“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

sabato 14 giugno 2014

PEDOFILIA L’INFANZIA NEGATA E VIOLATA IV. LETTERA APERTA A UN BASTARDO PEDOCRIMINALE di Daniela Zini



PEDOFILIA
L’INFANZIA NEGATA E VIOLATA
“Les grandes personnes ne comprennent jamais rien toutes seules, et c’est fatigant, pour les enfants, de toujours et toujours leur donner des explications.”
Antoine de Saint-Exupéry, Le Petit Prince
 
 di
Daniela Zini


“Damaged people are dangerous. They know they can survive.”

Josephine Hart, Damage

a Te

Ritrovati, solo, senza le tue origini.
Restituiscile ai tuoi antenati, proprio un momento, il tempo di ritrovarti solo.
Senza un colore della  pelle, senza una religione.
Divieni ciò che tu sei.
Fai ciò che, solo, tu puoi.
Allora, ritrovati, solo, senza le tue origini!

Ritrovati, solo, senza il tuo Paese.
Prendi un momento per essere né della politica né della geografia.
Tu non sei un contesto, tu non sei una situazione.
Tu nasci da un contesto, tu crei una situazione.
Allora, ritrovati, solo, senza il tuo Paese!

Ritrovati, solo, senza i tuoi Amici, senza i tuoi affetti, senza il tuo gruppo.
Tu non sei un gruppo, perché il gruppo non è Uno e le guerre intestine non toccano i tuoi intestini.
Allora, ritrovati, solo, senza i tuoi Amici, senza i tuoi affetti, senza il tuo gruppo!

Ritrovati, solo, senza i tuoi nemici.
I nemici non sono nemici che per una storia di gruppi, di situazioni, di Paesi, di origini.
Allora ritrovati, solo, senza i tuoi nemici!

Ritrovati, solo, senza il tuo sesso, senza il tuo genere.
Il sesso è uno strumento, è un dettaglio; il genere è una postura, è un ruolo.
Tu non sei un dettaglio, tu non vuoi avere un ruolo.
Allora ritrovati, solo, senza il tuo sesso, senza il tuo genere!

Ritrovati, solo, senza il tuo volto.
Tu lo vedi con gli occhi degli Altri e senza di loro tu non lo hai, tu non lo hai più.
Non lasciarli modellarti, rimodellarti.
Allora ritrovati, solo, senza il tuo volto!

Ritrovati, solo, senza il tuo nome, senza il tuo cognome.
Rimuovili, per poterti guardare allo specchio senza il loro riflesso.
Senza la loro connotazione, senza la loro sonorità.
Rendili al linguaggio, proprio un momento, il tempo di ritrovarti solo.
Allora ritrovati, solo, senza il tuo nome, senza il tuo cognome!

Tutti questi mascheramenti ti rendono inaccessibile dentro ed estraneo a te stesso, fino ad avere paura di guardarti dentro e non vedere che vuoto… e cadere.
Cadere?
Cadere perché sai che, dentro, non vi è artificio alcuno abbastanza solido, cui poterti aggrappare.
Tu hai paura di ritrovarti solo…  tu hai paura di te stesso…

D
 

Pour Toi
Daniela Zini

Au début j’étais amoureuse
De la splendeur de tes yeux,
De ton sourire,
De ta joie de vivre.

Maintenant j’aime aussi tes larmes
Ta peur de vivre
Et le désarroi
Dans tes yeux.

Mais contre la peur
Je t’aiderai,
Car ma joie de vivre
Est encore la splendeur des tes yeux.



Cari Ragazzi,
mentre guardavo questo filmato [http://www.youtube.com/watch?v=zNUxq8rI6lM&feature=player_embedded] ho pensato a Voi Ragazzi, piccoli e grandi dei cinque continenti, Voi, che siete pieni di vita, che studiate, che giocate, che lavorate…
Voi siete gli animatori delle nostre case, delle nostre aule, nel mondo intero…
Sì, ho pensato, subito, a Voi, perché Voi siete sensibili e attenti al dolore e alle sofferenze di quei Ragazzi che, in questo stesso momento, sono, in strada, gli occhi impauriti, pieni di dolore, in cerca della loro famiglia, di un segno di vita e di un senso di tutto ciò che accade loro.
Io mi rivolgo a Voi perché Voi siete generosi, capaci di gesti coraggiosi.
La gatta ama i suoi piccoli. Ma non li distingue più, una volta che sono divenuti adulti. Invece, nel corso del suo cammino, l’uomo è, costantemente, obbligato a scegliere.
Può decidere di far mangiare, prima di lui, la persona che ama.
Mi piace ripetere questa frase:
“L’uomo è l’immagine di Dio.”
Alcuni ci scherzano su, rispondendo:
“Beh, allora Dio non è molto bello!”
Ma io paragono l’uomo a Dio come il sigillo che viene impresso nella cera. Non conosco il timbro, forse, non lo vedrò mai, ma se osservo, con attenzione, me stessa in profondità, scopro l’infinito. L’uomo è immagine di Dio in negativo, perché tutto ciò che grida in lui, tutto ciò che tende a superare la legge naturale, che è soggetta a istinti brutali, rappresenta una scelta.
Non esiste la generosità istintiva.
Se non esistesse nel cosmo quella piccola nullità che è l’uomo, dotato della libertà che gli permette o di raccogliere, da egoista, tutto ciò che trova, anche a scapito degli Altri, o di sforzarsi di aiutare il prossimo a condurre una vita migliore; se non vi fossero gli esseri umani, che non sono altro che polvere infinitesimale del cosmo, l’universo nella sua totalità sarebbe assurdo.
E questo che cosa significa?
Se la libertà non fosse in grado di sprigionarsi in qualche momento cruciale – quel momento che io chiamo attenzione – la vita sarebbe assurda…
Io Vi domando di trasmettere questo messaggio alle Vostre famiglie, alle persone del Vostro quartiere, alla Vostra scuola, affinché la catena di solidarietà cresca nel mondo intero e divenga un segno di speranza e di amore concreto.
Io sono sicura che il Vostro cuore Vi suggerirà le parole per fare delle Vostre case, delle Vostre scuole, luoghi di solidarietà.
Restiamo uniti con tutti i Ragazzi del mondo e tra noi: l’unione fa la forza!
Vi ringrazio di cuore.
Crediate in tutto il mio affetto.

Daniela Zini
 
È difficile immaginare un ostacolo più grande di quello rappresentato dal commercio sessuale di Bambini nel cammino verso la realizzazione dei diritti umani. Eppure la tratta dei Bambini è solo un elemento del problema ancora più diffuso e profondamente radicato degli abusi sessuali. Milioni di Bambini in tutto il mondo sono sfruttati per il sesso a pagamento. Acquistati e venduti come un qualsiasi bene, fatti oggetto di commercio all’interno e all’esterno dei confini nazionali, gettati in situazioni quali i matrimoni forzati, la prostituzione e la pornografia infantile. Molti di loro subiscono danni profondi e, talvolta, permanenti. Il normale sviluppo fisico ed emotivo viene compromesso, come pure l’autostima e la fiducia. Alla stragrande maggioranza viene, anche, negato il diritto all’istruzione come pure il minimo momento di divertimento e gioco.”
con queste parole il direttore generale dell’UNICEF Carol Bellamy presentava il Rapporto sullo Sfruttamento Sessuale dei Bambini, pochi giorni prima dell’apertura del secondo Congresso Mondiale contro lo Sfruttamento Sessuale dei Bambini [http://www.unicef.org/events/yokohama/index.html], svoltosi a Yokohama tra il 17 e il 20 dicembre 2001.
Ho constatato, nelle mie investigazioni, che la pedofilia è un tema difficile da affrontare, ambiguo e soggetto a polemica. Osare parlarne è darsi la possibilità di trattare e dominare, in profondità, il problema dell’abuso sessuale per meglio combatterlo.
Possano i nostri Bambini attraverso l’informazione, la prevenzione, divenire più forti e meglio protetti all’esterno e all’interno dell’ambiente familiare.
La vulnerabilità e l’innocenza dei Bambini sono abusate, deliberatamente o no, da aggressori sessuali per saziare desideri devianti compulsivi o da pedosessuali incoscienti.
La mia speranza è di aiutare i Bambini, facendomi loro portavoce, per proteggerli come avrei voluto essere protetta, io stessa, da abusi di altro genere, quando ero una bambina.
Parafrasando una frase dell’Esodo, in merito alla schiavitù d’Egitto del popolo di Israele:
“Vidi la sofferenza dei Bambini e me ne sono presa cura.”


