Ebbene sì, lo confesso, io soffro di quel male
incurabile
che Rumi chiama nostalgia della perfezione!
Le
neuroscienze sono, ormai, in grado di rivelare la specificità dell’esperienza
spirituale, distinta dalle forme patologiche della relazione con il divino. Per
una umanità divenuta folle per mancanza di Amore, la Follia d’Amore potrebbe
ben essere la via innovatrice dell’estrema intelligenza del cuore.
Una
fiaba di Jean de La Fontaine [1621-1695] porta in scena L’Amour et la Folie
[1685]. “Una disputa scoppia”
e la Follia, dalla rabbia, acceca l’Amore. Gli dei condannano “la Follia a servire da guida all’Amore
cieco”. Attraverso una retorica figurativa, il favolista ricorda che
l’Amore e la Follia sono inseparabili.
Tout est mystère dans l'Amour,
Ses flèches, son carquois, son flambeau, son enfance:
Ce n'est pas l'ouvrage d'un jour
Que d'épuiser cette science.
Je ne prétends donc point tout expliquer ici:
Mon but est seulement de dire, à ma manière,
Comment l'aveugle que voici
(C'est un dieu), comment, dis-je, il perdit la lumière;
Quelle suite eut ce mal, qui peut-être est un bien
J'en fais juge un Amant, et ne décide rien.
La Folie et l'Amour jouaient un jour ensemble:
Celui-ci n'était pas encor privé des yeux.
Une dispute vint: l'Amour veut qu'on assemble
Là-dessus le conseil des Dieux;
L'autre n'eut pas la patience;
Elle lui donne un coup si furieux,
Qu'il en perd la clarté des cieux.
Vénus en demande vengeance.
Femme et mère, il suffit pour juger de ses cris:
Les Dieux en furent étourdis,
Et Jupiter, et Némésis,
Et les Juges d'Enfer, enfin toute la bande.
Elle représenta l'énormité du cas;
Son fils, sans un bâton, ne pouvait faire un pas:
Nulle peine n'était pour ce crime assez grande:
Le dommage devait être aussi réparé.
Quand on eut bien considéré
L'intérêt du public, celui de la partie,
Le résultat enfin de la suprême cour
Fut de condamner la Folie
A servir de guide à l'Amour.
Tutta
una letteratura dell’Amore-Follia e dell’Amore-Passione, da Fedra a Nadja,
mostra che le frontiere tra la Follia e l’Amore sono permeabili – ciò che ci
ricorda la vita.
Follia
e Amore hanno in comune allucinazioni, premonizioni, telepatia, dialogo delle
voci interiori che tengono viva, in modo ossessivo, nella mente l’Essere Amato.
Con l’Amore alla Follia, si toccano i limiti molteplici della ragione, che sono
il cuore, l’inconscio, l’immaginario, il sogno. È in questo campo contiguo alla
logica che l’Amour fou di André Breton scatena automatismi psichici puri, che
danno libero corso alla onnipotenza dell’inconscio, del sogno, del desiderio e
dell’erotismo.
Questa
forma di Amore-Nevrosi ha ispirato allo psichiatra di origine franco-algerina, Paul Sidoun, un libro poco comune sul
soggetto, Désirs, amours et autres
destins noirs. Non è un romanzo, tanto meno un trattato scientifico.
Sono Études de cas d’une psychiatrie
de l’Amour, come indica il sottotitolo. Perché l’Amore fa disastri in salute
mentale. La nostra società, caratterizzata da una ricerca sfrenata di emozioni,
fabbrica, secondo questo medico, dei folli di intensità. Le coppie si
disfano non appena l’intensità si
allenta. A
rischio di apparire retrogrado, Sidoun sostiene di credere nel matrimonio,
nell’impegno, nell’unione a lungo termine. Sostiene, altresì, che le società,
in cui i valori morali sono più solidi, generano meno individui infelici,
feriti dalle loro pene d’Amore.
Ma che prescrive alle vittime di Cupido?
