“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

lunedì 29 febbraio 2016

Varesepress.info, il Capitano Ultimo intervistato da Giuseppe Criseo

One powerful letter to #ENDViolence with David Beckham | UNICEF

domenica 21 febbraio 2016

UOMINI DI STORIA STORIA DI UOMINI 1950 anni fa nasceva ADRIANO l'Imperatore della Pax Romana di Daniela Zini


UOMINI DI STORIA
STORIA DI UOMINI 

1950 anni fa nasceva
ADR IANO
l’Imperatore della Pax Romana
 Publius Aelius Traianus Hadrianus Imperator
[Italica, 24 gennaio 76 d.C. - Baia, 10 luglio 138 d.C.]





 au Roi des Transformistes
“Mieux vaut la dure vérité 
que le plus doux des mensonges.”
Pierre-Jules Stahl

 

Moi, je Vous dis à Dieu…


A moi, qui vis loin de chez moi,
Quelle que soit la raison,
Quelle que soit la saison,
Qui aimerais rentrer à la maison.

Je parle d’une enfance.
Je parle d’une chance.

Fugue sur fugue,
Coups sur coups,
Voilà mon parcours!

Daniela Zini


Et vous…
À quand remonte votre dernier mensonge?
À qui avez-vous menti et pourquoi?
Que celle ou celui qui affirme n’avoir jamais menti… se regarde dans un miroir. Ce miroir qui nous renvoie à un regard, le nôtre, mais aussi où se cache, se reflète également le regard de l’Autre, celle ou celui qui nous dit ce que nous sommes et ce que nous ne sommes pas. Car le mensonge implique toujours un Autre qui nous invite à mentir, à travestir la réalité, à porter un masque.
D’ailleurs, ne dit-on pas régulièrement à un enfant:
Regarde-moi dans les yeux… et dis-moi la vérité!
Ou encore :
Oseras-tu te regarder en face après un tel mensonge?
Pourquoi mentons-nous?
Quel sens ont tous ces mensonges?
Le mensonge questionne l’Etre et son intériorité, mais aussi la relation à l’Autre.
Le mensonge s’invite dans la rencontre avec un Etranger. Au point de craindre en arriver à jouer l’Etranger avec nous-mêmes.
Cette limite franchie serait-elle un point de non-retour?
Qu’est-ce que la vérité?
Ce qui est vrai, conforme à un fait?
Ou ce qui est conforme à ce que l’on pense et dit?
Y a-t-il un absolu de la vérité qui s’opposerait au mensonge?
Tout est-il si noir et blanc?
La vérité des uns est parfois différente de celle des Autres.
Et, en ce cas, ne qualifions-nous pas de mensonge ce que les Autres pensent être leur vérité?
Le sujet est donc au coeur du mensonge, il l’orchestre, il le dirige.
Pour être, ou cacher qui il est…
Mais à quelle fin?
Car personne n’est dupe.
Quand Ulysse trompe le Cyclope en disant qu’il n’est Personne, il est pourtant lui-même… et il se sauve.
Shéhérazade survit également en contant les Mille et Une Nuits.
Mais quand Pinocchio est raconté aux enfants, la société n’annonce-t-elle pas qu’elle nous punira de son regard si le mensonge est découvert?
Sommes-nous prêts à entendre la vérité, sans mensonge social?
Même si l’Homme est un loup pour l’Homme, et si la société humaine est tout sauf harmonieuse, faut-il pour autant faire l’éloge du mensonge et en vanter les mérites?
On apprend à vivre avec le Passé...
Ce Passé qui m’a fait souffrir m’a aussi apporté beaucoup, sans lui, je ne serais pas ce que je suis aujourd’hui…
En ce moment je me dis que je ne me connais pas vraiment.
On me surestime, on ne sait pas qui je suis et moi la première…
Il n’y a pas de doute…
Je ne suis pas à la hauteur des belles individualités autour de moi.
J’essaye, je me fais violence mais certaines incertitudes sont comme une deuxième peau pour moi.
Mes angoisses sont définitivement plus fortes que moi.
Pire, je crois que c’est moi qui ne veut pas m’en détacher.
J’ai l’impression que ces dernières années j’ai vécue entre parenthèses…
On met toujours les choses qui n’ont pas vraiment de place dans la phrase entre parenthèses et on les laisse là sans véritablement s’en occuper.
J’attends d’avoir ma place dans cette phrase.
J’attends que mes verbes ne se conjuguent plus au passé, mais visiblement rien n’y fait… 
Qui/Quoi arrivera à me sortir de ces eaux troubles dans lesquelles je nage?
