UOMINI
DI STORIA
STORIA
DI UOMINI
105 anni fa moriva
LEV NICOLAEVIC TOLSTOJ
[Jasnaja Poljana, 9
settembre 1828 - Astapovo, 20 novembre 1910]
“Le cause della miseria umana sono negli uomini stessi...”
È una delle tante
asserzioni che si possono ricavare dalla vastissima opera di Lev Nikolaevic
Tolstoj, un Essere in cui l’anima dello scrittore e quella dell’uomo
costituivano un tutt’uno inscindibile.
“E l’idea mia è tutta qui: se le persone corrotte si uniscono
tra loro
per costituire una forza, le persone oneste debbono fare altrettanto.”
Lev Nicolaevic Tolstoj
di
Daniela Zini
a mio Nipote Amirhossein
“Il
segreto della felicità non è fare ciò che si vuole, ma volere, sempre, ciò che
si fa.”
Lev
Nicolaevic Tolstoj
Per agitati che siano i Tempi in cui viviamo,
per quanto corrotti o aridi si possa giudicarli, vi è, sempre, modo per certi Libri
squisiti e rari di vedere la luce.
Vi sono, sempre, Cuori eletti per
concepirli in un’ombra preziosa.
Altri Cuori, ancora, sparsi, qui e là,
per accoglierli.
Sono Libri che a Libri non somigliano,
che, talvolta, anche, non lo sono.
Sono semplici e umili Destini gettati
dal Caso su sentieri appartati, fuori della grande strada polverosa della Vita.
E, quando, usciti di strada, ci avviciniamo
a loro, ci sorprendono con profumi soavi e con fiori di una naturalezza di cui
credevamo, ormai, estinta la specie.
La forma, nella quale si possono
realizzare i sentimenti delicati di alcune Anime, è abbastanza variabile e irrilevante.
Si trovano, un bel giorno, in un
cassetto, dopo una morte, lettere che non dovevano vedere la luce.
Altre volte, ancora, l’Amante che
sopravvive – poiché è di Amore che si compongono, necessariamente, questi
tesori nascosti – l’Amante che sopravvive, dicevo, si consacra a un fedele
ricordo e tenta, nel pianto, con una precisione circostanziata – o aiutandosi
con l’armonia dell’arte – di trasmettere questo ricordo e renderlo eterno.
Offre, allora, ai lettori avidi di un
tale genere di emozioni qualche Storia mutata, ma tutta animata, sotto il travestimento
delle apparenze, da una Verità profonda, o custodisce per sé e prepara,
intanto, per il Tempo in cui non sarà più, una confidenza, una confessione
che vorrebbe intitolare volentieri – come Petrarca ha fatto per uno dei suoi
libri – Il Mio Segreto.
Altre volte, infine, è un testimone,
un depositario della confidenza che la rivela, quando quelle Anime sono morte,
ancora tiepide o già fredde da tempo.
Da qualche tempo, mi accade
di provare la sensazione di non appartenermi più.
Vivo, anzi, cosa strana,
viviamo un periodo di profonda tristezza, non cupa, ma insondabile e ho, anche,
una sensazione, di cui qualcuno mi ha parlato: il presentimento della partenza.
Lo sa Dio!
La Morte non mi spaventa, ma
non vorrei morire oscuramente,
soprattutto, inutilmente.
Adesso so, avendola vista da
vicino, essendo stata sfiorata dalla sua ala nera e gelida, che, quando si
avvicina, si prova un assoluto distacco, una rinuncia definitiva alle cose di
questo mondo.
So anche che ho nervi e
volontà in grado di resistere alle grandi prove personali e i miei nemici non
vedranno, mai, in me viltà o paura.
Tutto lo straziante fascino
della Vita deriva, forse, dall’assoluta certezza di dover morire.
Se le cose durassero, non ci
sembrerebbero degne di affezione!
Il Cielo del Tempo ha molte
sfumature: il Passato è Rosa, il Presente Grigio, il Futuro Azzurro. Oltre il
vacillante Azzurro, si apre il gorgo senza limite e senza nome, il gorgo delle
trasformazioni che portano alla Vita eterna.
Sì, l’utile consapevolezza
di una partenza obbligata e definitiva, basta a certe Anime, per dare alle cose
della Vita un fascino straziante.
