Nata anche
in ricordo degli operai americani che si batterono per condizioni più umane
nelle fabbriche, la ricorrenza del Primo Maggio è divenuta una festa
tradizionale in tutto il mondo.
Anche se il nostro maggio
ha fatto a meno del vostro coraggio
se la paura di guardare
vi ha fatto chinare il mento
se il fuoco ha risparmiato
le vostre Millecento
anche se voi vi credete assolti
siete lo stesso coinvolti.
E se vi siete detti
non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno,
arresteranno qualche studente
convinti che fosse un gioco
a cui avremmo giocato poco
provate pure a credervi assolti
siete lo stesso coinvolti.
Anche se avete chiuso
le vostre porte sul nostro muso
la notte che le pantere
ci mordevano il sedere
lasciamoci in buona fede
massacrare sui marciapiede
anche se ora ve ne fregate,
voi quella notte voi c'eravate.
E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate
senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone
le verità della televisione
anche se allora vi siete assolti
siete lo stesso coinvolti.
E se credete ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.
Fabrizio De André, Canzone del maggio
Poiché gli uomini sono,
originariamente eguali nell’ordine della Creazione, l’eguaglianza può essere
stata distrutta unicamente da qualche circostanza successiva: le distinzioni
tra poveri e ricchi si possono spiegare, per la maggior parte, senza dover
ricorrere al suono aspro e sgradevole delle parole oppressione e avidità.
L’oppressione è, spesso, la conseguenza, ma, raramente o mai, è il mezzo della
ricchezza; e sebbene l’avidità impedisca all’uomo di essere assolutamente
povero, per lo più lo rende timoroso per essere ricco.
Ma esiste un’altra grande
distinzione, che non è giustificata da alcuna ragione veramente naturale o
religiosa, ed è la distinzione degli uomini in “re” e “sudditi”.
Maschio e femmina sono
distinzioni della Natura; buono e cattivo distinzioni del Cielo; ma varrebbe la
pena di indagare come abbia potuto venire al mondo una razza di uomini a tal
punto superiori a tutti gli altri e stabilire se siano portatori di felicità o
di sciagure per l’Umanità.
Un Uomo che vuole lavorare e
non trova lavoro è, forse, lo spettacolo più triste che la ineguaglianza della
Fortuna possa offrire sulla Terra.
La vera Libertà individuale
non può esistere senza sicurezza economica e indipendenza.
Il Popolo affamato e senza
lavoro è la pasta di cui sono fatte le dittature.
A tutti i disoccupati, gli operai
cassintegrati, ai precari, ai pensionati con la minima, ai piccoli imprenditori…
DISPERATI MAI!
Buon Primo Maggio a tutti gli
Italiani.
Daniela Zini
Chi non
ricorda questa frase – pronunciata dal ministro del lavoro, Elsa Fornero,
durante una intervista ai giornalisti del Wall Street Journal, Christopher Emsden e
Alessandra Galloni, il 26 giugno 2012 – che il dicastero del welfare fu costretto a rettificare, con
una nota,
per arginare le polemiche che rischiavano di travolgere lo stesso ministro,
proprio nel giorno dell’approvazione della riforma che porta il suo nome?
Nelle
discussioni, in Assemblea
Costituente, che portarono
alla redazione dell’espressione:
“L’Italia è una Repubblica democratica fondata
sul lavoro.” [articolo 1, comma 1, Costituzione],
fu
affrontata, principalmente, la questione se adottare la formula:
“L’Italia è una Repubblica democratica di lavoratori.” ,
proposta da Palmiro Togliatti, o la formula :
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul
lavoro.”, proposta
da Amintore Fanfani. In sostanza, la questione
verteva sulla scelta tra le possibili formulazioni di un concetto di lavoro,
pacificamente, considerato in senso amplissimo, per la divergenza di opinioni
tra i Padri Costituenti sul grado di chiarezza e di efficacia delle stesse.
