“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

venerdì 24 novembre 2017

Mafia, politica e massoneria: la vera storia del 7Up

martedì 21 novembre 2017

Alan Walker - Never Cry | Video Animation Short

lunedì 20 novembre 2017

NON ARCHIVIATE IL CASO ALPI-HROVATIN: Quel sottile Fil Rouge che lega tante morti misteriose rimaste impunite… di Daniela Zini



Quel sottile Fil Rouge che lega tante
morti misteriose rimaste impunite…



Quel sottile Fil Rouge che lega tante
morti misteriose rimaste impunite…

La realtà è, spesso, diversa da come ci viene raccontata.
E dovremmo chiederci:
“Cui prodest? A chi giova?”
Il caso Alpi-Hrovatin è una chiave di comprensione all’inchiesta Mani Pulite, la scatola nera della Prima Repubblica, in qualche modo.
Questo caso ci riguarda tutti.
A essere uccisi non sono stati solo due inviati della RAI, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ma anche un modo di fare politica, una concezione dello Stato e dell’interesse generale.  
Attualmente, il duplice delitto non ha né un colpevole, né un movente, né un mandante.
Solo depistaggi!
E, quindi, per comprendere a pieno questa storia, sarà bene valutare le circostanze, nel contesto dell’epoca.
L’11 marzo 1994 Ilaria Alpi e Miran Hrovatin prendono il volo da Pisa per Mogadiscio. Cinque giorni dopo, nonostante la partenza del contingente italiano, i due giornalisti decidono di posticipare il loro ritorno a casa di qualche giorno.
Ma da quel viaggio, non ritorneranno!
“1.400 miliardi di lire: che fine ha fatto questa ingente mole di denaro?”, era questa la domanda che aveva spinto Ilaria Alpi a tornare di nuovo in Somalia, un Paese che amava. La stessa domanda che aveva posto al sultano di Bosaaso. 
“Stia attenta, signorina. Da noi, chi ha parlato del trasporto di armi, chi ha detto di aver visto qualcosa, poi è scomparso. In un modo o nell’altro, è morto.”
era stata la risposta.
Un sottile Fil Rouge lega il duplice assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, che ha inquietanti analogie con il caso Toni-De Palo, ad altre morti misteriose rimaste impunite.
Le vittime erano divenute pedine scomode e, per questo motivo, dovevano essere eliminate?
Per muoverci in questo ginepraio, dove il grigio è il colore predominante, proviamo a ridefinire i ruoli dei diversi attori.
Non è facile e neppure sicuro, ma procediamo con ordine!

1.         Libano [Beirut], 2 settembre1980: Graziella De Palo e Italo Toni, giornalisti
Il 22 agosto 1980, poco dopo la Strage di Bologna, Graziella De Palo e Italo Toni, che, all’epoca della loro scomparsa, avevano, rispettivamente, 24 e 50 anni, partivano da Roma per raggiungere il Libano, passando per la Siria. Il viaggio era stato concordato con gli uffici di rappresentanza dell’OLP in Italia. Il rientro era previsto per il 15 settembre, ma dei due non si ebbero più notizie dalla mattina del 2 settembre. Avevano preso alloggio in un albergo della zona occidentale di Beirut, controllata dai miliziani palestinesi. Il primo settembre si recano all’ambasciata italiana, comunicando l’intenzione di visitare i campi del FDLP, il gruppo filomarxista guidato da Nayef Hawatmeh. Sulla vicenda, nel 1984, l’ufficiale del SISMI, Stefano Giovannone, capo del Centro Sismi di Beirut aveva invocato il segreto di Stato e Bettino Craxi lo aveva confermato.
Il 28 agosto 2014, è scaduto il termine ultimo stabilito dalla Legge 133 del 2012. Ha scritto il magistrato Giancarlo Armati nella sua richiesta di rinvio a giudizio per George Habbash, Stefano Giovannone e Damiano Balestra: 
“L’istruttoria finora compiuta avrebbe certamente consentito di fare piena luce sulla complessa vicenda della scomparsa all’estero dei due giornalisti.”
Ma troppi sono stati gli ostacoli che hanno bloccato la procura di Roma:
“In primo luogo l’atteggiamento completamente negativo delle autorità libanesi; in secondo luogo le difficoltà frapposte dalle autorità elvetiche; in terzo luogo la conferma da parte dell’autorità di governo del segreto di Stato opposto dal Giovannone, […] che ha avuto l’effetto non voluto di coprire anche le ragioni della condotta dell’ufficiale del SISMI nei confronti dell’OLP.”