 Je fatigue et je suis loin d’avoir pied.
Personne n’est là pour m’aider.
Peut-être parce que je ne laisse personne m’approcher suffisamment pour me secourir.
A quoi bon?
On part comme on est venu, seul…
Non?
Je ne veux plus m’épuiser à construire pour que cela finisse rongé par le temps, la lassitude, l’égoïsme…
Pourtant, la solitude m’angoisse autant qu’elle me fascine.
Et pourtant elle est voulue, mais le silence engendre en moi un écho stérile de toute réflectivité.
J’en suis la seule fautive, je devrais m’en rendre compte.
J’essaye mais je n’y arrive pas.
Je n’y arrive plus.
J’écris pour me défaire de ces pensées qui rythment mon quotidien…
La vérité est que je n’écris plus pour ne pas y penser, mais rien n’y fait.
Mais je m’y enfonce plus que jamais.
Alors autant écrire et souffrir.
Tout tourne autour de cela.
Mon blog en est la preuve.
La vie n’est qu’une série d’échéances plus ou moins agréables à vivre, avec une finalité toujours identique.
Je n’ai jamais su vivre les fins alors j’anticipe en fuyant.
C’est lâche certes, mais nettement moins pénible à vivre…
Il faut savoir vivre avec une bonne tonne de regrets voilà tout.
Contrairement à certains, j’ai un emploi du temps spécial consacré aux regrets.
J’écris aujourd’hui, non pas pour étaler mon mal-être, loin de là…
J’écris pour essayer encore et toujours.
Je finirai par y arriver avec ou sans eux…
Avec ou sans vous.
Il faut que j’essaye tant bien que mal d’oublier pour rester présente, oublier pour ne pas mourir intérieurement à petit feu.
J’ai essayé mais je n’y suis, jusque là, jamais arrivée.
J’ai conscience que la vie elle-même est le remède à ma colère sous-jacente et à mon amertume mais je n’arrive pas à aller vers elle.
Je me suis oubliée moi-même, elle est là mon erreur.
La mort m’a fait oublié de vivre, elle m’a fait rendue indifférente aux vivants comme paralysée par la douleur et la peur.
Je vais tâtonner encore un peu pour trouver ma place dans cette phrase…
Une phrase dans laquelle un verbe d’action aurait une place de choix.
N’abandonnez jamais vos rêves!
Nous avons tous des rêves et cela depuis que nous sommes conscients.
Depuis le désir d’avoir un écran plat accroché au mur de son salon jusqu’au désir d’etre le propriétaire d’une multinationale avec des milliers de milliards de dollars de chiffres d’affaires.
Certains ont atteint leurs rêves, d’autres pas, non pas parce que leurs rêves étaient impossible mais parce qu’ils ont simplement abandonnés en chemin… manque d’argent, manque d’expérience, manque de soutien moral ou physique, manque de connaissance, manque de partenaires…et j’en passe.
Rêver peut sembler être un jeu mais réaliser son rêve demande un fort engagement et un minimum requis de serieux.
N’abandonnez jamais vos rêves!
Thomas Edison en est l’exemple palpable.
Savez vous combien de fois Il a échoué avant de fabriquer l’ampoule électrique?
Je vous laisse deviner.
1399 fois.
L’échec peut avoir des effets très négatifs dans la vie d’une personne: il paralyse, il emprisonne, il décourage, il ôte le désir d’entreprendre de nouvelles choses, il peut même affecter la créativité.
Mais l’échec peut également conduire à de grandes victoires. Il enseigne, il fortifie, il transforme.
N’abandonnez jamais vos rêves!
Ne laissez pas la peur vous arrêter.
Qui ne risque n’a jamais rien.
Vous savez aussi bien que moi que la vie est une prise de risque permanente.
Rire, c’est prendre le risque de paraître insensé.
Pleurer, c’est prendre le risque de sembler sentimental.
Parler de ses rêves, c’est prendre le risque d’essuyer les moqueries.
Vivre, c’est prendre le risque de mourir.
Essayer, c’est prendre le risque d’échouer.
Mais la plus grande tragédie de la vie, c’est de ne rien risquer du tout.
Essayer, échouer, ressayer de voler comme un Faucon, si vous n’arrivez pas, courrez, si vous n’arrivez pas a courir, marchez, et si vous tombez, rampez mais avancez tout de même.
Une seule chose ne doit jamais arriver: l’abandon.