Ma
quali erano le motivazioni delle diverse posizioni assunte da Palmiro Togliatti
e da Amintore Fanfani?
Togliatti,
nell’illustrare la sua proposta, addusse ragioni di “coerenza con gli articoli approvati in tema di lavoro” e si rese disponibile
ad ampliare la formula, da lui proposta, in “lavoratori del braccio e della mente”. Diversamente, Amintore
Fanfani, nell’illustrare la sua proposta, escluse che il concetto di lavoro
potesse limitarsi, non solo alla sfera
materiale, ma anche alla idea di fatica, identificandolo, invece, con il
diritto-dovere di ogni Uomo “di
essere quello che ciascuno può, in proporzione dei talenti naturali”,
e “di contribuire al bene della comunità
nazionale”, e affermò che la dizione “di lavoratori” potesse apparire classista. Con
la formula “la Repubblica è fondata sul lavoro”,
sosteneva Amintore Fanfani,
“si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria,
sulla fatica altrui e si afferma invece che essa si fonda sul dovere, che è
anche diritto ad un tempo per ogni uomo, di trovare nel suo sforzo libero la
sua capacità di essere e di contribuire al bene della comunità nazionale. Quindi, niente pura esaltazione della fatica
muscolare, come superficialmente si potrebbe immaginare, del puro sforzo
fisico; ma affermazione del dovere d’ogni uomo di essere quello che ciascuno
può, in proporzione dei talenti naturali, sicché la massima espansione di questa comunità popolare potrà essere
raggiunta solo quando ogni uomo avrà realizzato, nella pienezza del suo essere
il massimo contributo alla prosperità comune.
L’espressione “fondata sul lavoro” segna quindi l’impegno, il tema di tutta la nostra Costituzione”.
E, poi, aggiungeva che la dizione proposta da Palmiro Togliatti, “per precedenti storici, per
formulazioni teoriche”, avrebbe potuto apparire classista.
Secondo
la giurisprudenza, il principio lavoristico è un principio supremo, dove i
principi supremi sono i principi “che
non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale
neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali”.
Secondo
la dottrina, l’espressione “fondata
sul lavoro” significa, letteralmente, “fondata
sull’impegno” e, sistematicamente,
“fondata, da una parte, sul pieno
sviluppo della persona umana e sull’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese e, dall’altra, sul
progresso materiale o spirituale della società”; sicché, il concetto di lavoro
sintetizza i principi di eguaglianza formale e di eguaglianza sostanziale
e si incentra sul principio supremo della libertà-dignità.
LOTTAVANO
CON FUOCO
PER OTTO ORE
DI LAVORO
Scontro a fuoco tra
polizia e partecipanti al comizio tenuto, a Chicago, il 4 maggio 1886, da August
Vincent Theodore Spies.
di
Daniela Zini
Al
Congresso Generale degli Operai, tenutosi a Baltimora, negli Stati Uniti
d’America, il 16 agosto 1866, venne fatta la seguente dichiarazione:
“La prima e maggiore necessità del nostro tempo,
per poter liberare la manodopera di questo Paese dalla schiavitù del capitale,
è quella di promulgare una legge che stabilisca doversi comporre di otto ore la
giornata di lavoro in tutti gli Stati Uniti d’America. E noi siamo risoluti a adoperare
ogni nostra forza a che sia presto raggiunto questo glorioso risultato.”
Pochi
giorni dopo e, precisamente ai primi di settembre, al Congresso dell’Associazione
Internazionale dei Lavoratori di Ginevra, su proposta del Consiglio Generale di
Londra, veniva adottata questa deliberazione:
“Noi dichiariamo che la limitazione della
giornata di lavoro è condizione preliminare, senza la quale tutti gli sforzi
per ottenere l’emancipazione dell’operaio non possono che fallire. Noi
proponiamo, quindi, otto ore come limite legale della giornata di lavoro.”
