IL CASO ALPI-HROVATIN
NON E’ ARCHIVIATO!
Il post precedente del 4 ottobre scorso, con il
quale vi informavo che il gip di Roma
Andrea Fanelli aveva rigettato la richiesta di
archiviazione dell’indagine relativa all’omicidio di Ilaria Alpi e di Miran
Hrovatin, non è stato diramato – ancora, una
volta, mi verrebbe da dire! – da Change.org.
Anche se non è una vittoria della Petizione, ma
della GIUSTIZIA,
io sento, tuttavia, il dovere di ringraziare tutti
Voi 7.333 Firmatari, per avere aderito all’appello rivolto al Capo dello Stato Sergio Mattarella, il 6 luglio 2017.
A
tutti Voi, che sapete cosa sia la solidarietà, stringerei volentieri la mano,
non potendolo fare Vi ringrazio di cuore.
Vi
sono valori che vanno conservati.
Vi
sono affetti che vanno stretti al cuore.
E
vi sono Esseri dall’animo puro, che non andrebbero mai colpiti.
Esseri
preziosi, unici, per cui vale e si deve continuare a lottare.
Grazie
a chi non si è voltato indietro.
Grazie
a chi, nonostante la paura, si è vestito di coraggio.
Grazie
a chi ha creduto che fosse suo dovere.
Grazie
a chi ha sofferto, pianto, lottato, sperato.
Grazie
a chi non si è arreso.
Grazie
a chi ha dato la propria Vita in nome della Libertà.
Il
duplice assassinio dei giornalisti ci ricorda che la libertà di stampa resta
fragile anche in Italia.
Come
scrissi nel post del 19 novembre del
2017:
“La
realtà è, spesso, diversa da come ci viene raccontata.
E dovremmo chiederci:
“Cui
prodest? A chi giova?”
Il
caso Alpi-Hrovatin è una chiave di comprensione all’inchiesta Mani Pulite, la
scatola nera della Prima Repubblica, in qualche modo.
Questo caso ci riguarda tutti.
A
essere uccisi non sono stati solo due inviati della RAI, Ilaria Alpi e Miran
Hrovatin, ma anche un modo di fare politica, una concezione dello Stato e
dell’interesse generale.
Attualmente,
il duplice delitto non ha né un colpevole, né un movente, né un mandante.
Solo
depistaggi!
E,
quindi, per comprendere a pieno questa storia, sarà bene valutare le
circostanze, nel contesto dell’epoca…
19 nov 2017 — Quel
sottile Fil Rouge che lega tante morti misteriose rimaste impunite…
La
realtà è, spesso, diversa da come ci viene raccontata.
E dovremmo chiederci:
“Cui
prodest? A chi giova?”
Il
caso Alpi-Hrovatin è una chiave di comprensione all’inchiesta Mani Pulite, la scatola nera della Prima
Repubblica, in qualche modo.
Questo caso ci riguarda tutti.
A
essere uccisi non sono stati solo due inviati della RAI, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ma anche un modo di
fare politica, una concezione dello Stato e dell’interesse generale.
Attualmente,
il duplice delitto non ha né un colpevole, né un movente, né un mandante.
Solo
depistaggi!
E,
quindi, per comprendere a pieno questa storia, sarà bene valutare le
circostanze, nel contesto dell’epoca.
L’11 marzo 1994, Ilaria Alpi e Miran
Hrovatin prendono il volo da Pisa per Mogadiscio. Cinque giorni dopo,
nonostante la partenza del contingente italiano, i due giornalisti decidono di
posticipare il loro ritorno a casa di qualche giorno.
Ma
da quel viaggio, non ritorneranno!
“1.400
miliardi di lire: che fine ha fatto questa ingente mole di denaro?”,
era
questa la domanda che aveva spinto Ilaria
Alpi a tornare di nuovo in Somalia, un Paese che amava. La stessa domanda
che aveva posto al sultano di Bosaaso.
“Stia
attenta, signorina. Da noi, chi ha parlato del trasporto di armi, chi ha detto
di aver visto qualcosa, poi è scomparso. In un modo o nell’altro, è morto.”
era
stata la risposta.
