“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

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giovedì 8 luglio 2021

MA GUARDA, UNA BOMBA AD AVELLINO! di Daniela Zini


MA GUARDA, UNA BOMBA AD AVELLINO!

OGGI, INIZIA IL MAXIPROCESSO CIVILE CONTRO LA REGIONE LOMBARDIA, IL MINISTERO DELLA SALUTE E IL GOVERNO ITALIANO, CHE SCATURISCE DALLE INDAGINI DELLA PROCURA DI BERGAMO, A SEGUITO DELLE DENUNCE DI 500 PERSONE, FAMILIARI DELLE VITTIME DEL COVID-19 A BERGAMO E PROVINCIA…

E SCOPPIA UNA BOMBA.

ORA, FINALMENTE, SI POTRA’ DIRE CHE CHI NON INTENDE FARE DA CAVIA PER I “VACCINI” ALLE CASE FARMACEUTICHE, CHE HANNO OTTENUTO UNO SCUDO PENALE DALLA COMMISSIONE EUROPEA E DAGLI STATI MEMBRI DELL’UNIONE EUROPEA PER NON RISPONDERE DELLE EVENTUALI REAZIONI AVVERSE, E’ UN TERRORISTA.

IO NON MI “VACCINERO’”, SIA BEN CHIARO, E NON PERMETTERO’ A NESSUNO, NEPPURE AL PADRETERNO, QUELLO VERO, NON I TANTI MILLANTATI, DI TACCIARMI DI TERRORISMO, PERCHE’ NON INTENDO SOTTOPORMI A UNA TERAPIA GENICA SPERIMENTALE, DI CUI NON SI CONOSCONO LE REAZIONI AVVERSE, NE’ A BREVE, NE’ A MEDIO, NE’ A LUNGO TERMIINE, MA DI CUI IO DOVREI ASSUMERMI LA PIENA RESPONSABILITA’, FIRMANDO UN CONSENSO INFORMATO, CHE AL PUNTO 10 LO INDICA ESPRESSAMENTE.

E PER SPIEGARVENE LE RAGIONI – NON CHE SIA TENUTA, SIA BEN CHIARO, MA PER MANDARE UN MESSAGGIO FORTE E CHIARO A CHI DEVE ARRIVARE! – STENDERO’, COME SI SUOL DIRE, I MIEI PANNI IN PUBBLICA PIAZZA.

IO SONO ENTRATA IN ASMA, NEL 2000, GRAZIE ALL’AMBIENTE DI LAVORO, CHE POCA CURA AVEVA DEI FILTRI DELL’ARIA CONDIZIONATA, E, AL DI LA’ DEGLI STUDI SCIENTIFICI CHE SENTO CITARE, A OGNI PIE’ SOSPINTO, DAI NOSTRI SCIENZIATI, PER RASSICURARE QUANTI TEMONO, A GIUSTO TITOLO, QUESTA “SPERIMENTAZIONE UMANA” – PERCHE’ TALE E’, E CHE VENGONO INDICATI - SIC ET SIMPLICITER – NO-VAX –, POSSO DIRE PER ESPERIENZA DIRETTA CHE, QUANDO MI SOTTOPOSI, NELLO STESSO ANNO, ALLA MIA PRIMA VACCINAZIONE ANTINFLUENZALE, LA PRIMA DOSE NON MI DETTE GRANDI PROBLEMI, MA ALLA SECONDA IO MI RITROVAI CON UN TORACE “PIATTO” E CHI SOFFRE DI ASMA SA COSA INTENDO DIRE.

FU UN ERRORE IL RICHIAMO, DOPO UN MESE, MI SI DISSE…

DOPO…

E, NONOSTANTE CIO’, DA QUELLA SECONDA DOSE, IO MI SOTTOPONGO ALLA VACCINAZIONE ANTINFLUENZALE, OGNI ANNO E, OGNI ANNO, ANCHE SE PONGO ATTENZIONE NELL’“ESSERE PULITA” – NIENTE RAFFREDDORE O MAL DI GOLA! -, INVARIABILMENTE SI RISENTE L’ASMA.

PERCHE’ LO FACCIO, MI CHIEDERETE.

PERCHE’ CREDO NELLA MEDICINA E, ANCHE, NEI VACCINI...

SI’, CREDO NEI VACCINI...

NON NELLE CURE GENICHE ANCORA SPERIMENTALI, DI CUI TEMO, ANCHE IN RAGIONE DELLA MIA STORIA PERSONALE, POSSIBILI ESITI NEGATIVI, SEPPURE NON LETALI.