I luoghi dove si è amato e
sofferto, dove si è pensato e sognato, soprattutto i Paesi, da cui siamo
partiti senza la speranza di rivederli, ci appaiono più belli nel ricordo di
quanto lo furono nella realtà.
Il ricordo dell’Iran,
l’Amore vivo e profondo, che sonnecchia dentro di me per la Patria di elezione,
sono una ossessione dolorosa e dolce.
Basta un suono di tar, udito per caso, per risvegliare
tutto un mondo di sensazioni nella mia Anima, che sembrava dormire.
Finalmente, per la prima
volta, dopo la morte del Nonno, esteriorizzo un pò il mio io, ma ho un dovere
da compiere che lo trascende.
E vi sei Tu…
È quanto basta per nobilitare
i giorni, peraltro informi, che conduco, da tre lunghi anni, in esilio, in
questo Paese, cui più niente mi lega…
Ho un regalo per Te.
È da tanto che lo preparo.
Ho preso i fogli e ho
iniziato a scrivere.
La penna scivolava sul foglio, avevo
l’impressione che Ti parlasse, insieme a
me.
Dopo alcune pagine, ho
realizzato che stavo raccontando la mia Storia d’Amore dall’inizio. Come se
fosse importante comprendere questo per comprendere il resto, il migliore filo
conduttore.
Ma il filo non ha retto.
Molto presto, non ho più
voluto dimostrare né illustrare niente, mi sono lasciata divorare dalla Storia,
per farla, infine, venire alla luce.
Scrivevo, non potevo più
fermarmi.
Una forza mi spingeva
avanti, un bisogno di espellere o meglio di rendere, che non è, esattamente, la
stessa cosa.
I fogli si riempivano, li
nascondevo.
Sono il mio regalo.
È incredibile come la gente
odi tutto ciò che non si pieghi alle proprie esigenze e alle proprie leggi
stupide e arbitrarie!
Come si indigna la mediocrità,
quando vede spuntare un Essere – una Donna soprattutto – che vuole essere se
stessa e non somigliarle!
Come si indigna la
mediocrità, quando non può appiattire tutto, ridurre tutto al suo livello
stupido e basso!
Adesso, scopro di avere una
capacità che non sospettavo, scrivere lezioni, soprattuto di Storia, con una
visione globale abbastanza ampia.
Io, che di recente, ancora,
sognavo viaggi sempre più lontani, che avevo la smania di agire, sono giunta al
punto di desiderare, senza confessarmelo, apertamente, che l’ebbrezza dell’ora
e la sonnolenza presente, possano durare se non sempre, almeno per molto tempo
ancora.
Eppure so che la febbre di
viaggiare mi riassalirà, che me ne andrò…
So che non potrò, mai,
sopportare la Vita sedentaria e sarò, sempre, attratta da Terre soleggiate…
Sì, so di essere molto
lontana dalla saggezza degli Anacoreti musulmani. Ma non è la voce della
saggezza che parla in me, che mi rende inquieta e, domani, mi spingerà ancora
sulle strade della Vita; è la mia irrequietezza, che trova la Terra stretta e
non ha saputo trovare in se stessa il proprio Universo.
Ciò che tanti sognatori
hanno cercato, lo hanno trovato nelle Anime semplici.
Al di là della scienza e del
progresso dei Secoli, sotto il sipario sollevato dell’Avvenire, vedo passare l’Uomo
futuro…
E comprendo come si possa
finire nella pace e nel silenzio del deserto, finire in estasi, senza rimpianti
e senza desideri, davanti a spendidi orizzonti.
Che sollievo quasi
voluttuoso, quando il Sole si abbassa, quando le ombre delle palme e dei muri
si allungano e avanzano, spegnendo sulla Terra gli ultimi bagliori!
Quello che è accaduto non si
cancellerà.
Si dice, sempre, così!
Non importa, lo dico anche
io.
Ciò che ami sarà la tua
eredità.
Malgrado tutto, il vento è dentro
di noi.
Tu, io, il Tempo, in cui
abbiamo, appassionatamente, voluto fonderci con il resto del Mondo, tutto
questo è rimasto nel Segreto dell’Aria, nei Libri, nei Canti.
Dio sa se abbiamo provato a
farlo brillare questo Mondo, a portarlo fino al Sole!
