“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

venerdì 15 agosto 2014

IRAN MILLE VITE, UN SOLO AMORE di Daniela Zini



Daniela Zini

Iran
Mille Vite,
un solo Amore


“En automne, je récoltai toutes mes peines et les enterrai dans mon jardin. Lorsque avril refleurit et que la terre et le printemps célèbrèrent leurs noces, mon jardin fut nonché de fleurs splendide set exceptionnelles.”
Khalil Gibran

Pour un Ami on donne volontiers sa vie!
 


 “Si l’Amour vous couronne, il vous crucifige aussi.”

Khalil Gibran

Car mes mots ne suffisent plus, je prends la plume pour Vous.
Je vais écrire comment j'aime, en une longue lettre.
Je vais faire ce progrès vers Vous, réduire que c’est possible la distance entre nous, l'ignorance qui la cause.
La distance enorme entre le sentiment, quasi extatique, de l'immensité et de la variété de la vie, l'Ivresse d’Etre, qui domina dans ma jeunesse, et celui de l'Universel Désarroi,auquel je suis, peu à peu, arrivée.
Une vie intense, la mienne, que la passion n'a pas manqué de visiter, cependant tendue vers une réalisation de moi dans le sens de la sagesse, du bonheur presque domestiqué; et mélancolique quand je pense que les hommes sont depuis si longtemps sur la terre et continuent à ne pas savoir s'arranger entre eux.
Ne valions-nous pas, Vous et moi, l'effort réciproque de nous mieux entendre?
Eh bien! Oui, je souffre de ce mal incurabile, ce doux sentiment, que Djalal ad-Din Mohammad Rumi appelle: la Nostalgie de la Perfection!
Il entra dans ma vie pour n’en jamais sortir en… cela  n'a pas d'importance…
Je puis me rappeler le jour et l’heure où, pour la première fois, mon regard se posa sur cet Etre qui allait devenir la source de mon plus grand bonheur et de mon plus grand désespoir.
Notre rencontre aurait pu n’être qu’un instant merveilleux, un beau souvenir sans risque qui n’aurait en rien modifié le cours de nos vies.
En fermant les yeux, je me souviens de chaque détail.
Tout ce que je savais alors était qu’il allait devenir mon Ami.
Tout m’attirait vers lui.
Le problème était de l’attirer vers moi.
Que pouvais-je lui offrir, à lui qui avait aimablement, mais avec fermeté repoussé la Gloire et le Caviar?
Comment pouvais-je le conquérir lorsqu’il était retranché derrière les barrières de la tradition, sa fierté naturelle et sa morgue acquise ?
De plus, il semblait parfaitement satisfait d’être seul et de rester à l’écart de ses semblables, auxquels il ne se mêlait que parce qu’il le fallait.
Comment attirer son attention, comment le pénétrer du fait que j’étais différente de ce morne troupeau, comment le convaincre que moi seule devais être son Amie ?
Pour la première fois de ma vie je voulais l’impossible.
J’attendais sans attendre.
Je tentais d’immobiliser le temps, d’éterniser le fugitif, je dressais des statues dans le vide.
Chaque jour, je subissais la même torture de la séparation et de l’exclusion; chaque jour, cette demeure, qui détenait la clé de notre Amitié, croissait en importance et en mystère.
C’est alors que j’ai commencé à ne plus subir la solitude, mais à me laisser apprivoiser par elle.
Mon imagination l’emplissait de trésors: bannières d’ennemis défaits, épées de Croisés, armures, lampes ayant jadis brûlé à Esfahan et à Tehran, brocarts de Samarkand et de Byzance.
Les quelques mois qui suivirent furent les plus heureux de ma vie. D’un seul coup, nous fûmes riches de centaines d’instants, d’événements vécus ensemble et gardés dans notre mémoire parce qu’ils nous avaient réunis.
Avec la venue du printemps, toute la campagne ne fut qu’une immense floraison, les cerisiers et les pommiers, les poiriers et les pêchers, tandis que les peupliers prenaient leur couleur argentée et les saules leur teinte jaune citron. 
Je ne cherchais plus son visage nulle part.
Il surgissait de partout.
Mais les barrières qui me séparaient de lui semblaient dressées à jamais.
C’est ainsi que, trop fière pour l’interroger là-dessus, je devenais de plus en plus tourmentée, soupçonneuse et obsédée par le désir de pénétrer dans sa forteresse.
Le soleil est aujourd’hui comme le bonheur, caché, mais existant.
Je cherche le ciel d’azur, l’âge d’or.
Je dois apprendre de nouvelles raisons de joie.
Redevenir claire, repousser la nuit, le garder en moi.
Quelque part, à des milliers de kilomètres, il existe.
Je le respire aussi naturellement que l’air.
Le désert, plus qu’aucun autre paysage donne la liberté à l’imagination.
Un arbre au bord de la piste, un couple d’oiseaux dans le ciel témoignent plus de la vie que la plus verte vallée.
Il existe.
Nous nous étions rencontrés, ce qui me fait penser à deux fleurs situées sur des arbres différents et qui voudraient être ensemble et qui n’ont que leurs muettes couleurs et leurs parfums lointains pour se toucher, au milieu de la stupidité et de l’indifférence des choses.
L’hiver me détache de tout.
Je redeviens celle que j’ai toujours été.
Je ferme les yeux et je recommence à rêver.
Je vis et je recommence à écrire.
Ai-je vraiment besoin de savoir ?

