70
anni fa
NORIMBERGA
“La gioventù tedesca del futuro
deve essere snella e agile, veloce come un levriero, forte come il cuoio e dura
come l’acciaio Krupp. Non occorre che abbia alcuna preparazione culturale. La
conoscenza guasta i miei giovani. Una gioventù attiva, determinata e
dominatrice, ecco ciò che voglio.”
Adolf Hitler
I. AL PROCESSO
MANCAVANO I TRE MAGGIORI IMPUTATI
“Se comprendere
è impossibile, conoscere è necessario.”
Primo Levi
di
Daniela Zini
“Die Bevölkerung ist ein
unglaublicher Pöbel, sehr viele Juden und sehr viel Mischvolk. Ein
Volk, welches sich nur unter der Knute wohlfühlt. Die Tausenden von Gefangenen werden
unserer Landwirtschaft recht gut tun.”
Claus Schenk von Stauffenberg
Non
vi è aiuto che non venga dalle radici.
E
le mie, dove sono?
Amo teoricamente, di un Amore triste, un grande Paese del Nord,
il Paese mitteleuropeo che non ho, mai, conosciuto.
In Iran ho trovato la Patria tanto e così disperatamente
desiderata.
E l’ho amata.
Vi sono
particolari momenti, misteriosamente privilegiati, in cui taluni Paesi ci
rivelano, con un’intuizione subitanea, la loro anima, in qualche modo la loro
essenza precipua, in cui ne cogliamo una visione esatta, unica, che, mesi e
mesi di studio paziente, non potrebbero rendere più completa né diversa.
Tuttavia, in questi momenti furtivi, ci sfuggono, necessariamente, dei
dettagli, vediamo solo l’insieme delle cose.
Particolare
stato d’animo o aspetto speciale dei luoghi, colto al volo e sempre in modo
inconscio?
Non lo so…
Amo l’Iran
di un Amore oscuro, misterioso, profondo, inspiegabile, ma reale e
indistruttibile.
Dovrei,
invece, trovare la forza di sottrarmi a questa malia… ma dove trovare il
coraggio di reagire?
È un
sentimento particolare: mi sembra di costeggiare un abisso, un mistero, di cui
non è stata ancora svelata l’ultima… anzi la prima parola e che racchiuda tutto
il senso della mia Vita.
Finché non
conoscerò la chiave di questo enigma, non saprò chi sono, né la ragione e lo
scopo della mia sorte davvero straordinaria.
Mi sembra,
tuttavia, di non essere destinata a scomparire senza avere avuto la rivelazione
di tutto il profondo mistero che ha circondato la mia Vita, dai primi giorni a
oggi.
Follia
diranno gli increduli.
Viviamo in
un grande mistero e ci sentiamo sfiorare dalla possente ala dell’Ignoto, in
mezzo a eventi davvero miracolosi che ci proteggono a ogni passo. La percezione
degli abissi che la Vita racchiude e che i tre quarti degli Uomini ignorano,
anzi neppure sospettano, non può essere considerata follia come non può esserlo
il disinteresse di chi è nato cieco alla bellezza di un tramonto o di una notte
stellata.
Impressione
strana qui, dove il Sole è sempre sfavillante, instancabilmente splendido!
Le ore
scorrono monotone, con la dolcezza e la calma di un fiume in pianura, dove
niente si riflette se non nuvole di colori che passano oggi e torneranno
domani, sempre sorprendenti.
A poco a
poco, sento dentro di me svanire rimpianti e desideri.
Lascio che
la mente vaghi e la volontà si assopisca.
Pericoloso
e delizioso torpore, che porta insensibilmente, ma sicuramente, alle soglie del
nulla.
Questi
giorni, queste ore, in cui non è successo nulla, in cui non ho fatto nulla, in
cui non ho, neppure, tentato di fare uno sforzo, in cui non ho sofferto e ho
pensato poco, bisogna cancellarli dall’esistenza e deplorarne il vuoto?
Dopo
l’inevitabile risveglio, non dovrò, invece, rimpiangerli, come i migliori,
forse, di tutta la Vita?