Rome, le 21 février 2016

 D


“L’uomo è ambiguo perchè ha rinunciato al sogno e ha piegato la trasparenza della volontà alle aride leggi del calcolo personale.”
Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano




 
una giovinezza geniale

un tramonto infelice


di
Daniela Zini


Antinoo

“Con la maggior parte degli esseri umani, i più lievi, i più superficiali di questi contatti bastano, o persino superano l’attesa; ma se essi si ripetono, si moltiplicano attorno ad un unico essere sino ad avvolgerlo interamente; se ogni particella di un corpo umano si impregna per noi di tanti significati conturbanti quante sono le fattezze del suo volto; se un essere solo, anziché ispirarci tutt’al più irritazione, piacere o noia, ci insegue come una musica e ci tormenta come un problema, se trascorre dagli estremi confini al centro del nostro universo, e infine ci diviene più indispensabile che noi stessi, ecco verificarsi il prodigio sorprendente, nel quale ravviso ben più uno sconfinamento dello spirito nella carne che un mero divertimento di quest’ultima.”
Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano

Adriano nasce a Italica, a 7 chilometri dall’odierna Siviglia, in Hispania Baetica, nel 76 d.C.
Benché dotato di eccezionali qualità, non avrebbe, mai, potuto accedere al trono, se non lo avesse aiutato la Dea bendata. Ancora giovinetto, infatti, orfano del padre, venne affidato per completare la sua educazione a un generoso cugino di questi, quello che sarebbe divenuto l’Imperatore Traiano. Condotto a Roma, il giovane Adriano attese con passione agli studi e, poi, durante il servizio militare, seguì Traiano in Germania, dove il prode condottiero teneva a freno quelle turbolente genti e dava assetto stabile al territorio sul Reno.
Alla morte dell’Imperatore Domiziano, ucciso nel 96 d.C., il Senato scelse come suo successore un giurista già vecchio, Nerva, che, non fidandosi della propria debolezza senile, volle associare nell’Impero un uomo provato in battaglia e amato dai pretoriani, i quali, a quell’epoca, avevano l’ultima parola sulla scelta dell’Imperatore.
Questo uomo era Traiano [57 d.C. - 117 d.C.].
Fu Adriano stesso a portare la buona nuova al protettore. Questi, sistemati gli affari d’oltralpe, fece ritorno a Roma, portando al seguito il suo pupillo.
Siamo nel 99 d.C.
Le doti di Adriano sono, già, in piena luce: è difficile trovare un altro giovane ufficiale che gli stia alla pari per cultura ed eloquio. Inoltre, hanno, già, fatto capolino le sue qualità di stratega e di politico.
La buona moglie dell’Imperatore, Plotina, lo ha in simpatia, ma vorrebbe vederlo più posato e meno dedito ai capricci di gioventù.
 

Pompeia Plotina Claudia Febe Pisone, moglie dell’Imperatore Traiano.

“Era casta per disdegno delle cose facili, generosa per elezione più che per natura, saggiamente diffidente, ma pronta ad accettare tutto da un amico, persino gli errori inevitabili.”
Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano

Si decide, pertanto, un matrimonio precoce e molto onorevole, che stringa i rapporti tra Traiano e il giovane. Gli viene data in moglie la bella Vibia Sabina, figlia di una nipote dell’Imperatore, Salonina Matidia.
Le qualità militari di Adriano furono messe in risalto nella Seconda Guerra Dacica, in cui era stato posto a comando di un reparto. Con la sottomissione del Paese, fu nominato, a soli venticinque anni, Governatore di una Provincia, la Pannonia Inferiore. Seguirono, poi, altri incarichi e onori, che, in un decennio, lo fecero salire nelle simpatie del Popolo e degli alleati e lo fecero apparire come l’unico degno successore di Traiano. Quando l’Imperatore si impantanò in una lunga guerra contro i Parti, Adriano divenne il suo fido braccio destro e, all’ammalarsi dell’Imperatore, il comandante supremo delle truppe attestate in Oriente.


 
Imperatore Marco Ulpio Nerva Traiano


 
 Vibia Sabina, moglie dell’Imperatore Adriano.



 
Giorgio Albertazzi in Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar.