In tal
modo, il Congresso Generale degli Operai e quello dell’Associazione
Internazionale dei Lavoratori enunciavano un pensiero sì rivoluzionario, ma,
già, in via di studio presso alcuni economisti totalmente al di fuori delle
organizzazioni operaie. Secondo costoro sarebbe stato impossibile addivenire a
una qualsiasi riforma della società, con speranza di buona riuscita, se prima
non si fosse resa più breve la giornata di lavoro e se l’abbreviazione da
stabilirsi non si fosse resa obbligatoria.
In
effetti, la esigenza di regolamentare l’orario lavorativo e di contenerlo in un
numero ragionevole di ore era, certamente, la conseguenza diretta di disumani
turni di lavoro, che potevano protrarsi, in base alle richieste padronali,
senza una normativa precisa; ma certamente era, anche, un sintomo dei tempi che
stavano cambiando, la percezione anche da parte del padronato più illuminato e
preveggente della necessità di dare spazio ai consumi.
E quali
potevano essere i consumatori se non le masse lavoratrici, cui occorreva
concedere tempo libero per i propri bisogni?
Uno dei
precursori fu Ira Steward [1831-1883], un meccanico di
Boston, neppure un economista, il quale espresse, in più occasioni, la propria
convinzione, secondo cui aumentando il tempo libero degli operai, sarebbero aumentate
anche le esigenze e, quindi, i consumi. Pertanto, la produzione e lo stesso
livello dei salari.
Naturalmente,
pochi erano coloro che da parte del “capitale”, a quel tempo, precorrevano i
tempi, mentre sempre più massiccia si faceva la pressione dei lavoratori per la
conquista di uno spazio e di un vivere più dignitoso e civile.
L’agitazione
per le otto ore iniziò, a seguito delle dichiarazioni del 1866 e si estese, inaspettatamente,
in tutta l’America con manifestazioni incessanti.
La
giornata lavorativa di otto ore divenne una vera e propria bandiera per tutte
le associazioni operaie.
Nel
1885, si radunò, a Hamilton, il Congresso dei Cavalieri del Lavoro – termine
con il quale, a differenza di oggi, si definivano gli appartenenti a una società operaia e non i “capitani
d’industria” – e si stabilì di continuare a incentivare le agitazioni. I
capitalisti, si disse, limitando a otto ore il lavoro nelle loro officine,
avrebbero dovuto assumere altri operai e il numero dei disoccupati sarebbe, in
tal modo, diminuito.
Dopo
alcuni mesi, i rappresentanti delle società cooperative, costituite da ben
oltre 220mila operai, proclamarono dinanzi “a
tutta l’umanità e alla civiltà” la giornata di lavoro di otto ore. La stessa
proclamazione fu fatta da tante altre associazioni di lavoratori, che ebbero il
sostegno di una buona parte della stampa, e qualche industriale iniziò a
aderire alla richiesta.
La
Manifattura dei Tabacchi dell’Illinois, senza alcuna riduzione di salario,
ridusse a otto le ore di lavoro, tanto che, forse, per evidenziare il proprio
gesto benemerito, si chiamò da quel momento Compagnia dei Tabacchi delle otto
ore.
I più,
ovviamente, non intendevano affatto aderire a quelle richieste e continuavano,
al contrario della Manifattura dei Tabacchi, a ignorare le proteste e le
pressioni.
Fu,
così, che, in un clima di notevole tensione, le società operaie americane, agli
inizi del 1886, stabilirono di porsi in sciopero il Primo Maggio di quello
stesso anno, sciopero che sarebbe dovuto durare otto giorni.
A
questa decisione seguirono tumulti e repressioni da parte delle forze
governative e si giunse, così, all’alba del Primo Maggio.
Lo
sciopero, proclamato a oltranza dalla Federation
Trade and Labor Unions, per rivendicare la giornata lavorativa corta, partì,
in piena regola, in tutto il territorio degli Stati Uniti.
