morti misteriose
rimaste impunite…
Quel sottile Fil Rouge
che lega tante
morti misteriose
rimaste impunite…
La realtà è,
spesso, diversa da come ci viene raccontata.
E dovremmo
chiederci:
“Cui prodest? A chi
giova?”
Il caso
Alpi-Hrovatin è una chiave di comprensione all’inchiesta Mani Pulite, la scatola nera della Prima Repubblica, in qualche
modo.
Questo caso
ci riguarda tutti.
A essere
uccisi non sono stati solo due inviati della RAI, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ma anche un modo di fare
politica, una concezione dello Stato e dell’interesse generale.
Attualmente,
il duplice delitto non ha né un colpevole, né un movente, né un mandante.
Solo
depistaggi!
E, quindi, per
comprendere a pieno questa storia, sarà bene valutare le
circostanze, nel contesto dell’epoca.
L’11 marzo
1994 Ilaria Alpi e Miran Hrovatin prendono il volo da Pisa per Mogadiscio.
Cinque giorni dopo, nonostante la partenza del contingente italiano, i due
giornalisti decidono di posticipare il loro ritorno a casa di qualche giorno.
Ma da quel
viaggio, non ritorneranno!
“1.400 miliardi di
lire: che fine ha fatto questa ingente mole di denaro?”, era
questa la domanda che aveva spinto Ilaria Alpi a tornare di nuovo in Somalia,
un Paese che amava. La stessa domanda che aveva posto al sultano di
Bosaaso.
“Stia attenta, signorina. Da noi, chi ha parlato del trasporto di armi, chi
ha detto di aver visto qualcosa, poi è scomparso. In un modo o nell’altro, è
morto.”
era stata la
risposta.
Un sottile Fil Rouge lega il duplice assassinio di Ilaria
Alpi e Miran Hrovatin, che ha inquietanti analogie con il caso Toni-De Palo, ad
altre morti misteriose rimaste impunite.
Le vittime
erano divenute pedine scomode e, per questo motivo, dovevano essere eliminate?
Per muoverci
in questo ginepraio, dove il grigio è il colore predominante, proviamo a ridefinire
i ruoli dei diversi attori.
Non è facile
e neppure sicuro, ma procediamo con ordine!
1.
Libano [Beirut], 2
settembre1980: Graziella De Palo e Italo Toni, giornalisti
Il 22 agosto 1980, poco dopo la
Strage di Bologna, Graziella De Palo e Italo Toni, che, all’epoca della loro scomparsa, avevano,
rispettivamente, 24 e 50 anni, partivano da Roma per raggiungere il Libano,
passando per la Siria. Il viaggio era stato concordato con gli uffici di
rappresentanza dell’OLP in Italia. Il
rientro era previsto per il 15 settembre, ma dei due non si ebbero più notizie
dalla mattina del 2 settembre. Avevano preso alloggio in un albergo della zona occidentale di Beirut,
controllata dai miliziani palestinesi. Il primo settembre si recano
all’ambasciata italiana, comunicando l’intenzione di visitare i campi del FDLP, il gruppo filomarxista guidato da
Nayef Hawatmeh. Sulla vicenda, nel 1984, l’ufficiale del SISMI, Stefano
Giovannone, capo del Centro Sismi di Beirut aveva invocato il segreto di Stato
e Bettino Craxi lo aveva confermato.
Il 28 agosto 2014, è scaduto il termine ultimo stabilito dalla Legge 133
del 2012. Ha scritto il magistrato Giancarlo Armati nella sua richiesta di
rinvio a giudizio per George Habbash, Stefano Giovannone e Damiano
Balestra:
“L’istruttoria finora compiuta avrebbe certamente consentito di fare piena
luce sulla complessa vicenda della scomparsa all’estero dei due giornalisti.”
Ma troppi sono stati gli ostacoli che hanno bloccato la procura di Roma:
“In primo luogo l’atteggiamento completamente negativo delle autorità
libanesi; in secondo luogo le difficoltà frapposte dalle autorità elvetiche; in
terzo luogo la conferma da parte dell’autorità di governo del segreto di Stato
opposto dal Giovannone, […] che ha avuto l’effetto non voluto di coprire anche
le ragioni della condotta dell’ufficiale del SISMI nei confronti dell’OLP.”