2.          Lenzi di Valderice, 28 settembre 1988: Mauro Rostagno, fondatore della comunità Saman per il recupero di tossicodipendenti
Ai magistrati di Trapani, un amico di Rostagno, Sergio Di Cori, aveva rivelato:
“Mi confidò di un traffico d’armi che avveniva attraverso una pista aerea in disuso in provincia di Trapani. Mi risulta che avesse fatto anche delle riprese con una telecamera.”
Ma la videocassetta non è stata, mai, ritrovata e all’interno della sua auto, dopo l’omicidio, si trovò solo la sua borsa aperta e il contenuto di questa rovesciato sui sedili [http://www.repubblica.it/2006/a/sezioni/cronaca/rostagno/rostagno/rostagno.html, http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/09/27/salvate-le-cassette-di-rostagno.html].

3.         Somalia [Mogadiscio], 9 luglio 1989: Monsignor Salvatore Colombo, vescovo francescano
Monsignor Salvatore Colombo, originario di Carate Brianza, viene assassinato dietro la cattedrale della capitale somala. Un sicario lo sorprese al buio e gli sparò un colpo al cuore. Un delitto perfetto, senza colpevole né movente, su cui nessuno ha mai indagato [https://www.avvenire.it/attualita/pagine/morte-del-vescovo-colombo-troppi-silenzi-sul-suo-omicidio].

4.         Cile [Santiago], 31 marzo 1990: Jonathan Moyle, giornalista inglese
Il giornalista, che indagava su un elicottero, Cardoen 206, venduto in centinaia di esemplari dal Cile all’Iraq, viene ritrovato impiccato nella stanza 1406 dell’Hotel Carrera, a Santiago. La tesi del suicidio non convinceva il giudice istruttore Alejandro Munoz. Nella stanza erano state ritrovate alcune lettere di Moyle agli amici, con la data del primo aprile. Evidentemente contava di postarle il giorno dopo. Nello stomaco del giornalista era stata riscontrata una robusta dose di sonnifero. Parenti e amici sostenevano che Moyle non avesse, mai, fatto uso di tranquillanti. [https://www.youtube.com/watch?v=gOG_2rlhuB0, http://articles.latimes.com/1993-04-23/news/mn-26341_1_international-arms, http://news.bbc.co.uk/2/hi/americas/60769.stm, http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/05/16/un-supercannone-tutto-europeo.html].

5.         Somalia [Mogadiscio], 17/18 giugno 1990: Giuseppe Salvo, biologo
Nel giugno del 1990, il 42enne dirigente trapanese dell’Istituto Superiore della Sanità è ospite dell’Università Nazionale di Mogadiscio.  Il suo cadavere viene ritrovato in una delle celle di sicurezza della milizia somala agli ordini di Siad Barre.