IV. LETTERA APERTA
A UN BASTARDO PEDOCRIMINALE


“If we are to teach real Peace in this World, and if we are to carry on a real war against war, we shall have to begin with the Children.”
Mahatma Gandhi

Io credo che ogni Bambino dovrebbe avere il coraggio di sedersi a un tavolo e scrivere una lettera a chi ha abusato di lui.
Ma, non sempre, gliene viene dato il tempo…
Così, ho deciso di scrivere io a questo bastardo.
Vi domanderete perché.
Perché non posso vedere un bambino che sarà, per sempre, vecchio.
Le fiabe narrano, spesso, di un mondo duro, difficile, un mondo di soprusi, un mondo malvagio, in cui la fame, la povertà, la mancanza di giustizia sociale distorcono anche le più naturali leggi morali...
Si arriva ad abbandonare i propri figli nel bosco...
E solo, per un intervento magico o grazie alla fortuna, alla tenacia o alla astuzia, i protagonisti riescono a ritrovare Giustizia e Amore.
Ora, il mondo dei Bambini, mano a mano che siamo andati scoprendolo, si è rivelato sempre più vicino, più simile, a volte, tristemente identico, a quello delle fiabe e, a poco a poco, si è concretizzata nel nostro immaginario, l’equazione bosco delle fiabe = realtà della vita di strada.
E, allora, il bosco delle fiabe esiste anche nella realtà.
Anche adesso e non lontano da noi, milioni di Hänsel e Gretel, di Pollicini, di Pelli d’Asino e di Cappuccetti Rossi, stanno attraversando il bosco, perdendo la strada, bussando alla porta sbagliata...
E la loro fiaba raramente finisce con:
“E vissero felici e contenti…”
“Se vi è qualcosa che desideriamo cambiare nel Bambino, dovremmo prima esaminarlo bene e vedere se non è qualcosa che faremmo meglio a cambiare in noi stessi.”
È questo il pensiero di uno dei massimi pensatori moderni, Carl Gustav Jung. Riecheggia quanto, duemila anni fa, affermava Gesù:
“1 In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: “Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?” 2 Allora Gesù chiamò a sé un Bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: 3 “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i Bambini, non entrerete nel regno dei cieli. 4 Perciò chiunque diventerà piccolo come questo Bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.
5 E chi accoglie anche uno solo di questi Bambini in nome mio, accoglie me.
6 Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare.
Matteo, 18, 1-6
Per quello che ho letto, nessun giornale e meno che mai l’Avvenire lo ha rilevato!
La predilezione che Gesù ebbe per i Fanciulli ci sembra, oggi, del tutto naturale, siamo portati a considerarla come la manifestazione di un animo particolarmente sensibile e nulla più. Ma non è così. L’atteggiamento di Cristo verso l’infanzia era, a quell’epoca, inconcepibile e ha provocato una delle più grandi e silenziose rivoluzioni nella storia dei rapporti umani. Per rendercene conto è utile tratteggiare, almeno a grandi linee, la figura dei ragazzi prima della venuta di Cristo.
A Roma, come ad Atene, un padre aveva diritto di vita o di morte sui neonati fino al riconoscimento della paternità, una cerimonia che si svolgeva una decina di giorni dopo la nascita. Solo dopo tale cerimonia, l’uccisione di un fanciullo veniva considerata un omicidio. A Sparta, non era il padre a decidere, ma lo Stato: ogni neonato doveva essere presentato a un collegio di anziani, che decideva se farlo vivere o meno. Per i nati gracili o malformati non vi era via di scampo. Esisteva, naturalmente, l’aborto, con il quale si tentava di frenare la crescita demografica in tutte le città greche e a Sparta, in particolare. Erano validi anche altri provvedimenti, poi, tornati in uso nella Cina di Mao: proibizione di rapporti sessuali, matrimoni dopo i venticinque anni, segregazione delle donne e quant’altro. In casi di carestia, bisognava ridurre le forze non produttive. Ovviamemente, si iniziava con l’eliminare i Bambini, abbandonandoli in balia degli elementi naturali. Anziché essere uccisi venivano fatti morire di fame e di freddo. Era la cosiddetta “esposizione dei Bambini”. A Roma, si usava lasciarli sulla soglia di un tempio, fingendo di sperare in un ipotetico salvatore: a tale scopo, i benestanti mettevano accanto al bimbo un oggetto di valore, i poveri una corona di olivo come portafortuna. Ma lo Stato scoraggiava le adozioni: il padre naturale, infatti, aveva, sempre, diritto sul figlio e poteva riprenderselo quando, cresciuto, era in grado di lavorare. Le menti più illuminate della civiltà greca non solo approvavano tali pratiche, ma trovavano argomenti convincenti per giustificarle. Platone insegnava che non bisognava nutrire i figli di genitori miserabili.
“Non è, forse, meglio che muoiano subito, piuttosto che vivano una vita grama fatta di stenti e di miserie?”,
si diceva, comunemente, tra gli intellettuali dell’epoca. Aristotele considerava pericolosa, per l’equilibrio della polis, la crescita demografica e proponeva che lo Stato intervenisse, perché il diritto alla procreazione fosse riservato solo agli uomini che avessero superato i trentasette anni di età e non avessero ancora raggiunto i cinquantacinque. Si riteneva, comunemente, che la Grecia non potesse nutrire un solo uomo in più: il rapporto tra territorio e popolazione doveva essere mantenuto con tutti i mezzi, per evitare un futuro catastrofico per tutti. Sempre Aristotele invocava la legge perché intervenisse, energicamente, a impedire che venissero allevati Bambini con handicap. Anche la miseria era considerata una grave malattia e le famiglie povere dovevano lasciare senza cibo i figli “per non trasmettere loro questa terribile malattia”.  Le preoccupazioni economiche guidavano, dunque, la morale di molti genitori e lo Stato tollerava, volentieri, l’infanticidio in periodi di magra. Solo quando aveva bisogno di soldati per le sue guerre si preoccupava dei Bambini e organizzava forme di assistenza alle famiglie povere e numerose. Abbiamo, naturalmente, parlato di Bambini nati liberi; per gli schiavi non vi era nessun tipo di problema: la loro vita non valeva più di quella di un animale da cortile. Anche i figli di ragazze-madri non avevano molte speranze di sopravvivere: la donna “colpevole” veniva cacciata di casa o venduta e il figlio abbandonato o ucciso.
La situazione, in Palestina, non era come nel resto del mondo. Già, al tempo di Abramo, gli ebrei avevano iniziato a tralasciare le pratiche di uccidere il primogenito, come facevano, invece, tutti gli altri popoli antichi. I loro vicini, i cananei, immolavano un Bambino, quando iniziavano i lavori di costruzione di una casa e ne sotterravano il corpo sotto la porta; i filistei non mancavano mai di offrire al loro dio il sangue di ogni primogenito; al momento della fondazione di Gerico, Hiel aveva sacrificato non solo il primogenito Abiram, ma anche Segub, l’ultimo nato. Il fascino delle civiltà dei popoli che attorniavano i pastori di Israele era forte e, spesso, i figli di Abramo cadevano nella tentazione di imitare i costumi socialmente avanzati dei vicini, ma la voce dei profeti si elevava, ogni volta, ad ammonirli e la legge mosaica puniva con la morte coloro che bruciavano i loro figli e le loro figlie in onore degli dei.
Al tempo di Gesù, la vita di un Bambino israelita era, generalmente, considerata sacra al pari di quella di un uomo. Ma un Bambino non aveva diritti, solo doveri; era una creatura che doveva essere costruita [il termine figlio, in ebraico, deriva dal verbo costruire]. Il padre aveva su di lui una autorità indiscussa. La Bibbia gli raccomandava:
“Fagli piegare il capo fintanto che è giovane. Non risparmiargli i colpi.”,
ma lo avvertiva anche che un bravo genitore non doveva far morire il proprio figlio sotto punizioni eccessivamente dure. I Bambini dovevano, innanzitutto, rispettare i genitori e i vecchi. E se non lo facevano, si raccontava loro l’episodio del profeta Eliseo che, deriso da un gruppo di monelli, aveva invocato su di loro la maledizione divina e… subito, erano spuntati dalla foresta due orsi, che avevano sbranato quarantadue fanciulli.
Il Vangelo capovolge la situazione dei Bambini. Il racconto inizia con due protagonisti Fanciulli: Giovanni Battista e Gesù. È la prima volta nella storia che un Fanciullo sia al centro non solo dell’attenzione e dell’amore, ma anche del rispetto dei genitori, che non lo considerano un essere, che appartiene loro. Gesù è adorato dai pastori e dai Re Magi non per quello che sarà, ma per quello che è:
“11 Entrati nella casa, videro il Bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.”
Matteo, 2, 11
Sia Giovanni Battista, sia Gesù manifestano, in giovanissima età, la loro indipendenza dai genitori: il primo, ritirandosi a vivere tra i nomadi del deserto; il secondo, sottraendosi alla loro vigilanza all’età di dodici anni con l’affermare che deve rendere conto delle sue azioni non tanto ai genitori quanto a Dio.
Erode rappresenta, nelle prime pagine del Vangelo, la vecchia concezione: fa uccidere tutti i Bambini in età inferiore ai due anni. L’avvenimento non è registrato che dal Vangelo: gli storici pagani non trovavano la cosa così straordinaria da essere ricordata. Macrobio dirà di sfuggita, attribuendo ad Augusto la battuta:
“Melius est Erodis porcum esse quam filium. [È meglio essere un porco di Erode che suo figlio.]”
Microbio, Saturnalia, II, 4-11
La battuta è ricordata perché, in greco, la parola porco è simile alla parola figlio. Erode, come giudaizzato, non poteva man­giare porco e, pertanto, non lo uccideva; mentre, di fatto, uccideva i propri figli. Insieme ad Alessandro e ad Aristobulo, Erode aveva fatto uccidere trecento ufficiali, accusati di parteggiare per i due gio­vani. Nel 4 a.C., soltanto cinque giorni prima della morte, aveva fatto uccidere un altro suo figlio, il primogenito Antipatro, che aveva desi­gnato erede al trono: di questa morte era stato cosi soddisfatto che, seb­bene si trovasse in condizioni disperate di salute, era sembrato riaversi e migliorare.
Gesù si salva e con lui, ormai, si salveranno dalla loro condizione di schiavi in balia dell’autorità tutti i fanciulli. 