Il vecchio Traiano, minato dal male, intraprende il viaggio di ritorno a Roma, ma lo coglie la morte, in Cilicia.
Siamo nel 117.
Per Adriano, così riferiscono le fonti, la successione non è, poi, così salda. Nonostante il favore imperiale non è stato adottato ufficialmente.
Traiano, infatti, non sa darsi pace che questo giovane, che pure tanto ama, sia così diverso da lui come temperamento.
Sembra, tuttavia, che a tacitare gli ultimi scrupoli sia intervenuta Plotina, la moglie dell’Imperatore.
Con decisione, resa non dilazionabile dalle circostanze avverse, che mettono in pericolo lo stesso Impero, secondo alcuni, l’adozione viene simulata in articulo mortis. Secondo altri, la morte di Traiano viene taciuta per i due o tre giorni necessari al successore per arrivare da Antiochia.
Festa grande, quindi, con acclamazione sincera da parte dell’esercito, avvezzo al suo comando, e con adesione senza difficoltà da parte del Senato romano, cui Adriano si affretta a scrivere con deferenza.
Per comprendere lo spirito feroce dei tempi, basti il seguente episodio, che caratterizza i primi momenti di Regno del nuovo Imperatore. Profondamente colto e dedito alle discipline storiche, buon conoscitore dei classici, senza perdere di vista le cose pratiche, Adriano si vede circondato da ufficiali, innalzati a potenti cariche dal cugino Traiano, che hanno servito fedelmente. Sono quattro i loro nomi: Lusio Quieto, Gaio Avidio Nigrino, Aulo Cornelio Palma, Lucio Publilio Celso. Sono divenuti generali per merito, dividendo i pericoli con il loro sovrano. Forse, nei loro animi alberga un certo scontento per paura di essere lasciati da parte. Corre voce che abbiano attentato alla vita dell’Imperatore, ordendo una congiura. Il Senato decreta la loro condanna. Adriano nela sua autobiografia negherà di essere entrato, in qualche modo, nella faccenda.
La cosa è oscura!
Dopo l’eccidio, Adriano abbandona le campagne militari in cui è affaccendato e corre a Roma per ingraziarsi Senato e Popolo, cui fa elargire donativi, celebrando il trionfo sui Parti e cancellando alcune tasse.
Comprende, poi, che il suo compito è di rassicurare il Popolo sulle sue intenzioni pacifiche.
Traiano con le sue continue guerre di conquista ha presteso uomini e danaro e lui, suo successore, deve cambiare strada.
I confini dell’Impero si sono troppo estesi a danno della sicurezza.
Adriano si assume l’ingrato compito di non pensare a nuove conquiste, ma di consolidare le vecchie.
Per portare la Pax Romana, quella che rimarrà celebre nel mondo dopo gli splendori militari, è necesario essere addentro ai veri bisogni dei Popoli conquistati.
Dal 121 d.C., per tutto il decennio successivo, per Adriano non vi è requie. Instancabile, visiterà tutte le Province dell’Impero, con un piccolo seguito, non militare, ma di tecnici ed esperti in ogni campo, dall’agricoltura, al diritto, alle costruzioni. I profondi interessi intellettuali dell’Imperatore gli facevano prediligere la Grecia.
Nel mezzo delle sue ricognizioni che lo avevano portato, dapprima, in Dacia, poi, in Germania, in Britannia, in Gallia e in Spagna, trovò il tempo di fermarsi ad Atene e di farvi erigere monumenti sfarzosi.
 
Statua di Antinoo
Vaticano, Musei Vaticani, Museo Pio-Clementino, La Sala Rotonda.



“Tentai d’individuare la sede dell'anima, di scoprire i legami che la saldano al corpo, di misurare il tempo che le occorre per distaccarsene. L’anima non è dunque che l’espressione suprema del corpo, fragile manifestazione della pena e del piacere di vivere? O, al contrario, è più antica di questo corpo modellato a sua immagine, e che, bene o male, le serve momentaneamente di strumento? La si può richiamare all’interno della carne, si può ristabilire tra l’una e l’altra quell’intimo legame, quella combustione che chiamiamo vita? Se le anime possiedono una loro identità propria, possono scambiarsi, andare da un essere a un altro, come la parte d’un frutto, come un sorso di vino che due amanti si passano in un bacio?”
Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano

Busto di Antinoo
Vaticano, Musei Vaticani, Museo Pio-Clementino, La Sala Rotonda.