6.         Somalia [Gelib], 8 febbraio 1991: Pietro Turati, francescano

7.         West Virginia [Martinsburg] USA, 10 agosto 1991: Danny Casolaro, giornalista
Danny Casolaro indagava su Whitewater, Mena, BCCI e ADFA e doveva ricevere informazioni che collegavano l’Iran-Contra allo scandalo Inslaw, quando fu rinvenuto nella vasca da bagno in una camera d’albergo, in West Virginia, nel pomeriggio del 10 agosto 1991. Su entrambi i polsi presentava sette tagli molto profondi, che avevano reciso i tendini delle dita, rendendo impossibile a Casolaro tagliarsi l’altro polso con la mano ormai inferma. Nonostante questo, il verdetto ufficiale fu suicidio, anche se nessuno degli amici e dei familiari lo credette, in particolare coloro che furono testimoni diretti delle numerose minacce di morte che ricevette. Casolaro lavorava al libro The Octopus, che, originariamente, aveva intitolato Behold, A Pale Horse, iniziando dalle indagine sul furto al Dipartimento di Giustizia del software PROMIS della società Inslaw. PROMIS è un database delle forze dell’ordine che aveva una caratteristica unica per l’epoca, poteva essere programmato per accedere automaticamente ad altri database, presentando all’utente il quadro delle transazioni finanziarie dei sospetti utilizzando più fonti. Tutto ciò mentre si svolgeva il traffico di armi e droga della CIA con i Contras in Nicaragua. Un’operazione totalmente illegale e che aveva il proprio centro di contrabbando nell’aeroporto di Mena, Arkansas, sotto l’allora governatore Bill Clinton. Il manoscritto, o meglio l’unico manoscritto di quel libro è scomparso. Al suo posto, vicino al corpo, venne rinvenuto un biglietto che ne motivava il gesto https://www.youtube.com/watch?v=5FVVb5xBeQQ, https://www.youtube.com/watch?v=8BGOZWJTeCw, https://www.leggo.it/societa/libri/non_stata_solo_la_mafia_uccidere_falcone_25_anni_dalla_strage_di_capaci_carlo_sarzana_di_sant_ippolito_riaccende_riflettori_sulle_indagini_documenti_inediti-2456340.html].

8.         Somalia, 5 giugno 1993: 23 pakistani uccisi

9.         Somalia [Mogadiscio], 2 luglio 1993: Pasquale Baccaro, Andrea Millevoi e Stefano Paolicchi
L’agguato al Check Point Pasta, che costò la vita ai 3 soldati, sarebbe stato legato, secondo il maresciallo Francesco Aloi, allo stupro di una donna somala da parte di militari italiani.

10.     Genova, 9 luglio 1993: Francesco Aloi, paracadutista del Tuscania
Ha scritto sulla Missione Ibis, cui partecipò tra il 16 maggio e il 31 luglio 1993. Il 18 agosto 1997, rende pubblico un presunto agguato fallito nei pressi dell’aeroporto di Mogadiscio. Un componente della pattuglia,  guidata dal maresciallo Marco Menicucci, rimase ferito. È morto, a 52 anni, per un tumore alla pelle, causato dall’uranio impoverito, il 30 settembre 2012, nell’Ospedale San Martino di Genova [https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/16196.pdf, http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/09/06/ecco-perche-accuso-para.html].

11.      Somalia [Mogadiscio], 12 luglio 1993: Dan Eldon, fotografo, Hos Maina, fotografo, Hansi Krauss, fotografo, e Anthony Macharia, tecnico del suono
In un agguato, a Mogadiscio, vengono trucidati quattro giornalisti: il fotografo dell’Associated Press, Hansi Krauss, i fotografi Dan Eldon e Hos Maina, e il tecnico del suono, Anthony Macharia, che lavoravano per la Reuters [http://www.africa-express.info/2013/07/12/12-luglio-1993-quattro-giornalisti-trucidati-a-mogadiscio-ventanni-dopo-mi-salvai-per-miracolo/].

