“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

sabato 23 settembre 2017

URANIO IMPOVERITO o la guerra atomica camuffata II. I TESTS NUCLEARI NEI POLIGONI INGLESI E FRANCESI di Daniela Zini



URANIO IMPOVERITO
o
la guerra atomica camuffata
Inchiesta sull’Uranio Impoverito, Depleted Uranium, in sigla DU, utilizzato nell’industria bellica, la cui pericolosità per la salute è minimizzata dalle lobbies militari-industriali.
“The world is a dangerous place to live; not because of the people who are evil, but because of the people who don’t do anything about it.”
Albert Einstein

Mi chiederai tu, morto disadorno,
d’abbandonare questa disperata
passione di essere nel mondo?
Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci[1]

Pier Paolo Pasolini davanti alla tomba di Antonio Gramsci nel Cimitero Acattolico di Roma[2].

“Amo la vita così ferocemente, così disperatamente, che non me ne può venire bene: dico i dati fisici della vita, il sole, l’erba, la giovinezza: è un vizio molto più tremendo di quello della cocaina, non mi costa nulla, e ce n’è un’abbondanza sconfinata, senza limiti: e io divoro, divoro, divoro...
Come andrà a finire, non lo so.”
Pier Paolo Pasolini, Ritratti su misura

Il 12 dicembre 1969, a Milano, è giorno di mercato e in Piazza Fontana, dove si svolge, tradizionalmente, la contrattazione delle merci agricole e la Banca Nazionale dell’Agricoltura è aperta, anche, il pomeriggio, e, particolarmente, frequentata, alle ore 16:37, esplode, nel grande salone del tetto a cupola, un ordigno contenente 7 chilogrammi di tritolo.
Una seconda bomba è rinvenuta inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala.
La borsa viene recuperata, ma l’ordigno, che avrebbe potuto fornire preziosi elementi per l’indagine, viene fatto brillare dagli artificieri, la sera stessa.

“L’ultima serie di attentati comprendeva i cinque di Milano e di Roma del 12 dicembre 1969. Oltre a quello a Piazza Fontana, infatti, alle 16:25 fu trovata dal commesso Rodolfo Borroni dentro la Banca Commerciale Italiana di Piazza della Scala una borsa in similpelle marca Mosbach-Gruber con all’interno una cassetta metallica. La borsa, di colore nero, recava la scritta “Made in Germany”, e c’era un gallo impresso sulla piastrina inferiore della chiusura. Conteneva anch’essa una bomba ad altissimo potenziale, caricata a tempo con un congegno elettronico a transistor. Era stata trovata dentro un ascensore della banca che andava dal piano terra a quello sottostante, dove c’erano le cassette di sicurezza. L’aveva notata il commesso poco prima di chiudere. L’uomo, ignaro del contenuto, l’aveva portata in direzione e consegnata al direttore, dicendogli: “Qualche cliente l’ha dimenticata nel sottoscala.” Questi l’aveva messa da parte, tranquillo; ma, non appena aveva saputo della bomba esplosa pochi minuti dopo in Piazza Fontana, aveva richiesto l’intervento della polizia e disposto l’immediato allontanamento di tutti gli impiegati e dei clienti. La Questura di via Fatebenefratelli aveva mandato alla Commerciale il capo della scientifica per il sopralluogo e la raccolta dei reperti. Il dottor Antonino Mento constatò che la cassetta metallica conteneva circa otto chilogrammi di esplosivo. Se fosse deflagrato, avrebbe fatto saltare in aria l’intero edificio e i morti sarebbero stati non decine, ma centinaia, in quel 12 dicembre 1969.”    
Ferdinando Imposimato, La Repubblica delle stragi impunite  

Una terza bomba esplode, a Roma, alle 16:55, nel passaggio sotterraneo che collega l’entrata di via Veneto della Banca Nazionale del Lavoro con quella di via di San Basilio.
Altre due bombe esplodono, a Roma, tra le 17:20 e le 17:30, una davanti all’Altare della Patria e l’altra all’ingresso del Museo Centrale del Risorgimento, in piazza Venezia.

“Il 12 dicembre a Roma e a Milano sono collocati cinque ordigni, tra cui quello micidiale di piazza Fontana. Secondo la ricostruzione del giudice Salvini, a Milano entrano in azione i veneti di Ordine Nuovo, nella capitale i romani di Avanguardia Nazionale, guidati da Stefano Delle Chiaie, er Caccola, il gruppo milanese La Fenice di Giancarlo Rognoni offre il supporto logistico: mette a disposizione una base nei pressi di Piazza Fontana, dove viene avviato il timer della bomba, e prepara un’azione di copertura, con un sosia di Valpreda, forse il fascista Nino Sottosanti, che fa un giro in taxi, per poter incastrare il colpevole designato. Forse Rognoni in persona si occupa del secondo attentato, quello alla Banca Commerciale Italiana di piazza Scala, dove la bomba non scoppia.
La preparazione degli attentati, secondo l’indagine di Salvini era avvenuta nell’estate 1969. Un gruppo di ordinovisti veneti si ritrova in un casolare di Paese, nei pressi di Treviso. Ci sono Zorzi, Ventura, Marco Pozzan. E Carlo Digilio, zio Otto. Il gruppo prepara l’esplosivo per gli attentati. È stato proprio zio Otto a procurare la gelignite, mediando l’acquisto per conto di Zorzi. Digilio cerca di darsi da fare anche per insegnare ai camerati l’utilizzo di timer e candelotti.
Ma più di vent’anni dopo, colpo di scena, Salvini scopre che l’indignatissimo zio Otto aveva anche un nome in codice: Erodoto. E un’identità segreta: “Digilio Carlo iniziò la sua attività nel 1967, quando subentrò a suo padre Michelangelo nel ruolo di fiduciario CIA del Veneto. Il nome in codice Erodoto, che fu del padre, venne da lui ripreso alla morte di questi.” Così scrive il capitano Massimo Giraudo nel rapporto del maggio 1996 realizzato dal ROS [Raggruppamento Operativo Speciale] dei carabinieri.”    
Gianni Barbacetto, Il Grande Vecchio

La Strage di Piazza Fontana segna, profondamente, l’Italia.
“Ho pensato che cominciava davvero un periodo cupo, un periodo atroce.”,
ricorda Corrado Stajano.
“Per la prima volta gli italiani avevano l’impressione di essere stati ingannati, traditi dal loro Stato.”,
scrive Giorgio Bocca.
Nesun italiano aveva fino ad allora neppure immaginato la possibilità di assistere a un delitto così efferato; inoltre, come fu ben presto chiaro, erano coinvolti uomini dei servizi segreti[4].
Iniziava, così, in Italia, quella che venne definita STRATEGIA DELLA TENSIONE che, tra il 1968 e il 1974, fomentò 140 attentati dinamitardi.
Proprio in quegli anni, riprese corpo l’azione dell’estrema destra, e nacquero organizzazioni come i Nuclei Armati Rivoluzionari [NAR][5], Terza Posizione [TP][6] e Costruiamo l’Azione [CLA][7].
Nel 1978, si consuma l’attacco al cuore dello Stato con il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro.

“La c.d. strategia della tensione ebbe la finalità, anche se fortunatamente non conseguì il suo obiettivo, di rimettere l’Italia nei binari della “normalità” dopo le vicende del ‘68 ed il cosiddetto autunno caldo. Si può presumere che Paesi associati a vario titolo alla nostra politica e quindi interessati a un certo indirizzo vi fossero in qualche modo impegnati attraverso i loro servizi d’informazioni. Su significative presenze della Grecia e della Spagna fascista non può esservi dubbio e lo stesso servizio italiano per avvenimenti venuti poi largamente in luce e per altri precedenti [presenza accertata in casa SID di molteplici deputati missini, inchiesta di Padova, persecuzioni contro la consorte dell’[ambasciatore] Ducci, falsamente accusata di essere spia polacca] può essere considerato uno di quegli apparati italiani sui quali grava maggiormente il sospetto di complicità, del resto accennato in una sentenza incidentale del Processo di Catanzaro ed in via di accertamento, finalmente serio, a Catanzaro stessa ed a Milano.
Fautori ne erano in generale coloro che nella nostra storia si trovano periodicamente, e cioè ad ogni buona occasione che si presenti, dalla parte di [chi] respinge le novità scomode e vorrebbe tornare all’antico. Tra essi erano anche elettori e simpatizzanti della D.C., che, del resto, non erano nemmeno riusciti a pagare il prezzo non eccessivo della nazionalizzazione elettrica, senza far registrare alla D.C. una rilevante perdita di voti. E così ora, non soli, ma certo con altri, lamentavano l’insostenibilità economica dell’autunno caldo, la necessità di arretrare nella via delle riforme e magari di dare un giro di vite anche sul terreno politico.
Debbo dire che in quell’epoca ero ministro degli esteri e quasi continuamente fuori d’Italia, come si potrebbe documentare dal calendario degli impegni internazionali. Fui colto proprio a Parigi, al Consiglio d’Europa, dall’orribile notizia di Piazza Fontana. Le notizie che ancora a Parigi, e dopo, mi furono date dal segr. gen. pres. rep. Picella, di fonte Vicari, erano per la pista Rossa, cosa cui non ho creduto nemmeno per un minuto. La pista era vistosamente nera, come si è poi rapidamente riconosciuto. Fino a questo momento non è stato compiutamente definito a Catanzaro il ruolo [preminente] del SID e quello [pure esistente] delle Forze di Polizia. Ma che questa implicazione ci sia non c’è dubbio. Bisogna dire che, anche se con chiaroscuri non ben definiti, mancò alla D.C. di allora ed ai suoi uomini più responsabili sia sul piano politico sia sul piano amministrativo un atteggiamento talmente lontano da connivenze e tolleranze da mettere il Partito al di sopra di ogni sospetto. Risulta invece, mi pare soprattutto dopo la Strage di Brescia, un atteggiamento di folla fortemente critico e ostile proprio nei confronti di esponenti e personalità di questo orientamento politico, anche se non di essi soli.
Dislocato, come può essere asserito e dimostrato, prevalentemente all’estero, non ebbi occasione né di partecipare a riunioni né di fare distesi colloqui. Ricordo una viva raccomandazione fatta al ministro dell’interno on. Rumor [egli stesso fatto oggetto di attentato] di lavorare per la pista nera. Ricordo un episodio che mi colpì, anche se mi lasciò piuttosto incredulo. Uscendo dalla Camera tempo dopo i fatti di Piazza Fontana, l’amico on. Salvi, antifascista militante e uomo di grande rettitudine [cugino di una persona morta e di altre ferite nella strage, di nome Trebeschi, già appartenente a mondo cattolico] mi comunicò che in ambienti giudiziari di Brescia si parlava di connivenze ed indulgenze deprecabili della D.C. e accennava all’on. Fanfani come promotore, sia pure da lontano, della Strategia della Tensione. Io ebbi francamente una reazione d’incredulità e il Salvi stesso aggiunse che la voce non era stata comprovata né aveva avuto seguito.
Per quanto riguarda l’on. Rumor, che [era] sia presidente del consiglio sia ministro dell’interno all’epoca e fatto oggetto di attacco del Bertoli, si può fare riferimento al processo di Catanzaro, dove il guardasigilli Zagari ha asserito di avere portato in udienza la richiesta del magistrato circa Giannettini e di averne investito il presidente del consiglio. Quest’ultimo dichiara di non ricordare, ma di non voler mettere in dubbio la parola del collega. Anche alla luce delle dichiarazioni dei rispettivi capi di gabinetto si può ritenere che il documento sia stato presentato e letto o ricostruito. Risulta poi che esso non fu lasciato alla Presidenza né fatto oggetto di nota formale. Potrebbe quindi parlarsi di una di quelle deprecabili forme di trascuranza che pesano sul partito della D.C.
Sta poi a sé il caso Giannettini, riferibile all’on. Andreotti, il quale di tale rivelazione fece materia d’intervista di stampa, appena rientrato alla Difesa dopo la guida del Governo con i liberali. Il fatto in sé è ineccepibile. Restano non pochi interrogativi, tenuto conto della stranezza della forma adoperata e cioè la stampa e non una dichiarazione amministrativa o parlamentare. Fu forse solo esibizionismo dopo il ritiro dall’esperienza con i liberali? Fu fatto su richiesta di Mancini? E perché? Per riannodare tra i due Partiti? C’era un qualche rapporto tra l’imputato Maletti [amico dell’on. Mancini] e il Giannettini? Le valutazioni e interpretazioni sono molteplici. Dell’on. Andreotti si può dire che diresse più a lungo di chiunque altro i servizi segreti, sia dalla Difesa, sia, poi, dalla Presidenza del Consiglio con i liberali. Si muoveva molto agevolmente nei rapporti con i colleghi della CIA [oltre che sul terreno diplomatico], tanto che poté essere informato di rapporti confidenziali fatti dagli organi italiani a quelli americani.
È doveroso alla fine rilevare che quello della Strategia della Tensione fu un periodo di autentica ed alta pericolosità, con il rischio di una deviazione costituzionale che la vigilanza delle masse popolari fortunatamente non permise. Ed invece, come abbiamo detto, se vi furono settori del partito immuni da ogni accusa [es. on. Salvi] vi furono però settori, ambienti, organi che non si collocarono di fronte a questo fenomeno con la necessaria limpidezza e fermezza. È quella commistione, di cui dianzi dicevo, della D.C., per la quale, perseguendo una politica di egemonia politica, non è talvolta abbastanza attenta a selezionare e rischiare d’inquinare con pericolose intrusioni quelle masse popolari, d’ispirazione cattolica, le quali debbono essere preservate da inquinamenti totalitari ed essere strumento efficace di democrazia. Questa considerazione è di particolare attualità e valore, per mettere fuori discussione l’antifascismo della D.C. in qualsiasi contingenza politica.”
Aldo Moro, Memoriale

La Strage di Bologna[8] segna, in un certo senso, la fine degli Anni Settanta.
La formula di questa strategia era estremamente semplice ed efficace:
DESTABILIZZARE IL PAESE PER STABILIZZARE IL POTERE.
Il movente principale della Strategia della Tensione sarebbe stato quello di destabilizzare la situazione politica italiana. In tale ottica, tali attentati terroristici avevano lo scopo di seminare il terrore tra la popolazione, in modo da legittimare l’instaurazione di un governo di tipo autoritario o addirittura colpi di Stato da parte di forze politiche, o comunque organizzate, generalmente gravitanti nell’area dell’estrema destra. Tale strategia golpistica trae origine ideologica, dalla metà degli Anni Sessanta, in particolare, dal cosiddetto Piano Solo [il fallito colpo di Stato del 1964][9] e dal Convegno dell’Hotel Parco dei Principi[10], organizzato dall’Istituto di Studi Militari Alberto Pollio, nel maggio del 1965, avente come tema la “guerra rivoluzionaria” anticomunista, cui intervennero personalità del mondo imprenditoriale, alti ufficiali dell’esercito, giornalisti, politici ed esponenti neofascisti, quali Pino Rauti, Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino.
La Strategia della Tensione fu finanziata da  potenze estere e gestita da servizi segreti nazionali e apparati, quali Gladio, come confermerebbero i Kissinger Cables [http://espresso.repubblica.it/googlenews/2013/04/09/news/gli-usa-e-la-strategia-della-tensione-1.52917][11], hackerati, dal 2010 al 2013, dai servers del Governo statunitense e pubblicati da WikiLeaks.
Il 14 novembre 1974,  Pier Paolo Pasolini pubblica sul Corriere della Sera Che cos’è questo golpe? Io so. In tale articolo, Pasolini afferma di conoscere i nomi degli esecutori materiali delle stragi e di quello che lui definisce golpe e accusa giornalisti, politici e intellettuali, di sapere, di avere, anche, le prove, ma di tacere per servilismo nei confronti del Potere.
“Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi. Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi. A chi dunque compete fare questi nomi?”
La domanda è chiara:
“A chi dunque compete fare questi nomi?”
Pasolini risponde che solo chi “non è compromesso nella carica del Potere” e che, per  definizione, non ha niente da perdere, un intellettuale, può, anzi, deve, assumersi questa responsabilità nei confronti del Popolo.
Ed è da questo momento, dal momento in cui si fa carico di questa responsabilità, che Pier Paolo Pasolini inizia un vero e proprio ATTACCO AL POTERE, sul campo aperto.

“I have no special talent.
I am only passionately curious.”
Albert Einstein

“[…]
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti [attentati alle istituzioni e stragi] di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi[12].
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere.
[…]”

scriveva Pier Paolo Pasolini, nel celebre articolo Cos’è questo golpe? Io so [http://www.corriere.it/speciali/pasolini/ioso.html], pubblicato sul Corriere della Sera, il 14 novembre 1974, all’indomani degli scandali che avevano coinvolto la Democrazia Cristiana e i vertici dello Stato [http://legislature.camera.it/_dati/leg13/lavori/doc/xxiii/064v01t03_RS/00000018.pdf].
È un proclama che poteva fare paura a chi avesse ordito le Stragi degli anni 1970.
Pasolini poteva costituire una minaccia.
Occorre ricordare che, nel 1974, viene messa in liquidazione la Banca Privata Italiana, nata dalla fusione di Banca Unione e Banca Privata Finanziaria; inizia la crisi dell’impero Sindona e, nel contempo, il ruolo di finanziatore dell’eversione si sposta da Michele Sindona a Licio Gelli. In quello stesso periodo, il Banco Ambrosiano ristruttura il proprio apparato estero: una barriera protettiva grazie alla presenza dello IOR, l’istituto bancario vaticano difficilmente penetrabile da controlli delle autorità monetarie e finanziarie, anche nel punto chiave di uscita del danaro.
In particolare, nel 1974, fu fondata la United Trade Company [UTC].
Ma quello che interessa sottolineare è che, come è scritto nell’ordinanza di rinvio a giudizio per il crack del Banco Ambrosiano, nel 1975, la UTC inizia a erogare, in modo assolutamente ingiustificato, ingenti somme a fondo perduto su conti presso banche svizzere e sudamericane, appartenenti o comunque riferibili a Licio Gelli e Umberto Ortolani[13].
Il 4 ottobre 1974, il giudice istruttore di Milano, Ovilio Urbisci,  emette contro Sindona un primo mandato di cattura per i reati di false comunicazioni sociali e illegale ripartizione degli utili e, dopo che,  con sentenza del 14 ottobre 1974, il Tribunale Civile di Milano dichiara lo stato di insolvenza della Banca Privata Italiana nei confronti di Sindona, viene promossa l’azione penale anche per il reato di bancarotta fraudolenta, con ordine di cattura, emesso il 24 ottobre 1974[14], confermato dal giudice istruttore Urbisci, a seguito della formalizzazione del procedimento, con mandato di cattura del 2 luglio 1975 [cfr. la sentenza n. 20/86 del 18 marzo 1986 della Corte di Assise di Milano, acquisita al fascicolo per il dibattimento].
Le perdite superano i 200 miliardi. L’incarico di liquidatore della Banca Privata Italiana viene affidato a Giorgio Ambrosoli[15], che metterà a nudo le truffaldine operazioni di Sindona.
Il 1974 è un anno di sangue!


Pier Paolo Pasolini con Ferdinando Adornato e Walter Veltroni alla manifestazione in sostegno del movimento antifranchista davanti all’Ambasciata di Spagna, in Piazza di Spagna, a Roma, il 24 settembre 1975.