E, PER CHIUDERE IL QUADRETTO DEI MIEI PANNI STESI IN PUBBLICA PIAZZA, AGGIUNGO CHE, AVENDO GODUTO DI BUONA SALUTE PER BUONA PARTE DELLA MIA VITA E NON AVENDO, MAI, FATTO RICORSO A TACHIPIRINA, ANALGESICI, ANSIOLITICI – CHE, ORAMAI, FANNO PARTE DEL NOSTRO RICCO CORREDO MEDICALE – IO HO SCOPERTO, PER PURO CASO, DI ESSERE ALLERGICA A UN ANTIBIOTICO, L’AUGMENTIN, PRESCRITTO A SEGUITO DI UN INTERVENTO CHIRURGICO, E L’EDEMA DELLA GLOTTIDE NON L’HO AVUTO NE’ IL PRIMO, NE’ IL SECONDO GIORNO, MA LA SERA DEL TERZO, A DISTANZA DI ORE DALL’ASSUNZIONE. SOLO LA PRESENZA DI SPIRITO DI CHIAMARE IMMEDIATAMENTE LA GUARDIA MEDICA E DI ASSUMERE SUBITO 4 COMPRESSE DI BENTELAN MI HA SALVATO LA VITA…

QUINDI, NON CONTASSE SU DI ME CHI CI FA, GIA’, CONTO PER SMALTIRE LE DOSI DI VACCINO NE’ NELL’ANNO IN CORSO, NE’ NEGLI ANNI A VENIRE…

ORA, QUANDO IO SENTO USARE TERMINI COME LISTE, LATITANTI, IMBOSCATI, TERRORISTI, STANARE CASA PER CASA, COPRIFUOCO, LASCIAPASSARE, CAMIONETTE – E, IN QUANTO SCRIVO,  MI SI RICONOSCERA’ UNA CERTA ESPERIENZA E ANCHE UNA CERTA  CONOSCENZA SULL’USO DELLE PAROLE! –, CHE HANNO BEN POCO A CHE VEDERE CON UNO STATO DI EMERGENZA SANITARIA, SEMMAI CON UNO STATO DI ASSEDIO O DI GUERRA, IO MI PREOCCUPO E NON POCO.

E NON PER ME, PER IL MIO PAESE CHE VERRA’!

IO, COME TUTTE LE COSE ANIMATE DEL CREATO CHE HANNO UN’ALPHA E UN’OMEGA, FINIRO’, MA IL MIO PAESE NON PUO’ E NON DEVE FINIRE…

2 GIORNI FA, SONO RIENTRATI DAL PANTANO AFGHANISTAN I NOSTRI SOLDATI, DOPO 20 LUNGHI ANNI – NEPPURE LE 2 GUERRE MONDIALI MESSE INSIEME, SONO DURATE COSI’ A LUNGO! – VEDIAMO DI NON REIMPIEGARLI…

NON ERA STATO SUFFICIENTE PER IL GUERRAFONDAIO GEORGE W. BUSH JR., CHE POCO CONOSCE LA STORIA, COME TUTTI I LEADERS MONDIALI, DEL RESTO, CHE CI AVESSERO RIMESSO LE PENNE BRITANNICI E SOVIETICI, LUI DOVEVA ESPORTARE LA SUA DEMOCRAZIA USA E GETTA IN AFGHANISTAN!

L’AFGHANISTAN E’ UNA TERRA DURA, MOLTO DURA, CON UN CLIMA ANCHE PIU’ DURO, MA HA DATO I NATALI A POETI ILLUSTRI E ILLUMINATI, CHE NOI IN OCCIDENTE NON CONOSCIAMO O CONOSCIAMO POCO, QUALI RUMI, IL PIU’ AMATO, JAMI, SANA’I, E A UNA POETESSA NADIA ANJOMAN, LA VOCE MAI ASCOLTATA DELLE DONNE AFGHANE E MI SONO RICORDATA DI UN PEZZO CHE SCRISSI MOLTI, MOLTI ANNI FA, QUANDO CREDEVO, ANCORA, CHE CERTE COSE ACCADESSERO ALTROVE…

VE LO REGALO, FATENE BUON USO…

 

 

OMAGGIO A NADIA ANJOMAN:

LA VOCE MAI ASCOLTATA DELLE DONNE AFGHANE

 

هرگز بر نمی‌گردم

 

من‌ زنم‌ كه‌ دیگر بیدار گشته‌ ام
از خاكستر اجساد سوخته‌ی‌ كودكانم‌ برخاستم‌ و توفان‌ گشته‌ام
از جویبار خون‌ برادرانم‌ سر بلند كرده‌ ام
از توفان‌ خشم‌ ملتم‌ نیرو گرفته‌ ام
از دیوارها و دهكده‌های‌ سوخته‌ كشورم‌ نفرت‌ به‌ دشمن‌ برداشته‌ام
                      حالا دگر مرا زار و ناتوان‌ مپندارهموطن،
                      من‌ زنم‌ كه‌ دیگر بیدار گشته‌ام
                      راه‌ خود را یافته‌ام‌ و هرگز بر نمی‌گردم

من‌ دیگر آن‌ زنجیر ها را از پا گسسته‌ام
من‌ درهای‌ بسته‌ی‌ بی‌خبری‌ ها را گشوده‌ام
من‌ از همه‌ چوری‌ های‌ زر وداع‌ كرده‌ام