Un
sottile Fil Rouge lega il duplice
assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, che ha inquietanti
analogie con il caso Toni-De Palo,
ad altre morti misteriose rimaste impunite.
Le
vittime erano divenute pedine scomode e, per questo motivo, dovevano essere
eliminate?
Per
muoverci in questo ginepraio, dove il grigio è il colore predominante, proviamo
a ridefinire i ruoli dei diversi attori.
Non è facile e neppure sicuro, ma procediamo con ordine!
1. Libano [Beirut], 2 settembre1980: Graziella De Palo e Italo Toni,
giornalisti
Il
22 agosto 1980, poco dopo la Strage di Bologna, Graziella De Palo e Italo
Toni, che, all’epoca della loro scomparsa, avevano, rispettivamente, 24 e
50 anni, partivano da Roma per raggiungere il Libano, passando per la Siria. Il
viaggio era stato concordato con gli uffici di rappresentanza dell’OLP in Italia. Il rientro era previsto
per il 15 settembre, ma dei due non si ebbero più notizie dalla mattina del 2
settembre. Avevano preso alloggio in un albergo della zona occidentale di
Beirut, controllata dai miliziani palestinesi. Il primo settembre si recano
all’Ambasciata italiana, comunicando l’intenzione di visitare i campi del FDLP, il gruppo filomarxista guidato da Nayef Hawatmeh. Sulla vicenda, nel
1984, l’ufficiale del SISMI, Stefano Giovannone, capo del Centro SISMI di Beirut aveva invocato il
segreto di Stato e Bettino Craxi lo
aveva confermato.
Il
28 agosto 2014, è scaduto il termine ultimo stabilito dalla Legge 133 del 2012.
Ha scritto il magistrato Giancarlo
Armati nella sua richiesta di rinvio a giudizio per George Habbash, Stefano
Giovannone e Damiano Balestra:
“L’istruttoria
finora compiuta avrebbe certamente consentito di fare piena luce sulla
complessa vicenda della scomparsa all’estero dei due giornalisti.”
Ma
troppi sono stati gli ostacoli che hanno bloccato la procura di Roma:
“In
primo luogo l’atteggiamento completamente negativo delle autorità libanesi; in
secondo luogo le difficoltà frapposte dalle autorità elvetiche; in terzo luogo
la conferma da parte dell’autorità di governo del segreto di Stato opposto dal
Giovannone, […] che ha avuto l’effetto non voluto di coprire anche le ragioni
della condotta dell’ufficiale del SISMI nei confronti dell’OLP.”
Ai
magistrati di Trapani, un amico di Rostagno,
Sergio Di Cori, aveva rivelato:
“Mi
confidò di un traffico d’armi che avveniva attraverso una pista aerea in disuso
in provincia di Trapani. Mi risulta che avesse fatto anche delle riprese con
una telecamera.”
Il
giornalista, che indagava su un elicottero, Cardoen
206, venduto in centinaia di esemplari dal Cile all’Iraq, viene ritrovato
impiccato nella stanza 1406 dell’Hotel
Carrera, a Santiago. La tesi del suicidio non convinceva il giudice istruttore Alejandro Munoz. Nella stanza erano state ritrovate alcune lettere
di Moyle agli amici, con la data del
primo aprile. Evidentemente contava di postarle il giorno dopo. Nello stomaco
del giornalista era stata riscontrata una robusta dose di sonnifero. Parenti e
amici sostenevano che Moyle non
avesse, mai, fatto uso di tranquillanti. [https://www.youtube.com/watch?v=gOG_2rlhuB0,
http://articles.latimes.com/1993-04-23/news/mn-26341_1_international-arms,
http://news.bbc.co.uk/2/hi/americas/60769.stm,
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/05/16/un-supercannone-tutto-europeo.html].
