500 anni fa moriva
LEONARDO
di Messer Piero da Vinci
[Anchiano, 15 aprile 1452 – Amboise,
2 maggio 1519]
a
Valerio Carolei e a Suo Nipote David
“Non troverai mai
la verità, se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi di
trovare.”
Eraclito di Efeso
Vi è
un’armonia nascosta e ineffabile nel rinnovarsi a ogni istante dell’esperienza,
di ogni esperienza, mai eguale a se stessa.
È il
messaggio fondamentale del “Panta rei”, “Tutto scorre”, di Eraclito di Efeso,
di cui, secondo Friedrich Wilhelm Nietzsche, il Mondo avrebbe “eternamente
bisogno”, così come ha, eternamente, bisogno di Verità.
Perché
“armonia”?
Il
conflitto, polemos, è “di tutte le cose il padre, di tutte le cose il
re” [Fr. 22].
Provoca
il cambiamento.
Ma il
gioco del continuo mutamento lascia intravedere uno “sfondo” unitario: il
mistero della Vita, che “mutando riposa ”[Fr. 33].
Ha
scritto Nietzsche:
“Luce
e ombra, amaro e dolce, sono in ogni momento vicini e avvinghiati l’uno
all’altro come due lottatori, dei quali ora questo ora quello prende il
sopravvento. Dalla guerra dei contrari nasce ogni divenire: le qualità
determinate che ci appaiono come durevoli esprimono solo la momentanea
preponderanza di un lottatore, con ciò, tuttavia, la guerra non è mai finita,
questo lottare si protrae in eterno.”
E a
questa sfida della conoscenza, che è una sfida ardua, noi non possiamo
sottrarci.
Noi tutti siamo esiliati
entro lo cornici di uno strano quadro.
Chi sa questo, viva da grande,
Gli altri sono insetti.
Leonardo
Ernesto Solari, artista e studioso
esperto di Leonardo, attribuisce al Maestro questa terracotta, raffigurante un
Gesù fanciullo, che avrebbe avuto come modello Salaì e di cui avrebbe fatto, in
più occasioni, una precisa descrizione il pittore Giovanni Paolo Lomazzo, che
ne sarebbe venuto in possesso.
PUBLIO ELIO TRAIANO ADRIANO
UOMINI DI STORIA
STORIA DI UOMINI
1950 anni fa
nasceva Adriano l’Imperatore della Pax Romana
di Daniela Zini
AKHENATON
UOMINI DI STORIA
STORIA DI UOMINI
Amenofi IV
l’Apostata
di Daniela Zini
JULIAN PAUL ASSANGE
Se
WikiLeaks?...
di Daniela Zini
MIKHAIL VASILYEVIC BEKETOV
Veni,
Vidi, Vi[n]ci
I.
Giornalista, cronaca di una morte annunciata
di Daniela Zini
ZINE EL-ABIDINE BEN ALI
Ben Ali in fuga
dalla Craxi Avenue
di Daniela Zini
PAOLO BORSELLINO
SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
6. MAFIA: “UN
MUOITTU SULU ‘UN BAISTA, NI SIEBBONO CHIOSSAI!” a. Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino furono sacrificati alla Ragione di Stato?
di Daniela Zini
ANGELO BRUNETTI
UOMINI DI STORIA
STORIA DI UOMINI
114 anni fa
nascava Ciceruacchio
di Daniela Zini
ANTONINO CAPONNETTO
Memento Memoriae
di Antonino Caponnetto
di Daniela Zini
ANTON PAVLOVIC CECHOV
UNA VIAGGIATRICE EUROPEA ALL’ALBA DI UN NUOVO MILLENNIO SULLE STRADE CHE VIDERO GENGIS
KHAN E MARCO POLO
Sakhalin:
l’Inferno dei reclusi a vita
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BLAISE CENDRARS
Blaise Cendrars il soldato vagabondo che inventò la Poesia
Moderna
di Daniela Zini
CONFUCIO
Confucio e
l’antica cultura
di Daniela Zini
DONATIEN-ALPHONSE-FRANCOIS DE SADE
UOMINI DI STORIA
STORIA DI UOMINI
Il Divino Marchese
di Daniela Zini
DARIO I IL GRANDE
La gloria di Re
Dario tramonta a Maratona
di Daniela Zini
CECCO D’ASCOLI
UOMINI DI STORIA
STORIA DI UOMINI
Cecco d’Ascoli
astrologo senza paura
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DWIGHT DAVID EISENHOWER
50 anni fa il
monito di Eisenhower
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Omaggio a Giovanni
Falcone
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Giovanni Falcone
ce l’ha insegnato, la Mafia è un reato!