                      هموطن‌ وای‌ برادر، دیگر آن‌ نیستم‌ كه‌ بودم
                      من‌ زنم‌ كه‌ دیگر بیدار گشته‌ ام
                      من‌ راه‌ خود را یافته‌ ام‌ و هرگز برنمی‌گردم

با نگاه‌ تیز بینم‌ همه‌ چیز را در شب‌ سیاه‌ كشورم‌ دیده‌ام
فریاد های‌ نیمه‌ شبی‌ مادران‌ بی‌فرزند در گوشهایم‌ غوغا كرده‌ اند
من‌ كودكان‌ پا برهنه‌، آواره‌ و بی‌لانه‌ را دیده‌ام
من‌ عروسانی‌ را دیده‌ام‌ كه‌ با دستان‌ حنا بسته،
                      لباس‌ سیاه‌ بیوگی‌ بر‌ تن‌ نموده‌اند
من‌ دیوار های‌ قد كشیده‌ی‌ زندان‌ ها را دیده‌ام
                      كه‌ آزادی‌ را در شكم‌ های‌ گرسنه‌ی‌ خود بلعیده‌ اند
من‌ در میان‌ مقاومت‌ ها، دلیری‌ ها و حماسه‌ ها دوباره‌ زاده‌ شدم
من‌ در آخرین‌ نفس‌ ها در میان‌ امواج‌ خون‌ و در فتح‌ و پیروزی
                                                   سرود آزادی‌ را آموخته‌ام
حالا دیگر مرا زار و ناتوان‌ مپندار
هموطن‌ وای‌ برادر،
من‌ در كنار تو و با تو در راه‌ نجات‌ وطنم‌ همنوا و همصدا گشته‌ام
صدایم‌ با فریاد هزاران‌ زن‌ برپا گشته‌ پیوند خورده‌ است
مشتم‌ با مشت‌ هزاران‌ هموطنم‌ گره‌ خورده‌ است
من‌ در كنار تو و در راه‌ ملتم‌ قدم‌ گذاشته‌ام
تا یكجا بشكنیم‌ این همه‌ رنج‌ زندگی‌ و همه‌ بند بندگی
                        من‌ آن‌ نیستم‌ كه‌ بودم
                        هموطن‌ وای‌ برادر،
                        من‌ زنم‌ كه‌ دیگر بیدار گشته‌ام

مینا

 

Sono una donna che ormai si è svegliata…

Mina Keshvar Kamal, Mai tornerò indietro

 

All’indomani dell’attentato alle Twin Towers, viene messa in atto in Afghanistan l’operazione battezzata Enduring Freedom per punire i responsabili – in particolare Osama Bin Laden, restato introvabile da otto anni – e accelerare la caduta dei talebani, di cui l’occidente non si è affatto curato prima.

Per sei anni, un gruppo di terroristi religiosi che si erano dati il nome di talebani, studenti di religione, avevano oppresso la popolazione afghana au vu et au su della comunità internazionale. Quest’ultima si era emozionata e indignata più facilmente per la distruzione delle statue di Buddha che per la distruzione sistematica di migliaia di vite umane.

Il principale bersaglio dei talebani era stato la popolazione femminile.

Le donne afghane erano state imprigionate non solo in un abito, che le copriva dalla testa ai piedi, ma anche nella loro casa, quando ne avevano una. La crudeltà era stata spinta fino a obbligarle, almeno nelle città come Kabul, a dipingere le finestre delle loro case perché nessuna donna o ragazza al di sopra dei dieci anni fosse visibile all’esterno. Nessun altro Paese al mondo ha mai assegnato alla residenza la metà della popolazione a causa della femminilità, ma tutti i Paesi hanno lasciato fare i talebani con una compiacenza sconcertante.

I media hanno gettato, un velo sul passato glorioso e ben conosciuto dei mojahedin. Dalla partenza dei sovietici, nel 1989, i punti comuni tra loro non bastano più a far tacere le rivalità. La cupidigia e l’appetito di potere di tutti i signori della guerra li spingono a battersi incessantemente gli uni contro gli altri in alleanze rovesciate appena create. Al termine di quattro anni, nel 1992, prendono Kabul e rovesciano Najibullah; ma la guerra civile e, soprattutto, la guerra contro i civili non si ferma per questo. I soldati dell’Alleanza del nord saccheggiano le case e violentano le donne. I capi locali taglieggiano i camion ogni 50 km, i trasporti sono impossibili, la corruzione e il disordine impediscono l’applicazione della shari’a.

Alcuni tra i mojahedin, soprattutto i più giovani, che hanno preso gli ideali islamici sul serio, sono sconfortati. Partono per studiare in Pakistan. Sono gli studenti, i talebani, i figli spirituali e, talvolta, fisici dei mojahedin. Altrettanto anticomunisti come i loro padri ma più disciplinati, più seri e ancora più fondamentalisti. E in un anno, i talebani formidabilmente armati conquistano buona parte del Paese ed entrano a Kabul.