12.      Somalia [Mogadiscio],15 settembre 1993: Giorgio Righetti, paracadutista, e Rossano Visioli, paracadutista

13.     Somalia [Mogadiscio], 29 ottobre 1993: Franco Oliva, collaboratore del Ministero degli Affari Esteri
Il 29 ottobre 1993, Oliva è, gravemente, ferito in circostanze ancora tutte da chiarire. In ospedale, viene a conoscenza dell’assassinio di Vincenzo Li Causi. Secondo Oliva, il rientro in Italia di Li Causi sarebbe stato posticipato di una settimana rispetto al previsto, fatto che al maresciallo del SISMI causò non poca agitazione.
“Era semplicemente terrorizzato.”
“Tra l’86 e l’88 sento un connazionale, Guido Garelli, dichiarare pubblicamente a Mogadiscio di essersi recato fin laggiù per piazzare navi cariche di scorie nucleari. Circa i traffici di armi, i sospetti, già esistenti, si confermano quando, nell’ottobre 1989, proveniente dall’Italia e dopo uno scalo a Tripoli, in Libia, arriva in Somalia la nave 21 Oktoobar II, il fiore all’occhiello della neocostituita flotta di pescherecci oggi della società italo-somala Shifco di Omar Said Mugne, un progetto che tra imbarcazioni e varie attrezzature prevede una spesa complessiva di circa 74 miliardi e mezzo, a carico della Cooperazione italiana. Ebbene, la nave giunge battendo bandiera somala: ciò esclude ogni possibilità di controllo, ma si accerta comunque che invece delle 12 celle frigorifere nuove previste, ne arrivano solo 6, usate. Del carico non si sa nulla.”
[http://www.stpauls.it/fc98/0898fc/0898fc22.htm, http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/57919.pdf]

14.     Somalia [Balad], 12 novembre 1993: Vincenzo Li Causi, maresciallo del SISMI
Li Causi, responsabile del Centro Scorpione di Trapani, la base principale di Gladio, in Sicilia, viene ucciso, in circostanze misteriose, pochi mesi prima dell’agguato, nel quale perderanno la vita i due giornalisti del TG3. Fu colpito, si disse, accidentalmente, da banditi somali, mentre viaggiava su un mezzo dell’esercito. Aveva partecipato alla liberazione del generale James Lee Dozier, rapito dalle BR e, su ordine di Bettino Craxi, organizzò i servizi di protezione per il presidente peruviano socialdemocratico Alan Garcia. A Trapani, dal 1988 al 1990, diresse il centro Scorpione della struttura Gladio. Sulla Gladio in Sicilia aveva, invano, cercato di indagare Giovanni Falcone, come racconta il magistrato Antonino Caponnetto, nel suo libro, I miei giorni a Palermo. Li Causi venne inviato a operare in Somalia presso l’Ambasciata, non si sa bene con quali compiti, e doveva testimoniare al processo per il Centro Scorpione.

15.     Somalia [Mogadiscio], 9 dicembre 1993: Maria Cristina Luinetti Sottotenente delle infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana, per evitare che un uomo armato, penetrato nell’ambulatorio, potesse colpire altri, si era volontariamente offerta come ostaggio [http://www.africa-express.info/2014/02/11/gli-attacchi-ai-marinai-italiani-mozambico-ragion-di-stato-contro-verita/, http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/12/10/volontaria-mogadiscio-una-vita-solo-per.html].

16.     Capo Ferrato, 2 marzo 1994: Gianfranco Deriu e Fabrizio Sedda
La sera del 2 marzo 1994, un elicottero della Guardia di Finanza svanisce nel nulla nel cielo di Capo Ferrato, nella Sardegna Sud Orientale. A bordo dell’A-109 delle Fiamme Gialle, nome in codice “Volpe 132”, due sottufficiali: un veterano del volo, il maresciallo Gianfranco Deriu di Cuglieri e un giovane brigadiere di Ottana, Fabrizio Sedda. Due giorni dopo l’avvio delle ricerche, vengono ripescati in mare solo alcuni frammenti del velivolo. [https://necrologie.lanuovasardegna.gelocal.it/news/19059?refresh_ce].

17.     Somalia [Mogadiscio], 9 febbraio 1995: Marcello Palmisano, operatore del TG2
Di quell’assassinio di ventidue anni fa, tutto è rimasto oscuro. A meno di un anno dalla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, la vita di un altro giornalista veniva stroncata a Mogadiscio. Con lui si trovava la giornalista Carmel Lasorella, che rimase ferita  [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/02/11/marcello-morto-per-la-guerra.html, http://www.memoriaeimpegno.it/il-ricordo-di-marcello-palmisano/].

