“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

domenica 20 marzo 2016

70 ANNI FA NORIMBERGA I. AL PROCESSO MANCAVANO I TRE MAGGIORI IMPUTATI di Daniela Zini



70 anni fa

NORIMBERGA

“La gioventù tedesca del futuro deve essere snella e agile, veloce come un levriero, forte come il cuoio e dura come l’acciaio Krupp. Non occorre che abbia alcuna preparazione culturale. La conoscenza guasta i miei giovani. Una gioventù attiva, determinata e dominatrice, ecco ciò che voglio.”
Adolf Hitler

I. AL PROCESSO MANCAVANO I TRE MAGGIORI IMPUTATI

“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario.”
Primo Levi

di
Daniela Zini
 


“Die Bevölkerung ist ein unglaublicher Pöbel, sehr viele Juden und sehr viel Mischvolk. Ein Volk, welches sich nur unter der Knute wohlfühlt. Die Tausenden von Gefangenen werden unserer Landwirtschaft recht gut tun.”
Claus Schenk von Stauffenberg

Non vi è aiuto che non venga dalle radici.
E le mie, dove sono?
Amo teoricamente, di un Amore triste, un grande Paese del Nord, il Paese mitteleuropeo che non ho, mai, conosciuto.
In Iran ho trovato la Patria tanto e così disperatamente desiderata.
E l’ho amata.
Vi sono particolari momenti, misteriosamente privilegiati, in cui taluni Paesi ci rivelano, con un’intuizione subitanea, la loro anima, in qualche modo la loro essenza precipua, in cui ne cogliamo una visione esatta, unica, che, mesi e mesi di studio paziente, non potrebbero rendere più completa né diversa. Tuttavia, in questi momenti furtivi, ci sfuggono, necessariamente, dei dettagli, vediamo solo l’insieme delle cose.
Particolare stato d’animo o aspetto speciale dei luoghi, colto al volo e sempre in modo inconscio?
Non lo so…
Amo l’Iran di un Amore oscuro, misterioso, profondo, inspiegabile, ma reale e indistruttibile.
Dovrei, invece, trovare la forza di sottrarmi a questa malia… ma dove trovare il coraggio di reagire?
È un sentimento particolare: mi sembra di costeggiare un abisso, un mistero, di cui non è stata ancora svelata l’ultima… anzi la prima parola e che racchiuda tutto il senso della mia Vita.
Finché non conoscerò la chiave di questo enigma, non saprò chi sono, né la ragione e lo scopo della mia sorte davvero straordinaria.
Mi sembra, tuttavia, di non essere destinata a scomparire senza avere avuto la rivelazione di tutto il profondo mistero che ha circondato la mia Vita, dai primi giorni a oggi.
Follia diranno gli increduli.
Viviamo in un grande mistero e ci sentiamo sfiorare dalla possente ala dell’Ignoto, in mezzo a eventi davvero miracolosi che ci proteggono a ogni passo. La percezione degli abissi che la Vita racchiude e che i tre quarti degli Uomini ignorano, anzi neppure sospettano, non può essere considerata follia come non può esserlo il disinteresse di chi è nato cieco alla bellezza di un tramonto o di una notte stellata.
Impressione strana qui, dove il Sole è sempre sfavillante, instancabilmente splendido!
Le ore scorrono monotone, con la dolcezza e la calma di un fiume in pianura, dove niente si riflette se non nuvole di colori che passano oggi e torneranno domani, sempre sorprendenti.
A poco a poco, sento dentro di me svanire rimpianti e desideri.
Lascio che la mente vaghi e la volontà si assopisca.
Pericoloso e delizioso torpore, che porta insensibilmente, ma sicuramente, alle soglie del nulla.
Questi giorni, queste ore, in cui non è successo nulla, in cui non ho fatto nulla, in cui non ho, neppure, tentato di fare uno sforzo, in cui non ho sofferto e ho pensato poco, bisogna cancellarli dall’esistenza e deplorarne il vuoto?
Dopo l’inevitabile risveglio, non dovrò, invece, rimpiangerli, come i migliori, forse, di tutta la Vita?
Non lo so…
Io, che, sogno di viaggi sempre più lontani, che ho la smania di agire, sono giunta al punto di desiderare, senza confessarmelo francamente, che l’ebbrezza dell’ora e la sonnolenza presente, possano durare se non per sempre, almeno per molto tempo ancora.
Eppure so che la febbre di viaggiare mi riassalirà, che me ne andrò; sì, so di essere ancora molto lontana dalla saggezza degli anacoreti musulmani.
Non è la voce della saggezza che parla in me, che mi rende inquieta e domani mi spingerà, ancora, sulle strade della Vita: è la mia irrequietezza, che trova la Terra stretta e non ha saputo trovare in se stessa il proprio Universo.
Ciò che tanti sognatori hanno cercato, l’hanno trovato nelle Anime semplici.
Mi sentirò sempre attratta dalle Anime che soffrono di quella nobile e feconda sofferenza che è l’insoddisfazione di se stessi, la sete di Ideali. Non sarà, mai, ad attrarmi, la serenità dello scopo raggiunto: considero esseri veramente superiori, nel Mondo di oggi, coloro che soffrono del male sublime di dare perpetuamente alla luce un io migliore.
Al di là della scienza e del progresso dei secoli, sotto il sipario sollevato dell’avvenire, vedo passare l’Uomo futuro… e comprendo come si possa finire nella pace e nel silenzio, finire in estasi, senza rimpianti e senza desideri, davanti a splendidi orizzonti.
È Primavera e, sotto una apparenza di languore e di commossa fine di tutto, la Vita cova, violenta, piena di Amore e di Ardore; la linfa possente sale dalle viscere misteriose della Terra, per sbocciare in un’ebbrezza di risveglio.

