“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

mercoledì 4 settembre 2024

J'ACCUSE! “Un esclave est celui qui ne peut exprimer sa pensée.” Euripide di Daniela Zini


J’ACCUSE!

“Un esclave est celui qui ne peut exprimer sa pensée.”

Euripide

C’est étonnant que le combat pour la liberté d’expression remonte si loin!


 

“Dedicato ai folli, agli anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane, a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso. Costoro non amano le regole, specie i regolamenti, e non hanno alcun rispetto per lo status quo. Potete citarli, essere in disaccordo con loro, potete glorificarli o denigrarli, ma l’unica cosa che non potrete mai fare è ignorarli, perché riescono a cambiare le cose, perché fanno progredire l’Umanità. E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio. Perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero.”[1]

Steve Jobs

 

Dedicato a Chi ha il coraggio delle scelte, talvolta impopolari, in nome dei principi e della coerenza ed è considerato folle in un mondo di corrotti, perché incapace di piegarsi e rinunciare a se stesso pur di essere parte di un tutto che lo vorrebbe diverso, omologato a una logica che baratta l’umanità e la dignità con uno sprazzo di illusoria notorietà.

Dedicato a Chi ha il coraggio di seguire la propria Stella, tenendo la barra sempre ben dritta, che il vento sia favorevole o no, resistendo alla voce melodiosa di ammalianti sirene, contro ogni lucido calcolo di convenienza.

Dedicato ai folli e ai coraggiosi, Donne  e Uomini custodi della Verità, il cui valore nessuno, né in questa né in altra epoca, potrà mai stimare.

Dedicato ai miei Amici folli, anticonformisti, ribelli, piantagrane, che vedono le cose in modo diverso.

Agli Altri dico:

“Arrendetevi, siamo folli, anticonformisti, ribelli, piantagrane e vediamo le cose in modo diverso!

“A volte sono le persone che nessuno immagina possano fare certe cose, quelle che fanno cose che nessuno può immaginare.”,

è una frase di grande impatto e di incontestata veridicità ripetuta più volte – e non a caso! – nel film di Morten Tyldum The imitation game, l’adattamento cinematografico della biografia di Andrew Hodges: Alan Turing[2].

Il mondo è in debito con Alan Turing, il geniale matematico inglese che, durante la Seconda Guerra Mondiale, decifrò Enigma[3], salvando, così, milioni di vite.

Proviamo a immaginare quanti conflitti sono attualmente nel Mondo…

Proviamo a capire le cause che li generano…

“Le differenze reali di tutto il mondo oggi non sono tra ebrei e arabi; protestanti e cattolici; musulmani, croati, e serbi. Le differenze reali sono tra coloro che abbracciano la Pace e coloro che vorrebbero distruggerla; tra coloro che guardano al futuro e coloro che si aggrappano al passato; tra coloro che aprono le loro armi e le persone che sono determinati a ripudiarle.”,

sono parole di Bill Clinton, rimaste solo parole!

A volte la Pace è più stressante della guerra.

Non spara nessuno...

Tutti prendono la mira!

Ma…

“Un giorno faranno una guerra e nessuno vi parteciperà.”,

scriveva Carl August Sandburg.

La Pace viene celebrata con una Giornata Speciale il 21 settembre[4] di ogni anno e io sogno di un Bambino che chieda:

“Mamma, cos’era la guerra?”

Sono folle, credo, ancora, che la Pace possa essere raggiunta in qualche modo...

Una Pace senza vittoria…

Solo una Pace tra eguali può durare!

I Trattati di Pace mi ricordano tanto la stretta di mano che si scambiano i pugili prima e dopo di rompersi il muso...

Il famoso detto latino:

“Si vis pacem para bellum!”

non è che un gioco di parole da oracolo di Delfo. Torniamo al senso comune che impone:

“Si vis pacem para Pacem!”

 

 

 

La genèse de la notion de Quatrième Pouvoir est incertaine. Thomas Carlyle en a octroyé la paternité au journaliste américain Edmund Burke, mais il semble que personne n’en ait trouvé trace dans son oeuvre écrite.

Selon Frank Luther Mott, la formule Quatrième Pouvoir est de l’historien et homme politique britannique Thomas Babington Macaulay; ainsi, dans The Constitutional History of England from the accession of Henry VII to the death of George II [L’Histoire Constitutionnelle d’Angleterre, depuis l’avènement de Henri VII jusqu’à la mort de George II], un  essai de Henry Hallam publié en 1827, Macaulay aurait affirmé que, dans la Chambre des Communes, la galerie sur laquelle étaient assis les journalistes était devenue un Quatrième Pouvoir [A fourth estate in the realm] dans le Royaume.