“Quando si saranno alleviate sempre più le schiavitù inutili, si saranno scongiurate le sventure non necessarie, resterà per sempre, per tenere in esercizio le virtù eroiche dell’uomo, la lunga serie dei mali veri e propri: la morte, la vecchiaia, le malattie inguaribili, l’amore non corrisposto, l’amicizia respinta o tradita, la mediocrità d’una vita meno vasta dei nostri progetti e più opaca dei nostri sogni: tutte le sciagure provocate dalla natura divina delle cose.”
Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano

 Vaticano, Musei Vaticani, Museo Pio-Clementino, La Sala Rotonda.
La costruzione della grande sala con volta emisferica, a imitazione del Pantheon adrianeo, venne completata, nel 1779, su progetto di Michelangelo Simonetti. L’ambiente risulta scandito da una serie di nicchie per l’allestimento di statue colossali, tra queste compaiono semicolonne che sorreggono busti di grandi proporzioni. Il pavimento è costituito da un mirabile assemblaggio settecentesco di mosaici dei primi decenni del III secolo d.C., rinvenuti a Otricoli e a Sacrofano. Al centro della sala, è collocata una grande tazza in porfido rosso che, con le integrazioni moderne, raggiunge i 13 metri di circonferenza.

Si spinse poi anche in Africa, in cui le conquiste erano più recenti e i confini meno sicuri. Qui, e propriamente in Egitto, mentre risaliva il Nilo, per vedere da vicino le testimonianze di una civiltà che molto ammirava, giunse improvvisa la morte del prediletto schiavo Antinoo.
Elio Sparziano, nella Historia Augusta, afferma che il bel giovinetto si sarebbe immolato nelle acque del Nilo, spontaneamente, perché Adriano avesse auspici favorevoli. Nella sua autobiografia, invece, l’Imperatore ascrive il fatto a un banale incidente. Di vero sappiamo che il dolore per la morte prematura di Antinoo, fu sincero e spinto a tal punto da divinizzare l’amato semplice schiavo, come se fosse stato di nobili origini. Anche il funerale, a Besa, fu magnifico e vi assistette, non si sa con quale animo, anche la moglie di Adriano, l’augusta Vibia Sabina.
Mentre i viaggi di Adriano apportavano vantaggi e riconoscenza da parte delle popolazioni, la sua presenza a Gerusalemme causò un inasprimento della situazione e una nuova ribellione giudaica, che, già, aveva messo in difficoltà Traiano allora impegnato nella guerra contro i Parti. I Giudei tennero in scacco le guarnigioni romane per circa due anni; Adriano dovette ricorrere a un fido generale, che era impegnato in Britannia, per domare l’insurrezione.
Nel 134 d.C., Gerusalemme torna in mano romana e Adriano decide di chiudere con i viaggi e di fare ritorno alla capitale, spinto anche dalle sue precarie condizioni di salute. Il corpo, un tempo perfetto e uso alla vita disagiata degli accampamenti militari, non lo seconda più. Sarà, anche, questa una delle cause principali del cambiamento del carattere dell’Imperatore insieme alla malinconia di non avere eredi naturali.
Ipocondiaco, pieno di sofferenze fisiche e morali, negli ultimi anni, l’Imperatore Adriano perde gran parte del favore che il suo modo intelligente di amministrare la cosa pubblica gli ha conciliato.
Sempre più deluso negli affetti familiari, si dedica, interamente, a quelle opere architettoniche che gli sono care e che hanno segnato, indelebilmente, il suo cammino attraverso l’Impero, basti pensare al Vallum, in Britannia, che inaugurò nel 122 d. C.
A Roma, fa erigere uno splendido mausoleo, al di là del Tevere, in cui saranno seppelliti gli Imperatori fino a Settimio Severo, e che, ai nostri giorni, rimaneggiato da Michelangelo, ancora, fa soggezione: Castel Sant’Angelo.


Tivoli - Villla Adriana
Tra le molte ville rustiche, che, fino dall’Età Repubblicana, erano sorte tra Roma e Tivoli, ne esisteva, già, una costruita nel periodo sillano, ingrandita all’epoca di Giulio Cesare. Fu questo il primo nucleo di Villa Adriana, incorporato, poi, nel Palazzo imperiale. Realizzata, in tre fasi successive, dal 121 al 137 d.C., a pochi chilometri dall’antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ettari, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati. 


Villa Adriana è stata dichiarata, nel 1999, Patrimonio dell’Umanità, con questa motivazione:
“Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell’antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell’architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo.” 

