MEMENTO
MEMORIAE
“Ragazzi godetevi la vita,
innamoratevi, siate felici, ma diventate partigiani di questa nuova resistenza,
la resistenza dei valori, la resistenza degli ideali. Non abbiate, mai, paura
di pensare, di denunciare e di agire da uomini liberi e consapevoli.”
Antonino
Caponnetto
Carissimi giovani,
come forse qualcuno di voi sa, nel
1983, allorché ero magistrato a Firenze, decisi di andare a prendere il posto
del Consigliere Istruttore presso il Tribunale di Palermo, Rocco Chinnici,
ucciso da quella terribile associazione che si chiama “mafia”. Ciò feci per una
insopprimibile esigenza interiore: quella di contribuire al riscatto della mia
terra natale. A Palermo costituii l’ormai famoso “Pool” antimafia, che svolse
un ruolo decisivo, da tutti riconosciuto, nella lotta contro il fenomeno
mafioso, in cui mi fu sempre vicino Nicolò Mannino.
In questo impegno un insostituibile, prezioso sostegno mi venne da due grandi
amici: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Penso che conosciate la loro storia
e la sua tragica conclusione nella primavera del 1992, quando quelle due
inimitabili vite furono soppresse
dalla mafia. Dopo la loro morte cominciai ad incontrare cittadini di ogni età
in piazze, scuole, università e sale di tutta Italia, per ricordare il
sacrificio dei due amici e “far camminare le idee” per cui essi si erano
battuti.
Particolarmente emozionanti sono
stati, per quasi otto anni, i miei incontri con decine di studenti. Abbiamo
sempre parlato di legalità, di democrazia, di impegni civili e sociali, di
libertà: di quei valori - cioè - che devono sempre accompagnare il cammino, la
crescita dei giovani.
Sino a poco tempo fa ho conservato tutte le lettere inviatemi da studenti ed
insegnanti [na quantità incredibile, di
cui ho dovuto - ad un certo .momento - disfarmi pur se con grande tristezza].
Questo mio messaggio vuole essere un
invito alla speranza e alla fiducia, certo, ma anche all’impegno ed alla lotta.
Intendo dire che ognuno deve spendersi - ed anche rischiare - in prima persona
perché le giovani generazioni riescano a riappropriarsi dell’avvenire, che è
stato adesso rubato dalla criminalità.
Io stesso dopo anni di lavoro credo di
conoscere bene i giovani di Oggi, i loro pensieri e le loro speranze, ed anche
le loro delusioni, spesso provocate dall’incomprensione, dall’egoismo e dalla
stoltezza degli adulti. Ed ho tanta fiducia in loro, proprio perché so - come
pochi - quanto siano forti in loro le spinte verso gli ideali per i quali vale
la pena di vivere.
Cari giovani, oggi in questi momenti
di confusione ed incertezza, e più che mai necessario per voi ancorarvi ai
grandi valori, ai grandi principi: quali la legalità, linfa vitale della
democrazia e la solidarietà, intesa come amore verso il prossimo ed in
particolare, verso chi ha bisogno. Solo coniugando queste due esigenze sarà
possibile - a mio avviso - realizzare una vera giustizia e creare un mondo
migliore per tutti.
L’avvenire è nelle vostre mani.
Ricordatelo sempre!
Sono veramente commosso della nomina a
Presidente onorario del “Parlamento della legalità”.
Sono riconoscente a voi ragazzi...
E penso che di lassù siano contenti
anche Giovanni e Paolo.
Firenze, 15 gennaio 2001
Antonino Caponnetto
a Donna
Elisabetta Baldi Caponnetto
l’omaggio
del mio rispetto a Colei che, con la Sua infaticabile dedizione, ha condiviso
ogni momento della vita di Suo marito.
Daniela
Zini
“Essere donna è così affascinante. È
un’avventura che
richiede un tale coraggio, una sfida
che non annoia mai.”