“L’euforia per la vittoria del no al Referendum sul divorzio del 12 maggio 1974 non si era ancora spenta, quando il sinistro fragore delle bombe assassine tornò a farsi sentire a Brescia, una delle città che aveva ospitato la Repubblica Sociale Italiana e dove più accesa era stata la lotta della Resistenza contro i fascisti. Alle 10:12 del 28 maggio 1974, un ordigno ad alto potenziale esplose a Piazza della Loggia mentre si svolgeva una manifestazione del Comitato antifascista per protestare contro le violenze di matrice nera. Il bilancio di sangue ancora una volta fu terribile: otto morti e centotré feriti. La bomba era stata posta in un cestino portarifiuti e fu fatta scoppiare con un congegno elettronico a distanza. La piazza venne lavata con gli idranti pochissimo tempo dopo l’esplosione, distruggendo e disperdendo così i frammenti dell’ordigno e del congegno di innesco. L’attentato fu rivendicato dall’organizzazione neofascista Ordine Nero che aveva preso il posto del disciolto Ordine Nuovo.
Il 31 maggio 1974 – ai funerali di alcune vittime [Alberto Trebeschi (37 anni, insegnante di fisica, n.d.r.), Clementina Calzari Trebeschi ( 31 anni, insegnante, n.d.r.), Giulietta Banzi Bazoli, (34 anni, insegnante di francese, n.d.r.), Livia Bottardi Milani (32 anni, insegnante di lettere alle medie, n.d.r.), Euplo Natali (69 anni, pensionato, ex partigiano, n.d.r.), Bartolomeo Talenti (56 anni, operaio, n.d.r.)] – il popolo bresciano, silente per tutto il tempo della mesta cerimonia, all’improvviso si mise a urlare contro i rappresentanti del Governo presenti, fischiandoli e accusandoli di complicità. Come abbiamo appena detto nel capitolo precedente, oggetto dell’attacco fu il presidente del consiglio Mariano Rumor, che quattordici giorni prima era stato a sua volta oggetto di un grave attentato presso la questura di Milano a opera di Gianfranco Bertoli.”
Ferdinando Imposimato, La Repubblica delle stragi impunite  
    
Il 28 maggio 1974, è una mattina di pioggia e alle 10:12 minuti, mentre in Piazza della Loggia sta parlando il sindacalista della CISL Franco Castrezzati, scoppia una bomba posta in un cestino per i rifiuti, sul lato est, sotto i portici[16].
L’attentato provoca la morte di 8 persone e il ferimento di altre 102.
Qualche mese dopo la Strage di Piazza della Loggia, il 4 agosto 1974, nel cuore della notte, mentre  il treno espresso 1486, Italicus, proveniente da Roma e diretto a Monaco di Baviera via Brennero, esce dalla galleria della Direttissima, sulla tratta ferroviaria tra Firenze e Bologna, esplode una bomba ad alto potenziale nel secondo scompartimento della quinta carrozza[17].
Nell’attentato muoiono 12 persone e altre 48 rimangono ferite.
Il 5 agosto 1974, verrà rinvenuto, a Bologna, in una cabina telefonica, un volantino di rivendicazione dell’attentato a firma di Ordine Nero, che dichiara:
“Giancarlo Esposti è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla Nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l’autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti.”[18]
Nel 1974, è, anche, elaborato un piano per un colpo di Stato: è il Golpe Bianco di Edgardo Sogno[19], preceduto dal Piano Solo del 1964 e dal Golpe Borghese del 1970 [https://www.youtube.com/watch?v=_B6_FHQAPEE][20].
Lo scrittore Italo Calvino, in un articolo intitolato La strage, pubblicato sul Corriere della Sera, il 6 ottobre 1974, esprime molto bene il clima di violenza dell’epoca:
“Almeno un risultato questi delle bombe l’hanno ottenuto, insistendo nel loro monotono lavoro di collezionisti di stragi: di esaurire la possibilità che la parola scritta e parlata ha di esprimere l’indignazione, l’esecrazione, la ferma volontà di impedire il ripetersi.”
Il primo novembre del 1975, tra le 16:00 e le 18:00, poche ore prima di essere assassinato, Pier Paolo Pasolini rilascia una intervista a Furio Colombo per La Stampa. Titolo della intervista, per espressa volontà di Pasolini: Siamo tutti in pericolo[21] [http://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/morte/siamo-tutti-in-pericolo-lultima-intervista-a-ppp-di-furio-colombo-1-xi-1975/].
Il giorno dopo, il 2 novembre 1975, Giorno dei Morti, il corpo senza vita del poeta viene trovato all’Idroscalo di Ostia[22].
Non si è Italiani se non si ha una teoria personale del “complotto” di quel giorno!
Il suo assassinio interrompe le sue indagini politiche, ma una parte di Petrolio è, già, stata scritta e continua a parlare dopo la sua morte. Se si continuasse a studiarlo dal punto di vista economico-politico, forse, potrebbe rivelare qualche segreto che i potenti di allora volevano nascondere, o, forse, potrebbe portare a una pista finora neppure ipotizzata e svelare quanto sia accaduto. Perché rivelare la verità a tutti era il desiderio di Pier Paolo Pasolini, come scrive Gianni d’Elia[23]:
“Il dono che ha fatto Pasolini agli italiani, negli ultimi anni di vita, è stato ed è quello di un privilegio contrario ed esattamente opposto al privilegio ricevuto per editto e consuetudine dal Potere, politico giudiziario, della menzogna: il diritto, e soprattutto il dovere, alla verità storica e politica del male che ha afflitto e affligge la nostra Nazione.”
Pasolini sapeva i nomi dei responsabili che si nascondevano  dietro la strategia della tensione, “di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali”,  e lo afferma, in modo reiterato, di sapere, ma afferma, anche:
“Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.”
Così, il suo discorso differisce da un discorso scientifico o storico: il suo sapere è puramente intuitivo, letterario.
Il suo articolo diviene, allora, una sorta di J’accuse! mancato. Riprende la struttura anaforica del J’accuse! di Emile Zola, con una differenza, tuttavia: Pasolini afferma di sapere, ma non può dire, non può citare i nomi, perché non ha prove.
Zola, al contrario, “accusa”, nominando colpevoli precisi, perché ha le prove. Reiterando l’affermazione “Io so.”, Pasolini conferisce allo scrittore lo status di strumento cognitivo, capace  di scoprire una Verità, di costituire un Sapere.
È, dunque, la sua condizione di scrittore che gli permette di ritrovare il fil rouge in seno agli episodi apparentemente privi di una logica propria.
È la sua condizione di scrittore che gli permette di trovare un senso agli episodi misteriosi – a quel momento non ancora chiariti – che caratterizzano la Storia italiana degli anni 1970.

26 gennaio [1976, n.d.r.]
Niente governo neppure oggi. Invece per rallegrare la scena è scoppiato lo scandalo dei dollari della CIA ai nostri partiti. Il “New York Times” e il “Washington Post” [i giornali dello scandalo Nixon] hanno pubblicato larghi estratti delle relazioni della commissione senatoriale e di quelle del congresso sui finanziamenti della CIA in Italia […]. Si parla di 21 uomini politici compromessi ma non farebbero nomi. I nomi e grossi li fa invece il “New York Times”. Sono quelli di Andreotti e di Donat Cattin per la DC, di Saragat per la sinistra socialdemocratica, di Vito Scalia della CISL. Il nome che fa più impressione è naturalmente quello di Saragat. Egli oppone [come gli altri del resto] una indignata protesta, mai visto una volta, mai visto un soldo. 
Vedremo il seguito della polemica. Mi appare sbalorditivo che un nome come quello di Saragat possa essere buttato nel fango in questo modo, è un ex-presidente della Repubblica, è l’uomo che nel 1947 fece la scissione del partito socialista in difesa degli Stati Uniti. Da tanti anni l’America si avvale di lui per sbandierare la sua propria missione di libertà nel mondo.
Adesso lo si dà in pasto alle calunnie. Potrà risollevarsi o no dal colpo che riceve e dai molti che sono pronti ad accettare per vero. Ma l’attuale classe dirigente appare vile e smarrita. Una classe dirigente che per certo non può reggere la leadership del mondo alla quale pretende.
Quanto ai finanziamenti si tratta adesso di accertare dov’è la verità.

28 gennaio [1976, n.d.r.]
Altra e più grave rivelazione della “Stampa” sui finanziamenti della CIA in Italia. Il caso denunciato oggi è infinitamente più grave dei precedenti […]. Dai passi citati risulta che l’ambasciatore in persona nel febbraio 1970 versò circa 500 milioni di lire a un altissimo personaggio dei servizi segreti italiani e che costui li girò a un giornalista di estrema destra per influenzare in questo senso la politica in questione.
“La Stampa” sostiene che i due personaggi sono il generale Vito Miceli [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/12/02/morto-vito-miceli.html] [24] e Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo, giornalista e deputato missino. Interventi di questo genere vanno oltre il finanziamento dei partiti o dei sindacati, investono la sicurezza del Paese. Miceli ha smentito e Rauti ha fatto naturalmente lo stesso ma non ha aperto bocca l’ambasciatore. Non fiata il Dipartimento di Stato […].

29 gennaio [1976, n.d.r.]
Nello scandalo dei finanziamenti della CIA in Italia i politici passano un poco in seconda linea. La tensione e lo sdegno si concentrano nel mezzo miliardo dell’ambasciatore americano al SID […] La crisi ministeriale è tornata dopo 24 giorni al suo punto di partenza. La direzione della DC non si è opposta al monocolore che Moro cura di costituire ma lo ha condizionato a un accordo della vecchia maggioranza se non sulla formula sul programma del nuovo governo. La palla cioè ritorna nel nostro giardinetto.
Pietro Nenni, Socialista libertario giacobino: Diari [1973-1979][25]

Oggi, la Verità è preda di due opposte e concomitanti follie: il Nichilismo di chi sostiene che la Verità non esista, ma vi siano solo i punti di vista e il Fanatismo di chi ritiene di avere il monopolio della Verità.
Ma nessuno ha la Verità in tasca!
La Verità è latente nel profondo dell’animo umano, o, meglio nel nostro io spirituale e occorre un certo grado di evoluzione perché ne appaia qualche luce. Noi andiamo verso la Verità a piccole tappe, che sono illusioni, ma, nel momento, sono per noi Verità, la nostra Verità.
La Verità è più grande di noi e nessuno ne detiene il monopolio, ci trascende.
Noi possiamo aspirare a essere nella Verità, ma non ad avere la Verità in pugno.
Noi possiamo nutrire passione di Verità e possiamo cogliere alcuni aspetti della Verità, perché la Verità ha molti lati.
È la poligonia obiettiva del vero, di cui parla Vincenzo Gioberti nella Teoria del sovrannaturale: la Verità ha vari lati, non uno solo.
Si tratta, pertanto, di ripristinare la relazione tra il vero e il fatto, come direbbe Giovan Battista Vico.
Il vero è la visione intelligente del fatto.
I fatti sono parziali, le interpretazioni partigiane.
La Verità è l’intero rispetto alle parti.
Ognuno, dunque,  faccia la sua parte, senza la pretesa di dire il Tutto o di rivelare il Nulla.
Questo salva la Verità dal monopolio dispotico e dalla negazione nichilista.
Vi è stato un tempo nella Storia degli uomini, in cui veniva imposto di credere ciò che piaceva a chi era al Potere, pena la persecuzione, la prigionia e la forca. Furono, così, commessi innumerevoli delitti, mentre gli autori incoscienti si proclamavano seguaci di Verità, e l’istituzione nefasta fu, perfino, canonizzata con il nome di Santa Inquisizione.
Questa aberrazione umana continua, ancora oggi.
Ed è, sempre, la miopia degli uomini che rende intollerante chi si ritiene possessore della Verità.
La pericolosità dei dogmatici, non solo nel campo religioso, ma in quello politico, scientifico, è nel credersi i soli possessori della Verità assoluta e di ritenere gli Altri nell’errore. Per questo si credono in dovere di combatterli per portarli alla posizione che ritengono la sola giusta e vera.

“La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità.”
Il brigadiere cominciava a stancarsi: si sentiva come un cane costretto a seguire il cammino del cacciatore attraverso una pietraia arsa, dove non stinge la più tenue traccia di selvaggina. Un lungo contorto cammino: sfioravano appena i morti ammazzati e subito allargavano il giro; la Chiesa, l’umanità, la morte. Una conversazione da circolo, Cristo Dio: e con un delinquente…
“Lei ha aiutato molti uomini” disse il capitano “a trovare la verità in fondo a un pozzo.”
Don Mariano gli apr in faccia occhi freddi come monete di nichel. Non dise niente.
“E il Dibella era già nella verità” continuò il capitano “quando scrisse il suo nome e quello di Pizzuco…”
“Nella pazzia era, altro che verità.”
Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta 

Quando Leonardo Sciascia scrive Il giorno della civetta, crede nella Verità, nella sua esistenza e nella sua conoscibilità anche quando qualcuno, a essa nemico, tenta di nasconderla e imposturarla. Nel romanzo, Verità e Giustizia si incontrano per dividersi subito: la Verità, pur se nota, non porta con sé la Giustizia, che è impedita dal Potere che assicura l’impunità.
Il coraggio della Verità si prefigge di investigare aspetti miracolosamente, verrebbe da dire, ancora poco indagati.
Mala tempora currunt per i ricercatori di Verità, nell’opera di Sciascia e nella Storia italiana del Dopoguerra!
La Verità che Sciascia, da cittadino e da intellettuale, ha, sempre, cercato è stata una Verità in conflitto con le ragioni della politica dei Partiti, dei Governi, delle Istituzioni. In conflitto con la Ragione di Stato e la Ragione di Partito.
E io ho deciso di fare mie le parole di Leonardo Sciascia a Marcelle Padovani:
“Sono arrivato alla scrittura-verità, e mi sono convinto che, se la verità ha per forza di cose molte facce, l’unica forma possibile di verità è quella dell’arte. Lo scrittore svela la verità decifrando la realtà e sollevandola alla superficie, in un certo senso semplificandola, anche rendendola più oscura, per come la realtà spesso è.”
Il Presente è, sempre, il risultato del Passato e il collettivo è una dimensione dell’individuale: non posso comprendere me stesso senza comprendere gli altri.
Ogni mio scritto nasce da una domanda. 
Perché?
Calarmi nelle storie e nei personaggi è frutto della mia esperienza di “prestato scrittore al giornalismo”.
Ho appreso doti di chiarezza e velocità e, anche, a inventarmi in ruoli diversi in ogni romanzo, come in un gioco, perché la Letteratura è uno strip-tease al contrario: lo scrittore parte nudo e si veste fino a diventare un nuovo o più nuovi personaggi.
A cosa serve conoscere il Passato?
Perché occuparsi di ciò che è accaduto dieci, mille, diecimila anni fa?
Non sarebbe meglio esaminare il Presente, ciò che accade intorno a noi e da cui dipende la nostra Vita?
Studiamo il Passato proprio per comprendere il Presente.
Sulla Terra tutto si evolve, in altri termini, tutto si trasforma.
Un miliardo di anni fa, la Terra appariva un immenso globo arroventato, circondato di vapori, su cui non vi era e non poteva esservi Vita. 
Centinaia di milioni di anni fa, la Vita si generò sulla Terra.
Decine di milioni di anni fa, già, esistevano una ricca vegetazione, boschi sterminati, una moltitudine di animali di ogni specie, sia acquatici sia terrestri.
Tutto quel Mondo somigliava molto poco al Mondo attuale, che, tuttavia, si è sviluppato da quello, mediante una lunga serie di mutamenti ininterrotti.
Come è avvenuto tutto questo?
Non per caso, ma secondo leggi determinate.
Se ci limitiamo a esaminare la Vita, oggi, non riusciamo a cogliere queste leggi, vale a dire il carattere necessario dei mutamenti. Prima che si studiasse il lontano Passato del Pianeta Terra, prima che si scoprissero i fossili degli animali e dei vegetali, esistiti milioni di anni fa, si riteneva che il Mondo non fosse, mai, mutato dall’attimo in cui era stato creato. Si rideva dei pochi scienziati che osassero affermare il contrario. Eppure, quegli studiosi asserivano, ciò che, oggi, sembra evidente, che la Vita si sia sviluppata sulla Terra, a poco a poco, nel corso dei secoli.
Le osservazioni sui resti dell’Antico Mondo vegetale e animale, che sono giunti fino a noi, perché sono rimasti sepolti per centinaia di secoli, hanno dimostrato che il Vecchio Mondo animale e vegetale somigliava molto poco al nostro, che il Mondo è, sempre, cambiato, nel corso dei secoli, e che, naturalmente, tutto continua e continuerà a cambiare.
È una legge di natura!
Ma la dottrina, secondo cui il Mondo è immutabile e tutto è stato creato in un attimo, è stata sostenuta, a lungo, non per caso o per pura ignoranza.
Questa dottrina era vantaggiosa a molti.
Se, in generale, nulla cambia nel Mondo, non cambia neppure la Società. Anche questa ha un suo assetto immutabile: così è, sempre, stata e, così, sempre, sarà.
Ma per quale motivo si doveva credere, in Passato, che la Società fosse, sempre, stata la stessa?
Per il semplice motivo che una simile credenza era utile a chi godeva di tutti i benefici nella vecchia Società.
Chi aveva, sempre, detenuto il potere voleva persuadersi che sarebbe stato, sempre, così, e cercava di convincere se stesso, ma, soprattutto, la Massa che, così, dovesse essere e che le cose non potessero andare diversamente.
Se lo studio del Passato della Terra, dell’Antico Mondo animale e vegetale, se la Geologia e la Paleontologia hanno mandato in frantumi la Fiaba, secondo cui il Mondo è stato creato in un attimo e non può cambiare; la Storia e l’Archeologia mandano in frantumi l’altra Fiaba, secondo cui la Società è, sempre, stata e, quindi, sarà, sempre, quale è.
L’Uomo, invece, cambia e cambierà, come tutto il resto.
Alcuni ordinamenti sociali nascono, altri tramontano e, al loro posto, ne sorgono di nuovi.
La fine di tali mutamenti non possiamo prevederla né immaginarla; ma, se osserveremo il prodursi di tali fenomeni, nel corso di decine e centinaia di anni, giungeremo a coglierne le leggi. E, se non riusciremo a dire come diverrà la Società, tra qualche migliaio di anni, potremo, tuttavia, sapere per quali vie l’Umanità si andrà modificando.
Chi prevede l’Avvenire lo domina, perché si prepara a esso, si organizza per evitare le future calamità e utilizzare al massimo i beni che l’Avvenire gli riserva.
Conoscere significa prevedere, prevedere significa padroneggiare.
La conoscenza del Passato dà, quindi, all’Uomo un potere sul Futuro.
Ecco perché abbiamo bisogno di conoscere il Passato.
Ora, se per individuare il carattere necessario dei mutamenti che si producono nella Società, dobbiamo esaminare tali mutamenti, nel corso di un lungo periodo, ciò non significa che si debba intraprendere l’esame dalle Età più remote.
Si può, anche, seguire la strada inversa.
Anzi, le leggi dei mutamenti della Società sono più facili da cogliere, ove si proceda dal Presente verso il lontano Passato.
Muoviamo, quindi, dal Presente.  
In tutto il Mondo si sta producendo, oggi, una Rivoluzione.
Osservando il Presente o il Passato relativamente prossimo, possiamo individuare le leggi dei mutamenti storici, comprendere che la Storia è fatta di uomini che svolgono determinati compiti ed è modificata dalla classe sociale che opera i singoli mutamenti.
Come si generano le classi sociali?
Perché mai tutta la produzione era in Passato nelle mani dei contadini e dalla campagna si ricevevano non solo il grano, il lino, la lana, ma anche i calzari e le vesti, e tutto veniva fabbricato dai singoli artigiani, che se ne stavano rintanati ognuno nella propria bottega o in casa, mentre, oggi, vi sono grandi industrie calzaturiere e manufatturiere?
Solo perché – non esistendo o pressoché le macchine – l’Uomo di quel tempo era costretto a fare tutto con le sue mani. Esistevano, naturalmente, macchine idrauliche, come i mulini, ma le macchine di questo tipo erano molto poche.
Trecento anni fa, l’Uomo iniziò a costruire macchine a vapore, in seguito, quelle elettriche e termiche.
Con la comparsa delle macchine si riuscì a produrre oggetti di ogni genere in quantità maggiore e con un ritmo più rapido. Non si poté più, a tale punto, lavorare isolatamente, perché il singolo operaio non poteva usare da solo la macchina e gli operai iniziarono, quindi, a radunarsi in Massa intorno alle macchine.
Ebbe, pertanto, origine la grande produzione: la fabbrica.
I proprietari delle macchine, imprenditori o borghesi, divennero i padroni di tutto. Fornivano agli operai la possibilità di usare le macchine e, al tempo stesso, li privavano dei frutti del loro lavoro, retribuendoli con salari di fame.
Nacque, così, la classe degli operai, che non lavoravano più in casa propria e solo con le proprie mani, ma in casa di altri e con l’aiuto di macchine non loro.
Si formò, quindi, il Proletariato.
Questo significa che la nascita di una data classe sociale si spiega con il modo di gestione dell’Economia.
In Passato, si lavorava isolatamente, in piccole imprese e questo era un assetto sociale determinato.
In seguito, si iniziò a lavorare tutti insieme e si ebbe un diverso assetto della Società.
Tutti i mutamenti sono, pertanto, fondati su una trasformazione dell’Economia.
Cosa costringe l’Uomo a occuparsi di Economia?
Dall’inizio del XX secolo, l’intera Umanità vive in circostanze catastrofiche. I tempi tranquilli, nei quali un Sistema Universale e profondamente radicato di valori scientifici, creativi e vitali pareva sussistere incrollabile, sono scomparsi  totalmente.
Ovunque divisioni, contrasti, scissioni, ovunque avvenimenti fluttuanti, mutevoli, contraddittori. Eppure, al di sopra di essi sta l’ideale di una finalità comune, che è quella di riunire in una comunità unitaria i Popoli, perché si adattino gli uni agli altri e si fecondino a vicenda.
Certo, non è possibile cogliere l’Umanità in tutto il suo complesso, poiché non vi è in essa un contenuto culturale comune, capace di costruire una Civiltà nuova; tuttavia, questa esperienza non impedisce che si aspiri al collegamento e all’unione dei Popoli, poiché si avverte che le finalità, in campo sociale ed etico, debbono, sempre, oltrepassare il verosimile per avere una efficacia creativa.
Fenomeno strano, ma comprensibile, nella nostra Epoca inquieta e rivoluzionaria sono vive due tendenze contrastanti: l’una, che spinge alla scissione, perfino all’autodisgregazione; l’altra, che mira all’unificazione.
Nel gioco delle forze politico-sociali manca una linea unitaria: forze diverse in lotta tra loro, dominano la Vita multiforme degli individui e degli strati sociali. Questa duplicità delle forze fondamentali e apparentemente inconciliabili, questi effetti di forze contrarie, ma tra loro intersecate, si ritrovano in tutti i grandi periodi della Storia, sia nell’Antichità Classica e nell’Impero Bizantino, sia in diversi momenti dell’Era Moderna.
Si ha, tuttavia, l’impressione che l’Umanità non abbia, mai, conosciuto tensioni e sconvolgimenti della potenza e della vastità di quelli che abbiamo occasione di osservare noi, oggi.
In queste circostanze caotiche, nelle quali vediamo Masse, Popoli e Culture crollare e nuove strutture politiche e sociali sorgere al loro posto, emergono, naturalmente, problemi di ogni genere, nuovi e vecchi, razionali e irrazionali, che, solo in piccola parte, ammettono una soluzione.
Le nuove idee di attualità, i progetti, le ideologie, le parole altisonanti e le teorie cavillose contribuiscono a confondere gli Spiriti.
Si presuppone che gli Uomini siano in grado, per la loro preparazione, di venire, felicemente, a capo di questi compiti in tutta la loro estensione. Senza una speciale selezione, si affidano agli individui i compiti più diversi, e la maggior parte di loro sembra, anche, essere capace di eseguire i lavori assegnati, fintanto che non siano richieste forza creatrice e grandezza personale. Di fronte a una tale grande Massa di capaci sta lo strato più esiguo degli individui dotati di attitudini creative, quella degli individui di talento, predestinati da Natura a compiti più ardui e più elevati. 
Perché scrivo?
Scrivere è, forse, una delle più incredibili Avventure che ci sia data.
Non richiede che un foglio, una penna ed è un Universo intero a sorgere, ad accalcarsi, già, dietro la porta.
Tra le righe!
Vi è qualcosa di magico. Di affascinante. Forse, anche di inquietante. Perché questo Mondo, se non è, forse, completamente reale, nondimeno ha il potere di trasformarci. Molto sovente, almeno se il Libro è buono, non è più la stessa persona che finisce un romanzo quella che l’ha iniziato.
E ciò vale sia per il lettore sia per lo scrittore.
No, scrivere, leggere, non è anodino!
Non se ne esce, sempre, indenni…
I libri possono cambiare il mondo, non d’improvviso, ma a poco a poco, trasformando la percezione dei lettori.
Vi sono Libri che ci accompagnano, che ci fanno crescere, che divengono vecchi Amici.
Fanno parte della Famiglia, hanno il loro posto accreditato sui ripiani della libreria.
Libri di cui si ama accarezzare, teneramente, la rilegatura; scorrere, a caso, qualche frase, per la musica interiore; respirarne l’odore…
E, poi, altri che, un giorno, si dimenticano o, peggio ancora, si tradiscono, ignobilmente, per il tale autore alla moda…
Libri allettanti e facili, tentatori come il Demonio, scritture di dubbia virtù, zerbini letterari di circostanza…
È la Vita!
Precisamente.
E si deve assaporarla fino all’ultima pagina… 
Perché leggere è un atto sacro.
“Se l’uomo non avesse un’immaginazione così debole e facile a stancarsi, se la sua capacità di meravigliarsi non fosse così limitata, abbandonerebbe per sempre le fantasticherie celesti. Imparerebbe a percepire l’assoluto e il meraviglioso nell’acqua, nelle foglie e nel silenzio, e sarebbe una consolazione più che sufficiente per la perdita degli antichi sogni.”
Io leggo Libri che mi rendono un Uomo migliore, che sfidano il mio modo di pensare, che mi fanno fluire e proseguire nel cammino.
E se il Libro è Desert Solitaire di Edward Abbey[26], che riconosco, geneticamente, vicino a ciò che scrivo, mi scatta il senso profondo donato all’Uomo dall’umiltà, che mi fa comprendere che il “Labirinto” è solo all’inizio.
Vero Edward?