Non lo so…
Io, che,
sogno di viaggi sempre più lontani, che ho la smania di agire, sono giunta al
punto di desiderare, senza confessarmelo francamente, che l’ebbrezza dell’ora e
la sonnolenza presente, possano durare se non per sempre, almeno per molto
tempo ancora.
Eppure so
che la febbre di viaggiare mi riassalirà, che me ne andrò; sì, so di essere
ancora molto lontana dalla saggezza degli anacoreti musulmani.
Non è la
voce della saggezza che parla in me, che mi rende inquieta e domani mi spingerà,
ancora, sulle strade della Vita: è la mia irrequietezza, che trova la Terra
stretta e non ha saputo trovare in se stessa il proprio Universo.
Ciò che
tanti sognatori hanno cercato, l’hanno trovato nelle Anime semplici.
Mi sentirò
sempre attratta dalle Anime che soffrono di quella nobile e feconda sofferenza
che è l’insoddisfazione di se stessi, la sete di Ideali. Non sarà, mai, ad
attrarmi, la serenità dello scopo raggiunto: considero esseri veramente
superiori, nel Mondo di oggi, coloro che soffrono del male sublime di dare
perpetuamente alla luce un io migliore.
Al di là
della scienza e del progresso dei secoli, sotto il sipario sollevato
dell’avvenire, vedo passare l’Uomo futuro… e comprendo come si possa finire
nella pace e nel silenzio, finire in estasi, senza rimpianti e senza desideri,
davanti a splendidi orizzonti.
È Primavera
e, sotto una apparenza di languore e di commossa fine di tutto, la Vita cova,
violenta, piena di Amore e di Ardore; la linfa possente sale dalle viscere
misteriose della Terra, per sbocciare in un’ebbrezza di risveglio.
D
Con il nazismo
Norimberga era divenuta la città delle assise del partito. Nel Märzfeld [Campo
di Marte], presso il lago Dutzend, vi si radunavano, ogni anno, la nuova
gioventù hitleriana e i gerarchi di tutta la Germania, in uniforme bruna, per
il consueto messaggio del Führer. Non
fu, tuttavia, un proposito di spirituale rappresaglia o di contrappasso che
fece scegliere Norimberga quale sede del processo ai maggiori criminali
nazisti.
La ragione della
scelta fu meno ideale e più pratica.
Nel 1945, la
città era per due terzi distrutta; ma il suo Palazzo di Giustizia e l’attiguo
moderno carcere, che comunicavano tra loro, erano intatti. Non era facile
trovare altrove, in terra tedesca, una comodità così grande.
Ai primi di
novembre di quell’anno, tutti gli imputati superstiti, tranne Martin Bormann,
il camerata del bunker di Adolf Hitler,
un latitante che voleva farsi credere morto, già si trovavano nel carcere
giudiziario.
Il 14 novembre,
la Corte Alleata stralciava dal procedimento contro gli altri imputati la
posizione di Gustav von Bohlen und
Halbach.
Planimetria
dell’area dei raduni di Norimberga.
La scelta di Norimberga fu, in larga parte, dettata
da motivazioni logistiche. Il processo, in un primo tempo, si sarebbe dovuto
tenere a Berlino, ma la distruzione pressoché totale della capitale e dei suoi
palazzi istituzionali costrinse gli Alleati a cercare un’altra sede. La scelta
della città franca fu, anche, una sorta di Nemesi storica, dal momento che Adolf
Hitler l’aveva scelta per le manifestazioni oceaniche di partito, che si
tenevano, regolarmente, al Campo di Marte, tra giochi di luce e riti di massa,
documentati dalle pellicole cinematografiche di Leni Riefenstahl.
La stessa Corte, presieduta dal giudice britannico sir Geoffrey Lawrence
[https://www.youtube.com/watch?v=CjixjO0wMH4],
esaminò, poco dopo, la mozione presentata dal difensore di Hermann Wilhelm
Göring,
Otto Stahmer, anche a nome dell’intero collegio di difesa, con la quale si era
eccepita la illegalità dell’azione penale promossa contro i 21 imputati, per
difetto di una legge che, preventivamente, avesse dichiarato punibili i fatti
loro attribuiti. Questi fatti erano indicati come “congiura in danno dei Popoli”,
“delitti
contro la pace”, “crimini di guerra” e “delitti
contro l’umanità”.