E, ora, le Tenebre…
Se sono stati abbastanza
potenti e Dio sa se lo sono stati, i Sogni possono scivolare nelle pieghe e
viaggiare a lungo, sopravvivere come dei germogli, che resistono all’Inverno.
Ma, forse, mi sbaglio, non
lo so più.
Forse, non è successo nulla,
un polline portato dal vento… una illusione.
Apro gli occhi, vi è troppa
luce, ho freddo.
Basta chiudere gli occhi.
Aprirli.
Chiuderli ancora…
Tua zia D
CONFUCIO [551 a.C. - 9 marzo 479 a.C.]
Confucio e l’antica
cultura
di Daniela Zini
GESU’ DI NAZARET [Betlemme o Nazaret, 7-2 a.C.
- Gerusalemme, 26-36 d.C.]
Gesù e le donne
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Gesù e i fanciulli
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DARIO I IL GRANDE [550 a.C. - ottobre 486
a.C.]
La gloria di Re Dario
tramonta a Maratona
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FLAVIO CLAUDIO GIULIANO [Costantinopoli,
6 novembre 331 - Marana, 26 giugno 363]
Giuliano il restauratore
del Paganesimo
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CECCO D’ASCOLI [Ancarano, 1269 - Firenze, 16 settembre 1327]
Cecco d’Ascoli astrologo
senza paura
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ANGELO BRUNETTI [Roma,
settembre 1800 - Porto Tolle, 10 agosto 1849]
114 anni fa nascava
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TOMAS GARRIGUE MASARYK [Hodonín,
7 marzo 1850 - Lány, 14 settembre 1937]
Dopo sessanta anni
ancora un enigma la fine di Masaryk
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ANTON PAVLOVIC CECHOV [Taganrog, 29 gennaio 1860 - Badenweiler, 15 luglio 1904]
Sakhalin: l’Inferno dei
reclusi a vita
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MOHANDAS KARAMCHARD GANDHI [Porbandar, 2 ottobre 1869 - 30
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La non-violenza
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La non-violenza
sconfiggerà la violenza?
JOHN MAYNARD KEYNES [Cambridge, 5 giugno
1883 - East Sussex, 21 aprile 1946]
Keynes, profeta del New
Deal
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BLAISE CENDRARS [La Chaux-de-Fonds, 1º settembre 1887 - Parigi, 21 gennaio 1961]
Blaise Cendrars il soldato vagabondo che inventò la Poesia
Moderna
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Camp, 19 maggio 1935]
125 anni fa nasceva El
Aurens Lawrence d’Arabia
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DWIGHT DAVID EISENHOWER [Denison,
14 ottobre 1890 - Washington,
28 marzo 1969]
Cinquanta anni fa il
monito di Eisenhower
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NELSON ROLIHLAHLA
MANDELA [Mvezo, 18 luglio 1918 -
Johannesburg, 5 dicembre 2013]
Nelson Mandela una
candela nel vento
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ANTONINO CAPONNETTO [Caltanissetta, 5 settembre 1920 - Firenze, 6 dicembre 2002]
Memento Memoriae di
Antonino Caponnetto
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MALCOLM X [Omaha, 19
maggio 1925 - New York, 21 febbraio 1965]
Malcolm X
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JORGE RAFAEL VIDELA REDONDO [Mercedes, 2 agosto 1925 - Buenos Aires, 17
maggio 2013]
Argentina I. La Tripla A: un nome che semina morte
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MARTIN LUTHER KING [Atlanta, 15 gennaio
1929 - Memphis,
4 aprile 1968]
I have a dream…
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ZINE EL-ABIDINE BEN ALI [Hammam-Sousse, 3 settembre 1936]
Ben Ali in fuga dalla
Craxi Avenue
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GIOVANNI FALCONE [Palermo, 18 maggio 1939 - Palermo, 23 maggio 1992]
Omaggio a Giovanni
Falcone
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MIKHAIL VASILYEVIC BEKETOV [10 January 1958 - 8 April
2013]
Veni, Vidi, Vi[n]ci I.
Giornalista, cronaca di una morte annunciata
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JAFAR PANAHI [Mianeh, 11 luglio 1960]
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JULIAN PAUL ASSANGE [Townsville, 3 luglio 1971]
Se WikiLeaks?...
