“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

lunedì 17 febbraio 2014

MONSANTO II. Monsanto in India, dal cotone transgenico all’ondata suicida di Daniela Zini



DA UTILIZZARE AMPIAMENTE

DA DIFFONDERE LARGAMENTE

 “Sulla terra vi è abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti, 
ma non per l’ingordigia di pochi.”


Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948)



al piccolo Satish e ai nostri ragazzi, nostro avvenire  

Noi diciamo molto spesso che l’avvenire è nelle mani dei nostri ragazzi. Ma, nell’attesa che divengano grandi, è nelle mani degli adulti che riposa la responsabilità di proteggerli, tutelarli e aiutarli a schiudersi perché possano, a loro volta, contribuire a fare evolvere la nostra società. 
Daniela




In India, dal 1991, circa 20 milioni di contadini hanno lasciato la campagna per andare a riempire le bidonvilles delle grandi metropoli. Ma questo dato agghiacciante non è nulla al confronto dell’incontrollabile ondata di suicidi, che devasta l’ambiente rurale, toccato dal disastro del cotone BT.

250mila agricoltori indiani si sono suicidati, negli ultimi sedici anni, come dire, in media, un suicidio ogni mezz’ora. Le vedove si sono unite in una associazione e reclamano il divieto delle sementi. Accusano la MONSANTO di profittare della ingenuità e della mancanza di istruzione della massa dei coltivatori.

Il settore agricolo indiano è divenuto più vulnerabile ai mercati mondiali a causa della liberalizzazione dell’economia. Le riforme, nel Paese, hanno incluso la soppressione delle sovvenzioni agricole e l’apertura dell’agricoltura indiana al mercato mondiale. Queste riforme hanno aumentato i costi, riducendo le rese e i profitti di molti agricoltori.

Di conseguenza, i piccoli produttori sono, sovente, presi in un ciclo infernale di debiti insormontabili, che induce molti a mettere fine ai propri giorni, per semplice disperazione. Il tasso di suicidi più elevato è quello dei coltivatori del cotone. Come per altre colture, l’industria del cotone è, sempre, più dominata dalle multinazionali straniere, che tendono a promuovere le colture di cotone geneticamente modificate e controllano, sovente, il costo, la qualità e la quantità dei semi disponibili.

Dal 2004, il Partito del Congresso è al potere. È stato eletto, poi, rieletto, grazie ai voti dei contadini. Ma evidentemente, la lobby agroindustriale è più forte di un bulletin de vote.



Lo scorso 11 agosto, la India’s National Biodiversity Authority (NBA) annunciava di avere avviato un’azione giudiziaria contro l’impresa americana MONSANTO “per aver sfruttato e utilizzato varietà locali di melanzana senza la preventiva autorizzazione delle autorità competenti”.

È la prima volta, in India, che una società viene perseguita per atti di “biopirateria”(1), una infrazione passibile di tre anni di carcere.

Sei anni fa, esattamente il 18 luglio 2005, mentre tutti gli occhi erano puntati sull'accordo nucleare, negoziato tra Washington e New Delhi, il Primo Ministro indiano Manmohan Singh e il Presidente americano George W. Bush, ne concludevano un altro, le cui conseguenze mondiali sarebbero state, potenzialmente, altrettanto importanti: un’iniziativa conoscitiva USA-India sull’agricoltura per la promozione dell’insegnamento, della ricerca, dei servizi e dei legami commerciali.

In tali condizioni diviene molto difficile individuare la linea di demarcazione tra interessi privati e interessi pubblici.

L’Aral Sea Basin Programme II (ABSP II) prevedeva l’immissione sul mercato della melanzana BT, nel 2007.

La melanzana BT è l’esempio perfetto del modello di partenariato pubblico-privato. Il progetto parte dal Governo americano, attraverso un programma finanziato dall’United States Agency for International Development (USAID) e condotto dall’Università di Cornell, chiamato Programma di Sostegno alla Biotecnologia in Agricoltura o ANSP II. Tra i partners si trova la MONSANTO, il suo avatar indiano, MAHYCO – che avrebbe fornito ai partners del progetto le licenze dei geni BT brevettati dalla MONSANTO –, il Tamil Nadu Agricoltural University (TNAU), l’University of Agricultural Sciences (UAS) di Dharwad e l’Indian Institute of Vegetable Research (IIVR) di Varasani. Il progetto include anche il Bangladesh, dove il Bangladesh Agricultural Research Institute (BARI) e l’University of Philippines Las Baños (UPLB) hanno condotto esperimenti nel quadro di protocolli di accordo (MOU) con MAHYCO.