Per svagare lo spirito inquieto si fa, poi, costruire una villa sugli ameni colli di Tivoli. Qui, la fantasia architettonica di Adriano si sbizzarrisce, inventando piante e coperture al di fuori della norma e introducendo modelli in scala dei monumenti più suggestivi incontrati nei viaggi.  
“Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli, dove erano riprodotti, con i loro nomi, i luoghi più celebri delle Province dell’Impero, come il Liceo, l’Accademia, il Pritaneo, la città d Canopo, il Pecile e la Valle di Tempe; e, per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli Inferi.”
Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5

Sul fondo vi è, tuttavia, un problema che ha tormentato molti potenti prima di lui: il problema della successione.
Non avendo eredi diretti, Adriano indugia nella scelta. Di temperamento diffidente, l’Imperatore, appena posa gli occhi su qualcuno, ne è, subito, distolto per il sospetto che questi voglia accaparrarsi il trono prima del giusto. Infine, la scelta cade su Lucio Elio Cesare, giovane di grande bellezza, genero di quel Gaio Avidio Nigrino, che lo stesso Adriano aveva fatto condannare a morte, all’inizio del suo Regno.
Anche questa, tuttavia, sembra una scelta dovuta al suo capriccioso carattere degli anni senili.
Il giovane successore ci è tramandato più per la sua abilità nel suggerire complicati manicaretti e per la vita dissoluta che per qualità di uomo di governo. A causa della designazione di Lucio Elio Cesare, a Roma sorse un certo malcontento, alimentato dai parenti stretti di Adriano, il cognato Lucio Giulio Urso Serviano e il nipote Gneo Pedanio Fusco Salinatore. Le voci giunsero all’Imperatore nel suo rifugio di Tivoli e la collera dell’Augusto fu tremenda. Senza possibilità di difesa, Lucio Giulio Urso Serviano e Gneo Pedanio Fusco Salinatore furono condannati a morte e la stessa sorte subirono altri presunti fautori della congiura. 



Tivoli - Villla Adriana - Canopo

Nel 136, Adriano adottò, ufficialmente, Lucio Elio Cesare e, per la prima volta, fece conferire al suo erede non appartenente alla famiglia imperiale il titolo di Cesare. Affidò, inoltre, al giovane, perché desse prova di sé, il governo della Pannonia, dove lui stesso aveva fatto il suo tirocinio. Ma, ben presto le cattive condizioni di salute fecero ritornare Lucio Elio Cesare in patria, dove morì in poco tempo. 
   Tivoli - Villla Adriana - Canopo

“Di tutti i piaceri che lentamente mi abbandonano, uno dei più preziosi, e più comuni al tempo stesso, è il sonno. Qui, come in altre cose, il piacere e l’arte consistono nell’abbandonarsi deliberatamente a quest’incoscienza felice, nell’accettare di esser sottilmente più deboli, più pesanti, più leggeri, più vaghi dell’essere nostro.”
Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano 



Tivoli - Villa Adriana - Canopo
Questa struttura evoca un braccio del Nilo con il suo estuario, che congiungeva l’omonima città di Canopo, sede di un celebre tempio dedicato a Serapide, con Alessandria, sul delta del Nilo.

“Ciascuno di noi ha più qualità di quel che non si creda, ma solo il successo le mette in luce, forse perchè allora ci si aspetta di vederci smettere d’esercitarle. Non manca un barlume di luce neppure nel più opaco degli uomini: un assassino suona il flauto con garbo, un aguzzino che lacera la schiena degli schiavi con le frustate è forse un figlio eccellente, un idiota può essere pronto a dividere con me l’ultimo cantuccio di pane che gli resta, e ce n’è ben pochi, di uomini, a cui non sia possibile insegnare qualcosa a dovere.”
Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano
 

Tivoli - Villla Adriana - Canopo

“Non ci sono al mondo persone più volgari dei nostri complici. L’occhiata obliqua dell’oste che mi riserva il vino migliore, e per conseguenza ne priva qualcun altro, bastava già, nei giorni della mia giovinezza, a ispirarmi un profondo disgusto per gli svaghi di Roma. Non mi piace che un essere umano ritenga di conoscer già il mio desiderio, prevederlo, adattarsi meccanicamente a quella che suppone la mia scelta.”
Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano

Adriano vecchio e malato, a sua volta, dovette fare un’altra scelta e, spinto più dal raziocinio che dal cuore, questa volta scelse bene. Infatti, il prescelto fu Antonino Pio, nobile senatore, dedito alla filosofia e poco ambizioso. Antonino Pio aveva, allora, cinquantadue anni ed era molto abile negli affari dello Stato. A sua volta senza figli, dovette assoggettarsi a adottarne due, scelti da Adriano: Marco Aurelio, allora diciassettenne, e Lucio Vero.
Intanto, la misteriosa malattia di Adriano andava aggravandosi e gli procurava tormenti indicibili. A tal punto che i medici e i familiari vigilavano perché non si desse la morte, di cui, come ogni buon romano antico, non aveva paura.



