“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

venerdì 3 aprile 2020

ANTEPRIMA! estratto da: LETTERA AD ANGELA MERKEL [il testo integrale su questo blog Domenica di Pasqua] di Daniela Zini


Fuori dal VIERTES REICH!

 

“A parte la truffa del comunismo, a me i russi stanno anche simpatici. Sono i crucchi che non sopporto. Loro, i tedeschi, sono sempre stati il problema dell’Europa. Ne riparliamo tra cinquant’anni quando avranno rialzato la testa: i gravi problemi per le future generazioni verranno da Berlino e non da Mosca, glielo dice uno che li conosce tutti come le proprie tasche”.

Winston Churchill, 1952




Qual è il posto della Germania in Europa?

I suoi vicini del Sud hanno ragione quando paragonano la sua autorità attuale alla oscura epoca nazista?
Contrariamente ai sovrani del Sacro Romano Impero Germanico – lo Zuerst Reich – la cancelliera tedesca Angela Merkel non porta una corona per sancire il suo potere e la sua sovranità.  
La cancelliera non esibisce neppure il celebre elmo a punta di Otto von Bismarck, simbolo del Zweites Reich, né i baffetti a spazzolino di Adolf Hitler per il Drittes Reich.
E, tuttavia, grazie o a causa di una buona parte dei Paesi dell’Unione Europa, noi viviamo sotto il Regno del Viertes Reich, che, per la più grande gloria della Germania, limita  e si spinge, perfino, a sopprimere i diritti dei Paesi sotto il suo controllo.
Così, la Grecia e l’Italia hanno visto, nel novembre del 2011, in qualche ora, i loro capi dell’esecutivo, dai talenti, certo, discutibili, ma che avevano almeno il non demerito di essere stati portati al governo, democraticamente, dai propri  cittadini, sostituiti da tecnocrati – Lucas Papademos, governatore della Banca Centrale della Grecia, tra il 1994 e il 2002, quando, nel 2001, Goldman Sachs truccò i conti del Paese per farlo entrare nell’Euro [https://www.italiaoggi.it/news/incredibile-prodi-accusa-la-grecia-di-avere-truccato-i-conti-per-entrare-nell-euro-ma-il-primo-a-farlo-2000531, https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-05-10/spiegel-times-accusano-italia-144326.shtml?uuid=AbvJDcaF], e Mario Monti, international advisor per Goldman Sachs, tra il 2005 e il 2011, – nominati dagli eredi di Sigfrido e dei Nibelunghi.
L’originalità della Comunità Economica Europea, fondata sotto gli auspici, in particolare di Robert Schuman e Konrad Adenauer, risiedeva nel raggruppamento volontario di Stati sovrani e democratici.
Era lo spirito del Trattato di Roma del 25 marzo 1957 [https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:11957E/TXT&from=BG] e delle sue succesive modifiche.
Ma una volontà condivisa non è sufficiente per mantenere uniti i 27 Paesi dell’Europa, neppure i 17 Paesi dell’Eurozona ed è, oramai, l’Asse Franco-Tedesca che governa i Paesi divorati dal deficit e dal debito, cercando bene o male di salvare le apparenze.
Perché il Viertes Reich è molto più sottile ed efficace di quanto lo fossero lo Zweites Reich e il Drittes Reich.
La sua forza non è militare: parte alla conquista dell’Europa a colpi di crediti e di scadenze impossibili da rispettare per i morosi Paesi del Mediterraneo, un gruppo al quale, ultimo paradosso, sembra appressarsi sempre più la Francia di Macron.
 