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BRADLEY EDWARD MANNING [Crescent, 17 dicembre 1987]
Eroi o traditori? I. Il processo di
Bradley Manning minaccia il giornalismo di inchiesta
di Daniela Zini
È il
destino dei Grandi – di coloro che, nella vita, concepiscono opere che vanno al
di là dell’arte stessa, giungendo a porsi e a risolvere quesiti che riguardano
l’intima essenza dell’uomo, della esistenza, della morale – essere soggetti a
interpretazioni, a trasfigurazioni, a letture che, immancabilmente, ne offrono
una visione riduttiva, parziale, se non addirittura traditrice.
È
accaduto a Dante Alighieri, a William Shakespeare.
È accaduto
anche a Lev Nikolaevic Tolstoj.
Ogni
tentativo di collocarli in una determinata cornice storico-sociale, di
valutarli attraverso una angolazione di parte – qualunque essa sia – non fa che
sminuire e deteriorare l’immagine della loro opera, il cui significato
universale, astorico, atemporale, sovrasta i particolarismi del quotidiano, le
mode letterarie che, invece, consentono all’arte minore di essere esaltata e
glorificata ai massimi termini, ma soltanto durante “l’espace d’un matin”.
Di
Tolstoj, attuale, oggi, come cento anni fa e, indubbiamente, come tra cento
anni, si conosce tutto e nulla.
E,
paradossalmente, se ne conosce sempre di più, quanto meno si cerchi di
vivisezionarlo, di adattarlo a schemi etici e ideologici precostituiti.
Se ne
conosce sempre di più, quanto più si vuole assorbire la sua lezione umana,
morale, letteraria, senza porsi continui perché, ma lasciando che il suo
insegnamento fluisca, naturalmente, dentro se stessi, come in un processo
osmotico, che il suo dettato possa esplicarsi da solo, pressoché involontariamente
rispetto alle intenzioni del lettore.
Dirò di
più.
La
pubblicazione dei suoi Diari, delle
sue Confessioni, del suo nutrito Epistolario, ha permesso di venire a
conoscenza di infiniti particolari sul modo di vivere, sulle manie,
sull’immagine pubblica e privata dell’autore di Anna Karenina [1877], ma non ha offerto che scarsi contributi alla
scoperta dell’animo tolstojano. Scoperta che può raggiungersi solo leggendo i
suoi romanzi, ciò che Tolstoj ha scritto non su stesso, ma sul mondo e sulla
gente. Questo è il vero significato popolare della sua letteratura, popolare in
quanto profondo, ma comprensibile a tutti. Ecco la grande linea di demarcazione
tra lo scrittore popolare e lo scrittore di evasione, termini, spesso,
fraintesi e scambiati, anche nei riguardi dello stesso Tolstoj.
Avevo
accennato prima alle alterne fortune di Tolstoj, dovute al succedersi delle
varie correnti di critica e delle mutevoli situazioni storico-politiche.
Il mondo intellettuale russo lo ha considerato, ora, “il profeta
della rivoluzione”, come si legge nel saggio che gli dedicò Vladimir Il’ic
Ul’janov [Lenin]; ora, un letterato borghese, sensibilmente inferiore ad autori
quali Aleksej Maksimovic Peskov [Maksim Gor’kij] o Aleksandr Sergeevic Puskin; ora, un aristocratico militarista;
ora, un precursore del comunismo; ora, un anarchico cristiano.
Ma
Tolstoj non fu nulla di tutto ciò.
Incarnò
con una definizione dei nostri giorni, lo “scrittore totale”, un essere in cui
l’anima dello scrittore e quella dell’uomo non si sovrapponevano, ma
costituivano un tutt’uno.
Tolstoj
non si considerò, mai, un intellettuale, ma solo uno scrittore.
Così,
scrivere per lui non fu una scelta, ma una necessità che si può definire
biologica: l’ansia di una continua ricerca morale e l’impeto letterario, che
gli pulsava dentro, gli imposero di prendere la penna in mano.