“Ça dépend des cas. Il y a des remèdes contre la
dépression majeure ou d’autres maladies de l’âme. Et il existe une multitude
d’approches thérapeutiques. Mais l’Amour dévorant, ravageur, a certainement des
causes sociales. Et la morale ne dépend pas de la psychiatrie.”
Secondo il medico, la vita è fatta di lunghi
momenti di calma e di serenità, durante i quali non si dovrebbe avere altra preoccupazione
che guardare crescere i fiori.
Le persone felici non hanno, dunque, storia?
E dopo?
“On a tué une sensibilité aux petites choses, au
quotidien, pour des rêves de géants absolument inaccessibles. Regardez les
magazines, la pub, le cinéma et dites-moi ce qu’on vend. Tout est
intense. C’est trop!”
Il risultato?
Non si è mai tanto sofferto di dolore morale.
I FOLLI D’AMORE
Essenza
dell’Amore
nella Poesia Mistica Persiana
al mio Amico Invisibile
“Si deve avere un Amico Invisibile, cui parlare
nelle ore silenziose della notte e durante le passeggiate nei parchi.”
Khalil Gibran
Si
associa, sovente, il primo Amore a un Amore romantico e senza concessioni.
E,
se questo Amore finisce, la pena d’Amore sembra insormontabile… almeno per un
certo periodo di tempo!
Poi, i ricordi si trasformano e tendono a
mitigare i momenti spiacevoli a tutto beneficio di quelli piacevoli. Il primo
Amore si nobilita fino a divenire una sorta di ideale di perfezione che
non si potrà mai più rivivere.
Come ritrovare nella realtà la purezza di una
prima emozione?
Sembra una impasse.
La nostra memoria autobiografica ci priva,
infatti, dei momenti senza interesse che il primo Amore ci ha, egualmente,
recato. Quei momenti senza emozioni non hanno lasciato traccia, alcuna traccia
mnesica. La memoria deforma il ricordo, e può, anche, in certi casi, creare
falsi ricordi. Il primo Amore non è più un Essere in carne e ossa, ma piuttosto
una ricomposizione, sovente, mitizzata. Assume il ruolo di un fossile vivente
che unisce il ricordo del passato all’istante presente. Si ritrovano il suo
nome, il colore dei suoi occhi, la sua casa, il suo ex-liceo, tutto ciò che permette
di ritrovare l’emozione.
Si è qui e là, allo stesso tempo.
Noi
non abbiamo, veramente, dimenticato, ma la restituzione dei ricordi è molto
facilitata da elementi esterni, come afferma Marcel Proust in A l'ombre des jeunes filles en fleurs:
“La meilleure part de notre mémoire est hors de nous, dans
un souffle pluvieux, dans l'odeur de renfermé d'une chambre ou dans l'odeur
d'une première flambée, partout où nous retrouvons de nous-même ce que notre
intelligence, n'en ayant pas l'emploi, avait dédaigné, la dernière réserve du
passé, la meilleure, celle qui quand toutes nos larmes semblent taries, sait
nous faire pleurer encore. Hors de nous? En nous pour mieux dire, mais dérobée
à nos propres regards, dans un oubli plus ou moins prolongé.”
Da
dove origina la nostalgia del primo Amore?
Perché,
con il tempo, le nostre esperienze sembrano non cancellare il ricordo del primo
Amore?
Era
la prima volta.
E,
come ogni prima volta, non sono possibili riferimenti, non sono possibili
paragoni tra il qui e il là, tra l’ora e l’allora.
Tutto
ciò rappresenta un rito iniziatico che si vive, frequentemente,
nell’adolescenza.
Vi
è un prima e vi è un dopo.
In Premier amour di Sophie Tasma, si
può leggere:
“Je suis allé
dans la cuisine. Quelque chose avait changé dehors, la fenêtre était devenue
blanche, brumeuse. J’ai
compris que c’était déjà le début du jour.”
Qui,
la tappa del primo Amore è descritta con la metafora del giorno che viene. È
una caratteristica dell’Amore romantico proiettare sulla natura i sentimenti
umani.
