PEDOFILIA
L’INFANZIA NEGATA E VIOLATA
“Les grandes personnes ne comprennent jamais rien toutes seules, et c’est
fatigant, pour les enfants, de toujours et toujours leur donner des
explications.”
Antoine de Saint-Exupéry, Le
Petit Prince
di
Daniela Zini
“Damaged people are
dangerous. They know they can survive.”
Josephine Hart, Damage
a Te
Ritrovati, solo, senza le tue origini.
Restituiscile ai tuoi antenati, proprio un momento, il tempo di
ritrovarti solo.
Senza un colore della pelle,
senza una religione.
Divieni ciò che tu sei.
Fai ciò che, solo, tu puoi.
Allora, ritrovati, solo, senza le tue origini!
Ritrovati, solo, senza il tuo Paese.
Prendi un momento per essere né della politica né della
geografia.
Tu non sei un contesto, tu non sei una situazione.
Tu nasci da un contesto, tu crei una situazione.
Allora, ritrovati, solo, senza il tuo Paese!
Ritrovati, solo, senza i tuoi Amici, senza i tuoi affetti, senza
il tuo gruppo.
Tu non sei un gruppo, perché il gruppo non è Uno e le guerre intestine
non toccano i tuoi intestini.
Allora, ritrovati, solo, senza i tuoi Amici, senza i tuoi affetti,
senza il tuo gruppo!
Ritrovati, solo, senza i tuoi nemici.
I nemici non sono nemici che per una storia di gruppi, di
situazioni, di Paesi, di origini.
Allora ritrovati, solo, senza i tuoi nemici!
Ritrovati, solo, senza il tuo sesso, senza il tuo genere.
Il sesso è uno strumento, è un dettaglio; il genere è una
postura, è un ruolo.
Tu non sei un dettaglio, tu non vuoi avere un ruolo.
Allora ritrovati, solo, senza il tuo sesso, senza il tuo genere!
Ritrovati, solo, senza il tuo volto.
Tu lo vedi con gli occhi degli Altri e senza di loro tu non lo
hai, tu non lo hai più.
Non lasciarli modellarti, rimodellarti.
Allora ritrovati, solo, senza il tuo volto!
Ritrovati, solo, senza il tuo nome, senza il tuo cognome.
Rimuovili, per poterti guardare allo specchio senza il loro
riflesso.
Senza la loro connotazione, senza la loro sonorità.
Rendili al linguaggio, proprio un momento, il tempo di ritrovarti
solo.
Allora ritrovati, solo, senza il tuo nome, senza il tuo cognome!
Tutti questi mascheramenti ti rendono inaccessibile dentro ed
estraneo a te stesso, fino ad avere paura di guardarti dentro e non vedere che vuoto…
e cadere.
Cadere?
Cadere perché sai che, dentro, non vi è artificio alcuno abbastanza
solido, cui poterti aggrappare.
Tu hai paura di ritrovarti solo…
tu hai paura di te stesso…
D
Pour Toi
Daniela
Zini
Au
début j’étais amoureuse
De la splendeur de tes yeux,
De
ton sourire,
De ta
joie de vivre.
Maintenant
j’aime aussi tes larmes
Ta peur de vivre
Et le désarroi
Dans tes yeux.
Mais contre la peur
Je t’aiderai,
Car ma joie de vivre
Est encore la splendeur des
tes yeux.
Cari Ragazzi,
mentre guardavo questo filmato
[http://www.youtube.com/watch?v=zNUxq8rI6lM&feature=player_embedded] ho pensato
a Voi Ragazzi, piccoli e grandi dei cinque continenti, Voi, che siete pieni di
vita, che studiate, che giocate, che lavorate…
Voi siete gli animatori delle nostre case, delle nostre aule,
nel mondo intero…
Sì, ho pensato, subito, a Voi, perché Voi siete sensibili e
attenti al dolore e alle sofferenze di quei Ragazzi che, in questo stesso
momento, sono, in strada, gli occhi impauriti, pieni di dolore, in cerca della
loro famiglia, di un segno di vita e di un senso di tutto ciò che accade loro.
Io mi rivolgo a Voi perché Voi siete generosi, capaci di gesti
coraggiosi.
La gatta ama i suoi piccoli. Ma non li distingue più, una volta
che sono divenuti adulti. Invece, nel corso del suo cammino, l’uomo è,
costantemente, obbligato a scegliere.
Può decidere di far mangiare, prima di lui, la persona che ama.
Mi piace ripetere questa frase:
“L’uomo è l’immagine di Dio.”
Alcuni ci scherzano su, rispondendo:
“Beh, allora Dio non è molto bello!”
Ma io paragono l’uomo a Dio come il sigillo che viene impresso
nella cera. Non conosco il timbro, forse, non lo vedrò mai, ma se osservo, con
attenzione, me stessa in profondità, scopro l’infinito. L’uomo è immagine di
Dio in negativo, perché tutto ciò che grida in lui, tutto ciò che tende a
superare la legge naturale, che è soggetta a istinti brutali, rappresenta una
scelta.
Non esiste la generosità istintiva.
Se non esistesse nel cosmo quella piccola nullità che è l’uomo,
dotato della libertà che gli permette o di raccogliere, da egoista, tutto ciò
che trova, anche a scapito degli Altri, o di sforzarsi di aiutare il prossimo a
condurre una vita migliore; se non vi fossero gli esseri umani, che non sono
altro che polvere infinitesimale del cosmo, l’universo nella sua totalità
sarebbe assurdo.
E questo che cosa significa?
Se la libertà non fosse in grado di sprigionarsi in qualche
momento cruciale – quel momento che io chiamo attenzione – la vita sarebbe
assurda…
Io Vi domando di trasmettere questo messaggio alle Vostre
famiglie, alle persone del Vostro quartiere, alla Vostra scuola, affinché la
catena di solidarietà cresca nel mondo intero e divenga un segno di speranza e
di amore concreto.
Io sono sicura che il Vostro cuore Vi suggerirà le parole per
fare delle Vostre case, delle Vostre scuole, luoghi di solidarietà.
Restiamo uniti con tutti i Ragazzi del mondo e tra noi: l’unione
fa la forza!
Vi ringrazio di cuore.
Crediate in tutto il mio affetto.
Daniela Zini
È difficile immaginare un ostacolo più grande di
quello rappresentato dal commercio sessuale di Bambini nel cammino verso la
realizzazione dei diritti umani. Eppure la tratta dei Bambini è solo un
elemento del problema ancora più diffuso e profondamente radicato degli abusi
sessuali. Milioni di Bambini in tutto il mondo sono sfruttati per il sesso a
pagamento. Acquistati e venduti come un qualsiasi bene, fatti oggetto di
commercio all’interno e all’esterno dei confini nazionali, gettati in
situazioni quali i matrimoni forzati, la prostituzione e la pornografia
infantile. Molti di loro subiscono danni profondi e, talvolta, permanenti. Il
normale sviluppo fisico ed emotivo viene compromesso, come pure l’autostima e
la fiducia. Alla stragrande maggioranza viene, anche, negato il diritto all’istruzione
come pure il minimo momento di divertimento e gioco.”
con queste parole il direttore generale dell’UNICEF
Carol Bellamy presentava il Rapporto sullo Sfruttamento Sessuale dei Bambini,
pochi giorni prima dell’apertura del secondo Congresso Mondiale contro lo
Sfruttamento Sessuale dei Bambini [http://www.unicef.org/events/yokohama/index.html],
svoltosi a Yokohama tra il 17 e il 20 dicembre 2001.
Ho constatato, nelle mie investigazioni, che la
pedofilia è un tema difficile da affrontare, ambiguo e soggetto a polemica.
Osare parlarne è darsi la possibilità di trattare e dominare, in profondità, il
problema dell’abuso sessuale per meglio combatterlo.
Possano i nostri Bambini attraverso l’informazione,
la prevenzione, divenire più forti e meglio protetti all’esterno e all’interno
dell’ambiente familiare.
La vulnerabilità e l’innocenza dei Bambini sono
abusate, deliberatamente o no, da aggressori sessuali per saziare desideri
devianti compulsivi o da pedosessuali incoscienti.
La mia speranza è di aiutare i Bambini, facendomi
loro portavoce, per proteggerli come avrei voluto essere protetta, io stessa,
da abusi di altro genere, quando ero una bambina.
Parafrasando una frase dell’Esodo, in merito alla
schiavitù d’Egitto del popolo di Israele:
“Vidi la sofferenza dei Bambini e me ne sono presa
cura.”
IV. LETTERA APERTA
A UN BASTARDO PEDOCRIMINALE
“If we are to teach real Peace in this World, and if we are to carry on
a real war against war, we shall have to begin with the Children.”