“Quando sono entrata in politica rappresentavo uno strano esemplare che racchiudeva una moltitudine di minoranze: ero protestante, donna, allora ancora giovane, dell’Est e scienziata. Tutte cose che nella CDU [Unione Cristiano-Democratica, ovvero il partito di centro-destra] non accadevano spesso. Per questo non potevo rappresentare tutte le componenti di minoranza contemporaneamente.”
così, lei, Signora la Cancelliera Angela Merkel, rispondeva nell’intervista rilasciata, lo scorso novembre, a due giornalisti del Sueddeutsche Zeitung, Nico Fried e Cerstin Gammelin, sulla sua esperienza come cittadina della DDR, alla quale viene, spesso, rimproverato di rappresentare troppo poco i cittadini dell’Est, in una Germania, oramai, unificata e mentre erano in corso i festeggiamenti per i 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino, con umori, tuttavia, differenti: nella parte orientale, si soffre ancora il gap, il divario a livello economico tra le due ex-Germanie. Certo, oggi, i tedeschi dell’Est [Ossis] stanno meglio di ieri e meglio dei loro vicini cechi e polacchi, ma il reddito medio all’Est è tra il 22 e il 30% inferiore rispetto a quello dell’Ovest. Una differenza che contribuisce a diffondere la sensazione di essere cittadini di serie B. A 30 anni dalla riunificazione, il 71% dei tedeschi che vivono nella Germania dell’Est pensa, ancora, che siano troppe le differenze tra tedeschi dell’Est e tedeschi dell’Ovest e il 34% degli Ossis, ex-tedeschi dell’Est, sostiene, perfino, che i Wessis, ex-tedeschi dell’Ovest, sono arroganti e distanti dai loro problemi. Come anche lei  ha dovuto riconoscere, nella stessa intervista del novembre scorso al Sueddeutsche Zeitung sulla sua esperienza come Ossi per 35 anni, “per la parità ci vorranno 50 anni o anche più anche se dopo 10 o 20 anni si era pensato che sarebbe stato più veloce.”
E quel giorno nessuno potrà smentirla!

Signora la Cancelliera Angela Merkel,
o dovrei dire Angela Dorothea Kasner, dal momento che Merkel è il cognome acquisito del suo primo marito, Ulrich Merkel, che lei ha sposato nel lontano 1977 e dal quale ha divorziato cinque anni più tardi, nel 1982, ma che, per sua stessa ammissione, ha attraversato la sua vita come una meteora e “non è stato il grande amore”.
O Angela Sauer dal nome del suo secondo marito Joachim Sauer, sposato nel 1998?
O, semplicemente, Mutti Merkel, come i tedeschi la chiamano affettuosamente?
La Mamma che, senza figli, sembra avere adottato i suoi connazionali, ai quali impone disciplina in cambio di protezione!
Lei, Signora la Cancelliera Angela Merkel, sicuramente,  ricorderà le leggendarie parole pronunciate dal presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy, il 26 giugno 1963, dal balcone del Municipio di Schöneberg, in occasione della visita ufficiale alla città:
“Ich bin ein Berliner.”
e l’appello rivolto dal presidente Ronald Reagan a Michail Sergeevic Gorbacëv, circa 24 anni dopo, alla Porta di Brandeburgo, il 12 giugno 1987, di abbattere la Striscia della Morte, come veniva chiamata la frontiera fortificata, formata da due muri paralleli di cemento armato e larga alcune decine di metri, che divideva Berlino Est da Berlino Ovest, il comunismo dal capitalismo:
“Mr. Gorbacëv, tear down this wall!”
Il Muro ha rappresentato la più spettrale e letale costruzione realizzata in Occidente, con le sue 302 torri di guardia, oggi inglobate dal panorama urbano, che non lasciavano scampo ai fuggiaschi: scavalcare il Muro significava ricevere una pallottola in piena schiena. Nello spazio di un passo si poteva accedere a una società migliore. Questo, almeno,  pensavano le oltre 200 persone che sono morte nel tentativo di compierlo, quel passo.
Io ho avuto il raro privilegio di assistere, il 9 novembre 1989, alla caduta del Muro di Berlino, simbolo per quasi trent’anni della Guerra Fredda e della divisione tra Est e Ovest, che ha portato alla riunificazione del suo Paese, quando migliaia di persone iniziarono a passare dall’altra parte della Cortina di Ferro, mentre lei, Signora Cancelliera Angel Merkel, si concedeva la sua distensiva  sauna del giovedì sera e, solo più tardi, decise di scendere in strada con un’amica, attraversare il confine al checkpoint Bornholmer Strasse e offrirsi, con i suoi primi marchi della Germania dell’Ovest, un kebab, senza lontanamente immaginare che, un giorno, sarebbe divenuta la prima donna eletta Cancelliere, ma anche la prima a ricoprire l’incarico per ben quattro mandati consecutivi.
All’epoca, anche io mi trovavo dall’altro lato della pretesa Cortina di Ferro, nella Repubblica Democratica Tedesca, un Paese, forse, non molto ricco, ma molto accogliente, che accoglieva gli orfani namibiani, i rifugiati palestinesi e sudafricani, i perseguitati della dittatura cilena e tutti i combattenti della libertà, nel mondo… 
 