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SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
6. MAFIA: “UN
MUOITTU SULU ‘UN BAISTA, NI SIEBBONO CHIOSSAI!” a. Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino furono sacrificati alla Ragione di Stato?
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MOHANDAS KARAMCHARD GANDHI
La non-violenza
sconfiggerà la violenza
di Daniela Zini
La non-violenza
sconfiggerà la violenza?
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GESU’
Gesù e le donne
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Gesù e i fanciulli
di Daniela Zini
… e abitò tra noi!
di Daniela Zini
FLAVIO CLAUDIO GIULIANO
Giuliano il
restauratore del Paganesimo
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JOHN MAYNARD KEYNES
Keynes, profeta del New Deal
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MARTIN LUTHER KING
I have a dream…
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THOMAS EDWARD LAWRENCE
125 anni fa
nasceva El Aurens Lawrence d’Arabia
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LEONARDO
1.
Perché Leonardo?
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MALCOLM
UOMINI DI STORIA
STORIA DI UOMINI
Malcolm X
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NELSON ROLIHLAHLA MANDELA
Nelson Mandela una
candela nel vento
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BRADLEY EDWARD MANNING
Eroi o traditori?
I. Il processo di
Bradley Manning minaccia il giornalismo di inchiesta
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TOMAS GARRIGUE MASARYK
Dopo 60 anni
ancora un enigma la fine di Masaryk
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JORGE RAFAEL VIDELA REDONDO
UNA VIAGGIATRICE EUROPEA ALL’ALBA DI UN NUOVO MILLENNIO SULLA ROTTA DI CRISTOFORO COLOMBO
Argentina I. La
Tripla A: un nome che semina morte
di Daniela Zini
LEV NICOLAEVIC TOLSTOJ
UOMINI DI STORIA
STORIA DI UOMINI
105 anni fa moriva
Lev Nicolaevic Tolstoj
di Daniela Zini
“I moti del Vinci sono della nobiltà dell’animo, della facilità,
della chiarezza d’imaginare, della natura di sapere, pensare et fare, del
maturo consiglio, congiunto con la beltà delle faccie, della giustitia, della
ragione, del giuditio, del separamento delle cose ingiuste dalle rette,
dell’altezza della luce, della bassezza delle tenebre, dell’ignoranza, della
gloria profonda della verità, et della carità regina di tutte le virtù. Così
Leonardo parea che d’ogni hora tremasse, quando si ponea a dipingere, e però
non diede mai fine ad alcuna cosa cominciata, considerando quanto fosse la
grandezza dell’arte, talché egli scorgeva errori in quelle cose, che agli altri
pareano miracoli. Leonardo nel dar il lume mostra che habbi temuto sempre di
non darlo troppo chiaro, per riservarlo a miglior loco et ha cercato di far
molto intenso lo scuro, per ritrovarli suoi estremi.
Onde con tal arte ha conseguito nelle faccie e corpi, che ha
fatti veramente mirabili, tutto quello che può far la natura. Et in questa
parte è stato superiore a tutti, tal che in una parola possiam dire che ‘l lume
di Leonardo sia divino.”
Giovanni Paolo Lomazzo
[1538-1592]
Perché Leonardo?
Perché, oggi, Leonardo è tra noi con una vitalità che poche
figure della Storia, dell’Arte, della Scienza – anche di epoche ben più recenti
– possono vantare.
Di Leonardo, certamente uno dei più inquieti Geni dell’Umanità,
non si può considerare un aspetto se non intimamente connesso con gli altri.
Possiamo parlare delle Opere d’Arte sulle quali, esclusivamente,
la sua fama si è sostenuta, per circa tre secoli, o considerare la sua
artigiana genialità che mossa da una sfrenata curiosità, da una sconfinata sete
di conoscenza, quantunque “omo senza lettere”,
lo portò alle più geniali anticipazioni e intuizioni di scoperte e Verità.
Possiamo valutare, ancora, la fermezza d’animo dell’individuo che, chiaramente
controcorrente, per amore di vera Scienza si spinse avanti nelle sue
intenzioni, attitudini, pensieri e azioni, senza troppo preoccuparsi del
discredito tra i suoi contemporanei che, quando non lo accusavano di
profanazione e, perfino, di negromanzia, ne lamentavano che poco si dedicasse
all’Arte in cui appariva eccelso e che, invece, troppo amasse “i capricci del filosofar delle cose
naturali”.
È questo “filosofar”
la chiave per penetrare, anche, gli altri molteplici aspetti di un geniale
eclettismo?