“Vorrei che gli italiani sapessero di tanti altri ragazzi soldato, decine e decine, ormai centinaia, morti ugualmente per aver servito lo Stato nelle missioni di pace nelle zone di guerra. Ma lo fanno in silenzio, tra atroci dolori, in un lettino d’ospedale, uccisi dai tumori diagnosticati dopo il Kosovo, la Somalia, l’Iraq, l’Afghanistan. E non hanno nessun funerale ufficiale, nessun sostegno se non quello dei genitori e delle mogli che li assistono sino all’ultimo.”
Giuseppe Di Giorgio, ex-parà della Folgore, malato di linfoma di Hodgkin [http://sadefenza.blogspot.it/2009/10/la-verita-e-radioattiva-parla-un-ex.html]
“L’intervento italiano in Afghanistan si realizza nel pieno rispetto dei principi e delle circostanze stabiliti dall’articolo 11 della nostra Costituzione[27]. Siamo in Afghanistan non per recare offesa alla libertà di un altro popolo, né per risolvere con la guerra una controversia, ma per rispondere all’appello di quelle organizzazioni internazionali impegnate ad assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni cui la Costituzione fa esplicito riferimento”.
Giorgio Napolitano, 1 agosto 2011, ore 11.34 

Dove finiscono le armi quando finiscono le guerre?
Tutto ha origine quando l’Unione Sovietica inizia a dismettere gli arsenali e la preoccupazione di un Terza Guerra Mondiale viene meno.
I Balcani costituiscono, da sempre, un’area molto appetibile per i mercanti di armi: guerre continue, sia pure di portata regionale, a causa della forte compresenza di diverse etnie e religioni.
Il 23 Dicembre 1990[28] – data dell’esito positivo del Referendum popolare sull’indipendenza della Slovenia – inizia la disgregazione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia [Socijalistička Federativna Republika Jugoslavija, SFRJ][29]. Da quel momento, i maggiori Stati produttori e venditori di armi iniziano a “farsi i loro affari”, anche se favorevoli alla Risoluzione 713 [http://www.un.org/fr/documents/view_doc.asp?symbol=S/RES/713[1991]], adottata, il 25 settembre 1991, dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che decretava l’embargo generale sulle armi e sull’equipaggiamento militare contro l’intera Federazione Jugoslava e invitava il segretario generale Javier Pérez de Cuéllar [1º gennaio 1982 – 31 dicembre 1991][30] a offrire la propria assistenza per sostenere lo sforzo negoziale condotto dalla Comunità Europea nell’ambito della Conferenza dell’Aia.
Grazie alla sua posizione geografica l’ex-Jugoslavia rappresenta un ponte naturale tra l’Europa e l’Oriente e, con la copertura della guerra, si consolida la sua posizione di crocevia strategico per qualsiasi traffico illecito. La struttura statale inesistente e legittima favorisce lo sviluppo e il proliferare della criminalità organizzata e, così, in Bosnia, le forze internazionali organizzano un intenso traffico di armi che avrebbero dovuto distruggere. Quando scoppia una guerra, sono in molti a lanciarsi in un business  che permette di accumulare ingenti ricchezze!
Mercanti di armi e rappresentanti di Governi, sebbene implicati, non vengono, mai, giudicati responsabili né condannati.
Tra il 1991 e il 1992[31], quando nei Balcani il traffico di armi prospera, 20 navi cariche di armi approdano, in grande segreto, nel porto sloveno di Koper[32].
“Il porto di Koper costituiva un’ottima opportunità per aggirare l’embargo,”,
sostiene Zdenko Cepic[33],
perché non era controllato dagli ispettori internazionali. La supervisione sulle spedizioni veniva eseguita dalla stessa Slovenia, che permetteva limportazione di armi da altri Paesi europei.”


È un ottimo escamotage per aggirare l’embargo stabilito dall’ONU.

Il carico viene, poi, inviato in Croazia e in Bosnia.
L’operazione ha la regia delle Mafie italiana, albanese e russa.
Tali armi avrebbero dovuto essere utilizzate a scopo difensivo. Favoriscono, invece, aggressioni e atrocità di ogni tipo.
Le armi acquistate dalla Croazia hanno permesso di respingere l’Esercito Popolare Jugoslavo [JLA], ma non dobbiamo dimenticare che i leaders militari croati sono stati condannati e che croati  e serbi sono stati coinvolti nel massacro di musulmani bosniaci.
Conclusosi il conflitto, il traffico di armi confluisce nei servizi segreti.
Di nuovo, vi è chi ne sa trarre una grande quantità di danaro…
Come disse, duemila anni fa, al figlio Tito l’imperatore Vespasiano, quando impose la tassa sulle latrine pubbliche:
“Il danaro non puzza!”
Questo adagio, ormai classico, vuole mettere in luce un contrassegno positivo del danaro, vale a dire, il suo valore è indipendente dalle circostanze in cui è stato fatto.
Ma quello che valeva duemila anni fa per il danaro dell’imperatore romano, non vale più, oggi, nei confronti del crimine organizzato.
Soldi guadagnati illegalmente possono essere ritirati dalla circolazione dallo Stato anche se sono stati “deodorati” in un graduale processo di lavaggio, come si definisce in tedesco il riciclaggio.
Il lavaggio di danaro o riciclaggio è stato, fino agli anni 1980 inoltrati, una metafora pregnante del linguaggio giornalistico e, solo agli inizi degli anni 1990, si è trasformato in concetto giuridico.
Nel 1990, il gruppo delle Nazioni economicamente più importanti [G7] presentò delle direttive fatte elaborare dal Financial Action Task Force on Money [ FATF ].
Oggi, interi settori economici, anzi intere economie nazionali sono minacciate dall’infiltrarsi del crimine organizzato. I riciclatori di danaro lo aiutano ad accedere alle posizioni di potere dell’economia e della società legali.
Il Fondo Monetario Internazionale [FMI] ritiene che, nel 1995, siano stati immessi, clandestinamente, nei mercati finanziari legali complessivamente 500 miliardi di dollari di danaro sporco, nonostante fossero state rafforzate le misure contro il riciclaggio.
FARE LUCE è la parola d’ordine di questa inchiesta.
Non si vuole tanto portare l’attenzione su singoli casi, avvenimenti, scandali, quanto rendere visibili quelle strutture e quegli intrecci della finanza, in cui il flusso del danaro sporco si mescola con quello legale.
Fare i nomi di società e persone diviene, pertanto, inevitabile.
Conformi a questo approccio sono anche le numerose note a piè di pagina disseminate nel testo, che contengono particolari concreti sui punti nodali e le diramazioni di organismi finanziari invisibili.
Da venti anni, i reduci dalle missioni NATO, in Libano, in Afghanistan, in Bosnia, in Somalia, in Kosovo e in Iraq si ammalano per le conseguenze dell’uso  di proiettili all’uranio impoverito. È l’Osservatorio Militare,  presieduto dal maresciallo in pensione Domenico Leggiero, ex-pilota dell’Aeronautica [http://www.osservatoriomilitare.it/] a fornire i numeri di questa strage dimenticata, sui quali a fare luce non sono servite tre Commissioni di Inchiesta Parlamentari, regolarmente azzoppate dal crollo anticipato delle legislature.
Ne è decollata una quarta, presieduta dal deputato PD della Sardegna Gian Piero Scanu.
“L’universo della sicurezza militare non è governato da norme adeguate. C’è bisogno di una nuova legge, senza la quale resteranno immutate le scelte strategiche di fondo che trasformano i militari in lavoratori deboli e umiliano i militari ammalati o morti per la sproporzione tra la dedizione dimostrata e la riluttanza istituzionale al tempestivo riconoscimento di congrui indennizzi.”,
ha dichiarato Scanu, il 19 luglio scorso, durante una conferenza stampa, in cui ha reso nota la relazione intermedia della Commissione di Inchiesta Parlamentare, il cui lavoro è culminato in una proposta di legge intitolata “Sicurezza sul lavoro e la tutela assicurativa contro gli infortuni e le malattie professionali del personale delle Forze armate” [https://ilmanifesto.it/uranio-soldati-senza-protezione/].
“Le sostanze inquinanti”,
si legge nella relazione,
“entrano nella catena alimentare e quindi l’accettazione di soglie più elevate della norma espone a un rischio significativo chiunque utilizza i prodotti derivati.”

Miles Gloriosus ovvero morire d’uranio impoverito, per la regia di Antonello Taurino [https://vimeo.com/38099678], ricostruisce la vicenda dei soldati malati di cancro a causa dell’uranio impoverito delle munizioni sparate in alcune missioni all’estero.
In ottanta minuti di una forma di teatro civile, che non segue schemi classici, il regista conduce gli spettatori attraverso una vicenda dolorosa, di ingiustizia e abbandono delle istituzioni, ma lo fa con la commedia e non con l’orazione seria.
“Per fare teatro civile”,
spiega il regista;
“non basta dire i fatti, serve metterci una storia intorno. La storia è l’esca per attirare e poter raccontare.”

Voi siete a favore o contro l’energia nucleare?
O non avete, ancora, preso una posizione?
Una posizione, di fatto, noi Italiani l’abbiamo presa e l’abbiamo, anche, espressa, dicendo NO all’avventura atomica, con i 3 Referenda popolari dell’8 e del 9 novembre 1987 [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/03/18/nucleare-il-pci-dice-si-tutti-referendum.html, https://www.legambiente.it/contenuti/comunicati/il-nucleare-non-%C3%A8-sicuro-non-%C3%A8-economico-non-%C3%A8-utile][34],  e ribadendola, il 12 e il 13 giugno 2011, con un nuovo Referendum popolare contro le centrali nucleari [http://www.repubblica.it/politica/2011/06/13/news/referendum_la_giornata_dei_s_il_quorum_arriva_tra_le_polemiche-17645020/][35], cui hanno votato il 57% degli aventi diritto, per abrogare le norme furbette, con le quali il Governo Berlusconi [http://www.governo.it/i-governi-dal-1943-ad-oggi/xvi-legislatura-dal-29-aprile-2008-al-23-dicembre-2012/governo-berlusconi] e il Parlamento avevano reintrodotto l’industria atomica in Italia, violando la volontà popolare.
Chi, invece, non si può esprimere è l’Organizzazione Mondiale della Sanità [OMS], l’organismo che, per conto dell’ONU, deve occuparsi della salute delle popolazioni.
Eppure, il Capitolo II della sua Costituzione indica come l’OMS perverrà a elevare il livello di salute, esercitando determinate funzioni.
 
Capitolo II
Delle Funzioni
Art. 2
a] Agisce come autorità direttrice e coordinatrice, nel campo sanitario, dei lavori di carattere internazionale;
b] Stabilisce e mantiene una collaborazione effettiva con le Nazioni Unite, con le istituzioni speciali, con le amministrazioni sanitarie governative, con i gruppi professionali, come pure con altre organizzazioni che potessero entrare in linea di conto;
c] Aiuta governi, se richiesta, a rafforzare i loro servizi sanitari;
d] Fornisce l’assistenza tecnica appropriata e, nei casi urgenti, l’aiuto necessario, se i governi lo domandano oppure se l’accettano;
e] Fornisce o aiuta a fornire, a richiesta delle Nazioni Unite, servizi sanitari e soccorsi a gruppi speciali di popolazioni, per esempio alle popolazioni dei territori sotto tutela;
f] Stabilisce e mantiene i servizi amministrativi e tecnici ritenuti necessari, compresi i servizi di epidemiologia e di statistica;
g] Stimola e promuove lo sviluppo dell’azione intesa alla soppressione delle malattie epidemiche, endemiche e altre;
h] Promuove, se necessario, facendo capo ad altre istituzioni speciali, l’adozione delle misure atte a prevenire i danni causati dagli infortuni;
i] Favorisce, se necessario, facendo capo ad altre istituzioni speciali, il miglioramento dell’alimentazione, il risanamento delle abitazioni, delle installazioni sanitarie, il miglior impiego degli intervalli di riposo, il miglioramento delle condizioni economiche e di lavoro, come pure di tutti gli altri fattori dell’igiene dell’ambiente;
j] Favorisce la cooperazione tra i gruppi scientifici e professionali che contribuiscono al progresso sanitario;
k] Propone convenzioni, accordi e regolamenti, fa raccomandazioni concernenti le questioni sanitarie internazionali ed esegue i compiti che possono pertanto essere attribuiti all’Organizzazione e sono conformi al suo fine;
l] Promuove lo sviluppo dell’azione in favore della sanità e del benessere della madre e del bambino, come pure la loro attitudine a vivere in armonia con un ambiente in piena trasformazione;
m] Favorisce ogni attività nel campo dell’igiene mentale, specialmente le attività che si riferiscono allo stabilimento di relazioni armoniose tra gli uomini;
n] Stimola e guida le ricerche nel campo della sanità;
o] Favorisce il miglioramento delle norme d’insegnamento e della formazione nelle professioni sanitarie, mediche e affini;
p] Studia e diffonde, se necessario, facendo capo ad altre istituzioni speciali, la tecnica amministrativa e sociale concernente l’igiene pubblica e le cure mediche preventive e terapeutiche, inclusi i servizi ospitalieri e la sicurezza sociale;
q] Fornisce qualsiasi informazione, parere e soccorso concernenti la sanità;
r] Favorisce la formazione, tra i popoli, di un’opinione pubblica illuminata su tutti i problemi della sanità;
s] Stabilisce e rivede, secondo i bisogni, la nomenclatura internazionale delle malattie, delle cause di morte e dei metodi d’igiene pubblica;
t] Uniforma, per quanto necessario, i metodi di diagnosi;
u] Sviluppa, stabilisce e incoraggia l’adozione di norme internazionali concernenti gli alimenti, i prodotti biologici, farmaceutici e simili;
v] In generale, prende tutte le misure necessarie per il raggiungimento del fine assegnato all’Organizzazione.

Il 28 maggio 1959, l’AIEA riesce a far siglare all’OMS l’accordo WHA12-40 [http://independentwho.org/en/who-and-aiea-aggreement/, http://www.criirad.org/actualites/dossiers%202007/accord_oms-aiea/Accord%20OMS-AIEA.pdf], in cui viene mondializzata l’omertà sugli effetti delle radiazioni sulla salute umana. L’accordo stipulava, infatti, che le due organizzazioni dovessero concentrarsi su tutti gli argomenti di interesse comune.
Nella pratica, la Risoluzione WHA 12.40 [http://independentwho.org/en/who-and-aiea-aggreement/, http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+WQ+E-2002-3662+0+DOC+XML+V0//IT] stabiliva che i dati sui danni alla salute, provocati da radiazioni, non potessero essere divulgati dall’OMS senza autorizzazione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica [AIEA][36].
Avallo, che non è, di fatto, MAI, dato.
Nell’accordo, all’articolo III, si evince la possibilità di poter assumere, sia da parte dell’AIEA sia da parte dell’OMS, misure restrittive per salvaguardare il carattere confidenziale di certe informazioni e dell’obbligatorietà delle due agenzie di rapportarsi, direttamente, per tutti i progetti o i programmi che possano coinvolgere una delle due parti. I termini di questo articolo III, che impongono la segretezza, in altri termini il silenzio, sono contrari alla Costituzione dell’OMS, il cui scopo è espresso nel Capitolo I della stessa Costituzione:
Il fine dell’Organizzazione Mondiale della Sanità [qui di seguito chiamata Organizzazione] è quello di portare tutti i popoli al più alto grado possibile di sanità.”
Questo accordo è stato, scrupolosamente, rispettato, anche dopo l’incidente di Chernobyl e i guasti delle guerre in Bosnia, in Somalia, in  Kosovo, in Afghanistan e in Iraq, dove le truppe statunitensi hanno impiegato munizioni radioattive all’uranio impoverito. Ne consegue che l’OMS ha censurato tutti gli studi sulle malattie legate all’industria nucleare, civile o militare che sia, da più di mezzo secolo.
Ha, anche, attribuito numerosi problemi di salute pubblica a fattori minori.
Nel 1957, l’AIEA è creata, non unicamente per impedire o limitare lo sviluppo delle armi di distruzione di massa come molti credono, ma per incoraggiare l’utilizzo dell’energia nucleare a fini pacifici!
Cinquant’ anni dopo, il 30 maggio 2007, l’oncologo Umberto Veronesi annunciava [http://www.repubblica.it/2007/03/sezioni/ambiente/energie-pulite/veronesi-rubbia/veronesi-rubbia.html]:

“Ho appena firmato una lettera dell’Associazione Galileo 2001 destinata al presidente Napolitano [37]con la quale una parte della comunità scientifica italiana si dichiara preoccupata per la decisione del Parlamento di ratificare il protocollo di Kyoto assumendosi impegni – come quello di ridurre entro il 2012 le emissioni di gas serra del 6,5 per cento – che siamo nell’impossibilità pratica di onorare e che ci costeranno una sanzione di oltre quaranta miliardi di euro. Credo che sia il momento di mettere da parte le posizioni preconcette, le paure e le emozioni. Dobbiamo aprire gli occhi. È vero, la fonte ottimale di energia in termini di produzione, efficienza, sostenibilità per l’ambiente e per l’uomo, non l’abbiamo ancora trovata, ma oggi il nucleare va considerato concretamente e subito. In Francia ci sono 58 centrali, in Germania 17, in Spagna 9. È una fonte potente per la quale già disponiamo della tecnologia di sfruttamento e che non comporta rischi per la salute e l’ambiente. Purtroppo la parola nucleare spaventa più degli incidenti che potrebbe causare. Fobie popolari, timori irrazionali e retaggi storici fanno ancora di più dell’allarme cancro e i suoi morti causati dai derivati del petrolio. Allora io dico: basta con il panico da primitivi spaventati dal fuoco.”

Ma in che Mondo viviamo?
Eminenti uomini [https://www.youtube.com/watch?v=5vP5sSl9pT0&watch_response=] si comportano in maniera disonesta, giocando con le vite umane!
Sono gli stessi che, allo scoppiare di un conflitto, barattano armi, organi, droghe, esseri umani con soldi…
Dalla bomba atomica alle centrali nucleari, l’uranio accompagna la Storia del XX secolo.
Con il riscaldamento climatico, questa materia prima graverà, egualmente, sul XXI secolo.
Voi saprete tutto della sua estrazione, del ciclo del combustibile e dei Paesi produttori da questo dossier.


II. I TESTS NUCLEARI NEI
POLIGONI INGLESI E FRANCESI
“Since Auschwitz, we know what man is capable of. And since Hiroshima, we know what is at stake.
Viktor E. Frankl


Albert Einstein e Leo Szilard

“Se i tedeschi avessero gettato bombe atomiche sulle città al posto nostro, avremmo definito lo sgancio di bombe atomiche sulle città come un crimine di guerra e avremmo condannato a morte i tedeschi colpevoli di questo crimine a Norimberga e li avremmo impiccati.” 
Leo Szilard

Alamogordo, New Mexico.