L’obiezione era
grave, ma la Corte Alleata dovette respingerla.
La deliberazione
dei 4 Grandi Alleati di sottoporre a speciale giudizio i maggiori criminali
tedeschi, già, l’aveva superata in anticipo.
Pubblicamente,
il processo ebbe inizio, il 20 novembre, in una giornata fredda e torbida, come
è, sempre, il tardo autunno in Franconia. Le sterminate rovine della città,
bagnate e nere, erano più lugubri che mai.
Folla in attesa
davanti al Palazzo di Giustizia; pochi i tedeschi. Di guardia all’entrata,
manipoli di Military Police con elmetti
e cinturoni bianchi. Ufficiali inglesi, americani, francesi e sovietici. Su per
le scale i possessori di biglietti numerati e bollati salgono a gruppi,
conversando in francese o in inglese. Dei 56 giornalisti ammessi solo 10 sono
tedeschi. La sala, ancora deserta, è una normale aula di Corte di Assise con
quattro grandi finestre. Sulla principale porta di ingresso un bassorilievo
nero e lucido rappresenta Adamo ed Eva presso l’albero del peccato. Intorno si
alternano medaglioni e simboli: i dieci comandamenti, le bilance. Su uno dei
lati minori due tribune sovrapposte: di sotto le 56 poltrone dei giornalisti;
di sopra le sedie e le panche per il pubblico. Tra i finestroni le quattro
bandiere alleate: la britannica, l’americana, la francese e la russa, e sotto
di esse la tribuna dei giudici. Antistante il recinto con i banchi degli
imputati.
Le esigenze del
processo hanno, tuttavia, mutato in parte il solito aspetto di questo stanzone
severo. Le lumiere, pendenti dal soffitto, sono munite di tubi al neon per facilitare il lavoro dei
fotografi e, ovunque, si vedono cuffie radiofoniche e microfoni. Giudici,
accusatori, imputati e avvocati parleranno davanti a microfoni, ascolteranno
con le cuffie, tradotto nelle rispettive lingue, ciò che sarà detto nell’aula.
Gli interpreti già attendono in una cabina di vetro. Questo complesso apparato
di interpreti in cabina, di fili, di microfoni, di cuffie, di luci e di
macchine da ripresa ottica e sonora conferirà alle udienze del processo un
carattere diverso da quello cui è avvezzo lo spettatore ordinario. Le sedute,
in cui si rievocheranno stragi e crimini inauditi e si tesserà il destino
ultimo di uomini che furono protagonisti di oltre un decennio di tragica Storia,
non differiranno molto dalle tornate di una plenaria conferenza internazionale.
Gli stessi organizzatori del processo non avevano pensato, del resto, di fare
del Palazzo di Giustizia di Norimberga la vera scena di un grandioso spettacolo
giudiziario. Avevano, al contrario, voluto istituirvi un centro mondiale di
diffusione, qualcosa come un teatro di posa per il più straordinario film dell’immediato dopoguerra, destinato
a commuovere e a convincere del buon diritto degli Alleati, tutti i Popoli del
mondo.
Ma per questo
era venuto a mancare il massimo attore.
Adolf Hitler,
già terrore di tutti, una volta detenuto e imputato, costretto a subire
interrogatori e contestazioni e a difendersi come un qualsiasi reo, avrebbe
dato il senso vero della catatrofe della Germania nazista e della vittoria
alleata più che le rovine di Berlino e quelle di cento altre città tedesche
distrutte. Accanto a lui, sullo stesso banco, Heinrich Luitpold Himmler, il
torvo capo della spietata polizia del Reich;
Joseph Paul Goebbels, il propagandista diabolico, e, finalmente, Hermann
Wilhelm Göring, il successore designato del Führer,
il Reichsmarschall, creatore della
temuta Lutwaffe, l’arma aerea
tedesca, avrebbero compiuto il quadro del trionfo alleato, come altrettanti re
barbari incatenati dietro la biga di un imperatore vittorioso. Di questi grandi
peccatori contro l’Umanità sopravviveva solo Hermann Wilhelm Göring. Gli altri tre si erano, all’ultimo momento, ma in
tempo, sottratti con il suicidio al giudizio degli uomini, e del rogo del Führer non era rimasta neppure la
cenere.