Erano circa le 19, a Berlino, quando il portavoce del governo della Repubblica Democratica Tedesca [RDT], Günter Schabowski [https://www.la7.it/atlantide/video/9-novembre-1989-lannuncio-a-sorpresa-di-g%C3%BCnter-schabowski-funzionario-della-ddr-si-pu%C3%B2-attraversare-11-04-2019-268632], convocò una conferenza stampa per dare l’annuncio che, da quel momento, i cittadini della Germania dell’Est sarebbero potuti entrare liberamente e senza restrizioni nel territorio della Germania dell’Ovest [RFT]. Schabowski avrebbe dovuto annunciare che i cittadini della RDT potevano chiedere dei nuovi permessi speciali per entrare nella RFT e che la misura sarebbe entrata in vigore dal giorno successivo, ma non era stato presente all’incontro in cui si era discusso della nuova misura e nell’annunciarla ai giornalisti si confuse, fornendo, così, il pretesto per abbattere il Muro.
I giornali avevano già pronto il titolo:
“Berlino è di nuovo Berlino!”
Nello spazio di un’ora decine di migliaia di berlinesi dell’Est si ammassarono nei pressi del checkpoint Bornholmer Strasse, costringendo i soldati della RDT ad aprire i confini. I più stupiti e i più inermi di tutti apparvero i Vopos, gli agenti della polizia del popolo che, per circa trent’anni, avevano sparato contro chiunque tentasse di scavalcare il Muro.
Il 9 novembre 1989 passava, così, alla Storia come il giorno in cui era caduto il Muro di Berlino e proprio nell’anniversario della Kristallnacht, la Notte dei Cristalli [9 novembre 1938].
Due anniversari pesanti, densi di significato, che dovrebbero servire da monito per tenere lontane le coscienze dei potenti, ma anche delle masse, dalla facile ma terribile tentazione di fare emergere il peggio del genere umano.
La Germania tornava unita l’anno successivo, nel 1990.
“Berlino è divenuta una sola città, ma il processo di riunificazione si è dimostrato doloroso e costoso. Le accuse di cattiva gestione dei fondi comunali, di spese esorbitanti e di corruzione sono costate nel 2001 la poltrona al sindaco Eberhard Diepgen, membro della CDU [l’Unione Cristiano-democratica, ovvero il partito di centro-destra], che era in carica da 15 anni e hanno consegnato il governo della città a una coalizione “rossa” tra la SPD e l’ala di estrema sinistra DIE LINKE. Il carismatico Klaus Wowereit [SPD] si è trovato alla testa di una Città-Stato oberata da una situazione di indebitamento che stava covando sin dal 1990. Con la unificazione, infatti, Berlino aveva perso i consistenti sussidi federali che aveva ricevuto per tutti gli anni del Muro. Le improduttive industrie manifatturiere di Berlino Est, intanto, furono più o meno costrette a chiudere mandando a casa 100mila addetti. Il risultato: un indebitamento esorbitante, quasi 60 miliardi di Euro.”[2]    