I talebani interdicono l’accesso alla scuola delle ragazze e impongono una scolarità strettamente religiosa ai ragazzi, in cui lo studio del Corano fondato sulla ripetizione a memoria delle sure sostituisce i corsi di letteratura, di storia e di scienze. Il ministro dell’istruzione al servizio del Mollah Omar dichiarava fieramente che un futuro medico non aveva che da fare un apprendistato presso un macellaio per apprendere tutto quello che gli poteva servire alla professione in materia di anatomia, ciò che riflette abbastanza bene l’approccio educativo di quel governo.

Una scolarità parallela fu organizzata nelle città, soprattutto da donne letterate,  per le ragazze sotto forma di corsi clandestini tenuti all’interno di appartamenti, vi era sempre un lavoro di cucito a portata di mano, nel caso di un’irruzione da parte di un miliziano del ministero della promozione della virtù e della repressione del vizio. L’organizzazione femminile afghana RAWA (Revolution Association of the Women of Afghanistan) (1), la sola a denunciare dall’inizio gli abusi degli integralisti, estese questo tipo di scolarità ai villaggi. È così che un buon numero di donne ebbero accesso all’alfabetizzazione.

Quando i mojahedin battono in ritirata nel 1996, lasciano 50.000 morti soltanto a Kabul e la città in rovina. Quello che sei anni di guerra anti-sovietica non erano riusciti a fare, quattro anni di guerra tra fazioni lo hanno compiuto.

Per mesi dopo l’11 settembre 2001, le immagini dell’Afghanistan inondarono, tutte le sere, i nostri schermi televisivi. Il mondo scopriva allora le vite distrutte delle donne sotto il regime fondamentalista talebano, che controllava il 90% del Paese, compresa la capitale, dal 1996.

Non era, tuttavia, che un altro capitolo in un conflitto che durava da quasi trenta anni, del quale le donne sono state le principali vittime. Questo conflitto, che perdura, ha precipitato il Paese nella miseria: morti a milioni, mine disperse ai quattro lati del territorio, la maggioranza delle infrastrutture distrutte.

Il 29 gennaio 2002, nel suo discorso sull’Unione George W. Bush aveva dichiarato:

“La bandiera americana svetta di nuovo sulla nostra ambasciata a Kabul… Oggi, le donne sono libere.”

Era il terzo cambiamento di obiettivo dall’inizio della guerra.

I giornali pubblicarono le foto dei sorrisi delle donne – no, mi correggo, del sorriso di una donna – e la guerra trovò la sua quarta ragione: la liberazione delle donne.

Dire che la guerra fosse vantaggiosa alle donne afghane, era decidere che fosse preferibile per loro morire sotto le bombe, morire di fame, morire di freddo, piuttosto che vivere sotto i talebani.

Mi chiedo come è possibile pretendere di andare a liberare la gente bombardandola?

Si può giustificare una guerra dicendo di andare a liberare le donne dimenticando che sono sotto le bombe?

Quando si tratta dei diritti delle donne, vale a dire dei diritti umani, la questione che si pone a proposito di una guerra è sempre, infine, la stessa: quali sono i mali peggiori della guerra per una popolazione?

In quale momento la guerra diviene preferibile?

Il modo con cui è stato trattato in occidente l’alibi della liberazione delle donne afghane è un’illustrazione del fatto che le vite occidentali valgono di più, infinitamente di più, delle altre e del fatto che l’occidente, non contento di aver messo un prezzo molto basso sulle altre vite, stimi di avere il diritto di disporne a suo piacimento.

È Simone de Beauvoir che utilizza il termine di alibi per descrivere in che cosa consista il recupero della lotta delle donne da parte del sistema politico, che non si adopera che al minimo per poter utilizzare la causa delle donne e avere un alibi da fornire quando lo si interroga su questo punto.

Il gioco che svolsero i talebani fece, forse, parte di uno scenario messo a punto per creare una diversione. I talebani sapevano che la loro sorte era intimamente legata a quella di Bin Laden, al quale erano debitori. Dopo che il Pakistan li aveva aiutati a insediarsi al potere, nel 1996, avevano resistito agli attacchi delle forze di opposizione grazie all’esercito di Bin Laden. Il regime talebano pretese, dapprima, che avrebbe potuto liberare Bin Laden solo a condizione che fossero fornite delle prove sulla sua colpevolezza, rifiutando, in anticipo, ogni prova contraria alla legge islamica. O per meglio dire, che non avrebbe riconosciuto alcuna prova come valida. Poi, negò che il capo terrorista avesse potuto realizzare una simile operazione, sostenendo che la sua condizione di ospite gli impediva di metterlo nelle mani di stranieri. Occorreva guadagnare tempo perché Bin Laden e i suoi alleati, dovunque fossero nel mondo, potessero nascondersi in un luogo sicuro e, forse, preparare una replica. Il capo terrorista aveva, forse, scelto di rifugiarsi in un Paese dove aveva numerosi simpatizzanti capaci di proteggerlo e di fargli varcare, se la cosa fosse divenuta necessaria, altre frontiere amiche.