I
colori hanno un senso per noi e sono legati alle nostre emozioni, ma la
percezione dei colori è, anche, frutto della nostra cultura e del nostro
linguaggio. La memoria può influenzare la stessa percezione dei colori. Se, a
esempio, si ricorda un momento intenso, che si è verificato in una giornata
poco luminosa e senza contrasti, si può ricordare il cielo di un azzurro più
ricco, la sabbia più bianca, l’acqua di un azzurro più profondo, una notte dalla
profondità di uno zaffiro, il sangue di un rosso più vivo, un raggio di sole
che danza in un bicchiere…
I
colori dei ricordi sono più vivi, più saturi, più contrastati. Sono anche
legati al contesto del nostro ricordo. Si potrebbe dire che il colore del
ricordo non è il verde, ma l’erba. Vi è una nuance
di verde diversa per ogni filo di erba. La vivacità dei colori del ricordo è
una ricostruzione del nostro cervello. Questi colori non esistono nella realtà.
Si sarà, sempre, alla ricerca del mare di quell’azzurro che si è visto con il
primo Amore o di quell’arcobaleno così luminoso che ha colpito il nostro occhio
in un cielo di nera tempesta…
I
colori del ricordo non cambiano ciò che noi vediamo, ma possono orientare le
nostre preferenze. I fotografi e i registi regolano certi colori per stimolare
sensazioni più o meno piacevoli.
La
temperatura di colore ne è un eccellente esempio.
Ricordare
il primo Amore è una ispirazione che illumina la vita, che ne compone la sua
intensità.
È
un mollare la presa!
Può
rievocarci il buon tempo andato, catapultarci indietro.
I social networks permettono, sovente,
queste occasioni. Rileggere un nome induce una reviviscenza del ricordo.
Vi
sarebbe pressoché una nostalgia euforica, molto tempo dopo il travaglio del
lutto, quando si prende piacere a ricordare gli istanti felici.
Questa
nostalgia del primo Amore mantiene viva una fantasticheria per coloro che amano
sognare, evadere, qualche istante, in un immaginario poetico, lontano dalla
vita reale…
In tale
caso, l’incontro non è auspicato, perché rischierebbe di degradare l’immagine
ideale ricomposta.
I
ricordi sono, spesso, diversi nell’Altro e non possono che, raramente, essere
condivisi..
Coloro
che si innamorano sono, sovente, forse, anche dei grandi sognatori!
I. La nostalgia
della perfezione
di
Daniela Zini
La nozione di straniero è, senza dubbio, universale.
Ma molto diffusa è anche quella di Patria innata: l’uomo si sente straniero, si
sente separato dalla sua origine, una origine che gli ha dato l’avant-goût della felicità, dell’unione,
un ressenti di Amore assoluto.
Il sentimento oceanico, di cui si è parlato in
psicologia, nel XX secolo, è molto emblematico di questa esperienza originaria.
Vi si vede, al minimo, il ricordo istintivo del benessere della vita in utero [vita,
che, come, oggi, sappiamo, non è tutta felicità, perché il feto avverte le
sofferenze di sua madre e ha, anche, le
sue forme di sofferenza]. Ma filosofi, mistici fanno partire questo sentimento
da una esperienza ben più vasta e trasparente: la Patria dell’Anima è il Mondo
di Luce e di Amore che è la Fonte Divina, origine di ogni Essere.
Senza andare troppo lontano dalle tradizioni,
che sono nel nostro orizzonte culturale, da diversi secoli, penseremmo a
Platone e ai neo-platonici, in particolare, a Plotino [203/205-270], Proclo
Licio Diadoco [412-485], a Pseudo-Dionigi l’Areopagita [IV-V secolo], ma anche
alle diverse espressioni del pensiero gnostico. La gnosi o lo gnosticismo è un
vastissimo insieme, che si è espresso in diverse lingue, in diverse religioni e
filosofie del bacino mediterraneo dall’Antichità e, più ancora, dalla tarda Antichità.
Gli gnostici sono dualisti e pensano che l’uomo, dalla sua origine nel Mondo
della Luce, che è interamente bontà
e conoscenza, sia caduto nell’oscurità della materia.
Qui, è in esilio.
È prigioniero.