A
Chicago, ben 300mila operai sospesero il lavoro.
Solo in
alcune aziende l’attività non venne interrotta, come alla segheria McCormick
Harvester. Per i primi tre giorni non si verificarono incidenti di rilievo; poi,
il 3 maggio, il primo grave lutto. Mentre una pioggia fitta e gelida cadeva
sulla città, dove migliaia di persone venivano radunate per partecipare ai vari
comizi soprattutto dai sindacalisti anarchici, le forze dell’ordine erano in
stato di allarme. All’improvviso, dinanzi alla segheria McCormick Harvester, un
gruppo di scioperanti si scontrò, violentemente, con i “crumiri”.
6
operai rimasero morti sul selciato.
Uno degli
oratori, August Vincent Theodore Spies [1855-1887],
direttore anche di un giornale “estremista”, l’Arbeiter Zeitung, aveva
fatto diffondere un volantino, che incitava gli operai a vendicare i compagni
caduti, la “circolare della vendetta”.
Il
comizio si svolse, tuttavia, senza incidenti, cosicché, perfino, la polizia
iniziò a ritirarsi. Mentre la piazza si svuotava e gli operai si avviavano alle
loro case, sopraggiunse un reparto di 180 agenti di polizia, comandato dal
capitano William Ward [http://www.chicagohistory.org/hadc/transcript/volumei/401-450/I427-444.htm],
che, perentoriamente, ordinava all’ultimo oratore, che stava terminando il
discorso, di interrompersi.
Samuel
Fielden [1847-1922], tentò di opporsi all’imposizione
immotivata; ma, mentre parlava lo scoppio di una bomba, tra i ranghi degli
agenti, gli coprì la voce.
Un
poliziotto cadde ucciso, Mathias J. Degan.
Seguì,
immediatamente, una violenta reazione delle forze dell’ordine, che aprì il
fuoco sulla folla. Scontri e sparatorie si conclusero con il tragico bilancio
di 11 morti, tra cui 7 agenti colpiti da fuoco amico, e dozzine di feriti.
Non si
riuscì, mai, a chiarire come, al termine di una manifestazione, svoltasi
pacificamente e senza problemi, fosse sopraggiunto da parte delle forze di
polizia l’ordine di sciogliere il comizio, né a chi attribuire la
responsabilità dell’attentato e dello scontro sanguinoso. Il fatto richiedeva,
tuttavia, che si trovassero e si punissero, esemplarmente, i responsabili,
poiché la città da quel momento divenne preda del panico e di un isterico
terrore.
Tutti i
sospetti vennero arrestati e vennero rinviati a giudizio otto anarchici: i tre
oratori del comizio, August Vincent Theodore Spies, Samuel Fielden e Albert Richard
Parsons [1848-1887]; Adolph Fischer [1858-1887],
Michael Schwab [1853-1898], George Libman Engel [1913-1999], Louis Lingg [1864-1887] e
Oscar William Neebe [185-1916].
Sebbene
nessuna prova precisa potesse essere presentata a carico degli imputati, il
processo, svoltosi dal 19 giugno al 20 agosto 1887 e presieduto dal giudice
Joseph Gary, si concluse con la condanna di 7 imputati all’impiccagione e di 1,
Oscar William Neebe, a 15 anni di lavori forzati.
Era
evidente la volontà di arrivare, in qualsiasi modo, a un verdetto di
colpevolezza per colpire il movimento operaio, gli anarchici.
La
mobilitazione in loro favore fu ampia.
Scesero
in campo sindacati, partiti e organizzazioni di sinistra, giornalisti,
scrittori – tra i quali il decano dei realisti americani, William Dean Howells
[1837-1922], che, in seguito, ispirandosi ai fatti di Haymarket, scrisse A hazard of new fortunes – e
manifestazioni si tennero in Francia, in Olanda, in Russia, in Italia e in
Spagna. In Germania, Otto von Bismarck [1815-1898] vietò ogni riunione
pubblica, nel timore di sollevazioni operaie.