La porticina
rasa, pressocché invisibile nel tavolato a tergo del recinto degli accusati, si
socchiude. Tutti gli occhi dei presenti fissano quel breve rettangolo scuro.
Entrano due MP in elmetto bianco e con loro il primo imputato Hermann Wilhelm Göring [https://www.youtube.com/watch?v=AeqGANa7xRU].
Lo segue, Joachim von
Ribbentrop, ex-ministro degli esteri del Reich, [https://www.youtube.com/watch?v=grFDqwXuQdo].
Il terzo è il maresciallo Wilhelm Keitel e dietro di lui viene Alfred Rosenberg,
teorico del nazismo, poi, tutti gli altri: Walter Richard Rudolf Hess [https://www.youtube.com/watch?v=kYrkMK_d29U];
Ernst Kaltenbrunner [https://www.youtube.com/watch?v=uv2NDHgxhTA; Hans Franck
l’ex-governatore di Polonia; Wilhelm Frick; Julius Streicher [https://www.youtube.com/watch?v=CykT5dXYZdI];
Walther Funk; Hjalmar Horace Greeley
Schacht; gli ammiragli Karl Dönitz
e Erich Johann Albert Raeder; poi,
Baldur Benedikt von Schirach; Ernst
Friedrich Christoph “Fritz” Sauckel; Alfred Jodl; Franz von Papen; Arthur
Seyss-Inquart; Albert Speer; Konstantin
Hermann Karl Freiherr von Neurath. Ultimo è Hans Fritzsche, il commentatore radiofonico, che, nelle intenzioni
dell’accusa, dovrebbe sostituire Joseph Paul Goebbels. Sono in tutto 21. Il
ventiduesimo, Robert Ley, si è ucciso in carcere, il 25 ottobre.
Sono circa le
dieci. Entra, adesso, anche la Corte. Il presidente Lawrence è seguito dai
giudici Francis Beverley Biddle per gli Stati Uniti, Henri Donnedieu de Vabres
per la Francia e Iona Timofeevich
Nikitchenko per l’Unione Sovietica. Tutti si levano in piedi. Accusatori
e avvocati sono ai loro posti. Poche parole introduttive del presidente e,
subito, le formalità iniziali. Lettura dei capi di imputazione e domanda agli
imputati se si riconoscano colpevoli.
Tutti si
dichiarano innocenti.
Il presidente
anglosassone è meravigliato.
Stupisce anche Nikitchenko.
Donnedieu de
Vabres non vi trova nulla di straordinario.
Il presidente
invita Robert Houghwout Jackson,
procuratore generale per gli Stati Uniti d’America, a leggere l’atto di accusa.
In quel momento, Hermann Wilhelm Göring
balza in piedi. È torvo, eccitato e tenta di parlare. Ma, più che dal monito
del presidente, è impedito dalla stessa organizzazione tecnica del
dibattimento. Nessun microfono trasmette la sua voce, mentre, già, in aula e in
tutte le cuffie radiofoniche suonano implacabili le parole di Jackson, che
leggerà anche per tutto il giorno successivo, elencando gli innumerevoli
misfatti di Hitler e dei suoi collaboratori immediati: cospirazione contro la
libertà e l’eguaglianza degli uomini, battaglia contro le chiese, delitti
contro gli ebrei, terrorismo e guerra feroce, con disumane rappresaglie e
sterminio.
Adolf Hitler con Hermann Wilhelm Göring,
il 16 Marzo 1938, a Berlino.
Magda e Joseph Paul Goebbels con
tre dei loro sei figli e Adolf Hitler, nel 1938. Il primo maggio del 1945,
Goebbels si suicida con un colpo di pistola, dopo aver ucciso la moglie e i
figli.
Ormai, la grande macchina è in moto.
Girerà per 11 mesi e circa 380 udienze.