Alba del 16 luglio 1945.
Nel deserto di Alamogordo, esplode la prima bomba atomica della Storia.
Lo scienziato Robert J. Oppenheimer ricorderà con queste parole l’attimo in cui l’immensa, spaventosa luce dilagò nel Cielo e sulla Terra:
“Capimmo che la Vita non sarebbe stata più la stessa.”
Gli eventi legati alla nascita dell’atomica sono destinati a restare, nei secoli futuri, come uno dei momenti più decisivi e sconvolgenti dell’intera Storia dell’Umanità.
Ma quando si parla di questa arma terribile, il discorso viene pressoché ritretto ai nomi di Alamogordo, di Hiroshima e di Nagasaki; invece, la Storia delle ricerche atomiche inizia dalla fine dell’Ottocento e continua, oltre le tragiche macerie delle due città giapponesi, colpite nell’agosto del 1945, fino agli esperimenti sovietici, inglesi e francesi, alla prima bomba all’idrogeno, al capitolo misterioso dello spionaggio e ai tests nucleari della Cina e della Corea del Nord.
Questo è stato il mio proposito: concentrare in un articolo di 133 pagine, che ha le dimensioni di un vero e proprio libro, l’intera vicenda.
I protagonisti hanno nomi noti: Curie ed Einstein, Fermi e Oppenheimer, Hitler e Roosevelt, Truman e Stalin, Mao e de Gaulle.
Ma la vera protagonista è l’Umanità stessa con la sua paura e la sua speranza: paura per l’indelebile ricordo delle migliaia di morti di Hiroshima e Nagasaki: speranza nella saggezza di chi, attraverso il possesso di queste armi, potrebbe, veramente, distruggere il Mondo in cui viviamo.

Daniela Zini
 

Little Boy e Fat Man
Si chiamavano Little Boy [Ragazzino] e Fat Man [Grassone] le due bombe che, settantadue anni fa, il 6 e il 9 agosto 1945, distrussero Hiroshima e Nagasaki. Erano due modi diversi di concepire l’arma totale, l’una all’uranio 235, l’altra al plutonio 239, sostanzialmente uguale a The Gadget, la prima bomba atomica, esplosa, ad Alamogordo, tre settimane prima dell’olocausto di Hiroshima.
Le forze armate americane decisero di testare due armi profondamente diverse per muovere i primi tragici e inumani passi nell’Era Atomica.
Little Boy funzionava in base al principio gun-type, per cui una sorta di cannone spara un proiettile di uranio di massa sub-critica contro un altro elemento di uranio, egualmente sub-critico, fino a costituire una massa critica che dà inizio a una reazione a catena. Uno schema costruttivo mai sperimentato, che fa sorgere il dubbio se l’ordigno sganciato dal B29 Enola Gay, comandato dal colonnello Paul W. Tibbets, fosse un vero e proprio test.
La bomba che distrusse Hiroshima aveva una potenza stimata in 15 kiloton, ovvero 15mila tonnellate di tritolo, era lunga 3 metri, larga 71 centimetri e pesava 4,4 tonnellate.
Del tutto diversa, e più potente, Fat Man, che sfruttava, invece, l’energia prodotta dalla fissione di nuclei di plutonio. Le masse subcritiche erano disposte – secondo una configurazione ideata dallo scienziato di Los Alamos, Seth Neddermeyer – sulla superficie di una sfera. Queste masse erano spinte le une contro le altre a formare una massa ipercritica da alti esplosivi accuratamente disposti. Questa configurazione, chiamata a implosione, era – ed è – più efficiente di quella rudimentale usata per Little Boy. Permetteva di usare meno combustibile nucleare e di aumentare lo yield, ovvero la potenza distruttiva. Questo schema dava agli Stati Uniti la possibilità di costruire più bombe con la stessa quantità di materiale fissile. Fat Man aveva uno yield di 21 kiloton, era lunga 3,25 metri e larga 1,5 metri: in pratica, una sfera di 4,65 tonnellate con un gruppo di alettoni stabilizzatori.
Entrambe erano, dunque, enormi e costituirono le armi totali per costringere alla resa il Giappone, peraltro già stremato e con città e fabbriche distrutte dai bombardamenti a tappeto con il napalm e dalle bombe dirompenti sgangiate dai B29, agli ordini del discusso generale Curtis Emerson LeMay [https://www.youtube.com/watch?v=L2NUV7Lf2yY][38].
Con il secondo bombardamento, gli Stati Uniti volevano far credere di essere in possesso di un arsenale più ampio, che venne costruito solo in seguito, con una proliferazione di armi nucleari, sia strategiche sia tattiche, con potenza variabile da meno di un kiloton a più megaton, sviluppati dalle bombe H, vere e proprie doomsday machines, macchine del giudizio universale di enorme potenza, che sfruttano l’energia liberata dalla fusione di atomi di deuterio, indotta, a sua volta, da una esplosione atomica da fissione di plutonio, secondo uno schema ideato da Edward Teller e Stanislav Ulam, sulla base di concetti sviluppati da Enrico Fermi e convalidati dai calcoli di John von Neumann, che realizzò il calcolatore Edvac, padre di tutti i computers attuali, e ispirò il personaggio del Dottor Stranamore.

Il Quotidiano Eritreo, 8 agosto 1945.


L’equipaggio dell’Enola Gay [da sinistra]: il maggiore Thomas W. Ferebee, il colonnello Paul W. Tibbets., il capitano Theodore J. Van Kirk e il capitano Robert Lewis.

Il fungo atomico, sprigionatosi su Hiroshima, il 6 agosto 1945, dà l’avvio alla gara per assicurarsi un posto tra i Paesi possessori della bomba atomica.
Tra il 1945 e il 1998, saranno effettuati 2053 tests nucleari, di cui 520 aerei [https://www.youtube.com/watch?v=6irSw3f9okw].
Il 3 ottobre 1952, con il primo esperimento di esplosione di una bomba A al plutonio nelle Isole Montebello, la Gran Bretagna si assicura il posto di terza potenza atomica, sebbene il primo esperimento con una bomba termonucleare, vale a dire una bomba H, effettuato dagli Stati Uniti, il 31 dello stesso mese, nell’Atollo di Eniwetok e, dieci mesi dopo l’esplosione della bomba H sovietica, dimostrassero quanto in ritardo fosse la Gran Bretagna nella gara intrapresa.


Il Gembaku Domu o A-Bomb Dome o Cupola della Bomba Atomica, ossia quello che resta dell’edificio che ospitava l’Industrial Promotion Hall, è divenuto il simbolo della distruzione subita da Hiroshima ed è stato dichiarato, nel 1996, Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO.

Tra il 1953 e il 1956, gli scienziati dell’Atomic Weapons Research Establishment [AWRE], diretto da Sir William George Penney, si limitano, ancora, a far esplodere altri dieci ordigni A nei poligoni di Woomera, Montebello, Maralinga.

Sopravvissuto al disastro di Hiroshima.

Solo il 15 maggio 1957, quattro anni e mezzo dopo la bomba  H americana, gli inglesi saranno in grado di fare esplodere la prima bomba H nelle Isole Christmas. L’ordigno, innescato con una bomba al plutonio – mentre gli Stati Uniti usano, già, per l’innesco una bomba all’uranio – è sperimentale, vale a dire tale per dimensioni e peso da non potere essere usato per scopi bellici. Sia la bomba esplosa, il 15 maggio 1957, sia la succesiva del 31 maggio dello stesso anno, sono sferiche, con un diametro di 3 metri e un peso di 4 tonnellate. Sono state portate sull’obiettivo da un bombardiere Valiant, ma non possono costituire armamento degli aerei.
Seguiranno altri esperimenti: cinque bombe A tra il giugno e il novembre del 1957; una bomba H, il 28 aprile 1958 e due bombe A e due bombe H, nell’agosto e nel settembre del 1958.
Dal 31 ottobre 1958, con l’inizio dei negoziati per la tregua nucleare, la Gran Bretagna sospende gli esperimenti nella atmosfera, limitandosi a effettuare due esplosioni sotterranee, nel poligono americano del Nevada, nel marzo e nel dicembre del 1962.
La Francia, invece, che persegue un obiettivo ambizioso: divenire una potenza atomica, al pari della Cina, non aderisce al trattato.
Dal 1954, la Francia ha iniziato la corsa all’armamento atomico con la creazione di un ufficio speciale in seno al Commissariat à l’Energie Atomique [CEA], e, quattro anni dopo, nel gennaio del 1958, ha, anche, varato un decreto per l’organizzazione della prima serie di esplosioni sperimentali. Con l’ascesa, poi, al potere di Charles de Gaulle, l’11 aprile 1958, lo sviluppo del programma viene accelerato, sotto la direzione del generale Charles Ailleret.

Il fungo atomico, causato dalla bomba atomica Fat Man su Nagasaki, raggiunse i 18 chilometri di altezza.



Mururoa

La Francia è, indubitabilmente, uno dei Paesi che più ha investito sul nucleare.
Tra il 1960 e il 1996, la Francia realizza 210 tests nucleari: 17 nel Sahara algerino e 193 nella Polinesia francese, finché, il 29 gennaio 1996, conclusi sei degli otto esperimenti previsti, Jacques Chirac annuncia la fine della campagna e appone la sua firma al trattato internazionale che vieta i tests nucleari.
Nel 2006, emergerà da documenti declassificati del Ministero della Difesa che Tahiti, l’isola più estesa e più popolata della Polinesia francee [178mila abitanti] è stata esposta a livelli di radioattività 500 volte superiori a quelli massimi consentiti ed è stata colpita 37 volte dal fallout.

Appariranno, anche, i primi dati ufficiali sulle conseguenze di quelle esplosioni sulla salute della popolazione locale: una équipe dell’Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale [INSERM] divulgherà i risultati di una ricerca su 239 casi di tumore, che prova il collegamento tra i tests e il rischio di cancro alla tiroide.





“L’Oceano Pacifico è stato teatro di numerose eplosioni nucleari. In effetti è proprio da questa regione che tutto ebbe inizio: gli attacchi a Hiroshima e Nagasaki nel 1945, unici casi di utilizzo ostile di armi nucleari nella Storia, furono sferrati dalle Marianne settentrionali, nel Pacifico Nord-Occidentale. In seguito gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia hanno condotto tests nucleari in questa regione.
La questione degli esperimenti atomici fu uno degli argomenti principali nel corso del primo incontro del South Pacific Forum [SPF, ora PIF del South Island Forum] nel 1971. Nel 1986 il Trattato di Rarotonga, elaborato dall’SPF, sancì la creazione della Zona Denuclearizzata del Sud Pacifico, vietando le armi atomiche e lo smaltimento delle scorie nucleari. Il trattato fu ratificato 10 anni dopo da Francia, Stati Uniti e Regno Unito.
Il programma francese di tests nucleari nel Pacifico iniziò nel 1966 con alcuni eperimenti condotti nell’atmosfera a Mururoa e Fangataufa, nella Polinesia francese. Questi primi tests provocarono un aumento sensibile del tasso di radioattività in diversi Paesi del Pacifico, riscontrabile addirittura in Nazioni come le Fiji, situate a ben 4 500 km di distanza verso Ovest. I tests atmosferici furono abbandonati nel 1974 in seguito alle forti pressioni internazionali, ma gli esperimenti sotterranei [in tutto  127 a Mururoa e 10 a Fangataufa] proseguirono fino al 1996.
I tests nucleari nell’atmosfera condotti dagli Stati Uniti, che cessarono nel 1970, hanno reso inabitabili le Isole di Rongelap e Bikini [tuttavia i due atolli si possono visitare per brevi periodi]: i loro abitanti vivono ora nell’infelice condizione di esiliati nelle isole vicine.
Non meno gravi sono i tests sotterranei sui fragili atolli corallini: i tecnici francesi hanno infatti rilevato la comparsa di fratture nella fragile struttura corallina degli Atolli di Mururoa e Fangataufa, nonché tracce di plutonio nella Laguna di Mururoa. Se dovesse verificarsi una massiccia perdita di materiale radioattivo nell’Oceano Pacifico, le conseguenze sarebbero disastrose e si estenderebbero a una zona molto vasta.”
Charles Rawlings, Sud Pacifico 

Da sinistra a destra: Ernest O. Lawrence, Arthur H. Compton, Vannevar Bush, James B. Conant, Karl T. Compton, e Alfred Loomis [marzo del 1940, University of California, Berkeley].

100mila militari e civili hanno partecipato ai 210 tests nucleari, dal 1960 al 1996, nel Sahara e in Polinesia.
Ogni anno, si registrano 540 nuovi casi di cancro tra i 260mila polinesiani.


In-Ecker

La Legge Morin del 5 gennaio 2010 [https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000021625586], in modo più che timido, ha riconosciuto che possano esservi vittime di tests nucleari, ma, a oggi, la Francia ha chiuso con indennizzo solo 19 dei 1 000 casi aperti davanti alla Giustizia.
Gli scienziati di Los Alamos che giocavano con le bombe atomiche, negli Anni Quaranta, avevano ideato una simpatica espressione per definire il loro lavoro: stuzzicare la coda del dragone.
Incidente di Béryl
Béryl, 1 Maggio 1962. La Francia effettua il suo secondo test nucleare sotterraneo, ma la montagna Taourirt che doveva contenere l’esplosione, si fessura e libera una nuvola radioattiva che contamina diversi militari e ufficiali. Sono presenti, al momento dell’eplosione, due ministri francesi, Pierre Messmer, ministre des Armées, e Gaston Palewski, ministre de la recherche scientifique et des affaires atomiques, che morirà di leucemia.

Erano consapevoli del mostruoso potere distruttivo che manipolavano, ma non ne erano atterriti, erano sicuri che la loro scienza avrebbe tenuto a bada ogni dragone.
I risultati di questa superbia sono gli orrori nucleari, con cui tutti noi dobbiamo convivere da decenni e per chissà quanto tempo ancora.


Le armi tossiche, batteriologiche o chimiche sono state oggetto di più trattati, a partire dal Protocollo concernente la proibizione di usare in guerra gas asfissianti, tossici o simili e mezzi batteriologici del 17 giugno 1925 [https://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/19250020/index.html], che sostituiva, avendo contenuto più ampio, la precedente Dichiarazione circa l’uso di proiettili che spandono gas asfissianti o deleteri del 29 luglio 1899 [https://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/18990008/index.html].
La Convenzione che vieta la messa a punto, la fabbricazione e lo stoccaggio delle armi batteriologiche [biologiche] o a base di  tossine e che disciplina la loro distruzione del 10 aprile 1972 [https://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/19720074/index.html], pur non riguardando direttamente la guerra, ha, comunque, influenza sul diritto umanitario. Sarebbe, infatti, illogico considerare lecito l’utilizzo durante una guerra, di armi la cui produzione e il cui stoccaggio è vietato e per le quali è previto l’obbligo di distruzione di quelle esistenti. La Convenzione, inoltre, prevede che le sue diposizioni non possano essere considerate come recanti pregiudizio agli obblighi previsti dal Protocollo del 1925.

Il divieto di utilizzo è, invece, espressamente, previsto da un altro trattato sul disarmo, la Convenzione sulla proibizione dello sviluppo, produzione, immagazzinaggio e uso di armi chimiche e sulla loro distruzione del 13 gennaio 1993 [https://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/19980132/index.html]. La Convenzione, oltre a vietare lo sviluppo, la produzione, lo toccaggio e l’impiego di armi chimiche, impone agli Stati parte di distruggere le armi chimiche in loro possesso e gli impianti di produzione di queste armi. La Convenzione prevede, altresì, che le sue disposizioni non potranno essere intrerpretate al fine di limitare gli obblighi assunti in base al Protocollo del 1925 o alla Convenzione del 1972. Questa norma di coordinamento insieme alla analoga norma contenuta nella Convenzione del 1972, rende applicabili le norme più rigorose tra quelle previste nei tre trattati.


Un divieto particolare è previsto dalla Convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente a fini militari e a ogni altro scopo ostile del 10 dicembre 1976 [https://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/19760318/200402200000/0.515.06.pdf]. Questo trattato proibisce l’utilizzo di tecniche di modifica dell’ambiente che producano effetti diffusi, di lunga durata o particolarmente gravi – tali da comportare, a esempio, terremoti[39], maremoti, scompensi nell’equilibrio ecologico di una regione, cambiamenti del clima, delle correnti oceaniche, della ionofera –.
Tuttavia, non vennero inclusi i progetti “pacifici”, la “pura ricerca”, i progetti per l’energia solare o i progetti di sviluppo industriale.
Nessun cenno al consenso informato della popolazione.
I Governi, molto semplicemente, modificarono la loro posizione nelle pubbliche relazioni.
Gli Stati Uniti, a esempio, avviarono ricerche sul clima, finalizzate ad aumentare la produzione di cibo nelle pianure nord-americane.

Kim Jong-un ispeziona l’ordigno nucleare all’idrogeno prodotto dalla Corea del Nord [https://video.repubblica.it/mondo/bomba-h-corea-del-nord-l-annunciatrice-tv-il-test-atomico-e-riuscito/283751/284362].

che non è, ancora, potuto entrare in vigore, di modo che la proibizione non è operativa e qualunque Stato – a oggi – potrebbe lecitamente riprendere o iniziare un programma di tests nucleari esplosivi sotterranei, senza incorrere in un illecito sulla base del diritto internazionale. Quanto manca è il numero minimo di ratifiche che lo stesso Trattato prescrive: in particolare, è indispensabile la ratifica di tutti i 44 Stati nominalmente indicati  nell’allegato 2. Mancando anche solo una tra queste, il Trattato resterà privo di effetti giuridici. È lo stesso che dire che ognuno dei 44 Stati dell’allegato 2 ha una sorta di potere di veto, tale che senza il suo specifico consenso tutti gli sforzi compiuti verso il bando totale degli esperimenti nucleari saranno inutili. Le potenze nucleari parti del TICE hanno tutte firmato l’accordo e si è avuta, in tempi rapidi, la ratifica di Francia, Regno Unito e anche della Russia: ma manca, a oggi la ratifica di Cina e Stati Uniti, che si sono impegnati a partecipare all’attuazione del sistema di sorveglianza internazionale, senza, tuttavia, accettare di cessare ogni test nucleare. Altri Stati nucleari, compresi anch’essi nella lista dei 44, non hanno nemmeno firmato l’accordo: si tratta degli stessi che rifiutano di aderire al TICE, vale a dire Corea del Nord, Egitto, India, Iran, Israele e Pakistan.
Le guerre toccano sempre più i civili e sempre meno i militari.
Tra i 35 e i 40 milioni di soldati sono stati uccisi nel XX secolo.
Ma quanti civili?

Daniela Zini
Copyright © 23 settembre 2017 ADZ



[2] Conosciuto anche come Cimitero Protestante o Cimitero degli Inglesi, il Cimitero Acattolico di Roma, situato nel quartiere Testaccio, nei pressi della Porta San Paolo e della Piramide Cestia, fu istituito in seguito alla emanazione di una Legge Pontificia, che proibiva a tutti i non-cattolici, ma anche ai suicidi, di essere sepolti in terra consacrata.  

[3] La Strage di Piazza Fontana è l’attentato che segna l’inizio del terrorismo politico in Italia. Le indagini si orientano, inizialmente, verso la pista anarchica e portano all’arresto e all’incriminazione di Pietro Valpreda, ma nel corso dell’inchiesta emerge la matrice nera.
Al termine di un iter processuale durato circa 35 anni e 7 processi in varie città d’Italia, tutti gli accusati dell’eccidio saranno, sempre, assolti in sede giudiziaria. Alcuni verranno condannati per altre stragi, altri, invece, godranno della prescrizione, evitando la pena.
Nel 2005, la Corte di Cassazione concluderà, sostenendo che la Strage di Piazza Fontana fu realizzata da “un gruppo eversivo costituito a Padova, nell’alveo di Ordine Nuovo” e “capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura”, non più processabili, in quanto “irrevocabilmente assolti dalla Corte di Assise di Appello di Bari” per questo stesso reato.
Ai parenti delle vittime verranno addebitate le spese processuali.
[4] Tutte gli eccidi hanno avuto o la matrice della criminalità mafiosa oppure la presenza tra gli imputati di esponenti della destra eversiva fascista e di ufficiali dei servizi segreti.
La Strage di Piazza Fontana fu un evento che sconvolse il Paese, perché non era semplice individuare i responsabili e, soprattutto, i mandanti. Le indagini condotte da magistrati di straordinario valore professionale ed etico condussero all’accertamento di gran parte della verità, nonostante le resistenze e i depistaggi operati da uomini dello Stato. Il pubblico ministero Pietro Calogero, allora ventottenne, al suo primo incarico, e il giudice istruttore Giancarlo Stiz scoprirono, avvalendosi di un testimone inconfutabile le responsabilità di esponenti di Ordine Nuovo.
E non solo!
Anni dopo, Calogero dichiarava:
“Manca un’assunzione di responsabilità della Repubblica, anzi di colpa, perché si deve riconoscere che organi dello Stato ostacolarono, depistarono, coprirono: una manovra orchestrata.”

[5] I Nuclei Armati Rivoluzionari [NAR] furono una organizzazione terroristica italiana di ispirazione neofascista, nata a Roma e attiva dal 1977 al 1981. Durante i quattro anni di attività i NAR furono ritenuti responsabili di 33 omicidi nonché della morte di 85 persone nella Strage di Bologna, per la quale furono condannati come esecutori materiali, con sentenza definitiva, Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini.

[6] Terza Posizione è stato un movimento neofascista eversivo italiano fondato a Roma, nel 1978, da Giuseppe Dimitri, Roberto Fiore e Gabriele Adinolfi e rimasto attivo fino al 1982. Organizzata in modo verticistico, con a capo i tre fondatori, Adinolfi, Fiore e Dimitri e caratterizzata da un’impostazione militaristica, la struttura romana di TP era divisa per zone di competenza e ogni zona faceva riferimento a uno o più quartieri della città e veniva presidiata attraverso i Cuib [nido, in rumeno. Termine che identificava la Guardia di Ferro di Cornelio Codreanu]: gruppi di militanti composti da tre o quattro attivisti, cui veniva affidata, anche, la formazione politico-militare dei ragazzi più giovani. Oltre ai Cuib, vennero creati altri due organi interni per la cura dell’aspetto militare: il Nucleo Operativo e la Legione.