Mahatma Gandhi
Io credo che ogni Bambino dovrebbe avere il
coraggio di sedersi a un tavolo e scrivere una lettera a chi ha abusato di lui.
Ma, non sempre, gliene viene dato il tempo…
Così, ho deciso di scrivere io a questo
bastardo.
Vi
domanderete perché.
Perché
non posso vedere un bambino che sarà, per sempre, vecchio.
Le fiabe narrano, spesso, di un mondo duro,
difficile, un mondo di soprusi, un mondo malvagio, in cui la fame, la povertà,
la mancanza di giustizia sociale distorcono anche le più naturali leggi morali...
Si arriva ad abbandonare i propri figli nel
bosco...
E solo, per un intervento magico o grazie alla
fortuna, alla tenacia o alla astuzia, i protagonisti riescono a ritrovare Giustizia
e Amore.
Ora, il mondo dei Bambini, mano a mano che siamo
andati scoprendolo, si è rivelato sempre più vicino, più simile, a volte,
tristemente identico, a quello delle fiabe e, a poco a poco, si è concretizzata
nel nostro immaginario, l’equazione bosco delle fiabe = realtà della vita di
strada.
E, allora, il bosco delle fiabe esiste anche nella
realtà.
Anche adesso e non lontano da noi, milioni di
Hänsel e Gretel, di Pollicini, di Pelli d’Asino e di Cappuccetti Rossi, stanno
attraversando il bosco, perdendo la strada, bussando alla porta sbagliata...
E la loro fiaba raramente finisce con:
“E vissero felici e contenti…”
“Se
vi è qualcosa che desideriamo cambiare nel Bambino, dovremmo prima esaminarlo
bene e vedere se non è qualcosa che faremmo meglio a cambiare in noi stessi.”
È
questo il pensiero di uno dei massimi pensatori moderni, Carl Gustav Jung.
Riecheggia quanto, duemila anni fa, affermava Gesù:
“1 In quel momento i discepoli si avvicinarono a
Gesù dicendo: “Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?” 2 Allora
Gesù chiamò a sé un Bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: 3 “In verità vi dico: se non
vi convertirete e non diventerete come i Bambini, non entrerete nel regno dei
cieli. 4 Perciò
chiunque diventerà piccolo come questo Bambino, sarà il più grande nel regno
dei cieli.
5 E
chi accoglie anche uno solo di questi Bambini in nome mio, accoglie me.
6 Chi
invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe
meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e
fosse gettato negli abissi del mare.
Matteo,
18, 1-6
Per
quello che ho letto, nessun giornale e meno che mai l’Avvenire lo ha rilevato!
La
predilezione che Gesù ebbe per i Fanciulli ci sembra, oggi, del tutto naturale,
siamo portati a considerarla come la manifestazione di un animo particolarmente
sensibile e nulla più. Ma non è così. L’atteggiamento di Cristo verso
l’infanzia era, a quell’epoca, inconcepibile e ha provocato una delle più
grandi e silenziose rivoluzioni nella storia dei rapporti umani. Per rendercene
conto è utile tratteggiare, almeno a grandi linee, la figura dei ragazzi prima
della venuta di Cristo.
A
Roma, come ad Atene, un padre aveva diritto di vita o di morte sui neonati fino
al riconoscimento della paternità, una cerimonia che si svolgeva una decina di
giorni dopo la nascita. Solo dopo tale cerimonia, l’uccisione di un fanciullo
veniva considerata un omicidio. A Sparta, non era il padre a decidere, ma lo
Stato: ogni neonato doveva essere presentato a un collegio di anziani, che
decideva se farlo vivere o meno. Per i nati gracili o malformati non vi era via
di scampo. Esisteva, naturalmente, l’aborto, con il quale si tentava di frenare
la crescita demografica in tutte le città greche e a Sparta, in particolare.
Erano validi anche altri provvedimenti, poi, tornati in uso nella Cina di Mao:
proibizione di rapporti sessuali, matrimoni dopo i venticinque anni,
segregazione delle donne e quant’altro. In casi di carestia, bisognava ridurre
le forze non produttive. Ovviamemente, si iniziava con l’eliminare i Bambini,
abbandonandoli in balia degli elementi naturali. Anziché essere uccisi venivano
fatti morire di fame e di freddo. Era la cosiddetta “esposizione dei Bambini”.
A Roma, si usava lasciarli sulla soglia di un tempio, fingendo di sperare in un
ipotetico salvatore: a tale scopo, i benestanti mettevano accanto al bimbo un
oggetto di valore, i poveri una corona di olivo come portafortuna. Ma lo Stato
scoraggiava le adozioni: il padre naturale, infatti, aveva, sempre, diritto sul
figlio e poteva riprenderselo quando, cresciuto, era in grado di lavorare. Le
menti più illuminate della civiltà greca non solo approvavano tali pratiche, ma
trovavano argomenti convincenti per giustificarle. Platone insegnava che non
bisognava nutrire i figli di genitori miserabili.
“Non
è, forse, meglio che muoiano subito, piuttosto che vivano una vita grama fatta
di stenti e di miserie?”,
si
diceva, comunemente, tra gli intellettuali dell’epoca. Aristotele considerava
pericolosa, per l’equilibrio della polis,
la crescita demografica e proponeva che lo Stato intervenisse, perché il
diritto alla procreazione fosse riservato solo agli uomini che avessero superato
i trentasette anni di età e non avessero ancora raggiunto i cinquantacinque. Si
riteneva, comunemente, che la Grecia non potesse nutrire un solo uomo in più:
il rapporto tra territorio e popolazione doveva essere mantenuto con tutti i
mezzi, per evitare un futuro catastrofico per tutti. Sempre Aristotele invocava
la legge perché intervenisse, energicamente, a impedire che venissero allevati Bambini
con handicap. Anche la miseria era
considerata una grave malattia e le famiglie povere dovevano lasciare senza
cibo i figli “per non trasmettere loro questa terribile malattia”. Le preoccupazioni economiche guidavano,
dunque, la morale di molti genitori e lo Stato tollerava, volentieri,
l’infanticidio in periodi di magra. Solo quando aveva bisogno di soldati per le
sue guerre si preoccupava dei Bambini e organizzava forme di assistenza alle
famiglie povere e numerose. Abbiamo, naturalmente, parlato di Bambini nati
liberi; per gli schiavi non vi era nessun tipo di problema: la loro vita non
valeva più di quella di un animale da cortile. Anche i figli di ragazze-madri
non avevano molte speranze di sopravvivere: la donna “colpevole” veniva
cacciata di casa o venduta e il figlio abbandonato o ucciso.
La
situazione, in Palestina, non era come nel resto del mondo. Già, al tempo di
Abramo, gli ebrei avevano iniziato a tralasciare le pratiche di uccidere il
primogenito, come facevano, invece, tutti gli altri popoli antichi. I loro
vicini, i cananei, immolavano un Bambino, quando iniziavano i lavori di
costruzione di una casa e ne sotterravano il corpo sotto la porta; i filistei
non mancavano mai di offrire al loro dio il sangue di ogni primogenito; al
momento della fondazione di Gerico, Hiel aveva sacrificato non solo il
primogenito Abiram, ma anche Segub, l’ultimo nato. Il fascino delle civiltà dei
popoli che attorniavano i pastori di Israele era forte e, spesso, i figli di
Abramo cadevano nella tentazione di imitare i costumi socialmente avanzati dei
vicini, ma la voce dei profeti si elevava, ogni volta, ad ammonirli e la legge
mosaica puniva con la morte coloro che bruciavano i loro figli e le loro figlie
in onore degli dei.
Al
tempo di Gesù, la vita di un Bambino israelita era, generalmente, considerata
sacra al pari di quella di un uomo. Ma un Bambino non aveva diritti, solo
doveri; era una creatura che doveva essere costruita [il termine figlio, in
ebraico, deriva dal verbo costruire]. Il padre aveva su di lui una autorità
indiscussa. La Bibbia gli raccomandava:
“Fagli
piegare il capo fintanto che è giovane. Non risparmiargli i colpi.”,
ma
lo avvertiva anche che un bravo genitore non doveva far morire il proprio
figlio sotto punizioni eccessivamente dure. I Bambini dovevano, innanzitutto,
rispettare i genitori e i vecchi. E se non lo facevano, si raccontava loro l’episodio
del profeta Eliseo che, deriso da un gruppo di monelli, aveva invocato su di
loro la maledizione divina e… subito, erano spuntati dalla foresta due orsi,
che avevano sbranato quarantadue fanciulli.