D




C
ome mi sono innamorata dell’Iran?


Ebbene, credo che all’origine di questo Amore vi sia una zia fantastica e molto fantasiosa, che, inconsapevolmente, ne gettò il germe nel mio cuore di bambina, quando, per l’ottavo compleanno, mi fece dono di una edizione integrale delle Mille e una notte.
Quel giorno, nella mia camera, accarezzai, a lungo, stretti al mio cuore, quei quattro volumi, che mi attraevano più di ogni altro libro sullo scaffale di legno… lungo il muro alla mia sinistra: La maschera di ferro, I tre moschettieri, La collana della Regina, Venti anni dopo, Il tulipano nero, I miserabili
Tutti i giorni, per due mesi, assetata di conoscenza, trascorsi interminabili ore ad abbeverarmi di quel magico Regno.
Coup de foudre!
Chi non conosce Shahrazad che, da secoli, non ha cessato di nutrire l’immaginario collettivo?
E come dissociare la figura di Shahrazad da quella di Shahriar?
Di origine indo-persiana, le Hezar o yek shab  o Alf layla wa Layla, assimilate dalla cultura araba e rivelate all’Occidente, nel 1705, grazie alla traduzione di Antoine Galland, suscitando un gusto per l’orientalismo in tutta Europa, sono annoverate tra i testi più universalmente diffusi.
Il Re Shahriar scopre la infedeltà di sua moglie e fa uccidere la sposa.
Ma di più…
Ogni notte, giace con una vergine e, l’indomani, la fa uccidere, tanto è l’odio che nutre per le donne, dopo aver scoperto il tradimento della propria moglie con uno schiavo negro.
Il Regno vive nel terrore.
Ognuno teme che la sorella, la figlia, la moglie si veda obbligata a dividere il talamo del Re e morire.
Nessuno osa opporsi a questo Re assassino.
Nessuno, tranne una giovane temeraria: Shahrazad.
Questa giovane era conosciuta non per la bellezza né per la sua sensualità, come si induce a credere, ma per la sua intelligenza, il suo sapere letterario, filosofico e scientifico.
Shahrazad, lungi dall’essere una cortigiana, è, innanzitutto, una intellettuale.
Shahrazad, che auspica che questa carneficina cessi, ma, soprattutto, teme che la propria sorella minore subisca questa sorte, idea un piano che, spera, salvi le donne del Regno. Si offre in sacrificio, convincendo suo padre a lasciarle sposare il Re.
Suo padre non ha altra scelta che lasciar fare.
Shahrazad confida nella sua conoscenza di un enorme tesoro di narrativa popolare.
Ottenuto, quindi, il permesso di allietare le veglie con i suoi racconti, iniziandone sempre di nuovi e, opportunamente, interrompendoli, tiene desta la curiosità del Re che, così, rinvia la sua condanna finché nell’animo di lui all’odio subentra l’Amore.
Due sono le qualità della giovane: il coraggio, con cui, mossa da pietà, affronta il pericolo di essere anche lei sacrificata, e la intelligenza, che le ha consentito di apprendere un numero straordinario di storie e le permette di riferirle con garbo e abilità.
Shahrazad è la donna, nella quale gli innamorati vedono aspetti diversi, secondo il proprio modo di sentire l’Amore e concepire la vita.
È la donna, al cui contatto, i caratteri si precisano, le passioni si sviluppano fino a raggiungere l’esaltazione.
È la donna intelligente, che afferra il senso delle elucubrazioni del marito; è la donna sensibile, che si compiace dell’Amore suscitato dalla sua personalità e lo incoraggia: ma, al tempo stesso, è una sensuale che non rinuncia all’Amore puramente fisico.
Possiedo radici vaghe e culture multiple, perché, da quando sono nata, mi hanno spostata o mi sono spostata da un luogo all’altro.
Da piccola ne ho sofferto.
Oggi, ne sono felice, perché le radici forti alimentano una gabbia di soffocanti predestinazioni.
L’educazione cattolica delle scuole private mi aveva reso una bambina cupa, profondamente infelice, che non mi somigliava. Tutte le cose che mi rendevano viva erano peccato, veniale o mortale: leggere libri messi all’indice, fare scorribande con i miei compagni fino a sera.
Mi liberai dalla religione cattolica.
La scoperta di altre culture, altri racconti di storia, altre divinità trasformò il mio sguardo sul mondo da assoluto a relativo.
Non eravamo la verità, noi europei, noi cristiani, noi cultura greco-romana. Eravamo una minoranza nel mondo. Se il potere era solo nostro, era un potere d’élite, privo di Democrazia. Se il Regno dei Cieli era solo cattolico, era un Regno disumano, giacché escludeva la maggioranza degli uomini, delle donne e dei bambini del pianeta. La scoperta della relatività della Verità, della relatività della Storia, della relatività dello stesso concetto di Religione o Cultura o Nazione è stata per me la via maestra verso la Libertà.
Scoprivo che Libertà era innamorarsi, senza rimorso, delle piccole verità che ogni cultura contiene e che qualsiasi relazione può contenere.
Designata dal fato – il mio padrino mi aveva, profeticamente, dato il diminutivo di Firouzeh – nondimeno, ero cresciuta ignara del mio destino, fino al giorno in cui la mia vocazione mi fu rivelata.
La piccola scintilla, accesa, si era nutrita, in segreto, di sogni e fantasticherie per divenire patto sacro e, trasformarsi, poi, in fiamma tanto viva da illuminare il mio percorso nei meandri di quel mondo incantato, e farmi approdare sulle sue coste, il 2 maggio 2003.
Tuffata nelle dorate e cavalcanti dinastie dei Medi, Achemenidi, Parti, Sasanidi, Safavidi, Abbasidi, Qajar, su su fino ai Pahlavi, riemergevo senza fiato al richiamo dell’armonioso Hafez e deviavo, subito, verso le quartine del passionale Omar Khayyam.