Tutti gli imputati, tranne Hess, l’uomo che ha compiuto, durante le
ostilità, un misterioso atterraggio sulla costa britannica e tiene, ora, un
contegno di vera o simulata confusione mentale, subiranno lunghissimi
interrogatori; centinaia di testi di accusa e di difesa saranno chiamati a
deporre; i difensori proporranno, sempre, nuovi incidenti, ripresenteranno
disperatamente, sotto diverse forme, la fondamentale eccezione di illegittimità
del giudizio, che sarà, sempre, inesorabilmente respinta. I testimoni rievocano
i più atroci episodi della storia recente: gli orrori dei campi di
annientamento, i massacri, le rappresaglie feroci.
I generali Walther Heinrich Alfred Hermann von Brauchitsch e Albert Konrad Kesselring tentano una difesa di Göring.
Elsa Krüger narra gli estremi casi
di Hitler, la tragedia del bunker
sotto il Palazzo della Cancelleria a Berlino, già circondata dall’avanzata
inesorabile delle avanguardie alleate. Ha assistito alle macabre nozze del Führer e di Eva Braun, celebrate in
quell’inferno. È l’unica donna che abbia visto, prima del rogo finale, i loro
due corpi sul letto di morte nella Cancelleria pressocché demolita dalle
artiglierie nemiche.
Adolf Hitler ed Eva Braun
Heinrich Luitpold Himmler con la moglie Marga e i
figli, nel 1935.
L’immane
quantità di prove scritte, che i nazisti hanno lasciato dei propri misfatti,
attesta la loro inconcepibile imprevidenza. Uomini, che hanno predisposto con
straordinaria minuzia i particolari di ogni impresa, vagliando con cura tutte
le ipotesi, non hanno, evidentemente, pensato alla possibilità della loro
totale disfatta. Mistici della propria creduta superiorità, non hanno distrutto
questi documenti che, ora, occupano due grandi stanze nel Palazzo di Giustizia
di Norimberga. Sono relazioni segrete su imprese di inaudita crudeltà,
freddamente comandate e supinamente eseguite; testi di compromettenti colloqui
telefonici intercettati; lettere rivelatrici. È probabile che, scomparsi
Hitler, Himmler e Goebbels, gli Alleati avrebbero rinunciato al grande processo
se non avessero trovato questo inatteso archivio, il cui valore storico sarebbe
certo maggiore, se fosse integrato dalla conoscenza, per lo stesso tempo, di
tutti gli archivi riservati delle potenze vincitrici.
Hermann Wilhelm Göring è, a Norimberga, il maggiore superstite dei grandi
illusi dell’onnipotenza tedesca. Il suo contegno al processo non smentisce il
suo passato. Non è più, formalmente, aggressivo, tuttavia, è, ancora,
stranamente fuori della realtà. Dopo il primo vano tentativo di protesta, ha
rinunciato agli sfoghi oratori, ma non ha cessato di essere l’anormale che è
stato in ogni occasione. Ancora si attribuisce una missione di comando tra i
suoi compagni di destino e vuole imprimere la sua impronta personale alla
condotta della comune difesa. Suo strumento è l’avvocato Otto Stahmer, piccolo,
nrvoso, diabolico che si arroga l’ufficio di pilota del collegio di difesa e
non cessa di escogitare eccezioni e censure. I suoi compagni di sventura lo
sopportano. A volte, lo ammirano. Dicono che tragga il suo vigore dal fatto di
essere rimasto, implacabilmente, nazista. Gli altri imputati si governano
secondo la propria indole e educazione. I più dignitosi sono i militari: i
generali Keitel e Jodl, gli ammiragli Eric Raeder e Karl Dönitz. Sanno ciò che
li attende e si comportano con soldatesca fermezza. Degli altri nessuno si può
dire codardo. I politici, von Ribbentrop, Franck, von Neurath, von Papen, non
cessano di sperare nella efficacia delle coperte vie. Confidano in una sentenza
severa, ma non irreparabile. Il solo smarrito è, forse, Hans Fritzsche, l’uomo
della radio, assolutamente fuori di posto in quel branco di sparvieri e di
lupi. Si difende in maniera apparentemente lagrimevole. Ma quella sua inesperta
difesa darà ottimi frutti. Fritzsche sarà assolto con formula piena.