L’USAID è “un organismo governativo federale indipendente che riceve l’insieme delle sue direttive in materia di politica estera dal Segretario di Stato”. La promozione degli OGM fa, ufficialmente, parte delle sue attribuzioni, uno dei suoi ruoli è di “integrare gli OGM nei sistemi alimentari locali”, affidando il compito ai giganti dell'agroalimentare e alle loro filiali.

Una decina di varietà esistenti nelle regioni del Karnataka e del Tamil Nadu, tra le 2.500 che conta il Paese, sono state utilizzate per mettere a punto questa prima melanzana geneticamente modificata, destinata a essere commercializzata in India. Contrariamente a quanto esige la legge sulla biodiversità, votata nel 2002, nessuna autorizzazione era stata avanzata per utilizzare le varietà locali. Gli agricoltori, in particolare, avrebbero dovuto essere consultati per una eventuale partecipazione agli utili derivanti dalla commercializzazione della melanzana, secondo quanto prevede il protocollo internazionale di Nagoya, adottato in occasione della Conferenza Mondiale sulla Biodiversità, nell'ottobre del 2010, che sancisce il principio dell'accesso e della ripartizione dei benefici (Access and Benefits-Sharing, ABS) per l'utilizzo delle risorse genetiche.



“La MONSANTO era perfettamente al corrente della legislazione e l’ha deliberatamente infranta.”,



sostiene Leo Saldanha, direttore dell’Environnement Support Group (ESG), che si è rivolto all’India’s National Biodiversity Authority (NBA) per dirimere questo caso di biopirateria.

Secondo il settimanale India Today, la MONSANTO avrebbe respinto ogni responsabilità, accusando i suoi partners indiani di non aver chiesto le autorizzazioni necessarie.

La MAHYCO, di cui la MONSANTO detiene il 26% delle quote, sostiene che la melanzana transgenica sia stata sviluppata dall’University of Agricultural Sciences (UAS) di Dharwad e che la società si sarebbe limitata a fornire il gene di trasformazione.

La melanzana, molto presente nel vasto panorama alimentare indiano, è, anche, oggetto di offerta votiva, in India. Nel tempio di Udupi (Karnataka), nel Sud del Paese, i fedeli di Krishna si sono, fortemente, opposti alla commercializzazione della melanzana BT, per timore di incorrere nella collera della loro divinità, offrendole ortaggi impuri.

L’accusa di biopirateria è un ulteriore colpo duro per la MONSANTO e rischia di frenare lo sviluppo delle sue attività in India.



 manifestazione popolare a Bangalore contro la melanzana BT e gli OMG



Nel febbraio del 2010, mentre la questione del mais MON 810 tornava davanti alla Commissione Europea, il Ministro indiano dell’Ambiente, Jairam Ramesh, contro ogni aspettativa – il 16 ottobre 2009, il Genetic Engineering Approval Committee (GEAC) aveva emesso un parere favorevole alla commercializzazione della melanzana BT – decretava una moratoria (prorogata a tutto il 2011) sulla commercializzazione delle melanzane geneticamente modificate.

Nel suo comunicato stampa del 9 febbraio 2010, Ramesh parla di trasparenza, di riflessione e, soprattutto, di prudenza nelle scelte da fare:



“Quando non vi è chiaro consenso nella stessa comunità scientifica, esiste una forte opposizione in seno ai Governi dei diversi Stati, i responsabili della società civile pongono sempre più domande serie senza ricevere risposte soddisfacenti, l’opinione pubblica rifiuta la melanzana BT (…) e non vi è alcuna urgenza nell’immetterla sul mercato, è mio dovere adottare il principio di precauzione e imporre una moratoria.”



Una decisione che non rattristava, certo, l’ex-direttore generale delle operazioni in India per la MONSANTO, l’ottantaquattrenne Tiruvadi Jagadisan, che ha accusato la società di aver sottoposto “dati scientifici falsificati” agli organi governativi per ottenere le autorizzazioni di commercializzazione dei suoi prodotti sul territorio indiano.