Compte tenu de l’évolution des Médias au XXème Siècle, l’expression de Quatrième Pouvoir a glissé, par extension, de la presse écrite vers les grandes chaînes de Média, dans la mesure où ils peuvent parfois servir de Contre-pouvoir face aux autres Pouvoirs incarnant l’État.

L’histoire de la presse débute avec la découverte de l’imprimerie. Et avec l’arrivée de l’imprimerie, les autorités civiles et religieuses sentent le besoin de créer un cadre plus solide à la censure, et légifèrent sur la censure. Comme nous le rappelle la définition de la Grande Encyclopédie:

“La censure est l’examen qu’un Gouvernement fait faire des livres, journaux, dessins, pièces de théâtre avant d’en autoriser l’apparition.”

La censure a accompagné la liberté d’expression depuis le début de l’Histoire. Ainsi, l’origine du terme censure remonte au poste de censeur, créé à Rome en 443 av. J. Ch., dont le but était de maintenir les mœurs, mais pas de censurer.

La liberté de la presse émerge comme concept à la fin du XVIIIème Siècle avec l’émergence de la reconnaissance de la liberté d’opinion, l’émergence de l’individualisme et l’apparition d’une sphère publique entre la sphère privée des individus et la sphère du pouvoir.

La première affirmation légale de la liberté de la presse dans le Monde, même si elle est encore imparfaite, remonte en Angleterre, à l’abolition de la loi soumettant les publications à une autorisation préalable [Licensing Act de 1662].

Quatre ans plus tard, dans un geste singulièrement précurseur et peu connu chez nous, la Suède adopte, le 2 décembre 1766, une loi sur la presse, Tryckfrihetsförordningen,  instaurant un libre accès des citoyens aux documents officiels. La liberté affirmée est des plus larges. Il ne s’agit pas seulement du droit de tout Citoyen d’exprimer ses opinions, mais aussi de son droit d’être informé des actes des gouvernants, donc d’être en mesure de les juger et de les contrôler. Ce nouveau droit d’être informé, ne se généralisera qu’au XXème Siècle quand se multiplieront dans le Monde les lois sur l’accès à l’information et aux archives officielles, plus ou moins libéralement ouvertes. Les Finlandais – il faut se souvenir que la Finlande faisait partie du Royaume de Suède à l’époque – insistent sur la paternité de ce droit qui reviendrait à Anders Chydenius, finlandais-suédois né en Finlande en 1729, surnommé, en raison de ses idées libérales, le Adam Smith du Nord. Les Suédois quant à eux préfèrent rappeler les raisons de son introduction, à savoir la volonté pour le parti qui fut vainqueur en 1766 de s’assurer à l’avenir s’il se retrouvait dans l’opposition de pouvoir contrôler l’action administrative et gouvernementale.

Sur la base du même postulat libéral, la Déclaration des Droits Fondamentaux de l’État de Virginie, le Virginia’s Bill of Rights du 12 juin 1776 – imprimée par la pensée de John Locke, l’un des plus grands philosphes libéraux anglais –,   qui proclame l’indépendance de l’ancienne colonie britannique, classe la liberté de presse dans la société civile, comme garante des libertés contre l’emprise de l’État, affirme que “la liberté de la presse est l’un des grands remparts de la liberté. Elle ne peut jamais être limitée sinon par un gouvernement despotique”. Le mot presse est ici prononcé sans que soient brandies la crainte des abus ni les menaces de la loi. Gilbert du Motier de La Fayette, François de la Rochefoucauld et Maximilien de Robespierre connaissaient ce texte. L’un de ses auteurs, Thomas Jefferson, ambassadeur des nouveaux États-Unis en France, avait à plusieurs reprises été sollicité par des Constituants français au cours des débats d’août 1789.

Quant à la Déclaration unanime des 13 États d’Amérique du 4 juillet 1776, elle reconnaît la liberté comme un droit inaliénable et marque son respect pour l’opinion, mais elle ne dit rien sur la liberté de la presse de façon explicite et particulière. L’oubli sera cependant réparé par le Premier Amendement apporté, en 1791, à la Constitution américaine et qui disposera:

“Le Congrès ne fera aucune loi restreignant la liberté de parole ou de la presse.”

Pendant la Révolution Française, la Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen du 26 août 1789 pose un principe essentiel:

“Article 10: Nul ne doit être inquiété pour ses opinions, mêmes religieuses, pourvu que leur manifestation ne trouble pas l’ordre public établi par la loi.