Ma come diceva il sindaco Klaus Wowereit [SPD]:
“Berlino potrà essere povera, ma è sexy.”
La vivacità culturale che aveva fatto grande Berlino, negli Anni Venti, tornava, prepotentemente alla ribalta, trasformando la capitale da una curiosità politica a una presenza vitale tra le capitali europee, con una vita notturna senza freni, una esplosiva scena artistica e una rinascita di teatro e cabaret.
Quando Luigi Barzini visitò Berlino, agli inizi degli Anni Trenta, come corrispondente di guerra, la descrive una città come la capitale artistica dell’Europa:
“Nel 1931, Berlino era sicuramente la capitale artistica dell’Europa, piena di teatri abbaglianti, cabarets, mostre di arte di avanguardia, films mozzafiato, esperienze di ogni genere. Il Kurfurstendamm, il famoso viale alberato, una pretenziosa imitazione dell’Avenue des Champs Elysees, era pieno di personaggi inventati da de Sade, Havelock Ellis, Sacher-Masoch, Krafft-Ebing e Sigmund Freud. Vi erano uomini vestiti da donna, donne vestite da uomo o ragazzine, donne con stivali con le fruste [stivali e fruste di diversi colori, forme e dimensioni, che promettevano diversi divertimenti passivi o attivi].”
Nel 1989, con la caduta del Muro di Berlino, anche la Repubblica Democratica Tedesca entrava a fare parte dell’Unione Europea, in quanto parte della Germania Federale Tedesca. I tedeschi dell’Est dovevano, così, affrontare una doppia integrazione: una interna e una europea.
La Germania resta un Paese diviso con standards di vita e visioni politiche diversi o, addirittura, divergenti.
La riunificazione della Germania è stata, di fatto, l’annessione dell’Est all’Ovest, un duro colpo per una economia basata su un sistema socialista, nonostante il cambio “uno a uno” tra marco della RDT e marco della RFT, imposto all’atto della riunificazione.
Il suo mentore, Helmut Kohl – che ha guidato cinque diversi governi, tra il 1982 e il 1998 – anziché avviare un processo di riavvicinamento graduale tra le due Germanie, preferì mettere in atto, di concerto con l’alta borghesia tedesca, una politica di ispirazione coloniale, di distruzione accelerata e di svendita del tessuto industriale della Repubblica Democratica Tedesca a profitto della Repubblica Federale Tedesca, che ha portato a un esito drammatico, altri muri si sono levati nelle teste dei cittadini tedeschi, che continuano a distinguersi in cittadini dell’Ovest, Wessis, e in cittadini dell’Est, Ossis.