[7] Costruiamo l’Azione [CLA] fu un movimento politico italiano di estrema destra, nato, alla fine del 1977, parallelamente alla pubblicazione dell’omonima rivista, su iniziativa di Paolo Signorelli e Sergio Calore.
Diversamente dai movimenti della destra radicale, attivi negli Anni Settanta, l’esperienza movimentista di CLA trovò la sua specificità sul piano politico e strategico, nel tentativo di superamento dei cosiddetti opposti estremismi, in previsione di una possibile convergenza operativa con gli omologhi gruppi della sinistra extraparlamentare, volta a colpire i simboli del potere statale.
L’arresto di Calore e di Fabio de Felice, due dei leaders dell’organizzazione, contribuirono, in concorso con altre ragioni convergenti, al progressivo dissolvimento del movimento che terminò, quindi, la sua esperienza, nel 1980.

[8] Il 2 agosto 1980, alle ore 10:25, una bomba esplode nella sala d’aspetto di seconda classe della Stazione di Bologna. Lo scoppio è violentissimo, provoca il crollo delle strutture sovrastanti le sale d’aspetto di prima e di seconda classe, dove si trovano gli uffici dell’azienda di ristorazione Cigar, e di circa 30 metri di pensilina. L’esplosione investe anche il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario.
Il bilancio finale sarà di 85 morti e 200 feriti.
La Strage di Bologna è il più grave atto terroristico avvenuto in Italia, nel Secondo Dopoguerra, da molti indicato come uno degli ultimi atti della Strategia della Tensione.
Come esecutori materiali furono individuati dalla magistratura alcuni militanti di estrema destra, appartenenti ai Nuclei Armati Rivoluzionari, tra cui Valerio Fioravanti. Gli ipotetici mandanti sono rimasti sconosciuti, ma furono rilevati collegamenti con la criminalità organizzata e i servizi segreti.
Nell’attentato rimasero uccise 85 persone e oltre 200 ferite. Le indagini si indirizzarono da subito sulla pista neofascista, ma solo dopo un lungo iter giudiziario e numerosi depistaggi [per cui furono condannati Licio Gelli, Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte e Francesco Pazienza], la sentenza finale del 1995 condannò Valerio Fioravanti e Francesca Mambro “come appartenenti alla banda armata che ha organizzato e realizzato l’attentato di Bologna” e per aver “fatto parte del gruppo che sicuramente quell’atto aveva organizzato”, mentre, nel 2007, si aggiunse, anche, la condanna di Luigi Ciavardini, minorenne all’epoca dei fatti.

[9] Il progetto si proponeva di assicurare all’Arma dei Carabinieri [il cui comandante generale era al tempo il generale Giovanni De Lorenzo] il controllo militare dello Stato, attraverso l’occupazione dei cosiddetti “centri nevralgici” e, soprattutto, prevedeva un progetto di “enucleazione”, cioè il prelevamento e il conseguente rapido allontanamento di 731 persone, considerate pericolose del mondo della politica e del sindacato, che avrebbero dovuto essere raggruppate e raccolte nella sede del Centro Addestramenti Guastatori di Poglina, vicina a Capo Marrargiu, nel territorio di Alghero [in seguito principale base militare di addestramento della struttura clandestina Gladio], adattata a tempo di record dal SIFAR, dove sarebbero state “custodite” fino alla cessazione dell’emergenza. La lista dei soggetti da prelevare sarebbe stata ricavata ed elaborata sulla base delle risultanze di riservati fascicoli del SIFAR, pretesi da De Lorenzo, qualche anno prima. Nel frattempo, l’Arma avrebbe assunto il controllo delle istituzioni e dei servizi pubblici principali, compresi la televisione, le ferrovie e i telefoni.

[10] Dal 3 al 5 maggio del 1965 si svolge a Roma il primo convegno di studi politici e militari indetto dall’Istituto Alberto Pollio, organismo privato da poco costituito negli ambienti vicini allo Stato Maggiore della Difesa per iniziativa di due giornalisti di estrema destra, Enrico De Boccard e Gianfranco Finaldi, subito affiancati da un terzo, Edgardo Beltrametti [stretto collaboratore del Capo di Stato Maggiore della Difesa], che curerà la pubblicazione degli atti del convegno.
Il convegno è presieduto da un magistrato e da due alti ufficiali dell’esercito. tra i relatori figurano i nomi di Guido Giannettini e Pino Rauti. Vi partecipano personalità del mondo imprenditoriale e, come risulta dalla relazione introduttiva, “venti studenti universitari che l’istituto ha pregato – dopo una selezione di merito – di prendere parte ai lavori appunto come gruppo”. Tra questi è stata accertata la presenza di Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino, noti protagonisti di eventi successivi. Il convegno aveva a oggetto “La guerra rivoluzionaria. Assunto fondativo era che una Terza Guerra Mondiale fosse, già, in atto, non nelle forme tradizionali del conflitto dichiarato, ma condotta “secondo dottrine, tecniche, procedimenti, formule e concetti totalmente inediti... elaborati adottati e sperimentati dai comunisti in termini globali e su scala planetaria” ai cui “principi è ispirata comunque e dovunque la condotta non soltanto degli Stati comunisti ma anche dei partiti comunisti che operano nei Paesi del mondo libero” e per i quali “la competizione politica è in ultima analisi un fatto bellico avente come obiettivo la sconfitta totale dell’avversario”. Da qui, la necessità per la parte avvertita del mondo occidentale di una risposta adeguata ed efficace sullo stesso terreno e cioè mediante tecniche appropriate, che il convegno, appunto in tale prospettiva di studio, si poneva il compito di individuare.
Particolarmente interessante appare la proposta avanzata dal professor Filippani Ronconi di opporre “un piano di difesa e contrattacco rispetto alle forze di sovversione”, predisponendo uno “schieramento differenziato su tre piani complementari, ma tatticamente impermeabili l’uno rispetto all’altro”, utilizzando “le tre categorie di persone sulle quali si può in diversa misura contare”.
Più in analisi:
“a] Su un piano più elementare disponiamo di individui i quali, seppure ben orientati... nei riguardi di un’ipotetica controrivoluzione, sono capaci di compiere un’azione puramente passiva... Questa prima, rudimentale rete, potrà servire per una prima “conta” delle persone delle quali si potrà disporre...
b] Il secondo livello potrà essere costituito da quelle altre persone naturalmente inclini o adatte a compiti che impegnino “azioni di pressione”, come manifestazioni sul piano ufficiale, nell’ambito della legalità, anzi in difesa dello Stato e della legge conculcati dagli avversari. Queste persone, ... potrebbero provenire da associazioni d’arma, nazionalistiche, irredentistiche, ginnastiche, di militari in congedo [e] dovrebbero essere pronte ad affiancare come difesa civile le forze dell’ordine nel caso che fossero costrette ad intervenire per stroncare una rivolta di piazza.
c] A un terzo livello, molto più qualificato e professionalmente specializzato, dovrebbero costituirsi - in pieno anonimato sin da adesso - nuclei scelti di pochissime unità, addestrati a compiti di controterrore e di “rotture” eventuali dei punti di precario equilibrio, in modo da determinare una diversa costellazione di forze al potere. Questi nuclei, possibilmente l’un l’altro ignoti, ma ben coordinati da un comitato direttivo, potrebbero essere composti in parte da questi giovani che attualmente esauriscono sterilmente le loro energie, il loro tempo e, peggio ancora, il loro anonimato in nobili imprese dimostrative che non riescono a scuotere l’indifferenza della massa di fronte al deteriorarsi della situazione nazionale.”

[11] WikiLeaks ha pubblicato, l’8 aprile 2013, 1.707.499 documenti della diplomazia statunitense che vanno dal 1973 al 1976 e riguardano le comunicazioni tra Henry Kissinger, prima consigliere per la sicurezza nazionale e poi segretario di Stato, e le ambasciate di tutto il mondo. A differenza dei cablogrammi pubblicati, per la prima volta, da WikiLeaks nel 2010, questi documenti sono stati desecretati dallo stesso governo americano: il gruppo di Julian Assange si è limitato ad assemblarli in un database, chiamato PlusD [Public Library of the United States Diplomacy] e a renderli reperibili per parole chiave. WikiLeaks ha fornito accesso esclusivo a questi documenti a un gruppo di 19 media internazionali, tra cui l’Espresso in Italia, Pagina 12 in Argentina, l’Hindu in India e The Age in Australia.
Dal database, messo a punto dall’organizzazione di Julian Assange, emerge, poi, un dettaglio inquietante: le comunicazioni diplomatiche, riguardanti il potente servizio segreto di Vito Miceli, al centro di mille scandali e disegni eversivi, vengono inviate dall’Ambasciata di Roma al Dipartimento di Stato a Washington, ma non sempre vi si fermano, in alcuni casi, vengono inoltrate a Ho Chi Minh City.
Perché?
Chi poteva essere interessato alle trame del SID, nel Vietnam, devastato dalla guerra?
[12] I nomi, Pier Paolo Pasolini li sapeva. Le prove le stava raccogliendo, per scrivere un libro dirompente: Petrolio. Duemila pagine che avrebbero raccontato all’Italia, al mondo, le trame oscure del Potere, la verità sul delitto di Enrico Mattei, presidente dell’ENI, e del giornalista Mauro De Mauro, l’avvento di un regime dominato dalla finanza e dalle multinazionali. Ma quel romanzo, il poeta di Casarsa non è riuscito a finirlo. La sua vita si è spezzata nel brutale pestaggio della notte del 2 novembre  del1975 all’Idroscalo di Ostia. Il libro avrebbe dovuto inchiodare Eugenio Cefis, presidente dell’ENI, prima, e della Montedison, poi. Grande Burattinaio nell’Italia delle Stragi, sospettato di essere il vero capo della potente Loggia Massonica P2. Come fonte Pier Paolo Pasolini usava il libro Questo è Cefis di Giorgio Steimetz [http://www.ilgiornale.it/news/cefis-pasolini-e-litalia-dei-misteri-torna-libro-scomparso.html], pseudonimo di Corrado Ragozzino, titolare dell’Agenzia Milano Informazioni, ora scomparso.
Ma Ragozzino non sarebbe il vero autore del libro.
Si suppone che abbia dato l’incarico di scriverlo a qualche personaggio addentro alle vicende dell’ENI. Pubblicato, nel 1972, dalla suddetta agenzia, il libro fu ritirato subito dopo la pubblicazione. Ed è strano che ne siano scomparse tutte le copie dalle librerie, anche quelle d’obbligo dalle Biblioteche Nazionali di Roma e Firenze.
Eugenio Cefis è stato dirigente di azienda e imprenditore. È stato consigliere dell’AGIP, e, per qualche tempo, anche braccio destro di Enrico Mattei all’ENI. Poi, il sodalizio si è rotto e Cefis ha lasciato l’ENI; ma, provvisoriamente, perché ne diviene presidente dopo la morte di Mattei [1967].
Pasolini era convinto che il mandante fosse Cefis e si serviva della Letteratura per fare questa denuncia.
Cefis non fu mai stato accusato.
Cefis aveva sollevato molte polemiche, quando aveva acquistato, segretamente, azioni della Montedison [il colosso chimico nato, nel 1966, dalla fusione della Montecatini con l’ex-azienda elettrica Edison] con i soldi dell’ENI, divenendo, nel 1971, presidente della stessa Montedison, una società privata, servendosi del denaro dell’ENI, vale a dire di denaro pubblico.
Nel momento in cui Pasolini scriveva Petrolio, Cefis era, ancora, vivo. Più tardi, si ritirò dalla scena pubblica e quando scomparve, nel 2004, la sua morte passò quasi inosservata e sotto silenzio.


[13] Nel 1975, Roberto Calvi viene eletto presidente del consiglio di amministrazione del Banco Ambrosiano. Lo stesso anno, diviene membro della Loggia P2, che era stata creata da Licio Gelli e di cui faceva parte, anche, Michele Sindona. Nel Lussemburgo ritroviamo Calvi non solo nelle holdings del gruppo Ambrosiano, ma anche come membro del consiglio di amministrazione della Kreclietbank Luxembourg [che occupa, in Cedel, un posto di primo piano]. D’altra parte, la principale Loggia Massonica lussemburghese lo accetta tra le sue fila, mentre rifiuta l’ammissione a Michele Sindona, sapendo che questi era stato condannato, in Italia, nel 1976, ed era stato arrestato negli Stati Uniti.
[14] Dopo la sentenza di fallimento, della Banca Privata Italiana, i magistrati Guido Viola e Ovilio Urbisci emettono due mandati di cattura contro i latitanti Michele Sindona e Carlo Bordoni con una imputazione pesantissima: bancarotta fraudolenta.

[15] È pubblico il primo rapporto alla Procura di Giorgio Ambrosoli, liquidatore della Banca Privata Italiana, fatto uccidere da Michele Sindona, nel 1979.
“Il 22.10.1974 il sottoscritto ha reso alla S.V. deposizione sui fatti emersi da un primo esame [...] ed ora è in grado di offrire una prima relazione...”
Così Giorgio Ambrosoli, che ha assunto, il 29 settembre 1974, le funzioni di unico commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, il cuore dell’impero in dissesto di Michele Sindona, scrive in apertura delle 14 pagine che compongono la prima relazione al procuratore della Repubblica [il pm che segue la bancarotta è Guido Viola, e Ovidio Urbisci è giudice istruttore], datata 21 marzo 1975.
Il documento, inedito e che precede il primo rapporto inviato alla Banca d’Italia, il 26 giugno, [Governatore è Guido Carli fino all’agosto 1975, poi gli succede Paolo Baffi], fa parte dell’archivio della Banca Privata Italiana riordinato, reso, ora, consultabile e conservato dalla Camera di Commercio di Milano, per conto dell’Archivio di Stato. Un tesoro composto da 8 944 fascicoli, dei quali 6 300 riguardano l’attività degli istituti che, nel 1974, sono divenuti la Banca Privata Italiana, mentre gli altri sono relativi all’attività liquidatoria di Ambrosoli e di chi ne proseguirà il lavoro – dopo che l’11 luglio, l’“eroe borghese” verrà ucciso dal killer William Arico, su mandato di Michele Sindona – agli interrogatori e agli atti delle “scatole” societarie costruite dal bancarottiere.
Colpiscono nella relazione le righe che definiscono tratti caratteriali e professionali di Ambrosoli come il senso del dovere e di responsabilità. “Per quanto dal 27.9 siano decorsi quasi sei mesi, il sottoscritto ha potuto dedicare poco tempo alle indagini ai fini della relazione, occupato dalla gestione quotidiana dell’azienda: se invero chiudere un’azienda è relativamente facile, assai più complessa e lunga è la liquidazione di un’azienda di credito la cui “vita” continua anche dopo la messa di liquidazione per i molteplici rapporti in essere soprattutto con l’estero.”
Il commissario sottolinea la convinzione che la Procura, disponendo delle relazioni degli ispettori di Bankitalia, abbia già elementi “per procedere nei confronti dei responsabili”. Pertanto, ha dedicato l’attenzione “ai problemi più urgenti per svolgere le operazioni di liquidazione”: dalla formazione dello stato passivo alla “sistemazione presso altri istituti del personale dell’azienda”. L’entità del dissesto che emerge dalla contabilità raggiunge 531 miliardi di lire, ma Ambrosoli spiega di aver “contenuto” il passivo in 417 miliardi “contestando crediti ed effettuando compensazioni”. Nella relazione il commissario già traccia i meccanismi fraudolenti messi in atto dal bancarottiere:
“Operazioni di affidamento a società estere per il tramite di poche banche straniere tutte o quasi strettamente collegate al gruppo Sindona.” Così “enormi masse di denaro sono trasmesse all’estero e buona parte di tali importi è stata trasferita a beneficiari sconosciuti”.
Dai primi mesi del 1974 il gruppo ha “operato nella prospettiva del dissesto”. Ambrosoli descrive, poi, perdite da prestiti “diretti” a società estere “non previste dal consiglio”, “distorsioni contabili di gravità tale da alterare la veridicità dei bilanci”. E si sofferma sulle operazioni in cambi non contabilizzate che portano alla “falsificazione di documenti contabili, all’occultamento di costi e ricavi”: sono pervenute “domande di tre creditori” tra cui lo IOR, l’Istituto del Vaticano, per “ingenti depositi in dollari”, contabilizzati “invece come depositi di una banca estera presso la Privata”.
Le responsabilità?
Fanno carico “a chi amministrava la banca, o meglio, disponendo della maggioranza azionaria, era l’ispiratore di ogni attività”.
A Sindona, dunque.
Sebbene “non meno gravi” sono quelle di “amministratori, sindaci, dirigenti che hanno passivamente ordinato, disposto ed eseguito”.
Nelle quattordici pagine vi è, già, tutto ciò che porterà al sacrificio di Ambrosoli, il quale, pochi giorni prima, aveva scritto alla moglie Annalori:
“Pagherò a molto caro prezzo l’incarico. Qualunque cosa succeda tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo.”
[16] Dopo molti anni di indagini, depistaggi e processi, vennero riconosciuti colpevoli e condannati alcuni membri del gruppo neofascista Ordine Nuovo, quali esecutori materiali vennero riconosciuti Ermanno Buzzi – nel frattempo assassinato in carcere – e Maurizio Tramonte, condannato in appello, in qualità di “fonte Tritone” dei servizi segreti, unitamente ai già deceduti Carlo Digilio, addetto agli esplosivi, e Marcello Soffiati, che ha trasportato l’ordigno. Come mandante è stato condannato, in appello, il dirigente ordinovista Carlo Maria Maggi. Gli altri imputati, tra cui Delfo Zorzi, il generale Francesco Delfino e l’ex segretario del MSI e fondatore del Centro Studi Ordine Nuovo, Pino Rauti, furono assolti.

[17] Il processo si concluse con l’assoluzione generale di tutti gli imputati sebbene, stante l’impossibilità di determinare concretamente le personalità dei mandanti e dei materiali esecutori, anche la sentenza di assoluzione attesti comunque la correttezza dell’attribuzione della strage all’estrema destra e alla Loggia P2, definendo come pienamente comprovata una notevole serie di circostanze del tutto significative e univoche in tal senso, al punto da venire esplicitamente richiamata dalla Relazione della Commissione Parlamentare per via di circostanze relative alla strage dell’Italicus e indirizzanti verso l’eversione neofascista e la Loggia P2.
“Tanto doverosamente premesso ed anticipando le conclusioni dell’analisi che ci si appresta a svolgere, si può affermare che gli accertamenti compiuti dai giudici bolognesi, così come sono stati base per una sentenza assolutoria per non sufficientemente provate responsabilità personali degli imputati, costituiscono altresì base quanto mai solida, quando vengano integrati con ulteriori elementi in possesso della Commissione, per affermare: che la strage dell’Italicus è ascrivibile ad una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana; che la Loggia P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di finanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare toscana; che la Loggia P2 è quindi gravemente coinvolta nella strage dell’Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale.” 

[18] L’autore sia del volantino sia delle telefonate anonime, Italo Bono, viene individuato dalle forze dell’ordine, la stessa sera del 5 agosto. Si tratta di un personaggio interno all’estrema destra a Bologna, ma poco considerato nell’ambiente e con problemi psichici evidenti. Le indagini su Bono e su altri estremisti a lui collegati non danno esiti, potendo tutti disporre di un alibi.

[19] Vi sono episodi della Storia della nostra Italia talmente grotteschi, da rendere indistinguibile dove finisca la farsa e inizi la tragedia. Uno di questi è il Golpe Bianco. Tutto inizia, nel 1974, con il tenente colonnello Giuseppe Condò, militare del SIOS Esercito, che ha una missione di massima rilevanza da svolgere: si deve infiltrare all’interno di un ambiente eversivo, i salotti nobiliari della contessa Maria Antonietta Nicastro. Nei ricevimenti aristocratici di Torino, tra una nota di valzer e una coppa di champagne, si parla anche di politica e della situazione italiana: i comunisti, sembra, possano andare al Governo, gli operai e gli studenti sono in protesta perenne, cosa potrà accadere dopo?
Vi è preoccupazione e fermento.
Condò, fingendosi interessato ai programmi che hanno nobili e notabili per evitare l’infausta prospettiva di essere spazzati via, raccoglie le dirette confidenze del conte Edgardo Sogno Rata del Vallino di Ponzone. Il conte spiega a Condò il “piano di emergenza”, che ricalca il piano di Rinascita della Loggia P2, dove risulterà iscritto.
Il tenente Condò prende nota e manda le sue relazioni ai superiori. Il “piano di emergenza” è un colpo di Stato vero e proprio, che si può concretizzare anche susseguentemente a tumulti o attentati, una situazione dove verrebbe meno qualunque diritto costituzionale. Il svizio segreto, con le informazioni in mano, si adopera perché il Golpe non possa attuarsi. Ovviamente, non per fedeltà alla democrazia, ma solo per mere questioni di sopravvivenza al Potere.
Il dossier arriva al generale Vito Miceli, capo del SID e piduista.
È stato lo stesso Licio Gelli a porlo al vertice del servizio segreto nel 1969, tramite il ministro Tanassi.
Il materiale raccolto da Condò serve a Miceli perché, in seno al SID è in atto una rivoluzione, lo vogliono far fuori, facendo leva proprio sui fatti della notte dell’Immacolata.
È una lotta intestina, dentro e fuori la P2, dove i nuovi tecnocrati [i “bianchi”] vogliono imporre un rinnovamento politico [liberale di destra] tagliando al contempo i vecchi rami compromessi con il principe Borghese [che sono i “neri”]. 
Nel luglio sono arrivate sul tavolo di Andreotti, Ministro della Difesa, due relazioni: una è quella che aveva promosso lui, attinente al Golpe Borghese, fatta dal generale Gianadelio Maletti e dal capitano Antonio Labruna. Vi è il coinvolgimento dimostrato del generale Miceli nei fatti del 1970. Miceli però, da par suo, in quel mese ha già dato ad Andreotti la relazione sul Golpe Bianco. Anche lì ci sono diversi nomi, soprattutto militari, ma anche politici. Andreotti fa diramare strette misure anti-golpe, silura Miceli e sostituisce diversi generali. Poi deve far sparire tutte le tracce della battaglia e limitare i danni. Dato che congiurati e anti-congiurati sono quasi tutti della P2, fa snellire i dossier del SID, dove vengono tolti i riferimenti su Gelli e sulla sua loggia, prima che li vedano i magistrati [e ai quali saranno passate solo una parte delle trascrizioni]. Il rischio di finire nel pantano tutti insieme sarebbe alto. Il lavoro di censura non salva però il Ministro dal ricatto, anzi. Il giornalista anarco-piduista Carmine Pecorelli, tramite la sua agenzia di stampa OP, conosce i retroscena e li usa per attaccare “il Divo Giulio” con la storia del “malloppone” che è diventato “malloppino” [e col fatto che abbia scompigliato la nostra intelligence per machiavellismo politico].
Junio Valerio Borghese, latitante in Spagna [ospite del dittatore Francisco Franco] invece vede finire la sua epoca in ogni senso, perché il 26 agosto muore improvvisamente, forse per pancreatite, forse perché avvelenato. A settembre Miceli finisce sotto accusa da parte di giornali e magistrati. Scrive ad Andreotti direttamente. O lo si aiuta o parla, perché alla gogna solitaria non ci sta proprio:
“In tale situazione, Le chiedo, signor ministro, di attuare quanto riterrà opportuno per un chiarimento ufficiale, oppure di sciogliermi dal vincolo del segreto [previa autorizzazione del signor Presidente del Consiglio], affinché io abbia la possibilità di far conoscere l’attività svolta nei delicati incarichi ricoperti, i procedimenti tecnici seguiti ed i risultati.”
In ottobre il generale è arrestato per cospirazione: uno scandalo enorme. Andreotti lo salva poi in inverno, grazie alle manovre dei suoi fedeli giudici romani, che riescono a prendere in mano l’inchiesta.