Cimitero di Waldheim, Chicago nel maggio 1986
durante le cerimonie commemorative del centesimo anniversario della Rivolta di
Haymarket.
Ma a
ben poco valse tutto ciò: solo Fielden e Schwab ebbero la pena commutata
nell’ergastolo.
L’11
novembre Spies, Parsons, Engel e Fischer salivano sul patibolo, mentre Lingg
veniva trovato morto in cella.
Le
ultime parole di Spies:
“Verrà il giorno in cui il nostro silenzio
diverrà più potente delle voci che oggi strangolate.”,
furono
incise alla base del monumento, innalzato, nel giugno del 1893, nel German Waldheim Cemetery di Forest Park,
un sobborgo di Chicago, in ricordo di coloro che sono passati alla Storia del
movimento operaio americano e internazionale come i Martiri di Chicago. La
statua, opera dello scultore Albert Weinert, rappresenta la Giustizia con la
spada nell’atto di mettere una corona di alloro sul capo di un lavoratore
caduto.
Le donne ebbero un ruolo
importante nella mobilitazione, a Chicago. Durante
il processo, la loro presenza aumentò nei sindacati e nell’Internazionale.
La più
nota, Lucía Eldine González
[1853-1942] moglie di Albert Richard Parsons, conosciuta come Lucy Parsons, riuscì a far conoscere
al mondo i fatti del processo, costituì comitati, pubblicò il testo dei loro
discorsi, creò un archivio. Pose la domanda:
“Vale la
pena di salvare la nostra
civiltà?”
Lucy Parsons
Uno
degli avvocati incaricati della difesa, così, descrive i Parsons:
“Sedevano per ore l’uno di fronte all’altra
divisi dalla grata di ferro della prigione in amorevole conversazione, calmi e
controllati, mentre passavano i mesi tra il verdetto e l’esecuzione. La scena
mi causava una emozione infinita.”
Quaranta anni dopo, finivano sulla
sedia elettrica gli anarchici italiani Ferdinando Nicola Sacco
[1891-1927] e Bartolomeo Vanzetti
[1888-1927]. In un articolo, pubblicato sul New York Herald Tribune, William Dean Howells [1837-1920], uno dei
più noti esponenti della cultura americana, scrisse con indignazione e dolore:
“La libera Repubblica ha ucciso cinque uomini
per le loro convinzioni.”
Howells
non poté non sottolineare che questa uccisione aveva recato “un danno grandissimo al prestigio della
Nazione”.
Il 26
giugno 1893, il governatore dell’Illinois, John Peter Altgeld [1847-1902],
dopo una accurata inchiesta sui fatti di Haymarket e sul processo che li seguì,
firmò il provvedimento di grazia per Fielden, Schwab e Neebe, dichiarando che,
insieme ai loro compagni Spies, Parsons, Engel, Fischer e Lingg, fossero del
tutto innocenti, condannati da un giudice parziale, su prove prefabbricate e
inventate, con testimonianze estorte dalla polizia con il terrore e sotto la
minaccia della tortura.
La
decisione di Altgeld segnò la fine della sua carriera politica.
Il
comandante di polizia, che aveva ordinato di disperdere la folla, fu, in
seguito, condannato per corruzione, ma per eventi slegati alla Rivolta di
Haymarket.
Questi
tragici avvenimenti suscitarono una ondata di sgomento in tutto il Paese e nel
mondo intero, soprattutto, tra le associazioni operaie e la data del Primo
Maggio entrò, così, a far parte della Storia delle lotte dei lavoratori come “momento magico” delle
battaglie sociali. Tutto quel sangue anziché spegnere le agitazioni per le “otto ore”, le rese più vigorose
che mai e, poco tempo dopo, il Congresso degli Stati Uniti dovette approvare un
disegno di legge, che sanciva la giornata di otto ore per tutti gli operai al
servizio del Governo.