Ha gli occhi chiusi, i suoi sensi sono i
guardiani della sua prigione e se si tormenta per la sua Patria è segno che
aspira a risvegliarsi dal sonno in cui è caduto. Il sentimento di essere
straniero su questa terra, di essere in esilio è, dunque, un primo passo verso
il risveglio, l’inizio di un processo di ritorno verso la nostra origine, verso
quel mondo di Luce Divina che è la nostra vera Patria.
Unitamente alla religione mazdea e alla sua
riforma zoroastriana, che sono propriamente persiane, la vasta area iranica ha
conosciuto fino dall’Antichità tradizioni molto diverse: il buddismo è
penetrato molto prima in Iran, a iniziare dall’attuale Afghanistan [ricordiamo
tutti i giganteschi Buddha di Bamiyan, che i talebani bombardarono, nel 2001];
la cultura greca ha lasciato il suo segno indelebile, per secoli, con
Alessandro e i suoi successori; il cristianesimo è stato molto attivo; poi, il
manicheismo, che è nato in Iran e si è diffuso di là verso Ovest [dalla nostra
parte] e verso Est [fino in Cina]. Solo, da ultimo, è arrivato l’islam con la
conquista araba, nella seconda metà del VII secolo, ma ha impiegato secoli
prima di radicarsi, definitivamente, ovunque.
Va, anche, detto che la corrente persiana
dell’islam è molto specifica: non è, del resto, UNA, ma DIVERSA. Tutto ciò che
ha preceduto l’islam ha lasciato una traccia profonda, in particolare, il
pensiero greco e lo gnosticismo, i cui molti testi sono stati diffusi in greco,
ma anche in tutte le lingue del bacino mediterraneo e di ben oltre. Numerosi autori
persiani ne sono stati consapevoli e lo hanno, nettamente, dichiarato nei loro
scritti, nei loro insegnamenti. Mi riferisco, qui, principalmente, agli autori
di orientamento mistico, che siano mistici in senso proprio o che siano poeti e
filosofi di ambizione mistica. Ma queste distinzioni non sono, francamente,
pertinenti, perché si intersecano e si sovrappongono il più sovente: i mistici
si sono espressi, sovente, in versi e sono stati, sovente, filosofi o, più
esattamente, teosofi. Quanto agli autori letterari, io, sinceramente, non ne
conosco che siano esenti da un orientamento spirituale più o meno implicito o
affermato.
Non citerò che due esempi – molto conosciuti
in Occidente, e, beninteso, anche in Oriente – Jalal ad-Din Rumi [1207-1273] e Khouajeh Shams ad-Din Mohammad Hafez-e Shirazi [1315/1317–1389/1390],
grandi autori persiani che hanno messo l’accento sul tema dello straniero, ma è
bene intendersi che ciò è presente, in secondo piano, quasi ovunque.
Celeberrimo l’inizio del Masnavi, una raccolta di insegnamenti di Rumi:
Odi la canna
del flauto come implora,
E geme delle
separazioni subite
“Da quando dal
mio canneto mi hanno recisa – confida –,
Uomini e
donne, con il mio lamento, muovo al pianto.
Cerco un cuore
dilaniato dalla separazione,
Per rivelargli
il dolore della mia nostalgia,
Perché chi è
strappato dalla propria radice
Rievoca il
tempo in cui a essa era unito.
L’inizio di questo lungo prologo è la summa di tutta la mistica dell’Amore,
che è al centro dell’islam persiano ma anche, a prescindere dalla religione, al
centro della letteratura persiana fino all’epoca contemporanea. Il motivo
centrale è questa canna strappata al suo canneto, che spande le sue flebili
note ed è il simbolo dell’anima mistica, che piange il perduto Mondo Celeste e
anela tornarvi.
Suona per i buoni e per i cattivi, per i
profani e per gli iniziati, e tutti gioiscono delle sue note, ma quanti vi sentono
dentro il richiamo ai misteri oltremondani?