Il Vangelo capovolge la
situazione dei Bambini. Il racconto inizia con due protagonisti Fanciulli:
Giovanni Battista e Gesù. È la prima volta nella storia che un Fanciullo sia al
centro non solo dell’attenzione e dell’amore, ma anche del rispetto dei
genitori, che non lo considerano un essere, che appartiene loro. Gesù è adorato
dai pastori e dai Re Magi non per quello che sarà, ma per quello che è:
“11
Entrati nella casa, videro il Bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo
adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.”
Matteo,
2, 11
Sia
Giovanni Battista, sia Gesù manifestano, in giovanissima età, la loro
indipendenza dai genitori: il primo, ritirandosi a vivere tra i nomadi del
deserto; il secondo, sottraendosi alla loro vigilanza all’età di dodici anni
con l’affermare che deve rendere conto delle sue azioni non tanto ai genitori
quanto a Dio.
Erode
rappresenta, nelle prime pagine del Vangelo, la vecchia concezione: fa uccidere
tutti i Bambini in età inferiore ai due anni. L’avvenimento non è registrato
che dal Vangelo: gli storici pagani non trovavano la cosa così straordinaria da
essere ricordata. Macrobio dirà di sfuggita, attribuendo ad Augusto la battuta:
“Melius est Erodis porcum esse quam filium.
[È meglio essere un porco di Erode che suo figlio.]”
Microbio,
Saturnalia, II, 4-11
La
battuta è ricordata perché, in greco, la parola porco è simile alla parola
figlio. Erode, come giudaizzato, non poteva mangiare porco e, pertanto, non lo
uccideva; mentre, di fatto, uccideva i propri figli. Insieme ad Alessandro e ad
Aristobulo, Erode aveva fatto uccidere trecento ufficiali, accusati di
parteggiare per i due giovani. Nel 4
a.C., soltanto cinque giorni prima della morte, aveva
fatto uccidere un altro suo figlio, il primogenito Antipatro, che aveva designato
erede al trono: di questa morte era stato cosi soddisfatto che, sebbene si
trovasse in condizioni disperate di salute, era sembrato riaversi e migliorare.
Gesù
si salva e con lui, ormai, si salveranno dalla loro condizione di schiavi in
balia dell’autorità tutti i fanciulli.
Durante
tutta la vita pubblica, Gesù è attorniato da Bambini: li considera i suoi
migliori discepoli e invita gli stessi Apostoli a prenderli come esempio. La
prima volta che Gesù perde la pazienza, è proprio per difendere i Bambini, che
gli apostoli sgridavano a causa del chiasso che facevano.
“14
Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: “Lasciate che i Bambini vengano
a me, non glielo impedite: a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di
Dio. 15 In
verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un Bambino,
non entrerà in esso.” 16 E, prendendoli tra le braccia, li benediceva,
imponendo le mani su di loro.”
Marco,
10, 13-16
I
due primi grandi miracoli che compie avranno come protagonisti una Fanciulla e
un Fanciullo che risusciterà.
Il
Bambino era l’ultimo gradino della società, un essere in balia dei genitori e
della società stessa. Doveva solo pensare a diventare grande, imitando
ovviamente l’esempio dei “grandi”, modelli perfetti.
Gesù
capovolge la situazione con un paradosso: non i piccoli debbono imitare i
grandi, ma gli adulti farsi piccoli.
È
la condizione che pone per poter entrare nel Regno dei Cieli.
“1 In quel momento i discepoli si avvicinarono a
Gesù dicendo: “Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?” 2 Allora
Gesù chiamò a sé un Bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: 3 “In verità vi dico: se non vi
convertirete e non diventerete come i Bambini, non entrerete nel regno dei
cieli. 4 Perciò
chiunque diventerà piccolo come questo Bambino, sarà il più grande nel regno
dei cieli.
5 E
chi accoglie anche uno solo di questi Bambini in nome mio, accoglie me.”
Matteo,
18, 1-5
I Bambini
non sono persone di serie B, non sono uomini-in-divenire, ma hanno una loro
compiuta personalità, una loro dignità e meritano, pertanto, non solo affetto e
amore, ma anche rispetto. Il rispetto non è legato alla potenza e alla salute e
alla età, ma deriva dal fatto che tutti gli esseri, belli e brutti, sani e
malati, uomini e donne, appena nati o vecchi, sono egualmente figli di Dio.
Genitori e società non hanno più dei diritti sui Bambini, ma solo dei doveri:
proteggerli, nutrirli, educarli, rispettarli.
A
tutt’oggi l’insegnamento di Gesù è lungi dall’essere messo pienamente in
pratica. Il Bambino è, spesso, visto come un investimento.
“Non
vi è nessun investimento migliore che mettere latte dentro i Bambini.”,
diceva
Winston Churchill, ed è, per questo, ancora considerato inferiore se disabile. Inferiore
al punto che alcuni Stati intervengono non più per eliminarli, ma per impedire
che nascano…
Come
un tempo, lo Stato li considera come futuri soldati o forze di lavoro e, a tale
scopo, li programma fino dall’infanzia, maneggiandoli senza quel rispetto alla
loro personalità e alle loro capacità, che Gesù ha predicato.
Il
germe rivoluzionario, seminato duemila anni fa, ha, appena, iniziato a dare i
suoi frutti, anche se, sulla carta, tutti gli uomini sono concordi nel
riconoscere i diritti dei Bambini.
Circa
600 milioni di Bambini vivono nella povertà e si addormentano, ogni sera,
avendo fame.
Circa
1, 4 milione di Bambini di età inferiore ai 15 anni vive con l’HIV/AIDS.
Ogni
anno, tra gli 8mila e i 10mila Bambini vengono uccisi o mutilati da mine
terrestri.
Un
terzo delle nascite nel mondo non è segnalato. 40 milioni di neonati
raggiungono, così, ogni anno, le fila di coloro che passeranno, tutta la loro
vita, senza identità né cittadinanza.
Questi
Bambini sono vittime di diverse forme di abuso, che hanno effetti devastanti
sul loro sviluppo emotivo e fisico.
In
cosa consistono gli abusi commessi contro i Bambini?
-
violenze fisiche
Le
vie di fatto sono le minacce fisiche più frequenti commesse contro i Bambini.
Si designano, così, sia i molti incidenti isolati o ripetuti che rientrano in
punizioni sproporzionate [colpi di cinghia o bastone, pugni sul viso o sulla
testa], sia i casi particolarmente gravi, in cui i Bambini sono brutalmente malmenati,
presi a calci e a pugni, strangolati, ustionati o bruciati.
-
violenze emotive
Si
tratta di forme di violenza verbali piuttosto che fisiche: umiliazioni, molestie
e vessazioni sistematiche, minacce, espressioni di rigetto o di indifferenza,
privazione di ogni contatto sociale, coinvolgimento in comportamenti antisociali
o scorretti [crimine, violenza o abuso di sostanze tossiche].
-
lavoro forzato
Si
contano nel mondo circa 250 milioni di Bambini di età compresa tra i 5 e i 14
anni impegnati nel mercato del lavoro, di cui 120 milioni a tempo pieno. I Bambini
sono più deboli fisicamente e più vulnerabili psichicamente. La loro immaturità
li rende, in generale, incapaci di valutare i rischi professionali che
incorrono e di prendere le misure di protezione che si imporrebbero. Gli
effetti negativi del lavoro sulla salute dei Bambini sono in particolare:
o crescita
interrotta;
o perdita
della vista e dell’udito;
o malnutrizione
e disturbi dell’alimentazione;
o depressione
e disturbi del sonno;
o malformazioni
ossee;
o infezioni
cutanee e allergie;
o infezioni
respiratorie e intossicazione da agenti chimici;
o aborti
o nascite nelle adolescenti.
-
Bambini
soldati
In
alcuni Paesi devastati dalla guerra, i Bambini sono, frequentemente, arruolati
di forza come soldati. Si stima a 250mila il numero dei Bambini con meno di 18
anni – alcuni ne hanno solo 7 –, che servono in forze armate governative o
gruppi armati di opposizione. Servono come soldati, spie, messaggeri, portatori.
Le missioni più pericolose – come attraversare campi minati prima delle truppe
regolari – sono, sovente, affidate a loro. Questi Bambini sono senza una istruzione
e senza una famiglia e sono obbligati a combattere. Il loro sviluppo sociale,
fisico e mentale ne risente fortemente.
-
sfruttamento sessuale e pornografia
che implica Bambini
L’UNICEF
stima che un milione di Bambini sia gettato, ogni anno, nel mercato del sesso,
un settore che fattura miliardi. Questi Bambini sono, sovente, attratti da
promesse di istruzione o di lavoro. Lo sfruttamento di Bambini nella
prostituzione, la pornografia e il turismo sessuale costituisce una forma,
sempre più corrente, di violenza commercializzata e, in questo caso, le bambine
sono, ancora, le principali vittime.