D




Con il nazismo Norimberga era divenuta la città delle assise del partito. Nel Märzfeld [Campo di Marte], presso il lago Dutzend, vi si radunavano, ogni anno, la nuova gioventù hitleriana e i gerarchi di tutta la Germania, in uniforme bruna, per il consueto messaggio del Führer. Non fu, tuttavia, un proposito di spirituale rappresaglia o di contrappasso che fece scegliere Norimberga quale sede del processo ai maggiori criminali nazisti.
La ragione della scelta fu meno ideale e più pratica.
Nel 1945, la città era per due terzi distrutta; ma il suo Palazzo di Giustizia e l’attiguo moderno carcere, che comunicavano tra loro, erano intatti. Non era facile trovare altrove, in terra tedesca, una comodità così grande.
Ai primi di novembre di quell’anno, tutti gli imputati superstiti, tranne Martin Bormann, il camerata del bunker di Adolf Hitler, un latitante che voleva farsi credere morto, già si trovavano nel carcere giudiziario.
Il 14 novembre, la Corte Alleata stralciava dal procedimento contro gli altri imputati la posizione di Gustav von Bohlen und Halbach.
Planimetria dell’area dei raduni di Norimberga.
La scelta di Norimberga fu, in larga parte, dettata da motivazioni logistiche. Il processo, in un primo tempo, si sarebbe dovuto tenere a Berlino, ma la distruzione pressoché totale della capitale e dei suoi palazzi istituzionali costrinse gli Alleati a cercare un’altra sede. La scelta della città franca fu, anche, una sorta di Nemesi storica, dal momento che Adolf Hitler l’aveva scelta per le manifestazioni oceaniche di partito, che si tenevano, regolarmente, al Campo di Marte, tra giochi di luce e riti di massa, documentati dalle pellicole cinematografiche di Leni Riefenstahl.