Signora la Cancelliera Merkel,
sulla scia delle efferatezze perpetrate, durante la Seconda Guerra Mondiale, certi atti, che determinano la responsabilità penale dei singoli colpevoli e l’applicazione nei loro confronti del principio della competenza universale, sono assurti al rango eccezionale di “crimini di diritto internazionale”: la pirateria e la tratta degli schiavi costituiscono i primi esempi di tali infrazioni.
Il genocidio appartiene, incontestabilmente, a questa categoria “di atrocità inimmaginabili che turbano profondamente la coscienza dell’umanità” e minacciano la pace, la sicurezza e il benessere del mondo” [Preambolo dello Statuto di Roma,  [http://www.integrazionemigranti.gov.it/Normativa/documenti-ue/Documents/Statuto%20di%20Roma%20della%20Corte%20Penale%20Internazionale.pdf].
Oggi, noi sappiamo che vi è di peggio di un genocidio: sapere che si sarebbe potuto evitare un genocidio.
Due elementi essenziali debbono essere stabiliti per una accusa di genocidio: un elemento materiale, vale a dire l’esecuzione di uno qualsiasi degli atti enumerati nel sopracitato articolo 2 e un elemento psicologico, costituito, generalmente, dall’intenzione colpevole, in questo caso particolare, “l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale”.
La violenza genocidaria è formulata ed eseguita da individui, ma gli atti debbono integrarsi in un piano sistematico, che miri alla distruzione di un gruppo. Non è necessario ricondurre il programma di distruzione alla politica di uno Stato, può colmare questo ruolo un altro gruppo organizzato – una organizzazione internazionale, un governo sub-nazionale, una milizia, una organizzazione terrorista, una potenza occupante – che disponga dei mezzi necessari per condurre l’impresa a buon fine. L’atto deve, inoltre, essere compiuto nell’intento esplicito di distruggere il gruppo e concepito per favorire la realizzazione di questo obiettivo. Il genocidio è diretto contro il gruppo in quanto entità: le azioni che provoca sono condotte contro individui, non in ragione delle loro qualità individuali, ma unicamente in quanto membri del gruppo. In tale modo, la vittima ultima del crimine non è l’individuo, ma il gruppo. Quest’ultimo, del resto, è, il più sovente, definito e circoscritto dagli aggressori, senza che sia necessario manifestare il senso di appartenenza o anche sceglierne o negarne un nesso.
Non è affatto necessario pianificare l’eradicazione della popolazione scelta nel suo insieme o su scala mondiale. Si deve poter rilevare l’intenzione di eliminarne, se non l’insieme, almeno una parte sostanziale, al di là della quale l’esistenza del gruppo è minacciata. Parimenti, quando vengono identificati i leaders o le autorità socio-culturali più ragguardevoli.
Non è fissata una soglia quantitativa di vittime: così, è possibile che l’assassinio di una sola persona possa dare luogo a una accusa di genocidio, se si può provare l’intenzione specifica associata alla sua esecuzione; diversamente, un massacro di massa può sfuggire alla qualifica di genocidio, se questa intenzione è assente o non può essere provata.
Un genocidio può essere compiuto senza riguardo alle contingenze – in tempo di pace come in tempo di guerra – ed è imprescrittibile. È ininfluente, altresì, che gli atti punibili non abbiano costituito una violazione del diritto interno del Paese, dove sono stati perpetrati:
“Il fatto che il diritto interno non punisca un atto che costituisce un crimine di diritto internazionale non solleva dalla responsabilità in diritto internazionale chi lo abbia commesso.”[Principi di Norimberga]