[20] Tanto si è scritto e tanto si è detto che, nella coscienza collettiva, il tentativo di colpo di Stato noto come Golpe Borghese è divenuto sinonimo di un maldestro tentativo di rivolta istituzionale messo in atto da un gruppo di sgangherati nostalgici.
E, invece, non è così!
L’insurrezione armata che si verifica nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 [la notte dell’Immacolata] è ancora oggi un altro dei tanti punti oscuri della Storia repubblicana. Non è chiaro perché fosse stato messo in atto, a cosa realmente mirasse e, soprattutto, perché ia fallito e chi lo abbia fatto fallire. Tutto ha inizio nella tarda serata del 7 dicembre, quando gruppi di militanti dell’estrema destra si riuniscono in in alcuni luoghi della capitale: nel quartiere di Montesacro, nei cantieri del costruttore Remo Orlandini, legato al SID di Vito Miceli; in pieno centro storico, nella sede di Avanguardia Nazionale; intorno all’Università; in una palestra non distante dalla Stazione Termini. Alle porte di Roma si è concentrata, intanto, anche una colonna armata di guardie forestali, mentre un gruppo di neofascisti è, già, penetrato nell’armeria del Ministero dell’Interno.
Il quartier generale del golpe si è sistemato nel quartiere Nomentano. Ne fanno parte: il principe Junio Valerio Borghese, ex-comandante della X Mas, vero capo del complotto; il generale a riposo dell’Aeronautica Giuseppe Casero; il maggiore della polizia Salvatore Pecorella. Il piano prevede, oltre all’occupazione dei Ministeri della Difesa e dell’Interno, della sede della RAI, da dove Borghese leggerà un proclama alla Nazione, degli impianti telefonici e quelli di telecomunicazione, anche la mobilitazione totale dell’Esercito. Tutto, insomma è pronto, comprese le liste  delle personalità politiche e sindacali da arrestare.
Eppure il Golpe Borghese fallisce.
Lo stesso principe nero riceve una telefonata da un misterioso generale [l’inchiesta della magistratura non chiarirà mai chi fosse], che ordina la sospensione del tentativo insurrezionale.
Tutti a casa!
Cosa è successo quella notte a Roma?
Prova generale per un vero colpo di Stato?
Avvertimento inviato ai politici sulla falsariga del Piano Solo di De Lorenzo oppure il classico doppio gioco: mostrare i muscoli e allo stesso eliminare l’ala dura che da anni ormai cresce e si ramifica?
Di quanto accadde, a Roma, nella notte dell’Immacolata, una sola cosa è certa: i servizi segreti sapevano ed erano stati informati anche diversi uomini politici di Governo. Lo proverà la documentazione che Andreotti consegnerà alla magistratura romana,  soltanto cinque anni dopo. Quella stessa magistratura che farà di tutto per insabbiare l’inchiesta giudiziaria e per trasformare il Golpe Borghese in un golpe da operetta.

[21] Pasolini, tu hai dato nei tuoi articoli e nei tuoi scritti, molte versioni di ciò che detesti. Hai aperto una lotta, da solo, contro tante cose, istituzioni, persuasioni, persone, poteri. Per rendere meno complicato il discorso io dirò “la situazione”, e tu sai che intendo parlare della scena contro cui, in generale ti batti. Ora ti faccio questa obiezione. La “situazione” con tutti i mali che tu dici, contiene tutto ciò che ti consente di essere Pasolini. Voglio dire: tuo è il merito e il talento. Ma gli strumenti? Gli strumenti sono della “situazione”. Editoria, cinema, organizzazione, persino gli oggetti. Mettiamo che il tuo sia un pensiero magico. Fai un gesto e tutto scompare. Tutto ciò che detesti. E tu? Tu non resteresti solo e senza mezzi? Intendo mezzi espressivi, intendo…
Sì, ho capito. Ma io non solo lo tento, quel pensiero magico, ma ci credo. Non in senso medianico. Ma perché so che battendo sempre sullo stesso chiodo può persino crollare una casa. In piccolo un buon esempio ce lo danno i radicali, quattro gatti che arrivano a smuovere la coscienza di un Paese [e tu sai che non sono sempre d’accordo con loro, ma proprio adesso sto per partire, per andare al loro congresso]. In grande l’esempio ce lo dà la storia. Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali. I pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali. Il rifiuto per funzionare deve essere grande, non piccolo, totale, non su questo o quel punto, “assurdo”, non di buon senso. Eichmann, caro mio, aveva una quantità di buon senso. Che cosa gli è mancato? Gli è mancato di dire no su, in cima, al principio, quando quel che faceva era solo ordinaria amministrazione, burocrazia. Magari avrà anche detto agli amici: a me quell’Himmler non mi piace mica tanto. Avrà mormorato, come si mormora nelle case editrici, nei giornali, nel sottogoverno e alla televisione. Oppure si sarà anche ribellato perché questo o quel treno si fermava una volta al giorno per i bisogni e il pane e acqua dei deportati quando sarebbero state più funzionali o più economiche due fermate. Ma non ha mai inceppato la macchina. Allora i discorsi sono tre. Qual è, come tu dici, “la situazione”, e perché si dovrebbe fermarla o distruggerla. E in che modo.
Ecco, descrivi allora la “situazione”. Tu sai benissimo che i tuoi interventi e il tuo linguaggio hanno un po’ l’effetto del sole che attraversa la polvere. È un’immagine bella ma si può anche vedere [o capire] poco.
Grazie per l’immagine del sole, ma io pretendo molto di meno. Pretendo che tu ti guardi intorno e ti accorga della tragedia. Qual è la tragedia? La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra. E noi, gli intellettuali, prendiamo l’orario ferroviario dell’anno scorso, o di dieci anni prima e poi diciamo: ma strano, ma questi due treni non passano di lì, e come mai sono andati a fracassarsi in quel modo? O il macchinista è impazzito o è un criminale isolato o c’è un complotto. Soprattutto il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità. Che bello se mentre siamo qui a parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori. E facile, è semplice, è la resistenza. Noi perderemo alcuni compagni e poi ci organizzeremo e faremo fuori loro, o un po’ per uno, ti pare? Eh lo so che quando trasmettono in televisione Parigi brucia tutti sono lì con le lacrime agli occhi e una voglia matta che la storia si ripeta, bella, pulita [un frutto del tempo è che “lava” le cose, come la facciata delle case]. Semplice, io di qua, tu di là. Non scherziamo sul sangue, il dolore, la fatica che anche allora la gente ha pagato per “scegliere”. Quando stai con la faccia schiacciata contro quell’ora, quel minuto della storia, scegliere è sempre una tragedia. Però, ammettiamolo, era più semplice. Il fascista di Salò, il nazista delle SS, l’uomo normale, con l’aiuto del coraggio e della coscienza, riesce a respingerlo, anche dalla sua vita interiore [dove la rivoluzione sempre comincia]. Ma adesso no. Uno ti viene incontro vestito da amico, è gentile, garbato, e «collabora» [mettiamo alla televisione] sia per campare sia perché non è mica un delitto. L’altro – o gli altri, i gruppi – ti vengono incontro o addosso – con i loro ricatti ideologici, con le loro ammonizioni, le loro prediche, i loro anatemi e tu senti che sono anche minacce. Sfilano con bandiere e con slogan, ma che cosa li separa dal “potere”?
Che cos’è il potere, secondo te, dove è, dove sta, come lo stani?
Il potere è un sistema di educazione che ci divide in soggiogati e soggiogatori. Ma attento. Uno stesso sistema educativo che ci forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri. Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo. Se ho tra le mani un consiglio di amministrazione o una manovra di Borsa uso quella. Altrimenti una spranga. E quando uso una spranga faccio la mia violenza per ottenere ciò che voglio. Perché lo voglio? Perché mi hanno detto che è una virtù volerlo. Io esercito il mio diritto-virtù. Sono assassino e sono buono.
Ti hanno accusato di non distinguere politicamente e ideologicamente, di avere perso il segno della differenza profonda che deve pur esserci fra fascisti e non fascisti, per esempio fra i giovani.
Per questo ti parlavo dell’orario ferroviario dell’anno prima. Hai mai visto quelle marionette che fanno tanto ridere i bambini perché hanno il corpo voltato da una parte e la testa dalla parte opposta’ Mi pare che Totò riuscisse in un trucco del genere. Ecco io vedo così la bella truppa di intellettuali, sociologi, esperti e giornalisti delle intenzioni più nobili, le cose succedono qui e la testa guarda di là. Non dico che non c’è il fascismo. Dico: smettete di parlarmi del mare mentre siamo in montagna. Questo è un paesaggio diverso. Qui c’è la voglia di uccidere. E questa voglia ci lega come fratelli sinistri di un fallimento sinistro di un intero sistema sociale. Piacerebbe anche a me se tutto si risolvesse nell’isolare la pecora nera. Le vedo anch’io le pecore nere. Ne vedo tante. Le vedo tutte. Ecco il guaio, ho già detto a Moravia: con la vita che faccio io pago un prezzo. È come uno che scende all’inferno. Ma quando torno – se torno – ho visto altre cose, più cose. Non dico che dovete credermi. Dico che dovete sempre cambiare discorso per non affrontare la verità.
E qual è la verità?
Mi dispiace avere usato questa parola. Volevo dire “evidenza”. Fammi rimettere le cose in ordine. Prima tragedia: una educazione comune, obbligatoria e sbagliata che ci spinge tutti dentro l’arena dell’avere tutto a tutti i costi. In questa arena siamo spinti come una strana e cupa armata in cui qualcuno ha i cannoni e qualcuno ha le spranghe. Allora una prima divisione, classica, è “stare con i deboli”. Ma io dico che, in un certo senso tutti sono i deboli, perché tutti sono vittime. E tutti sono i colpevoli, perché tutti sono pronti al gioco del massacro. Pur di avere. L’educazione ricevuta è stata: avere, possedere, distruggere.
Allora fammi tornare alla domanda iniziale. Tu, magicamente abolisci tutto. Ma tu vivi di libri, e hai bisogno di intelligenze che leggono. Dunque, consumatori educati del prodotto intellettuale. Tu fai del cinema e hai bisogno non solo di grandi platee disponibili [infatti hai in genere molto successo popolare, cioè sei “consumato” avidamente dal tuo pubblico] ma anche di una grande macchina tecnica, organizzativa, industriale, che sta in mezzo. Se togli tutto questo, con una specie di magico monachesimo di tipo paleo-cattolico e neo-cinese, che cosa ti resta?
A me resta tutto, cioè me stesso, essere vivo, essere al mondo, vedere, lavorare, capire. Ci sono cento modi di raccontare le storie, di ascoltare le lingue, di riprodurre i dialetti, di fare il teatro dei burattini. Agli altri resta molto di più. Possono tenermi testa, colti come me o ignoranti come me. Il mondo diventa grande, tutto diventa nostro e non dobbiamo usare né la Borsa, né il consiglio di amministrazione, né la spranga, per depredarci. Vedi, nel mondo che molti di noi sognavano [ripeto: leggere l’orario ferroviario dell’anno prima, ma in questo caso diciamo pure di tanti anni prima] c’era il padrone turpe con il cilindro e i dollari che gli colavano dalle tasche e la vedova emaciata che chiedeva giustizia con i suoi pargoli. Il bel mondo di Brecht, insomma.
Come dire che hai nostalgia di quel mondo.
No! Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone. Poiché erano esclusi da tutto nessuno li aveva colonizzati. Io ho paura di questi negri in rivolta, uguali al padrone, altrettanti predoni, che vogliono tutto a qualunque costo. Questa cupa ostinazione alla violenza totale non lascia più vedere “di che segno sei”. Chiunque sia portato in fin di vita all’ospedale ha più interesse – se ha ancora un soffio di vita – in quel che gli diranno i dottori sulla sua possibilità di vivere che in quel che gli diranno i poliziotti sulla meccanica del delitto. Bada bene che io non faccio né un processo alle intenzioni né mi interessa ormai la catena causa-effetto, prima loro, prima lui, o chi è il capo-colpevole. Mi sembra che abbiamo definito quella che tu chiami la “situazione”. È come quando in una città piove e si sono ingorgati i tombini. L’acqua sale, è un’acqua innocente, acqua piovana, non ha né la furia del mare né la cattiveria delle correnti di un fiume. Però, per una ragione qualsiasi non scende ma sale. È la stessa acqua piovana di tante poesiole infantili e delle musichette del “cantando sotto la pioggia”. Ma sale e ti annega. Se siamo a questo punto io dico: non perdiamo tutto il tempo a mettere una etichetta qui e una là. Vediamo dove si sgorga questa maledetta vasca, prima che restiamo tutti annegati.
E tu, per questo, vorresti tutti pastorelli senza scuola dell’obbligo, ignoranti e felici.
Detta così sarebbe una stupidaggine. Ma la cosiddetta scuola dell’obbligo fabbrica per forza gladiatori disperati. La massa si fa più grande, come la disperazione, come la rabbia. Mettiamo che io abbia lanciato una boutade [eppure non credo] Ditemi voi una altra cosa. S’intende che rimpiango la rivoluzione pura e diretta della gente oppressa che ha il solo scopo di farsi libera e padrona di se stessa. S’intende che mi immagino che possa ancora venire un momento così nella storia italiana e in quella del mondo. Il meglio di quello che penso potrà anche ispirarmi una delle mie prossime poesie. Ma non quello che so e quello che vedo. Voglio dire fuori dai denti: io scendo all’inferno e so cose che non disturbano la pace di altri. Ma state attenti. L’inferno sta salendo da voi. È vero che viene con maschere e con bandiere diverse. È vero che sogna la sua uniforme e la sua giustificazione [qualche volta]. Ma è anche vero che la sua voglia, il suo bisogno di dare la sprangata, di aggredire, di uccidere, è forte ed è generale. Non resterà per tanto tempo l’esperienza privata e rischiosa di chi ha, come dire, toccato “la vita violenta”. Non vi illudete. E voi siete, con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo basato sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere. Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere su un delitto la sua bella etichetta. A me questa sembra un’altra delle tante operazioni della cultura di massa. Non potendo impedire che accadano certe cose, si trova pace fabbricando scaffali.
Ma abolire deve per forza dire creare, se non sei un distruttore anche tu. I libri, per esempio, che fine fanno? Non voglio fare la parte di chi si angoscia più per la cultura che per la gente. Ma questa gente, salvata, nella tua visione di un mondo diverso, non può essere più primitiva [questa è un’accusa frequente che ti viene rivolta] e se non vogliamo usare la repressione “più avanzata”…
Che mi fa rabbrividire.
Se non vogliamo usare frasi fatte, una indicazione ci deve pur essere. Per esempio, nella fantascienza, come nel nazismo, si bruciano sempre i libri come gesto iniziale di sterminio. Chiuse le scuole, chiusa la televisione, come animi il tuo presepio?
Credo di essermi già spiegato con Moravia. Chiudere, nel mio linguaggio, vuol dire cambiare. Cambiare però in modo tanto drastico e disperato quanto drastica e disperata è la situazione. Quello che impedisce un vero dibattito con Moravia ma soprattutto con Firpo, per esempio, è che sembriamo persone che non vedono la stessa scena, che non conoscono la stessa gente, che non ascoltavano le stesse voci. Per voi una cosa accade quando è cronaca, bella, fatta, impaginata, tagliata e intitolata. Ma cosa c’è sotto? Qui manca il chirurgo che ha il coraggio di esaminare il tessuto e di dire: signori, questo è cancro, non è un fatterello benigno. Cos’è il cancro? È una cosa che cambia tutte le cellule, che le fa crescere tutte in modo pazzesco, fuori da qualsiasi logica precedente. È un nostalgico il malato che sogna la salute che aveva prima, anche se prima era uno stupido e un disgraziato? Prima del cancro, dico. Ecco prima di tutto bisognerà fare non so quale sforzo per avere la stessa immagine. Io ascolto i politici con le loro formulette, tutti i politici e divento pazzo. Non sanno di che Paese stanno parlando, sono lontani come la Luna. E i letterati. E i sociologi. E gli esperti di tutti i generi.
Perché pensi che per te certe cose siano talmente più chiare?
Non vorrei parlare più di me, forse ho detto fin troppo. Lo sanno tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Ma ci sono anche i miei libri e i miei film. Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo.
Pasolini, se tu vedi la vita così – non so se accetti questa domanda – come pensi di evitare il pericolo e il rischio?
È diventato tardi, Pasolini non ha acceso la luce e diventa difficile prendere appunti. Rivediamo insieme i miei. Poi lui mi chiede di lasciargli le domande.
Ci sono punti che mi sembrano un po’ troppo assoluti. Fammi pensare, fammeli rivedere. E poi dammi il tempo di trovare una conclusione. Ho una cosa in mente per rispondere alla tua domanda. Per me è più facile scrivere che parlare. Ti lascio le note che aggiungo per domani mattina.
[22] Nella notte tra il primo e il 2 novembre 1975, Pasolini viene ucciso in maniera brutale: percosso e travolto dalla sua stessa auto sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia. Il cadavere massacrato viene ritrovato da una donna, alle 6:30 circa. Sarà l’amico Ninetto Davoli a riconoscerlo. Dell’omicidio viene accusato il diciassettenne Pino Pelosi di Guidonia, già noto alla polizia come ladro di auto e “ragazzo di vita”, fermato, la notte stessa, alla guida dell’auto di Pasolini.
Pelosi affermò di essere stato avvicinato da Pasolini, nelle vicinanze della Stazione Termini, presso il Bar Gambrinus di Piazza dei Cinquecento, e da questi invitato sulla sua vettura, un’Alfa Romeo GT Veloce, dietro la promessa di un compenso in denaro.
Dopo una cena offerta dallo scrittore, nella trattoria Biondo Tevere, nei pressi della Basilica di San Paolo, i due si sarebbero diretti alla periferia di Ostia. La tragedia, secondo la sentenza, sarebbe scaturita a seguito di una lite per le pretese sessuali di Pasolini, cui Pelosi sarebbe stato riluttante. Il giovane sarebbe stato, poi, minacciato con un bastone, del quale si sarebbe impadronito per percuotere Pasolini fino a farlo stramazzare al suolo, gravemente ferito, ma ancora vivo. Quindi, Pelosi, a bordo dell’auto, avrebbe travolto, più volte, con le ruote il corpo dello scrittore, sfondandogli la cassa toracica e provocandone la morte.
Gli abiti di Pelosi non mostravano tracce di sangue.