Tivoli - Villla Adriana - Teatro Marittimo
Il Teatro Marittimo è un complesso assai singolare, a un solo piano, senza rapporto alcuno con la forma abituale di un teatro romano. All’interno consta di un portico circolare a colonne ioniche voltato, che si affaccia su un canale al centro del quale sorge un isolotto di 45 metri di diametro, composto da un atrio e da un portico in asse con l’ingresso, un piccolo giardino, un complesso termale minore, alcuni ambienti e delle latrine. La struttura non prevedeva un ponte in muratura che collegasse l’isolotto al mondo esterno e per accedervi era necessario protendere un breve ponte mobile.

Cercò sollievo ai suoi mali facendosi trasportare a Baia, ma non servì a nulla. Sentendosi prossimo alla fine fece venire presso di sé Antonino Pio, che, già, reggeva, in sua vece, le redini dello Stato.
E, tra le sue braccia, negli ultimi momenti, dettò questi versi:
      
Animula vagula blandula
Hospes comesque corporis
Quae nunc abibis in loca
Pallidula rigida nudula
Nec ut soles dabis iocos.[1]



Tivoli - Villa Adriana

Tivoli - Villla Adriana
 



Elsa Genèse - Quoi? L’Eternité - Hommage à Marguerite Yourcenar.

“Ci pare sempre di essere vissuti a lungo nei luoghi in cui abbiamo vissuto intensamente.”
Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano






Mostra “Marguerite Yourcenar. Adriano, l’antichità immaginata”, allestita presso l’Antiquarium del Canopo a Villa Adriana, dal 28 marzo al 3 novembre 2013.
  



Marguerite Yourcenar, Villa Adriana, 8 giugno 1924.


Marguerite Yourcenar, Bernard Pivot e Jean d'Ormesson.

“Per me, il punto di partenza, la scintilla, è stata Villa Adriana che ho visitato all’età di venti anni.”
Marguerite Yourcenar, Ad occhi aperti.
Conversazioni con Mathieu Galey

Quando si spense, il 10 luglio 138 d.C., nella villa di Baia, il suo nome era detestato, la sua fama molto impallidita.
È l’enigma di Adriano, la cui tormentosa malattia spiega solo in parte i tristi anni prima della fine.
Abbiamo accennato alla circostanza che l’Imperatore, nei momenti non rari di acuta sofferenza, avesse chiesto ai medici e ai familiari, ma senza successo, che gli dessero la morte.
Il suo prestigio doveva essere ancora grande presso gli intimi e l’esercito, nonostante la crudeltà, i sospetti e i gravi errori, se l’evento fu scongiurato!
Resta, tuttavia, alquanto difficile comprendere perché Adriano non si fosse dato da solo la morte, come usava tra i militari di alto rango, educati alla dottrina e alla pratica degli stoici.
Presso i Romani, ricordiamolo, ancora una volta, il suicidio era un atto non solo permesso, ma moralmente lodevole.
Sappiamo che il successore Antonino Pio faticò non poco a ottenere dai senatori che fossero concessi a Adriano quegli onori divini che erano stati negati a pochi Imperatori dalla vita disdicevole.
Resta, dunque, l’enigma di un Imperatore evidentemente geniale, di cui è difficile penetrare l’intimità psicologica.
Più degli storici, si è, probabilmente, avvicinata alla verità Marguerite Yourcenar nel suo romanzo Memorie di Adriano.
Affascinata dall’Imperatore, la scrittrice belga finge che Adriano si spieghi in una serie di lettere a Marco Aurelio.
L’enigmatico Imperatore ci viene descritto circondato di luce e confuso nell’ombra, in tutto simile al suo messaggio criptico: Adriano fu, al contempo, Cesare e Amleto. Cesare per la grandezza dell’ingegno, artistico oltre che poltico, e Amleto per la contraddittorietà e la ambiguità di molte sue azioni.
Probabilmente, nell’ombra vi è un affare di famiglia.
Il più inoffensivo degli uccisi della presunta congiura contro Adriano, Gaio Avidio Nigrino, si era rifiutato di adottare il figliastro, che, secondo l’intelligente congettura dello storico francese Jérôme Carcopino, era figlio illegittimo dell’Imperatore.
Sembra l’unica motivazione di un delitto altrimenti inspiegabile.
Inizialmente, Adriano aveva pensato di scegliere Gaio Avidio Nigrino quale successore; poi, lo ha, freddamente, coinvolto, in una congiura.
Tutto si spiega, nondimeno, con l’argomento, incapace ai nostri occhi di giustificare un delitto, della Ragione di Stato.
Tradendo la propria natura, Adriano ha deciso di farsi carnefice per preservare senza possibili ombre la sua successione.
Al tempo di Adriano le lezioni del cristianesimo non sono, ancora, penetrate nella coscienza collettiva.
La gente vede con indifferenza una serie di delitti che si giustificano soltanto con l’arroganza del potere e con l’orgoglio di una dinastia troppo sicura del suo diritto a non avere avversari.
D’altra parte, è giusto sottolineare come la Ragione di Stato fosse accettata dal costume del tempo: le folle sapevano solo in superficie le cose riguardanti i potenti, che restavano isolate negli ambienti di Corte.
La generosità e le sagge riforme dell’Imperatore vinsero nel ricordo dei contemporanei, e, quindi, dei posteri, la memoria dei delitti dinastici.
Adriano possedeva le doti necessarie a un condottiero; aveva doti artistiche, senso della Storia e del Passato romano.