Nacquero,
così, Anna Karenina [1877], La morte di Ivan Il’ic [1886], La sonata a Kreutzer [1891], Resurrezione [1899], romanzi il cui
ritmo è quello stesso della vita e nei quali si intrecciano, si assommano, si
dividono infinite storie, vicende e destini individuali, ognuno dei quali reca
con sé le contraddizioni e le angosce umane, che nessun periodo letterario,
come il realismo russo, seppe innalzare a valori universali e imperituri. La
stessa intensità dello stile tolstojano è una incessante indagine morale,
un’ansia di perfezione che si mescola, ininterrottamente, con quella emergente
dai contenuti dei suoi scritti.
Lev Nicolaevic Tolstoj e sua moglie Sofia
Andreevna Bers
Tolstoj
soleva ripetere che “l’estetica non è che una espressione dell’etica”.
Un
Tolstoj olimpico, grande saggio, scevro da interni contrasti, dunque?
Non è
così!
Anton Cechov, a partire dal 1887, nutre un
vivo interesse per le idee di Tolstoj. Nel 1895, gli fa visita, a Jasnaja
Poljana, e scrive che Tolstoj gli aveva fatto “una impressione meravigliosa. Mi sentivo a mio agio, come a casa; le
conversazioni con Lev Nikolaevic erano liberissime”.
Se la
religione tolstojana fu una religione positiva, un codice più etico che
dogmatico, con il quale raggiungere la felicità e la perfezione in Terra, la
vita dello scrittore fu segnata da continue angosce, da lacerazioni interiori,
da malintesi con la famiglia, con gli altri e, soprattutto, con il proprio io,
al quale rimproverava il mancato raggiungimento degli ideali, che aveva
postulato e che rappresentarono, per sempre, un inafferrabile traguardo.
Solo la
morte, avvenuta ad Astapovo, nel 1910, all’inizio di un viaggio verso mete
incerte, intrapreso per staccarsi, definitivamente, dalla sua famiglia, dal suo
mondo, dalla sua terra, interruppe l’ultima ricerca verso una pace interiore,
mai conquistata.
Una
ricerca, che ebbe inizio nel lontano 1847, quando il nobile universitario
diciannovenne Lev Nicolaevic Tolstoj, in dimora a Kazan, contrasse una malattia
venerea: la degenza lo indusse a meditare, a riflettere sugli scopi e sul
significato della vita, sulle leggi e sulla morale degli uomini.
In quei
giorni dette inizio al suo Diario, le
cui pagine non lo avrebbero più abbandonato.
Alla
data del 17 marzo 1847 vi è segnato:
“Da sei
giorni, sono ricoverato in ospedale e, da sei giorni, sono pressoché soddisfatto
di me. “Les petites causes produisent des grands effets”. Ho preso la gonorrea:
naturalmente per ciò per cui, in genere, si prende; e questa futile circostanza
mi ha dato la spinta per issarmi sul gradino, sul quale, già da tempo, avevo poggiato
il piede…”
Così,
Tolstoj prese a interessarsi di letteratura, di musica, di arte. Iniziò a
pubblicare i primi racconti sulla rivista Il
contemporaneo, mentre tentava di condurre a termine i disordinati studi
universitari – si era iscritto a lingue orientali, a filologia, a
giurisprudenza –.
Nel
1851, nominato allievo ufficiale, combatté sul fronte del Caucaso e partecipò
alla difesa dell’assediata Sebastopoli. Fu proprio questa l’occasione che gli
permise di scrivere la sua prima opera importante, I racconti di Sebastopoli.
Tornato
a Jasnaja Poljana, il paese del governatorato di Tula, dove era nato, nel 1828,
e dove la sua famiglia possedeva ville e latifondi, iniziò ad alternare
l’attività di scrittore a quella di pedagogo e di educatore.
Il
mondo contadino delle ampie campagne e delle steppe russe, quell’universo
rurale che, a detta di lui, era l’unico portatore di verità, costituì il grande
scenario sul quale rappresentare il dramma della vita e della morte.
Tolstoj
concepì, allora, programmi di riforme sociali e pedagogiche, stimolato dalla idea
di far giungere al Popolo i più alti insegnamenti dello spirito.
Pubblicò
un Sillabario e fondò una casa
editrice chiamata L’Intermediario,
che aveva lo scopo di diffondere la cultura nell’ambiente rurale.
In
seguito, programmò un’opera sulla forza morale dei contadini e offrì
l’emancipazione ai suoi mugiki, ai
quali pensò, perfino, di donare tutte la sue terre.