18.     Livorno, 13 giugno 1995: Marco Mandolini, capo-scorta del generale Bruno Loi in Somalia
Mandolini era un paracadutista incursore della Folgore, addestratore dei corpi speciali alla base NATO di Weingarten, in Germania, e, nel 1992, capo scorta del generale Bruno Loi in Somalia. Mandolini è stato ucciso il 13 giugno 1995 su una scogliera di Livorno con 40 coltellate e la testa fracassata da una pietra di 25 chili. Un documento riservato del SISMI proverebbe la collaborazione tra Li Causi e Mandolini nel trasporto di materiale bellico dal porto di La Spezia al porto di Trapani, all’aeroporto militare trapanese, alla Somalia. Traffici sospetti che sarebbero stati filmati, clandestinamente, dal giornalista Mauro Rostagno, assassinato, il 26 settembre 1988 [https://www.youtube.com/watch?v=YhUxysc-IEY, https://www.youtube.com/watch?v=X2Y82Btbzos&t=132s, http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=14&id=31104].

19.     Roma, 16 luglio 1995: Mario Ferraro, tenente colonnello del SISMI
Mario Ferraro, alias Fabio Marcelli, muore in circostanze misteriose, poi, ricondotte dalla Procura a un suicidio, il 16 luglio 1995, mentre è in ferie. Il 7 agosto successivo, sarebbe dovuto partire per una missione delicata in Albania [http://www.iltempo.it/cronache/2015/08/19/news/lo-007-che-sapeva-troppo-impiccato-nella-casa-alleur-985479/, http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/11/09/nelle-bobine-dello-007-le-tangenti-al.html].

20.     Somalia, 22 ottobre 1995: Graziella Fumagalli, medico volontario
Subentrata ad Annalena Tonelli, nel 1994, nella direzione del Centro Antitubercolare della Caritas Italiana, a Merca, viene assassinata pochi mesi dopo.

21.     Nocera Inferiore, 13 dicembre 1995: Natale De Grazia, capitano di corvetta
Morto in circostanze sospette, De Grazia era sulle tracce delle navi dei veleni che venivano utilizzate per inabissare sostanze tossiche, per conto della Procura della Repubblica di Reggio Calabria [https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/02/06/navi-dei-veleni-intercettazioni-inedite-dellorganizzazione/490412/].

22.     Minorca, 22 maggio 1996: Xavier Gautier, giornalista
Il giornalista del quotidiano francese Le Figaro viene trovato impiccato nella sua residenza estiva. Una morte avvolta nel più fitto mistero. Gautier, prima di partire per le vacanze, aveva lavorato a una lunga inchiesta su un presunto traffico di organi dalla Bosnia. Sul muro esterno della villa venne rinvenuta una scritta in italiano:

23.     Pakistan [Peshawar],  27 agosto 1998: Carlos Mavroleon, operatore
 L’operatore della TV americana ABC, di origine greca, che filmò i corpi dei giornalisti uccisi,  in missione per il telegiornale della CBS, viene trovato morto in una stanza d’albergo, a Peshawar, in apparente overdose, [http://www.nydailynews.com/archives/gossip/colleague-death-60-mins-action-article-1.820202, http://www.zonedombratv.it/news/1056-quando-giornalisti-e-cameraman-sono-diversi-davanti-alla-morte].

24.     Isole di Capo Verde, 13 maggio 1998: Gaetano Giacomina
Gaetano Giacomina ha 52 anni quando, il 13 maggio del 1998, una gru lo colpisce, uccidendolo. L’incidente avviene a bordo della nave che Giacomina comandava, nelle Isole di Capo Verde. Il 17 maggio 2001, il padre di Giacomina, Pasqualino, presenta un esposto-denuncia alla Procura di Oristano, chiedendo formalmente la riesumazione del corpo del figlio e una indagine necroscopica per accertare la cause della morte. Giacomina non era un uomo qualunque, era, un superagente segreto. Apparteneva a quella Gladio delle Centurie, rivelata, per la prima volta, da Nino Arconte, nome in codice G.71 [http://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2001/09/04/SL401.html, http://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2005/11/18/SL3PO_SL301.html].