Un mondo sconosciuto calava il suo ponte mobile nel mio cuore, eroico come quello romano dentro la pagina agiografica degli storici, eppure carnale dentro il ritmo di una lingua enfatica, che cantava con Sa`di, i sapori rubati a una terra eternamente assetata di acqua e di sacro.
Il mio viaggio aveva uno scopo, ne ero come posseduta, ma lo ignoravo completamente. La mia solitudine non mi faceva paura. Una luce, come un raggio di sole veniva a illuminare la rotta davanti a me.
Mi rivelò a me stessa.
Incoraggiata dagli stessi Amici, mi misi a scrivere. Provavo un piacere immenso a parlare davanti a un uditorio così attento e, ben presto, iniziai a vedere la mia vita sotto una nuova luce. I suoi accadimenti mi apparivano come gli anelli di una catena. La mia immaginazione si impadronì, avidamente ,di questa idea. Mi sentii forzata, nulla poteva impedirmelo. Immagini, a lungo dimenticate, si levarono da un passato imprecisato, immagini dettagliate, colorate di sfumature vive. Suoni, odori, sapori ritornarono. La punta delle mie dita toccava oggetti familiari. Rivivevo antiche emozioni e me ne sentivo addolorata. A volte, sorridevo con me stessa; a volte, le lacrime rigavano le mie gote.
Lavoravo alacremente, con passione.
Questa forma di contentezza mi era stata, fino allora, sconosciuta, le ore volavano.
Scrivevo e, quando un passaggio era terminato, lo leggevo ai miei Amici.
Il mio libro avanzava, a poco a poco, secondo l’ispirazione del momento. Non pensavo a un pubblico né all’eventualità di una sua pubblicazione. Quello che facevo, lo facevo per me.
Viaggiando, per anni, in lungo e in largo, per l’Iran e assimilandone, senza mai lasciare la mia terra di origine, la lingua, i miti, i riti e i cibi, mi sono chiesta se esistano, davvero, una cultura occidentale e una cultura orientale o piuttosto, provenendo entrambe dallo stesso magma iniziale, che ha dato vita alle varie etnie e alle varie classi sociali all’interno delle singole etnie, chiamiamo cultura l’insieme di elementi specifici che il potere di turno ha fatto emergere dal magma, ha valorizzato secondo canoni precostituiti, ha rafforzato attraverso le leggi e ha tramandato nell’educazione attraverso una deliberata manipolazione dei documenti storici, letterari, filosofici e religiosi.
Non è necessario uscire dai confini del proprio Paese per scoprire un’altra visione del mondo.
Si può rivelare uno straniero il proprio padre, il proprio fratello, il proprio marito, il proprio figlio.
Alla fine di questo viaggio una certezza ha trovato dimora dentro di me.
La scelta primaria di ogni Essere Umano, che va al di là del proprio sesso, della propria etnia, della propria lingua, della propria cultura, della propria religione e della propria classe sociale, è:
Da quale parte stare?
Dalla parte dei potenti o degli oppressi?
Dalla parte dei colonialisti o dei colonizzati?
Dalla parte di chi scrive la Storia, il vincitore di turno, o dalla parte di chi non ha voce ,pur avendo fatto, egualmente, la Storia?
A quali popolazioni e a quali classi sociali si riferiscono i nostri governi occidentali, quando parlano dei popoli orientali e dei loro bisogni?
Le vere rivoluzioni, quelle che non si limitano a cambiare la forma politica e gli uomini di governo, ma che trasformano le istituzioni e danno luogo ai grandi trasferimenti della proprietà, lavorano, a lungo, sotterranee, prima di scoppiare alla luce del giorno, sotto l’impulso di qualche circostanza fortuita.
La Rivoluzione Islamica, che colse alla sprovvista con il suo impeto irresistibile le sue vittime, non meno degli stessi autori e beneficiari, ebbe una lenta preparazione per più di un secolo. Nacque dalla concordanza, che tendeva a farsi, di giorno in giorno, più profonda, tra la realtà delle cose e le leggi, tra le istituzioni e i costumi, tre la lettera e lo spirito.
Vi sono Paesi che muoiono giovani e si arrestano giovani: tutto ciò che segue al loro periodo di vigore riguarda la sopravvivenza e la resurrezione.
L’Iran non si è, mai, ripreso dalle estenuanti fatiche delle sue avventure imperiali. E, solo ora, iniziamo a capire ciò che in questo Paese commuove e, a volte, sconvolge: in contatto diretto con la realtà, il peso bruto dell’oggetto, l’emozione o la sensazione forte e semplice, antica e sempre nuova, dura o dolce come la scorza o come la polpa di un frutto.
Questa terra così celebrata è, meravigliosamente, immune da artifici letterari; lo stesso preziosismo di certi suoi Poeti non la tocca.
Questa terra, da cui sono scaturiti tanti capolavori non viene sentita come l’Italia, subito patria privilegiata delle arti; ma vi pulsa la vita come il sangue in una arteria. Poche regioni sono state più devastate dal favore delle guerre di religione, di razze e di classi; sopportiamo il ricordo di tanti furori inespiabili solo perché, qui, ci appaiono più nudi, più spontanei e meno ipocriti che altrove, quasi innocenti nel confessare il piacere che prova l’Uomo a fare del male all’Uomo.
Non vi è Paese più dominato da una religione possente, che favorisce, il più delle volte, la bigotteria e l’intolleranza; ma non vi è neppure Paese, ove si senta di più, sotto il broccato delle devozioni o sotto la pietra dei dogmi, sorgere il fervore umano.
Non vi è Paese più legato, ma anche nessuno più libero, da questa rudimentale e suprema libertà, fatta di privazione, di povertà, di indifferenza, del gusto di vivere e del disprezzo di morire.
Non credevo, certo, che avrei potuto dire, come François-René de Chateaubriand:
Mes livres ne sont pas des livres, mais des feuilles détachées et tombées presque au hasard sur la route de ma vie.”