Se per filosofia si intende una concezione organica del reale,
una ricerca sistematica della Verità, la coscienza speculativa di Leonardo ha,
certamente, raggiunto l’ambita Verità non tanto con il potere riflessivo della
mente, quanto con l’oggettivo proiettarsi della mente nella Natura, con il
ritrovare nella esperienza le ragioni della Scienza e la via per attuare il
dominio dell’Uomo su questa Natura. Temi universali, senza confini di Spazio o
di Tempo. E da qui viene l’attualità di un messaggio che è rivolto al Futuro
dell’Uomo; da qui viene la profondità di una interpretazione che offre cerchi,
sempre, più ampi di ispirazione e di stimolo alle persone, anche dopo cinque
secoli dalla morte del Maestro.
In quel crogiolo di menti eccelse che il Rinascimento è stato
per il mondo dell’Arte e della Cultura, la figura di Leonardo campeggia dall’alto del suo incommensurabile bagaglio
del sapere. È lui il Genio Universale, nell’accezione sublime del termine, il
poliedrico cervello cui nulla sfugge, tutto compreso del mosaico di conoscenze
che persegue, con una profondità metodica, solo apparentemente scomposta.
Nella sua eccezionale lungimiranza, Leonardo si rivela un
portentoso innovatore, l’Uomo che “riprende tutto da capo”, per penetrare il
mistero dell’Universo Umano nei suoi più reconditi aspetti, anticipando a tal
punto i tempi da non essere compreso a pieno dai suoi contemporanei.
Non vi è materia che non abbia sviscerato, elaborando nuove e
originali teorie che non sono state alla base del moderno progresso
scientifico.
I suoi progetti architettonici si sono rivelati di una
sorprendente attualità, perfino, in questo secolo che brucia gli ingegni
sull’altare del continuo rinnovamento.
Un Genio della sua levatura è, davvero, una plurisecolare rarità
dalle origini misteriose, che si manifesta al genere umano con una frequenza
tristemente rarefatta.
Una simile virtù, condensata in somma misura, non segue,
purtroppo, le leggi cromosomiche della successione ereditaria.
Il dopo Leonardo si configura come una coltre nebbiosa, dietro
la quale vi è soltanto un vuoto sconfortante, un buio quantificabile in anni
luce di eclissi intellettuale.
In un film del 1967, I
sovversivi dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani, appariva il personaggio
di un regista cinematografico alle prese con la biografia di Leonardo da Vinci.
Al cineasta Ludovico interessava soprattutto l’ultimo periodo della vita del Genio,
nel quale si compiaceva di rispecchiare, con effetto piuttosto grottesco, la
propria crisi personale. E il film
nel film mostrava, così, un Leonardo
morente, in fuga dalle corti che l’avevano ospitato, animato da una smania
tolstoiana di aria e di libertà.
A breve distanza da I
sovversivi, un regista vero si trovava nell’imbarazzante situazione
dell’immaginario Ludovico, quella di confessarsi, raccontando la vita di
Leonardo: Renato Castellani – ligure, cinquantasette anni, laureato in
architettura, autore di films famosi,
Sotto il sole di Roma e Due soldi di speranza – stava
realizzando per la RAI-TV un Leonardo
in cinque puntate, dopo avere impiegato due anni a scrivere la sceneggiatura,
con la consulenza di Cesare Brandi.
Esistono figure della Storia di cui è agevole ricostruire, sulle
cronache e sui documenti, l’itinerario biografico e psicologico; e altre, che
viste da vicino, si rivelano ambigue e misteriose.
Tra queste ultime è Leonardo.
La sua biografia si fonda su scarsi elementi, appare laconica e
misteriosa, infarcita di leggende e di inesattezze.
Giorgio Vasari, nelle Vite
de’ più eccellenti pittori, scultori et architettori fa morire l’artista “in braccio” a Francesco I e “nell’età sua d’anni settantacinque”.
“Mentre Leonardo”,
affermava Castellani,
“morì a
sessantasette anni d’età e il giorno della sua morte Francesco I si trovava a
Saint-Germain.”
Nell’enumerare le difficoltà incontrate il regista riferiva:
“Di Leonardo non
possediamo lettere. L’unica che ci è pervenuta quasi per intero è la famosa
epistola a Ludovico il Moro ed è una lettera, diciamo così, di affari. Anche
della sua opera non conosciamo molto: poco più di una decina di quadri sono
sopravvissuti al loro tempo e di questi, almeno quattro, sono d’incerta
attribuzione.”
E non solo.