La stessa Corte, presieduta dal giudice britannico sir Geoffrey Lawrence [https://www.youtube.com/watch?v=CjixjO0wMH4], esaminò, poco dopo, la mozione presentata dal difensore di Hermann Wilhelm Göring, Otto Stahmer, anche a nome dell’intero collegio di difesa, con la quale si era eccepita la illegalità dell’azione penale promossa contro i 21 imputati, per difetto di una legge che, preventivamente, avesse dichiarato punibili i fatti loro attribuiti. Questi fatti erano indicati come “congiura in danno dei Popoli”, “delitti contro la pace”, “crimini di guerra” e “delitti contro l’umanità”.
L’obiezione era grave, ma la Corte Alleata dovette respingerla.
La deliberazione dei 4 Grandi Alleati di sottoporre a speciale giudizio i maggiori criminali tedeschi, già, l’aveva superata in anticipo.
Pubblicamente, il processo ebbe inizio, il 20 novembre, in una giornata fredda e torbida, come è, sempre, il tardo autunno in Franconia. Le sterminate rovine della città, bagnate e nere, erano più lugubri che mai.
Folla in attesa davanti al Palazzo di Giustizia; pochi i tedeschi. Di guardia all’entrata, manipoli di Military Police con elmetti e cinturoni bianchi. Ufficiali inglesi, americani, francesi e sovietici. Su per le scale i possessori di biglietti numerati e bollati salgono a gruppi, conversando in francese o in inglese. Dei 56 giornalisti ammessi solo 10 sono tedeschi. La sala, ancora deserta, è una normale aula di Corte di Assise con quattro grandi finestre. Sulla principale porta di ingresso un bassorilievo nero e lucido rappresenta Adamo ed Eva presso l’albero del peccato. Intorno si alternano medaglioni e simboli: i dieci comandamenti, le bilance. Su uno dei lati minori due tribune sovrapposte: di sotto le 56 poltrone dei giornalisti; di sopra le sedie e le panche per il pubblico. Tra i finestroni le quattro bandiere alleate: la britannica, l’americana, la francese e la russa, e sotto di esse la tribuna dei giudici. Antistante il recinto con i banchi degli imputati.