Era il
primo passo verso la conclusione!
Nel
1888, l’American Federation of Labor,
programmava una grande manifestazione internazionale per il 1890 e, allo scopo
di commemorare, degnamente, il sacrificio dei lavoratori di Chicago, veniva
indicata la data del Primo Maggio.
L’anno
dopo, il 1889, ricorreva il centenario della Rivoluzione Francese e, mentre la
Francia celebrava, con grande pompa, la storica data con la Esposizione Universale,
che si teneva, a Parigi, dal 6 maggio al 31 ottobre; si riuniva il Congresso
della Seconda Internazionale, che, ribadendo quanto deciso dall’American Federation, prendeva
all’unanimità questa deliberazione:
“È da organizzarsi per un’epoca determinata una
grande manifestazione internazionale, in modo che, contemporaneamente, in tutti
i Paesi e in tutte le città, in un giorno determinato, gli operai dirigano alle
autorità politiche la domanda di stabilire la giornata di lavoro di otto ore e
di eseguire le altre decisioni del Congresso Internazionale di Parigi. In
considerazione del fatto che una tale manifestazione è stata già decisa dalla
Lega Operaia Americana al Congresso di Saint-Louis per il Primo Maggio 1890, è
adottata questa epoca come giorno della grande manifestazione internazionale.”
Al Congresso
presero parte 385 delegati, che rappresentavano ben 20 Nazioni. Di quei 385
delegati, 81 erano tedeschi, 20 inglesi, 11 austriaci, 14 belgi, 11 italiani, 2
spagnoli, 3 danesi, 3 ungheresi 5 polacchi, 4 rumeni, 6 russi, 2 svedesi, 3
norvegesi, 1 finlandese, 1 bulgaro, 1 boemo, 1 alsaziano, 210 francesi, 5 americani,
1 argentino.
Il
Primo Maggio divenne, così, per i lavoratori di tutto il mondo giorno di
commemorazione, ma anche di protesta, di riposo, di celebrazione e di festa.
Anche
in Italia, il Partito Operaio Italiano, il Primo Maggio 1890, celebrò la data
con manifestazioni in tutto il Paese.
Il tema
dominante continuava a essere la rivendicazione della “giornata corta”, come aveva annunciato,
alcuni giorni prima, il quotidiano Fascio
Operaio:
“Giovedì Primo Maggio 1890 manifestazione per
le otto ore.”
Seguivano
ampie e dettagliate motivazioni della celebrazione cui, all’ultimo momento, era
stata aggiunta l’avvertenza:
“… governo liberale d’Italia vieta
rigorosamente ogni manifestazione e dimostrazione pubblica per le vie per il
Primo Maggio.”
Le
disposizioni dell’allora Governo Crispi furono, infatti, severissime: i soldati
erano consegnati nei quartieri, pattuglie di militari e di guardie percorrevano
le vie della città, pressoché deserte per il clima di tensione e di paura, che
si era instaurato, nel timore di sommosse e repressioni. In verità, non vi
furono tumulti anche perché le misure governative avevano, di fatto, impedito
che si svolgessero vere e proprie celebrazioni e manifestazioni.
Solo
dopo il 1891, questa festa iniziò a essere, regolarmente, celebrata, entrando a
far parte delle ricorrenze tradizionali.
Al
termine della Prima Guerra Mondiale, la lunga lotta per le otto ore lavorative,
trovò, tuttavia, la sua definitiva conclusione. L’articolo 427 del Trattato di
Versailles del 1919 invitava, infatti, tutte le Nazioni a adottare la giornata
lavorativa di otto ore.
Article 427
The High Contracting
Parties, recognising that the well-being, physical, moral and intellectual, of
industrial wage-earners is of supreme international importance, have framed, in
order to further this great end, the permanent machinery provided for in
Section l and associated with that of the League of Nations.