[23] Secondo Gianni d’Elia Petrolio come lo conosciamo e come è stato pubblicato non è veramente tutto quello che Pasolini ha scritto, fino all’ultima virgola, come sostiene invece la nipote di Pasolini, Graziella Chiarcossi in una intervista. D’Elia è convinto che manchino alcune pagine che erano state scritte.
In primo luogo, vi è il fatto che, secondo lo stesso Pasolini  la stesura del romanzo fosse arrivata a 600 pagine, alla fine del1974, ma dopo la sua morte ce ne sono pervenute solo 522.
Gianni d’Elia produce, anche, una prova filologica “interna della mancanza di parti, già, composte da Pasolini: nell’appunto 22a di Petrolio, Pasolini dice:
... ne ho già fatto cenno nel paragrafo intitolato “Lampi sull’ENI”, e ad esso rimando chi volesse rinfrescarsi la memoria.
Il problema è che il suddetto appunto intitolato Lampi sull’ENI non contiene che il titolo.  È strano che manchi proprio quell’appunto che avrebbe dovuto rinfrescare la memoria, sicuramente a quelli che facevano finta di non sapere.
Lampi sull’ENI significava luci sul buio nero; l’appunto doveva parlare [e probabilmente parlava] di Aldo Troya ed Enrico Bonocore [cioè di Cefis e Mattei] e Gianni d’Elia è convinto che ci fosse ancora molto di più:
Non c’è solo Mattei, nelle pagine sparite, ma l’accumulazione originaria del deuteragonista Cefis [forzieri americani, servizi segreti, uccisione del comandante partigiano Alfredo Di Dio, in Ossola, e soprattutto il palinsesto delle stragi].
Il caso Mattei inquietava non solo Pasolini, ma anche tutta l’Italia. Enrico Mattei era presidente dell’ENI e, in questa veste, non era soltanto un alto dirigente dello Stato, ma anche uno dei più potenti italiani del suo tempo, perché dirigeva un impero che controllava giacimenti di metano e pozzi petroliferi, oleodotti e contratti miliardari in tutto il mondo. Mattei muore nel 1962, quando il suo piccolo aereo cade a Bascapé, un paesino in provincia di Pavia. All’inizio non si sa se sia stato un incidente oppure un complotto omicida, ma, quando muoiono altre persone connesse al caso Mattei e alle indagini, si inizia a intuire che si tratti, probabilmente, di un crimine.
Molti si sono chiesti chi abbia assassinato Enrico Mattei ed esistono alcune risposte possibili.
La Mafia era la sola in grado di ucciderlo, ma è stata solo l’esecutore materiale dell’assassinio, perché Enrico Mattei non dava fastidio alla Mafia, almeno non direttamente.
Cosa Nostra ha agito dietro l’ordine di un mandante e, quindi, bisogna chiedersi chi fosse il mandante.
Sapeva Pasolini la risposta?
Sicuramente si interessava molto al caso Mattei, chiuso velocemente nel 1963, senza chiarire nulla. In Petrolio parla di Mattei, per la prima volta, nello schema riassuntivo degli appunti 20-40:
“A questo punto proprio [Carlo] come uomo di sinistra viene scelto [è una contropartita per avere poi ciò che egli vuole] per una operazione di destra, estrema destra: la complicità in un delitto [l’uccisione di Mattei datata alla fine degli Anni Cinquanta?] che lo mette in contatto con la CIA e con la Mafia. Ma egli vive tutto questo come in un sogno. Da complice ideale, non capisce e non vede niente.”
Si tratta di una pagina scritta nel giugno del 1973, quindi, undici anni dopo l’attentato all’aereo di Mattei, ma la presenza del materiale esplosivo sull’aereo non è stata accertata fino al 1997.
Nel 1973, se ne parlava, ufficialmente, come di un incidente, ma Pasolini era già di diverso parere, perché utilizza la parola uccisione. Inoltre, suggerisce che l’assassino [nel libro rappresentato da Carlo] è stato guidato dalla CIA e dalla Mafia, come indica anche una delle possibilità proposte nella nota. Sapendo che Pasolini riceveva notizie da fonti molto pericolose, è sicuro che di queste cose sapesse molto più degli altri e di quello che è stato ufficialmente detto, e non soltanto per intuizione o deduzione. “L’uccisione” di Enrico Mattei per lui era un fatto certo, e crediamo che, con il legame proposto tra Carlo e la CIA e la Mafia, Pasolini cercasse di spiegarci come fosse avvenuta.
In seguito, Pasolini torna al caso Mattei a pagina 127, dove lo mette in relazione con Eugenio Cefis, l’uomo che succederà a Mattei alla presidenza dell’ENI e diverrà, nel 1974, presidente della Montedison.
In Petrolio, a Cefis corrisponde il personaggio di Aldo Troya e di lui si legge:
In questo preciso momento storico Troya [!] sta per essere fatto presidente dell’ENI: e ciò implica la soppressione del suo predecessore [caso Mattei, cronologicamente spostato in avanti].
A Mattei, invece, corrisponde il personaggio di Enrico Bonocore [nel romanzo si dice che sua madre proveniva da Bescapé, in provincia di Pavia, dove è caduto l’aereo su cui viaggiava Mattei].


[24] Il 31 ottobre 1974, il generale Vito Miceli – tessera P2 n.1605 –, capo dei servizi segreti della difesa militare [SID], è arrestato nel quadro dell’inchiesta sulla Rosa dei Venti.
Il 2 novembre 1974, in conseguenza di questo arresto eclatante, si moltiplicano le voci di un imminente colpo di Stato.
Nel giugno del 1974, si era scoperto un ennesimo progetto di golpe, il golpe bianco, organizzato da Edgardo Sogno, e il 15 settembre 1974, Giulio Andreotti, ministro della difesa, aveva reso pubblico un dossier del SID, fino ad allora rimasto segreto, sul tentativo di colpo di Stato di Junio Valerio Borghese, l’8 dicembre 1970.

[25] Lo scorso anno, la famiglia Nenni ha donato all’Archivio Storico del Senato i diari completi di Pietro Nenni, ora a disposizione di studiosi e di ricercatori.
“Questi Diari”,
 scrive Paolo Franchi nell’introduzione del libro Socialista libertario giacobino, dedicato agli scritti del leader del Partito Socialista Italiano,
“sono una miniera ricchissima di riflessioni; di giudizi storici e politici che tengono insieme, in forme oggi letteralmente impensabili, passato e presente; di ricordi di donne e di uomini della politica italiana e internazionale, della letteratura e dell’arte. Testimoniano, pagina dopo pagina, la straordinaria umanità che rese Nenni così diverso dagli altri leader politici del tempo.”

[26] Desert solitaire di Edward Abbey è il grido angosciato di un uomo pronto a sfidare il crescente sfruttamento operato dall’industria petrolifera, mineraria e turistica.
È trascorso mezzo secolo, ma le osservazioni di Abbey, le sue battaglie, non hanno perso nulla della loro rilevanza.
Più che mai, oggi, Desert solitaire ci chiama a combattere, mettendoci di fronte a un’ultima domanda fondamentale:
“Riusciremo a salvare ciò che resta dei nostri Tesori Naturali prima che i bulldozers manovrati dal profitto colpiscano ancora?”


[27] L’articolo 11 della Costituzione recita:
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.” [https://www.senato.it/documenti/repository/istituzione/costituzione.pdf]

[28] La sera del 25 giugno 1991, viene convocato, in seduta plenaria, il Parlamento sloveno per discutere e votare l’indipendenza; tutti sono favorevoli, tranne il comandante delle truppe jugoslave.
Nel corso della seduta, poco prima della votazione definitiva, il presidente del parlamento dà lettura di un telegramma appena pervenuto dal Sabor di Zagabria, il Parlamento croato, nel quale si comunica che la Croazia è divenuta indipendente.
Ad avvenuta votazione, nella piazza centrale di Lubiana il presidente Milan Kucan proclama dinanzi al popolo l’indipendenza slovena.
La conclusione del discorso di Kucan lascia intendere una immediata risposta delle truppe federali:
“Nocoj so dovoljene sanje, jutri je nov dan.”
[Questa sera i sogni sono permessi, domani è un nuovo giorno.”]
Il 26 giugno 1991, il giornale sloveno Delo di Lubiana pubblica un titolo a nove colonne, traducibile in:
“Dopo più di mille anni di dominazione austriaca e più di settanta anni di convivenza con la Jugoslavia, la Slovenia è indipendente.”

[29] L’attacco al Kosovo sarà il capitolo finale della devastazione che la Jugoslavia subiva dall’inizio degli anni 1990.
La destabilizzazione aveva preso inizio quando, nel corso degli Anni Ottanta, la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia aveva subito fortissime pressioni dal Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale.
Dividere la Jugoslavia risultava l’unico modo per controllarla.
La Croazia e la Slovenia, regioni industrializzate e con un tenore di vita più alto, credevano che l’autonomia li avrebbe rese più ricche, m, in realtà, la guerra preparata da Washington aveva lo scopo di distruggere economicamente e politicamente tutte le regioni della ex-Jugoslavia. LO aveva dichiarato lo stesso Vicepresidente della Banca Mondiale, Willi Wapenhans:
“Secondo la nostra opinione non sussiste alcun dubbio sul fatto che nessuna delle parti componenti la Jugoslavia trarrà profitto dallo sfascio della Jugoslavia o della sua economia nel breve e medio periodo.”
Il 25 giugno 1991, la Slovenia dichiara la sua indipendenza. Ma la Slovenia non è sola, al suo fianco, muta e invisibile, è la Serbia.
Quando, il 21 giugno 1991, il segretario di Stato americano, James Baker, in visita a Belgrado dichiarava che gli Stati Uniti “non avrebbero incoraggiato né premiato la secessione” era evidente a Kucan che il suo Paese si trovava solo. Anzi, Kucan comprese come il messaggio di Baker fosse un invito, forse involontario, a opporsi all’autodeterminazione slovena e croata. Poco dopo la visita a Belgrado di Baker, l’allora presidente federale della Jugoslavia, Ante Markovic, dichiarò in Parlamento che “l’Armata popolare era pronta a prendere le misure adatte” in caso di secessione.
La tensione era altissima.


Il 30 giugno 1991, viene l’ordine da Milosevic di non invadere la Slovenia. I generali dell’esercito jugoslavo sono costretti a ripiegare sulla Croazia, che ha dichiarato l’indipendenza in concomitanza con la Slovenia. Lo stupore generale è grande.
La tesi di un accordo sottobanco tra serbi e sloveni trova una conferma storica nell’incontro segreto tra Milosevic e Kucan nel gennaio 1991 [documentato nel noto “The death of Yugoslavia” prodotto dalla Bbc e nelle memorie di Zimmermann, ex-ambasciatore USA], dove il primo garantisce al secondo che la Serbia non muoverà un dito per tenere dentro la Slovenia.
Ma a tutti sfuggì che la trappola era scattata: Tudjman, che seppe solo seguire la Slovenia  nella dichiarazione di indipendenza ma non organizzare la difesa, si trovò con i separatisti serbi [da mesi armati da Belgrado] che sparavano sui croati disarmati. La guerra, quella vera, quella per la Grande Serbia, quella voluta e preordinata da mesi se non anni, quella vagheggiata dall’Accademia delle Scienze di Belgrado, si poteva finalmente combattere.
Grazie alla Slovenia [che fece, forse inconsapevolmente, il gioco serbo] la Jugoslavia collassò. Finalmente anche l’ultimo residuo di Stato federale, rappresentanto dal primo ministro federale Ante Markovic, si dissolse. La strada per Milosevic era spianata. Un decennio di sangue era inaugurato.
Nel febbraio del 1992, la Bosnia ottiene l’indipendenza, dopo un Referendum popolare.
Il 7 e l’8 aprile 1992, i serbi formano la Repubblica Serba di Bosnia, che comprende i territori a maggioranza serba [il 65% del territorio].
Il 27 aprile 1992, Serbia e Montenegro costituicono la nuova Federazione Jugoslava.
Nel 1995, arrivano, in Jugoslavia, 60mila uomini delle truppe di terra della NATO, con carri armati e artiglieria, che si aggiungono agli altri già impegnati nei Paesi limitrofi, per un totale di 200mila uomini.

[30] Javier Pérez de Cuéllar fu eletto dopo cinque settimane di stallo tra la rielezione di Waldheim e la candidata imposta dalla Cina, la tanzaniana Salim Ahmed Salim. Pérez de Cuéllar, un diplomatico peruviano, già ambasciatore in Svizzera, fu un candidato di compromesso e, al momento dell’elezione, anche il primo segretario generale dell’America Latina. Fu rieletto all’unanimità nel 1986, ma rifiutò di candidarsi nuovamente alla scadenza del secondo mandato.

[31] Mentre quella che un tempo si chiamava Jugoslavia veniva risucchiata in una spirale di morte, il mondo intero rimase in silenzio di fronte ad atrocità inconcepibili: omicidi di massa su base etnica, campi di concentramento e stupri. Il senso comune ha condannato le nazioni balcaniche per la sanguinosa disintegrazione, che provocò più di 130mila vittime. La principale presa di posizione contro gli orrori perpetrati nella regione fu assunta dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che mise al bando il traffico di armi nell’area. A distanza di quasi vent’anni, tuttavia, emergono nuovi particolari destinati a mutare la prospettiva su queste vicende. Molti altri Paesi sembrano essere responsabili per avere alimentato le carneficine che hanno devastato i Balcani.
Un’indagine durata tre anni, condotta da un’equipe di giornalisti sloveni e sostenuta da reporter di sei differenti Paesi, ha analizzato migliaia di documenti arrivando a concludere che molti Stati, tra i quali la Russia, che aveva votato a favore dell’embargo delle armi, hanno aggirato il divieto da loro stessi imposto. Molte persone, in questi Paesi, sono riuscite a guadagnare milioni di dollari vendendo armi e munizioni alle fazioni impegnate nel conflitto.
Bulgaria, Polonia, Ucraina, Romania e Russia esportavano armi destinate all’ex-Jugoslavia. Il quartier generale di questa operazione logistica di dimensioni enormi si trovava a Vienna, mentre le transazioni finanziare erano eseguite da una banca ungherese. I trafficanti di armi utilizzavano compagnie registrate nei paradisi offshore panamensi. Il Regno Unito spedì equipaggiamenti militari alle ex-Repubbliche jugoslave e concesse loro prestiti per l’acquisto di armi, e lo stesso fece la Germania.
“Questo tipo di commercio illegale ha permesso ad alcuni individui di accumulare una ricchezza immensa.”,
afferma Zdenko Cepic, ricercatore dellIstituto di Storia Contemporanea di Lubiana ed esperto dei conflitti balcanici.
Ma, se da un lato, vi è, sempre, stata una diffusa consapevolezza rispetto alle spedizioni illegali di armi durante il conflitto, i dettagli sono sempre rimasti un mistero. Mercanti di armi, rappresentanti di Governi e altri ancora hanno sempre negato le loro colpe, e nessuno è stato ritenuto responsabile da un sistema giudiziario post-bellico che si è, spesso, piegato alle pressioni politiche.
L’inchiesta rivela che grandi quantità di armi russe venivano vendute tramite anonimi intermediari durante l’embargo delle armi voluto dalle Nazioni Unite. La persona che probabilmente svolgeva il ruolo principale era un cittadino greco, Konstantin Dafermos, che in quegli anni operava a Vienna.
Tra il 1991 e il 1992, quando i traffici fiorivano, circa 20 navi cariche di armi approdarono in gran segreto al porto sloveno di Koper, violando l’embargo dell’ONU. Le navi furono scaricate e il carico rapidamente inviato ai campi di battaglia in Croazia e Bosnia Erzegovina.
Queste operazioni logistiche, secondo i documenti, furono condotte dai servizi segreti sia civili sia militari di tutti i tre Paesi coinvolti. Anche le Mafie italiana, albanese e russa parteciparono ad alcune operazioni.
“Il porto di Koper costituiva un’ottima opportunità per aggirare l’embargo,”,
sostiene Cepic,
“perché non era controllato dagli ispettori internazionali. La supervisione sulle spedizioni veniva eseguita dalla stessa Slovenia, che permetteva limportazione di armi da altri Paesi europei.”
L’embargo dell’ONU era diretto a evitare che le armi arrivassero nei Balcani, ma fu, duramente, criticato, perché rafforzava la supremazia della Serbia, ostacolando la possibilità di Slovenia, Croazia e Bosnia Erzegovina di difendersi dalla minaccia che giungeva da Belgrado.
Senza alcun alleato cui rivolgersi, questi Paesi hanno, pertanto, acquistato armi attraverso una oscura rete di commercianti, legati al crimine organizzato e da Stati che, come la Russia, avevano votato a favore dell’embargo.
Le armi acquistate, che avrebbero dovuto essere necessarie per difendere le repubbliche dell’ex-Jugoslavia, favorirono a loro volta aggressioni e atrocità. Le armi comprate dalla Croazia, per esempio, hanno permesso la difesa dall’offensiva dell’Esercito Popolare Jugoslavo e la conquista, nel 1995, dei territori che erano controllati dai ribelli serbi. Ma i leaders militari croati sono, anche, stati condannati per gli omicidi commessi nei confronti dei serbi e per avere deportato migliaia di loro dalla Croazia, mentre sia i serbi sia i croati sono stati coinvolti in atrocità commesse contro i musulmani bosniaci.
“Questo commercio illegale di armi”,
spiega Cepic,
“ha in parte influenzato gli esiti delle guerre nellex-Jugoslavia.”
Il commercio di armi ha inoltre condizionato a lungo questi Paesi dopo la fine delle guerre. I legami criminali hanno spinto i rappresentanti dei servizi segreti dalla parte sbagliata della legge. Sono arrivati a concludere negoziazioni intascando valigie cariche di denaro, facendo lievitare i prezzi delle armi e ponendo le basi per un clima di corruzione tra i funzionari pubblici che persiste, ancora, oggi.
Il traffico di armi nella guerra jugoslava ha inizio nel 1991, il 20 giugno per l’esattezza, quando il primo carico di armi strategicamente importante giunse in Slovenia dal porto bulgaro di Burgas, la settimana precedente l’inizio dei primi scontri armati in ex Jugoslavia. La nave danese Herman C. Boye arrivò con a bordo 5mila fucili d’assalto, milioni di cartucce e, soprattutto, missili anti-aerei e anti-carro per un valore equivalente a 7,8 milioni dei marchi tedeschi di allora, pari a 4,3 milioni di dollari americani.
A incaricarsi della spedizione di queste armi fu una compagnia statale bulgara, la Kintex, con sede a Sofia, mentre l’intermediario era una società austriaca, la Stalleker GmbH, con sede a Vienna. Contemporaneamente, la compagnia inglese Racal inviò modernissime stazioni radio militari in Slovenia, capaci di criptare i messaggi, in un affare che fruttò 5 milioni di sterline.
L’operazione, andata a buon fine, attrasse l’attenzione del trafficante d’armi Konstantin Dafermos. L’uomo d’affari greco lavorava al tempo con la Scorpion International Services S.A., una società militare russa registrata a Panama e con uffici presso l’aeroporto di Vienna. La Scorpion presto divenne uno dei principali canali per il traffico di armi verso le frontiere jugoslave. I movimenti del conto bancario aperto presso la Banca Internazionale Centro-Europea di Budapest rivelano che Scorpion ha ricevuto più di 80 milioni di dollari da clienti sloveni, croati e bosniaci.
Bollettini provenienti dalla stessa banca testimoniano che almeno 9,4 milioni di dollari, ma forse addirittura 19, furono trasferiti dal conto di Dafermos a quello di una compagnia statale polacca di nome Cenrex. Il direttore di Cenrex, Jerzy Dembowski, era un tenente-colonnello nel servizio di intelligence militare polacca, che si nascondeva sotto il nome in codice di Wirakocza. Dal porto polacco di Gdynia, navi cariche di armi e contenenti scorte di munizioni sovietiche attraversarono il mare Adriatico per poi arrivare in terra balcanica.
Altre registrazioni mostrano che 3 navi partite dal porto romeno di Costanza trasportarono 200 container, contenenti 3.500 tonnellate di armi, nel dicembre del 1991 e nel gennaio dell’anno seguente. Il cargo, che giunse nel porto di Koper, fu poi inviato in Croazia.
Un canale ancora più importante per il contrabbando fu inaugurato nel 1992, con i carichi che partivano dal porto ucraino di Mykolaiv. Questa via di traffico era controllata dalla Mafia di Odessa, che spedì 8 navi contenenti più di 12mila tonnellate di armi verso la Croazia.
Dai documenti in possesso della Slovenia si viene a scoprire che i due primi carichi transitarono presso il porto sloveno di Koper. Una nave, l’Island, compì il viaggio portando 96 container di armi tra l’ottobre e il novembre del 1992. Da Koper, le armi giunsero in Croazia via terra. I bollettini di pagamento e di credito confermano che 60 milioni di dollari andarono sul conto di Dafermos grazie a dei compratori croati che avevano acquistato le armi proprio attraverso questo canale. Da questo ammontare di denaro, 40 milioni furono a loro volta trasferiti ad altri venditori di armi. Una di queste compagnie, la Global Technologies International Inc., era intestata a Dmitri Streshinsky a Panama.
Questi traffici di armi proseguirono senza dare troppo nell’occhio. Ma nel 1994 l’ultima di otto navi, la Jadran Express, venne intercettata e bloccata dalla flotta NATO presente nell’Adriatico.
Questa intercettazione portò a un processo che si svolse a Torino.
Tra gli imputati figuravano molti di questi trafficanti, tra cui Dafermos, Streshinsky, gli oligarchi russi Alexander Zhukov e Leonid Lebedev, il banchiere britannico Mark Garber e Yevgeny Marchuk, ex-primo ministro ucraino ed ex-capo della polizia segreta di quel Paese. Furono coinvolti nel processo anche degli ex-ufficiali del KGB. La procura di Torino descrisse Konstantin Dafermos come la mente dell’organizzazione. Documenti falsi indicavano che le armi erano dirette in Africa anziché verso i Balcani.
Tutti gli accusati sono stati scagionati.
Secondo documenti più recenti, Dafermos ha venduto centinaia di missili anti-aereo e anti-carro alla Slovenia. In tre navi che giunsero dalla Polonia e dall’Ucraina, tra il 1991 e il 1992, furono rinvenuti 52 lanciatori anti-aereo SA-16 Igla con 400 missili, 50 lanciatori anti-carro AT-4 Fagot con 500 missili e 20 lanciatori anti-carro AT-7 Metis con 200 missili. L’affare aveva un valore complessivo di 33,3 milioni di dollari. Un agente sloveno affermò, in un’intervista rilasciata nel 2010 al quotidiano sloveno Dnevnik, che questo commercio di armi era una sorta di affare intra-statale, con una compagnia ad agire come intermediaria.
Alcuni di questi missili russi vennero pagati con un prestito tedesco, concordato attraverso una compagnia delegata, Unimercat, con sede a Monaco di Baviera. Gli allora ministri della difesa e delle finanze sloveni spiegarono in un’intervista concessa al giornale sloveno Delo che “un Paese occidentale”, che non identificarono, prestò più di 60 milioni di marchi tedeschi, vale a dire 37 milioni di dollari, di cui 46 milioni di marchi, cioè 28 milioni di dollari, erano destinati all’acquisto di armi nel periodo dell’embargo decretato dall’ONU.
Da parte sua, Dafermos arrivò addirittura ad offrire alla Slovenia, nel 1992, uno dei complessi mobili anti-aerei maggiormente all’avanguardia, l’SA-8 Gecko. Questo accordo poi non ebbe seguito, sebbene gli esperti russi e sloveni tennero un incontro svoltosi segretamente a Vienna per discuterne i termini.
Nella primavera del 1994 il presidente del partito liberal-democratico russo Vladimir Zhirinovsky, durante una visita in Slovenia, pretese il pagamento di 9 milioni di dollari per la spedizione di maschere anti-gas all’allora ministro della difesa Janez Jansa, che era a capo del traffico di armi nel suo Paese. L’invio delle maschere anti-gas fu organizzato dall’allora intermediario di Dafermos, Nicholas Oman.
I partners delle altre compagnie panamensi di Dafermos, tutte operanti sotto il nome di Scorpion, avevano legami con la Russia. Il partner di Dafermos in una compagnia denominata Scorpion Navigation era Vladimir I. Ryashentsev, un funzionario del KGB. Oggi, la Scorpion International Services è la rappresentante esclusiva di Rosoboronexport, la compagnia statale russa che esporta armi.
Nel febbraio del 1995 le autorità slovene condannarono Dafermos, assieme al ministro della difesa Janez Jansa e al ministro degli interni Igor Bavčar, per la spedizione illegale di 13mila fucili d’assalto e munizioni durante la guerra in Croazia.
Durante l’interrogatorio sostenuto davanti alla polizia austriaca nel 1995, Dafermos negò ogni coinvolgimento nel traffico di armi e di equipaggiamento militare. Sostenne di aver importato solamente “giubbotti protettivi, uniformi e stivali militari” dalla Russia.
In Slovenia, il caso non venne, mai, portato in tribunale. Entrambi gli ex ministri sloveni sono però oggi imputati per crimini diversi. L’ex-premier sloveno, Jansa, è attualmente sotto processo per corruzione in un traffico di armi del valore di 278 milioni di euro [364 milioni di dollari], mentre Bavcar, l’ex-ministro degli interni, è accusato di riciclaggio di denaro.

