GESU’ E I FANCIULLI
“13
Allora gli furono presentati dei
bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli sgridarono
coloro che glieli presentavano. 14 Gesù però disse: Lasciate i piccoli
fanciulli e non vietate loro di venire a me, perché di tali è il regno de’
cieli. 15 E imposte loro le mani, si partì di là.”
Matteo
19, 13-15
Pour Toi
Au début j’étais amoureuse
De la splendeur de tes yeux,
De ton sourire,
De ta joie de vivre.
Maintenant j’aime aussi tes larmes
Ta peur de vivre
Et le désarroi
Dans tes yeux.
Mais contre la peur
Je t’aiderai,
Car ma joie de vivre
Est encore la splendeur des tes yeux.
Rome,
le 11 août 2011
Cari
Ragazzi,
Voi
siete gli animatori delle nostre case, delle nostre aule, nel mondo intero…
Sì,
ho pensato, subito, a Voi, perché Voi siete sensibili e attenti al dolore e
alle sofferenze di quei Ragazzi che, in questo stesso momento, sono, in strada,
gli occhi impauriti, pieni di dolore, in cerca della loro famiglia, di un segno
di vita e di un senso di tutto ciò che accade loro.
Io
mi rivolgo a Voi perché Voi siete generosi, capaci di gesti coraggiosi.
La
gatta ama i suoi piccoli. Ma non li distingue più, una volta che sono divenuti
adulti. Invece, nel corso del suo cammino, l’uomo è, costantemente, obbligato a
scegliere.
Può
decidere di far mangiare, prima di lui, la persona che ama.
Mi
piace ripetere questa frase:
“L’uomo
è l’immagine di Dio.”
Alcuni
ci scherzano su, rispondendo:
“Beh,
allora Dio non è molto bello!”
Ma
io paragono l’uomo a Dio come il sigillo che viene impresso nella cera. Non
conosco il timbro, forse, non lo vedrò mai, ma se osservo, con attenzione, me
stessa in profondità, scopro l’infinito. L’uomo è immagine di Dio in negativo,
perché tutto ciò che grida in lui, tutto ciò che tende a superare la legge
naturale, che è soggetta a istinti brutali, rappresenta una scelta.
Non
esiste la generosità istintiva.
Se
non esistesse nel cosmo quella piccola nullità che è l’uomo, dotato della
libertà che gli permette o di raccogliere, da egoista, tutto ciò che trova,
anche a scapito degli Altri, o di sforzarsi di aiutare il prossimo a condurre
una vita migliore; se non vi fossero gli esseri umani, che non sono altro che
polvere infinitesimale del cosmo, l’universo nella sua totalità sarebbe
assurdo.
E
questo che cosa significa?
Se
la libertà non fosse in grado di sprigionarsi in qualche momento cruciale –
quel momento che io chiamo attenzione – la vita sarebbe assurda…
Io Vi domando di trasmettere questo messaggio
alle Vostre famiglie, alle persone del Vostro quartiere, alla Vostra scuola,
affinché la catena di solidarietà cresca nel mondo intero e divenga un segno di
speranza e di amore concreto.
Io sono sicura che il Vostro cuore Vi
suggerirà le parole per fare delle Vostre case, delle Vostre scuole, luoghi di
solidarietà.
Restiamo
uniti con tutti i Ragazzi del mondo e tra noi: l’unione fa la forza!
Vi
ringrazio di cuore.
Crediate
in tutto il mio affetto.
“Se
vi è qualcosa che desideriamo cambiare nel bambino, dovremmo prima esaminarlo
bene e vedere se non è qualcosa che faremmo meglio a cambiare in noi stessi…”
È
questo il pensiero di uno dei massimi pensatori moderni, Carl Gustav Jung.
Riecheggia
quanto duemila anni fa affermava Gesù:
“1 In quel momento i
discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: “Chi dunque è il più grande nel regno
dei cieli?” 2 Allora Gesù chiamò a sé un
bambino, lo pose in mezzo a loro e disse:
3 “In verità vi dico: se non vi
convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei
cieli. 4 Perciò chiunque diventerà piccolo come
questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.
5 E
chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me.