They recognise that
differences of climate, habits, and customs, of economic opportunity and
industrial tradition, make strict uniformity in the conditions of labour
difficult of immediate attainment. But, holding as they do, that labour should
not be regarded merely as an article of commerce, they think that there are
methods and principles for regulating labour conditions which all industrial
communities should endeavour to apply, so far as their special circumstances
will permit.
Among these methods and
principles, the following seem to the High Contracting Parties to be of special
and urgent importance:
1.
The guiding principle above enunciated that labour
should not be regarded merely as a commodity or article of commerce.
2.
The right of association for all lawful purposes by
the employed as well as by the employers.
3.
The payment to the employed of a wage adequate to maintain
a reasonable standard of life as this is understood in their time and country.
4.
The adoption of an eight hours day or a forty-eight
hours week as the standard to be aimed at where it has not already been
attained.
5.
The adoption of a weekly rest of at least twenty-four
hours, which should include Sunday wherever practicable.
6.
The abolition of child labour and the imposition of
such limitations on the labour of young persons as shall permit the
continuation of their education and assure their proper physical development.
7.
The principle that men and women should receive equal
remuneration for work of equal value.
8.
The standard set by law in each country with respect
to the conditions of labour should have due regard to the equitable economic
treatment of all workers lawfully resident therein.
9.
Each State should make provision for a system of
inspection in which women should take part, in order to ensure the enforcement
of the laws and regulations for the protection of the employed.
Without claiming that
these methods and principles are either complete or final, the High Contracting
Parties are of opinion that they are well fitted to guide the policy of the
League of Nations; and that, if adopted by the industrial communities who are
members of the League, and safeguarded in practice by an adequate system of
such inspection, they will confer lasting benefits upon the wage- earners of
the world.
Les Hautes Parties
Contractantes, reconnaissant que le bien-être physique, moral et intellectuel
des travailleurs salariés est d’une importance essentielle au point de vue
international, ont établi pour parvenir à ce but élevé, l’organisme permanent
prévu à la Section I et associé à celui de la Société des Nations.
Elles reconnaissent que
les différences de climat, de moeurs et d’usages, d’opportunité économique et
de tradition industrielle rendent difficile à atteindre, d’une manière
immédiate, l’uniformité absolue dans les conditions de travail. Mais,
persuadées qu’elles sont que le travail ne doit pas être considéré simplement
comme un article de commerce, elles pensent qu’il y a des methods et des
principes pour la réglementation des conditions de travail que toutes les
communautés industrielles devraient s’efforcer d’appliquer, autant que les
circonstances spéciales dans lesquelles elles pourraient se trouver le permettraient.
Parmi ces méthodes et
principes, les suivants paraissent aux Hautes Parties Contractantes être d’une
importance particulière et urgente:
1.
Le principe
dirigeant ci-dessus énoncé que le travail ne doit pas être considéré simplement
comme une marchandise ou un article de commerce.
2.
Le droit d’association en vue de tous objets non
contraires aux lois, aussi bien pour les salariés que pour leurs employeurs.
3.
Le paiement aux travailleurs d’un salaire leur assurant
un niveau de vie convenable tel qu’on le comprend dans leur temps et dans leur
pays.
4.
L’adoption de la journée de huit heures ou de la
semaine de quarante-huit heures comme but à atteindre partout où il n’a pas été
obtenu.
5.
L’adoption d’un repos hebdomadaire de vingt-quatre
heures au minimum, qui devrait comprendre le dimanche toutes les fois que ce
sera possible.
6.
La suppression du travail des enfants et l’obligation
d’apporter au travail des jeunes gens des deux sexes les limitations
nécessaires pour leur permettre de continuer leur éducation et d’assurer leur
développement physique.
7.
Le principe du salaire égal, sans distinction de sexe,
pour un travail de valeur égale.
8.
Les règles édictées dans chaque pays au sujet des
conditions de travail devront assurer un traitement économique équitable à tous
les travailleurs résidant légalement dans le pays.