Quest’ultimo
progetto, in particolare, esasperò i contrasti che, da tempo, avevano incrinato
il rapporto con la moglie, Sofia Andreevna Bers, sposata diciassettenne, nel
1862, che non riuscì, mai, a tollerare lo spirito democratico del marito, al
quale rammentava, costantemente, le origini aristocratiche.
I
conflitti familiari si accrescevano a mano a mano che Tolstoj attraversava
quelle violentissime crisi spirituali che segnavano i tormenti interni, con i
quali avveniva la stesura di ogni nuovo romanzo.
Di
tutti i suoi libri, solo Guerra e Pace
[1869] riuscì a donargli pace e serenità d’animo, che completarono la
felicità dei primi anni di matrimonio.
Con il
passare del tempo, pertanto, le angosce e le difficoltà esistenziali andarono
acuendosi; nel 1901, piombò sul capo dello scrittore anche la scomunica,
decretatagli dalla Chiesa Ortodossa per i suoi scritti contro le degradazioni
della religione cristiana.
Lev Nicolaevic Tolstoj con il suo
segretario Vladimir Certkov, a Jasnaja Poljana, nel 1906.
Superati
gli ottanta anni – essendogli, ormai, insopportabile la vita familiare e
sociale – Tolstoj intraprese quell’ultimo viaggio che, ancora oggi, ha in sé
qualcosa di misterioso e di mitico. Con la sua morte, come ebbe a dire Thomas
Mann,
“l’Europa rimase senza padrone”.
L’autore
di Anna Karenina venne sepolto a Jasnaja Poljana, ai piedi di una vecchia
quercia che, per anni, era stato teatro dei giochi di infanzia dello scrittore
e dei suoi fratelli. Un semplicissimo tumulo ricoperto di erba ricorda che Lev
Nicolaevic Tolstoj riposa, per sempre, in quella terra, madre di semplicità e
di verità, che, in tutta la vita, aveva venerato e agognato.
E
proprio ai piedi della vecchia quercia, ora, ci rechiamo in un ideale
pellegrinaggio, per una intervista immaginaria
che possa fare luce sulle battaglie spirituali e morali di Tolstoj, con le sue
stesse parole.
ADZ: Lev Nicolaevic, il suo collega Fedor Michajlovic Dostoevskij ha scritto che Anna Karenina non è un romanzo innocuo, in quanto il personaggio di
Levin assomma su di sé le contraddizioni, le angosce e le lacerazioni di un
individualista, che si accorge del baratro, in cui viene a cadere chi fa del
proprio “io” il mondo. È un tema, questo, ricorrente in molte sue opere,
cardine della sua visione universale della vita e della società.
LNT: La
società ideale dovrebbe essere impregnata di vita fraterna e tale che gli
uomini lavorino, liberamente, l’uno per l’altro.
ADZ: E i governi a che servirebbero,
allora?
LNT: L’inganno,
mediante il quale il governo tiene in schiavitù la gente, non è vantaggioso per
alcuno… la violenza del governo si regge con l’inganno.
ADZ: È favorevole, Lev Tolstoj, alle
rivoluzioni, lei, che ha visto la prima rivoluzione russa del 1905, la
“domenica russa” di Pietroburgo,
l’ammutinamento dei marinai a Odessa?
LNT: La
rivoluzione ha fatto sì che il nostro popolo russo abbia visto la ingiustizia
della sua condizione. È la fiaba del re con il vestito nuovo. Il bambino che ha
detto come stavano le cose, che il re era nudo, questo è stata la rivoluzione…
Tuttavia, non bisogna contrapporre la violenza alla violenza. La eliminazione
dei potenti non serve a nulla.
ADZ: Perché?
LNT: Perché
tutti i governi sono eguali: l’ideale è l’anarchia, a condizione che non
pratichi la violenza, beninteso.
ADZ: Non esistono, quindi, governi giusti e
governi ingiusti.
LNT: Nulla
è più dannoso agli uomini dell’idea che le cause della loro miseria siano nelle
condizioni esteriori, anziché in loro stessi.
ADZ: Il bene, il male, allora, dove sono?
LNT: Ah,
se l’uomo avesse, finalmente, appreso a non pensare e a non giudicare con
troppa recisa assolutezza e non volesse dare, sempre, risposte a domande che
gli sono state poste, perché restino, eternamente, tali!