Signora Cancelliera Merkel,
75 anni, caratterizzati da una sospettosa e costosa pace armata e da due guerre mondiali, sono occorsi per mostrare l’impossibilità di una pacifica convivenza dello Stato tedesco sovrano con gli altri Stati europei.
Nel maggio del 1945, finita la Seconda Guerra Mondiale i vincitori decisero di sopprimere lo Stato tedesco e ne divisero il territorio in quattro zone sottoposte a quattro diverse sovranità. Per la zona sovietica, sottoposta a una potenza coerentemente imperialista, si profilò subito la possibilità di diventare un elemento del suo piano espansionistico. Per le zone sottoposte alle potenze democratiche furono sufficienti 3 anni per dimostrare l’insostenibilità di una situazione coloniale dei territori tedeschi.
Non si può ricostruire uno Stato sovrano e pretendere che resti democratico, disarmato, senza economia di guerra, in mezzo a un mondo diffidente e ostile.
È al di là delle possibilità umane!
Tollererà questa condizione fintanto che non sarà in grado di modificarla, ma si alimenterà, giorno per giorno, del desiderio di riconquistare la potenza perduta, profittando dei dissensi e delle debolezze dei vincitori.
L’ideale del Reich organo di gloria e di potenza e garante di sicurezza e di benessere per tutti i tedeschi sarà, sempre, presente nel cuore di questo Popolo privo di tradizioni di libertà e ridotto in uno stadio avanzatissimo di quella decomposizione sociale che consiste nella formazione di immense masse di esseri umani senza sicurezza, senza benessere, senza indipendenza.
Si è voluto che i tedeschi facessero atto di contrizione e una lunga penitenza, ignorando che nessun Popolo può vivere a lungo con la coscienza di essere peccatore e che violente e improvvise fiammate di superbia nazionale sogliono essere la risposta a queste pretese.
Quando un Popolo è considerato maledetto da altri, è portato a considerarsi eletto.
Non vi è, pertanto, sicuramente altro modo migliore per far sorgere tra i tedeschi la religione del martirio di Adolf Hitler e della sua immancabile resurrezione.
Si è voluto insegnare ai tedeschi le virtù e i pregi della Democrazia con metodi scolastici, con la propaganda orale e scritta, con libri di Storia addomesticata, con prediche, ignorando che tutto ciò non è assimilato ed è, anzi, rigettato con disgusto alla prima occasione.
Il nazismo come fenomeno umano non è un prodotto peculiare tedesco e non è lecito considerare il Popolo tedesco come un Popolo maledetto per il fatto di averlo messo alla luce. Il nazismo è il modo di essere di tutte le comunità in cui i valori individuali sono scomparsi e vigono solo quelli della comunità come tale, della tribù. Rozzezza, crudeltà, terrore, aggressività, isterico odio contro gli estranei alla collettività, mancanza del senso del limite lo caratterizzano eternamente.
Nazisti erano gli ebrei di cui La Bibbia narra, che, come Popolo eletto, entravano nella Terra Promessa, trucidandone gli abitanti; nazisti erano gli spartani, che come Popolo signore dominavano gli iloti. E, saltando alla nostra epoca, nazista, con le stesse manifestazioni di furore lucido, è ogni comunità in cui gli individui non contano nulla e non hanno diritti di fronte alla comunità come tale. Il nazismo è il punto di arrivo del nazionalismo e dello Stato nazionale. Cambiando le forme sociali non si fa scomparire, e, anzi, come mostrano numerosi esempi di Storia contemporanea, quanto più la comunità nazionale diviene indifferenziata e compatta, tanto più affiora la truce coscienza di massa.
E, tuttavia, vi è, anche, un aspetto specificamente tedesco del nazismo. Se la Germania ne è caduta vittima più facilmente e in modo più radicale di quanto sia accaduto per altri Popoli, ciò è dovuto al fatto che lo stesso tedesco era assolutamente scevro, negli animi dei cittadini, prima ancora che nelle istituzioni, di quegli elementi di Umanità e di Civiltà, che negli altri Paesi hanno ostacolato o quanto meno temperato alquanto la violenza del Mito della Nazione.
Non si può meditare sulla recente Storia della Germania, senza che tornino alla mente alcuni giudizi di pensatori tedeschi dell’epoca, in cui è iniziato quel moto che doveva concludersi con la formazione dello Stato nazionale tedesco. Friedrich Heinrich Alexander Freiherr von Humboldt vedeva nello sforzo di giungere all’unità tedesca la fine di quel rigoglio spirituale che aveva dato i suoi migliori frutti solo perché animato da uno spirito di cosmopolitismo. Chiudersi nella Nazione, significava per lui chiudersi alla Civiltà. Christian Johann Heinrich Heine, profeta irresponsabile e lucido, ammoniva il mondo intero che quando il Popolo tedesco si fosse levato alla coscienza della sua unità e della sua potenza, lo avrebbe fatto con tale violenza e fragore di armi da fare impallidire il ricordo del terrore di Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre e delle conquiste di Napoleone Bonaparte.
La tragica avventura dello Stato tedesco portatore del germanischer Volksgeist, sognata ai tempi della Guerra di Liberazione del 1813, formulata filosoficamente da Georg Wilhelm Friedrich Hegel e politicamente dagli stessi rivoluzionari tedeschi nei travagli del 1848, iniziata da Otto Eduard Leopold von Bismarck-Schönhausen, non si è mai conclusa.    