Roma - Castel Sant’Angelo

Di formazione militare, comprese, tuttavia, perfettamente che fosse trascorso il tempo della continua espansione territoriale. Fu proprio avere immesso nell’esercito contingenti stranieri, di ceppo diverso da quello romano, a dare origine a fenomeni eversivi e dissolutori dell’Impero. Dall’Africa Settentrionale al Danubio il moto di autonomia nazionale si presentava con caratteri nazionali ed era estremamente difficile correre ai ripari.
La Pax Romana era un espediente temporaneo, anche se si deve riconoscere a Adriano che il suo pacifismo gli derivasse da un senso dei limiti, da un corretto esame della potenza romana.
Sono proprio i militari intelligenti che sanno che le guerre si possono perdere!      
Grande viaggiatore, Adriano conosceva ogni parte dello sterminato Impero. I continui scacchi, fin dai tempi di Crasso, delle guerre contro i Parti gli avevano insegnato il potere della guerriglia. Quei sottili orientali non assomigliavano agli ingenui Germani, che si lasciavano avviluppare alle sapienti manovre dei disciplinati eserciti di Roma e si facevano distruggere in modo che i superstiti, accompagnati da donne e bambini venissero resi schiavi e ornassero il corteo del vincitore. I Parti colpivano e fuggivano, lasciando i Romani isolati in pianure aride e selvagge. I discorsi che si facevano tra reduci a Roma favorivano una conoscenza delle terre di confine e dei loro problemi, che si risolveva in pensieri politici oltre che strategici.
L’abile predecessore di Adriano, l’Imperatore Traiano, aveva sottomesso la Dacia, in modo definitivo. Ma questa operazione radicale non era, sempre, possibile. Non a caso l’opera di difesa militare più importante compiuta da Adriano è quel Vallum, che tagliava a nord l’Inghilterra e che preservò, per secoli, la provincia della Britannia romana dai barbari del Settentrione, usi a combattere con la pelle dipinta di giallo, di rosso e di turchino.
Adriano aveva figura slanciata, vestiva con cura, per il cibo si accontentava dei rozzi pasti dei soldati, aveva una straordinaria memoria che lo rendeva popolare presso i legionari: soleva, infatti, riconoscerli e chiamarli per nome. Era appassionato per la caccia e sembra che portasse una barba corta, che, poi, fu imitata da molti, anche per nascondere le ferite che si era procurato, combattendo orsi e leoni. Aveva, infatti, un ardire d’eccezione, e non si era, mai, sottratto ai pericoli.
Non perseguitò i cristiani e guardava con scetticismo a ogni credenza.
Tutte le fonti assicurano che Adriano ebbe la passione dell’architettura: “costruì edifici in quasi tutte le città”.
Nella Villa Adriana, l’Imperatore soddisfece ogni suo capriccio. Vi fece riprodurre i monumenti che più aveva ammirato nei suoi viaggi e si divertì a escogitare soluzioni architettoniche curiose e originali. L’arredamento dovette essere straordinariamente fastoso a prestare fede alle copie giunte fino a noi. 

“Una parte dei nostri mali dipende dal fatto che troppi uomini sono oltraggiosamente ricchi, o disperatamente poveri.”
Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano

Daniela Zini
Copyright © 21 febbraio 2016 ADZ
Chi può dire se, quando le strade si incontreranno, questo Amore sarà nel tuo cuore?



[1] Piccola anima smarrita e soave,
Compagna e ospite del corpo,
Ora t’appresti a scendere in luoghi
Incolori, ardui e spogli,
Ove non avrai più gli svaghi consueti.