 









Yeki bud, yeki nabud…
“Vorrei che tu venissi da me in una sera d'inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo.”
                                              Dino Buzzati




I
n civiltà intimamente in contatto con le forze elementari della natura, la Fiaba non poteva che avere un grande ruolo: serviva, contemporaneamente,a evocare, a esorcizzare e a fornire una chiave di lettura per quei fenomeni naturali e soprannaturali, che, tanta parte, avevano nella vita di ognuno.
L’arte di raccontare Fiabe, dicono alcuni, è morta e appartiene al passato.
E le tradizioni orali sono destinate a perdersi per sempre, quando la vena si inaridisce e i tempi mutano, se qualcuno non inizia, con Amore e con pazienza, a raccogliere le ultime testimonianze disponibili.
Colei che vi apre le porte del Liber Mirabilis, conosce tutto ciò che incontrerete, conosce le risposte agli enigmi, scioglie gli indovinelli, disperde gli incantesimi, riconosce chi si nasconde in un corpo che una magia ha trasformato, rintraccia le strade dei pellegrini, sa dove approdano i naufraghi e quali segnali svelino e nascondano le severe bizzarrie del Fato.
  
I FEDELI D’AMORE




“Si deve avere un Amico Invisibile, al quale parlare nelle ore silenziose della notte e durante le passeggiate nei parchi.”
Khalil Gibran


 


I Folli d’Amore
Essenza dell’Amore nella Poesia Mistica Persiana
I. La nostalgia della perfezione
Daniela Zini
http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/poesia/Poesie_1357913313.htm