[...] 

Signora la Cancelliera Merkel,
cosa avrà voluto dire Barack Obama nel suo ultimo discorso come presidente degli Stati Uniti, dichiarando che la Russia costituiva una minaccia per il suo Paese? 

[...] 

Signora la Cancelliera Merkel,
è per conformarsi ai canoni dell’ideologia liberale, che ha avuto un atteggiamento sprezzante durante la crisi greca, quando lei si è ferocemente opposta alla riduzione del debito di questo Paese in preda a difficoltà inaudite. La fine ufficiale dell’ultimo piano di aiuto alla Grecia, il 20 agosto 2018, non si è affatto tradotto in una uscita dalla crisi, ma piuttosto in un livello di povertà record, che ha toccato, soprattutto, i giovani senza lavoro e i pensionati. 

[...]

Signora la Cancelliera Merkel,
l’Europa dell’Unione Europea è l’opposto della prosperità, l’opposto della democrazia, l’opposto della protezione delle popolazioni, l’opposto della solidarietà, l’opposto della pace.
L’Unione Europea è l’opposto dell’Europa.
L’UE non promuove la pace e la solidarietà tra i Paesi Europei, al contrario, sviluppa la concorrenza.
La concorrenza tra Imprese è normale nel sistema capitalista, ma la concorrenza regola anche le relazioni tra gli Stati Membri. Alcuni attraggono a sé delocalizzazioni in seno all’Europa, giocando sui bassi salari. Altri implementano il dumping fiscal per attirare le sedi sociali e l’insediamento di titolari ad alto reddito. In questo contesto, alcuni Stati accumulano avanzi di bilancio e commerciali, mentre altri accumulano deficit.
L’Unione Europea favorisce, altresì, una concorrenza tra i Popoli europei, a esempio, ha autorizzato il lavoro distaccato, che  consente, a esempio, a una società francese di assumere un dipendente polacco, pagando gli oneri sociali in vigore nel Paese di origine, che sono molto più bassi di quelli che sonogli oneri sociali imposti in Francia. Questo sistema, che va a detrimento dei lavoratori dell’Europa occidentale, è sempre più utilizzato e il numero di lavoratori distaccati è in costante aumento. Va detto che gli stessi Trattati europei indicano che le istituzioni europee non hanno alcuna competenza per realizzare alcuna armonizzazione salariale e fiscale. Le decisioni in materia fiscale e salariale devono essere prese in sede di Consiglio Europeo e, inoltre, all’unanimità: nessuna armonizzazione è possibile in queste condizioni, i Paesi che beneficiano del sistema del dumping rifiutano ovviamente ogni accordo.
L’Unione Europea non è che un anello della Mondializzazione.

[...]

Signora la Cancelliera Merkel,
l’Unione Europea, innanzitutto, non è europea: è un’istituzione sotto l’egida degli Stati Uniti.
Come ricorda Philippe de Villiers, che sottolinea in particolare il ruolo di Jean Monnet, personaggio agli ordini degli Stati Uniti, sono stati gli Stati Uniti a volere la Comunità Economica Europea [CEE], istituita con il Trattato di Roma del 25 marzo 1957, stipulato dai 6 Paesi fondatori della cosiddetta Piccola Europa: Italia, Francia, Repubblica Federale di Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. 

[...]

Signora la Cancelliera Merkel, 
è così che l’Unione Europea ha partecipato all’impresa di abbassare gradualmente le barriere doganali, iniziata dopo la Seconda Guerra per formare un mercato mondiale. 
Nel contesto del completamento del mercato unico, della istituzione dell’UME e della prevista introduzione dell’Euro, è stata, infatti, pienamente liberalizzata la circolazione dei capitali mediante una direttiva del Consiglio Europeo del 1988, che aboliva tutte le rimanenti restrizioni relative ai movimenti di capitali, a decorrere dal 1° luglio 1990, non solo in seno all’Unione Europea, ma anche a livello mondiale.
Questa misura decisiva ha reso possibile le delocalizzazioni.
Il sistema afferma che l’Unificazione Europea” costituisce una protezione per i Popoli di fronte alle crescenti minacce – la superpotenza della Cina, l’esplosione demografica dell’Africa, l’avanzata del terrorismo islamico – e l’opinione pubblica, è noto,  è particolarmente sensibile a queste argomentazioni.
Falso!
Lungi dal proteggere i Popoli europei, l’Unione Europea, al contrario, ha abbattuto le frontiere.
La vita delle Popolazioni autoctone ne è destabilizzata.
Sono confrontate sul mercato del lavoro da immigrati che vengono a sbriciolare i salari. Sono esposte nella vita quotidiana, in strada e nel lavoro, in una posizione di stress e di rischio. Un numero crescente di Paesi europei, in testa Italia e Grecia sta affrontando un processo di invasione.
Nonostante le crescenti preoccupazioni delle Popolazioni europee, manifestate in particolare dal crescente successo dei partiti populisti, i leaders dell’UE e dei paesi membri ribadiscono che non cambieranno la loro politica di apertura, che non chiuderanno i confini e che le popolazioni europee dovranno adattarsi a un inevitabile meticciato.
 

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Daniela Zini, una italiana che non si arrende  

IL TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA ALLA CANCELLIERA TEDESCA ANGELA MERKEL PER LA PROSSIMA DOMENICA DI PASQUA... 

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