Oriana
Fallaci
La prima volta che mi ha sfiorato la
paura della morte, la stessa che ha accompagnato per tutta la vita Paolo e
Giovanni, è stata quando avevo già lasciato Palermo. Il pentito Mannoia mi
raccontò che gli era stato affidato l’incarico di sistemare un’autobomba
davanti alla caserma della Guardia di Finanza, dove vivevo. Ci fu un
contrattempo e il piano fallì. Ascoltare le sue parole fu come sentire la morte
addosso. Mia moglie era abituata a ricevere minacce per telefono, ma è stata
sempre molto coraggiosa. Alcuni giorni dopo che
lasciai Firenze per andare a Palermo,
davanti al cancello di casa le fecero trovare una corona di fiori. Lei non mi
disse nulla per non mettermi in ansia. Me lo ha raccontato dopo la morte di
Giovanni. È sempre stata una donna forte. Una compagna meravigliosa. Ma, ora,
in lei è cambiato qualcosa: le leggo il terrore negli occhi. Non vorrei farla
soffrire e questo mi provoca qualche indecisione, anche se non riuscirà a
immobilizzarmi. Alcuni mesi fa, ho partecipato a un convegno a Grosseto. Doveva
esserci anche Paolo. I clienti dell’albergo dove mi trovavo mi hanno mandato un
biglietto:
“Grazie perché lei ci aiuta a
combattere la mafia e anche quel nemico terribile che si chiama indifferenza
che rischia di annidarsi dentro di noi.”
Ecco, vede, che cosa mi dà la forza
per andare avanti?
La gente non vuole essere lasciata
sola. Lo Stato, invece, ha ancora bisogno di capire. Lo Stato non solo ha
commesso un errore di valutazione nei confronti della mafia, ma ne è stato
anche complice. Nessuno si può scusare dicendo di non conoscere la mafia. Nel
1985, quando ero a Palermo, ho mandato a tutti i ministeri e alla polizia l’ordinanza
del maxiprocesso. Una spiegazione dettagliatissima di Cosa Nostra. Era chiaro
come agiva, come decideva di uccidere e perché, qual era il suo scopo. Se non
hanno fatto nulla è perché non hanno voluto, ma certamente non possono dire di
non avere capito. Occorre un cambiamento radicale e immediato.
Antonino Caponnetto
Io
non tacerò!
di
Daniela Zini
“A me non interessa essere dalla parte
vincente o da quella perdente. Quello che a me importa è essere dalla parte
dove batte il mio cuore.”
John Fitzgerald Kennedy
“Sed quo sis, Africane, alacrior ad
tutandam rem publicam, sic habeto: omnibus, qui patriam conservaverint,
adiuverint, auxerint, certum esse in caelo definitum locum, ubi beati aevo
sempiterno fruantur; nihil est enim illi principi deo, qui omnem mundum regit,
quod quidem in terris fiat, acceptius quam concilia coetusque hominum iure
sociati, quae civitates appellantur; harum rectores et conservatores hinc
profecti huc revertuntur.”
Marcus Tullius Cicero, De re publica,
Somnium Scipionis
Mi domando, sovente, da dove traggano
origine le idee.
A volte, una osservazione casuale
fatta da un Amico, nel corso di una discussione, innesca un processo che mi
porta a nuove intuizioni. Ed è la ragione per cui vorrei ringraziare Renato
Scalia, consigliere della Fondazione Antonino Caponnetto.
Vi sono volti e voci che mi ispirano,
mi sfidano, mi pungolano e mi spronano a elevarmi per avanzare nella vita e
contribuire a far avanzare le cose.
Sono un sano contagio, una magnifica
emulazione, talvolta, una intimidazione… tanto sono nobili.
Sono dei preziosi “carburanti”, quando
la speranza negli uomini o nelle circostanze potrebbe indurmi ad alzare le
braccia e ad arrendermi.
Alcuni di questi volti e di queste
voci hanno versato il proprio sangue per aprirci la via alla Libertà, alla
Democrazia e alla Giustizia. Sono stati in grado di esercitare una influenza
potente sulla Storia Universale, sul progresso dei Popoli e delle Nazioni,
sull’ordinamento politico, sulla vita etico-religiosa di intere comunità e di
determinare, per secoli, la struttura culturale e sociale dell’Umanità.
Hanno saputo distinguere il politico
dalla politica… la propria tasca dal danaro pubblico.
Meritano rispetto e sostegno.
Perché nel sistema, hanno resistito al
sistema.
Hanno saputo dire:
“NO!”
NO, per lo Stato.
NO, per il Popolo.
NO, per la Patria.
A loro dico:
“Grazie!”
Ritroveranno affetti e vocazioni che
hanno lasciato, laddove sono andati...