Gli
abusi sessuali sui Bambini sono, oggi, divenuti un soggetto sul quale si
focalizza l’insieme della società, ma si perdono nella notte dei tempi e, da
sempre, intere generazioni di bambini sono state coinvolte in queste vicende,
vissute, spesso, nel silenzio e nella vergogna.
La
pedofilia, inconfessabile e inconfessata non aveva, dunque, realtà.
La
presa di coscienza del problema e della necessità di agire si è realizzata in
un movimento generale di riconoscimento dell’insieme degli abusi sui Bambini.
Il nostro sguardo cambia con il tempo e noi non accettiamo più, oggi, ciò che
tolleravamo nel passato. Il silenzio sugli abusi sessuali ha permesso che si
perpetuasse, in totale impunità, questa violazione fondamentale dei diritti dei
Bambini.
Prendere
la parola è il primo passo per combattere questo flagello della pedofilia
Meglio
comprendere il fenomeno è una seconda tappa necessaria per tentare di
prevenirlo.
Che
cosa si intende per abuso sessuale su un Bambino?
È l’intenzione dell’adulto di soddisfare, mantenere,
perpetuare la sua eccitazione sessuale, secondo i propri bisogni, a scapito
dello sviluppo psico-sessuale naturale del Bambino. Esercitato
con violenza, costrizione o seduzione, l’abuso può essere verbale, rientrare
nella sfera visiva [produzione o visione di immagini pornografiche, ogni forma
di esibizionismo] o comportare un contatto sessuale [tentativo di stupro, stupro
con penetrazione anale, vaginale o orale, toccamenti, baci, carezze,
masturbazione].
Comporta anche una dimensione di segretezza. L’abusatore
ammonisce il Bambino:
“Mantieni il segreto. È la nostra storia, il
nostro giardino segreto, non si deve dire.”
Il Bambino, allora, non sa quale atteggiamento assumere
e vive sotto la minaccia:
“Se tu lo dici, non ti crederanno.”
Ecco perché la prevenzione nelle scuole è una mano
tesa al Bambino per spezzare il segreto.
Esistono, anche, alcune misure di prevenzione che
possono adottare i genitori:
-
DIRE al Bambino:
“Se qualcuno cerca di toccare
il tuo corpo o ti fa cose che ti fanno sentire strano, devi dire NO a questa
persona.”;
-
NON DIRE al Bambino di fare “tutto ciò che gli adulti gli diranno di fare”, il rispetto dovuto
agli adulti non significa obbedienza cieca.
La pedofilia è la peggiore forma di abuso, perché
è la summa di tutte le forme di
abuso:
-
abuso
di fiducia;
-
abuso
di potere;
-
abuso
fisico;
-
abuso
emotivo;
-
abuso
spirituale:
-
abuso
rituale.
Anche la negligenza è una forma di abuso.
Si può abusare di un Bambino sia per una azione sia
per una mancata azione.
Ogni
carica sessuale viola la sfera intima del Bambino senza che questi comprenda
cosa stia accadendo. L’abuso non è determinato dall’atto sessuale in sé, ma da
ciò che il Bambino sente nel suo corpo, nella sua mente, nei suoi sentimenti.
L’abuso
sessuale su un bambino è, dunque, acclarato anche se:
-
il bambino abbia provato eccitazione
sessuale;
-
il bambino abbia provato piacere
o orgasmo;
-
non vi sia stata costrizione violenta,
fisica o verbale;
-
il bambino abbia ricevuto regali,
attenzioni;
-
il bambino pensi che sia sua la colpa;
-
l’abusatore dica che la vittima sia
stata consenziente;
-
l’abusatore dica che alla vittima sia
piaciuto;
-
l’abusatore dica che la vittima lo abbia
provocato;
-
nessuno lo abbia creduto;
-
non sia accaduto che una sola volta.
Alcune forme di abuso non lasciano cicatrici
visibili; la frequenza e la durata non giocano un ruolo alcuno. È sufficiente
qualche secondo all’adulto per far scivolare la sua mano nella mutandina di un Bambino
e, poi, il mondo non è più lo stesso. L’abuso sessuale di un Bambino può aver
luogo all’interno della stessa famiglia, da parte di un genitore, di un patrigno, di un fratello o di
una sorella o di altri familiari, o al di fuori della famiglia, da parte di un
amico, di un vicino, di un professore o di un aggressore sconosciuto. Nessun Bambino
è preparato psicologicamente ad affrontare stimolazioni sessuali ripetute.
Anche un Bambino di 2 o 3 anni, che non può sapere che questa attività sessuale
sia MALE, svilupperà problemi, che derivano dalla sua incapacità di affrontare
questa stimolazione. Il Bambino di 5 anni o più che conosce l’abusatore e gli è
affezionato, si ritrova preso nella trappola tra l’affetto e la lealtà, che
prova per questa persona, e la sensazione che l’attività sessuale sia NON BENE.
Se il bambino cerca di sfuggire alla relazione sessuale, l’abusatore può
minacciare il Bambino di violenza o di abbandono, loss of love. E, quando l’abuso sessuale avviene in seno alla famiglia,
il Bambino può temere la collera o la vergogna degli altri membri della sua
famiglia o che la famiglia conflagri, se il segreto venga svelato.
Il
termine pedofilia deriva dal greco παις,
παιδός [Bambino] e φιλία [amicizia, affetto]. Filia, è l’amore che lega due persone al di
là dell’esperienza erotica, l’amore che crea una sostanziale intesa, che fa
camminare assieme per una lunga parte della vita.
Cicerone scriveva:
“Idem
velle, atque idem nolle: ea demum firmo amicitia est.”
Con
un significato positivo, la radice greca φιλ-
si ritrova in molti termini: filosofo, colui che ama la saggezza; filantropo,
colui che ama i suoi simili; cinefilo, colui che ama il cinema; cinofilo, colui
che ama i cani... e così via.
Il
termine pedofilo ha, invece, assunto una connotazione sessuale e negativa.
Ma, onestamente, quanti di noi si innamorano di un
Bambino?
Non dovrebbe essere chiamato PEDOCRIMINALE?
Perché si vuole far credere ai giovani che non vi
siano conseguenze gravissime, legate all’incesto, alla pedofilia e agli stupri
sullo sviluppo cognitivo?
La società ha, dunque, bisogno di continuare a
opprimere, sempre, gli stessi finché ne muoiano, è questa la politica?
È come giustificare lo stupro con:
“La donna indossava una minigonna. Come avrei
potuto non violentarla?”
Gli operatori, che si occupano di pedofilia,
avrebbero dovuto, fino dall’inizio, conservare il termine “sevizie sessuali” e opporsi all’utilizzo dell’anglicismo “abuso sessuale su minore”, da child
sexual abuse, che lascia sottintendere un “uso sessuale normale” del Bambino. La sottomissione ai termini
anglosassoni, in Italia, è divenuta peggiore di una moda, una perdita di
pensiero. E, gli italiani sono dei veri campioni in materia…
Escorts,
sex workers, impeachment, offshoring, spread…
Non ho nulla contro i forestierismi, quando
indicano un concetto non altrimenti traducibile, ma perché mai bisogna
utilizzare una espressione inglese, quando ne esiste una italiana perfettamente equivalente?
È vero che, se ramazza bene, lo spazzino eleva la
sua posizione, dando dignità a quello che fa; ma, se traducessimo dall’inglese
tale professione, cosa non remota di questi tempi, in street cleaner,
dustman o garbage collector, cambierebbe qualcosa?
Che disastro!
Nelle mie inchieste ho raccolto testimonianze
agghiaccianti di stupri, che, tuttavia, non vengono chiamati stupri, perché le
vittime esitano a impiegare questo termine e hanno vergogna di chiamare ciò che
hanno vissuto con il loro vero nome. Esitano perché credono che lo stupro si svolga
tra estranei e che la vittima debba essere stata malmenata ed essersi opposta energicamente.
Vi sono ben altre situazioni che costituiscono uno
stupro!
Queste testimonianze mi hanno aiutato a
comprendere tale realtà.
Tutti gli abusi possono avere conseguenze, ma
l’abuso sessuale produce conseguenze più gravi. Un Bambino non è pronto a
vivere una dimensione sessuale, è come se ricevesse una corrente da 120 volts,
mentre non può sopportare che una corrente da 12 volts. L’esperienza è come un
frangente che lo sommerge, provoca una implosione a livello emotivo e mentale,
un insieme di sensazioni: panico, paura, pericolo, colpa, solitudine, vergogna,
abbandono, tradimento, tante emozioni che creano confusione. Un abuso può
aprire la porta a un altro abuso: si può iniziare con il vivere un abuso
emotivo in seno alla propria famiglia e, più tardi, esssere trascinati a essere
abusati sessualmente. Perché un abuso è una storia di non rispetto della integrità
di una persona, una storia di barriera forzata e spezzata.