La segregazione degli imputati è assoluta. I loro familiari che, a volte,
ottengono dei permessi di colloquio, possono parlare con loro, solo, attraverso
una lastra di vetro. Il timore più grave, che alla direzione del carcere
diviene, poi, una vera ossessione, è quello del suicidio di qualche imputato.
Atttraverso le porte, sempre aperte, delle celle, i custodi spiano dai corridoi
in ogni momento, nella veglia e nel sonno, gli atti e i gesti dei detenuti,
pronti a precipitarsi su di loro e a dare l’allarme al loro più piccolo
tentativo di arrecare danno alla propria persona. Gli ordini impartiti a questo
fine sono più che severi. Attestano negli Alleati vittoriosi una apprensione
che ha del grottesco: la paura di vedere morire anzitempo coloro che si erano,
già, proposti di uccidere.
Soprattutto, si paventa il suicidio di Göring. Se anche Göring, come già
Hitler, Himmler e Goebbels, mancasse, il processo di Norimberga, il maggiore
dei tempi moderni, il primo tentativo di un giudizio internazionale su fatti e
delitti, non mai ancora giudicati nella Storia, si ridurrebbe a una inchiesta
su mezze figure di esecutori di ordini altrui. E il proposito di impedire a
Göring di disporre della propria vita, infatti, riuscirà; ma soltanto fino alla
sentenza di condanna; non oltre.
All’inizio del secondo autunno, quello del 1946, il processo-fiume si
avia alla sua conclusione. I difensori hanno sparato tutte le loro cartucce. I
quattro accusatori hanno formulato le loro richieste: la morte per tutti.
Benito Mussolini e Adolf Hitler
https://www.youtube.com/watch?v=gcRobVRS9y0]
Il presidente invita gli imputati a fare le loro ultime dichiarazioni.
Alcuni riconoscono e deplorano gli eccessi del regime nazista e affermano di
averli conosciuti soltanto nel corso del dibattimento. Dignitosi e fermi sono,
ancora, i militari: soprattutto Alfred Jodl, già supremo comandante della Wehrmacht. Eretto nella persona, chiuso nell’uniforme
senza gradi né decorazioni, con una corona di capelli bianchi intorno al cranio
calvo, appare come un asceta della disciplina. Un suo diario, caduto in mano agli
Alleati, lo ha perduto, mostrando come, spesso, la sua obbedienza abbia
superato i limiti imposti dall’umanità.
Il duca e la duchessa
di Windsor, accolti, a Monaco, da Hitler nel corso di una controversa visita in
Germania, nel 1937.
Dal 15 settembre il dibattimento è rinviato al 30 dello stesso mese. La
Corte si è presa due settimane per la redazione della sentenza.
I giudici lavorano segregati; respingono qualunque tentativo di
indiscrezione. Eppure, dopo alcuni giorni, qualcosa trapela. La sentenza, si
mormora, sarà, esemplarmente, severa. La Corte ha sollecitato la venuta di un
carnefice. E, a questo riguardo, trapela anche qualcosa di più. Una notizia
grottesca, che i cinici riescono a trovare, perfino, gustosa. Due sono i
candidati all’ufficio di carnefice: l’inglese Thomas William Pierrepoint e
l’americano John Clarence Woods. Vivamente si disputano quello che, per loro, deve
essere qualcosa come un onore. Si sa, da ultimo, ma, già, dopo la pronuncia
della sentenza, che ha vinto l’America, vale a dire, il sergente Woods. Avrà
due aiutanti, uno dei quali tedesco.
Adolf Hitler, a
Parigi, nel 1940.
Nel mondo l’interesse per il processo di Norimberga si ridesta alla vigilia
della conclusione. La mattina del 30 settembre, al Palazzo di Giustizia, i
giornalisti sono non più 56, ma 400.