Volesse,
finalmente, comprendere che ogni pensiero è, nello stesso tempo, falso e vero.
Gli uomini in questo caos di bene e di male senza rive né fondo, che
eternamente fluttua e mescola i suoi elementi, si sono ritagliati delle zone
ideali, hanno tracciato delle linee immaginarie nel mare, sperando che il mare
si divida nell’ordine di quelle. Come se, partendo da altri punti di vista e su
altri piani, non si potessero tracciare milioni di altre linee!...
La
civiltà è il bene, la barbarie è il male; la libertà è il bene, la mancanza di
libertà è il male. Questo sapere immaginario annienta nella natura umana
l’istintiva, beata, originaria aspirazione dell’anima verso il bene.
ADZ: Un bene inteso in senso trascendente,
proprio di un’altra vita?
LNT: Ho
in mente una grande, stupenda idea, alla cui realizzazione mi sento di dedicare
tutta la vita. Questa idea è la fondazione di una nuova religione,
corrispondente al presente stato del genere umano: la religione di Gesù, ma
depurata dal dogma e dal misticismo. Una religione pratica che non prometta
beatitudine futura, ma che dia beatitudine sulla terra.
ADZ: Lev Nicolaevic, queste idee le hanno
valso la scomunica da parte della Chiesa Ortodossa. Queste idee la indussero,
nel 1882, a
disertare i festeggiamenti per la inaugurazione del monumento ad Aleksandr Sergeevic Puskin, a studiare Marco Aurelio, a
tradurre, perfino, i Vangeli. Il suo libro In che consiste la mia fede è stato
messo all’indice dalla censura ecclesiastica. Quali concetti, in particolare,
le hanno inimicato l’autorità religiosa?
LNT: Ho
scritto che tutti i mali del mondo derivano dal fatto che la vera dottrina
cristiana, quella che corrisponde ai bisogni dei nostri tempi, è nascosta agli
uomini e se ne presenta loro solo una contraffazione…
E che è
necessario, pertanto, tendere all’abolizione della falsa dottrina religiosa.
ADZ: Al termine della sua vita lei si
risolse di fuggire, di abbandonare la sua famiglia, la sua casa, i suoi libri.
Partì, di nascosto, quel 28 ottobre del 1910, da Jasnaja Poljana, forse, alla
volta del Caucaso. Ma al Caucaso non arrivò mai, perché la stazione di Astapovo
segnò il termine del suo viaggio e della sua vita.
Perché, Lev Nicolaevic, lei prese la
decisione di ritirarsi in solitudine?
LNT: Come
gli indiani vanno nella foresta, quando hanno sessanta anni; come ogni uomo
vecchio e religioso desidera consacrare gli ultimi anni della sua vita a Dio e
non alle burle, alle freddure, al pettegolezzo, al tennis; così io, arrivato a
settanta anni, ho desiderato con tutte le mie forze la calma e la solitudine.
ADZ: Dopo la sua morte, Maksim Gor’kij, che
pure era ateo, esclamò nei suoi confronti:
“Questo
uomo è simile a Dio.”
Lei, di sicuro, non poté ascoltare, ma
chissà se mai le querce di Jasnaja Poljana glielo abbiamo sussurrato,
stormendo.
Daniela Zini
Copyright © 11 gennaio 2015 ADZ
Chi può dire se, quando le strade si
incontreranno, questo Amore sarà nel tuo cuore?
Tutte le risposte di Lev Nicolaevic Tolstoj sono state tratte dai romanzi e dai
Diari dello scrittore.
Con “domenica russa”, in russo: Кровавое воскресенье, si è soliti indicare
l'eccidio compiuto a San Pietroburgo, il 22 gennaio 1905 [9 gennaio secondo il
calendario giuliano] da reparti dell'esercito e della guardia imperiale, che
aprirono il fuoco contro una manifestazione pacifica di dimostranti disarmati
diretti al Palazzo d’Inverno per presentare una supplica allo zara Nicola II.
La
marcia era stata organizzata dal pope Gapon, che, in seguito, fu accusato di
essere un agente provocatore della polizia politica zarista. La strage ebbe
gravissime conseguenze per il regime, perché minò, profondamente, la fiducia
della popolazione nei confronti dello zar, aprendo la strada alla Rivoluzione
del 1905.
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