5. Somalia [Mogadiscio], 17/18 giugno 1990: Giuseppe Salvo, biologo
Danny Casolaro
indagava su Whitewater, Mena, BCCI e ADFA e doveva
ricevere informazioni che collegavano l’Iran-Contra
allo scandalo Inslaw, quando fu
rinvenuto nella vasca da bagno in una camera d’albergo, in West Virginia, nel
pomeriggio del 10 agosto 1991. Su entrambi i polsi presentava sette tagli molto
profondi, che avevano reciso i tendini delle dita, rendendo impossibile a Casolaro tagliarsi l’altro polso con la
mano ormai inferma. Nonostante questo, il verdetto ufficiale fu suicidio, anche
se nessuno degli amici e dei familiari lo credette, in particolare coloro che
furono testimoni diretti delle numerose minacce di morte che ricevette. Casolaro lavorava al libro The Octopus, che, originariamente, aveva
intitolato Behold, A Pale Horse,
iniziando dalle indagine sul furto al Dipartimento di Giustizia del software PROMIS della società Inslaw. PROMIS è un database delle forze dell’ordine
che aveva una caratteristica unica per l’epoca, poteva essere programmato per
accedere automaticamente ad altri database, presentando all’utente il quadro
delle transazioni finanziarie dei sospetti utilizzando più fonti. Tutto ciò
mentre si svolgeva il traffico di armi e droga della CIA con i Contras in
Nicaragua. Un’operazione totalmente illegale e che aveva il proprio centro di
contrabbando nell’aeroporto di Mena, Arkansas, sotto l’allora governatore Bill Clinton. Il
manoscritto, o meglio l’unico manoscritto di quel libro è scomparso. Al suo
posto, vicino al corpo, venne rinvenuto un biglietto che ne motivava il gesto [https://www.youtube.com/watch?v=5FVVb5xBeQQ,
https://www.youtube.com/watch?v=8BGOZWJTeCw,
https://www.leggo.it/societa/libri/non_stata_solo_la_mafia_uccidere_falcone_25_anni_dalla_strage_di_capaci_carlo_sarzana_di_sant_ippolito_riaccende_riflettori_sulle_indagini_documenti_inediti-2456340.html].
8. Somalia, 5 giugno 1993: 23 pakistani uccisi
L’agguato
al Check Point Pasta, che costò la
vita ai 3 soldati, sarebbe stato legato, secondo il maresciallo Francesco Aloi, allo stupro di una
donna somala da parte di militari italiani.
10. Genova, 9 luglio 1993: Francesco Aloi, paracadutista del
Tuscania
Ha
scritto sulla Missione Ibis, cui
partecipò, tra il 16 maggio e il 31 luglio 1993. Il 18 agosto 1997, rende
pubblico un presunto agguato fallito nei pressi dell’aeroporto di Mogadiscio.
Un componente della pattuglia, guidata dal maresciallo
Marco Menicucci, rimase ferito. È morto, a 52 anni, per un tumore alla pelle,
causato dall’uranio impoverito, il 30 settembre 2012, nell’Ospedale San Martino
di Genova [https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/16196.pdf,
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/09/06/ecco-perche-accuso-para.html].
11. Somalia [Mogadiscio], 12 luglio 1993: Dan Eldon, fotografo, Hos
Maina, fotografo, Hansi Krauss, fotografo, e Anthony Macharia, tecnico del
suono
In
un agguato, a Mogadiscio, vengono trucidati quattro giornalisti: il fotografo
dell’Associated Press, Hansi Krauss, i fotografi Dan Eldon e Hos Maina, e il tecnico del suono, Anthony Macharia, che lavoravano per la Reuters [http://www.africa-express.info/2013/07/12/12-luglio-1993-quattro-giornalisti-trucidati-a-mogadiscio-ventanni-dopo-mi-salvai-per-miracolo/].