L’abusatore non avvicina un Bambino qualsiasi, ma il
Bambino poco sicuro di sé, a disagio nella sua pelle e cerca di farsi suo “amico”.
L’abuso da parte di un genitore è ben più grave
dell’abuso da parte di un estraneo, perché per il Bambino, il genitore
rappresenta il modello e il riferimento.
Gli causerà confusione.
“A me non piace ciò che sto vivendo.
Non è bene!
Ma è il mio genitore, mi ama e sa, quindi, ciò che
fa. Deve avere ragione lui e io torto.”
E gli provocherà anche un senso di abbandono.
Se è il suo genitore a fare ciò, con chi deve
parlarne?
L’abusato ricercherà, allora, il genitore ideale,
vivrà relazioni molto forti con persone più grandi. Maturerà una ostilità, una
difficoltà a credere a gesti gratuiti di bontà…
Una difficoltà a credere in Dio…
L’abusato soffrirà di una incapacità ad
avvicinarsi troppo a Dio.
Desidererà questa intimità, ma penserà che non sia
per lui, ma per gli altri.
La testa potrà dire:
“Sì, Dio è buono, Dio mi ama e vuole il meglio per
me.”,
ma il corpo dirà un’altra cosa.
Vi è qualcosa di peggio da gestire della violenza
fisica, è la colpevolezza di aver accettato di tacere come se si fosse
complice. Si tratta di una colpevolezza molto forte.
“Io ho taciuto, dunque, ero d’accordo. In ogni
modo, mi piaceva.”,
è, sovente, ciò che si dice l’abusato.
I Bambini abusati sviluppano, in generale, una
cattiva stima di sé, la sensazione di essere dei “buoni a nulla”, una
concezione anormala del sesso, problemi di sonno, incubi, depressione,
isolamento sociale o familiare, un carattere seduttivo, la convinzione che il
proprio corpo sia sporco o danneggiato, la paura che vi sia qualcosa di anomalo
in loro a livello genitale, un rifiuto ad andare a scuola, un carattere chiuso,
la presenza di temi di aggressione sessuale nei disegni, nei giochi, nelle
fantasie, una aggressività inabituale, un comportamento suicida. Tendono,
altresì, a ripiegare su se stessi, possono rivelarsi incapaci di accordare
fiducia agli adulti. Alcuni Bambini abusati fanno fatica a stabilire relazioni
con terzi, tranne sul piano sessuale; altri divengono, nell’età adulta, loro
stessi abusatori.
Sovente, non vi sono segni fisici di abuso oppure vi
sono segni che solo un medico può rivelare, quali alterazioni nella zona
genitale o anale.
La valutazione professionale e il trattamento
precoce del Bambino abusato sessualmente e della sua famiglia sono il modo
migliore per evitare che il Bambino sviluppi problemi gravi nell’età adulta. Lo
psichiatra infantile aiuterà il Bambino a ritrovare la stima in se stesso e
allevierà i sensi di colpa legati all’abuso. Aiuterà i membri della famiglia a
comprendere come assistere il Bambino, perché superi questo trauma e, se
l’abusatore è un membro della famiglia, lavorerà per restituirlo in un ruolo
sano all’interno della stessa famiglia.
Aiutare un Bambino è più semplice che aiutare un
adulto, perché le conseguenze non avranno, ancora, avuto il tempo di
impregnarsi nella sua identità. Va aiutato a mettere le parole alle proprie
emozioni e a realizzare che è normale provare collera, disgusto, rigetto.
Il Bambino è meno complicato dell’adulto.
Possiede la capacità a gestire lo choc: la RESISTENZA.
Questo termine, usato in fisica, è stato ripreso
dagli psichiatri per indicare la capacità del Bambino a uscire dalla più
dolorosa delle situazioni: La resistenza è un mix di innato e di acquisito da coltivare lungo tutta la vita. Se
si superprotegge un Bambino, si inibisce la resistenza. Divenire genitore, a
esempio, è un segno o un indicatore di resistenza per i sopravvissuti all’abuso.
Questa capacità a sopravvivere a un trauma, a un
maltrattamento, può essere rafforzata da elementi chiamati fattori di
protezione:
-
un
buon rapporto con almeno uno dei genitori o un nonno;
-
un
legame particolare con un adulto degno di fiducia, che lo incoraggi,
permettendogli di proteggere la propria vita;
-
un
animale domestico o un peluche, che sono un buon mezzo per il Bambino per
esprimere le proprie emozioni e rimettersi in contatto;
-
la
propria camera, un luogo tutto suo, per staccarsi dal mondo e rifugiarsi in un
mondo immaginario, nel quale raccontarsi cose positive, alla fine di una
giornata vissuta male: essere l’eroe nel suo mondo;
-
l’umorismo:
la possibilità di prendere le distanze e di ridere;
-
i
riti di una comunità, un ambiente, una struttura;
-
la
religione;
-
l’intelligenza,
che dà un senso di potere;
-
una
attività, che possa dimostrare la propria capacità, il proprio valore e far
crescere la stima di sé.
Se un Bambino ci confida, anche in modo vago, di aver
subito abusi sessuali, incoraggiamolo a parlarne liberamente.
Evitiamo commenti che portino un giudizio.
Mostriamo di avere compreso e di prenderlo sul serio.
Gli psichiatri infantili hanno constatato che i Bambini ascoltati riescono
meglio degli altri. La risposta, data al momento della rivelazione dell’abuso
sessuale, gioca un ruolo essenziale nella capacità del Bambino di mitigare il
trauma dell’abuso sessuale.
Rassicuriamo il Bambino che ha “fatto ciò che si
deve”, parlandone.
Tranquillizziamo il Bambino che non può essere ritenuto
responsabile dell’abuso sessuale. La maggior parte dei Bambini, nel loro
tentativo di dare senso all’abuso credono che, in un modo o in un altro, sia
accaduto a causa loro oppure che sia una forma di punizione per errori immaginari o reali.
Infine, offriamo al Bambino una protezione e promettiamo
di mettere, subito, in atto misure atte a far cessare l’abuso.
Dopo essere stato “vittima”, si diviene
“sopravvissuto”, che è un termine positivo.
Se non è ascoltato, il Bambino svilupperà dei
meccanismi di difesa per proteggersi.
Praticherà il diniego:
“Io dimenticherò ciò che è accaduto, io lo fuggirò
e, al limite, non sarà, mai, accaduto, io lo avrò sognato.”,
o minimizzerà:
“Non è grave, non è accaduto che una sola volta.”
Scuserà, perfino, l’abusatore.
Separerà la testa dal resto del corpo. La testa
vivrà una realtà e il corpo ne vivrà un’altra. La testa potrà dimenticare, ma
il corpo non dimenticherà mai. Vi è una memoria dei corpi. Accadrà, così, che
il trauma possa, di colpo, riaffiorare in superficie senza che il sopravvissuto,
che ha, completamente, dimenticato la sua storia, ne comprenda la ragione. Ciò causerà
una ambivalenza: la testa e il corpo non saranno d’accordo. Di qui, una difficoltà a fare delle scelte, e,
talvolta, un annientamento della volontà.
“Io voglio e io non voglio.”
“Ascoltatemi!
No, lasciatemi in pace!”
Questa ambivalenza è una difficoltà maggiore.
Un tale problema si ritrova anche nella fede:
“Io voglio, ma, infine, io non ne sono certo.”
Un altro meccanismo di sopravvivenza è
l’automutilazione. È il bisogno di soffrire per mettere le parole a una
sofferenza interiore. Il malessere interiore è tale che si deve poterlo
esprimere concretamente. Il modo per esprimere questo malessere interiore è farsi
male fisicamente. Alcuni sentono il bisogno di rivivere un abuso, peccare per
mettere fatti precisi alla loro sensazione di essere cattivi, provocare
situazioni, in cui, effettivamente, peccheranno e avranno la prova che sono,
realmente, cattivi. Esiste anche il bisogno di sentire la sofferenza per essere
sicuri di esistere. Alcuni sono talmente separati dal corpo da sentire di non
vivere e di provare il bisogno di farsi del male per dire:
“Io vivo.”
La collera rivolta contro se stessi è, innegabilmente,
una reazione femminile; l’uomo ha, piuttosto, la tendenza a volgere la collera
contro gli altri e a divenire aggressivo. La collera può essere anche rivolta
contro il proprio corpo: è uno dei motori della prostituzione.
L’ostruzionismo è un modo di automutilarsi, di
denigrarsi. L’immagine di un Bambino che mendica è molto eloquente ed evoca la
relazione che il sopravvissuto all’abuso ha di fronte a se stesso e agli altri.
Si può sentire questo grido:
“Amatemi!