L’India, che conta il 7,8% delle specie animali e vegetali del pianeta su solo il 2, 5% delle terre emerse, è molto esposta ai rischi di biopirateria. L’attenzione  è, particolarmente, alta da quando, nel 1997, gli agricoltori del Nord del Paese protestarono, violentemente, contro la società americana RiceTec per aver brevettato, con la denominazione “Kasmati”, una varietà di riso Basmati prodotta negli Stati Uniti. Nel maggio del 2001, l’Ufficio Brevetti americano respingeva l’istanza della RiceTech; se l’avesse accolta, la concessione del brevetto statunitense avrebbe significato non solo la fine delle esportazioni di riso indiano verso l’America, ma anche l’obbligo da parte dei coltivatori indiani di pagare i diritti di proprietà intellettuale su una delle loro colture ancestrali.

La moratoria rappresenta, dunque, una vittoria della società civile indiana. Ma questo non significa che il Paese volterà le spalle agli OGM alimentari.

Solo la coltura del cotone geneticamente modificato è, attualmente, autorizzata in India e ha portato la Nazione al rango di secondo produttore mondiale, davanti agli Stati Uniti e subito dopo la Cina.

Ma queste nuove sementi, costose, sono accusate di danneggiare i produttori più fragili.

Uno studio condotto sulle colture di cotone BT, nello Stato del Gujarat, nell’Ovest dell’India, rivelava che queste colture non resistevano più agli attacchi del verme della capsula del cotone contro il quale il cotone BT era stato, inizialmente, concepito.

La MONSANTO aveva sostenuto fino ad allora che “non vi erano mai stati casi di calo di rese delle colture di cotone o dei cereali BT attribuibili alla resistenza di un insetto.”

Era cosa fatta!

Tra il 60% e il 75% della popolazione indiana, che conta più di un miliardo di abitanti, vive di agricoltura, che rappresenta un quarto del PIL indiano.

Il miracolo tecnologico del cotone geneticamente modificato, in India, non vi è stato.

Vi è stato, al contrario, un vero disastro che si è dipanato in meno di un decennio.

Non ve ne è che uno, alla fin fine, che non abbia creduto al miracolo ed è il verme della capsula del cotone. Lui, ha sviluppato, così rapidamente, una resistenza da chiedersi se sia stato, mai, toccato dal pesticida secreto dalla pianta.

E, infine, il cotone BT non rende più di qualsiasi altro seme di cotone.

Per bloccare il calo inevitabile di resa, si era dovuto, dunque, passare, a un uso massivo di pesticidi, aumentando la fattura di almeno il 30%. 

Senza contare che questa bella pianta ha visto aumentare il suo prezzo incessantemente.

Senza contare, naturalmente, che, come ogni pianta geneticamente modificata, questo grazioso fiore è sterile e, dunque, ogni stagione, bisogna riacquistare le sementi.

Senza contare, infine, che questa dolcezza della natura ama l’acqua e il  nutrimento più del cotone ordinario: la terra si impoverisce e si dissecca e il mantenimento delle rese passa per l’arricchimento artificiale e l’irrigazione... tutto ciò costa caro e l’acqua è una derrata fragile, soprattutto se il cielo “si mette di mezzo”.

Ed è ciò che è accaduto, nel 2009, con una stagione del monsone la più debole da trentasette anni.

In mancanza di acqua in quantità sufficiente, le rese sono calate irrimediabilmente. I contadini, già molto indebitati, non hanno, dunque, guadagnato denaro, nel 2009, in un Paese che vantava, in quel momento, una crescita del 7% (è la decima potenza economica mondiale).

Non vi è alcun dubbio che il cotone BT sia stato un successo commerciale per la MONSANTO.

Ma, tecnicamente, è stato un échec completo.

E umanamente, il risultato è stato un vero dramma.

Nel 2009, un suicidio collettivo ha coinvolto 1.500 persone, che, senza alcuna via di uscita di fronte al fallimento completo che li toccava, non avevano più la forza di battersi e decidevano insieme di darsi la morte. Questa ondata di suicidi toccava, più particolarmente, tre regioni del Sud dell’India, la Maharashtra, il Kamataka et l’Andhra Pradesh.

Insediatasi in India, dal 1949, la MONSANTO rappresenta uno dei primi fornitori di prodotti fitosanitari, diserbanti e, soprattutto, pesticidi, che costituiscono un mercato importante, perché il cotone è, particolarmente, vulnerabile a una miriade di distruttori, quali il verme della capsula del cotone, l’antonomio, la cocciniglia, il ragno rosso, il bruco spinoso e il pidocchio.