12. Somalia [Mogadiscio],15 settembre 1993: Giorgio Righetti,
paracadutista, e Rossano Visioli, paracadutista
Secondo
la versione ufficiale, due soldati italiani, Giorgio Righetti, ventenne di Marina di Carrara, e Rossano Visioli, anch’egli ventenne di
Casalmaggiore, venivano “uccisi da cecchini somali”, la sera
del 15 settembre 1993, al porto nuovo di Mogadiscio, [http://www.congedatifolgore.com/it/somalia-193-i-paracadutisti-visioli-e-righetti-uccisi-da-fuoco-amico/,
http://ricerca.gelocal.it/iltirreno/archivio/iltirreno/2006/10/03/LFXPO_LF201.html,
http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/1995/07/14/Esteri/SOMALIA-FIORE-NON-FU-IL-FUOCO-AMICO-A-UCCIDERE-LA-LUINETTI_152100.php,
http://www.africa-express.info/2014/02/11/gli-attacchi-ai-marinai-italiani-mozambico-ragion-di-stato-contro-verita/].
13. Somalia [Mogadiscio], 29 ottobre 1993: Franco Oliva,
collaboratore del Ministero degli Affari Esteri
Il
29 ottobre 1993, Oliva è,
gravemente, ferito in circostanze ancora tutte da chiarire. In ospedale, viene
a conoscenza dell’assassinio di Vincenzo
Li Causi. Secondo Oliva, il
rientro in Italia di Li Causi
sarebbe stato posticipato di una settimana rispetto al previsto, fatto che al
maresciallo del SISMI causò non poca
agitazione.
“Era
semplicemente terrorizzato.”
“Tra
l’86 e l’88 sento un connazionale, Guido Garelli, dichiarare pubblicamente a
Mogadiscio di essersi recato fin laggiù per piazzare navi cariche di scorie
nucleari. Circa i traffici di armi, i sospetti, già esistenti, si confermano
quando, nell’ottobre 1989, proveniente dall’Italia e dopo uno scalo a Tripoli,
in Libia, arriva in Somalia la nave 21 Oktoobar II, il fiore all’occhiello
della neocostituita flotta di pescherecci oggi della società italo-somala
Shifco di Omar Said Mugne, un progetto che tra imbarcazioni e varie
attrezzature prevede una spesa complessiva di circa 74 miliardi e mezzo, a
carico della Cooperazione italiana. Ebbene, la nave giunge battendo bandiera
somala: ciò esclude ogni possibilità di controllo, ma si accerta comunque che
invece delle 12 celle frigorifere nuove previste, ne arrivano solo 6, usate.
Del carico non si sa nulla.”
[http://www.stpauls.it/fc98/0898fc/0898fc22.htm,
http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/57919.pdf]
14. Somalia [Balad], 12 novembre 1993: Vincenzo Li Causi,
maresciallo del SISMI
Li Causi,
responsabile del Centro Scorpione di
Trapani, la base principale di Gladio,
in Sicilia, viene ucciso, in circostanze misteriose, pochi mesi prima
dell’agguato, nel quale perderanno la vita i due giornalisti del TG3. Fu colpito, si disse,
accidentalmente, da banditi somali, mentre viaggiava su un mezzo dell’esercito.
Aveva partecipato alla liberazione del generale
James Lee Dozier, rapito dalle BR
e, su ordine di Bettino Craxi,
organizzò i servizi di protezione per il presidente
peruviano socialdemocratico Alan Garcia. A Trapani, dal 1988 al 1990,
diresse il Centro Scorpione della
struttura Gladio. Sulla Gladio in Sicilia aveva, invano, cercato
di indagare Giovanni Falcone, come
racconta il magistrato Antonino
Caponnetto, nel suo libro, I miei
giorni a Palermo. Li Causi venne
inviato a operare in Somalia presso l’Ambasciata, non si sa bene con quali
compiti, e doveva testimoniare al processo per il Centro Scorpione.
Il colonnello Mario Ferraro scrisse
in un suo documento, che chi veniva mandato in missione all’estero correva il
rischio di tornare con “i piedi in avanti” [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/11/14/orgoglio-dei-gladiatori-morto.html,
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/servizi-segreti-ex-capo-cesis-fulci-stragi-92-furono-103593.htm,
http://www.statoquotidiano.it/18/10/2012/li-causi-agguato-somali-pre-ordinato/106071/].