Le esigenze del processo hanno, tuttavia, mutato in parte il solito aspetto di questo stanzone severo. Le lumiere, pendenti dal soffitto, sono munite di tubi al neon per facilitare il lavoro dei fotografi e, ovunque, si vedono cuffie radiofoniche e microfoni. Giudici, accusatori, imputati e avvocati parleranno davanti a microfoni, ascolteranno con le cuffie, tradotto nelle rispettive lingue, ciò che sarà detto nell’aula. Gli interpreti già attendono in una cabina di vetro. Questo complesso apparato di interpreti in cabina, di fili, di microfoni, di cuffie, di luci e di macchine da ripresa ottica e sonora conferirà alle udienze del processo un carattere diverso da quello cui è avvezzo lo spettatore ordinario. Le sedute, in cui si rievocheranno stragi e crimini inauditi e si tesserà il destino ultimo di uomini che furono protagonisti di oltre un decennio di tragica Storia, non differiranno molto dalle tornate di una plenaria conferenza internazionale. Gli stessi organizzatori del processo non avevano pensato, del resto, di fare del Palazzo di Giustizia di Norimberga la vera scena di un grandioso spettacolo giudiziario. Avevano, al contrario, voluto istituirvi un centro mondiale di diffusione, qualcosa come un teatro di posa per il più straordinario film dell’immediato dopoguerra, destinato a commuovere e a convincere del buon diritto degli Alleati, tutti i Popoli del mondo.
Ma per questo era venuto a mancare il massimo attore.
Adolf Hitler, già terrore di tutti, una volta detenuto e imputato, costretto a subire interrogatori e contestazioni e a difendersi come un qualsiasi reo, avrebbe dato il senso vero della catatrofe della Germania nazista e della vittoria alleata più che le rovine di Berlino e quelle di cento altre città tedesche distrutte. Accanto a lui, sullo stesso banco, Heinrich Luitpold Himmler, il torvo capo della spietata polizia del Reich; Joseph Paul Goebbels, il propagandista diabolico, e, finalmente, Hermann Wilhelm Göring, il successore designato del Führer, il Reichsmarschall, creatore della temuta Lutwaffe, l’arma aerea tedesca, avrebbero compiuto il quadro del trionfo alleato, come altrettanti re barbari incatenati dietro la biga di un imperatore vittorioso. Di questi grandi peccatori contro l’Umanità sopravviveva solo Hermann Wilhelm Göring. Gli altri tre si erano, all’ultimo momento, ma in tempo, sottratti con il suicidio al giudizio degli uomini, e del rogo del Führer non era rimasta neppure la cenere. 
La porticina rasa, pressocché invisibile nel tavolato a tergo del recinto degli accusati, si socchiude. Tutti gli occhi dei presenti fissano quel breve rettangolo scuro. Entrano due MP in elmetto bianco e con loro il primo imputato Hermann Wilhelm Göring [https://www.youtube.com/watch?v=AeqGANa7xRU]. Lo segue, Joachim von Ribbentrop, ex-ministro degli esteri del Reich, [https://www.youtube.com/watch?v=grFDqwXuQdo]. Il terzo è il maresciallo Wilhelm Keitel e dietro di lui viene Alfred Rosenberg, teorico del nazismo, poi, tutti gli altri: Walter Richard Rudolf Hess [https://www.youtube.com/watch?v=kYrkMK_d29U]; Ernst Kaltenbrunner [https://www.youtube.com/watch?v=uv2NDHgxhTA; Hans Franck l’ex-governatore di Polonia; Wilhelm Frick; Julius Streicher [https://www.youtube.com/watch?v=CykT5dXYZdI]; Walther Funk; Hjalmar Horace Greeley Schacht; gli ammiragli Karl Dönitz e Erich Johann Albert Raeder; poi, Baldur Benedikt von Schirach; Ernst Friedrich Christoph “Fritz” Sauckel; Alfred Jodl; Franz von Papen; Arthur Seyss-Inquart; Albert Speer; Konstantin Hermann Karl Freiherr von Neurath. Ultimo è Hans Fritzsche, il commentatore radiofonico, che, nelle intenzioni dell’accusa, dovrebbe sostituire Joseph Paul Goebbels. Sono in tutto 21. Il ventiduesimo, Robert Ley, si è ucciso in carcere, il 25 ottobre.
Sono circa le dieci. Entra, adesso, anche la Corte. Il presidente Lawrence è seguito dai giudici Francis Beverley Biddle per gli Stati Uniti, Henri Donnedieu de Vabres per la Francia e Iona Timofeevich Nikitchenko per l’Unione Sovietica. Tutti si levano in piedi. Accusatori e avvocati sono ai loro posti. Poche parole introduttive del presidente e, subito, le formalità iniziali. Lettura dei capi di imputazione e domanda agli imputati se si riconoscano colpevoli.
Tutti si dichiarano innocenti.
Il presidente anglosassone è meravigliato.
Stupisce anche Nikitchenko.
Donnedieu de Vabres non vi trova nulla di straordinario.
Il presidente invita Robert Houghwout Jackson, procuratore generale per gli Stati Uniti d’America, a leggere l’atto di accusa. In quel momento, Hermann Wilhelm Göring balza in piedi. È torvo, eccitato e tenta di parlare. Ma, più che dal monito del presidente, è impedito dalla stessa organizzazione tecnica del dibattimento. Nessun microfono trasmette la sua voce, mentre, già, in aula e in tutte le cuffie radiofoniche suonano implacabili le parole di Jackson, che leggerà anche per tutto il giorno successivo, elencando gli innumerevoli misfatti di Hitler e dei suoi collaboratori immediati: cospirazione contro la libertà e l’eguaglianza degli uomini, battaglia contro le chiese, delitti contro gli ebrei, terrorismo e guerra feroce, con disumane rappresaglie e sterminio.

Adolf Hitler con Hermann Wilhelm Göring, il 16 Marzo 1938, a Berlino.

Magda e Joseph Paul Goebbels con tre dei loro sei figli e Adolf Hitler, nel 1938. Il primo maggio del 1945, Goebbels si suicida con un colpo di pistola, dopo aver ucciso la moglie e i figli.