In nome del loro sacrificio, noi
dovremmo avere la ricerca della Libertà, della Democrazia e della Giustizia dell’Uomo
esigente.
Io ammiro questi spiriti brillanti e
impegnati che, con i loro modelli, partecipano a strutturare il mio modo di
pensare il Mondo.
Possano questi spiriti essere dei
venti sotto le vele delle nostre lotte per accedere alla Libertà, alla Democrazia
e alla Giustizia nel nostro Paese!
Chi si appresterà a prendere il
testimone?
Come tutti gli Esseri Umani, io non
posso fare previsioni certe su quello che accadrà in futuro.
Molti moriranno senza avere compreso
come si muova il mondo e, probabilmente, non se ne preoccuperanno affatto.
Di altra tempra sono coloro che amano
assumersi responsabilità. Pur non avendo la pretesa di conoscere l’avvenire,
non sono disposti a osservare in disparte, aspettando che le cose seguano il
loro corso.
Secondo un importante principio etico,
al quale la società occidentale riconosce grande valore, errare nel fare
previsioni è umano, ma non tentare di comprendere il mondo, in cui si vive, è
una viltà intellettuale.
La nostra generazione può scegliere di
scuotere il giogo, che la mantiene nella serena rassegnazione o nella ammirazione
passiva, per decidere di divenire attrice della sua Storia.
Vi sono tante Terre di Libertà, di Democrazia
e di Giustizia da conquistare o da riprendere.
Noi abbiamo una responsabilità di
fronte alla generazione che ci ha preceduto e di fronte alla generazione che ci
seguirà.
Considerata la nostra miopia, quando
si tratta di valutare la nostra civiltà, i suoi errori, le sue probabilità di
sopravvivenza e la opinione che ne avrà la posterità, non abbiamo, di certo, il
diritto di stupirci che i Romani del terzo e del quarto secolo si siano
accontentati, sino alla fine, di vaghe meditazioni sugli alti e i bassi del
Fato, invece di interpretare, con maggiore chiarezza, i segnali della morte del
loro mondo.
Non vi è nulla di più complesso della
curva di una decadenza…
E, con la passione per la Terra del
mio cuore, Vi lascio con queste poche righe, ispiratemi da Antonino Caponnetto –
che, lo scorso 5 settembre, avrebbe compiuto 94 anni – per ringraziarlo di aver
incrociato la mia vita, le Vostre vite.
Non sarà dimenticato!
Daniela Zini
O Capitano!
Mio Capitano!
Walt Whitman, 1865
O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio tremendo è terminato,
La nave ha superato ogni ostacolo, l'ambìto premio è conquistato,
Vicino è il porto, odo le campane, tutto il popolo esulta,
Occhi seguono l'invitto scafo, la nave arcigna e intrepida;
Ma o cuore! Cuore! Cuore!
O gocce rosse di sangue,
Là sul ponte dove giace il Capitano,
Caduto, gelido, morto.
O Capitano! Mio Capitano! Risorgi, odi le campane;
Risorgo - per te è issata la bandiera - per te squillano le trombe,
Per te fiori e ghirlande ornate di nastri - per te le coste affollate,
Te invoca la massa ondeggiante, a te volgono i volti ansiosi;
Ecco Capitano! O amato Padre!
Questo braccio sotto il tuo capo!
È solo un sogno che sul ponte
Sei caduto, gelido, morto.
Non risponde il mio Capitano, le sue labbra sono pallide e immobili
Non sente il padre il mio braccio, non ha più energia né volontà,
La nave è all'ancora sana e salva, il suo viaggio concluso, finito,
La nave vittoriosa è tornata dal viaggio tremendo, la meta è raggiunta;
Esultate coste, suonate campane!
Mentre io con funebre passo
Percorro il ponte dove giace il mio Capitano,
Caduto, gelido, morto.
all’inizio
del ventesimo secolo l’intera Umanità vive in circostanze catastrofiche. I
tempi tranquilli, nei quali un sistema universale e profondamente, radicato di
valori scientifici, creativi e vitali sembrava sussistere incrollabile, sono,
totalmente, scomparsi.