S
i associa, sovente, il Primo Amore a un Amore romantico e senza concessioni.
E, se questo Amore finisce, la pena d’Amore sembra insormontabile… almeno per un certo periodo di tempo!
Poi, i ricordi si trasformano e tendono a mitigare i momenti spiacevoli a tutto beneficio di quelli piacevoli.
Il Primo Amore si nobilita fino a divenire una sorta di ideale di perfezione che non si potrà mai più rivivere.
Come ritrovare, nella realtà, la purezza di una prima emozione?
Sembra una impasse.
La nostra memoria autobiografica ci priva, infatti, dei momenti senza interesse, che il Primo Amore ci ha, egualmente, recato.
Quei momenti senza emozioni non hanno lasciato traccia, alcuna traccia mnesica.
La memoria deforma il ricordo, e può, anche, in certi casi, creare falsi ricordi.
Il Primo Amore non è più un Essere in carne e ossa, ma piuttosto una ricomposizione, sovente, mitizzata. Assume il ruolo di un fossile vivente che unisce il ricordo del passato all’istante presente.
Si ritrovano il suo nome, il colore dei suoi occhi, la sua casa, il suo ex-liceo, tutto ciò che permette di ritrovare l’emozione.
Si è qui e là, allo stesso tempo.
Noi non abbiamo, veramente, dimenticato, ma la restituzione dei ricordi è molto facilitata da elementi esterni, come afferma Marcel Proust in A l'ombre des jeunes filles en fleurs:
“Ecco perché la migliore parte della nostra memoria è fuori di noi, in un soffio piovoso, nell’odore di rinchiuso di una camera o nell’odore di una prima fiammata, dovunque ritroviamo di noi stessi quel che la nostra intelligenza, non sapendo come impiegarlo, aveva disprezzato, l’ultima riserva del passato, la migliore, quella che, quando tutte le lacrime sembravano inaridite, sa ancora farci piangere. Fuori di noi? In noi, per meglio dire, ma sottratta ai nostri stessi sguardi, in un oblio più o meno prolungato.”
Da dove origina la nostalgia del Primo Amore?
Perché, con il tempo, le nostre esperienze sembrano non cancellare il ricordo del Primo Amore?
Era la prima volta.
E, come ogni prima volta, non sono possibili riferimenti, non sono possibili paragoni tra il qui e il là, tra l’ora e l’allora.
Tutto ciò rappresenta un rito iniziatico che si vive, frequentemente, nell’adolescenza.
Vi è un prima e vi è un dopo.
In Premier amour di Sophie Tasma, si può leggere:
“Andai in cucina. Qualcosa era cambiato fuori, la finestra era divenuta nivea, brumosa. Compresi che era, ormai, l’inizio del giorno.”
Qui, la tappa del Primo Amore è descritta con la metafora del giorno che viene. È una caratteristica dell’Amore romantico proiettare sulla natura i sentimenti umani.
I colori hanno un senso per noi e sono legati alle nostre emozioni, ma la percezione dei colori è, anche, frutto della nostra cultura e del nostro linguaggio. La memoria può influenzare la stessa percezione dei colori. Se, a esempio, si ricorda un momento intenso, che si è verificato in una giornata poco luminosa e senza contrasti, si può ricordare il cielo di un azzurro più ricco, la sabbia più bianca, l’acqua di un azzurro più profondo, una notte dalla profondità di uno zaffiro, il sangue di un rosso più vivo, un raggio di sole che danza in un bicchiere…
I colori dei ricordi sono più vivi, più saturi, più contrastati. Sono anche legati al contesto del nostro ricordo. Si potrebbe dire che il colore del ricordo non è il verde, ma l’erba. Vi è una nuance di verde diversa per ogni filo di erba.
La vivacità dei colori del ricordo è una ricostruzione del nostro cervello.
Questi colori non esistono nella realtà.
Si sarà, sempre, alla ricerca del mare di quell’azzurro che si è visto con il Primo Amore o di quell’arcobaleno così luminoso che ha colpito il nostro occhio in un cielo di nera tempesta…