Il presidente Lawrence legge il dispositivo. 13 condanne capitali, una
delle quali al latitante Martin Bormann, 6 condanne a pene detentive e 3
assolutorie. Gli assolti sono von Papen, Schacht e Fritzsche. I 6 condannati a
pene detentive sono Hess, Funk, Doenitz, Speer, Raeder, von Schirach.
Storica genuflessione di Willy Brandt a Varsavia, il 7 dicembre 1970, davanti al
monumento in memoria delle vittime del ghetto. Il 20 novembre 1945, Brandt
aveva assistito, come giornalista norvegese, alla prima udienza del processo di
Norimberga [https://www.youtube.com/watch?v=wiWPX9k4QQY].
A tutti gli altri è inflitta la pena di morte per impiccagione. Uno per
volta gli imputati sono introdotti nell’aula. Il primo, come sempre, è Göring.
Secondo il solito porta gli occhiali da sole per proteggersi contro le luci al neon e i lampi dei fotografi. Si mette
la cuffia; è in piedi.
“Imputato Göring”,
gli dice il
presidente,
“la Corte vi ha
condannato alla morte per impiccagione.”
Geoffrey
Lawrence ha parlato in inglese, ma alla cuffia radiofonica di Göring
sono giunte le parole della traduzione tedesca.
Accenna a
sedersi, ma il presidente ordina che sia ricondotto fuori dell’aula. Entrano,
uno per volta, gli altri imputati. 10 di essi odono, come il primo, nella
cuffia, la spietata formula rituale:
“Durch den Strang!”
Sono Ribbentrop, Keitel, Kaltenbrunner, Rosenberg, Frick, Franck,
Streicher, Sauckel, Jodl, Seyss-Inquart.
Silenzio
assoluto degli spettatori. Lieve ronzio di macchine da presa. Lampi di fotografi.
Si inizia, poi, la lettura delle motivazioni. Tutti gli imputati sono di nuovo
nell’aula. Seduto al suo solito posto nella prima fila di banchi, Göring fa scorrere le mani lungo il piccolo
davanzale cui, durante il dibattimento, si è, tanto spesso, appoggiato. Attaccata
con qualcosa di glutinoso, come chewingum,
trova una pallottolina dura, una specie di piccola capsula. Se ne impossessa e
la nasconde. Il secondino che, poco dopo, lo perquisirà in cella, non troverà
nulla sulla sua persona. Un’altra versione del fatto sarà, poi, fornita, nel
1951, dal generale Erich von dem Bach-Zelewski, che dichiarerà di avere passato
a Göring il veleno, nascosto in un pezzo di sapone, incontrandolo in un
corridoio del carcere.
Ancora quindici giorni, lunghi, pieni di angoscia per i condannati e per
le loro famiglie.
Sopravvivono ancora confuse speranze. Si confida in un vano appello, si
attende un’assurda grazia che neppure si sa da dove potrebbe venire.
In realtà, il ritardo è dovuto a difficoltà materiali.
Si aspetta, ancora, l’arrivo di Woos, si deve scegliere il luogo per
l’esecuzione e farvi segretamente i necessari preparativi. La scelta cade sulla
palestra a ridosso del carcere. Vi si alzano tre forche di modello americano,
più grandi e tecnicamente più complesse di quelle tradizionali. Sono alte 6 metri, munite di un
verricello, con un ripiano a metà altezza. Sono state dipinte di verde. Due
forche lavoreranno alternativamente. La terza sarà di riserva.
Finalmente il sergente Wood riceve l’ordine. Dovrà sbrigarsela, il più
rapidamente possibile, nella notte tra il 15 e il 16 ottobre.
È l’ora dei conforti religiosi. Il solo Rosenberg, il pagano teorico, li
rifiuta ostinatamente. Il solo Franck prega con fervore. Gli altri appaiono
indifferenti, passivi.
I custodi sorvegliano ogni minimo gesto dei cappellani.
Il campo di concentramento di
Flossenbürg, a metà strada tra Norimberga e Praga.
Anche nella morte il primo sarà Göring. Due guardie lo avevano vigilato
durante tutta la prima parte della notte. Ma, al momento dell’estremo appello,
era stramazzato a terra fulminato. L’autopsia accertò, poi, che la sua morte
era dovuta ad avvelenamento da cianuro di potassio. La pallottolina trovata
sotto il piano del piccolo davanzale, nell’aula della Corte, aveva operato.