Ovunque,
divisioni, scissioni…
Ovunque,
avvenimenti fluttuanti, mutevoli, contraddittori…
E,
nonostante ciò, vi è l’ideale di una finalità comune: riunire in una comunità armonica
i Popoli, affinché si adattino gli Uni agli Altri e si fecondino a vicenda. Per
quanto non sia possibile cogliere l’Umanità in tutto il suo complesso – in assenza
di un contenuto culturale comune, capace di costruire una civiltà nuova –,
nondimeno questa consapevolezza non impedisce l’aspirazione di una unione dei
Popoli, dacché si avverte che le finalità, in campo sociale ed etico, debbano,
sempre, oltrepassare il verosimile per avere una efficacia creativa.
Fenomeno
strano, seppure comprensibile, nella nostra epoca inquieta e rivoluzionaria,
sono vive due tendenze contrastanti: l’una, che spinge alla scissione, al
distacco, financo alla autodisgregazione; l’altra, che mira alla unificazione.
Nel
gioco delle forze politico-sociali manca una linea unitaria: forze diverse, in
lotta tra loro, dominano la vita multiforme degli individui e degli strati
sociali. Questa duplicità delle forze fondamentali e, apparentemente,
inconciliabili, questi effetti di forze contrarie, ma tra loro intersecate, si
ritrovano in tutti i grandi periodi della Storia, sia nell’Antichità, sia
nell’Era Moderna.
Si ha,
tuttavia, l’impressione che l’Umanità non abbia, mai, conosciuto tensioni e
sconvolgimenti della potenza e della vastità di quelli che abbiamo occasione di
osservare, noi, oggi.
In
queste circostanze caotiche, nelle quali vediamo Gruppi, Popoli, e Culture
crollare e nuove strutture politiche e sociali sorgere al loro posto, emergono,
naturalmente, problemi di ogni genere, nuovi e vecchi, razionali e irrazionali,
che solo in piccola parte ammettono una soluzione.
Le
nuove idee di attualità, i progetti per l’avvenire, le ideologie, le parole
altisonanti e le teorie cavillose contribuiscono a confondere gli spiriti. Si
presuppone che gli Uomini siano in grado, per la loro preparazione, di adempiere
questi compiti in tutta la loro estensione. Senza una particolare selezione, si
affidano a individui i compiti più diversi e la maggior parte di loro sembra,
anche, essere in grado di eseguirli, fintantoché non si richiedano forza
creatrice e grandezza personale. Di fronte a questo grande gruppo di “capaci”
sta lo strato molto più esiguo degli individui “di talento”, predestinati da
natura a compiti maggiori e più importanti.
Il
mondo moderno, con i suoi infiniti nuovi assunti, ha bisogno di di uomini “di
talento”, la cui mancanza può essere imputata al numero estremamente limitato di
individui dotati di qualità superiori o al malfunzionamento della selezione
naturale, nella loro scelta. È possibile, anzi è probabile, che molte persone
di talento soccombano nella competizione con individui sprovvisti di talento,
ma abili a destreggiarsi nella lotta per la vita.
Se
l’apparenza sembra contare più della sostanza, non può non avere un peso rilevante
nella complessità dei problemi, che l’Italia ha di fronte.
Gli
Italiani sono, da sempre, convinti che la realtà del loro Paese differisca,
radicalmente, da quella di ogni altra Nazione europea.
Il
giorno dopo l’uccisione di Giovanni Falcone, mi trovavo a cena, ospite nella
casa al mare di una Amica, quando uno degli invitati proruppe d’improvviso:
“Mi vergogno di essere italiano. Un Paese
democratico, che non ha nemici esterni, viene affossato da nemici interni che
uccidono un alto funzionario dello Stato.”
Tutti
erano unanimi nel concordare che l’Italia stesse attraversando un momento molto
particolare della sua Storia.
E avevano
ragione…
Ma gli
Italiani si ripetono la stessa frase da decenni!
E
hanno, sempre, ragione…
Si deve
supporre che sia venuta a cadere la barriera che separa gli eventi ordinari da
quelli straordinari?
Viene,
generalmente, riconosciuto che alla Democrazia si accompagnino,
inevitabilmente, scandali politici.
Vi è,
tuttavia, un abisso tra il carattere casuale di certi episodi di corruzione che
hanno luogo, nei maggiori Paesi occidentali, e lo stile istituzionalizzato,
sistematico, arcaico, con cui avvengono, in Italia!