[32] L’Italia è un Paese di scandali politico-finanziari e spionistici continui, analizzati in  innumerevoli  indagini giudiziarie e giornalistiche.  Alcune coinvolgono anche la Slovenia e la Croazia, e sono menzionate, a esempio, nel libro-inchiesta Traffico d’armi, il crocevia jugoslavo [M. Gambino e L. Grimaldi, Editori Riuniti, Roma 1995]. Altre informazioni utili  si trovano nel precedente libro Da Gladio a Cosa Nostra, [L. Grimaldi, ed. Kappavu, Udine 1993] con prefazione del magistrato veneziano Felice Casson che ha condotto alcune celebri inchieste su questi problemi.
I due libri meritano dunque molta attenzione, se non per tutte le tesi certamente per molte notizie. Tra quelle che toccano la Slovenia, e in misura minore la Croazia, si possono ritenere fondate le informazioni ricavate dagli atti di indagini giudiziarie e parlamentari  italiane su scandali che hanno coinvolto alti esponenti politici, massonerie deviate, settori dei servizi segreti ed i loro contatti e traffici internazionali. E sono scandali che riguardano in particolare il  traffico di titoli obbligazionari di provenienza illecita.
Il traffico internazionale di titoli bancari o di Stato di provenienza illecita è uno dei sistemi con cui i servizi segreti, o gruppi criminali che riciclano anche capitali non propri, finanziano operazioni politico-economiche e traffici speciali. I titoli vengono depositati come garanzia presso banche e società finanziarie per ottenere forti somme di denaro liquido.
Vengono usati sia titoli autentici che duplicati o falsi. Quelli autentici vengono prelevati illegalmente nei depositi fiduciari dei clienti presso le banche, usati e rimessi a posto, oppure vengono rubati, anche in bianco. Quelli rubati sono utilizzabili finchè il furto non viene denunciato e vengono inseriti sull’apposita Black List internazionale. I titoli duplicati provengono invece direttamente dalle banche o dalle tipografie di Stato, che ne stampano illegalmente due copie autentiche con lo stesso numero: una va sul mercato normale, la seconda su quello illegale.
L’uso di titoli rubati in bianco, duplicati o falsi è preferito perché rappresentano denaro inesistente, che non ha quindi padroni. Ma in ogni caso queste truffe richiedono un altissimo livello di copertura ed organizzazione politico-finanziaria.
Le indagini sinora note che riguardano anche la Slovenia sono due, con un movimento di denaro complessivo di oltre 1 500 miliardi di lire. Ambedue coinvolgono assieme a mafiosi,  pseudomassoni, partiti di governo e servizi segreti italiani, anche diplomatici sloveni.
La più recente è stata aperta nel 1994 su un traffico di certificati di credito [Cct] e buoni [Bot] del Tesoro italiano, in parte duplicati ed in parte rubati. Vi risultano connessi anche traffici internazionali di armi verso più teatri di guerra [inclusi quelli ex-jugoslavo e somalo] e di materiale nucleare, e secondo i magistrati queste operazioni avevano “alte coperture politiche ed istituzionali “. Cioè nello Stato e nel Governo italiani.
L’altra indagine riguarda un traffico scoperto nel 1992 di titoli rubati di una banca di Stato italiana. Alla fine degli anni `80 una grande banca romana controllata dallo Stato, il Banco di Santo Spirito, subisce una serie di furti di titoli in bianco, prevalentemente certificati di deposito [Cd]. Ma non si sa esattamente quanti, perché stranamente la banca non ne tiene registri regolari.
Si sa soltanto che nell’agosto del 1990 viene rubato a Roma un furgone con un forte quantitativo di titoli, ed il 2 novembre un altro con 6.000 assegni bancari e circolari e 294 certificati di deposito, di cui 68 utilizzabili fino ad un miliardo di lire e 229 utilizzabili fino a 95 milioni; i certificati valevano dunque quasi 90 miliardi. Ed a questo punto il valore complessivo dei titoli rubati circolanti risulterà di circa 800 miliardi di lire [valore 1992]. Sono titoli al portatore, e quindi facilmente negoziabili.
Ma la banca denuncia il primo di questi due furti soltanto dopo dieci mesi [giugno1991]. Per il secondo denuncia subito il furto degli assegni, ma per quello dei certificati aspetta 18 mesi [maggio 1992]. E questo consente ai rapinatori ed ai ricettatori di utilizzarli.
Nell’agosto del 1992, il Banco di Santo Spirito viene fuso nella Banca di Roma, e i  nuovi dirigenti scoprono e denunciano la strana vicenda. Alcuni magistrati italiani capaci e coraggiosi indagano ed individuano sia i rapinatori – che sembra appartengano alla potente banda della Magliana, connessa a Mafia e servizi segreti – sia la rete che sta negoziando in Italia e all’estero i titoli rubati.
È una rete internazionale di alta finanza, soprattutto svizzera, collegata anche al corrotto Partito Socialista Italiano [PSI], di Craxi, Martelli e De Michelis, in quel momento ancora al Governo. La rete utilizza  agenti dei servizi segreti militari italiani [principalmente il  SISMI, servizio informazioni militare, con competenza estera] e ambienti della massoneria.

[34] L’8 e il 9 novembre 1987, in Italia, si votò per 5 Referenda Popolari, 3 di questi riguardavano l’energia nucleare. Nessuno dei tre quesiti chiedeva l’abolizione o la chiusura delle centrali nucleari. I votanti furono il 65,1%, con un’altissima percentuale di schede nulle o bianche che andarono dal 12,4% al 13,4%.
REFERENDUM NUCLEARE 1 - Veniva chiesta l’abolizione dell’intervento statale nel caso in cui un Comune non avesse concesso un sito per l’apertura di una centrale nucleare nel suo territorio. I sì vinsero con l’80,6%.
REFERENDUM NUCLEARE 2 - Veniva chiesta l’abrogazione dei contributi statali per gli enti locali per la presenza sui loro territori di centrali nucleari. I sì s’imposero con il 79,7%.
REFERENDUM NUCLEARE 3 - Veniva chiesta l’abrogazione della possibilità per l’ENEL di partecipare all’estero alla costruzione di centrali nucleari. I sì ottennero il 71,9%.

[35] Il Viminale certificava che ai Referenda popolari del 12 e 13 giugno aveva votato il 57% degli aventi diritto. Dato che scendeva al 54,8%, considerando i votanti all’estero. Il successo dei “Sì” toccava il 95%, un successo travolgente, sperato e ricercato, ma sorprendente anche nel momento della rivelazione. E l’entusiasmo esplodeva ovunque, nelle piazze e su internet, dai comitati promotori e dagli elettori, per i risultati e anche per il vento nuovo di partecipazione. Quelle che arrivano dal Ministero dell’Interno erano percentuali di rilevanza assoluta, con il quorum raggiunto e superato, per la prima volta, dal 1995.
[36] L’AIEA [Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica] e l’OMS  [Organizzazione Mondiale della Sanità] sono due agenzie dell’ONU. L’OMS, come tutte le altre agenzie specializzate, dipende dal Consiglio dello Sviluppo Economico e Sociale, mentre l’AIEA dipende dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

[37] LETTERA APERTA al Presidente della Repubblica
On. Giorgio NAPOLITANO
e, p.c., a:
Presidente del Consiglio - On. Romano PRODI
Ministro dell’Economia e delle Finanze - Prof. Tommaso PADOA SCHIOPPA
Ministro dello Sviluppo Economico - On. Perluigi BERSANI
Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - On. Alfonso PECORARO SCANIO
Ministro per le Politiche Europee - On. Emma BONINO
Presidente del Senato - Sen. Franco MARINI
Presidente della Camera dei Deputati - On. Fausto BERTINOTTI
Presidente V Commissione Bilancio Senato - Sen. Enrico MORANDO
Presidente VI Commissione Finanze Senato - Sen. Giorgio BENVENUTO
Presidente X Commissione Industria Senato - Sen. Aldo SCARABOSIO
Presidente XIII Commissione Ambiente Senato - Sen. Tommaso SODANO
Presidente XIV Commissione Politiche UE Senato - Sen. Andrea MANZELLA
Presidente V Commissione Bilancio Camera - On. Lino DUILIO
Presidente VI Commissione Finanze Camera - On. Paolo DEL MESE
Presidente X Commissione Attività Produttive Camera - On. Daniele CAPEZZONE
Presidente VIII Commissione Ambiente Camera - On. Ermete REALACCI
Presidente XIV Commissione UE Camera - On. Franca BIMBI

Illustre Signor Presidente,
è da tempo che l’Associazione Galileo 2001 vede con preoccupazione le decisioni assunte dai Governi e dal Parlamento italiano di ratificare il Protocollo di Kyoto. Maggiore preoccupazione manifestiamo oggi per l’ipotesi di assunzione di impegni ancora più gravosi in sede europea e nazionale relativi alla politica ambientale ed energetica.
Come cittadini e uomini di scienza, avvertiamo il dovere di rilevare che la tesi sottesa al Protocollo, cioè che sia in atto un processo di variazione del clima globale causato quasi esclusivamente dalle emissioni antropiche, è a nostro avviso non dimostrata, essendo l’entità del contributo antropico una questione ancora oggetto di studio.
In ogni caso, anche ammettendo la validità dell’intera teoria dell’effetto serra antropogenico, gli obiettivi proposti dal Protocollo di Kyoto sono inadeguati, poiché inciderebbero solo in modo irrilevante sulla quantità totale di gas serra. Totalmente inadeguati rispetto al loro effetto sul clima ma potenzialmente disastrosi per l’economia del Paese. Dal punto di vista degli impegni assunti con la sottoscrizione del Protocollo rileviamo che:
- l’Italia si è impegnata a ridurre entro il 2012 le proprie emissioni di gas-serra del 6.5% rispetto alle emissioni del 1990;
- poiché da allora le emissioni italiane di gas-serra sono aumentate, per onorare l’impegno assunto dovremmo ridurre quelle odierne del 17%, cioè di circa 1/6;
- in considerazione dell’attuale assetto e delle prospettive di evoluzione a breve-medio termine del sistema energetico italiano, il suddetto obiettivo è tecnicamente irraggiungibile nei tempi imposti.
All’impossibilità pratica di rispettare gli impegni assunti fanno riscontro le pesanti sanzioni previste dal Protocollo per i Paesi inadempienti, che rischiano di costare all’Italia oltre 40 miliardi di euro per ciò che avverrà nel solo periodo 2008-2012.
Al fine di indirizzare correttamente le azioni volte al conseguimento degli obiettivi di riduzione, occorre tenere presente che i settori dei trasporti e della produzione elettrica contribuiscono, ciascuno, per circa 1/3 alle emissioni di gas serra [il restante terzo è dovuto all’uso d’energia non elettrica del settore civile/industriale]. Giova allora valutare cosa significherebbe tentare di conseguire gli obiettivi del Protocollo in uno dei seguenti modi:
- sostituire il 50% del carburante per autotrazione con biocarburante;
- sostituire il 50% della produzione elettrica da fonti fossili con tecnologie prive di emissioni.
1. Biocarburanti. Per sostituire il 50% del carburante per autotrazione con bioetanolo, tenendo conto dell’energia netta del suo processo di produzione, sarebbe necessario coltivare a mais 500.000 kmq di territorio, di cui ovviamente non disponiamo. Anche coltivando a mais tutta la superficie agricola attualmente non utilizzata [meno di 10.000 kmq], l’uso dei biocarburanti ci consentirebbe di raggiungere meno del 2% degli obiettivi del Protocollo di Kyoto.
2. Eolico. Sostituire con l’eolico il 50% della produzione elettrica nazionale da fonti fossili significherebbe installare 80 GW di turbine eoliche, ovvero 80.000 turbine [una ogni 4 kmq del territorio nazionale]. Appare evidente il carattere utopico di questa soluzione [che, ad ogni modo, richiederebbe un investimento non inferiore a 80 miliardi di euro]. In Germania, il paese che più di tutti al mondo ha scommesso nell’eolico, i 18 GW eolici - oltre il 15% della potenza elettrica installata - producono meno del 5% del fabbisogno elettrico tedesco.
3. Fotovoltaico. Per sostituire con il fotovoltaico il 50% della produzione elettrica nazionale da fonti fossili sarebbe necessario installare 120 GW fotovoltaici [con un impegno economico non inferiore a 700 miliardi di euro], a fronte di una potenza fotovoltaica attualmente installata nel mondo inferiore a 5 GW. Installando in Italia una potenza fotovoltaica pari a quella installata in tutto il mondo, non conseguiremmo neanche il 4% degli obiettivi del Protocollo di Kyoto.
4. Nucleare. Per sostituire il 50% della produzione elettrica nazionale da fonti fossili basterebbe installare 10 reattori nucleari del tipo di quelli attualmente in costruzione in Francia o in Finlandia, con un investimento complessivo inferiore a 35 miliardi di euro. Avere 10 reattori nucleari ci metterebbe in linea con gli altri Paesi in Europa [la Svizzera ne ha 5, la Spagna 9, la Svezia 11, la Germania 17, la Gran Bretagna 27, la Francia 58] e consentirebbe all’Italia di produrre da fonte nucleare una quota del proprio fabbisogno elettrico pari alla media europea [circa 30%].
Come si vede, nessuna realistica combinazione tra le prime tre opzioni [attualmente eccessivamente incentivate dallo Stato] può raggiungere neanche il 5% degli obiettivi del Protocollo di Kyoto. Agli impegni economici corrispondenti si dovrebbe poi sommare l’onere conseguente all’acquisto delle quote di emissioni o alle sanzioni per il restante 95% non soddisfatto.
Esprimiamo quindi viva preoccupazione per gli indirizzi che il Governo e il Parlamento stanno adottando in tema di politica energetica e ambientale, e chiediamo pertanto:
- che si promuova la definizione di un piano energetico nazionale [PEN], anche con la partecipazione di esperti europei, che includa la fonte nucleare - che è sicura e rispettosa dell’ambiente e l’unica, come visto, in grado di affrontare responsabilmente gli obiettivi del Protocollo di Kyoto
- e che dia alle fonti rinnovabili la dignità che esse meritano ma entro i limiti tecnici ed economici di ciò che possono realisticamente offrire;
- che la comunità scientifica sia interpellata e coinvolta nella definizione del PEN e che si proceda alla costituzione di una task force qualificata per definire le azioni necessarie a rendere praticabile l’opzione nucleare;
- che si interrompa la proliferazione di scoordinati piani energetici comunali, provinciali o regionali e che non siano disposte incentivazioni a favore dell’una o dell’altra tecnologia di produzione energetica al di fuori del quadro programmatico di un PEN trasparente e motivato sul piano scientifico e tecnico-economico.
Restiamo a Sua disposizione, Signor Presidente, per documentarLa puntualmente su quanto affermiamo.

Presidente: Renato Angelo Ricci
Consiglio di Presidenza: Franco Battaglia, Carlo Bernadini, Tullio Regge, Giorgio Salvini, Umberto Tirelli, Umberto Veronesi.
Consiglio Direttivo: Cinzia Caporale, Giovanni Carboni, Maurizio Di Paola. Guido Fano, Silvio Garattini, Roberto Habel, Corrado Kropp, Giovanni Vittorio Pallottino, Ernesto Pedrocchi, Francesco Sala, Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, Paolo Sequi, Ugo Spezia, Giorgio Trent, Giulio Valli, Paolo Vecchia.
Altri firmatari: Claudia Baldini, Argeo Benco, Ugo Bilardo, Giuseppe Blasi
Paolo Borrione, Cristiano Bucaioni, Luigi Chilin, Raffaele Conversano, Carlo Cosmelli, Riccardo De Salvo, Silvano Fuso, Oliviero Fuzzi, Giorgio Giacomelli, Renato Giussani, Luciano Lepori, Carlo Lombardi, Alessandro Longo, Stefano Monti, Antonio Paoletti, Salvatore Raimondi, Marco Ricci, Roberto Rosa, Angela Rosati, Massimo Sepielli, Elena Soetje Baldini, Roberto Vacca, Giuseppe Zollino.
[38] Per il suo esasperato bellicismo verosimilmente Curtis Emerson LeMay servì da modello per i personaggi del ridicolo generale Buck Turgidson e dello psicopatico generale Jack D. Ripper del famoso film Il dottor Stranamore – Ovvero come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba.
[39] Gary T. Whiteford, docente di geografia all’Università di Brunswick in Canada, ha scoperto che i terremoti con magnitudine da 6 a 6,5 Richter sono più che raddoppiati da quando hanno avuto inizio i test nucleari sotterranei. Infatti, tali sismi sono stati 1 164, tra il 1900 ed il 1949 e sono saliti a 2 844, tra il 1950 ed il 1988. Un significativo aumento è registrato anche per i sommovimenti tellurici di magnitudine compresa tra 6,5 e 7 Richter: 1 110 nel periodo 1900-1949, 1 465 tra il 1950 e il 1988. Tali incrementi si sono verificati in tutte le zone particolarmente sismiche del globo. A esempio, la percentuale di tutti i terremoti [superiori o pari a 5,8 Richter] nelle Isole Aleutine era di 3,31 nel tempo precedente gli esperimenti nucleari americani nel Nevada. Tale percentuale è alita fino al valore di 12,57 nel periodo dei tests. Le isole Salomone e Nuova Bretagna [Oceano Pacifico] erano sismicamente tranquille nella prima metà del nostro secolo: la percentuale dei terremoti era di 2,98. Nell’epoca delle bombe nucleari francesi a Mururoa questo valore è quasi quintuplicato: 10,08. Anche l’isola di Vanuatu ha pagato un pesante tributo alla grandeur nucleare francese. La sua percentuale di terremoti era di 3,36 nell’arco di tempo 1900-1949; nel periodo seguente contrassegnato dai tests, tale cifra è balzata a 9,30.
Nell’isola Novaya Zemlya non sono, mai avvenuti violenti terremoti nel primo cinquantennio del secolo; da quando vi è stata costruita una base per esperimenti nucleari sovietici, si sono avute sei scosse telluriche di grandezza pari o superiore a 5,8 Richter.
In una visione globale si può rilevare che, nei primi cinquanta anni del ecolo scorso, sono stati registrati 3 419 terremoti di magnitudine uguale o superiore a 6 Richter, con una media di 68 all’anno. Dal 1950 al 1989, i terremoti in questione sono stati 4 963, con una media di 127 all’anno: il valore è quasi raddoppiato.
Whiteford ha compiuto inquietanti scoperte a proposito dei cosiddetti killer quakes [terremoti assassini], vale a dire sismi che provocano almeno 1 000 vittime.
“Nel corso di 37 anni di sperimentazione nucleare, venti dei trentadue terremoti assassini, ovvero il 62,5%, avvennero lo stesso giorno o entro quattro giorni dal test.”
Dati allarmanti provengono, anche, da uno studio di due scienziati giapponesi, Shigeyoshi Matsumae e Yoshio Kato, della Tokai University di Tokio:
“Fenomeni anomali meteorologici, terremoti e la variazione dell’asse terrestre sono notevolmente correlati ai tests atmosferici e sotterranei. Essi hanno causato un aumento della temperatura dell’esosfera terrestre da 100 a 150 gradi, che cresce in modo abnorme immediatamente dopo un test nucleare. A esempio, è stato scoperto che la temperatura assoluta salì da 70 ad 80 gradi dopo un test sovietico che fu rilevato dalla stazione d’osservazione da Uppsala, il 23 agosto 1975. Similmente, un continuo e drastico rialzo della temperatura fu osservato in occasione di una fitta serie di sei esplosioni sperimentali avvenute tra il 18 ed il 29 ottobre 1975.”
E concludono:
“La temperatura dell’atmosfera è cambiata dai tests nucleari, un cambiamento che neppure il sole potrebbe produrre. Si può facilmente immaginare quali effetti abbia tutto ciò sulle condizioni meteorologiche della Terra.”

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