9.
Chaque Etat devra organiser un service d’inspection
qui comprendra des femmes, afin d’assurer l’application des lois et règlements
pour la protection des travailleurs.
Sans proclamer que ces
principes et méthodes sont ou complets ou définitifs, les Hautes Parties
Contractantes sont d’avis qu’ils sont propres à guider la politique de la
Société des Nations; et que, s’ils sont adoptés par les communautés industrielles
qui sont membres de la Société des Nations et s’ils sont maintenus intacts dans
la pratique par un corps approprié d’inspecteurs, ils répandront des bienfaits
permanents sur les salariés du monde.
“Il lavoro non deve
essere considerato semplicemente una merce o un articolo di commercio.”,
suonava, così, la prima delle “clausole sociali”,
enunciate dal Trattato di Versailles, nel contesto di altre enunciazioni, che
componevano l’insieme delle tutele, rispondenti alle rivendicazioni sociali e
sindacali dell’epoca.
Vi è, tuttavia, chi rinviene radici diverse, più
lontane e meno note, dell’espressione “il
lavoro non è una merce”.
In un
suo saggio, Paul O’ Higgins rivendica per l’Irlanda il merito di aver elaborato
il primo dei principi sui quali si fonda l’Organizzazione
Internazionale del lavoro [OIL]. Secondo
O’Higgins, infatti, sarebbe stato l’economista irlandese, John
Kells Ingram [1823-1907], nel discorso
tenuto, a Dublino, nel 1880, al Trade
Unions Congress [TUC], a formulare, per la prima volta, la
proposizione secondo la quale “il
lavoro non è una merce”.
“Considerare il lavoro come una merce”,
affermava
Ingram,
“significa rimuovere tutto di un colpo, il
fondamento etico sul quale dovrebbe poggiare il rapporto tra lavoratore e
datore di lavoro, rendendo la cosiddetta legge del mercato l’unico regolatore.”
“Il salario del lavoratore”,
spiegava,
“deve essere considerato come lo strumento
indispensabile per il suo mantenimento in uno stato di salute fisica, di
sicurezza materiale e di tranquillità morale, tale che gli consenta di
continuare a prestare il suo servizio alla società e di preparare una nuova
generazione allo stesso servizio.”
Affermando che il lavoro non è una merce, Ingram
voleva dire che il lavoro non può essere considerato una entità indipendente
dalla persona del lavoratore, che il rapporto di lavoro deve poggiare, anche,
su un fondamento etico e non può essere, pertanto, regolato solo dal mercato,
che il salario del lavoratore non può essere determinato, esclusivamente, dal
suo valore di scambio, perché deve garantirgli il mantenimento in condizioni di
salute e sicurezza fisiche e mentali.
Temuto,
prima, dai benpensanti, il Primo Maggio si trasformò, in pochi anni, da
giornata di luttuosi ricordi e di protesta in giorno di festa e di riposo. E, dal
1955, il Primo Maggio è divenuto, in Italia, perfino, una festa cattolica,
festa del lavoro cristiano, dedicata a San Giuseppe lavoratore, che, falegname
di Nazareth, provvide con il suo lavoro alle necessità di Maria e di Gesù e
iniziò il Figlio di Dio al lavoro tra gli uomini. [https://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2013/documents/papa-francesco_20130501_udienza-generale.html].
Daniela Zini
Copyright © 29 aprile 2015 ADZ
“Il diritto al lavoro non è mai stato
messo in discussione come non potrebbe essere mai visto quanto affermato dalla
nostra Costituzione.”,
si
legge nella nota del ministero.
“Nell’intervista odierna al quotidiano
statunitense”,
specificavano
da via Veneto,
“il ministro ha fatto riferimento alla
tutela del lavoratore nel mercato e non a quella del singolo posto di lavoro,
come sempre sottolineato in ogni circostanza.”