Questo Paese avrebbe potuto essere un vicino dell’Afghanistan, il cui governo ignorava la presenza di Bin Laden, un Paese che non avrebbe corso il rischio di essere attaccato dagli Stati Uniti in quanto loro alleato circostanziale?

Gli Stati Uniti hanno potuto veramente credere che Bin Laden, che aveva avuto tre settimane per mettersi al riparo, sarebbe restato sul posto ad attenderli?

Come potevano pensare di arrestare Bin Laden e il suo gruppo lanciando bombe e missili, senza scendere a terra?

Volevano limitare il numero delle vittime nel loro campo, d’accordo, ma non hanno avuto alcuna esitazione a fare vittime tra una popolazione innocente e affamata, che viveva in una miseria estrema da più di venti anni.

Nella nostra epoca di guerra tecnologica, le guerre fanno infinitamente più vittime civili di vittime militari.

Mi chiedo è morale?

Nella sua conferenza dell’11 ottobre 2001, il presidente Bush aveva fatto una nuova apertura ai talebani:

“Consegnateci Bin Laden e i suoi alleati e noi cesseremo di bombardare l’Afghanistan.”

Il suo obiettivo non era, dunque, di mettere fine al regime dei talebani?

Saddam Hussein era stato considerato il diavolo in persona durante la Guerra del Golfo.

In questa, il diavolo era Bin Laden.

E con il diavolo non si patteggia in alcun modo.

L’amministrazione americana aveva accusato certi media, che si mostravano critici, di essere dei cattivi patrioti. Il primo emendamento della costituzione americana, che garantisce la libertà di espressione a tutti e a tutte, non pesa molto quando si vuole guadagnare la guerra dell’opinione pubblica, al posto della guerra contro il terrorismo.

L’operazione violava tutti i diritti internazionali: non era stata approvata dal Consiglio di Sicurezza. Soltanto, dopo l’invasione e il rovesciamento del governo, Washington ottenne l’autorizzazione dell’ONU per il nuovo governo che aveva insediato e per la NATO a continuare il suo intervento (2).

 

Note:

 (1) RAWA (Associazione Rivoluzionaria di Donne Afghane) è stata fondata a Kabul, nel 1977, da Mina Keshvar Kamal (27 febbraio 1956 – 4 febbraio 1987), assassinata a Quetta, in Pakistan, da agenti del KHAD (Khadamat-e Ettela’at-e Doulati), il braccio afghano del KGB, in connivenza con i fondamentalisti di Golbodin Hekmatyar, il 4 febbraio 1987.

(2) La missione in Afghanistan è iniziata il 7 ottobre 2001, ma solo, il 20 dicembre 2001, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con l’approvazione della Risoluzione n. 1386, autorizza il dispiegamento nella città di Kabul e nelle aree limitrofe di una Forza multinazionale denominata International Security Assistance Force (ISAF), con il compito di assistere le istituzioni politiche provvisorie afghane a mantenere un ambiente sicuro, nel quadro degli Accordi di Bonn del 5 dicembre 2001.

 

Daniela Zini

https://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/donna/Riflessioni_1256573823.htm

 

OGNI PAESE, NESSUNO ESCLUSO, PUO’ ESSERE IL PROSSIMO AFGHANISTAN, NON DIMENTICATELO!

 

MALEFICA

 

 

 

 

mercoledì 14 agosto 2019

NEI SECOLI FEDELE! LETTERA APERTA AL CAPO DELLO STATO MATTARELLA E AL CAPO DEL GOVERNO CONTE di Daniela Zini



Che lo strumento delle petizioni on-line sia inflazionato è indubbio, e, purtroppo, questo danneggia, spesso, le stesse petizioni.
Il fastidio verso il numero eccessivo di petizioni on-line è molto sentito sulla Rete e contribuisce ad alimentare il pregiudizio sulla loro inutilità e sulla vacuità del cosiddetto click activism, quel presunto attivismo di chi si limita a fare click per sentirsi un individuo civilmente impegnato e partecipe.
Io per prima NON sono la fan numero 1 delle petizioni on-line, soprattutto, per l’invasività che possono raggiungere e per il costante dubbio che possano venire strumentalizzate.
In tempi, in cui il potere democratico dei semplici cittadini è estremamente limitato, le petizioni e altre forme di apparente Democrazia diretta possono dare a molti la sensazione di poter contare qualcosa.
Ma le petizioni on-line e la Democrazia partecipata servono…
E se servono!
Se non vi fossero state le petizioni on-line e la mobilitazione di blogs e di forums… noi oggi avremmo ACTA, SOPA, PIPA e CISPA … e le leggi in stile cinese, sfornate dai soliti politici censori…
Voglio ancora credere, nonostante tutto, che possano essere un buon mezzo per esprimere una opinione comune.
L’uomo del Novecento era meno protetto, meno ricco, meno forte, meno in salute rispetto a noi.
La durata della vita, la lotta contro il dolore, l’igiene media, l’alfabetizzazione, le comodità, i trasporti, il sostentamento sono tutti a nostro vantaggio; ma siamo più deboli nel sopportare il tempo, la vecchiaia e la morte, abbiamo trascurato, considerandole minori e sorpassate, le consolazioni per queste umane sventure.
E, poiché sappiamo sempre meno distinguere i doveri etici dai nostri interessi, poiché i valori vanno restringendosi fino a ridursi a quello del danaro, diveniamo Esseri a una sola dimensione, abbiamo perso interesse per la Vita, vista come qualcosa che non sappiamo trasformare in affare.