Del famoso cavallo per il monumento a Francesco Sforza, scultura
alta sette metri, non esistono più che alcuni disegni; della grande Battaglia di Anghiari è rimasta solo una
una sanguigna di Pieter Paul Rubens e una piccola copia; i ricchissimi Codici furono smembrati e dispersi.
Definito “mirabile e celeste” da Giogio Vasari, Leonardo “era tanto piacevole nella conversazione che
tirava a sé gli animi delle genti”: eppure nelle memorie dei contemporanei
è nominato ben poco e Leonardo stesso parla pochissimo di sé. Appena qualche
frase sintomatica, come quella famosa:
“E se tu sarai
solo sarai tutto tuo.”,
da cui bisogna ricostruirne il carattere con la bravura
dell’archeologo, che da un residuo frammento riesce a immaginare l’opera
intera.
Così fece Sigmund Freud, nel 1910, pubblicando il saggio, Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci,
che fu accolto da proteste indignate. Parve, infatti, che il fondatore della
psicoanalisi avesse valicato i limiti dell’osservazione scientifica analizzando
un sogno infantile riferito dall’artista: l’incubo di un nibbio che si
avventava sul suo letto e con la coda gli percuoteva la bocca. Da questa
immagine notturna Freud risaliva alla malcerta condizione del sognatore come “figliuolo non legittimo” del notaio Ser
Piero da Vinci, coccolato dalla madre Caterina e troppo presto strappato a lei.
Per tutta la vita, Leonardo sublimò in un ideale di bellezza
androgino, che si evidenzia negli ambigui sorrisi dei suoi ritratti, la carenza
dell’affetto paterno e l’eccesso di quello materno; il suo stesso eclettismo
ossessivo si spiegherebbe, secondo Freud, con i dati della sessualità
infantile.
Per evitare i rischi delle biografie romanzate, Castellani aveva
scelto la mediazione di un personaggio didascalico, interpretato dall’attore
Giulio Bosetti, vestito, in modo inappuntabile, in completo grigio e cravatta,
per introdurre, commentare e integrare lo sceneggiato, creando una curiosa
commistione di epoche.
Quanto all’interprete di Leonardo, la ricerca era stata lunga,
aveva contemplato molti grandi nomi del cinema dallo svedese Max von Sidow a
Laurent Terzieff.
Sempre insoddisfatto, il regista ripeteva ai suoi collaboratori:
“Leonardo era uno
che piegava con le mani un ferro di cavallo e che poi, con quelle stesse mani,
ha dipinto la Gioconda.”
Dopo molti provini era stato scelto l’attore francese Philippe
Leroy, quaranta anni, nobile dei conti Leroy-Beaulieu, ex-parà in Indocina,
ex-giocatore di rugby, interprete di cinquanta films dal giorno del 1960, in cui il regista Jacques Becker lo
“intrappolò” tra i carcerati de Il buco.
Non era mancino come Leonardo, ma aveva promesso che si sarebbe
esercitato, puntigliosamente, tutti i giorni a scrivere e a disegnare con la
mano sinistra.
E, il 24 ottobre 1971, la RAI-TV
mandava in onda la prima delle cinque puntate dello sceneggiato La vita di Leonardo da Vinci per la
regia di Renato Castellani.
Era un’opera ambiziosa, che aveva richiesto circa sei mesi di
lavorazione e l’impiego di oltre un centinaio di attori e cinquecento comparse
ed era stata girata nelle diverse città italiane, che il Sommo Leonardo aveva
toccato nel corso della sua vita, Roma, Firenze, Milano e Venezia, solo per
citarne alcune.
Un’opera che si discostava molto dalle produzioni televisive
girate fino ad allora.
Lo sceneggiato si apriva con le ultime ore di vita di Leonardo.
È il 2 maggio del 1519.
Il sessantasettenne Leonardo è, dall’autunno del 1516, ospite
del suo più grande estimatore, il Re di Francia Francesco I, nel Castello di
Clos Lucé.
Leonardo è nel suo letto, indebolito da una
probabile trombosi cerebrale, che gli ha tolto, parzialmente, l’uso
della mano destra e sta per ricevere la visita del Re in persona, preoccupato
per le sue condizioni di salute.
Tenta di sollevarsi dal letto, ma il Sovrano lo esorta a non
sforzarsi: “Come state, mon ami?”
chiede Francesco I a Leonardo.
“Pensavo a quante
cose non fatte, studiate, incominciate…”
“Quante cose che
avete fatto, invece…”
risponde il Re.