6 Chi
invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe
meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e
fosse gettato negli abissi del mare. 7 Guai
al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo
per colpa del quale avviene lo scandalo!
8 Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e
gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere
due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. 9 E se il
tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per
te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato
nella Geenna del fuoco.
10 Guardatevi
dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli
nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli. 11 [È venuto infatti il Figlio dell’uomo a salvare ciò che era perduto]. 12 Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore
e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in
cerca di quella perduta? 13 Se
gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per
le novantanove che non si erano smarrite. 14 Così il Padre vostro
celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli.
15 Se
il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti
ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16 se non ti ascolterà,
prendi con te una o due persone, perché ogni
cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17 Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea; e se non
ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano.
18 In
verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in
cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in
cielo.
19 In verità vi dico
ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque
cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà.
20 Perché
dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.”
Matteo,
18, 1-20
La
predilezione che Gesù ebbe per i fanciulli ci sembra, oggi, del tutto naturale,
siamo portati a considerarla come la manifestazione di un animo particolarmente
sensibile e nulla più.
Ma
non è così.
L’atteggiamento
di Cristo verso l’infanzia era, a quell’epoca, inconcepibile e ha provocato una
delle più grandi e silenziose rivoluzioni nella storia dei rapporti umani. Per
rendercene conto è utile tratteggiare, almeno a grandi linee, la figura dei
ragazzi prima della venuta di Cristo.
Lo
scorso secolo, fu rinvenuto un papiro risalente all’anno 1 a.C. È una lettera, che un egizio, allontanatosi, per qualche
tempo, da casa, aveva scritto alla moglie prossima a partorire. La lettera
termina con questa raccomandazione:
“Quando
avrai partorito il bambino, se è maschio allevalo; se è femmina, uccidila.”
Non
si trattava di un padre snaturato, come diremmo, oggi, ma di un bravo
cittadino, che agiva come tanti altri bravi cittadini dell’epoca.
A
Roma, come ad Atene, un padre aveva diritto di vita o di morte sui neonati fino
al riconoscimento della paternità, una cerimonia che si svolgeva una decina di
giorni dopo la nascita. Solo dopo tale cerimonia l’uccisione di un fanciullo
veniva considerata un omicidio. A Sparta, non era il padre a decidere, ma lo
Stato: ogni neonato doveva essere presentato a un collegio di anziani che
decideva se farlo vivere o meno. Per i nati gracili o malformati non vi era via
di scampo. Esisteva, naturalmente, l’aborto con il quale si tentava di frenare
la crescita demografica in tutte le città greche e a Sparta, in particolare.
Erano validi anche altri provvedimenti, poi, tornati in uso nella Cina di Mao:
proibizione di rapporti sessuali, matrimoni dopo i venticinque anni, segregazione
delle donne e quant’altro.
In
casi di carestia, bisognava ridurre le forze non produttive. Ovviamemente, si
iniziava con l’eliminare i bambini, abbandonandoli in balia degli elementi
naturali. Anziché essere uccisi venivano fatti morire di fame e di freddo. Era
la cosiddetta “esposizione dei bambini”. A Roma, si usava lasciarli sulla
soglia di un tempio, fingendo di sperare in un ipotetico salvatore: a tale
scopo, i benestanti mettevano accanto al bimbo un oggetto di valore, i poveri
una corona di olivo come portafortuna. Ma lo Stato scoraggiava le adozioni: il
padre naturale, infatti, aveva, sempre, diritto sul figlio e poteva
riprenderselo quando, cresciuto, era in grado di lavorare.
Le
menti più illuminate della civiltà greca non solo approvavano tali pratiche, ma
trovavano argomenti convincenti per giustificarle.
Platone
insegnava che non bisognava nutrire i figli di genitori miserabili.
“Non
è, forse, meglio che muoiano subito piuttosto che vivano una vita grama fatta
di stenti e miserie?”,
si
diceva, comunemente, tra gli intellettuali dell’epoca. Aristotele considerava
pericolosa, per l’equilibrio della polis,
la crescita demografica e proponeva che lo Stato intervenisse, perché il
diritto alla procreazione fosse riservato solo agli uomini che avessero
superato i trentasette anni di età e non avessero ancora raggiunto i
cinquantacinque. Si riteneva, comunemente, che la Grecia non potesse nutrire un
solo uomo in più: il rapporto tra territorio e popolazione doveva essere
mantenuto con tutti i mezzi, per evitare un futuro catastrofico per tutti.