Ascoltatemi!”
Il sopravvissuto si sente come un mendicante che indossa
gli stracci del passato, incollati alla propria pelle; la sua identità è legata
alla sua storia; sono menzogne da denunciare. La vita non gli ha mai fatto doni.
La felicità è per gli altri. E ha acquisito una mentalità da vittima.
“Io subisco la vita.”
È qualcuno che non sa più né sognare, né sperare.
Qualcosa è morto in lui.
Ha una mentalità da schiavo.
Ricerca l’approvazione e l’opinione degli altri,
perché ciò che pensa e che sente non vale nulla. Questa idea negativa proviene
dalla sua volontà annullata. Non crede più nelle sue capacità.
Tutti questi atteggiamenti portano a relazioni
dette disfunzionali. Ogni storia di abuso è una storia di frontiera non
rispettata e violata.
Un abusato gestisce le relazioni. Può passare da
un comportamento all’altro, un giorno, molto aperto, un altro giorno, molto
chiuso, mettendo molta distanza e spingendosi fino a rompere una relazione. Non
possono gestire l’intimità che fino a un certo punto, ma se si parla di
fidanzamento o di matrimonio, è la ritirata.
Il Triangolo Drammatico di Karpman
mostra i tre grandi ruoli che interagiscono per creare la relazione drammatica,
nel senso greco o teatrale del termine:
-
il
persecutore;
-
il
salvatore;
-
la
vittima.
Il Triangolo Drammatico di Karpman mette
in scena tre protagonisti o più, ma prevede che ciascuno degli attori possa non
solo cambiare di ruolo, regolarmente; ma cosa ancora più sorprendente, assuma,
sovente, più ruoli alla volta. Il modello del Triangolo Drammatico di Karpman
è, decisamente, dinamico. La capacità di una persona ad assumere
uno dei ruoli del triangolo presuppone, implicitamente, che cambierà ruolo
almeno una volta nell’interazione. La sua partecipazione a un ruolo suppone,
infatti, che abbia, già, il potenziale per assumere gli altri due.
Questi soggetti si relazionano con gli altri:
-
da
invadenti:
“Io controllo e gestisco per
non essere controllato e gestito.”;
-
da vittime:
“Io sento l’altro più forte e
più grande di me, dunque, mi sottometto.”;
-
da salvatori:
“Io vengo in un contesto, in
cui vi è un problema, io vengo per aiutare.”
Uccidere la propria
sofferenza, occupandosi di quella degli altri. In apparenza, in ambito
cristiano, è “il dono di sé”. È, sovente, dovuto a una incapacità di dire NO. Hanno
molta fede e speranza per gli altri, ma non si deve badare a loro.
La stigmatizzazione è la sensazione di avere un marchio
indelebile, un tatuaggio impresso su di sé; l’abusato pensa che gli altri
vedano su di lui ciò che ha vissuto; sente il bisogno di mascherare ciò che è
realmente, dando l’impressione che tutto vada bene. Ciò induce tutta una
dimensione di solitudine, perché è il suo segreto che deve proteggere. Si corre
il rischio di essere giudicato e rifiutato. Il Bambino perde la sua spensieratezza
e la sua innocenza. Questa solitudine può causare goffaggine, inadeguatezza
sociale: da solitario non è né entrato in contatto con altri né è stato corretto.
Sarà un adulto molto isolato, con un senso acuto di impotenza.
Il Bambino sente l’abbandono, soprattutto, se è
stato forzato a fare qualcosa; non possiede il potere delle parole, perché non
è stato ascoltato.
La sua domanda è:
“Come posso gestire la mia vita in questo mondo?”
Le donne reagiscono piuttosto dal lato
dell’impotenza e l’uomo dal lato del controllo. Vi è, anche, un bisogno di
giustizia legato alla collera; tutti costoro che hanno sofferto utilizzano
questa collera come motore. E, in sé, la collera è buona.
Un’altra conseguenza dell’abuso, è la
sessualizzazione traumatica. L’abusato associa, negativamente, tutto ciò che è
relazione fisica con le pulsioni sessuali, che siano odore, rumore, respiro,
grido. Alcuni cercano una buona relazione sessuale, al fine di cancellare la
brutta esperienza, ciò che spiega il passaggio da un partner all’altro. Possibilità di una confusione dell’identità
sessuale che porta a scivolamenti verso l’omosessualità o il travestitismo. Può
comparire l’odio per il proprio corpo che induce alla prostituzione:
“Io detesto questo corpo, dunque, lo utilizzerò.”
L’abusato cerca qualcosa che anestetizzi la sua
sofferenza. Diviene, sovente, dipendente dal lavoro, dal sesso, dal gioco…
Può divenire piromane, per eliminare e purificare
o cadere nella codipendenza, adattarsi ai bisogni altrui, dipendere da una
persona.
E, tuttavia, tra queste esistenze spezzate, vi
sono perle di una rara bellezza, che sono una lezione di vita nella loro lotta
per sopravvivere e passare dalla sopravvivenza alla vita.
Una persona non è una macchina, non è inerte, non
si può sapere in anticipo come “riparare”, comprendere ciò che pensa, ciò che
vive e la sua reazione di fronte ai problemi.
Vi sono, sempre, due opzioni possibili: scegliere
la vita o la morte, la benedizione o la maledizione, costruire o distruggersi.
E vi è, sempre, la speranza che non si faccia la
scelta sbagliata!
Vi
aspetto alla mia conferenza-dibattito: “1
su 5 la violenza si apprende dall’infanzia”, il
prossimo 20 giugno, da Odradek la Libreria, a Roma.
Roma,
14 giugno 2014
Daniela
Zini
Fondatrice
e portavoce di DONNE IN DIVENIRE
COMUNICATO STAMPA
conferenza-dibattito:
1 su 5
la violenza si
apprende dall’infanzia
a cura di
Daniela Zini
venerdì 20 giugno 2014 – ore 17.00
Odradek la Libreria via dei Banchi Vecchi, 57 – Roma
Sapevate che, in Europa, 1 bambino su 5 è vittima di
violenza sessuale?
Sapevate che, nel 70-85% dei casi, l’autore della
violenza sessuale è qualcuno che il bambino conosce o di cui ha fiducia?
Sapevate
che, nel 90% dei casi, la violenza sessuale non è denunciata alle autorità?
Sapevate, infine, che, il 29 novembre 2010, il
Consiglio d’Europa, nel quadro del programma “COSTRUIRE UNA EUROPA PER E CON I BAMBINI”, ha lanciato una vasta campagna di
sensibilizzazione, per promuovere misure giuridiche, educative e di altro tipo,
destinate a combattere ogni forma di violenza sessuale compiuta su un
bambino, simbolicamente, chiamata 1 su 5?
Questo bambino è depositario di un terribile
segreto.
Questo bambino è smarrito.
Noi possiamo essere colei o colui che ascolterà e
aiuterà questo bambino.
DONNE IN
DIVENIRE sostiene che un
mondo senza violenza è una necessità imperativa per l’avvenire dell’UMANITA’.
In quanto proiezione di questo avvenire, il bambino ha diritto a una protezione
particolare contro ogni forma di violenza, nella sua evoluzione. Per una
società in preda alla miseria crescente e alla povertà antropologica, il
bambino è sempre più considerato una fonte di reddito, ciò ha per effetto di
favorire e rafforzare la spirale della tratta dei bambini a fini di
sfruttamento sessuale.
Daniela Zini
fondatrice e portavoce di DONNE
IN DIVENIRE
Pedofilia: l’infanzia negata
e violata
I.
Che cosa si intende per
pedofilia?
Pedofilia:
l’infanzia negata e violata
II.
Pedofilia e complesso di Edipo
Pedofilia:
l’infanzia negata e violata
III.
Pedofilia e turismo sessuale
Io sono in piedi!
Mi hanno rubato l’infanzia.
Questa è la storia della mia guarigione e della mia vittoria.
Possano altri uomini come me rompere il silenzio!
Dati
inquietanti ci indicano l’ampiezza del problema degli abusi sessuali sui
ragazzi. Come nel caso degli abusi sulle ragazze, non è esagerato parlare di
flagello. Numerose ricerche recenti stimano che almeno 1 su 6 sia vittima di
abusi sessuali, con contatto fisico tra l’abusatore e la vittima, prima di
raggiungere l’età di diciotto anni. Se, poi, la definizione è ampliata per
comprendere l’esposizione precoce agli svaghi sessuali di persone adulte, a
materiale pornografico e a esibizionismo, le stime sono, anche, più elevate,
vanno da 1 su 4 a
1 su 3.
Le
conseguenze dell’abuso sessuale non sono meno numerose, né meno serie, né meno
invasive né meno penose da vivere per gli uomini di quanto non lo siano per le donne.