Ormai, la grande macchina è in moto.
Girerà per 11 mesi e circa 380 udienze.
Tutti gli imputati, tranne Hess, l’uomo che ha compiuto, durante le ostilità, un misterioso atterraggio sulla costa britannica e tiene, ora, un contegno di vera o simulata confusione mentale, subiranno lunghissimi interrogatori; centinaia di testi di accusa e di difesa saranno chiamati a deporre; i difensori proporranno, sempre, nuovi incidenti, ripresenteranno disperatamente, sotto diverse forme, la fondamentale eccezione di illegittimità del giudizio, che sarà, sempre, inesorabilmente respinta. I testimoni rievocano i più atroci episodi della storia recente: gli orrori dei campi di annientamento, i massacri, le rappresaglie feroci.
I generali Walther Heinrich Alfred Hermann von Brauchitsch e Albert Konrad Kesselring tentano una difesa di Göring.
Elsa Krüger narra gli estremi casi di Hitler, la tragedia del bunker sotto il Palazzo della Cancelleria a Berlino, già circondata dall’avanzata inesorabile delle avanguardie alleate. Ha assistito alle macabre nozze del Führer e di Eva Braun, celebrate in quell’inferno. È l’unica donna che abbia visto, prima del rogo finale, i loro due corpi sul letto di morte nella Cancelleria pressocché demolita dalle artiglierie nemiche.

Adolf Hitler ed Eva Braun

Heinrich Luitpold Himmler con la moglie Marga e i figli, nel 1935.
[Speech titled “On the Question of Homosexuality” given to SS group leaders on 18 February 1937 in Bad Tölz, Germany. https://katana17.files.wordpress.com/2014/10/heinrich-himmler-e28093-speech-about-homosexuality-to-the-ss-group-leaders-ver-2.pdf]

L’immane quantità di prove scritte, che i nazisti hanno lasciato dei propri misfatti, attesta la loro inconcepibile imprevidenza. Uomini, che hanno predisposto con straordinaria minuzia i particolari di ogni impresa, vagliando con cura tutte le ipotesi, non hanno, evidentemente, pensato alla possibilità della loro totale disfatta. Mistici della propria creduta superiorità, non hanno distrutto questi documenti che, ora, occupano due grandi stanze nel Palazzo di Giustizia di Norimberga. Sono relazioni segrete su imprese di inaudita crudeltà, freddamente comandate e supinamente eseguite; testi di compromettenti colloqui telefonici intercettati; lettere rivelatrici. È probabile che, scomparsi Hitler, Himmler e Goebbels, gli Alleati avrebbero rinunciato al grande processo se non avessero trovato questo inatteso archivio, il cui valore storico sarebbe certo maggiore, se fosse integrato dalla conoscenza, per lo stesso tempo, di tutti gli archivi riservati delle potenze vincitrici.
Hermann Wilhelm Göring è, a Norimberga, il maggiore superstite dei grandi illusi dell’onnipotenza tedesca. Il suo contegno al processo non smentisce il suo passato. Non è più, formalmente, aggressivo, tuttavia, è, ancora, stranamente fuori della realtà. Dopo il primo vano tentativo di protesta, ha rinunciato agli sfoghi oratori, ma non ha cessato di essere l’anormale che è stato in ogni occasione. Ancora si attribuisce una missione di comando tra i suoi compagni di destino e vuole imprimere la sua impronta personale alla condotta della comune difesa. Suo strumento è l’avvocato Otto Stahmer, piccolo, nrvoso, diabolico che si arroga l’ufficio di pilota del collegio di difesa e non cessa di escogitare eccezioni e censure. I suoi compagni di sventura lo sopportano. A volte, lo ammirano. Dicono che tragga il suo vigore dal fatto di essere rimasto, implacabilmente, nazista. Gli altri imputati si governano secondo la propria indole e educazione. I più dignitosi sono i militari: i generali Keitel e Jodl, gli ammiragli Eric Raeder e Karl Dönitz. Sanno ciò che li attende e si comportano con soldatesca fermezza. Degli altri nessuno si può dire codardo. I politici, von Ribbentrop, Franck, von Neurath, von Papen, non cessano di sperare nella efficacia delle coperte vie. Confidano in una sentenza severa, ma non irreparabile. Il solo smarrito è, forse, Hans Fritzsche, l’uomo della radio, assolutamente fuori di posto in quel branco di sparvieri e di lupi. Si difende in maniera apparentemente lagrimevole. Ma quella sua inesperta difesa darà ottimi frutti. Fritzsche sarà assolto con formula piena.
La segregazione degli imputati è assoluta. I loro familiari che, a volte, ottengono dei permessi di colloquio, possono parlare con loro, solo, attraverso una lastra di vetro. Il timore più grave, che alla direzione del carcere diviene, poi, una vera ossessione, è quello del suicidio di qualche imputato. Atttraverso le porte, sempre aperte, delle celle, i custodi spiano dai corridoi in ogni momento, nella veglia e nel sonno, gli atti e i gesti dei detenuti, pronti a precipitarsi su di loro e a dare l’allarme al loro più piccolo tentativo di arrecare danno alla propria persona. Gli ordini impartiti a questo fine sono più che severi. Attestano negli Alleati vittoriosi una apprensione che ha del grottesco: la paura di vedere morire anzitempo coloro che si erano, già, proposti di uccidere[1]. Soprattutto, si paventa il suicidio di Göring. Se anche Göring, come già Hitler, Himmler e Goebbels, mancasse, il processo di Norimberga, il maggiore dei tempi moderni, il primo tentativo di un giudizio internazionale su fatti e delitti, non mai ancora giudicati nella Storia, si ridurrebbe a una inchiesta su mezze figure di esecutori di ordini altrui. E il proposito di impedire a Göring di disporre della propria vita, infatti, riuscirà; ma soltanto fino alla sentenza di condanna; non oltre.
All’inizio del secondo autunno, quello del 1946, il processo-fiume si avia alla sua conclusione. I difensori hanno sparato tutte le loro cartucce. I quattro accusatori hanno formulato le loro richieste: la morte per tutti.