2.
Lenzi di Valderice, 28
settembre 1988: Mauro Rostagno, fondatore della comunità Saman per il recupero
di tossicodipendenti
Ai magistrati
di Trapani, un amico di Rostagno, Sergio Di Cori, aveva rivelato:
“Mi confidò di un
traffico d’armi che avveniva attraverso una pista aerea in disuso in provincia
di Trapani. Mi risulta che avesse fatto anche delle riprese con una
telecamera.”
3.
Somalia [Mogadiscio], 9
luglio 1989: Monsignor Salvatore Colombo, vescovo francescano
4.
Cile [Santiago], 31
marzo 1990: Jonathan Moyle, giornalista inglese
Il
giornalista, che indagava su un elicottero, Cardoen
206, venduto in centinaia di esemplari dal Cile all’Iraq, viene ritrovato
impiccato nella stanza 1406 dell’Hotel
Carrera, a Santiago. La tesi del suicidio non convinceva il giudice
istruttore Alejandro Munoz. Nella stanza erano state ritrovate alcune lettere
di Moyle agli amici, con la data del primo aprile. Evidentemente contava di postarle
il giorno dopo. Nello stomaco del giornalista era stata riscontrata una robusta
dose di sonnifero. Parenti e amici sostenevano che Moyle non avesse, mai, fatto
uso di tranquillanti. [https://www.youtube.com/watch?v=gOG_2rlhuB0,
http://articles.latimes.com/1993-04-23/news/mn-26341_1_international-arms,
http://news.bbc.co.uk/2/hi/americas/60769.stm,
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/05/16/un-supercannone-tutto-europeo.html].
5.
Somalia [Mogadiscio], 17/18
giugno 1990: Giuseppe Salvo, biologo
Nel giugno
del 1990, il 42enne dirigente trapanese dell’Istituto Superiore della Sanità è ospite dell’Università Nazionale
di Mogadiscio. Il suo cadavere viene
ritrovato in una delle celle di sicurezza della milizia somala agli ordini di
Siad Barre.
6.
Somalia [Gelib], 8
febbraio 1991: Pietro Turati, francescano
7.
West Virginia
[Martinsburg] USA, 10 agosto 1991: Danny Casolaro, giornalista
Danny
Casolaro indagava su Whitewater,
Mena, BCCI e ADFA e doveva ricevere informazioni che collegavano l’Iran-Contra allo scandalo Inslaw, quando fu rinvenuto nella
vasca da bagno in una camera d’albergo,
in West Virginia, nel pomeriggio del 10 agosto 1991. Su entrambi i polsi
presentava sette tagli molto profondi, che avevano reciso i tendini delle dita,
rendendo impossibile a Casolaro tagliarsi l’altro polso con la mano ormai
inferma. Nonostante questo, il verdetto ufficiale fu suicidio, anche se nessuno
degli amici e dei familiari lo credette, in particolare coloro che furono
testimoni diretti delle numerose minacce di morte che ricevette. Casolaro
lavorava al libro The
Octopus, che, originariamente, aveva intitolato Behold, A Pale Horse, iniziando dalle
indagine sul furto al Dipartimento di Giustizia del software PROMIS della
società Inslaw. PROMIS è un database delle forze
dell’ordine che aveva una caratteristica unica per l’epoca, poteva essere
programmato per accedere automaticamente ad altri database, presentando
all’utente il quadro delle transazioni finanziarie dei sospetti utilizzando più
fonti. Tutto ciò mentre si svolgeva il traffico di armi e droga della CIA con i Contras in Nicaragua. Un’operazione totalmente illegale
e che aveva il proprio centro di contrabbando nell’aeroporto di Mena, Arkansas,
sotto l’allora governatore Bill Clinton. Il manoscritto, o meglio l’unico
manoscritto di quel libro è scomparso. Al suo posto, vicino al corpo, venne
rinvenuto un biglietto che ne motivava il gesto https://www.youtube.com/watch?v=5FVVb5xBeQQ,
https://www.youtube.com/watch?v=8BGOZWJTeCw,
https://www.leggo.it/societa/libri/non_stata_solo_la_mafia_uccidere_falcone_25_anni_dalla_strage_di_capaci_carlo_sarzana_di_sant_ippolito_riaccende_riflettori_sulle_indagini_documenti_inediti-2456340.html].