I colori dei ricordi non cambiano ciò che noi vediamo, ma possono orientare le nostre preferenze. I fotografi e i registi regolano certi colori per stimolare sensazioni più o meno piacevoli. La temperatura di colore ne è un eccellente esempio.
Ricordare il Primo Amore è una ispirazione che illumina la vita, che ne compone la sua intensità.
È un mollare la presa!
Può rievocarci il buon tempo andato, catapultarci indietro.
I social networks permettono, sovente, queste occasioni.
Rileggere un nome induce una reviviscenza del ricordo.
Vi sarebbe, pressoché, una nostalgia euforica, molto tempo dopo il travaglio del lutto, quando si prende piacere a ricordare gli istanti felici. Questa nostalgia del Primo Amore mantiene viva una fantasticheria per chi ama sognare, evadere, qualche istante, in un immaginario poetico, lontano dalla vita reale…
In tale caso, l’incontro non è auspicato, perché rischierebbe di degradare l’immagine ideale ricomposta. I ricordi sono, spesso, diversi nell’Altro e non possono che, raramente, essere condivisi.
Chi si innamora è, sovente, anche un grande sognatore!
Ma i grandi Amori sono possibili?
Paradossalmente, nell’era di Facebook e di Meetic, non è, mai, stato così difficile vivere un Amore...
E, tuttavia, non vi sono Amori impossibili, almeno io non ne conosco.
Non vi sono che Amori contrastati, forzati o vietati.
Amori che risvegliano ferite mal cicatrizzate e fanno indietreggiare, impediscono l’incontro con una felicità possibile.  
E sono più numerosi di quanto si immagini!
Vi sono ostacoli, non all’Amore, ma alla sua realizzazione e alcuni sono più insormontabili di altri. Quelli, in particolare, che scaturiscono da un credo religioso, politico, culturale…
Amare un soldato tedesco in piena Occupazione è possibile. Ciò che sarà difficile è amare nella serenità, nell’abbandono e questa relazione comporterà rischi importanti, in particolare, per la donna.
Molte donne – perché solo le donne? – hanno pagato questo genere di trasgressioni…  
Amare una musulmana e voler costruire la propria vita con lei, quando il padre si oppone e chiede all’uomo di convertirsi, di accettare la propria fede…
Amare una ebrea quando si è palestinese…
Una cinese quando si vive nello Yemen…
Non è facile, ma molti sono stati confrontati a queste difficoltà e le hanno superate.
L’età, vale a dire la differenza di età tra un uomo e una donna, è, talvolta, avanzata per giustificare le esitazioni, per crearsi un alibi, per non osare vivere un Amore. Ma l’età non è un ostacolo insormontabile per due Esseri che scoprono la reciprocità di un sentimento.
Il solo Amore che non si può vivere è… incestuoso.
Ho conosciuto un uomo, che aveva ritrovato, all’età di venti anni, sua sorella, che non aveva conosciuto e di cui si era, profondamente, innamorato, senza potersi liberare di questo sentimento. 
Non vi sono, dunque, Amori impossibili, ma solo Amori che sembrano impossibili. Amori minati da incertezze, Amori feriti da discordie, Amori avvelenati da credenze o ancora Amori assassinati da pregiudizi. 
L’Amore dà una energia rara, un potere inaudito, la cui forza ci meraviglia senza sorprenderci, quando ne siamo beneficiari… attraversiamo difficoltà, affrontiamo pericoli, vinciamo opposizioni o superiamo ostacoli…
Per una Umanità divenuta folle per mancanza di Amore, la Follia d’Amore potrebbe ben essere la via innovatrice dell’estrema intelligenza del cuore.
Nel 1685, una Fiaba di Jean de La Fontaine [1621-1695] porta in scena L’Amour et la Folie. “Una disputa scoppia” e la Follia, dalla rabbia, acceca l’Amore. Gli Dei condannano “la Follia a servire da guida all’Amore cieco”. Attraverso una retorica figurativa, il favolista ricorda che l’Amore e la Follia sono inseparabili.