Benito Mussolini e Adolf Hitler
https://www.youtube.com/watch?v=gcRobVRS9y0]

Il presidente invita gli imputati a fare le loro ultime dichiarazioni. Alcuni riconoscono e deplorano gli eccessi del regime nazista e affermano di averli conosciuti soltanto nel corso del dibattimento. Dignitosi e fermi sono, ancora, i militari: soprattutto Alfred Jodl, già supremo comandante della Wehrmacht.  Eretto nella persona, chiuso nell’uniforme senza gradi né decorazioni, con una corona di capelli bianchi intorno al cranio calvo, appare come un asceta della disciplina. Un suo diario, caduto in mano agli Alleati, lo ha perduto, mostrando come, spesso, la sua obbedienza abbia superato i limiti imposti dall’umanità.

Il duca e la duchessa di Windsor, accolti, a Monaco, da Hitler nel corso di una controversa visita in Germania, nel 1937.

Dal 15 settembre il dibattimento è rinviato al 30 dello stesso mese. La Corte si è presa due settimane per la redazione della sentenza.
I giudici lavorano segregati; respingono qualunque tentativo di indiscrezione. Eppure, dopo alcuni giorni, qualcosa trapela. La sentenza, si mormora, sarà, esemplarmente, severa. La Corte ha sollecitato la venuta di un carnefice. E, a questo riguardo, trapela anche qualcosa di più. Una notizia grottesca, che i cinici riescono a trovare, perfino, gustosa. Due sono i candidati all’ufficio di carnefice: l’inglese Thomas William Pierrepoint e l’americano John Clarence Woods. Vivamente si disputano quello che, per loro, deve essere qualcosa come un onore. Si sa, da ultimo, ma, già, dopo la pronuncia della sentenza, che ha vinto l’America, vale a dire, il sergente Woods. Avrà due aiutanti, uno dei quali tedesco.

Adolf Hitler, a Parigi, nel 1940.

Nel mondo l’interesse per il processo di Norimberga si ridesta alla vigilia della conclusione. La mattina del 30 settembre, al Palazzo di Giustizia, i giornalisti sono non più 56, ma 400.
Il presidente Lawrence legge il dispositivo. 13 condanne capitali, una delle quali al latitante Martin Bormann, 6 condanne a pene detentive e 3 assolutorie. Gli assolti sono von Papen, Schacht e Fritzsche. I 6 condannati a pene detentive sono Hess, Funk, Doenitz, Speer, Raeder, von Schirach.