Durante tutta la vita pubblica, Gesù è attorniato da Bambini: li considera i suoi migliori discepoli e invita gli stessi Apostoli a prenderli come esempio. La prima volta che Gesù perde la pazienza, è proprio per difendere i Bambini, che gli apostoli sgridavano a causa del chiasso che facevano.
“14 Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: “Lasciate che i Bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio. 15 In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un Bambino, non entrerà in esso.” 16 E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.”
Marco, 10, 13-16
I due primi grandi miracoli che compie avranno come protagonisti una Fanciulla e un Fanciullo che risusciterà.
Il Bambino era l’ultimo gradino della società, un essere in balia dei genitori e della società stessa. Doveva solo pensare a diventare grande, imitando ovviamente l’esempio dei “grandi”, modelli perfetti.
Gesù capovolge la situazione con un paradosso: non i piccoli debbono imitare i grandi, ma gli adulti farsi piccoli.
È la condizione che pone per poter entrare nel Regno dei Cieli.
“1 In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: “Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?” 2 Allora Gesù chiamò a sé un Bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: 3 “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i Bambini, non entrerete nel regno dei cieli. 4 Perciò chiunque diventerà piccolo come questo Bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.
5 E chi accoglie anche uno solo di questi Bambini in nome mio, accoglie me.”
Matteo, 18, 1-5
I Bambini non sono persone di serie B, non sono uomini-in-divenire, ma hanno una loro compiuta personalità, una loro dignità e meritano, pertanto, non solo affetto e amore, ma anche rispetto. Il rispetto non è legato alla potenza e alla salute e alla età, ma deriva dal fatto che tutti gli esseri, belli e brutti, sani e malati, uomini e donne, appena nati o vecchi, sono egualmente figli di Dio. Genitori e società non hanno più dei diritti sui Bambini, ma solo dei doveri: proteggerli, nutrirli, educarli, rispettarli.
A tutt’oggi l’insegnamento di Gesù è lungi dall’essere messo pienamente in pratica. Il Bambino è, spesso, visto come un investimento.
“Non vi è nessun investimento migliore che mettere latte dentro i Bambini.”,
diceva Winston Churchill, ed è, per questo, ancora considerato inferiore se disabile. Inferiore al punto che alcuni Stati intervengono non più per eliminarli, ma per impedire che nascano…
Come un tempo, lo Stato li considera come futuri soldati o forze di lavoro e, a tale scopo, li programma fino dall’infanzia, maneggiandoli senza quel rispetto alla loro personalità e alle loro capacità, che Gesù ha predicato.
Il germe rivoluzionario, seminato duemila anni fa, ha, appena, iniziato a dare i suoi frutti, anche se, sulla carta, tutti gli uomini sono concordi nel riconoscere i diritti dei Bambini.
Circa 600 milioni di Bambini vivono nella povertà e si addormentano, ogni sera, avendo fame.
Circa 1, 4 milione di Bambini di età inferiore ai 15 anni vive con l’HIV/AIDS.
Ogni anno, tra gli 8mila e i 10mila Bambini vengono uccisi o mutilati da mine terrestri.
Un terzo delle nascite nel mondo non è segnalato. 40 milioni di neonati raggiungono, così, ogni anno, le fila di coloro che passeranno, tutta la loro vita, senza identità né cittadinanza.
Questi Bambini sono vittime di diverse forme di abuso, che hanno effetti devastanti sul loro sviluppo emotivo e fisico.
In cosa consistono gli abusi commessi contro i Bambini?
-         violenze fisiche
Le vie di fatto sono le minacce fisiche più frequenti commesse contro i Bambini. Si designano, così, sia i molti incidenti isolati o ripetuti che rientrano in punizioni sproporzionate [colpi di cinghia o bastone, pugni sul viso o sulla testa], sia i casi particolarmente gravi, in cui i Bambini sono brutalmente malmenati, presi a calci e a pugni, strangolati, ustionati o bruciati.
-         violenze emotive
Si tratta di forme di violenza verbali piuttosto che fisiche: umiliazioni, molestie e vessazioni sistematiche, minacce, espressioni di rigetto o di indifferenza, privazione di ogni contatto sociale, coinvolgimento in comportamenti antisociali o scorretti [crimine, violenza o abuso di sostanze tossiche].
-         lavoro forzato
Si contano nel mondo circa 250 milioni di Bambini di età compresa tra i 5 e i 14 anni impegnati nel mercato del lavoro, di cui 120 milioni a tempo pieno. I Bambini sono più deboli fisicamente e più vulnerabili psichicamente. La loro immaturità li rende, in generale, incapaci di valutare i rischi professionali che incorrono e di prendere le misure di protezione che si imporrebbero. Gli effetti negativi del lavoro sulla salute dei Bambini sono in particolare: 
o      crescita interrotta;
o      perdita della vista e dell’udito;
o      malnutrizione e disturbi dell’alimentazione;
o      depressione e disturbi del sonno;
o      malformazioni ossee;
o      infezioni cutanee e allergie;
o      infezioni respiratorie e intossicazione da agenti chimici;
o      aborti o nascite nelle adolescenti.
-         Bambini soldati
In alcuni Paesi devastati dalla guerra, i Bambini sono, frequentemente, arruolati di forza come soldati. Si stima a 250mila il numero dei Bambini con meno di 18 anni – alcuni ne hanno solo 7 –, che servono in forze armate governative o gruppi armati di opposizione. Servono come soldati, spie, messaggeri, portatori. Le missioni più pericolose – come attraversare campi minati prima delle truppe regolari – sono, sovente, affidate a loro. Questi Bambini sono senza una istruzione e senza una famiglia e sono obbligati a combattere. Il loro sviluppo sociale, fisico e mentale ne risente fortemente.
-         sfruttamento sessuale e pornografia che implica Bambini
L’UNICEF stima che un milione di Bambini sia gettato, ogni anno, nel mercato del sesso, un settore che fattura miliardi. Questi Bambini sono, sovente, attratti da promesse di istruzione o di lavoro. Lo sfruttamento di Bambini nella prostituzione, la pornografia e il turismo sessuale costituisce una forma, sempre più corrente, di violenza commercializzata e, in questo caso, le bambine sono, ancora, le principali vittime.
Gli abusi sessuali sui Bambini sono, oggi, divenuti un soggetto sul quale si focalizza l’insieme della società, ma si perdono nella notte dei tempi e, da sempre, intere generazioni di bambini sono state coinvolte in queste vicende, vissute, spesso, nel silenzio e nella vergogna.
La pedofilia, inconfessabile e inconfessata non aveva, dunque, realtà.
La presa di coscienza del problema e della necessità di agire si è realizzata in un movimento generale di riconoscimento dell’insieme degli abusi sui Bambini. Il nostro sguardo cambia con il tempo e noi non accettiamo più, oggi, ciò che tolleravamo nel passato. Il silenzio sugli abusi sessuali ha permesso che si perpetuasse, in totale impunità, questa violazione fondamentale dei diritti dei Bambini.
Prendere la parola è il primo passo per combattere questo flagello della pedofilia
Meglio comprendere il fenomeno è una seconda tappa necessaria per tentare di prevenirlo.
Che cosa si intende per abuso sessuale su un Bambino?
È l’intenzione dell’adulto di soddisfare, mantenere, perpetuare la sua eccitazione sessuale, secondo i propri bisogni, a scapito dello sviluppo psico-sessuale naturale del Bambino. Esercitato con violenza, costrizione o seduzione, l’abuso può essere verbale, rientrare nella sfera visiva [produzione o visione di immagini pornografiche, ogni forma di esibizionismo] o comportare un contatto sessuale [tentativo di stupro, stupro con penetrazione anale, vaginale o orale, toccamenti, baci, carezze, masturbazione].
Comporta anche una dimensione di segretezza. L’abusatore ammonisce il Bambino:
“Mantieni il segreto. È la nostra storia, il nostro giardino segreto, non si deve dire.”
Il Bambino, allora, non sa quale atteggiamento assumere e vive sotto la minaccia:
“Se tu lo dici, non ti crederanno.”
Ecco perché la prevenzione nelle scuole è una mano tesa al Bambino per spezzare il segreto. 
Esistono, anche, alcune misure di prevenzione che possono adottare i genitori:
-         DIRE al Bambino:
“Se qualcuno cerca di toccare il tuo corpo o ti fa cose che ti fanno sentire strano, devi dire NO a questa persona.”;
-         NON DIRE al Bambino di fare “tutto ciò che gli adulti gli diranno di fare”, il rispetto dovuto agli adulti non significa obbedienza cieca.
La pedofilia è la peggiore forma di abuso, perché è la summa di tutte le forme di abuso:
-         abuso di fiducia;
-         abuso di potere;
-         abuso fisico;
-         abuso emotivo;
-         abuso spirituale:
-         abuso rituale. 
Anche la negligenza è una forma di abuso.
Si può abusare di un Bambino sia per una azione sia per una mancata azione.
Ogni carica sessuale viola la sfera intima del Bambino senza che questi comprenda cosa stia accadendo. L’abuso non è determinato dall’atto sessuale in sé, ma da ciò che il Bambino sente nel suo corpo, nella sua mente, nei suoi sentimenti.
L’abuso sessuale su un bambino è, dunque, acclarato anche se:
-         il bambino abbia provato eccitazione sessuale;
-         il bambino abbia provato piacere o  orgasmo;
-         non vi sia stata costrizione violenta, fisica o verbale;
-         il bambino abbia ricevuto regali, attenzioni;
-         il bambino pensi che sia sua la colpa;
-         l’abusatore dica che la vittima sia stata consenziente;
-         l’abusatore dica che alla vittima sia piaciuto;
-         l’abusatore dica che la vittima lo abbia provocato;
-         nessuno lo abbia creduto;
-         non sia accaduto che una sola volta.
Alcune forme di abuso non lasciano cicatrici visibili; la frequenza e la durata non giocano un ruolo alcuno. È sufficiente qualche secondo all’adulto per far scivolare la sua mano nella mutandina di un Bambino e, poi, il mondo non è più lo stesso. L’abuso sessuale di un Bambino può aver luogo all’interno della stessa famiglia, da parte di  un genitore, di un patrigno, di un fratello o di una sorella o di altri familiari, o al di fuori della famiglia, da parte di un amico, di un vicino, di un professore o di un aggressore sconosciuto. Nessun Bambino è preparato psicologicamente ad affrontare stimolazioni sessuali ripetute. Anche un Bambino di 2 o 3 anni, che non può sapere che questa attività sessuale sia MALE, svilupperà problemi, che derivano dalla sua incapacità di affrontare questa stimolazione. Il Bambino di 5 anni o più che conosce l’abusatore e gli è affezionato, si ritrova preso nella trappola tra l’affetto e la lealtà, che prova per questa persona, e la sensazione che l’attività sessuale sia NON BENE. Se il bambino cerca di sfuggire alla relazione sessuale, l’abusatore può minacciare il Bambino di violenza o di abbandono, loss of love. E, quando l’abuso sessuale avviene in seno alla famiglia, il Bambino può temere la collera o la vergogna degli altri membri della sua famiglia o che la famiglia conflagri, se il segreto venga svelato.
Il termine pedofilia deriva dal greco παις, παιδός [Bambino] e φιλία [amicizia, affetto]. Filia, è l’amore che lega due persone al di là dell’esperienza erotica, l’amore che crea una sostanziale intesa, che fa camminare assieme per una lunga parte della vita. 
Cicerone scriveva:
“Idem velle, atque idem nolle: ea demum firmo amicitia est.”
Con un significato positivo, la radice greca φιλ- si ritrova in molti termini: filosofo, colui che ama la saggezza; filantropo, colui che ama i suoi simili; cinefilo, colui che ama il cinema; cinofilo, colui che ama i cani... e così via.
Il termine pedofilo ha, invece, assunto una connotazione sessuale e negativa.   
Ma, onestamente, quanti di noi si innamorano di un Bambino?
Non dovrebbe essere chiamato PEDOCRIMINALE?
Perché si vuole far credere ai giovani che non vi siano conseguenze gravissime, legate all’incesto, alla pedofilia e agli stupri sullo sviluppo cognitivo?
La società ha, dunque, bisogno di continuare a opprimere, sempre, gli stessi finché ne muoiano, è questa la politica?
È come giustificare lo stupro con:
“La donna indossava una minigonna. Come avrei potuto non violentarla?”
Gli operatori, che si occupano di pedofilia, avrebbero dovuto, fino dall’inizio, conservare il termine “sevizie sessuali” e opporsi all’utilizzo dell’anglicismo “abuso sessuale su minore”, da child sexual abuse, che  lascia sottintendere un “uso sessuale normale” del Bambino. La sottomissione ai termini anglosassoni, in Italia, è divenuta peggiore di una moda, una perdita di pensiero. E, gli italiani sono dei veri campioni in materia…
Escorts, sex workers, impeachment, offshoring, spread…
Non ho nulla contro i forestierismi, quando indicano un concetto non altrimenti traducibile, ma perché mai bisogna utilizzare una espressione inglese, quando ne esiste una italiana perfettamente equivalente?
È vero che, se ramazza bene, lo spazzino eleva la sua posizione, dando dignità a quello che fa; ma, se traducessimo dall’inglese tale professione, cosa non remota di questi tempi, in street cleaner, dustman o garbage collector, cambierebbe qualcosa?
Che disastro!
Nelle mie inchieste ho raccolto testimonianze agghiaccianti di stupri, che, tuttavia, non vengono chiamati stupri, perché le vittime esitano a impiegare questo termine e hanno vergogna di chiamare ciò che hanno vissuto con il loro vero nome. Esitano perché credono che lo stupro si svolga tra estranei e che la vittima debba essere stata malmenata ed essersi opposta energicamente.
Vi sono ben altre situazioni che costituiscono uno stupro!
Queste testimonianze mi hanno aiutato a comprendere  tale realtà.
Tutti gli abusi possono avere conseguenze, ma l’abuso sessuale produce conseguenze più gravi. Un Bambino non è pronto a vivere una dimensione sessuale, è come se ricevesse una corrente da 120 volts, mentre non può sopportare che una corrente da 12 volts. L’esperienza è come un frangente che lo sommerge, provoca una implosione a livello emotivo e mentale, un insieme di sensazioni: panico, paura, pericolo, colpa, solitudine, vergogna, abbandono, tradimento, tante emozioni che creano confusione. Un abuso può aprire la porta a un altro abuso: si può iniziare con il vivere un abuso emotivo in seno alla propria famiglia e, più tardi, esssere trascinati a essere abusati sessualmente. Perché un abuso è una storia di non rispetto della integrità di una persona, una storia di barriera forzata e spezzata.
L’abusatore non avvicina un Bambino qualsiasi, ma il Bambino poco sicuro di sé, a disagio nella sua pelle e cerca di farsi suo “amico”.
L’abuso da parte di un genitore è ben più grave dell’abuso da parte di un estraneo, perché per il Bambino, il genitore rappresenta il modello e il riferimento.
Gli causerà confusione.
“A me non piace ciò che sto vivendo.
Non è bene!
Ma è il mio genitore, mi ama e sa, quindi, ciò che fa. Deve avere ragione lui e io torto.”
E gli provocherà anche un senso di abbandono.
Se è il suo genitore a fare ciò, con chi deve parlarne?
L’abusato ricercherà, allora, il genitore ideale, vivrà relazioni molto forti con persone più grandi. Maturerà una ostilità, una difficoltà a credere a gesti gratuiti di bontà…
Una difficoltà a credere in Dio…
L’abusato soffrirà di una incapacità ad avvicinarsi troppo a Dio.
Desidererà questa intimità, ma penserà che non sia per lui, ma per gli altri.
La testa potrà dire:
“Sì, Dio è buono, Dio mi ama e vuole il meglio per me.”,
ma il corpo dirà un’altra cosa.
Vi è qualcosa di peggio da gestire della violenza fisica, è la colpevolezza di aver accettato di tacere come se si fosse complice. Si tratta di una colpevolezza molto forte.
“Io ho taciuto, dunque, ero d’accordo. In ogni modo, mi piaceva.”,
è, sovente, ciò che si dice l’abusato.
I Bambini abusati sviluppano, in generale, una cattiva stima di sé, la sensazione di essere dei “buoni a nulla”, una concezione anormala del sesso, problemi di sonno, incubi, depressione, isolamento sociale o familiare, un carattere seduttivo, la convinzione che il proprio corpo sia sporco o danneggiato, la paura che vi sia qualcosa di anomalo in loro a livello genitale, un rifiuto ad andare a scuola, un carattere chiuso, la presenza di temi di aggressione sessuale nei disegni, nei giochi, nelle fantasie, una aggressività inabituale, un comportamento suicida. Tendono, altresì, a ripiegare su se stessi, possono rivelarsi incapaci di accordare fiducia agli adulti. Alcuni Bambini abusati fanno fatica a stabilire relazioni con terzi, tranne sul piano sessuale; altri divengono, nell’età adulta, loro stessi abusatori.
Sovente, non vi sono segni fisici di abuso oppure vi sono segni che solo un medico può rivelare, quali alterazioni nella zona genitale o anale.
La valutazione professionale e il trattamento precoce del Bambino abusato sessualmente e della sua famiglia sono il modo migliore per evitare che il Bambino sviluppi problemi gravi nell’età adulta. Lo psichiatra infantile aiuterà il Bambino a ritrovare la stima in se stesso e allevierà i sensi di colpa legati all’abuso. Aiuterà i membri della famiglia a comprendere come assistere il Bambino, perché superi questo trauma e, se l’abusatore è un membro della famiglia, lavorerà per restituirlo in un ruolo sano all’interno della stessa famiglia.
Aiutare un Bambino è più semplice che aiutare un adulto, perché le conseguenze non avranno, ancora, avuto il tempo di impregnarsi nella sua identità. Va aiutato a mettere le parole alle proprie emozioni e a realizzare che è normale provare collera, disgusto, rigetto.
Il Bambino è meno complicato dell’adulto. 
Possiede la capacità a gestire lo choc: la RESISTENZA.
Questo termine, usato in fisica, è stato ripreso dagli psichiatri per indicare la capacità del Bambino a uscire dalla più dolorosa delle situazioni: La resistenza è un mix di innato e di acquisito da coltivare lungo tutta la vita. Se si superprotegge un Bambino, si inibisce la resistenza. Divenire genitore, a esempio, è un segno o un indicatore di resistenza per i sopravvissuti all’abuso.
Questa capacità a sopravvivere a un trauma, a un maltrattamento, può essere rafforzata da elementi chiamati fattori di protezione:
-         un buon rapporto con almeno uno dei genitori o un nonno;
-         un legame particolare con un adulto degno di fiducia, che lo incoraggi, permettendogli di proteggere la propria vita;