A dispetto delle sentenze ambigue pronunciate nei due processi celebratisi in questi anni, il caso Alpi-Hrovatin è davvero chiuso [http://www.stpauls.it/fc00/0016fc/0016fc36.htm]?
Nel momento in cui la concentrazione dei media nelle mani di pochi uomini di affari non è mai stata così alta, i giornalisti devono restare con tutti i mezzi, gli artigiani della Verità, perché il giornalismo, per me, è artigianato. 
È lo spirito del manifesto sul giornalismo di Albert Camus, che si ritrova nel suo articolo del 25 novembre 1939, su Le Soir Républicain di Algeri:

Il est difficile aujourd’hui d’évoquer la liberté de la presse sans être taxé d’extravagance, accusé d’être Mata-Hari, de se voir convaincre d’être le neveu de Staline.
Pourtant cette liberté parmi d’autres n’est qu’un des visages de la liberté tout court et l’on comprendra notre obstination à la défendre si l’on veut bien admettre qu’il n’y a point d’autre façon de gagner réellement la guerre.
Certes, toute liberté a ses limites. Encore faut-il qu’elles soient librement reconnues. Sur les obstacles qui sont apportés aujourd’hui à la liberté de pensée, nous avons d’ailleurs dit tout ce que nous avons pu dire et nous dirons encore, et à satiété, tout ce qu’il nous sera possible de dire. En particulier, nous ne nous étonnerons jamais assez, le principe de la censure une fois imposé, que la reproduction des textes publiés en France et visés par les censeurs métropolitains soit interdite au Soir républicain – le journal, publié à Alger, dont Albert Camus était rédacteur en chef à l’époque – , par exemple. Le fait qu’à cet égard un journal dépend de l’humeur ou de la compétence d’un homme démontre mieux qu’autre chose le degré d’inconscience où nous sommes parvenus.
Un des bons préceptes d’une philosophie digne de ce nom est de ne jamais se répandre en lamentations inutiles en face d’un état de fait qui ne peut plus être évité. La question en France n’est plus aujourd’hui de savoir comment préserver les libertés de la presse. Elle est de chercher comment, en face de la suppression de ces libertés, un journaliste peut rester libre. Le problème n’intéresse plus la collectivité. Il concerne l’individu.
Et justement ce qu’il nous plairait de définir ici, ce sont les conditions et les moyens par lesquels, au sein même de la guerre et de ses servitudes, la liberté peut être, non seulement préservée, mais encore manifestée. Ces moyens sont au nombre de quatre: la lucidité, le refus, l’ironie et l’obstination. La lucidité suppose la résistance aux entraînements de la haine et au culte de la fatalité. Dans le monde de notre expérience, il est certain que tout peut être évité. La guerre elle-même, qui est un phénomène humain, peut être à tous les moments évitée ou arrêtée par des moyens humains. Il suffit de connaître l’histoire des dernières années de la politique européenne pour être certains que la guerre, quelle qu’elle soit, a des causes évidentes. Cette vue claire des choses exclut la haine aveugle et le désespoir qui laisse faire. Un journaliste libre, en 1939, ne désespère pas et lutte pour ce qu’il croit vrai comme si son action pouvait influer sur le cours des événements. Il ne publie rien qui puisse exciter à la haine ou provoquer le désespoir. Tout cela est en son pouvoir.
