni politiche non solo contingenti e un altro vi ascolterà echi di problemi sociali ben veri, non risolti, ma chiaramente formulati.

Alcuni animali vivono in una fattoria della campagna inglese, di cui Mr Jones è il proprietario. Le condizioni di lavoro degli animali sono precarie: razioni di cibo scarse, riposo quasi inesistente, non un giorno di ferie, neppure un sindacato di mucche da latte o di papere, cosicché il vecchio maiale Major ordisce un complotto. Promette un mondo migliore, senza sfruttamento, che passa per la fine della dominazione umana.

“Qual è, dunque, compagni, la natura della nostra esistenza? Guardiamo le cose in faccia: abbiamo una vita di lavoro, una vita di miseria, una vita troppo breve. Una volta al mondo, ci è dato di che sopravvivere e quelli che hanno la forza necessaria sono costretti al lavoro finché rendono l’anima. (…)

Compagni, non è chiaro come l’acqua di roccia? Tutti i mali della nostra vita sono dovuti all’uomo, nostro tiranno. Sbarazziamoci dell’uomo e nostro sarà il prodotto del nostro lavoro. E, dall’oggi al domani, potremmo divenire liberi e ricchi.” 

Dopo il suo discorso Major muore e, un 21 giugno, scoppia la rivoluzione.

Mr Jones e i suoi operai vengono messi in fuga da tutta la bassa corte, aiutati dalle mucche, i vitelli, i cavalli, gli asini e i tacchini.

Un triunvirato composto da tre giovani maiali – Napoleon, Snowball e Squealer – si impadronisce del potere.

I tre maiali proclamano l’animalismo ideologia ufficiale.

Sette comandamenti sono allora stesi sulla parete del garage, alla vista di tutti gli animali:

Qualunque cosa cammini su due zampe è un nemico.

Qualunque cosa cammini su quattro zampe o abbia le ali è un amico.

Nessun animale deve indossare vestiti.

Nessun animale deve dormire in un letto.

Nessun animale deve bere alcol.

Nessun animale deve uccidere un altro animale.

Tutti gli animali sono eguali.

Un certo numero di animali si dimostra esecutore zelante del nuovo regime: Boxer, un cavallo molto forte e muscoloso e Clover, una cavalla, incapace di leggere, che crede ai propositi di cambiamento di Squealer, sulla parola. Per sviluppare,in maniera intensiva, la produzione della fattoria, Snowball vuole costruire un mulino, ma Napoleon è di avviso contrario e ritiene che vi siano altre priorità. Aiutato da una muta di cani, che ha, appositamente, addestrato, Napoleon si libera di Snowball. Napoleon diviene, dunque, il solo padrone della fattoria degli animali e riprende l’idea del mulino che è, infine, costruito. Napoleon se ne prende il merito e Squealer si incarica di richiamare all’ordine tutti coloro che osino avanzare che Napoleon fosse stato contrario al progetto, al tempo di Snowball.

Tutti gli animali, più ingenui dei maiali, si convincono che la memoria deve, forse, fare loro difetto e che Napoleon è, in effetti, l’ideatore del mulino.   

Il mulino, distrutto più volte è, ogni volta, ricostruito da Boxer, che, infine, muore per lo sfinimento.

Tutti i mali della fattoria sono imputati a questo “uomo” di Snowball. Alcuni animali confessano, dopo un interrogatorio segreto, condotto dai maiali, di aver preso parte a un complotto di Snowball e sono, dunque, giustiziati da Napoleon.

Al fine di combattere questi nemici interni, i maiali si arrogano sempre più privilegi: sopprimono, in particolare, il libero dibattito della domenica.

A poco a poco, senza che nessun animale se ne accorga, un certo numero di comandamenti viene modificato:

Qualunque cosa cammini su due zampe è un nemico.

Qualunque cosa cammini su quattro zampe o abbia le ali è un amico.

Nessun animale deve indossare vestiti.

Nessun animale deve dormire in un letto con le lenzuola.

Nessun animale deve bere alcol in eccesso.

Nessun animale deve uccidere un altro animale senza motivo.

che, infine, si ridurrà a un solo comandamento:

Tutti gli animali sono eguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.

Squealer batte e ribatte che tutti quelli che pensano che i principi fondamentali siano cambiati, si sbagliano: sono sempre stati quelli. E, sempre, in caso di dubbio o di agitazione, le pecore sono là per troncare ogni discussione, cantando:

“Quattro zampe sì! Due zampe no! Quattro zampe sì! Due zampe no!”,

sotto gli occhi dei maiali, che, ora, indossano sempre più spesso degli abiti.

Infine, le relazioni si normalizzano tra maiali e umani, a tal punto che questi ultimi vengono a felicitarsi con i maiali. Gli umani confessano loro, infatti, che mai si sono tanto sfruttati gli animali come in questa fattoria diretta da maiali. Intanto i maiali, divenuti obesi, si ergono sulle due zampe, ma le pecore sono sempre là per cantare in coro il loro inno (che non si dica mai che sia cambiato!):

“Quattro zampe buono! Due Zampe meglio! Quattro zampe buono! Due zampe meglio!”

Il libro si chiude con la constatazione che i maiali non sono migliori degli umani e che nulla cambierà in quel basso mondo. Questa constatazione porta in sé una lezione: il fenomeno sociale si oppone, radicalmente, all’eguaglianza, perché genera la divisione del lavoro e delle conoscenze, crea delle gerarchie naturali.

Come si può, dunque, evitare che da un violento sovvertimento insorgano ingiustizie peggiori o, almeno, altrettanto gravi di quelle deplorate in precedenza?

Non certo semplicemente sostituendo gli individui che stavano al posto di comando o fondando leggi nuove in appoggio di una inesistente eguaglianza, subito smentita dalle differenze che esistono in natura. L’eguaglianza si può difendere legittimamente soltanto sul piano dello spirito e, qualora se ne neghi la realtà, quella si riduce a una vana impalcatura che per non crollare sotto i colpi della realtà deve incessantemente ricostruirsi, a ogni passo, smentendo se stessa. Vediamo, infatti, come, uno dopo l’altro, i comandamenti sui quali era stata organizzata la fattoria degli animali vengano segretamente alterati, rimanendo, tuttavia, apparentemente intatti.

Ed ecco l’ingiustizia, che scacciata dalla porta, rientra in trionfo dalla finestra, paludata nel manto della ipocrisia!

Così quando si sentono i nostri politici e i loro cani da guardia mediatici magnificare la realizzazione dell’eguaglianza delle condizioni, si vede bene dove vogliono arrivare: al potere assoluto e all’asservimento di tutti.




Daniela Zini
Copyright © 10 febbraio 2014 ADZ




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