-         un animale domestico o un peluche, che sono un buon mezzo per il Bambino per esprimere le proprie emozioni e rimettersi in contatto;
-         la propria camera, un luogo tutto suo, per staccarsi dal mondo e rifugiarsi in un mondo immaginario, nel quale raccontarsi cose positive, alla fine di una giornata vissuta male: essere l’eroe nel suo mondo;
-         l’umorismo: la possibilità di prendere le distanze e di ridere;
-         i riti di una comunità, un ambiente, una struttura;
-         la religione;
-         l’intelligenza, che dà un senso di potere;
-         una attività, che possa dimostrare la propria capacità, il proprio valore e far crescere la stima di sé.  
Se un Bambino ci confida, anche in modo vago, di aver subito abusi sessuali, incoraggiamolo a parlarne liberamente.
Evitiamo commenti che portino un giudizio.
Mostriamo di avere compreso e di prenderlo sul serio. Gli psichiatri infantili hanno constatato che i Bambini ascoltati riescono meglio degli altri. La risposta, data al momento della rivelazione dell’abuso sessuale, gioca un ruolo essenziale nella capacità del Bambino di mitigare il trauma dell’abuso sessuale. 
Rassicuriamo il Bambino che ha “fatto ciò che si deve”, parlandone.
Tranquillizziamo il Bambino che non può essere ritenuto responsabile dell’abuso sessuale. La maggior parte dei Bambini, nel loro tentativo di dare senso all’abuso credono che, in un modo o in un altro, sia accaduto a causa loro oppure che sia una forma di punizione per errori  immaginari o reali.
Infine, offriamo al Bambino una protezione e promettiamo di mettere, subito, in atto misure atte a far cessare l’abuso.
Dopo essere stato “vittima”, si diviene “sopravvissuto”, che è un termine positivo.
Se non è ascoltato, il Bambino svilupperà dei meccanismi di difesa per proteggersi.
Praticherà il diniego:
“Io dimenticherò ciò che è accaduto, io lo fuggirò e, al limite, non sarà, mai, accaduto, io lo avrò sognato.”,
o minimizzerà:
“Non è grave, non è accaduto che una sola volta.”
Scuserà, perfino, l’abusatore.
Separerà la testa dal resto del corpo. La testa vivrà una realtà e il corpo ne vivrà un’altra. La testa potrà dimenticare, ma il corpo non dimenticherà mai. Vi è una memoria dei corpi. Accadrà, così, che il trauma possa, di colpo, riaffiorare in superficie senza che il sopravvissuto, che ha, completamente, dimenticato la sua storia, ne comprenda la ragione. Ciò causerà una ambivalenza: la testa e il corpo non saranno d’accordo.  Di qui, una difficoltà a fare delle scelte, e, talvolta, un annientamento della volontà.
“Io voglio e io non voglio.”
“Ascoltatemi!
No, lasciatemi in pace!”
Questa ambivalenza è una difficoltà maggiore.
Un tale problema si ritrova anche nella fede:
“Io voglio, ma, infine, io non ne sono certo.”
Un altro meccanismo di sopravvivenza è l’automutilazione. È il bisogno di soffrire per mettere le parole a una sofferenza interiore. Il malessere interiore è tale che si deve poterlo esprimere concretamente. Il modo per esprimere questo malessere interiore è farsi male fisicamente. Alcuni sentono il bisogno di rivivere un abuso, peccare per mettere fatti precisi alla loro sensazione di essere cattivi, provocare situazioni, in cui, effettivamente, peccheranno e avranno la prova che sono, realmente, cattivi. Esiste anche il bisogno di sentire la sofferenza per essere sicuri di esistere. Alcuni sono talmente separati dal corpo da sentire di non vivere e di provare il bisogno di farsi del male per dire:
“Io vivo.”
La collera rivolta contro se stessi è, innegabilmente, una reazione femminile; l’uomo ha, piuttosto, la tendenza a volgere la collera contro gli altri e a divenire aggressivo. La collera può essere anche rivolta contro il proprio corpo: è uno dei motori della prostituzione.
L’ostruzionismo è un modo di automutilarsi, di denigrarsi. L’immagine di un Bambino che mendica è molto eloquente ed evoca la relazione che il sopravvissuto all’abuso ha di fronte a se stesso e agli altri. Si può sentire questo grido:
“Amatemi!
Ascoltatemi!”
Il sopravvissuto si sente come un mendicante che indossa gli stracci del passato, incollati alla propria pelle; la sua identità è legata alla sua storia; sono menzogne da denunciare. La vita non gli ha mai fatto doni. La felicità è per gli altri. E ha acquisito una mentalità da vittima.
“Io subisco la vita.”
È qualcuno che non sa più né sognare, né sperare.
Qualcosa è morto in lui.
Ha una mentalità da schiavo.
Ricerca l’approvazione e l’opinione degli altri, perché ciò che pensa e che sente non vale nulla. Questa idea negativa proviene dalla sua volontà annullata. Non crede più nelle sue capacità.
Tutti questi atteggiamenti portano a relazioni dette disfunzionali. Ogni storia di abuso è una storia di frontiera non rispettata e violata.
Un abusato gestisce le relazioni. Può passare da un comportamento all’altro, un giorno, molto aperto, un altro giorno, molto chiuso, mettendo molta distanza e spingendosi fino a rompere una relazione. Non possono gestire l’intimità che fino a un certo punto, ma se si parla di fidanzamento o di matrimonio, è la ritirata.
Il Triangolo Drammatico di Karpman mostra i tre grandi ruoli che interagiscono per creare la relazione drammatica, nel senso greco o teatrale del termine:
-         il persecutore;
-         il salvatore;
-         la vittima.
Il Triangolo Drammatico di Karpman mette in scena tre protagonisti o più, ma prevede che ciascuno degli attori possa non solo cambiare di ruolo, regolarmente; ma cosa ancora più sorprendente, assuma, sovente, più ruoli alla volta. Il modello del Triangolo Drammatico di Karpman è, decisamente, dinamico. La capacità di una persona ad assumere uno dei ruoli del triangolo presuppone, implicitamente, che cambierà ruolo almeno una volta nell’interazione. La sua partecipazione a un ruolo suppone, infatti, che abbia, già, il potenziale per assumere gli altri due.
Questi soggetti si relazionano con gli altri:
-         da invadenti:
“Io controllo e gestisco per non essere controllato e gestito.”;
-         da vittime:
“Io sento l’altro più forte e più grande di me, dunque, mi sottometto.”;
-         da salvatori:
“Io vengo in un contesto, in cui vi è un problema, io vengo per aiutare.”   
Uccidere la propria sofferenza, occupandosi di quella degli altri. In apparenza, in ambito cristiano, è “il dono di sé”. È, sovente, dovuto a una incapacità di dire NO. Hanno molta fede e speranza per gli altri, ma non si deve badare a loro.
La stigmatizzazione è la sensazione di avere un marchio indelebile, un tatuaggio impresso su di sé; l’abusato pensa che gli altri vedano su di lui ciò che ha vissuto; sente il bisogno di mascherare ciò che è realmente, dando l’impressione che tutto vada bene. Ciò induce tutta una dimensione di solitudine, perché è il suo segreto che deve proteggere. Si corre il rischio di essere giudicato e rifiutato. Il Bambino perde la sua spensieratezza e la sua innocenza. Questa solitudine può causare goffaggine, inadeguatezza sociale: da solitario non è né entrato in contatto con altri né è stato corretto. Sarà un adulto molto isolato, con un senso acuto di impotenza.
Il Bambino sente l’abbandono, soprattutto, se è stato forzato a fare qualcosa; non possiede il potere delle parole, perché non è stato ascoltato. 
La sua domanda è:
“Come posso gestire la mia vita in questo mondo?”
Le donne reagiscono piuttosto dal lato dell’impotenza e l’uomo dal lato del controllo. Vi è, anche, un bisogno di giustizia legato alla collera; tutti costoro che hanno sofferto utilizzano questa collera come motore. E, in sé, la collera è buona.
Un’altra conseguenza dell’abuso, è la sessualizzazione traumatica. L’abusato associa, negativamente, tutto ciò che è relazione fisica con le pulsioni sessuali, che siano odore, rumore, respiro, grido. Alcuni cercano una buona relazione sessuale, al fine di cancellare la brutta esperienza, ciò che spiega il passaggio da un partner all’altro. Possibilità di una confusione dell’identità sessuale che porta a scivolamenti verso l’omosessualità o il travestitismo. Può comparire l’odio per il proprio corpo che induce alla prostituzione:
“Io detesto questo corpo, dunque, lo utilizzerò.”
L’abusato cerca qualcosa che anestetizzi la sua sofferenza. Diviene, sovente, dipendente dal lavoro, dal sesso, dal gioco…
Può divenire piromane, per eliminare e purificare o cadere nella codipendenza, adattarsi ai bisogni altrui, dipendere da una persona.
E, tuttavia, tra queste esistenze spezzate, vi sono perle di una rara bellezza, che sono una lezione di vita nella loro lotta per sopravvivere e passare dalla sopravvivenza alla vita.
Una persona non è una macchina, non è inerte, non si può sapere in anticipo come “riparare”, comprendere ciò che pensa, ciò che vive e la sua reazione di fronte ai problemi.
Vi sono, sempre, due opzioni possibili: scegliere la vita o la morte, la benedizione o la maledizione, costruire o distruggersi.
E vi è, sempre, la speranza che non si faccia la scelta sbagliata!
Vi aspetto alla mia conferenza-dibattito: “1 su 5 la violenza si apprende dall’infanzia”, il prossimo 20 giugno, da Odradek la Libreria, a Roma.