Article 11: La libre communication des pensées et des opinions est un des droits les plus précieux de l’homme; tout citoyen peut parler, écrire, imprimer librement, sauf à répondre de l’abus de cette liberté dans les cas prévus par la loi.”

En d’autres termes, on peut sanctionner une publication, mais en aucun cas empêcher celle-ci.

La Démocratie inaugure donc la liberté d’expression et d’opinion, devant intégrer à sa conception de l’Etat de droit la liberté de la presse.

Dans les Pays les plus démocratiques, la censure d’informations générales, politiques ou commerciales s’exerce généralement par voie de décisions de Justice et non par le contrôle d’un organe de censure pérenne.

Un passage du Mariage de Figaro de Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, écrit il y a presque deux Siècles et demi, nous donne une idée, par le biais de l’humour, de la réalité d’une nouvelle censure qui se présente sous le couvert de la liberté:

“On me dit que, pendant ma retraite économique, il s’est établi dans Madrid un système de liberté sur la vente des productions, qui s’étend même à celles de la presse; et que, pourvu que je ne parle en mes écrits ni de l’autorité, ni du culte, ni de la politique, ni de la morale, ni des gens en place, ni des corps en crédit, ni de l’opéra, ni des autres spectacles, ni de personne qui tienne à quelque chose, je puis tout imprimer librement, sous l’inspection de deux ou trois censeurs.”

C’est toujours une illusion de croire que la Liberté d’expression n’est plus menacée et la vigilance n’est jamais aussi nécessaire que là où elle paraît superflue.

Ne tenons jamais la liberté d’expression pour acquise.

C’est le silence avilissant qu’il faut plutôt tenir pour acquis.

Comme nous met en garde Fernand Dumont:

“Les censeurs existent toujours, même s’ils ont changé de costume et si leur autorité se réclame d’autres justifications. Toutes les sociétés, quels que soient leur forme et leur visage, mettent en scène des vérités et des idéaux et rejettent dans les coulisses ce qu’il est gênant d’éclairer. Toutes les sociétés pratiquent la censure; ce n’est pas parce que le temps de M. Duplessis est révolu que nous en voilà délivrés. Les clichés se sont renouvelés, mais il ne fait pas bon, pas plus aujourd’hui qu’autrefois, de s’attaquer à certains lieux communs. Il est des questions dont il n’est pas convenable de parler; il est des opinions qu’il est dangereux de contester. Là où il y a des privilèges, là aussi travaille la censure. Le blocage des institutions, le silence pudique sur les nouvelles formes de pauvreté et d’injustice s’expliquent sans doute par l’insuffisance des moyens mis en œuvre, mais aussi par la dissimulation des intérêts. On n’atteint pas la lucidité sans effraction.”

“L’écrivain est en situation dans son époque:”,

écrivait Jean-Paul Sartre dans sa présentation des Temps Modernes:

“chaque parole a des retentissements. Chaque silence aussi. Je tiens Flaubert et Goncourt pour responsables de la répression de la Commune, parce qu’ils n’ont pas écrit une ligne pour l’empêcher. Ce n’était pas leur affaire, dira-t-on. Mais le procès Calas, était-ce l’affaire de Voltaire? La condamnation de Dreyfus, était-ce l’affaire de Zola?”

En 1945, l’extermination des Juifs n’était ni l’Affaire Calas ni l’Affaire Dreyfus. Le Monde était absorbé par d’autres préoccupations. Les écrivains en situation accueillirent par le silence le retour des survivants des camps de la mort.

Mais les chambres à gaz, était-ce l’affaire de MacDonald?

L’essence même d’une société libre et civilisée c’est que tout devrait être sujet à la critique, que toutes les formes d’autorité devraient être traitées avec une certaine réserve. Une société totalement conformiste dans laquelle il n’y aurait aucune critique serait en fait une exacte équivalence des sociétés totalitaires contre lesquelles nous sommes engagés dans une guerre froide.

Depuis une trentaine d’années, à mesure que s’accélérait la mondialisation libérale, le Quatrième Pouvoir a été vidé de son sens, il a perdu peu à peu sa fonction essentielle de Contre-pouvoir.

La Mondialisation, c’est donc aussi la Mondialisation des Médias de masse, de la communication et de l’information. Préoccupés surtout par la poursuite de leur gigantisme, qui les contraint à courtiser les autres Pouvoirs, ces grands groupes ne se proposent plus, comme objectif civique, d’être un Quatrième Pouvoir ni de dénoncer les abus contre le droit, ni de corriger les dysfonctionnements de la Démocratie pour polir et perfectionner le système politique.