Con l’avvento della “rivoluzione verde”, nella metà degli anni 1960, l’India aveva incoraggiato la monocoltura intensiva del cotone con varietà ibride di alto rendimento, che esigevano il ricorso a fertilizzanti chimici e l’uso massivo di pesticidi. E, l’uso intensivo di pesticidi aveva indotto un fenomeno ben conosciuto agli entomologi: lo sviluppo di forme di resistenza negli insetti ai prodotti impiegati per distruggerli. Risultato: per combattere i parassiti, i contadini avevano dovuto rincarare le dosi e ricorrere a molecole sempre più tossiche. Ed è a tal punto vero che, in India, dove la coltura del cotone non rappresenta che il 5% delle terre coltivate, questa conta, da sola, il 55% dei pesticidi utilizzati. Questo più ragguardevole ricorso ai prodotti chimici aveva aumentato i costi di produzione e costretto i contadini a indebitarsi sempre più. 

Dalla metà degli anni 1980, l’India ha accettato di aprire, totalmente, il suo mercato, in contropartita all’aiuto del Fondo Monetario Internazionale. Il mondo rurale, che rappresenta i 2/3 della popolazione, è, allora, divenuto un vasto laboratorio di sperimentazione in campo agricolo. Da allora, i contadini si sono consegnati mani e piedi ai piazzisti di sementi magiche: le rese dovevano essere eccezionali e gli insetti e i parassiti ordinati nei cassetti della storia.

Ma per toccare il Graal, si doveva sborsare per la stessa quantità di sementi fino a dieci volte di più.

Il prezzo della gloria.

E i contadini si sono fortemente indebitati.

Senonché le sementi di cotone BT si sono ammalate, infestate dal vorace verme della capsula del cotone.

Le società si erano, proprio, dimenticate di precisare che le piante non erano resistenti alle malattie locali e che si dovevano, dunque, spargere tonnellate di pesticidi in più.

Avevano, anche, omesso di indicare che le varietà in questione bevevano il doppio di acqua e danneggiavano il suolo molto velocemente.

Gli agricoltori si sono ritrovati a secco, paralizzati dai loro debiti e senza soldi per acquistare le sementi per l’anno seguente, perché le piante OGM – dotate di una tecnologia rivoluzionaria, affettuosamente, chiamata Terminator – sono state ideate perché i semi non possano ripiantarsi.

Di qui nuovi debiti... 

A questo si deve aggiungere la caduta dei corsi del cotone, negli anni 1990, che era passato da 98, 2 dollari a tonnellata, nel 1995, a 49,1, nel 2001, in particolare a causa della politica di sovvenzione americana (2). Questo calo dei corsi aveva finito per mettere in ginocchio i contadini, già indebitati, e innescato la prima ondata di suicidi, alla fine degli anni 1990.  

Oggi, l’introduzione di sementi geneticamente modificate è considerata come una seconda “rivoluzione verde” o “rivoluzione genetica” dagli osservatori indiani.

I negoziati per le licenze di utilizzazione della tecnologia BT tra la MONSANTO e la Maharashtra Hybrid Seeds Co. Ltd (MAHYCO) risalgono al 1993.

Con l’accordo del governo, la prima varietà di cotone BT – la US Cocker-312 – fu importata in India, nel 1996, e incrociata con le migliori varietà indiane, mediante back-cross, per produrre varietà di cotone BT, contenenti il gene Cry1Ac, adattate localmente.

Nell’aprile del 1998, la società di Saint-Louis acquistava il 26% delle quote della MAHYCO e creava con la sua partner indiana una fifty-fifty joint venture, la MAHYCO MONSANTO BIOTECH (MMB), destinata alla commercializzazione delle future sementi transgeniche di cotone. Contemporaneamente, il governo indiano autorizzava la multinazionale a condurre i primi esperimenti in campo di cotone BT.



“Questa decisione è stata presa fuori di ogni quadro legale.”,

denuncia Vandana Shiva, che ha ricevuto, nel 1993, il Right Livelihood  Award, per il suo impegno in favore dell’ecologia e contro l’influenza delle multinazionali agrochimiche nell’agricoltura indiana.