Roma, 14 giugno 2014

Daniela Zini
Fondatrice e portavoce di DONNE IN DIVENIRE



COMUNICATO STAMPA

conferenza-dibattito:
1 su 5
la violenza si apprende dall’infanzia

a cura di Daniela Zini

venerdì 20 giugno 2014 – ore 17.00
Odradek la Libreria via dei Banchi Vecchi, 57 – Roma

Sapevate che, in Europa, 1 bambino su 5 è vittima di violenza sessuale?
Sapevate che, nel 70-85% dei casi, l’autore della violenza sessuale è qualcuno che il bambino conosce o di cui ha fiducia?
Sapevate che, nel 90% dei casi, la violenza sessuale non è denunciata alle autorità?
Sapevate, infine, che, il 29 novembre 2010, il Consiglio d’Europa, nel quadro del programma “COSTRUIRE UNA EUROPA PER E CON I BAMBINI”,  ha lanciato una vasta campagna di sensibilizzazione, per promuovere misure giuridiche, educative e di altro tipo, destinate a combattere ogni forma di violenza sessuale compiuta su un bambino,  simbolicamente, chiamata 1 su 5?
Questo bambino è depositario di un terribile segreto.
Questo bambino è smarrito.
Noi possiamo essere colei o colui che ascolterà e aiuterà questo bambino. 
DONNE IN DIVENIRE sostiene che un mondo senza violenza è una necessità imperativa per l’avvenire dell’UMANITA’. In quanto proiezione di questo avvenire, il bambino ha diritto a una protezione particolare contro ogni forma di violenza, nella sua evoluzione. Per una società in preda alla miseria crescente e alla povertà antropologica, il bambino è sempre più considerato una fonte di reddito, ciò ha per effetto di favorire e rafforzare la spirale della tratta dei bambini a fini di sfruttamento sessuale.    

Daniela Zini
fondatrice e portavoce di DONNE IN DIVENIRE



Pedofilia: l’infanzia negata e violata
I.                   Che cosa si intende per pedofilia?

Pedofilia: l’infanzia negata e violata
II.                 Pedofilia e complesso di Edipo
 
Pedofilia: l’infanzia negata e violata
III.             Pedofilia e turismo sessuale


Io sono in piedi!
Mi hanno rubato l’infanzia.
Questa è la storia della mia guarigione e della mia vittoria.
Possano altri uomini come me rompere il silenzio!