Storica genuflessione di Willy Brandt a Varsavia, il 7 dicembre 1970, davanti al monumento in memoria delle vittime del ghetto. Il 20 novembre 1945, Brandt aveva assistito, come giornalista norvegese, alla prima udienza del processo di Norimberga [https://www.youtube.com/watch?v=wiWPX9k4QQY].

A tutti gli altri è inflitta la pena di morte per impiccagione. Uno per volta gli imputati sono introdotti nell’aula. Il primo, come sempre, è Göring. Secondo il solito porta gli occhiali da sole per proteggersi contro le luci al neon e i lampi dei fotografi. Si mette la cuffia; è in piedi.
“Imputato Göring”,
gli dice il presidente,
“la Corte vi ha condannato alla morte per impiccagione.”
Geoffrey Lawrence ha parlato in inglese, ma alla cuffia radiofonica di  Göring sono giunte le parole della traduzione tedesca.
“Durch den Strang!”[2]
Accenna a sedersi, ma il presidente ordina che sia ricondotto fuori dell’aula. Entrano, uno per volta, gli altri imputati. 10 di essi odono, come il primo, nella cuffia, la spietata formula rituale:
“Durch den Strang!”
Sono Ribbentrop, Keitel, Kaltenbrunner, Rosenberg, Frick, Franck, Streicher, Sauckel, Jodl, Seyss-Inquart.
Silenzio assoluto degli spettatori. Lieve ronzio di macchine da presa. Lampi di fotografi. Si inizia, poi, la lettura delle motivazioni. Tutti gli imputati sono di nuovo nell’aula. Seduto al suo solito posto nella prima fila di banchi, Göring fa scorrere le mani lungo il piccolo davanzale cui, durante il dibattimento, si è, tanto spesso, appoggiato. Attaccata con qualcosa di glutinoso, come chewingum, trova una pallottolina dura, una specie di piccola capsula. Se ne impossessa e la nasconde. Il secondino che, poco dopo, lo perquisirà in cella, non troverà nulla sulla sua persona. Un’altra versione del fatto sarà, poi, fornita, nel 1951, dal generale Erich von dem Bach-Zelewski, che dichiarerà di avere passato a Göring il veleno, nascosto in un pezzo di sapone, incontrandolo in un corridoio del carcere.
Ancora quindici giorni, lunghi, pieni di angoscia per i condannati e per le loro famiglie.
Sopravvivono ancora confuse speranze. Si confida in un vano appello, si attende un’assurda grazia che neppure si sa da dove potrebbe venire.
In realtà, il ritardo è dovuto a difficoltà materiali.
Si aspetta, ancora, l’arrivo di Woos, si deve scegliere il luogo per l’esecuzione e farvi segretamente i necessari preparativi. La scelta cade sulla palestra a ridosso del carcere. Vi si alzano tre forche di modello americano, più grandi e tecnicamente più complesse di quelle tradizionali. Sono alte 6 metri, munite di un verricello, con un ripiano a metà altezza. Sono state dipinte di verde. Due forche lavoreranno alternativamente. La terza sarà di riserva.



Finalmente il sergente Wood riceve l’ordine. Dovrà sbrigarsela, il più rapidamente possibile, nella notte tra il 15 e il 16 ottobre.
È l’ora dei conforti religiosi. Il solo Rosenberg, il pagano teorico, li rifiuta ostinatamente. Il solo Franck prega con fervore. Gli altri appaiono indifferenti, passivi.
I custodi sorvegliano ogni minimo gesto dei cappellani.

Il campo di concentramento di Flossenbürg, a metà strada tra Norimberga e Praga.

Anche nella morte il primo sarà Göring. Due guardie lo avevano vigilato durante tutta la prima parte della notte. Ma, al momento dell’estremo appello, era stramazzato a terra fulminato. L’autopsia accertò, poi, che la sua morte era dovuta ad avvelenamento da cianuro di potassio. La pallottolina trovata sotto il piano del piccolo davanzale, nell’aula della Corte, aveva operato. Nessuno comprese, dapprima, dove il suicida potesse avere conservato quel veleno. Si pensò alla capsula di un dente artificiale. Si accertò, poi, che Göring l’aveva nascosto nell’ombelico.