Solo un cuore turbato dalla separazione dell’Essere
Amato è veramente sensibile ai gemiti del flauto; solo un’anima sorella
comprende un’anima anelante a ricongiungersi a Dio. Nel lamento del flauto
spira, appunto, questo segreto anelito, ma molti orecchi rimangono sordi, molti
occhi restano ciechi alla Luce. Con la sua musica nostalgica [il suono del ney, il flauto persiano, è, infatti, lamentoso e nostalgico], il flauto è l’Amico
di tutti gli Amanti rimasti soli, di tutti coloro che piangono la lontananza dell’Essere
Amato. Il simbolo di questo Amore, ‘eshq,
è l’Amico, l’Amato, iar; l’esiliato,
l’Amante, asheq.
Altro motivo centrale è il viaggio, la via, rah, cammino o pellegrinaggio, che
riconduce il viandante, salek, o
pellegrino alla sua Patria, alla nostra origine, la cui nostalgia alberga in
noi irrimediabilmente. Chi sa come avanzare
è l’‘aref, colui che conosce le
tappe e il come della via.
L’Amore e il viaggio animano tutta la poesia
persiana e anche la mistica. Si aggiunga l’ebbrezza, in senso figurato, almeno nella
mistica, vale a dire la Follia d’Amore perché:
Il flauto
narra della via piena di sangue
E racconta le
storie d’Amore del Folle.
Il confidente
di questa assennatezza è solo chi non ha assennatezza,
Come l’unico
avventore della lingua è l’orecchio.
Questa breve introduzione ci mette in
presenza dei temi fondamentali, ma anche del lessico di base della mistica
persiana.
La nostalgia, la pena dello straniero,
dell’esiliato, sono la molla di questa visione dell’uomo e del suo destino. La
pena e, soprattutto, la pena d’Amore, che è la condizione necessaria del
risveglio, del cammino e della rifusione:
Il regno
dell’unione con te fu, fin dal principio, la dimora del cuore.
Fino a quando
lascerai, tu, in esilio questo cuore vagabondo?
Uno dei ghazal
del Divan-e Shams, una raccolta di 22mila
distici, composti da Rumi, dopo la perdita del suo Amico e Maestro spirituale Shams-e Tabrizi [1185-1248], scandisce
il refrain “Torna, infine, all’origine della tua origine” per tutto il suo svolgimento:
Anche se in
apparenza tu sei figlio della terra
Tu sei figlio
delle perle della certezza.
Tu sei il
guardiano fedele del tesoro della Luce Divina.
Torna, infine,
all’origine della tua origine.
Se celebre è l’esordio del Masnavi di Rumi, non meno celebre è l’inizio
del Divan di Hafez. Hafez visse a
Shiraz, nel XIV secolo, e molti dei suoi ghazal
sono cantati. Per molti iraniani il Divan
di Hafez è il Corano dell’iraniano.
Nel cuore del primo ghazal, questi due distici:
Per me, quale sicurezza
di una vita felice, alla tappa dov’è l’Amato,
Allorché, a
ogni istante, le campanelle lanciano questo appello: “Attaccate le lettighe!”
Notte scura,
fragore delle onde, vortice così terrificante!
Come
comprenderebbero ciò che proviamo,
Coloro che,
sulla riva prendono tutto alla leggera?
La situazione, molto concreta, del primo di
questi distici è quella della carovana: vi sono tappe, dove tutti si fermano.
Ma queste possono essere molto brevi, così brevi che, appena vi si sosta, le campanelle,
attaccate alle lettighe, riprendono a tintinnare, avvertendo, di nuovo, della
partenza imminente. L’idea è che non vi è alcun riposo sulla via dell’Amore: l’Amante
è, incessantemente, sul chi vive, incessantemente, in viaggio.
La situazione del secondo distico è quella
del viaggiatore in mare: ”Notte
scura, fragore delle onde, vortice così terrificante”, l’Amante
esiliato rischia la propria vita, a ogni istante. È, per natura, uno straniero
sospinto dalle onde, è terrificato, allorché i sedentari, quelli che restano “sulla riva” sono
tranquilli e non portano, loro, che “carichi
leggeri”: le parole sono molto concrete, anche in questo caso.