Nel novero degli effetti più frequentemente incontrati, menzioniamo l’ansia, la
confusione identitaria e sessuale, l’amnesia della propria infanzia, la
difficoltà, perfino, la incapacità di dare fiducia a se stesso e agli altri, disordini
del sonno, la compulsione sessuale, la disfunzione sessuale, la incapacità di
sostenere la intimità nelle relazioni, l’abuso di sostanze psicotrope, la sovra-prestazione
o la sotto-prestazione a livello professionale…
Tenuto
conto della ampiezza delle conseguenze vissute, saremmo portati a credere che
gli uomini ne parlino e “si consultino”, in misura maggiore, per riuscire a
sentirsi meglio nella propria pelle. Constatiamo, invece, che gli uomini “si
consultano”, in un momento o in un altro della loro vita, non per gli abusi
sessuali vissuti, ma per altri motivi: l’abuso e la dipendenza da sostanze
tossiche, una separazione, un divorzio, difficoltà professionali…
In
effetti, le componenti del processo di socializzazione dei ragazzi non solo permettono
di comprendere la difficoltà da parte degli uomini a ricorrere all’aiuto, particolarmente,
se si tratti di abusi sessuali; ma contribuiscono a fare in modo che gli
uomini, nel corso del loro sviluppo – e questo, fino alla età adulta – tendano
a negare che le esperienze sessuali precoci, che hanno vissuto, li abbiano,
fortemente, disturbati.
L’uomo
è, più difficilmente, percepito quale vittima di un atto sessuale abusivo che quale
autore potenziale di una aggressione. Di più, i messaggi, che riceve il ragazzo,
lasciano intendere di accordare un valore positivo a ogni esperienza sessuale precoce;
tenterà, così, di convincersi che era il caso, perfino in seguito ad abusi.
Apprende, egualmente, che il maschio deve prendere l’iniziativa in materia di
sesso, pena di non essere percepito come un vero uomo. Anche qui, è tesa una
trappola al ragazzo e, il più sovente, ne resterà prigioniero fino alla età
adulta. Non solo potrà interpretare i contatti sessuali della infanzia o della adolescenza,
seppure non desiderati, come esperienze che fanno parte di un percorso di vita
particolare, perfino privilegiato, ma potrà, perfino, tentare di convincersi di
avere, forse, provocato lui stesso i contatti sessuali. Senza contare che,
spesso, l’abusatore avrà tentato di rendere la sua vittima responsabile dei
propri atti. Il ragazzo abusato uscirà da queste esperienze con un grande senso
di responsabilità, che si trasformerà, rapidamente, in un senso di colpa. La
vergogna, profondamente ancorata, di chi è e di quello che vive o ha vissuto lo
invaderà, così, rapidamente.
L’impatto
di queste esperienze sessuali, per le quali non aveva raggiunto la maturità
fisica, affettiva ed emozionale adeguata, si lasceranno, ancora, sentire
nell’età adulta, perfino avanzata. E la parola “impatto” è, qui, appropriata
perché il ragazzo, che subisce una forma di abuso sessuale, si ritrova in stato
di choc, che vive, il più sovente, da
solo. Le conseguenze degli abusi sessuali sono, allora, pari alle onde che si
riverberano, negli anni, nella camera oscura e isolata che diviene la vita dell’individuo.
Il
ragazzo apprende, così, che il “vero uomo” deve essere in grado di regolare da
sé le sue questioni… tutto il malessere e tutta la confusione che accompagnano
il vissuto degli abusi sessuali…
Deve
sbarazzarsene con i suoi soli mezzi, a rischio di non riuscire ad acquisire una
percezione positiva di se stesso.
Deve
farcela da solo…
Questa
prescrizione sociale si rivela – e, a ragione! – troppo pesante da metabolizzare
e ne consegue, a vari gradi, una perdita della stima di sé, della fiducia in
sé, un sabotaggio più o meno pernicioso e cronico della propria vita. L’uomo,
allora, conosce tutti i tormenti della depressione e delle sue ramificazioni ed
espressioni; o ancora, nella speranza di conservare l’immagine dell’uomo forte
e controllato, si rende inaccessibile alla emozione e al sentimento…
Ai
veri uomini non sono consentite che la collera e la aggressività, con tutti gli
atti delinquenziali e violenti annessi e connessi!
Esige
un grande coraggio da parte degli uomini aprirsi sul soggetto degli abusi
sessuali, di cui sono stati vittime. Alcuni hanno cercato di farlo, nel momento
in cui gli abusi hanno avuto luogo o poco dopo, ma non ne hanno raccolto che
biasimo e rimprovero o, più semplicemente, diniego e incredulità. Altri, e sono
sempre più numerosi, hanno dovuto, spesso, attendere dieci, venti, trenta e, perfino,
quaranta anni e più, prima di affrontare con altri il passato doloroso, che
hanno conosciuto nella loro infanzia.
Cerca
il Bambino!
Cerca
il Bambino sopravvissuto.
Cerca
il Bambino sopravvissuto, che non gioca con gli altri Bambini che ridono e che corrono.
Chiediti
perché resti solitario anziché unirsi alla gazzarra generale.
Chiediti
perché sembri non avere mai Amici.
Chiediti
perché non sia mai protagonista in gruppo.
Resta
a lungo in silenzio, ma dentro urla a pieni polmoni.
Chiede
aiuto con i suoi occhi tristi, ma nessuno, mai, lo ascolta.
Grida
al mondo per ogni parola non detta, per ogni gesto non fatto,
per ogni sguardo non corrisposto.
Sempre
ombroso e diffidente, dubita di ogni Amicizia.
Sa
che non deve aprirsi o il suo segreto sfuggirà dalle labbra.
Non
ha la forza di venire da te e di dirti ciò che sopporta.
Perché
sente interamente sua la colpa.
Ha
l’impressione di non potere fare niente.
Non
è, mai, salito sulla vettura di uno sconosciuto né ha, mai, accettato caramelle
da un uomo cattivo.
Era
con qualcuno di cui aveva fiducia, quando la sua inquietudine è iniziata.
Fermati,
non ignorare questo Bambino dagli occhi tristi, non voltargli le spalle, non
respingerlo.
Non
negargli il tuo aiuto, ottieni la sua fiducia.
Senti
ciò che ha da dire... potrebbe non piacerti e anche ferirti…
Ma
ascolta la sua storia fino alla fine… perché ciò che è accaduto a lui, avrebbe
potuto, facilmente, accadere a te…
o ti ho scritto questa lettera, poco prima del mio
compleanno, per sbarazzarmi dei miei demoni, perdonarmi, reclamare la mia
infanzia e riappropriarmi del mio compleanno.
La dovevo a me, ma cosa più importante la dovevo a
tutti i Bambini.
Tu potrai ignorarla… sconfessarla…
Io avrei voluto avere il coraggio di scriverla,
subito dopo quanto era accaduto. Ma ero confuso, non sapevo se ciò che avevo
vissuto fosse male oppure no.
Io credo che, chiamando lo stupro con il suo nome
e non con un altro nome, si strappi di dosso la vergogna e si lanci il biasimo
lontano… là ove è giusto che sia.
Io non ne ho mai parlato ad alcuno, perché alcuno
mi avrebbe creduto.
La verità è che neppure io mi credevo.
Io non volevo chiamare l’“incidente” stupro…
Io preferivo chiamarlo con un altro nome.
Mi faceva sentire meno sporco…
Io credo che “incidenti” simili al mio siano
accaduti a molti uomini, che continuano a chiamare ciò che è loro accaduto con
un altro nome.
Così facendo, noi uomini continueremo ad accettare
una parte di ciò che ci è accaduto.
Noi uomini accetteremo, sempre, una parte del
biasimo.
Ma non ci appartiene e sarà solo quando restituiremo
la nostra parte di vergogna, di colpa e di disgusto al mittente, il nostro stupratore,
che avrà inizio la guarigione.
Molti anni separano l’uomo che sono dal Bambino
che ero.
Tu eri mio “amico”.
Ricordi novembre?
Novembre è freddo, piovoso, triste.
È ciò che io trattengo di novembre.
Quando arriva novembre, io mi rintano in un angolo
fino a marzo… fino al nuovo anno…
Ricordi novembre?
Io, sì!
Io non voglio più portare da solo questo fardello,
avere questo ricordo o domandarmi come chiamare questo incidente.
Ho vissuto, a lungo, nella colpa e nella vergogna,
che non sono mie.
Ho vissuto nascosto da tutto e da tutti, non
comprendendo ciò che mi fosse accaduto.
E, poi, non sopportando più questo tormento, ho
iniziato a sballarmi e a frequentare gli ambienti peggiori.
Mi bruciavo i neuroni.