8.
Somalia, 5 giugno 1993:
23 pakistani uccisi
9.
Somalia [Mogadiscio], 2
luglio 1993: Pasquale Baccaro, Andrea Millevoi e Stefano Paolicchi
L’agguato al Check Point Pasta, che costò la vita ai
3 soldati, sarebbe stato legato, secondo il maresciallo Francesco Aloi, allo
stupro di una donna somala da parte di militari italiani.
10.
Genova, 9 luglio 1993:
Francesco Aloi, paracadutista del Tuscania
Ha scritto
sulla Missione Ibis, cui partecipò
tra il 16 maggio e il 31 luglio 1993. Il 18 agosto 1997, rende pubblico un
presunto agguato fallito nei pressi dell’aeroporto di Mogadiscio. Un componente
della pattuglia, guidata dal maresciallo
Marco Menicucci, rimase ferito. È morto, a 52 anni, per un tumore alla pelle,
causato dall’uranio impoverito, il 30 settembre 2012, nell’Ospedale San Martino
di Genova [https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/16196.pdf,
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/09/06/ecco-perche-accuso-para.html].
11.
Somalia [Mogadiscio], 12 luglio 1993: Dan
Eldon, fotografo, Hos Maina, fotografo, Hansi Krauss, fotografo, e Anthony
Macharia, tecnico del suono
12.
Somalia [Mogadiscio],15 settembre 1993: Giorgio Righetti,
paracadutista, e Rossano Visioli, paracadutista
Secondo la
versione ufficiale, due soldati italiani, Giorgio Righetti, ventenne di Marina
di Carrara, e Rossano Visioli, anch’egli ventenne di Casalmaggiore, venivano “uccisi
da cecchini somali”, la sera del
15 settembre 1993, al porto nuovo di Mogadiscio, [http://www.congedatifolgore.com/it/somalia-193-i-paracadutisti-visioli-e-righetti-uccisi-da-fuoco-amico/,
http://ricerca.gelocal.it/iltirreno/archivio/iltirreno/2006/10/03/LFXPO_LF201.html,
http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/1995/07/14/Esteri/SOMALIA-FIORE-NON-FU-IL-FUOCO-AMICO-A-UCCIDERE-LA-LUINETTI_152100.php,
http://www.africa-express.info/2014/02/11/gli-attacchi-ai-marinai-italiani-mozambico-ragion-di-stato-contro-verita/].
13.
Somalia [Mogadiscio], 29
ottobre 1993: Franco Oliva, collaboratore del Ministero degli Affari Esteri
Il 29 ottobre 1993, Oliva è, gravemente, ferito in circostanze ancora
tutte da chiarire. In ospedale, viene a conoscenza
dell’assassinio di Vincenzo Li Causi. Secondo Oliva, il rientro in Italia di Li Causi sarebbe
stato posticipato di una settimana rispetto al previsto, fatto che al
maresciallo del SISMI causò non poca agitazione.
“Era semplicemente
terrorizzato.”
“Tra l’86 e l’88 sento un connazionale, Guido Garelli, dichiarare
pubblicamente a Mogadiscio di essersi recato fin laggiù per piazzare navi
cariche di scorie nucleari. Circa i traffici di armi, i sospetti, già
esistenti, si confermano quando, nell’ottobre 1989, proveniente dall’Italia e
dopo uno scalo a Tripoli, in Libia, arriva in Somalia la nave 21 Oktoobar II, il fiore all’occhiello
della neocostituita flotta di pescherecci oggi della società italo-somala
Shifco di Omar Said Mugne, un progetto che tra imbarcazioni e varie attrezzature
prevede una spesa complessiva di circa 74 miliardi e mezzo, a carico della
Cooperazione italiana. Ebbene, la nave giunge battendo bandiera somala: ciò
esclude ogni possibilità di controllo, ma si accerta comunque che invece delle
12 celle frigorifere nuove previste, ne arrivano solo 6, usate. Del carico non
si sa nulla.”
14.