Interminabili
speculazioni sono state fatte sugli intrecci tra mafia e politica.
Non
esistono ricerche approfondite sulla sociologia degli scandali politici, ma
Andrei S. Markovits e Mark Silverstein sostengono che le Nazioni ne traggono
reali benefici.
“Gli scandali rafforzano i legami
dell’etica sociale. Offrono dei capri espiatori, l’immagine del nemico e
dell’emarginato di cui tutte le società hanno bisogno. Lo scandalo costituisce
una minaccia per le norme e i valori della collettività; il rituale ufficiale
delle indagini, il dibattimento e il verdetto servono in ultima analisi a
rafforzare il primato delle leggi e dell’etica sociale.”
Paradossalmente,
rappresenterebbero un fattore coesivo per la collettività!
Non si
può comprendere la realtà italiana senza rendersi conto che, in qualche misura,
nella società vi sono molti poteri “supplementari”, che hanno qualche grado di
indipendenza de facto. Per decenni, la
situazione è stata caratterizzata da un equilibrio tra poteri molto diversi, la
Chiesa, il crimine organizzato, il mondo degli affari e, in parte, il sindacato.
E, per
quanto, abbia chiesto “in giro”, non sono mai stata riuscita a scoprire se il
potere indipendente della Massoneria sia un mito o una realtà.
Buona parte
della politica italiana può essere compresa a fondo solo avendo letto Niccolò
Machiavelli.
Di più!
È molto
probabile che una attenta lettura di Niccolò Machiavelli abbia sviluppato nei
politici italiani e nella classe dirigente in genere quegli atteggiamenti che
hanno portato il Paese alla situazione attuale.
Rileggete,
ogni mese, Il Principe.
Utilizzate
i margini del libro per tracciare dei paralleli tra i concetti, contenuti nel
libro, e l’attualità italiana.
Fate un
confronto tra gli eventi di oggi e quelli dell’epoca, cui risale l’opera.
Dopo un
anno di questo esercizio avrete sviluppato un nuovo modo di analisi politica.
In
Italia, vi sono ancora politici, che credono che Charles-Louis
de Secondat, barone de La Brède e de Montesquieu, meglio noto come Montesquieu,
esagerasse quando affermava che, nella società, vi sono tre poteri che si
bilanciano tra loro: quello esecutivo, quello legislativo e quello giudiziario.
Ritengono,
infatti, che ne esistano solo due: quelli politici.
A
diciotto anni sognavo, di diventare magistrato e mi iscrissi a Giurisprudenza
e, dopo aver sostenuto i primi esami, parlando con un giovane assistente di
“buona apparenza, molta forma e poca sostanza” circa le mie ambizioni,
desistetti. Mi fece capire che non era il caso, che non sarei, mai, stata un
buon giudice, che, con il mio carattere non sarei riuscita a condannare neppure
un innocente…
Ancora
oggi, mi chiedo cosa intendesse dire con quelle parole…
Ma
basta!
Vorrei
chiudere queste poche righe con una frase di Paolo Borsellino, dopo la morte di
Giovanni Falcone:
“Devo fare in fretta, perché adesso tocca a
me.”
Dobbiamo
fare in fretta, perché adesso tocca a me… e tocca a tutti Voi… prestare
orecchio alle parole di Antonino Caponnetto…
Queste sono le parole di un vecchio ex-magistrato
che è venuto nello spazio di due mesi due volte a Palermo con il cuore a pezzi
a portare l’ultimo saluto ai suoi figli, fratelli e amici con i quali ho diviso
anni di lavoro di sacrificio di gioia, anche di amarezza. Soltanto poche parole
per un ricordo, per un doveroso atto di contrizione che poi vi dirò e per una
preghiera laica ma fervente.
Il ricordo è per l’amico Paolo, per la sua
generosità, per la sua umanità, per il coraggio con cui ha affrontato la vita e
con cui è andato incontro alla morte annunciata, per la sua radicata fede
cattolica, per il suo amore immenso portato alla famiglia e agli amici tutti.