Le angosce continuavano, ma io mi battevo.
Io non volevo quella depressione, che non era mia.
Agorafobico, sociofobico…
Sono passato per molti stati… fino a lasciarmi
calpestare da tutti.
Ma, sempre, io mi battevo.
Io mi dicevo che sarei riuscito a riaffiorare alla
vita.
La mia mente di Bambino bloccata in un incubo.
Oggi, io dico a te: io sono libero.
Tu sei il colpevole…
Io sono la vittima…
Io sono l’innocente…
Ho dovuto attendere trenta anni per comprendere
ciò che tu mi avessi, realmente, fatto: avevi, irrimediabilmente, associato la
mia prima esperienza di piacere sessuale al non avere avuto voce.
Ciò che credo sia il senso umano e vero dello
stupro.
A quaranta anni, la mia vita, con il favore di
sforzi considerevoli, si era stabilizzata.
Io avevo una carriera luminosa.
Io mi ero sposato.
Io avevo tutte le ragioni di essere felice.
Io non lo ero!
Io non avevo parlato a mia moglie di ciò che mi
era accaduto.
Non guarire era divenuto un circolo vizioso, di
cui non riuscivo a sbarazzarmi.
Io avevo, molto semplicemente, vergogna della
passività, di cui avevo dato prova, quel giorno.
Consultai un analista.
Appresi, così, che ero depresso cronico e iniziai
a prendere antidepressivi.
I termini clinici e giuridici, aggressione
sessuale, deviazione di minore, abuso sessuale, violenza sessuale, sono formule
troppo vaghe, suscettibili di indurre le persone in errore.
Ciò che io mi ripetevo, quando una parte di me
provava ancora la vergogna di ciò che avevo subito, era che io non ero stato
violentato, perché tu, che ti eri, abilmente divertito, con il mio pene di
ragazzo di dieci anni, che l’avevi messo nella tua bocca, che avevi premuto le
tue labbra contro le mie e avevi cercato di penetrarvi, il più profondamente
possibile, la tua lingua, tu non mi avevi, analmente, violato. Io temevo che, dicendo di essere stato
aggredito sessualmente, violato o abusato, i miei interlocutori pensassero che
io fossi stato sodomizzato, aggravando il senso di umiliazione che, già,
sentivo per non aver potuto, a dieci anni, impiegare la forza di Superman per
spezzare tutte le ossa della tua mano di predatore.
Anziché definire, precisamente, ciò che tu mi
avevi fatto, io preferivo parlare di “violenze”, sperando così di tradurre ciò
che mi era accaduto.
Evidentemente, non era sufficiente!
Perché le persone concepissero e comprendessero
ciò che io avevo subito, dovevo affrontare il rischio che ne avessero la nausea
o mi voltassero le spalle.
Io dovevo essere specifico, preciso, dettagliato
perché, dicendo che ero stato stuprato, le persone afferrassero, realmente, ciò
che io intendevo dire.
Io non ero stato né fisicamente forzato, né
violentemente brutalizzato. Per l’influenza quasi assoluta che gli adulti hanno
sui Bambini, neppure una penetrazione necessita della violenza fisica, contenuta
nel termine aggressione!
In verità – ed è di ciò di cui avevo più vergogna
–, la reazione del mio pene alle manipolazioni esperte di un adulto era stata
quella del piacere. La prima volta in cui prendevo coscienza, per interposizione
di un altro, della vivacità delle sue terminazioni nervose.
Qualche settimana dopo i tuoi primi toccamenti, tu,
usando le stesse tecniche seduttrici e manipolatrici, abusavi di uno dei miei compagni
di scuola, in mia presenza, per poi abusare di me davanti a lui. Con questo compagno
io non ho mai parlato di quanto ci fosse accaduto. E, due anni dopo, tagliavamo
i ponti.
Tu non eri uno della mia famiglia, un padrigno, un
padre adottivo, un sacerdote e neppure un professore.
Tu non avevi alcuna autorità su di me.
Io ti conoscevo appena, ma tu eri un adulto e
quando tu mi dicevi che mi piaceva ciò che tu mi facevi e che io, in qualche
modo, io, io lo volevo… io ti credevo!
Io avevo dieci anni.
Io ero ingenuo e avevo paura.
Io ero stato aggredito sessualmente, ma non vi erano
prove materiali.
Io avrei voluto difendermi ferocemente, ma so che
anche se non l’ho fatto, tu non avevi il diritto di continuare…
Tu avresti dovuto fermarti…
Cessai ogni contatto con te, ma il tuo ricordo e
il tuo regalo di compleanno mi ossessionano sempre.
Qualche mese dopo, io appiccavo il fuoco alla mia
stanza.
La casa dei miei genitori era devastata dalle
lance antincendio dei pompieri.
A quattordici anni, bevevo alcolici, fumavo erba e
hashish, e disertavo la metà delle lezioni.
A sedici, fuggivo di casa.
Se, all’epoca, qualcuno mi avesse detto che il mio
comportamento fosse da attribuire alla mia aggressione sessuale – una cosa
impossibile, visto che non ne avevo parlato ad alcuno – mi sarei infuriato.
Qualunque osservatore avrebbe potuto dire che io fossi
disturbato.
E io ero disturbato.
Io ero stato spogliato della capacità di conoscere
i miei desideri… di avere desideri miei…
Io ero tormentato da un segreto, cui negavo
importanza e che nessuno, assolutamente nessuno, doveva conoscere.
Io non ho, mai, avuto una vita regolare, come gli
altri, perché ho, sempre, avuto problemi di concentrazione e di
depressione.
Io ho negato e sono sopravvissuto, per cinquanta
anni, mantenendo questo segreto inconscio.
Con il passare del tempo, ho compreso che era
male.
E ho avuto il coraggio di chiamare l’incidente con
il suo nome, di rendermi conto che non era mia la colpa, che non era grave non
essermi difeso e che, per quanto confuso a proposito di ciò che era avvenuto e
se ciò costituisse uno stupro o no, non è mai troppo tardi per chiamare le cose
con il loro nome.
Non è troppo tardi neppure per rendermene conto,
per affrontare questo incidente, in modo appropriato, e riconoscere che tu mi
hai stuprato in modo violento…
Io NON VOGLIO PIÙ chiamare questo incidente con un
altro nome.
Io VOGLIO chiamarlo con il suo nome: STUPRO.
Io VOGLIO sbarazzarmi di questo fardello e dare un
nome al mio incidente.
Io VOGLIO che tu porti la tua parte del fardello,
proprio come me.
Io VOGLIO non essere più il solo a portarlo.
Io VOGLIO che tu sappia che io so ciò che tu mi hai
fatto.
Io VOGLIO che tu sappia che io so che tu mi hai
stuprato.
Io NON VOGLIO PIÙ che dei bastardi PEDOCRIMINALI, come
te, facciano ai Bambini ciò che tu hai fatto a me.
Che tu possa vivere con il tuo male e la tua
vergogna per sempre.
LA PACE NON SIA CON TE!
Ma grazie a te… perché ho appreso la resistenza e
la forza dello spirito.
Il puzzle è assemblato.
Così termina il mio calvario.
Sinceramente
il Bambino, oggi Uomo, che ti è sopravvissuto
Questa lettera è dedicata a tutti coloro che, come
me, hanno conservato segreti terribili senza rivelarli ad alcuno.
Spero che la mia storia vi sia utile.
Non versate lacrime, ma lasciatevi il passato alle
spalle, come sono riuscito a fare io.
Andate in riva al mare e seppellite i vostri
brutti ricordi nella sabbia.
Le maree della vita spazzeranno via il dramma che
avete sepolto.
Fate un respiro profondo, giratevi e allontanatevi
per sempre.
So che, forse, è la cosa più difficile della vostra
vita, ma potete riuscirvi.
Così, non avrete più la sensazione di scalare
quotidianamente il vostro Everest solo per riuscire a vivere, giorno dopo
giorno.
Abbiate fiducia in voi stessi, abbiate fiducia nel
vostro cuore e lasciatevi avvolgere dalla luce di una nuova alba.
Lasciate che il processo di guarigione abbia inizio.
Noi, voi e io, avremo vinto la più intima delle
battaglie.
E nessuno potrà più farci del male.
Saremo sopravvissuti.
Non tacete, come ho fatto io.
Difendete i vostri diritti.
Dobbiamo impedire che accadano, ancora, cose come
queste e proteggere l’innocenza dei Bambini dai mostri che escono dall’ombra
per giocare giochi che non vogliamo più giocare.
Daniela Zini
Fondatrice e portavoce di Donne in
Divenire
Copyright © 14 giugno 2014 ADZ
Chi può dire se, quando le strade
si incontreranno, questo Amore sarà nel tuo cuore?