“Nel 1999,”,



spiega,



“la mia organizzazione (2) ha depositato un ricorso presso la Corte Suprema per denunciare l’illegalità degli esperimenti realizzati da MAHYCO MONSANTO. Nel luglio del 2000, allorché la nostra richiesta non era stata, ancora, esaminata, questi esperimenti sono stati autorizzati su più vasta scala, vale a dire su una quarantina di siti, ripartiti in sei Stati, ma i risultati non sono mai stati comunicati, perché ci è stato detto che erano confidenziali. Il Genetic Engineering Approval Committee (GEAC) aveva domandato che fosse testata la sicurezza alimentare dei semi di cotone BT, utilizzati come foraggio per mucche e bufali, e che possono, dunque, alterare la qualità del latte, come quella dell’olio di cotone, che serve alla consumazione umana, ma questo non è, mai, stato fatto. In pochi anni, la MONSANTO ha realizzato un vero hold-up sul cotone indiano, con la complicità delle autorità governative, che hanno aperto la porta agli OGM, incuranti del principio di precauzione che l’India aveva, pur sempre, difeso.”



Il 20 febbraio 2002, l’India autorizza la piantagione di sementi di cotone modificate. La semente miracolo si chiama cotone BT ed è prodotta dalla MONSANTO. Seppure più costoso del seme classico, il cotone BT ha di che sedurre: la MONSANTO promette niente di meno che il triplo delle rese. Se si economizza sull’insetticida, l’investimento importante di partenza sarà recuperato e anche superato senza preoccupazione. Di qui, gli agricoltori indiani investono al massimo, si indebitano, se occorre, e in qualche anno, è il 90% delle superfici cotoniere del Paese a essere coperto di cotone magico.

Nel 2006, il Ministero dell’Agricoltura indiano dà l’allarme: la metà delle famiglie contadine è indebitata.

Questa pianta simbolica del mondo agricolo indiano è coltivata da più di 5mila anni e dà di che vivere a più di 17 milioni di famiglie, principalmente, negli Stati del Sud, Maharashtra, Gujerat, Tamil Nadu e Andhra Pradesh.

Nell’ottobre del 2008, un rapporto pubblicato dall’International Food Policy Research Institute (IFPRI), aveva fornito la prova che la causa del suicidio degli agricoltori, in India, fosse dovuta a diverse cause e che l’immissione del cotone BT sul mercato agricolo indiano non avesse avuto alcuna incidenza significativa su questi casi di suicidio. Questo rapporto tendeva a dimostrare che i suicidi fossero stati anteriori all’introduzione di questo cotone transgenico, nel 2002, e che il tasso di suicidi fosse abbastanza costante dal 1997. Concretamente, l’IFPRI non vedeva alcun legame tra il tasso di suicidio e lo sviluppo di cotone transgenico, mentre queste sementi erano vendute fino a cinque volte il prezzo pagato per il loro equivalente non OGM. Sulla carta, l’International Food Policy Research Institute (IFPRI) è una organizzazione che cerca soluzioni durevoli per eliminare la fame e la povertà nel mondo. L’IFPRI è uno dei quindici centri sostenuti dal Consultative Group on International Agricultural Research (CGIAR), la cui missione è di coordinare i programmi di ricerca agricola internazionale, allo scopo di ridurre la povertà e di assicurare la sicurezza alimentare nei Paesi in via di sviluppo, attraverso la ricerca agricola. Il CGIAR costituisce una alleanza di sessantaquattro membri, Governi, fondazioni private (The Rockfeller Foundation, MONSANTO) e organizzazioni internazionali e regionali. I dubbi sulla credibilità dei rapporti dell’IFRPI, si volgono verso i membri e gli sponsors dell’IFPRI, per i quali gli interessi diretti o indiretti delle multinazionali, quali la MONSANTO, sarebbero relativamente importanti.

Secondo il professor M.D. Nanjundaswamy, presidente del Karnataka Rajya Raitha Sangh (KRRS) (4), tutto sarebbe iniziato da una menzogna della MONSANTO. Il gigante dell’agroalimentare avrebbe cercato di testare la qualità di nuovi semi transgenici del cotone BT nell’ambiente indiano e avrebbe profittato della ingenuità di circa 10mila contadini, millantando un migliore raccolto.