Somalia [Balad], 12
novembre 1993: Vincenzo Li Causi, maresciallo del SISMI
Li Causi, responsabile
del Centro Scorpione di Trapani, la base principale di Gladio, in Sicilia, viene ucciso, in circostanze misteriose, pochi
mesi prima dell’agguato, nel quale perderanno la vita i due giornalisti del TG3. Fu colpito, si disse,
accidentalmente, da banditi somali, mentre viaggiava su un mezzo dell’esercito.
Aveva partecipato alla liberazione del generale James Lee Dozier, rapito dalle BR e, su ordine di Bettino Craxi,
organizzò i servizi di protezione per il presidente peruviano socialdemocratico
Alan Garcia. A Trapani, dal 1988 al 1990, diresse il centro Scorpione della
struttura Gladio. Sulla Gladio in Sicilia aveva, invano, cercato di indagare Giovanni
Falcone, come racconta il magistrato Antonino Caponnetto, nel suo libro, I miei giorni a Palermo. Li Causi venne
inviato a operare in Somalia presso l’Ambasciata, non si sa bene con quali
compiti, e doveva testimoniare al processo per il Centro Scorpione.
16.
Capo Ferrato, 2 marzo
1994: Gianfranco Deriu e Fabrizio Sedda
La sera del 2
marzo 1994, un elicottero della Guardia di Finanza svanisce nel nulla nel cielo
di Capo Ferrato, nella Sardegna Sud Orientale. A bordo dell’A-109 delle Fiamme Gialle, nome in
codice “Volpe 132”, due sottufficiali: un veterano del volo, il maresciallo
Gianfranco Deriu di Cuglieri e un giovane brigadiere di Ottana, Fabrizio Sedda.
Due giorni dopo l’avvio delle ricerche, vengono ripescati in mare solo alcuni frammenti
del velivolo. [https://necrologie.lanuovasardegna.gelocal.it/news/19059?refresh_ce].
17.
Somalia [Mogadiscio], 9
febbraio 1995: Marcello Palmisano, operatore del TG2
18.
Livorno, 13 giugno
1995: Marco Mandolini, capo-scorta del generale Bruno Loi in Somalia
Mandolini era
un paracadutista incursore della Folgore, addestratore dei corpi speciali alla
base NATO di Weingarten, in Germania,
e, nel 1992, capo scorta del generale Bruno Loi in Somalia. Mandolini è stato
ucciso il 13 giugno 1995 su una scogliera di Livorno con 40 coltellate e la
testa fracassata da una pietra di 25 chili. Un documento riservato del SISMI proverebbe la collaborazione tra
Li Causi e Mandolini nel trasporto di materiale bellico dal porto di La Spezia
al porto di Trapani, all’aeroporto militare trapanese, alla Somalia. Traffici
sospetti che sarebbero stati filmati, clandestinamente, dal giornalista Mauro
Rostagno, assassinato, il 26 settembre 1988 [https://www.youtube.com/watch?v=YhUxysc-IEY,
https://www.youtube.com/watch?v=X2Y82Btbzos&t=132s,
http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=14&id=31104].
19.
Roma, 16 luglio 1995:
Mario Ferraro, tenente colonnello del SISMI
20.
Somalia, 22 ottobre
1995: Graziella Fumagalli, medico volontario
Subentrata ad
Annalena Tonelli, nel 1994, nella direzione del Centro Antitubercolare della Caritas Italiana, a Merca, viene
assassinata pochi mesi dopo.
21.
Nocera Inferiore, 13
dicembre 1995: Natale De Grazia, capitano di corvetta
22.
Minorca, 22 maggio
1996: Xavier Gautier, giornalista
Il
giornalista del
quotidiano francese Le Figaro viene trovato impiccato nella sua residenza
estiva. Una morte avvolta nel più fitto mistero. Gautier, prima di partire per
le vacanze, aveva lavorato a una lunga inchiesta su un presunto traffico di
organi dalla Bosnia. Sul muro esterno della villa venne
rinvenuta una scritta in italiano:
23. Pakistan
[Peshawar], 27 agosto 1998: Carlos Mavroleon,
operatore
24.
Isole di Capo Verde, 13
maggio 1998: Gaetano Giacomina
Gaetano Giacomina ha
52 anni quando, il 13 maggio del 1998, una gru lo colpisce, uccidendolo. L’incidente
avviene a bordo della nave che Giacomina comandava, nelle Isole di Capo Verde. Il
17 maggio 2001, il padre di Giacomina, Pasqualino, presenta un esposto-denuncia
alla Procura di Oristano, chiedendo formalmente la riesumazione del corpo del
figlio e una indagine necroscopica per accertare la cause della morte.