Amor è un gran mistero:
mistero i dardi, la faretra, il foco,
e dell'infanzia sua mal noto è il vero.
Non io pretendo adesso
in pochi versi movergli il processo
e spiegar questa scienza, che, confesso,
vuol tempo per chi sa ben decifrarla.
Ma voglio colla solita mia ciarla
narrar soltanto come il cieco iddio
perdesse gli occhi e il mal che ne seguì,
un mal, che a parer mio
potrebbe essere un ben... Ma in questo affare
agli amanti rimetto il giudicare.

Amor giuocava un giorno in compagnia
della Follia.
Aveva il fanciullino in quell'età
aperti gli occhi ch'ora più non ha.
Nata una fiera disputa,
voleva Amor portarla innanzi ai Numi,
ma la Follia, perduta la pazienza,
gli die tal colpo che gli spense i lumi.

Venere, donna e madre, a quella vista
alza le strida e stordisce gli Dèi.
Giove dal cielo e Nemesi
e tutti insieme accorrono con lei
i giudici d'inferno.
La madre piange e narra della trista
l'orrenda azione,
e come il suo bambin non possa, ahi! moversi
senza bastone.

Non c'è pena sì grande,
che corrisponda ad opre sì nefande;
ma poi che riparata esser dovea
l'ingiuria, visto il caso, il danno, il male,
e visto l'interesse generale,
la corte mise fuori questa grida:
- Sempre Follia faccia all'Amor di guida!