Era un dono naturale che Paolo aveva, di spargere attorno a sé amore. Mi
ricordo ancora il suo appassionato e incessante lavoro, divenuto frenetico
negli ultimi tempi, quasi che egli sentisse incombere la fine. Ognuno di noi e
non solo lo Stato gli è debitore; ad ognuno di noi egli ha donato qualcosa di
prezioso e di raro che tutti conserveremo in fondo al cuore, e a me in
particolare mancheranno terribilmente quelle sue telefonate che invariabilmente
concludeva con le parole:
“Ti voglio bene Antonio.”
ed io replicavo:
“Anche io ti voglio bene Paolo.”
C’è un altro peso che ancora mi opprime ed è il
rimorso per quell’attimo di sconforto e di debolezza da cui sono stato colto
dopo avere posato l’ultimo bacio sul viso ormai gelido, ma ancora sereno, di
Paolo. Nessuno di noi, e io meno di chiunque altro, può dire che ormai tutto è
finito.
Pensavo in quel momento di desistere dalla lotta contro
la delinquenza mafiosa, mi sembrava che con la morte dell’amico fraterno tutto
fosse finito. Ma in un momento simile, in un momento come questo coltivare un
pensiero del genere, e me ne sono subito convinto, equivale a tradire la
memoria di Paolo come pure quella di Giovanni e di Francesca.
In questi pochi giorni di dolore trascorsi a
Palermo che io vi confesso non vorrei lasciare più, ho sentito in gran parte
della popolazione la voglia di liberarsi da questa barbara e sanguinosa
oppressione che ne cancella i diritti più elementari e ne vanifica la speranza
di rinascita. E da qui nasce la mia preghiera dicevo laica ma fervente e la
rivolgo a te, presidente, che da tanto tempo mi onori della tua amicizia, che è
stata sempre ricambiata con ammirazione infinita. La gente di Palermo e
dell’intera Sicilia, ti ama presidente, ti rispetta, e soprattutto ha fiducia
nella tua saggezza e nella tua fermezza. Paolo è morto servendo lo Stato in cui
credeva così come prima di lui Giovanni e Francesca. Ma ora questo stesso Stato
che essi hanno servito fino al sacrificio, deve dimostrare di essere veramente
presente in tutte le sue articolazioni, sia con la sua forza sia con i suoi
servizi. È giunto il tempo, mi sembra, delle grandi decisioni e delle scelte di
fondo, non è più l’ora delle collusioni degli attendismi dei compromessi e
delle furberie, e dovranno essere, presidente, dovranno essere uomini
credibili, onesti, dai politici ai magistrati, a gestire con le tue illuminate
direttive questa fase necessaria di rinascita morale: è questo a mio avviso il
primo e fondamentale problema preliminare ad una vera e decisa lotta alla
barbarie mafiosa. Io ho apprezzato le tue parole, noi tutti le abbiamo
apprezzate, le tue parole molto ferme al Csm dove hai parlato di una nuova
rinascita che è quella che noi tutti aspettiamo, e laddove anche con la
fermezza che ti conosco hai giustamente condannato, censurato, quegli errori
che hanno condotto martedì pomeriggio a disordini che altrimenti non sarebbero
accaduti perché nessuno voleva che accadessero.
Solo così attraverso questa rigenerazione
collettiva, questa rinascita morale, non resteranno inutili i sacrifici di
Giovanni, di Francesca, di Paolo e di otto agenti di servizio. Anche a quegli
agenti che hanno seguito i loro protetti fino alla morte va il nostro pensiero,
la nostra riconoscenza, il nostro tributo di ammirazione. Tra i tanti fiori che
ho visto in questi giorni lasciati da persone che spesso non firmavano nemmeno
il biglietto come è stato in questo caso, ho visto un bellissimo lilium,
splendido fiore il lilium, e sotto c’erano queste poche parole senza firma:
“Un solo grande fiore per un solo grande uomo
solo.”
Mi ha colpito, presidente, questa frase che mi è
rimasta nel cuore e credo che mi rimarrà per sempre.
Ma io vorrei dire a questo grande uomo, diletto
amico, che non è solo, che accanto a lui batte il cuore di tutta Palermo, batte
il cuore dei familiari, degli amici, di tutta la Nazione. Caro Paolo, la lotta
che hai sostenuto fino al sacrificio dovrà diventare e diventerà la lotta di
ciascuno di noi, questa è una promessa che ti faccio solenne come un
giuramento.
Palermo, 24 luglio 1992
Antonino Caponnetto
Daniela
Zini
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© 11 settembre 2014 ADZ
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