Era un Uomo affascinante, racconta Giulio Bosetti, citando
Giorgio Vasari:
“Grandissimi doni
si veggono piovere dagli influssi celesti ne’ corpi umani molte volte
naturalmente, e sopra naturali, talvolta, strabocchevolmente accozzarsi in un
corpo solo bellezza, grazia e virtù, in una maniera, che dovunque si volge quel
tale, ciascuna sua azzione è tanto divina, che lasciandosi dietro tutti
gl’altri uomini, manifestamente si fa conoscere per cosa [come ella è] largita
da Dio e non acquistata per arte umana. Questo lo videro gli uomini in Lionardo
da Vinci, nel quale oltra la bellezza del corpo, non lodata mai a bastanza, era
la grazia più che infinita in qualunque sua azzione; e tanta e sì fatta poi la
virtù, che dovunque l’animo volse nelle cose difficili, con facilità le rendeva
assolute. La forza in lui fu molta e congiunta con la destrezza, l’animo e ‘l
valore, sempre regio e magnanimo.”
2.
MONNA LISA
La Monna
Lisa, nell’inventario del Louvre, è, semplicemente, catalogata con il numero
779, ma di lei si sono “invaghiti” re e scalpellini,
grandi artisti e uomini comuni…
Bozza su cartone de La
Gioconda, attribuita a Leonardo.
Quell’ambiguo sorriso attraverso i secoli…
“Do you smile to tempt a lover, Mona
Lisa.
Or is this you way ti hide a broken
heart?”
così la calda voce dell’oramai classico Nat King Cole intona i versi di
una canzone composta a Hollywood, nel 1949, e canta l’antico, irrisolto quesito
de La Gioconda.
Leonardo non era più tanto giovane, quando la ritrasse, a Firenze, tra il
1503 e il 1507, aveva poco più di cinquanta anni. Portò con sé questo
capolavoro – un dipinto di centimetri 53 x 77 su pannello di legno di pioppo –
ovunque: a Roma, dove lavorò, tra il 1513 e il 1516, per Giuliano de’ Medici
figlio di Lorenzo il Magnifico e fratello di papa Leone X e, in Francia, dove,
ospite del re Francesco I, concluse la sua vita di genio e di artista
inimitabile.
Perché questo amore?
Forse, la risposta, che non conosceremmo mai con certezza, è la stessa che
potrebbe mettere fine agli infiniti interrogativi suscitati dall’ambiguo e
seducente sorriso di questa Dama misteriosa di cinque secoli fa.
Leonardo era, anche, uno scienziato e l’origine del suo amore per Monna Lisa
potrebbe essere legata alla consapevolezza di avere realizzato un capolavoro di
tecnica pittorica, ma non è detto!
Le ipotesi sono infinite. Dalla più naturale dell’innamoramento del
pittore per la sua bella modella, alla meno credibile che vuole ravvisare nelle
fattezze de La Gioconda quelle di un
allievo caro al Maestro più di ogni altro, alla più inquietante, quella di uno
straordinario “enigma”, un geniale rebus,
nascosto tra le linee che ne compongono i tratti del viso o tra quelle che
creano l’innaturale e “geologico” paesaggio dello sfondo. Forse, semplicemente,
l’Autore stesso fu il primo a essere rapito da quel sorriso colmo di misteri
che aveva fissato sulla tavola con le proprie mani.
Dopo la morte di Leonardo, il dipinto fu ereditato dall’allievo Francesco
Melzi, il quale lo vendette, per 4mila scudi d’oro, al re di Francia, Francesco
I, che lo collocò nelle splendide stanze dell’appartamento da bagno a
Fontainebleau, tra le ninfe di stucco che gli facevano da stupenda cornice.
Il sovrano, incondizionato estimatore di Leonardo, se ne era “invaghito”,
durante le frequenti visite al Maestro, nel Castello di Clos Lucé, poco
distante dal reale Castello di Amboise, cui era collegato da un lungo corridoio
sotterraneo.
Ma quella di Francesco I fu solo la prima delle numerose teste coronate “invaghitesi”
di Monna Lisa, che, seppure priva di qualsiasi gioiello e vestita di un abito
estremamente modesto, rivela l’appartenenza a una classe sociale elevata dal
portamento e, in particolare, dalla disposizione delle mani, tipico delle Dame
di alto rango del tempo.
Anche Luigi XIV, il re Sole, fu orgoglioso di esibirla tra le opere d’arte
più preziose che aveva collezionato a Versailles. Napoleone, poi, la volle nella
camera da letto alle Tuileries, dove
rimase finché non venne esposta all’ammirazione del pubblico al Louvre, trasformato in museo dopo la Rivoluzione.