Tutta una letteratura dell’Amore-Follia e dell’Amore-Passione, da Fedra a Nadja, mostra che le frontiere tra la Follia e l’Amore sono permeabili – ciò che ci ricorda la vita. Follia e Amore hanno in comune allucinazioni, premonizioni, telepatia, dialogo delle voci interiori che tengono vivo, in modo ossessivo, nella mente l’Essere Amato. Con l’Amore alla Follia, si toccano i limiti molteplici della ragione, che sono il cuore, l’inconscio, l’immaginario, il sogno. È in questo campo contiguo alla logica che L’Amour fou di André Breton scatena automatismi psichici puri, che danno libero corso alla onnipotenza dell’inconscio, del sogno, del desiderio e dell’erotismo.
Questa forma di Amore-Nevrosi ha ispirato allo psichiatra di origine franco-algerina, Paul Sidoun, un libro poco comune sul soggetto, Désirs, amours et autres destins noirs. Non è un romanzo, tanto meno un trattato scientifico. Sono Études de cas d’une psychiatrie de l’Amour, come indica il sottotitolo. Perché l’Amore fa disastri in salute mentale. La nostra società, caratterizzata da una ricerca sfrenata di emozioni, fabbrica, secondo questo medico, dei folli di intensità. Le coppie si disfano non appena l’intensità si allenta. A rischio di apparire retrogrado, Sidoun sostiene di credere nel matrimonio, nell’impegno, nell’unione a lungo termine. Sostiene, altresì, che le società, in cui i valori morali sono più solidi, generano meno individui infelici, feriti dalle loro pene d’Amore.
Ma che prescrive alle vittime di Cupido?
“Dipende dai casi. Vi sono rimedi contro la depressione maggiore o altre malattie dell’anima. Ed esiste una moltitudine di approcci terapeutici. Ma l’Amore divorante, devastante, ha, certamente, cause sociali. E la morale non rientra nella psichiatria.
Secondo il medico, la vita è fatta di lunghi momenti di calma e di serenità, durante i quali non si dovrebbe avere altra preoccupazione che guardare crescere i fiori.
Le persone felici non hanno, dunque, storia?
E dopo?
“Si è uccisa una sensibilità alle piccole cose, al quotidiano, per dei sogni da giganti, assolutamente inaccessibili. Guardate le riviste, la pubblicità, il cinema e ditemi ciò che si vende. Tutto è intenso. È troppo!
Il risultato?
Non si è mai sofferto tanto di dolore morale! 



Daniela Zini
Copyright © 15 agosto 2014 ADZ

2 commenti:

  1. a R e J
    che mi hanno fatto comprendere come, in Amore, non esistano coincidenze.

    "E' passato tanto tempo! Eppure sono ancora la stessa Margaret. Solo le nostre vite invecchiano. Noi siamo là dove i secoli contano solo come secondi e, dopo un migliaio di vite, iniziamo ad aprire gli occhi."
    Eugene O'Neill

    Dieci... nove... otto... andando sempre più in profondità a ogni numero... sette... sei... cinque... più giù, più giù... quattro... tre... così in profondità, così in pace, così rilassato e calmo... due... ci siamo quasi... uno... bene.
    In questo meraviglioso stato di pace e rilassamento imagina te stesso, visualizzati mentre scendi una bellissima scalinata... giù, giù, sempre più profondamente... giù... giù... a ogni passo ti rilassi sempre più profondamente...
    Quando arrivi in fondo alla scala, vedi un magnifico giardino. Un giardino dove regnano la pace e la sicurezza, la serenità e la tranquillità...
    Entra nel giardino...
    E' pieno di fiori meravigliosi, piante, alberi, erba, fontane, panchine e luoghi in cui riposare... trova un posto dove fermarti e lascia che il tuo corpo si rilassi completamente, continuando a guarire e riempiendosi della luce bellissima. Il tuo corpo si ristorerà, si rilasserà, si ristabilirà, ringiovanirà. Quando ti sveglierai, ti sentirai splendidamente colmo di questa energia meravigliosa. Anche se sarai del tutto sveglio, vigile e nel pieno possesso delle tue facoltà fisiche e mentali, ti sentirai benissimo rilassato e in pace. I livelli più profondi della mente possono aprirsi.
    Puoi ricordare tutto...
    Puoi spostarti avanti e indietro nel tempo...
    Dirigiti verso momenti significativi. prenditi tutto il tempo che ti serve... e trova le risposte...
    Presto sarà il momento di tornare indietro... immagina di concludere questa esperienza, di lasciare questo o questi tempi... e di ritornare al giardino dove il tuo corpo si stava riposando e ristorando e stava guarendo.
    Te lo dimostro, andiamo indietro nel tempo...

    Ottenuto il permesso di allietare le veglie con i suoi racconti, Shahrazad tiene desta la curiosità del Re Shahriar che così rinvia la sua condanna...
    Riuscirò a tenere desta la tua curiosità e a rinviare la mia condanna?
    Alla prossima notte...

    D, alias Firouzeh

    http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/poesia/Racconti_1408165801.htm

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  2. https://www.youtube.com/watch?v=hAZVVLLtlZg

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