Giacomina non era un uomo qualunque, era, un superagente segreto. Apparteneva a
quella Gladio delle Centurie, rivelata, per la prima volta, da Nino Arconte,
nome in codice G.71 [http://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2001/09/04/SL401.html,
http://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2005/11/18/SL3PO_SL301.html].
Nel momento
in cui la concentrazione dei media nelle mani di pochi uomini di affari non è
mai stata così alta, i giornalisti devono restare con tutti i mezzi, gli
artigiani della Verità, perché il giornalismo, per me, è artigianato.
È lo spirito
del manifesto sul giornalismo di Albert Camus, che si ritrova nel suo articolo
del 25 novembre 1939, su Le Soir Républicain
di Algeri:
Il est difficile aujourd’hui d’évoquer la
liberté de la presse sans être taxé d’extravagance, accusé d’être Mata-Hari, de
se voir convaincre d’être le neveu de Staline.
Pourtant cette liberté parmi d’autres n’est
qu’un des visages de la liberté tout court et l’on comprendra notre obstination
à la défendre si l’on veut bien admettre qu’il n’y a point d’autre façon de
gagner réellement la guerre.
Certes, toute liberté a ses limites. Encore
faut-il qu’elles soient librement reconnues. Sur les obstacles qui sont
apportés aujourd’hui à la liberté de pensée, nous avons d’ailleurs dit tout ce
que nous avons pu dire et nous dirons encore, et à satiété, tout ce qu’il nous
sera possible de dire. En particulier, nous ne nous étonnerons jamais assez, le
principe de la censure une fois imposé, que la reproduction des textes publiés
en France et visés par les censeurs métropolitains soit interdite au Soir républicain – le journal, publié à
Alger, dont Albert Camus était rédacteur en chef à l’époque – , par
exemple. Le fait qu’à cet égard un journal dépend de l’humeur ou de la
compétence d’un homme démontre mieux qu’autre chose le degré d’inconscience où
nous sommes parvenus.
Un des bons préceptes d’une philosophie digne
de ce nom est de ne jamais se répandre en lamentations inutiles en face d’un
état de fait qui ne peut plus être évité. La question en France n’est plus
aujourd’hui de savoir comment préserver les libertés de la presse. Elle est de
chercher comment, en face de la suppression de ces libertés, un journaliste
peut rester libre. Le problème n’intéresse plus la collectivité. Il concerne
l’individu.
Et justement ce qu’il nous plairait de définir
ici, ce sont les conditions et les moyens par lesquels, au sein même de la
guerre et de ses servitudes, la liberté peut être, non seulement préservée,
mais encore manifestée. Ces moyens sont au nombre de quatre: la lucidité, le
refus, l’ironie et l’obstination. La lucidité suppose la résistance aux
entraînements de la haine et au culte de la fatalité. Dans le monde de notre
expérience, il est certain que tout peut être évité. La guerre elle-même, qui
est un phénomène humain, peut être à tous les moments évitée ou arrêtée par des
moyens humains. Il suffit de connaître l’histoire des dernières années de la
politique européenne pour être certains que la guerre, quelle qu’elle soit, a
des causes évidentes. Cette vue claire des choses exclut la haine aveugle et le
désespoir qui laisse faire. Un journaliste libre, en 1939, ne désespère pas et
lutte pour ce qu’il croit vrai comme si son action pouvait influer sur le cours
des événements. Il ne publie rien qui puisse exciter à la haine ou provoquer le
désespoir. Tout cela est en son pouvoir.