Nessuno comprese, dapprima, dove il suicida potesse avere conservato quel
veleno. Si pensò alla capsula di un dente artificiale. Si accertò, poi, che
Göring l’aveva nascosto nell’ombelico.
Soldati americani liberano i prigionieri del lager di Allach.
Con gli altri condannati il sergente Wood e i suoi aiutanti fanno del
loro meglio. Accelerano i tempi, ma debbono rispettare la norma americana, che
impone di attendere quindici minuti prima di staccare ogni corpo dal laccio
mortale. Alcuni giustiziati, infatti, come Jodl, hanno una lunga agonia.
Trascorrono, così, circa tre ore di spaventevole angoscia per chi aspetta.
L’ultimo a salire sul ripiano è Seyss-Inquart, l’ex-capo nazista del governo
austriaco.
Il campo di concentramento di
Ravensbrück, situato a 90
chilometri a Nord di Berlino, sulla riva del Lago di
Fürstenberg/Havel.
Quasi tutti i condannati hanno, in
extremis, fatto qualche dichiarazione. Quasi tutti hanno gridato:
“Viva la Germania!”
o
“Dio protegga la Germania!”
Il solo Rosenberg si è chiuso in uno sdegnoso silenzio. Soli il violento
Streicher, il direttore del settimanale antisemita Der Stürmer [L'attaccante], ha imprecato contro gli ebrei e, sotto il cappuccio nero, prima che il
laccio gli stringesse la gola, ha, ancora, urlato:
“Heil Hitler!”
Nel loro libro, George
Bush: The Unauthorized Biography, Webster G. Tarpley e Anton Chaitkin
scrivono:
“In October 1942, ten months after entering World War II, America was preparing its first
assault against Nazi military forces. Prescott
Bush was managing partner of Brown Brothers Harriman. His 18-year-old son
George, the future U.S. President, had just begun training to become a naval
pilot. On Oct. 20, 1942, the U.S.
government ordered the seizure of Nazi German banking operations in New York City which were being conducted by Prescott Bush.
L’alba non è lontana quando la lugubre “faccenda” è ultimata.
Nella palestra 11 salme sono deposte su altrettante barelle. Ciascuna ha un
cartellino con un nome. Vi sono, per gli accertamenti prescritti, 2 medici.
Entrano 4 portatori con una dodicesima barella, la più greve di tutte.
Reca il massiccio corpo di Herman Göring. Viene allineato accanto agli altri. È
morto con loro, ma non come loro. È il solo che non abbia intorno alla gola il
tragico solco del nodo scorsoio. Anche di questo, come degli altri cadaveri, i
medici autorizzano la sepoltura.
Oggi nulla più ricorda, nella palestra dietro il rosso edificio delle
carceri di Norimberga, quella lugubre notte.
Le grandi lunghissime forche sono state smontate, fatte in pezzi,
distrutte. Restano, invece, alcune riprese cinematografiche.
La tecnica moderna che ha accompagnato passo passo il dibattimento
interminabile, non ha voluto o non ha potuto, ritirarsi neppure nell’ultimo
atto.
Ha voluto, in rappresentanza del pubblico accertarsi che la Giustizia
fosse, veramente, compiuta.
Daniela Zini
Copyright © 20 marzo
2016 ADZ
“For most of History, Anonymous was a
woman.”
Virginia Woolf
Robert
Houghwout Jackson, in una lettera del 12 ottobre 1945 al presidente
Harry S. Truman, affermò riguardo agli Alleati:
“Have done or are doing some of the very things we are
prosecuting the Germans for. The French are so violating the Geneva Convention
in the treatment of prisoners of war that our command is taking back prisoners
sent to them. We are prosecuting plunder and our Allies are practicing it. We
say aggressive war is a crime and one of our allies asserts sovereignty over
the Baltic States based on no title except
conquest.” [http://www.pbs.org/wgbh/amex/nuremberg/peopleevents/e_warcrimes.html]
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