Sempre Aristotele invocava la legge perché intervenisse, energicamente, a
impedire che venissero allevati bambini con handicap.
Anche la miseria era considerata una grave malattia e le famiglie povere
dovevano lasciare senza cibo i figli “per non trasmettere loro questa terribile
malattia”.
Le
preoccupazioni economiche guidavano, dunque, la morale di molti genitori e lo
Stato tollerava, volentieri, l’infanticidio in periodi di magra. Solo quando
aveva bisogno di soldati per le sue guerre si preoccupava dei bambini e
organizzava forme di assistenza alle famiglie povere e numerose.
Abbiamo,
naturalmente, parlato di bambini nati liberi; per gli schiavi non vi era nessun
tipo di problema: la loro vita non valeva più di quella di un animale da
cortile. Anche i figli di ragazze-madri non avevano molte speranze di
sopravvivere: la donna “colpevole” veniva cacciata di casa o venduta e il
figlio abbandonato o ucciso.
La
situazione in Palestina non era come nel resto del mondo. Già, al tempo di
Abramo, gli ebrei avevano iniziato a tralasciare le pratiche di uccidere il
primogenito, come facevano, invece, tutti gli altri popoli antichi. I loro
vicini, i cananei, immolavano un bambino, quando iniziavano i lavori di costruzione
di una casa e ne sotterravano il corpo sotto la porta; i filistei non mancavano
mai di offrire al loro dio il sangue di ogni primogenito; al momento della
fondazione di Gerico, Hiel aveva sacrificato non solo il primogenito Abiram, ma
anche Segub, l’ultimo nato.
Il
fascino delle civiltà dei popoli che attorniavano i pastori di Israele era
forte e, spesso, i figli di Abramo cadevano nella tentazione di imitare i
costumi socialmente avanzati dei vicini, ma la voce dei profeti si elevava,
ogni volta, ad ammonirli e la legge mosaica puniva con la morte coloro che
bruciavano i loro figli e le loro figlie in onore degli dei.
Al
tempo di Gesù, la vita di un bambino israelita era, generalmente, considerata
sacra al pari di quella di un uomo. Ma un bambino non aveva diritti, solo
doveri; era una creatura che doveva essere costruita (il termine figlio, in
ebraico, deriva dal verbo costruire). Il padre aveva su di lui una autorità
indiscussa. La Bibbia gli raccomandava:
“Fagli
piegare il capo fintanto che è giovane. Non risparmiargli i colpi.”,
ma
lo avvertiva anche che un bravo genitore non doveva far morire il proprio
figlio sotto punizioni eccessivamente dure.
I
bambini dovevano, innanzitutto, rispettare i genitori e i vecchi. E se non lo
facevano, si raccontava loro l’episodio del profeta Eliseo che, deriso da un
gruppo di monelli, aveva invocato su di loro la maledizione divina e… subito erano
spuntati dalla foresta due orsi, che avevano sbranato quarantadue fanciulli.
Il
Vangelo capovolge la situazione dei bambini.
Il
racconto inizia con due protagonisti fanciulli: Giovanni Battista e Gesù. È la
prima volta nella storia che un fanciullo sia al centro non solo dell’attenzione
e dell’amore, ma anche del rispetto dei genitori, che non lo considerano un
essere, che appartiene loro. Gesù è adorato dai pastori e dai magi non per
quello che sarà, ma per quello che è:
“11
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo
adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e
mirra.”
Matteo,
2, 11
Sia
Giovanni Battista, sia Gesù manifestano, in giovanissima età, la loro
indipendenza dai genitori: il primo, ritirandosi a vivere tra i nomadi del
deserto; il secondo, sottraendosi alla loro vigilanza all’età di dodici anni
con l’affermare che deve rendere conto delle sue azioni non tanto ai genitori
quanto a Dio.