Dati inquietanti ci indicano l’ampiezza del problema degli abusi sessuali sui ragazzi. Come nel caso degli abusi sulle ragazze, non è esagerato parlare di flagello. Numerose ricerche recenti stimano che almeno 1 su 6 sia vittima di abusi sessuali, con contatto fisico tra l’abusatore e la vittima, prima di raggiungere l’età di diciotto anni. Se, poi, la definizione è ampliata per comprendere l’esposizione precoce agli svaghi sessuali di persone adulte, a materiale pornografico e a esibizionismo, le stime sono, anche, più elevate, vanno da 1 su 4 a 1 su 3.
Le conseguenze dell’abuso sessuale non sono meno numerose, né meno serie, né meno invasive né meno penose da vivere per gli uomini di quanto non lo siano per le donne. Nel novero degli effetti più frequentemente incontrati, menzioniamo l’ansia, la confusione identitaria e sessuale, l’amnesia della propria infanzia, la difficoltà, perfino, la incapacità di dare fiducia a se stesso e agli altri, disordini del sonno, la compulsione sessuale, la disfunzione sessuale, la incapacità di sostenere la intimità nelle relazioni, l’abuso di sostanze psicotrope, la sovra-prestazione o la sotto-prestazione a livello professionale…
Tenuto conto della ampiezza delle conseguenze vissute, saremmo portati a credere che gli uomini ne parlino e “si consultino”, in misura maggiore, per riuscire a sentirsi meglio nella propria pelle. Constatiamo, invece, che gli uomini “si consultano”, in un momento o in un altro della loro vita, non per gli abusi sessuali vissuti, ma per altri motivi: l’abuso e la dipendenza da sostanze tossiche, una separazione, un divorzio, difficoltà professionali…
In effetti, le componenti del processo di socializzazione dei ragazzi non solo permettono di comprendere la difficoltà da parte degli uomini a ricorrere all’aiuto, particolarmente, se si tratti di abusi sessuali; ma contribuiscono a fare in modo che gli uomini, nel corso del loro sviluppo – e questo, fino alla età adulta – tendano a negare che le esperienze sessuali precoci, che hanno vissuto, li abbiano, fortemente, disturbati.
L’uomo è, più difficilmente, percepito quale vittima di un atto sessuale abusivo che quale autore potenziale di una aggressione. Di più, i messaggi, che riceve il ragazzo, lasciano intendere di accordare un valore positivo a ogni esperienza sessuale precoce; tenterà, così, di convincersi che era il caso, perfino in seguito ad abusi. Apprende, egualmente, che il maschio deve prendere l’iniziativa in materia di sesso, pena di non essere percepito come un vero uomo. Anche qui, è tesa una trappola al ragazzo e, il più sovente, ne resterà prigioniero fino alla età adulta. Non solo potrà interpretare i contatti sessuali della infanzia o della adolescenza, seppure non desiderati, come esperienze che fanno parte di un percorso di vita particolare, perfino privilegiato, ma potrà, perfino, tentare di convincersi di avere, forse, provocato lui stesso i contatti sessuali. Senza contare che, spesso, l’abusatore avrà tentato di rendere la sua vittima responsabile dei propri atti. Il ragazzo abusato uscirà da queste esperienze con un grande senso di responsabilità, che si trasformerà, rapidamente, in un senso di colpa. La vergogna, profondamente ancorata, di chi è e di quello che vive o ha vissuto lo invaderà, così, rapidamente.
L’impatto di queste esperienze sessuali, per le quali non aveva raggiunto la maturità fisica, affettiva ed emozionale adeguata, si lasceranno, ancora, sentire nell’età adulta, perfino avanzata. E la parola “impatto” è, qui, appropriata perché il ragazzo, che subisce una forma di abuso sessuale, si ritrova in stato di choc, che vive, il più sovente, da solo. Le conseguenze degli abusi sessuali sono, allora, pari alle onde che si riverberano, negli anni, nella camera oscura e isolata che diviene la vita dell’individuo.
Il ragazzo apprende, così, che il “vero uomo” deve essere in grado di regolare da sé le sue questioni… tutto il malessere e tutta la confusione che accompagnano il vissuto degli abusi sessuali…
Deve sbarazzarsene con i suoi soli mezzi, a rischio di non riuscire ad acquisire una percezione positiva di se stesso.
Deve farcela da solo…
Questa prescrizione sociale si rivela – e, a ragione! – troppo pesante da metabolizzare e ne consegue, a vari gradi, una perdita della stima di sé, della fiducia in sé, un sabotaggio più o meno pernicioso e cronico della propria vita. L’uomo, allora, conosce tutti i tormenti della depressione e delle sue ramificazioni ed espressioni; o ancora, nella speranza di conservare l’immagine dell’uomo forte e controllato, si rende inaccessibile alla emozione e al sentimento…
Ai veri uomini non sono consentite che la collera e la aggressività, con tutti gli atti delinquenziali e violenti annessi e connessi!
Esige un grande coraggio da parte degli uomini aprirsi sul soggetto degli abusi sessuali, di cui sono stati vittime. Alcuni hanno cercato di farlo, nel momento in cui gli abusi hanno avuto luogo o poco dopo, ma non ne hanno raccolto che biasimo e rimprovero o, più semplicemente, diniego e incredulità. Altri, e sono sempre più numerosi, hanno dovuto, spesso, attendere dieci, venti, trenta e, perfino, quaranta anni e più, prima di affrontare con altri il passato doloroso, che hanno conosciuto nella loro infanzia.  


Cerca il Bambino!
Cerca il Bambino sopravvissuto.
Cerca il Bambino sopravvissuto, che non gioca con gli altri Bambini che ridono e che corrono.
Chiediti perché resti solitario anziché unirsi alla gazzarra generale.
Chiediti perché sembri non avere mai Amici.
Chiediti perché non sia mai protagonista in gruppo.
Resta a lungo in silenzio, ma dentro urla a pieni polmoni.
Chiede aiuto con i suoi occhi tristi, ma nessuno, mai, lo ascolta.
Grida al mondo per ogni parola non detta, per ogni gesto non fatto, per ogni sguardo non corrisposto.
Sempre ombroso e diffidente, dubita di ogni Amicizia.
Sa che non deve aprirsi o il suo segreto sfuggirà dalle labbra.
Non ha la forza di venire da te e di dirti ciò che sopporta.
Perché sente interamente sua la colpa.
Ha l’impressione di non potere fare niente.
Non è, mai, salito sulla vettura di uno sconosciuto né ha, mai, accettato caramelle da un uomo cattivo.
Era con qualcuno di cui aveva fiducia, quando la sua inquietudine è iniziata.
Fermati, non ignorare questo Bambino dagli occhi tristi, non voltargli le spalle, non respingerlo.
Non negargli il tuo aiuto, ottieni la sua fiducia.
Senti ciò che ha da dire... potrebbe non piacerti e anche ferirti…
Ma ascolta la sua storia fino alla fine… perché ciò che è accaduto a lui, avrebbe potuto, facilmente, accadere a te…