En face de la marée montante de la bêtise, il
est nécessaire également d’opposer quelques refus. Toutes les contraintes du
monde ne feront pas qu’un esprit un peu propre accepte d’être malhonnête. Or,
et pour peu qu’on connaisse le mécanisme des informations, il est facile de
s’assurer de l’authenticité d’une nouvelle. C’est à cela qu’un journaliste
libre doit donner toute son attention. Car, s’il ne peut dire tout ce qu’il
pense, il lui est possible de ne pas dire ce qu’il ne pense pas ou qu’il croit
faux. Et c’est ainsi qu’un journal libre se mesure autant à ce qu’il dit qu’à
ce qu’il ne dit pas. Cette liberté toute négative est, de loin, la plus
importante de toutes, si l’on sait la maintenir. Car elle prépare l’avènement
de la vraie liberté. En conséquence, un journal indépendant donne l’origine de
ses informations, aide le public à les évaluer, répudie le bourrage de crâne,
supprime les invectives, pallie par des commentaires l’uniformisation des
informations et, en bref, sert la vérité dans la mesure humaine de ses forces.
Cette mesure, si relative qu’elle soit, lui permet du moins de refuser ce
qu’aucune force au monde ne pourrait lui faire accepter: servir le mensonge.
Nous en venons ainsi à l’ironie. On peut poser
en principe qu’un esprit qui a le goût et les moyens d’imposer la contrainte
est imperméable à l’ironie. On ne voit pas Hitler, pour ne prendre qu’un
exemple parmi d’autres, utiliser l’ironie socratique. Il reste donc que
l’ironie demeure une arme sans précédent contre les trop puissants. Elle
complète le refus en ce sens qu’elle permet, non plus de rejeter ce qui est
faux, mais de dire souvent ce qui est vrai. Un journaliste libre, en 1939, ne
se fait pas trop d’illusions sur l’intelligence de ceux qui l’oppriment. Il est
pessimiste en ce qui regarde l’homme. Une vérité énoncée sur un ton dogmatique
est censurée neuf fois sur dix. La même vérité dite plaisamment ne l’est que
cinq fois sur dix. Cette disposition figure assez exactement les possibilités de
l’intelligence humaine. Elle explique également que des journaux français
comme Le Merleou Le Canard
enchaîné puissent publier régulièrement les courageux articles que l’on
sait. Un journaliste libre, en 1939, est donc nécessairement ironique, encore
que ce soit souvent à son corps défendant. Mais la vérité et la liberté sont
des maîtresses exigeantes puisqu’elles ont peu d’amants.
Cette attitude d’esprit brièvement définie, il
est évident qu’elle ne saurait se soutenir efficacement sans un minimum
d’obstination. Bien des obstacles sont mis à la liberté d’expression. Ce ne
sont pas les plus sévères qui peuvent décourager un esprit. Car les menaces,
les suspensions, les poursuites obtiennent généralement en France l’effet
contraire à celui qu’on se propose. Mais il faut convenir qu’il est des
obstacles décourageants: la constance dans la sottise, la veulerie organisée,
l’inintelligence agressive, et nous en passons. Là est le grand obstacle dont
il faut triompher. L’obstination est ici vertu cardinale. Par un paradoxe
curieux mais évident, elle se met alors au service de l’objectivité et de la
tolérance.
Voici donc un ensemble de règles pour préserver
la liberté jusqu’au sein de la servitude. Et après?, dira-t-on. Après? Ne
soyons pas trop pressés. Si seulement chaque Français voulait bien maintenir
dans sa sphère tout ce qu’il croit vrai et juste, s’il voulait aider pour sa
faible part au maintien de la liberté, résister à l’abandon et faire connaître
sa volonté, alors et alors seulement cette guerre serait gagnée, au sens
profond du mot.
Oui, c’est souvent à son corps défendant qu’un
esprit libre de ce siècle fait sentir son ironie. Que trouver de plaisant dans
ce monde enflammé? Mais la vertu de l’homme est de se maintenir en face de tout
ce qui le nie. Personne ne veut recommencer dans vingt-cinq ans la double
expérience de 1914 et de 1939. Il faut donc essayer une méthode encore toute
nouvelle qui serait la justice et la générosité. Mais celles-ci ne s’expriment
que dans des coeurs déjà libres et dans les esprits encore clairvoyants. Former
ces coeurs et ces esprits, les réveiller plutôt, c’est la tâche à la fois
modeste et ambitieuse qui revient à l’homme indépendant. Il faut s’y tenir sans
voir plus avant. L’histoire tiendra ou ne tiendra pas compte de ces efforts. Mais ils auront été faits.
Albert Camus
NON
ARCHIVIATE IL CASO ALPI-HROVATIN!
Daniela
Zini