Soldati americani liberano i prigionieri del lager di Allach.

Con gli altri condannati il sergente Wood e i suoi aiutanti fanno del loro meglio. Accelerano i tempi, ma debbono rispettare la norma americana, che impone di attendere quindici minuti prima di staccare ogni corpo dal laccio mortale. Alcuni giustiziati, infatti, come Jodl, hanno una lunga agonia. Trascorrono, così, circa tre ore di spaventevole angoscia per chi aspetta. L’ultimo a salire sul ripiano è Seyss-Inquart, l’ex-capo nazista del governo austriaco.

Il campo di concentramento di Ravensbrück, situato a 90 chilometri a Nord di Berlino, sulla riva del Lago di Fürstenberg/Havel.

Quasi tutti i condannati hanno, in extremis, fatto qualche dichiarazione. Quasi tutti hanno gridato:
“Viva la Germania!”
o
“Dio protegga la Germania!”
Il solo Rosenberg si è chiuso in uno sdegnoso silenzio. Soli il violento Streicher, il direttore del settimanale antisemita Der Stürmer [L'attaccante], ha imprecato contro gli ebrei e, sotto il cappuccio nero, prima che il laccio gli stringesse la gola, ha, ancora, urlato:
“Heil Hitler!”

Nel loro libro, George Bush: The Unauthorized Biography, Webster G. Tarpley e Anton Chaitkin scrivono:
“In October 1942, ten months after entering World War II, America was preparing its first assault against Nazi military forces. Prescott Bush was managing partner of Brown Brothers Harriman. His 18-year-old son George, the future U.S. President, had just begun training to become a naval pilot. On Oct. 20, 1942, the U.S. government ordered the seizure of Nazi German banking operations in New York City which were being conducted by Prescott Bush.
Under the Trading with the Enemy Act, the government took over the Union Banking Corporation, in which Bush was a director. The U.S. Alien Property Custodian seized Union Banking Corp.’s stock shares, all of which were owned by Prescott Bush, E. Roland “ Bunny ” Harriman, three Nazi executives, and two other associates of Bush.”[http://tarpley.net/online-books/george-bush-the-unauthorized-biography/chapter-2-the-hitler-project/]
 

 L’alba non è lontana quando la lugubre “faccenda” è ultimata.
Nella palestra 11 salme sono deposte su altrettante barelle. Ciascuna ha un cartellino con un nome. Vi sono, per gli accertamenti prescritti, 2 medici.
Entrano 4 portatori con una dodicesima barella, la più greve di tutte. Reca il massiccio corpo di Herman Göring. Viene allineato accanto agli altri. È morto con loro, ma non come loro. È il solo che non abbia intorno alla gola il tragico solco del nodo scorsoio. Anche di questo, come degli altri cadaveri, i medici autorizzano la sepoltura.
Oggi nulla più ricorda, nella palestra dietro il rosso edificio delle carceri di Norimberga, quella lugubre notte.
Le grandi lunghissime forche sono state smontate, fatte in pezzi, distrutte. Restano, invece, alcune riprese cinematografiche.
La tecnica moderna che ha accompagnato passo passo il dibattimento interminabile, non ha voluto o non ha potuto, ritirarsi neppure nell’ultimo atto.
Ha voluto, in rappresentanza del pubblico accertarsi che la Giustizia fosse, veramente, compiuta.


Daniela Zini
Copyright © 20 marzo 2016 ADZ
For most of History, Anonymous was a woman.
Virginia Woolf



[1] Robert Houghwout Jackson, in una lettera del 12 ottobre 1945 al presidente Harry S. Truman, affermò riguardo agli Alleati:
“Have done or are doing some of the very things we are prosecuting the Germans for. The French are so violating the Geneva Convention in the treatment of prisoners of war that our command is taking back prisoners sent to them. We are prosecuting plunder and our Allies are practicing it. We say aggressive war is a crime and one of our allies asserts sovereignty over the Baltic States based on no title except conquest.” [http://www.pbs.org/wgbh/amex/nuremberg/peopleevents/e_warcrimes.html]
  
[2] Al capestro!”

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