Erode
rappresenta, nelle prime pagine del Vangelo, la vecchia concezione: fa uccidere
tutti i bambini in età inferiore ai due anni. L’avvenimento non è registrato
che dal Vangelo: gli storici pagani non trovavano la cosa così straordinaria da
essere ricordata. Macrobio dirà di sfuggita, attribuendo ad Augusto la battuta:
“Melius est Erodis porcum esse quam filium. [È
meglio essere un porco di Erode che un suo figlio.]”
Microbio,
Saturnalia, II, 4-11
La
battuta è ricordata perché in greco la parola porco è simile alla parola
figlio. Erode, come giudaizzato, non poteva mangiare porco e, pertanto, non lo
uccideva; mentre, di fatto, uccideva i propri figli. Insieme ad Alessandro e ad
Aristobulo, Erode aveva fatto uccidere trecento ufficiali, accusati di
parteggiare per i due giovani. Nel 4
a.C., soltanto cinque giorni prima della morte, aveva
fatto uccidere un altro suo figlio, il primogenito Antipatro, che aveva designato
erede al trono: di questa morte era stato cosi soddisfatto che, sebbene si
trovasse in condizioni disperate di salute, era sembrato riaversi e migliorare.
Gesù
si salva e con lui, ormai, si salveranno dalla loro condizione di schiavi in
balia dell’autorità tutti i fanciulli.
Durante
tutta la vita pubblica, Gesù è attorniato da bambini: li considera i suoi
migliori discepoli e invita gli stessi Apostoli a prenderli come esempio. La
prima volta che Gesù perde la pazienza, è proprio per difendere i bambini, che
gli apostoli sgridavano a causa del chiasso che facevano.
“14
Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: “Lasciate che i bambini vengano
a me, non glielo impedite: a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di
Dio. 15 In
verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un
bambino, non entrerà in esso.” 16 E, prendendoli tra le braccia, li benediceva,
imponendo le mani su di loro.”
Marco,
10, 13-16
I
due primi grandi miracoli che compie avranno come protagonisti una fanciulla e
un fanciullo che risusciterà.
Il
bambino era l’ultimo gradino della società, un essere in balia dei genitori e
della società stessa. Doveva solo pensare a diventare grande, imitando
ovviamente l’esempio dei “grandi”, modelli perfetti.
Gesù
capovolge la situazione con un paradosso: non i piccoli debbono imitare i
grandi, ma gli adulti farsi piccoli.
È
la condizione che pone per poter entrare nel Regno dei Cieli.
“1 In quel momento i discepoli si avvicinarono a
Gesù dicendo: “Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?” 2 Allora
Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: 3 “In verità
vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete
nel regno dei cieli. 4 Perciò
chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno
dei cieli.
5 E
chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me.”
Matteo,
18, 1-5
I
bambini non sono persone di serie B, non sono uomini-in-divenire, ma hanno una
loro compiuta personalità, una loro dignità e meritano, pertanto, non solo
affetto e amore, ma anche rispetto. Il rispetto non è legato alla potenza e
alla salute e all’età, ma deriva dal fatto che tutti gli esseri, belli e
brutti, sani e malati, uomini e donne, appena nati o vecchi, sono egualmente
figli di Dio. Genitori e società non hanno più dei diritti sui bambini, ma solo
dei doveri: proteggerli, nutrirli, educarli, rispettarli.
A
tutt’oggi l’insegnamento di Gesù è lungi dall’essere messo pienamente in
pratica. Il bambino è, spesso, visto come un investimento.
“Non
vi è nessun investimento migliore che mettere latte dentro i bambini.”,
diceva
Winston Churchill, ed è, per questo, ancora considerato inferiore se portatore
di handicap. Inferiore al punto che alcuni Stati intervengono non più per
eliminarli, ma per impedire che nascano…
Come
un tempo, lo Stato li considera come futuri soldati o forze di lavoro e, a tale
scopo, li programma fino dall’infanzia, maneggiandoli senza quel rispetto alla
loro personalità e alle loro capacità che Gesù ha predicato.
Ma
il germe rivoluzionario, seminato duemila anni fa, ha, già, da tempo, iniziato
a dare frutti positivi e, oggi, almeno sulla carta, tutti gli uomini sono
concordi nel riconoscere i diritti dei bambini.
Daniela
Zini
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