Vi sono, chiaramente, due categorie di uomini:
quelli che dormono tranquilli nella materialità, soddisfatti della loro
condizione, inconsapevoli della loro vera natura e della loro vera destinazione
e quelli che hanno preso coscienza, che si sono messi in viaggio, per i quali
non vi sarà riposo. Ma gli uni come gli altri sono stranieri su questa terra: gli
uni lo sanno, gli altri lo ignorano. Tra questi esiliati, gli uni sono divenuti
“innamorati, ebbri e folli d’amore”,
gli altri sono solo degli “ubriachi,
inebetiti, ciechi e sordi”.
Felice il
giorno in cui lascerò questa tappa rovinosa!
Io cerco il
riposo dell’anima e partirò sulle tracce dell’Amato.
Io so che lo
straniero non giunge in nessun luogo, tuttavia,
Io partirò,
attirato dalla fragranza di quei capelli in disordine.
[…]
Se devo camminare
sulla testa come il calamo, sulla sua via
Andrò il cuore
a brandelli e gli occhi in lacrime.
Ho fatto voto
che, se un giorno guarirò da questa pena,
Andrò alla
porta della taverna, declamando ghazal.
Per Amor suo,
danzando al modo dell’atomo di polvere,
Giungerò fino
al limitare della fonte del sole splendente.
“Questa tappa
rovinosa” è il nostro
mondo. Lo straniero è votato all’erranza, anche se sa CHI cerca: non vi è posto,
in nessun luogo, per lui e mai è “giunto”.
La “taverna”, dove ha fatto
voto di andare, è il luogo dell’ebbrezza, dove si riuniscono i compagni, tutti
coloro che sono consapevoli e impegnati sulla via dell’Amore, è il luogo dei
Folli d’Amore, che si votano alla celebrazione dell’Amato nella danza sacra [sama], la recitazione del nome
dell’Unico, la meditazione cantata. L’immagine dell’ultimo distico è molto
celebre in tutta la poesia persiana, soprattutto in Rumi: ciascuno di noi è
come un atomo, un piccolo atomo di Luce, staccatosi dal Sole Divino, che danza
nel raggio di Luce, consapevole o no che il suo viaggio di ritorno ascensionale
è iniziato.
“Questa tappa
rovinosa”, questa tappa di esilio nella quale noi siamo, sarebbe
per se stessa malvagia, come per gli gnostici?
No, perché tutto ciò che È, proviene da LUI:
I due mondi
sono l’unica Luce del suo volto.
Io te o dissi
apertamente, egualmente in segreto.
I due Mondi, vale a dire questo Mondo – Mondo
miscelato, fatto di Acqua e di Fango, di Luce e di Oscurità, di Bene e di Male
– e quel Mondo – Mondo di Luce, Mondo che è pura espressione divina – sono
entrambi la Luce del suo volto: non vi è nulla che non provenga da Lui, ciò è,
al tempo stesso, professione di fede [“Io
te lo dissi apertamente”] dell’islam ed esperienza mistica [“egualmente in segreto”,
perché, nell’esperienza ineffabile dell’unione, l’unicità abolisce tutti i contrari].
Così, ciò che fa di noi degli stranieri, non
è il luogo dove noi siamo, ma lo stato di coscienza che è il nostro.
Sappiamo chi siamo?
È tutto qui!
Se noi lo sappiamo, sappiamo che noi siamo
intimi dell’Essere Divino, perché noi siamo stati creati a sua somiglianza:
“Colui che si
conosce, conosce il suo Signore”,
come dice un noto adagio islamico.
L’Essenza di TUTTO ciò che È, l’Essenza Divina
per eccellenza, è l’Amore.
E, ora, lasciamo, attraverso il calamo di
Rumi, l’ultima parola allo stesso Amato:
Io sono venuto
a prenderti per mano
Per privarti
del tuo cuore e di te stesso e porti nel cuore e nell’anima.
Io sono venuto
[…] per cingerti con le mie braccia e stringerti.
Io sono venuto
per conferirti, in questa dimora, la Luce.
Grazie all’Amore, la Patria è, infine,
ritrovata: dimora della Luce!
Le traduzioni
dal persiano sono di Daniela Zini
Daniela Zini
Copyright
© 10 gennaio 2013 ADZ
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