Dopo aver tentato di far ricadere la responsabilità sui contadini indiani per aver mal utilizzato il suo prodotto, la MONSANTO doveva riconoscere l’inefficacia della sua semente. Di fronte allo scandalo e alle pressioni dei diversi movimenti, l’11 marzo 2010, la MONSANTO ammetteva, pubblicamente, che gli insetti avevano sviluppato una resistenza all’insetticida secreto da questa pianta geneticamente modificata e ritirava dal mercato i suoi semi B-Terminator.

Ma, molto prima, Greenpeace aveva, già, denunciato i rischi di resistenza che potevano sviluppare gli insetti. E non solo nei confronti del cotone BT, ma anche nei confronti delle numerose varietà di OGM, quali il mais MON 810.

Ma la MONSANTO aveva la soluzione!

Gli agricoltori dovevano passare alla seconda generazione di cotone BT, Bollguard II.

L’ammissione da parte della MONSANTO dell’inefficacia del cotone transgenico BT rientrava in una strategia di affari?

La società americana è ben disponibile a fornire soluzioni sempre più onerose ai suoi clienti.  

Per tutti coloro che sono morti, per tutti coloro che sono partiti per crepare nel fango delle bidonvilles e per tutti coloro che tentano ancora di sopravvivere, indebitandosi per acquistare un seme dalle rese misere, non cambia nulla.

Nell'ambito del tour asiatico alla conquista di nuovi mercati per i beni prodotti in America, la visita di tre giorni, in India, di Barack Obama, conclusasi l’8 novembre 2010, intendeva, essenzialmente, rafforzare le relazioni commerciali e la cooperazione nell'antiterrorismo tra i due Paesi, (http://www.bbc.co.uk/news/world-south-asia-11711007,

http://www.ibtimes.com/articles/79899/20101108/full-text-obamas-address-to-indian-parliament-on-nov8-2010.htm). Washington ha messo, da tempo, gli OGM, venduti dalla MONSANTO, al centro della sua politica economica estera. In un consesso di uomini di affari indiani e americani, Barack Obama avrebbe dichiarato:



“Gli Stati Uniti vedono l’Asia, particolarmente l’India, come il mercato dell’avvenire.”



Ma non saranno, certo, i maneggi di imprese, quali la MONSANTO, a facilitare il compito al Governo degli Stati Uniti!

In questi ultimi dieci anni, gli scambi commerciali tra India e Stati Uniti si sono triplicati, hanno raggiunto i 36,6 miliardi di dollari, nel 2010. Ma, allo stesso tempo, gli Stati Uniti sono passati dal ruolo di primo partner commerciale dell’India a quello di terzo.

Questa storia non è che un esempio nauseante, rivoltante, straziante.

Questa storia non è che un esempio, tra un numero incommensurabile di tanti altri, del valore che il capitalismo dà alla vita umana, del valore che dà alla salvaguardia e allo sviluppo delle nostre risorse.

Questa storia non è che una chiara illustrazione di come il capitalismo manipoli la natura al solo fine di trarre profitti.

È chiaro che questa semente è stata messa sul mercato senza disporre delle garanzie sufficienti sulla sua efficacia. Quello che contava, innanzitutto, era  venderla, e per questo, la promessa di rese superiori era sufficiente.

Le miserie umane, le devastazioni sulla natura non compromettono, infine, che l’avvenire commerciale del prodotto; ciò che è stato incassato resta nelle casse.

È la logica di un sistema che vive, giorno per giorno, e accumula le sue ricchezze distruggendo sempre più risorse.

Compresa la vita umana.

Non è solo il processo alla MONSANTO che conviene fare, ma quello al capitalismo.

È lui il vero colpevole.




Note:

(1) La biopirateria può essere definita come il modo in cui le multinazionali traggono vantaggio dalle risorse genetiche e dalle conoscenze tradizionali dei Paesi in via di sviluppo.

(2) Le sovvenzioni accordate agli agricoltori americani si elevano a 18 miliardi di dollari, nel 2006 (v. Fawzan Husain, “On India’s farms, a plague of suicide”, New York Times, 19 septembre 2006).

 (3) Il Research Foundation for Science, Technology and Natural Resource Policy è un istituto di ricerca, dedito, dal 1982, ad affrontare le più importanti questioni ecologiche e sociali dei nostri giorni, in stretta collaborazione con le comunità locali ed i movimenti sociali.

(4) Associazione dei Contadini dello Stato del Karnataka.





Copyright © 25 settembre 2011 ADZ

Daniela Zini    

Nessun commento:

Posta un commento