LETTERA APERTA
Nei secoli fedele!

 AL CAPO DELLO STATO SERGIO MATTARELLA
E
 AL CAPO DEL GOVERNO GIUSEPPE CONTE

Perché Vi scrivo, Signori Capo dello Stato e Capo del Governo?
Perché io sono di quelli che accorda importanza alla necessità di vedere i problemi dell’Italia, risolti dagli Italiani.
È per questo che ho scelto di restare nel mio Paese e, ogni volta, che me ne è stata data l’occasione, non ho, mai, mancato di portare il mio, seppure modesto, franco e leale contributo alla sua elevazione.
Questa opzione non è sinonimo di rassegnazione, trova il suo fondamento nell’amore, nel profondo attaccamento al mio Paese e nell’adesione al modello di Società, che la Costituzione propone al Popolo Italiano.
Io sono convinta, come molti altri Italiani, che nessuna Società possa vivere senza un ideale che la ispiri, né una conoscenza chiara dei principi che la guidino.
Ho notato che i periodi di grande civiltà sono, proprio, quelli in cui queste due condizioni sono, intimamente, riunite.
Gli Italiani provano un bisogno legittimo di comprendere.
Gli Italiani vogliono sapere secondo quali principi siano governati e verso quale avvenire si avviino.
Permettetemi, dunque, di fare uso di quella libertà democratica – che impegna tutte le forze vive del Paese, pubbliche e private, civili e militari, laiche e religiose – rivolgendomi, direttamente, a Voi, Signori Capo dello Stato e Capo del Governo.
Le riflessioni che seguono non sono né satira né processo e, poiché hanno carattere pubblico, ho ritenuto di dare alla presente la diffusione che merita. Sono, molto semplicemente, il risultato della mia preoccupazione quotidiana, degli interrogativi che ne conseguono.
Ragione per cui, preferisco optare per un linguaggio scevro da ogni ipocrisia e da ogni lusinga.
La Democrazia è una cosa che non si impone, è una pianta libera che cresce sui terreni fertili, nell’aria salubre.
Non mette radici sulle barricate.
Vi è, immediatamente, calpestata ai piedi del vincitore, quale che sia.
Le idee sono più potenti delle baionette.
Noi lo sappiamo, adesso!

L’ideologia rende sordi e ciechi.
Rifiuta di ascoltare ciò che non entra nel suo universo settario.
Gli uomini sono, in larga parte, sordi e ciechi ai problemi del mondo; fintanto che non cadono sulle loro teste, non se ne preoccupano. Non vedono neppure che hanno una incidenza diretta sulla loro vita.
In quanto entità sociale, il Popolo è inevitabilmente diviso, marcato dall’interdipendenza delle funzioni socio-economiche; gli interessi delle sue parti non sono gli stessi. Ciò non toglie che abbia interessi comuni, quali il bene pubblico, l’interesse generale, la solidarietà, il vivere bene insieme nella prosperità, la sicurezza e la pace.
È la Democrazia, in quanto struttura di espressione e di conciliazione, che fa emergere le finalità comuni, il progetto di Società.
La Democrazia non è una esigenza che noi dovremmo attenderci dalla Società o dallo Stato; è, innanzitutto, una esigenza interiore.
E io voglio credere che questo Paese conti ancora uomini sensati, che provino dolore e sconcerto nel vedere dei banditi ammantarsi del suo nome.
L’unità politica nel pluralismo non è un multiculturalismo di coesistenza, di coabitazione di comunità separate alla salsa anglosassone. Non è neppure l’assimilazione delle sottoculture alla salsa leghista, né l’integrazione alla moda socio-liberale.
L’unità politica vuole che tutti cooperino in relazione, contribuiscano al bene comune sulla base di leggi comuni, di principi comuni: neutralità dello Stato e laicità, risoluzione dei conflitti attraverso la discussione e la mediazione, ricerca della giustizia, interesse generale, mutuo rispetto, osservanza della legge “veramente democraticamente” elaborata.
Ne siamo molto lontani!