Ma quale Dama poteva avere ispirato al Sommo Genio un’opera così
straordinaria?
Su questo interrogativo è sorta tutta una letteratura.
“Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto
di Monna Lisa sua moglie, e quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto, la
quale opera oggi è appresso Francesco il re di Francia in Fontanableò; nella
qual testa chi voleva veder quanto l’arte potesse imitare la natura,
agevolmente si poteva comprendere, perché quivi erano contraffatte tutte quelle
minuzie che si possono con sottigliezza dipingere. Avvenga che gli occhi
avevano que’ lustri e quelle acquitrine, che di continuo si veggono nel vivo…
il naso con tutte quelle belle aperture rossette e tenere, si vedeva essere
vivo. La bocca con quella sua sfenditura con le sue fini unite dal rosso della
bocca con l’incarnazione del viso, che non colori, ma carne pareva veramente.
Nella fontanella della gola, chi intensissimamente la guardava, vedea battere i
polsi: e nel vero si può dire che questa fussi dipinta d’una maniera da far
tremare e temere ogni gagliardo artefice e sia qual si vuole. Usovvi ancora
questa arte, che essendo Monna Lisa bellissima, teneva mentre che la ritraeva,
chi sonasse o cantasse, e di continuo buffoni che la facessino stare allegra,
per levar via quel malinconico, che suol dar spesso la pittura a’ ritratti che
si fanno. Et in questo di Lionardo vi era un ghigno tanto piacevole che era
cosa più divina che umana a vederlo, et era tenuta cosa meravigliosa, per non
essere il vivo altrimenti…”
In questo modo fu Vasari a identificare nella Dama ritratta da Leonardo,
alcuni anni prima del 1550, a quasi trent’anni dalla morte del Genio vinciano,
Lisa del Giocondo, nata nel 1479. Vasari non conobbe Leonardo, né vide, mai, la
Gioconda, ma visitò a Milano Francesco Melzi, l’erede del Maestro, che era
stato con lui giusto in tempo per conoscere la Dama che aveva posato. Inoltre,
negli anni in cui Giorgio Vasari pubblicò la sua opera, sicuramente, vivevano,
ancora, a Firenze, molti membri della famiglia del Giocondo e di casa
Gherardini, cui apparteneva Monna Lisa, che Francesco, ricco mercante di seta e
uomo politico fiorentino, aveva sposato in terze nozze.
La Gioconda non
è un ritratto convenzionale.
Come si è, già, detto, niente gioie, nessun ricco drappo e, in luogo delle
elaborate pettinature rinascimentali, una cascata di bruni capelli lisci, che
cadono a inanellarsi sulle rotonde spalle.
Antonio De Beatis, segretario del cardinale Luigi d’Aragona, zio di
Isabella d’Aragona duchessa di Milano, prendendo nota delle cose viste al
Castello di Clos Lucé, durante una visita al Maestro, nel 1517, a seguito del
prelato, descrive tre dipinti:
“… uno di certa Dona fiorentina facta di naturale ad istantia
del quondam Magnifico Juliano de’ Medici, l’altro di San Joane Baptista giovane
et uno de la Madona et del figliolo che stan posti in grembo di S.ta Anna, tucti
perfectissimi.”
Non vi è dubbio che la “Dona
fiorentina” debba essere stata la Gioconda,
cui Leonardo lavorò fino alla fine dei suoi giorni, studiando gli effetti di
quel suo magico “sfumato”.
Ma, in questo caso, quante probabilità vi sono che la Dama ritratta da
Leonardo sia Monna Lisa del Giocondo e non un’amante di Giuliano de’ Medici, il
cui ritratto fu restituito al suo Sommo Artefice, dopo il matrimonio del committente
con Filiberta di Savoia?
Tutto è possibile!
Anche che Monna Lisa sia stata l’amante di Giuliano de’ Medici.
Ma, in fondo, la vera identità di questa straordinaria modella ha poca
importanza, se per identità si intende quella storica e anagrafica. È, invece, la
“figura” che i pennelli di Leonardo hanno reso palpitante e seducente in modo
immutabile nei secoli e che, forse, è nata, perfino, come creazione sublime
della sua fantasia di uomo, di artista e di scienziato insieme, che continua ad
affascinare e suscitare interesse.
Fiumi di visitatori, provenienti da tutto il mondo, si accalcano, quotidianamente,
al Louvre, per sostare dinanzi al più
famoso ritratto del mondo – probabilmente, all’origine più largo di 7
centimetri –, dal quale, seduta su una seggiola, tra due colonnine appena
visibili di un loggiato, dietro il quale
si stende il caratteristico paesaggio leonardesco, La Gioconda continua a guardare con distacco il mondo, quasi con
ironia.