En face de la marée montante de la bêtise, il est nécessaire également d’opposer quelques refus. Toutes les contraintes du monde ne feront pas qu’un esprit un peu propre accepte d’être malhonnête. Or, et pour peu qu’on connaisse le mécanisme des informations, il est facile de s’assurer de l’authenticité d’une nouvelle. C’est à cela qu’un journaliste libre doit donner toute son attention. Car, s’il ne peut dire tout ce qu’il pense, il lui est possible de ne pas dire ce qu’il ne pense pas ou qu’il croit faux. Et c’est ainsi qu’un journal libre se mesure autant à ce qu’il dit qu’à ce qu’il ne dit pas. Cette liberté toute négative est, de loin, la plus importante de toutes, si l’on sait la maintenir. Car elle prépare l’avènement de la vraie liberté. En conséquence, un journal indépendant donne l’origine de ses informations, aide le public à les évaluer, répudie le bourrage de crâne, supprime les invectives, pallie par des commentaires l’uniformisation des informations et, en bref, sert la vérité dans la mesure humaine de ses forces. Cette mesure, si relative qu’elle soit, lui permet du moins de refuser ce qu’aucune force au monde ne pourrait lui faire accepter: servir le mensonge.
Nous en venons ainsi à l’ironie. On peut poser en principe qu’un esprit qui a le goût et les moyens d’imposer la contrainte est imperméable à l’ironie. On ne voit pas Hitler, pour ne prendre qu’un exemple parmi d’autres, utiliser l’ironie socratique. Il reste donc que l’ironie demeure une arme sans précédent contre les trop puissants. Elle complète le refus en ce sens qu’elle permet, non plus de rejeter ce qui est faux, mais de dire souvent ce qui est vrai. Un journaliste libre, en 1939, ne se fait pas trop d’illusions sur l’intelligence de ceux qui l’oppriment. Il est pessimiste en ce qui regarde l’homme. Une vérité énoncée sur un ton dogmatique est censurée neuf fois sur dix. La même vérité dite plaisamment ne l’est que cinq fois sur dix. Cette disposition figure assez exactement les possibilités de l’intelligence humaine. Elle explique également que des journaux français comme Le Merleou Le Canard enchaîné puissent publier régulièrement les courageux articles que l’on sait. Un journaliste libre, en 1939, est donc nécessairement ironique, encore que ce soit souvent à son corps défendant. Mais la vérité et la liberté sont des maîtresses exigeantes puisqu’elles ont peu d’amants.
Cette attitude d’esprit brièvement définie, il est évident qu’elle ne saurait se soutenir efficacement sans un minimum d’obstination. Bien des obstacles sont mis à la liberté d’expression. Ce ne sont pas les plus sévères qui peuvent décourager un esprit. Car les menaces, les suspensions, les poursuites obtiennent généralement en France l’effet contraire à celui qu’on se propose. Mais il faut convenir qu’il est des obstacles décourageants: la constance dans la sottise, la veulerie organisée, l’inintelligence agressive, et nous en passons. Là est le grand obstacle dont il faut triompher. L’obstination est ici vertu cardinale. Par un paradoxe curieux mais évident, elle se met alors au service de l’objectivité et de la tolérance.
Voici donc un ensemble de règles pour préserver la liberté jusqu’au sein de la servitude. Et après?, dira-t-on. Après? Ne soyons pas trop pressés. Si seulement chaque Français voulait bien maintenir dans sa sphère tout ce qu’il croit vrai et juste, s’il voulait aider pour sa faible part au maintien de la liberté, résister à l’abandon et faire connaître sa volonté, alors et alors seulement cette guerre serait gagnée, au sens profond du mot.
Oui, c’est souvent à son corps défendant qu’un esprit libre de ce siècle fait sentir son ironie. Que trouver de plaisant dans ce monde enflammé? Mais la vertu de l’homme est de se maintenir en face de tout ce qui le nie. Personne ne veut recommencer dans vingt-cinq ans la double expérience de 1914 et de 1939. Il faut donc essayer une méthode encore toute nouvelle qui serait la justice et la générosité. Mais celles-ci ne s’expriment que dans des coeurs déjà libres et dans les esprits encore clairvoyants. Former ces coeurs et ces esprits, les réveiller plutôt, c’est la tâche à la fois modeste et ambitieuse qui revient à l’homme indépendant. Il faut s’y tenir sans voir plus avant. L’histoire tiendra ou ne tiendra pas compte de ces efforts. Mais ils auront été faits.
Albert Camus

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Daniela Zini