Da tre settimane, le Forze dell’Ordine sono al centro di un dibattito per un evento doloroso e sconvolgente che non ha lasciato nessuno indifferente: l’omicidio del Carabiniere Mario Cerciello Rega, nella notte tra il 25 e il 26 luglio, a Roma.
Al di là degli interrogativi e delle polemiche, al di là della speculazione politica, resta una vita perduta…
Una assenza che non potrà essere colmata…
Collera, recriminazione, risentimento, amarezza, avverto intorno a me.
Non è l’oggetto di questa lettera aperta.
E neppure sostenere gli Uomini e le Donne delle Forze dell’Ordine in quanto istituzione è l’oggetto di questa lettera aperta.
Oggi, particolarmente, io vorrei posare il mio sguardo sugli Uomini e sulle Donne che sono dietro la loro funzione.
Quegli Uomini e quelle Donne che indossano il loro giubbotto antiproiettile, ogni mattina.
Quegli Uomini e quelle Donne che posano le loro manette sul tavolo dell’ingresso, come noi lasciamo le nostre chiavi.
Quegli Uomini e quelle Donne che abbiamo conosciuto alle elementari, di cui siamo stati compagni al liceo o che abbiamo incrociato nelle aule di università.
Quegli Uomini e quelle Donne con i quali condividiamo una serata e, talvolta, anche una parte della nostra vita.
Quegli Uomini e quelle Donne non si sono allontanati da noi che per una scelta professionale. 
Quegli Uomini e quelle Donne vivono situazioni per noi inimmaginabili… e il loro quotidiano ci è, sovente, oscuro, tanto è anni luce distante dal nostro.
E così nel sentire che un carabiniere o un poliziotto sono stati uccisi, dimentichiamo che sono Esseri Umani a indossare l’uniforme.
Dimentichiamo che 1 + 1 non fa che una somma di 2 individui distinti con un punto in comune: avere poteri e doveri che noi non avremo mai.
E, di certo, per nostra grande fortuna, tanto sono gravosi da gestire. 
Tenere un’arma e scegliere di servirsene o no…
Essere bersagli permanenti…
Intervenire…
Quegli Uomini e quelle Donne che, nonostante gli insulti e i biasimi, gli scherni e gli sputi, rispondono, sempre, quando chiamiamo il 112.
Le situazioni di pericolo sono onnipresenti nel lavoro degli Uomini e delle Donne delle Forze dell’Ordine: rischiano di essere aggrediti durante gli arresti; assistono a scene di violenza; sono, talvolta, obbligati a utilizzare la forza o, ancora, a guidare ad alta velocità per rispondere a una chiamata urgente o inseguire un malvivente.
Anche quando sono di sorveglianza, sono in stato di allerta.
Interventi di routine apparentemente molto banali possono degenerare in situazioni drammatiche.
Gli Uomini e le Donne delle Forze dell’Ordine sono confrontati a situazioni estreme, brevi, che esigono una azione immediata e non lasciano che pochi secondi di riflessione.
Gli Uomini e le Donne delle Forze dell’Ordine sono chiamati laddove vi è pericolo.
Davanti a una minaccia, devono assicurare la loro sopravvivenza, quella dei loro colleghi e di chi è sotto la loro protezione.

Come essere un buon cittadino?
Come rendersi utile alla Società?
Come fare per fare del proprio Paese un Paese migliore in cui vivere?
Ogni Paese è retto da leggi che fissano ciò che si può fare, ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare. Ai diritti, infatti, si accompagnano dei doveri – a esempio, il diritto di libertà religiosa sancisce il dovere di rispettare la fede altrui – e, in eguale misura, ai diritti si accompagnano delle responsabilità verso l’insieme della comunità, a esempio, il diritto ai servizi sociali impone che si debbano pagare imposte che li finanzino. 
Conoscere la legge è responsabilità di ciascuno.
Conoscere i propri diritti permette di prendere il proprio destino in mano.
In Italia, vi è una sola Carta Costituzionale che si applica in tutto il Paese. Definisce e garantisce i diritti fondamentali della persona, ma nessuno di questi diritti fondamentali è assoluto. I diritti fondamentali non possono servire a compromettere i diritti fondamentali altrui.
In Italia, tutte le leggi sono rese pubbliche. Non vi sono leggi segrete. Se si infrange una legge, non è una difesa pretendere di non conoscere la legge che si è infranta.
Perché noi Italiani sentiamo il diritto-dovere di denunciare gli abusi di cui siamo vittima?
Perché noi Italiani crediamo fortemente nel primato del diritto e nell’eguaglianza. Noi Italiani rispettiamo le decisioni democratiche, le leggi e le politiche anche se non le condividiamo. E, come Italiani, abbiamo la responsabilità di sostenere la carta dei diritti, che significa difendere i nostri diritti e proteggere i diritti altrui.
Vi è anche una ragione pratica che ci induce a rispettare la legge. Quando il governo adotta leggi o programmi, cui noi assentiamo totalmente, noi vogliamo che anche gli Altri vi si conformino, anche se non li condividono. Se noi non rispettassimo che le leggi o i programmi che ci convengono, la nostra Società sarebbe, sempre, nel caos. Naturalmente, se noi dissentiamo da una legge o da un programma di governo particolare, noi abbiamo il diritto e la responsabilità di lavorare per cambiarli, attraverso un processo democratico.
Ma il primato del diritto ha anche un altro significato. Quale che sia il nostro status nella Società, tutti, indistintamente, dobbiamo osservare le stesse leggi. Operai, imprenditori, impiegati, quadri, magistrati, politici, dobbiamo osservare la legge, come ogni altro cittadino italiano o di altra nazionalità.
Noi diamo ai nostri rappresentanti eletti il potere diretto di stabilire le leggi della nostra Società. Diversamente da altre Società, i nostri rappresentanti restano, sempre, responsabili di fronte a noi Italiani.
La responsabilità comporta, innanzitutto, che i nostri rappresentanti eletti debbano renderci conto delle loro azioni. Durante le campagne elettorali, i nostri rappresentanti eletti debbono, infatti, spiegare e giustificare le loro azioni, se vogliono che noi li rieleggiamo. Secondariamente, come cittadini, noi abbiamo il diritto di partecipare alla Democrazia, lavorando per incidere, in modo significativo, nell’elaborazione delle leggi e dei programmi di governo.
I cittadini debbono poter fare molto più che andare, semplicemente, a votare alle elezioni ogni quattro o cinque anni.