A coloro che nell’antica Bisanzio si accanivano nel distruggere le
immagini sacre, perché le ritenevano oggetto di un culto feticista, la Curia Romana
rispondeva che “in pictura legunt qui
litteras nesciunt”, “chi non sa
leggere la scrittura legge la pittura”. Le rappresentazioni medioevali
specificate da tituli e superscriptiones, simili alle didascalie
che accompagnano le foto dei moderni rotocalchi, costituivano un vero e proprio
catechismo illustrato.
La pittura era in funzione dell’apprendimento, del sapere.
Già, Alcuino, l’acuto consigliere della politica culturale di Carlo Magno,
aveva notato che il valore di un quadro o di una statua non è dato dal titulus.
Un’opera d’arte vale di per sé, indipendentemente da qualsivoglia
contenuto storico, religioso, culturale, formale. Un’opera d’arte è là per
essere goduta, non per essere compresa. Un quadro deve essere soggetto di
godimento estetico e non di discussione ragionata, a esempio, in una Donna con Bambino, il titulus può dirmi che è l’immagine veneranda della Madre di Dio; il critico
positivista può, invece, dimostrarmi che è Alcmena con il piccolo Ercole in grembo…
Cambia, forse, il valore dell’immagine con il cambiare del titulus?
Gli esperti d’arte, in genere, e gli esperti di Leonardo in specie, in
realtà, non si occupano affatto di Arte, ma di un qualcosa che aderisce al
quadro o alla scultura, quel qualcosa che tentano di scrostare in vista di
un’analisi conoscitiva.
È legittimo adoperare l’Arte per “sapere”?
Il problema è vecchio di millenni.
La distinzione agostiniana tra frui
e uti deve essere tenuta presente per
consentire a tutti di “fruire”, ossia di godere un’opera d’arte, senza sentirsi
bloccati perché non si conoscono dell’opera tutti quei dati “scientifici” sotto
i quali gli studiosi, a volte avidi di Poesia, tentano di coprirla.
Come se gli scienziati della NASA
pretendessero dagli innamorati la perfetta conoscenza scientifica della Luna
per potere godere la bellezza dell’argenteo astro che illuina la loro
passeggiata notturna in riva al mare!
Leonardo, in particolare, è un artista che va assaporato guardandolo.
Volerlo comprendere significa, spesso, perdersi dietro a una infinita varietà
di piste concettuali che deviano dal frui
dell’opera d’arte.
Cambia, forse, qualcosa se anziché essere il ritratto di Monna Lisa fosse
il ritratto di un efebo travestito?
Il fascino che emana dal dipinto non è legato all’oggetto della
rappresentazione. Alcuni critici contemporanei giurano che sia una donna
incinta, simbolo della vitalità della natura e, in tal senso, leggono la
posizione delle mani e la misteriosa lucentezza dello sguardo; gli storici di
domani potrebbero, invece, scoprire che sia una delle tanti amanti di Ludovico
il Moro e, in tale chiave, interpretare la sempre misteriosa espressione del
volto ambiguo, cui fa da contrappunto la movimentata, instabile, eloquente
posizione delle mani.
Il fascino di quel sorriso, forse, non sarebbe più tale se si venisse a
sapere con certezza quello che alcuni suppongono, vale a dire che sarebbe
dovuto a un’affezione asmatica della modella?
La Mona Lisa di
Isleworth o Earlier Mona
Lisa, è un dipinto attribuito a Leonardo, che rappresenta un busto
di donna avente notevoli elementi di somiglianza con La Gioconda esposta al Louvre
di Parigi. Secondo alcuni studi accademici, questo dipinto sarebbe stato realizzato
da Leonardo una decina di anni prima del dipinto del Louvre, quando Leonardo era
a Milano da circa dieci anni e, dunque, fortemente improbabile.
Copia seicentesca de La Gioconda, esposta nellaWalters
Art Gallery, a Baltimora.
Nella stessa bottega e negli stessi anni, fu dipinta una seconda
Gioconda, conservata oggi al Prado di Madrid. Il secondo quadro venne dipinto, con grandi probabilità, da uno
degli allievi di Leonardo, forse dagli italiani Francesco Melzi o Gian
Giacomo Caprotti, noto come Salaì, o da uno dei due spagnoli, Fernando
Yáñez de la Almedina o Hernando de los Llanos, che assistevano in quel periodo
il Maestro italiano.