I
o ti ho scritto questa lettera, poco prima del mio compleanno, per sbarazzarmi dei miei demoni, perdonarmi, reclamare la mia infanzia e riappropriarmi del mio compleanno.
La dovevo a me, ma cosa più importante la dovevo a tutti i Bambini.
Tu potrai ignorarla… sconfessarla…
Io avrei voluto avere il coraggio di scriverla, subito dopo quanto era accaduto. Ma ero confuso, non sapevo se ciò che avevo vissuto fosse male oppure no.
Io credo che, chiamando lo stupro con il suo nome e non con un altro nome, si strappi di dosso la vergogna e si lanci il biasimo lontano… là ove è giusto che sia.
Io non ne ho mai parlato ad alcuno, perché alcuno mi avrebbe creduto.
La verità è che neppure io mi credevo.
Io non volevo chiamare l’“incidente” stupro…
Io preferivo chiamarlo con un altro nome.
Mi faceva sentire meno sporco…
Io credo che “incidenti” simili al mio siano accaduti a molti uomini, che continuano a chiamare ciò che è loro accaduto con un altro nome.
Così facendo, noi uomini continueremo ad accettare una parte di ciò che ci è accaduto.
Noi uomini accetteremo, sempre, una parte del biasimo.
Ma non ci appartiene e sarà solo quando restituiremo la nostra parte di vergogna, di colpa e di disgusto al mittente, il nostro stupratore, che avrà inizio la guarigione.
Molti anni separano l’uomo che sono dal Bambino che ero.
Tu eri mio “amico”.
Ricordi novembre?
Novembre è freddo, piovoso, triste.
È ciò che io trattengo di novembre.
Quando arriva novembre, io mi rintano in un angolo fino a marzo… fino al nuovo anno…
Ricordi novembre?
Io, sì!
Io non voglio più portare da solo questo fardello, avere questo ricordo o domandarmi come chiamare questo incidente.  
Ho vissuto, a lungo, nella colpa e nella vergogna, che non sono mie.
Ho vissuto nascosto da tutto e da tutti, non comprendendo ciò che mi fosse accaduto.
E, poi, non sopportando più questo tormento, ho iniziato a sballarmi e a frequentare gli ambienti peggiori.
Mi bruciavo i neuroni.
Le angosce continuavano, ma io mi battevo.
Io non volevo quella depressione, che non era mia.
Agorafobico, sociofobico…
Sono passato per molti stati… fino a lasciarmi calpestare da tutti.
Ma, sempre, io mi battevo.
Io mi dicevo che sarei riuscito a riaffiorare alla vita.
La mia mente di Bambino bloccata in un incubo.
Oggi, io dico a te: io sono libero.
Tu sei il colpevole…
Io sono la vittima…
Io sono l’innocente…
Ho dovuto attendere trenta anni per comprendere ciò che tu mi avessi, realmente, fatto: avevi, irrimediabilmente, associato la mia prima esperienza di piacere sessuale al non avere avuto voce.
Ciò che credo sia il senso umano e vero dello stupro. 
A quaranta anni, la mia vita, con il favore di sforzi considerevoli, si era stabilizzata.
Io avevo una carriera luminosa.
Io mi ero sposato.
Io avevo tutte le ragioni di essere felice.
Io non lo ero!
Io non avevo parlato a mia moglie di ciò che mi era accaduto.
Non guarire era divenuto un circolo vizioso, di cui non riuscivo a sbarazzarmi.
Io avevo, molto semplicemente, vergogna della passività, di cui avevo dato prova, quel giorno.
Consultai un analista.
Appresi, così, che ero depresso cronico e iniziai a prendere antidepressivi.
I termini clinici e giuridici, aggressione sessuale, deviazione di minore, abuso sessuale, violenza sessuale, sono formule troppo vaghe, suscettibili di indurre le persone in errore.
Ciò che io mi ripetevo, quando una parte di me provava ancora la vergogna di ciò che avevo subito, era che io non ero stato violentato, perché tu, che ti eri, abilmente divertito, con il mio pene di ragazzo di dieci anni, che l’avevi messo nella tua bocca, che avevi premuto le tue labbra contro le mie e avevi cercato di penetrarvi, il più profondamente possibile, la tua lingua, tu non mi avevi, analmente, violato.  Io temevo che, dicendo di essere stato aggredito sessualmente, violato o abusato, i miei interlocutori pensassero che io fossi stato sodomizzato, aggravando il senso di umiliazione che, già, sentivo per non aver potuto, a dieci anni, impiegare la forza di Superman per spezzare tutte le ossa della tua mano di predatore.
Anziché definire, precisamente, ciò che tu mi avevi fatto, io preferivo parlare di “violenze”, sperando così di tradurre ciò che mi era accaduto.  
Evidentemente, non era sufficiente!
Perché le persone concepissero e comprendessero ciò che io avevo subito, dovevo affrontare il rischio che ne avessero la nausea o mi voltassero le spalle.
Io dovevo essere specifico, preciso, dettagliato perché, dicendo che ero stato stuprato, le persone afferrassero, realmente, ciò che io intendevo dire.
Io non ero stato né fisicamente forzato, né violentemente brutalizzato. Per l’influenza quasi assoluta che gli adulti hanno sui Bambini, neppure una penetrazione necessita della violenza fisica, contenuta nel termine aggressione!
In verità – ed è di ciò di cui avevo più vergogna –, la reazione del mio pene alle manipolazioni esperte di un adulto era stata quella del piacere. La prima volta in cui prendevo coscienza, per interposizione di un altro, della vivacità delle sue terminazioni nervose.
Qualche settimana dopo i tuoi primi toccamenti, tu, usando le stesse tecniche seduttrici e manipolatrici, abusavi di uno dei miei compagni di scuola, in mia presenza, per poi abusare di me davanti a lui. Con questo compagno io non ho mai parlato di quanto ci fosse accaduto. E, due anni dopo, tagliavamo i ponti.
Tu non eri uno della mia famiglia, un padrigno, un padre adottivo, un sacerdote e neppure un professore.
Tu non avevi alcuna autorità su di me.
Io ti conoscevo appena, ma tu eri un adulto e quando tu mi dicevi che mi piaceva ciò che tu mi facevi e che io, in qualche modo, io, io lo volevo… io ti credevo!  
Io avevo dieci anni.
Io ero ingenuo e avevo paura.
Io ero stato aggredito sessualmente, ma non vi erano prove materiali.
Io avrei voluto difendermi ferocemente, ma so che anche se non l’ho fatto, tu non avevi il diritto di continuare…
Tu avresti dovuto fermarti…
Cessai ogni contatto con te, ma il tuo ricordo e il tuo regalo di compleanno mi ossessionano sempre.
Qualche mese dopo, io appiccavo il fuoco alla mia stanza.
La casa dei miei genitori era devastata dalle lance antincendio dei pompieri.
A quattordici anni, bevevo alcolici, fumavo erba e hashish, e disertavo la metà delle lezioni.
A sedici, fuggivo di casa.
Se, all’epoca, qualcuno mi avesse detto che il mio comportamento fosse da attribuire alla mia aggressione sessuale – una cosa impossibile, visto che non ne avevo parlato ad alcuno – mi sarei infuriato.
Qualunque osservatore avrebbe potuto dire che io fossi disturbato.
E io ero disturbato.
Io ero stato spogliato della capacità di conoscere i miei desideri… di avere desideri miei…
Io ero tormentato da un segreto, cui negavo importanza e che nessuno, assolutamente nessuno, doveva conoscere.
Io non ho, mai, avuto una vita regolare, come gli altri, perché ho, sempre, avuto problemi di concentrazione e di depressione. 
Io ho negato e sono sopravvissuto, per cinquanta anni, mantenendo questo segreto inconscio.
Con il passare del tempo, ho compreso che era male.
E ho avuto il coraggio di chiamare l’incidente con il suo nome, di rendermi conto che non era mia la colpa, che non era grave non essermi difeso e che, per quanto confuso a proposito di ciò che era avvenuto e se ciò costituisse uno stupro o no, non è mai troppo tardi per chiamare le cose con il loro nome.
Non è troppo tardi neppure per rendermene conto, per affrontare questo incidente, in modo appropriato, e riconoscere che tu mi hai stuprato in modo violento…
Io NON VOGLIO PIÙ chiamare questo incidente con un altro nome.
Io VOGLIO chiamarlo con il suo nome: STUPRO.
Io VOGLIO sbarazzarmi di questo fardello e dare un nome al mio incidente.
Io VOGLIO che tu porti la tua parte del fardello, proprio come me.
Io VOGLIO non essere più il solo a portarlo.
Io VOGLIO che tu sappia che io so ciò che tu mi hai fatto.
Io VOGLIO che tu sappia che io so che tu mi hai stuprato.
Io NON VOGLIO PIÙ che dei bastardi PEDOCRIMINALI, come te, facciano ai Bambini ciò che tu hai fatto a me.
Che tu possa vivere con il tuo male e la tua vergogna per sempre.
LA PACE NON SIA CON TE!
Ma grazie a te… perché ho appreso la resistenza e la forza dello spirito.
Il puzzle è assemblato.
Così termina il mio calvario.


Sinceramente
il Bambino, oggi Uomo, che ti è sopravvissuto


Questa lettera è dedicata a tutti coloro che, come me, hanno conservato segreti terribili senza rivelarli ad alcuno.
Spero che la mia storia vi sia utile.
Non versate lacrime, ma lasciatevi il passato alle spalle, come sono riuscito a fare io.
Andate in riva al mare e seppellite i vostri brutti ricordi nella sabbia.
Le maree della vita spazzeranno via il dramma che avete sepolto.
Fate un respiro profondo, giratevi e allontanatevi per sempre.
So che, forse, è la cosa più difficile della vostra vita, ma potete riuscirvi.
Così, non avrete più la sensazione di scalare quotidianamente il vostro Everest solo per riuscire a vivere, giorno dopo giorno.
Abbiate fiducia in voi stessi, abbiate fiducia nel vostro cuore e lasciatevi avvolgere dalla luce di una nuova alba.
Lasciate che il processo di guarigione abbia inizio.
Noi, voi e io, avremo vinto la più intima delle battaglie.
E nessuno potrà più farci del male.
Saremo sopravvissuti.
Non tacete, come ho fatto io.
Difendete i vostri diritti.
Dobbiamo impedire che accadano, ancora, cose come queste e proteggere l’innocenza dei Bambini dai mostri che escono dall’ombra per giocare giochi che non vogliamo più giocare.


Daniela Zini
Fondatrice e portavoce di Donne in Divenire
Copyright © 14 giugno 2014 ADZ
Chi può dire se, quando le strade si incontreranno, questo Amore sarà nel tuo cuore?