15. Somalia [Mogadiscio], 9 dicembre 1993: Maria Cristina Luinetti
La
sera del 2 marzo 1994, un elicottero della Guardia di Finanza svanisce nel
nulla nel cielo di Capo Ferrato, nella Sardegna Sud Orientale. A bordo dell’A-109 delle Fiamme Gialle, nome in
codice “Volpe 132”, due
sottufficiali: un veterano del volo, il maresciallo
Gianfranco Deriu di Cuglieri e un giovane brigadiere di Ottana,
Fabrizio Sedda. Due giorni dopo l’avvio delle ricerche, vengono ripescati
in mare solo alcuni frammenti del velivolo. [https://necrologie.lanuovasardegna.gelocal.it/news/19059?refresh_ce].
17. Somalia [Mogadiscio], 9 febbraio 1995: Marcello Palmisano,
operatore del TG2
Mandolini
era un paracadutista incursore della Folgore, addestratore dei corpi speciali
alla base NATO di Weingarten, in Germania,
e, nel 1992, capo scorta del generale
Bruno Loi in Somalia. Mandolini
è stato ucciso il 13 giugno 1995 su una scogliera di Livorno con 40 coltellate
e la testa fracassata da una pietra di 25 chili. Un documento riservato del SISMI proverebbe la collaborazione tra Li Causi e Mandolini nel trasporto di materiale bellico dal porto di La Spezia
al porto di Trapani, all’aeroporto militare trapanese, alla Somalia. Traffici
sospetti che sarebbero stati filmati, clandestinamente, dal giornalista Mauro Rostagno,
assassinato, il 26 settembre 1988 [https://www.youtube.com/watch?v=YhUxysc-IEY,
https://www.youtube.com/watch?v=X2Y82Btbzos&t=132s,
http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=14&id=31104].
19. Roma, 16 luglio 1995: Mario Ferraro, tenente colonnello del
SISMI
Mario Ferraro,
alias Fabio Marcelli, muore in
circostanze misteriose, poi, ricondotte dalla Procura a un suicidio, il 16
luglio 1995, mentre è in ferie. Il 7 agosto successivo, sarebbe dovuto partire
per una missione delicata in Albania [http://www.iltempo.it/cronache/2015/08/19/news/lo-007-che-sapeva-troppo-impiccato-nella-casa-alleur-985479/,
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/11/09/nelle-bobine-dello-007-le-tangenti-al.html].
20. Somalia, 22 ottobre 1995: Graziella Fumagalli, medico volontario
Subentrata
ad Annalena Tonelli, nel 1994, nella
direzione del Centro Antitubercolare
della Caritas Italiana, a Merca, viene assassinata pochi mesi dopo.
21. Nocera Inferiore, 13 dicembre 1995: Natale De Grazia, capitano
di corvetta
Il
giornalista del quotidiano francese Le
Figaro viene trovato impiccato nella sua residenza estiva. Una morte
avvolta nel più fitto mistero. Gautier,
prima di partire per le vacanze, aveva lavorato a una lunga inchiesta su un
presunto traffico di organi dalla Bosnia. Sul muro esterno della villa venne
rinvenuta una scritta in italiano:
L’operatore
della TV americana ABC, di origine
greca, che filmò i corpi dei giornalisti uccisi, in missione per il
telegiornale della CBS, viene trovato
morto in una stanza d’albergo, a Peshawar, in apparente overdose, [http://www.nydailynews.com/archives/gossip/colleague-death-60-mins-action-article-1.820202,
http://www.zonedombratv.it/news/1056-quando-giornalisti-e-cameraman-sono-diversi-davanti-alla-morte].
24. Isole di Capo Verde, 13 maggio 1998: Gaetano Giacomina
Gaetano
Giacomina ha 52 anni quando, il 13 maggio del 1998, una
gru lo colpisce, uccidendolo. L’incidente avviene a bordo della nave che Giacomina comandava, nelle Isole di
Capo Verde. Il 17 maggio 2001, il padre
di Giacomina, Pasqualino, presenta un esposto-denuncia alla Procura di
Oristano, chiedendo formalmente la riesumazione del corpo del figlio e una
indagine necroscopica per accertare la cause della morte. Giacomina non era un uomo qualunque, era, un superagente segreto.