Ils ne souhaitent même plus s’ériger en Quatrième Pouvoir, et encore moins agir comme un Contre-pouvoir.

Ce Quatrième Pouvoir a été, grâce au sens civique des Médias et au courage de journalistes audacieux, celui dont disposaient les Citoyens pour critiquer, repousser, contrecarrer, démocratiquement, des décisions illégales pouvant être iniques, injustes, et même criminelles, contre des personnes innocentes. Il l’a parfois payé très cher: attentats, disparitions, assassinats, comme on le constate encore en plusieurs Pays.

C’était, on l’a souvent dit, la Voix des Sans-voix.

Cette choquante évidence s’impose en étudiant de près le fonctionnement de la Globalisation, en observant comment un nouveau type de Capitalisme a pris son essor, non plus simplement industriel mais surtout financier, bref un Capitalisme de la spéculation. En cette phase de la Mondialisation, nous assistons à un brutal affrontement entre le Marché et l’Etat, le secteur privé et les services publics, l’individu et la société, l’intime et le collectif, l’egoïsme et la solidarité.

Le pouvoir véritable est désormais détenu par un faisceau de groupes économiques planétaires et d’entreprises globales dont le poids dans les affaires du Monde apparaît parfois plus important que celui des Gouvernements et des Etats. Ce sont eux les nouveaux Maîtres du Monde qui inspirent les politiques de la grande Trinité Globalisatrice: Fonds Monétaire International, Banque Mondiale et Organisation Mondiale du Commerce.

On peut se demander ce qu’il adviendra des Nations dans ces conditions!

La question civique qui nous est donc désormais posée est celle-ci:

“Comment réagir?

Comment se défendre?

Comment résister à l’offensive de ce nouveau Pouvoir qui a, en quelque sorte, trahi les Citoyens et est passé avec armes et bagages à l’ennemi?”

Il faut, tout simplement, créer un Cinquième Pouvoir. Un Cinquième Pouvoir qui nous permette d’opposer une force civique citoyenne à la nouvelle coalition des dominants. Un Cinquième Pouvoir dont la fonction serait de dénoncer le Superpouvoir des Médias, des grands groupes médiatiques, complices et diffuseurs de la Globalisation libérale. Ces Médias qui, dans certaines circonstances, ont non seulement cessé de défendre les Citoyens, mais qui agissent parfois contre le peuple dans son ensemble. Les Citoyens doivent se mobiliser pour exiger que les Médias appartenant aux grands groupes globaux respectent la Vérité, parce que seule la recherche de la Vérité constitue en définitive la légitimité de l’information. La Révolution Numérique a brisé les frontières qui séparaient auparavant les trois formes traditionnelles de la communication: son, écrit, image. Elle a permis l’apparition et l’essor d’Internet, qui représente un quatrième mode de communiquer, une nouvelle façon de s’exprimer, de s’informer, de se distraire. L’un des droits les plus précieux de l’Etre Humain est celui de communiquer librement sa pensée et ses opinions. Nulle loi ne doit restreindre arbitrairement la liberté de parole ou de presse. Journalistes, universitaires, militants associatifs, lecteurs de journaux, auditeurs de radios, téléspectateurs, usagers d’Internet, tous s’unissent pour forger une arme collective de débat et d’action démocratique. Comparé à celui des grands groupes mondiaux d’aujourd’hui, le pouvoir de Citizen Kane était insignifiant. Propriétaire de quelques journaux de presse écrite dans un seul Pays, Kane disposait d’un pouvoir nain face aux archipouvoirs des mégagroupes médiatiques de notre temps.

Les globalisateurs avaient déclaré que le XXIème Siècle serait celui des entreprises globales; l’Association Media Watch Global affirme que ce sera le Siècle où la communication et l’information appartiendront enfin à tous les Citoyens.

Sa’adi nous raconte qu’un Roi d’Orient donna un jour l’ordre de mettre à mort un homme innocent. Celui-ci lui dit:

“O roi, épargne-toi: je ne souffrirai que pendant un instant, tandis que ta faute sera éternelle.”

Le pouvoir entraîne toujours de la responsabilité. Ne pensez jamais à ce que vous aimeriez faire, mais à ce qu’il est de votre devoir d’accomplir. Il y a dans l’Histoire de l’Homme un moment qui me bouleverse. C’est celui où les Etres Humains ont aligné leurs morts pour les enterrer. On n’a jamais vu les bêtes aligner les dépouilles des bêtes. Les animaux se cachent pour mourir…

A partir du moment où les restes des défunts ne sont plus laissés là, mais soigneusement rangés, un Nouvel Age commence: celui de l’Humanité.