Io ho l’impressione che l’Italia non si dia, sempre, i mezzi sufficienti per mettere in opera un arsenale giuridico relativamente completo, che offra un alto livello di protezione in materia di tutela dei diritti.
Sembra così sussistere, in certi campi, un fossato che può rivelarsi molto largo tra ciò che enunciano i testi e la pratica.
Che cosa resta della giustizia degli uomini, se un atto - rilevante giuridicamente - non tanto non sia esistito, quanto non porti avanti la serie dei suoi effetti?
Questo per il diritto vuol dire la negazione: se al diritto si toglie la prevedibilità sicura di una serie di effetti, necessariamente innescati da un fatto o – ancor più – da un atto, se ne nega la stessa struttura, lo stesso metodo, quale supporto necessario di efficacia o – a un altro livello – di credibilità.
Se ne potrebbe dedurre che ogni fede nella giustizia umana sia vana…
Quanto, poi, alla Giustizia divina superiore e giusta ha i suoi tempi!
Non a caso una delle principali obiezioni laiche al Cristianesimo è l’“ingiustizia del mondo”.
Naturalmente, tutti i nostri diritti non possono essere garantiti dalla legge.
Regole fondamentali che concernono il rispetto degli Altri debbono, egualmente, essere un modo di vita per ognuno di noi. Anche quando i nostri diritti sono garantiti dalla legge, la legge sola non è sufficiente a proteggerli. Perché la Giustizia trionfi, tutti noi cittadini dobbiamo prendere un impegno personale verso i  valori democratici e metterli in pratica attivamente nella nostra vita quotidiana. Senza questo impegno, la legge che “garantisce” i nostri diritti perderebbe il suo spirito democratico.  
La vitalità della Giustizia in Italia dipende dall’impegno di tutti noi Italiani verso i valori democratici che noi condividiamo.  
La giustizia, quella umana, naturalmente, è molto FLOU.
L'Italia è un Paese “garantista”, si sa!
Perdonare sempre e comunque?
Nell’animo, sì, è doveroso non conservare rancore verso chiunque, ma è opportuno operare dei “DISTINGUO”.
Se non si pone un limite, che duri nel tempo, si rischia di perdere di vista ciò che è BENE e ciò che è MALE.
Con un “ATTEGGIAMENTO BUONISTA”, in pratica, è come dire:
“Fai pure, tanto per me va bene!”
Un lasciapassare, un assecondare comportamenti “NON ORTODOSSI”, in nome di un “BUONISMO” di maniera, che rischia di perpetuarsi.
È uno strano Paese questo Paese, che non estingue i “DOVERI” di un MORTO, ma ne estingue i DIRITTI!

Io, a volte, ho l’impressione di vivere ai margini della Società, da quando ho denunciato illeciti.
E ne ho pagato un prezzo altissimo.
Chi viene, direttamente, leso dalla commissione di un reato, patisce conseguenze anche in termini di pregiudizio fisico, patrimoniale e psicologico.
È orribile da vivere e ha distrutto la mia vita!
Come stupirsi, dunque, che vi sia così poca fiducia nella Giustizia?
Vorrei dire a chiunque di pensarvi due volte prima di farlo.
La tendenza è di archiviare, spesso de plano, senza svolgere alcun atto di indagine.
Ma, allo stesso tempo, SÌ, lo rifarei.
Perché vi sono cose inaccettabili nella vita, che si deve essere capaci di denunciare, per impedire che accadano ancora… ancora… e ancora…
L’aiuto e la vicinanza degli Uomini e delle Donne della Polizia di Stato sono stati determinanti nell’affrontare e nel gestire la mia vicenda personale.
Il loro operato è stato encomiabile e la mia gratitudine sarà imperitura.

Lo Stato Italiano si costituisca parte civile nel processo penale, lo deve a Rosa Maria, la giovane Vedova, e alla Famiglia Cerciello Rega, ma soprattutto lo deve a Mario, nei secoli fedele!




Roma, 14 agosto 2019

Daniela Zini