Apparteneva a quella Gladio delle
Centurie, rivelata, per la prima volta, da Nino Arconte, nome in codice G.71 [http://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2001/09/04/SL401.html,
http://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2005/11/18/SL3PO_SL301.html].
A dispetto delle sentenze ambigue pronunciate nei due processi celebratisi in
questi anni, il caso Alpi-Hrovatin è davvero chiuso [http://www.stpauls.it/fc00/0016fc/0016fc36.htm]?
Nel momento in cui la concentrazione dei media nelle mani di pochi uomini di
affari non è mai stata così alta, i giornalisti devono restare con tutti i
mezzi, gli artigiani della Verità, perché il giornalismo, per me, è
artigianato.
È
lo spirito del manifesto sul giornalismo di Albert Camus, che si ritrova nel
suo articolo del 25 novembre 1939, su Le
Soir Républicain di Algeri:
Lucidité, refus, ironie et obstination
Pourtant cette liberté parmi d’autres n’est
qu’un des visages de la liberté tout court et l’on comprendra notre obstination
à la défendre si l’on veut bien admettre qu’il n’y a point d’autre façon de
gagner réellement la guerre.
Certes, toute liberté a ses limites. Encore faut-il qu’elles soient librement
reconnues. Sur les obstacles qui sont apportés aujourd’hui à la liberté de
pensée, nous avons d’ailleurs dit tout ce que nous avons pu dire et nous dirons
encore, et à satiété, tout ce qu’il nous sera possible de dire. En particulier,
nous ne nous étonnerons jamais assez, le principe de la censure une fois
imposé, que la reproduction des textes publiés en France et visés par les
censeurs métropolitains soit interdite au Soir républicain – le journal, publié
à Alger, dont Albert Camus était rédacteur en chef à l’époque – , par exemple.
Le fait qu’à cet égard un journal dépend de l’humeur ou de la compétence d’un
homme démontre mieux qu’autre chose le degré d’inconscience où nous sommes parvenus.
Un des bons préceptes d’une philosophie digne de ce nom est de ne jamais se
répandre en lamentations inutiles en face d’un état de fait qui ne peut plus
être évité. La question en France n’est plus aujourd’hui de savoir comment
préserver les libertés de la presse. Elle est de chercher comment, en face de
la suppression de ces libertés, un journaliste peut rester libre. Le problème
n’intéresse plus la collectivité. Il concerne l’individu.
Et justement ce qu’il nous plairait de définir ici, ce sont les conditions et
les moyens par lesquels, au sein même de la guerre et de ses servitudes, la
liberté peut être, non seulement préservée, mais encore manifestée. Ces moyens
sont au nombre de quatre: la lucidité, le refus, l’ironie et l’obstination. La
lucidité suppose la résistance aux entraînements de la haine et au culte de la
fatalité. Dans le monde de notre expérience, il est certain que tout peut être
évité. La guerre elle-même, qui est un phénomène humain, peut être à tous les
moments évitée ou arrêtée par des moyens humains. Il suffit de connaître
l’histoire des dernières années de la politique européenne pour être certains
que la guerre, quelle qu’elle soit, a des causes évidentes. Cette vue claire
des choses exclut la haine aveugle et le désespoir qui laisse faire. Un
journaliste libre, en 1939, ne désespère pas et lutte pour ce qu’il croit vrai
comme si son action pouvait influer sur le cours des événements. Il ne publie
rien qui puisse exciter à la haine ou provoquer le désespoir. Tout cela est en son
pouvoir.
En face de la marée montante de la bêtise, il est nécessaire également
d’opposer quelques refus. Toutes les contraintes du monde ne feront pas qu’un
esprit un peu propre accepte d’être malhonnête. Or, et pour peu qu’on connaisse
le mécanisme des informations, il est facile de s’assurer de l’authenticité
d’une nouvelle. C’est à cela qu’un journaliste libre doit donner toute son
attention. Car, s’il ne peut dire tout ce qu’il pense, il lui est possible de
ne pas dire ce qu’il ne pense pas ou qu’il croit faux. Et c’est ainsi qu’un
journal libre se mesure autant à ce qu’il dit qu’à ce qu’il ne dit pas. Cette
liberté toute négative est, de loin, la plus importante de toutes, si l’on sait
la maintenir. Car elle prépare l’avènement de la vraie liberté. En conséquence,
un journal indépendant donne l’origine de ses informations, aide le public à
les évaluer, répudie le bourrage de crâne, supprime les invectives, pallie par
des commentaires l’uniformisation des informations et, en bref, sert la vérité
dans la mesure humaine de ses forces. Cette mesure, si relative qu’elle soit,
lui permet du moins de refuser ce qu’aucune force au monde ne pourrait lui
faire accepter: servir le mensonge.