Il 21 agosto 1911, Vincenzo Perugia, italiano,
emigrato a Parigi e decoratore al Louvre,
la staccò dalla parete e se ne impadronì. Sembra che il suo scopo fosse quello
di riportare La Gioconda in Italia,
convinto per errore, che fosse una delle tante opere d’arte depredate al nostro
Paese da Napoleone.
Venne ritrovata, nel dicembre del 1913, a
Firenze, dove Vincenzo Perugia aveva pensato di venderla, e, quindi, restituita
alla Francia.
Il singolare episodio suscitò un vasto clamore.
Il ladro, dopo poco più di un anno di carcere,
terminò i suoi giorni in un oscuro paesino della Savoia, raccontando sempre la
sua mitica avventura e ammettendo che unitamente alle ragioni patriottiche ve ne
era una straordinariamente sentimentale: il sorriso de La Gioconda gli ricordava quello di una ragazza che in gioventù
aveva molto e invano amato.
Gabriel Joseph Marie Augustin Ferrier [1847-1914], copia de La Gioconda, conservata alla Maher Art Gallery del Cairo.
Sir Joshua Reynolds
[1723-1792], copia de La Gioconda, attualmente esposta nella Dulwich
Picture Gallery, a Londra.
Nei primi decenni del secolo scorso, sull’onda
dei ribelli alle tradizioni dell’Arte, Marcel Duchamp [1887-1968], capofila del movimento dadaista,
realizza, nel 1919, un ready-made, L.H.O.O.Q., più conosciuto come La Gioconda con i baffi, conservata al
Centre George Pompidou di Parigi, dissacrando, così, uno dei miti artistici più
consolidati.
“La Gioconda è così universalmente nota e
ammirata da tutti che sono stato molto tentato di utilizzarla per dare
scandalo. Ho cercato di rendere quei baffi davvero artistici.”
Il titolo è sostanzialmente un gioco di parole, infatti, le
lettere L.H.O.O.Q. pronunciate in
francese danno origine alla frase Elle a chaud au cul, che significa Lei è molto
eccitata, ma si possono, anche,
leggere come la parola inglese look,
guarda.
L’Arte per Leonardo è un linguaggio con cui esprimere cose inesprimibili
con le parole, non è una trasposizione visiva di concetti o di idee o di fatti
attinenti alla Storia e ad altre discipline.
Un’opera d’arte va assaporata, goduta, amata.
Vi sono leggi razionali per spiegare e suscitare l’amore?
Le molte, troppe parole sull’amore, dimostrano semplicemente che vi è
mancanza di amore e si ricerca là dove non può essere.
L’Uomo moderno è, sempre, meno capace di immergersi nell’estasi della
contemplazione artistica, di qui il proliferare di critici che “spiegano”
l’Arte con le parole, continuano a mettere tituli
di marchio medioevale sotto ogni quadro e scultura.
Le parole sono divenute pressoché indispensabili all’Uomo moderno così
distratto che, se una precisa indicazione scritta non lo avvertisse della sua
straordinaria bellezza e unicità passerebbe dalla Porta del Paradiso di Lorenzo Ghiberti, senza degnarla di uno
sguardo!
Una sola speranza: che attraverso i tituli,
i libri, le parole, si riesca a fare avvicinare le persone all’opera d’arte per
curiosità, dapprima, e per amore, in seguito.
Leonardo
rappresenta una grande “provocazione”, ma il Sommo Artefice ha saputo indicare
all’osservatore attento la via per penetrare il mistero di un’opera solo
apparentemente figurativa.
È il compito che si dovrebbe prefiggere la Scuola, è la speranza mia nello
scrivere su una delle opere leonardesche che più mi hanno incantato sino da
bambina, al punto da fare mie le parole di Théophile Gautier:
“È la sua bellezza?... Non è nemmeno più tanto giovane… le
dita della vita hanno lasciato la loro impronta sulle guance di pesca… ma
l’espressione saggia, profonda, vellutata, piena di promesse, ti attrae irresistibilmente
e ti avvelena, mentre la bocca sinuosa, serpentina, sollevata agli angoli,
nelle ombre viola, si prende gioco di te con tale delicatezza, grazia e
superiorità che ti senti improvvisamente intimidito, come uno scolaretto di
fronte a una duchessa… desideri repressi, speranze che portano alla
disperazione si agitano disperatamente nell’ombra trafitta da raggi di luce; e
scopri che la tua malinconia deriva dal fatto che la Gioconda trecento anni fa
accolse la sua dichiarazione d’amore con lo stesso sorriso canzonartorio che
ancora adesso ha sulle labbra…”
Daniela
Zini
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