  

Carteggio Einstein – Freud [1932]


Einstein una volta chiese a Freud: “Perché la guerra? C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?”

Freud rispose: “Una sola risposta si impone: perché l’uomo ha dentro di sé il piacere di odiare e di distruggere. In tempi normali la sua passione rimane latente, emerge solo in circostanze eccezionali; ma è abbastanza facile attizzarla e portarla alle altezze di una psicosi collettiva. Qui, forse, è il nocciolo del complesso di fattori che cerchiamo di districare, un enigma che può essere risolto solo da chi è esperto nella conoscenza degli istinti umani.
Arriviamo così all’ultima domanda. Vi è una possibilità di dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alle psicosi dell’odio e della distruzione? Non penso qui affatto solo alle cosiddette masse incolte. L’esperienza prova che piuttosto la cosiddetta “intellighenzia” cede per prima a queste rovinose suggestioni collettive, poiché l’intellettuale non ha contatto diretto con la rozza realtà, ma la vive attraverso la sua forma riassuntiva più facile, quella della pagina stampata.”

 

 à suivre prochainement...



[1] “Here’s to the crazy ones. The misfits. The rebels. The troublemakers. The round pegs in the square holes. The ones who see things differently. They’re not fond of rules. And they have no respect for the status quo. You can quote them, disagree with them, glorify or vilify them. About the only thing you can’t do is ignore them. Because they change things. They push the human race forward. And while some may see them as the crazy ones, we see genius. Because the people who are crazy enough to think they can change the world, are the ones who do.”

[2] Il 3 settembre 1939, la Gran Bretagna entrò in guerra con la Germania. Fu allora che Alan Turing venne assunto come crittografo dall’Esercito inglese a Bletchley Park, una base militare segretissima localizzata nel Buckinghamshire e nota come Stazione X.

Nel marzo del 1952, Turing fu accusato di “indecenza grave e perversione sessuale” e condannato a un anno di prigione per un’imputazione che nella Gran Bretagna di quell’epoca era pesantemente sanzionata: essere omosessuale. Per evitare il carcere Turing si sottopose a una “terapia” di castrazione chimica per ridurre la libido, basata su un composto attualmente noto come dietilestilbestrolo, un estrogeno sintetico.

In una lettera inviata a un amico, Turing scrive:

“La storia di come tutto questo si è venuto a sapere è lunga e affascinante e, un giorno, te la racconterò, ma ora non ne ho il tempo. Senza dubbio ne uscirò come un uomo diverso, ma non so ancora quale…”

Il 7 giugno 1954, il corpo senza vita di Alan Turing fu ritrovato accanto a una mela morsicata coperta di cianuro [c’è sostiene che il logo della Apple abbia qualcosa a che vedere con la mela che presumibilmente pose fine alla vita del matematico]. Il verdetto ufficiale di morte fu il suicidio, ma le indagini condotte non trovarono indizi certi che lecose fossero andate davvero così. Naturalmente sorsero teorie del complotto, secondo le quali sarebbero stati i servizi segreti britannici a uccidere Turing, dato che costituiva una minaccia per le sue conoscenze di criptoanalisi e che, secondo alcuni, era stato sul punto di essere reclutato dai sovietici.

Nel 2009, l’allora primo ministro britannico Gordon Brown chiese scusa a nome del Governo britannico per il trattamento “assolutamente ingiusto” riservato a Turing e, quattro anni più tardi, nel 2013, il geniale matematico ricevette l’indulto dalla regina Elisabetta II.

[3] Enigma era stata inventata dall’ingegnere tedesco Arthur Scherbius dopo la Prima Guerra Mondale. Questa macchina singolare generava codici basandosi sullo scambio di segnali. Il suo funzionamento consisteva nell’inviare messaggi criptati alterati nella forma ma non nel contenuto, per evitare che le crittografie potessero essere decifrate nel caso che il nemico le intercettasse.

Il “segreto” del codice Enigma cominciò ad essere svelato quando Hans Thilo Schmidt, un ex-agente tedesco, vendette ai francesi i manuali operativi di Enigma in uso alle forze armate tedesche. Nel 1943, scoperto dalla polizia nazista, Schmidt si suicidò in carcere.

[4] Istituita, il 30 novembre 1981, dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, tramite la Risoluzione 36/67,  la Giornata Internazionale della Pace nasce dalla volontà di creare un giorno all’insegna della Pace mondiale e della non violenza.

 



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