Nous en venons ainsi à l’ironie. On peut poser
en principe qu’un esprit qui a le goût et les moyens d’imposer la contrainte
est imperméable à l’ironie. On ne voit pas Hitler, pour ne prendre qu’un
exemple parmi d’autres, utiliser l’ironie socratique. Il reste donc que
l’ironie demeure une arme sans précédent contre les trop puissants. Elle
complète le refus en ce sens qu’elle permet, non plus de rejeter ce qui est
faux, mais de dire souvent ce qui est vrai. Un journaliste libre, en 1939, ne
se fait pas trop d’illusions sur l’intelligence de ceux qui l’oppriment. Il est
pessimiste en ce qui regarde l’homme. Une vérité énoncée sur un ton dogmatique
est censurée neuf fois sur dix. La même vérité dite plaisamment ne l’est que
cinq fois sur dix. Cette disposition figure assez exactement les possibilités
de l’intelligence humaine. Elle explique également que des journaux français
comme Le Merleou Le Canard enchaîné puissent publier régulièrement les
courageux articles que l’on sait. Un journaliste libre, en 1939, est donc
nécessairement ironique, encore que ce soit souvent à son corps défendant. Mais
la vérité et la liberté sont des maîtresses exigeantes puisqu’elles ont peu
d’amants.
Cette attitude d’esprit brièvement définie, il
est évident qu’elle ne saurait se soutenir efficacement sans un minimum
d’obstination. Bien des obstacles sont mis à la liberté d’expression. Ce ne
sont pas les plus sévères qui peuvent décourager un esprit. Car les menaces,
les suspensions, les poursuites obtiennent généralement en France l’effet
contraire à celui qu’on se propose. Mais il faut convenir qu’il est des
obstacles décourageants: la constance dans la sottise, la veulerie organisée,
l’inintelligence agressive, et nous en passons. Là est le grand obstacle dont
il faut triompher. L’obstination est ici vertu cardinale. Par un paradoxe
curieux mais évident, elle se met alors au service de l’objectivité et de la
tolérance.
Voici donc un ensemble de règles pour préserver la liberté jusqu’au sein de la
servitude. Et après?, dira-t-on. Après? Ne soyons pas trop pressés. Si
seulement chaque Français voulait bien maintenir dans sa sphère tout ce qu’il
croit vrai et juste, s’il voulait aider pour sa faible part au maintien de la
liberté, résister à l’abandon et faire connaître sa volonté, alors et alors
seulement cette guerre serait gagnée, au sens profond du mot.
Oui, c’est souvent à son corps défendant qu’un esprit libre de ce siècle fait
sentir son ironie. Que trouver de plaisant dans ce monde enflammé? Mais la
vertu de l’homme est de se maintenir en face de tout ce qui le nie. Personne ne
veut recommencer dans vingt-cinq ans la double expérience de 1914 et de 1939.
Il faut donc essayer une méthode encore toute nouvelle qui serait la justice et
la générosité. Mais celles-ci ne s’expriment que dans des coeurs déjà libres et
dans les esprits encore clairvoyants. Former ces coeurs et ces esprits, les
réveiller plutôt, c’est la tâche à la fois modeste et ambitieuse qui revient à
l’homme indépendant. Il faut s’y tenir sans voir plus avant. L’histoire tiendra
ou ne tiendra pas compte de ces efforts. Mais ils auront été faits.
IL CASO ALPI-HROVATIN
NON E’ ARCHIVIATO!
Daniela Zini
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