ADZ
riapre vecchi dossiers e indaga su crimini archiviati...
I. IL PRIMO G-MAN AFFRONTO’
I BANDITI ARMATO DI VIOLINO
“I
regret to say that we of the FBI are powerless to act in cases of oral-genital
intimacy, unless it has in some way obstructed interstate commerce.”
John
Edgar Hoover [1895-1972]
Una vecchia Ford nera – poco più di un motore messo dentro una cassa
sgraziata di ferro, trascinata da quattro cerchioni ricoperti di gomma piena –
avanza sferragliando lungo lo stradone polveroso del Cumberland, una contea
interna del Tennessee. I contadini, messi in allarme dall’insolito rumore, si
affacciano sulle soglie delle loro capanne di legno e restano a guardare la
macchina con un misto di emozioni, in cui la curiosità prevale di poco sulla
paura.
Siamo nel marzo del 1913 e, per molti, questa è la prima
automobile che vedono con i loro occhi.
La Ford va
a fermarsi, sgroppando, vicino a una casupola.
“Ehi, tu!”,
grida
l’uomo che la guida, rivolgendosi a un contadino:
“Sai dove
abitino gli Howard?”
L’interrogato
scuote lentamente la testa.
“Già,
nessuno lo sa!”,
commenta
l’automobilista, parlando a se stesso.
“Ma io so
che gli Howard abitano qui intorno. Se, per caso, ti ricordassi di conoscerli,
avvertili che li sto cercando. Vengo da amico…”
L’auto
riprende la marcia, innalzando dal tappo del radiatore una scia sbuffante di
vapore.
Il
conducente è indicato nei rapporti con il nome convenzionale di Jim Trent; la
tessera che ha in tasca lo qualifica come agente speciale n. 26 del Bureau of Investigation [BOI], Department of
Justice.
Sei giorni
prima, a Washington, l’agente Trent ha ricevuto dallo stesso Alexander Bruce
Bielaski [1883-1964], che, dal primo dell’anno, è il nuovo capo del servizio
investigativo, l’ordine di rintracciare e arrestare Bill Howard, un giovane
accusato di avere rapito e violentato una ragazza di Jamestown, dopo averla
costretta a seguirlo oltre i confini del Kentucky. Questo è un reato perseguito
dal White Slavery Act; uno dei pochi
reati che, nel 1913, autorizzino l’intervento della polizia federale, la cui
ingerenza è, sempre, sgradita alle polizie statali, alle quali, di regola,
competono le indagini. Ma, Bielaski, che desidera rendere, finalmente, operante
un servizio, creato dal 1909 e rimasto, praticamente, sulla carta, non ha
indugiato a inviare, nel Tennessee, l’agente speciale n. 26: il primo G-Man entrato in azione contro la
malavita, nella storia avventurosa e affascinante dell’FBI.
Jim Trent
prosegue, ostinatamente, le ricerche, nonostante il muro di omertà di cooperare
nelle indagini. Il sole sta per calare dietro le colline e deve prepararsi a
trascorrere un’altra notte nelle poco confortevoli locande del Cumberland, dopo
un altro giorno infruttuoso.
Improvvisamente,
malgrado lo sferragliare della macchina, l’orecchio attento di Jim avverte lo
scalpiccio di un cavallo al galoppo dietro di lui. Un motivo per sentirsi
sgomento: Bill Howard è conosciuto come uno dei migliori e più decisi tiratori
dello Stato e, proprio per questo, i contadini lo proteggono con il loro
silenzio; mentre lui è assolutamente disarmato.
Invece il cowboy, affiancandosi alla macchina, si
limita a gridare per soverchiare il rombo del motore:
“Gli Howard…
In quella casa sopra la collina, oltre il ponte.”
Jim guarda
nella direzione indicata; quando si volge nuovamente verso l’inatteso e
provvidenziale informatore, il cavaliere è, già, lontano, tra i campi.
L’agente ha
un attimo di esitazione.
Non sa
spiegarsi l’indicazione ricevuta, se non come un possibile tranello.
Ma il suo
dovere è seguire ogni traccia.
Lascia
l’auto sotto un albero e inizia a inerpicarsi per il ripido sentiero che porta
alla capanna.
Quando
bussa all’uscio di legno, gli viene, subito, aperto.
Jim si
trova puntate contro cinque carabine a ripetizione, impugnate da quattro uomini
e una donna.
Uno degli
uomini è il cowboy.
“Siete il
padre di Bill, penso.”,
asserisce
Trent, rivolgendosi al più anziano.
E aggiunge,
pacatamente, entrando:
“Vengo da
amico…”
“Sì, questo
l’ho, già, sentito raccontare in giro.”,
interrompe,
beffardamente, il vecchio Howard,
“Ma Bill
non ha amici, e nessuno di noi ha amici.”
“Sono un
agente del Governo.”,
spiega Jim,
ostentando la massima tranquillità,
“Se vostro
figlio è qui, signor Howard devo farlo venire con me.”
“Non sono
così certo che potrete farlo, giovanotto!”,
sogghigna
l’altro, aggiungendo alcune frasi, che negli archivi dell’FBI sono riportate come “ciò che pensava sulla legge in generale,
sulle guardie in particolare e su Trent stesso”.
“Non
discuto le vostre opinioni.”,
può
replicare, infine, l’agente.
“Se voi,
signor Howard, mi dite che vostro figlio non è qui, io non metterò in dubbio la
vostra parola. Ma se si trova qui, devo prenderlo in custodia.”
“Non è qui
e non lo troverete neppure in mille anni.”,
bofonchia
il padre, con pungente derisione.
“Allora non
mi resta che andarmene…”
“Voi non
lascerete questa casa, giovanotto!”,
intima il
vecchio, alzando, eloquentemente, la canna della carabina.
“Se devo
restare, tanto vale che mi sieda.”,
sospira Jim,
trascinando un seggiolone a dondolo vicino al camino acceso.
Riesce a
mantenersi calmo, ma sa benissimo in quale situazione si trovi: gli Howard
vogliono attendere la notte per farlo “scomparire”.
La donna
esce dalla stanza; ma i quattro uomini rimangono immobili sui quattro sgabelli.
Uno dei
giovani tira fuori da uno stipo una bottiglia di whisky di grano e, dopo una lunga sorsata, la passa ai fratelli e
al padre.
Se non
fosse per i fucili puntati contro l’agente, la scena sembrerebbe un quadretto
familiare del vecchio Tennessee!
Jim avverte
il lato grottesco di tutto ciò e tenta di temporeggiare.
Ha visto un
violino sul ripiano del caminetto e allunga una mano per prenderlo.
Gli altri
lo guardano sospettosi, ma nessuno si muove.
Jim accorda
lo strumento e intona una ballata popolare, La
ragazza andrà sulla montagna, è specificato nel suo dettagliato rapporto.
I quattro
uomini ascoltano in silenzio.
Poi,
l’agente suona Il rosario.
“Giovanotto
conoscete quella canzone che fa: “Portami nella vecchia Virginia”?”,
domanda il
vecchio Howard.
Trent
conosce il motivo e lo esegue con quanto più sentimento riesce a mettere nel
violino.
I due più
giovani iniziano a ballare.
“Peccato,
davvero, signor Howard”,
mormora Jim,
con tono casuale, quando il suo repertorio sta per esaurirsi.
“Forse,
come dite voi, Bill non lo prenderanno in mille anni, ma comunque dovrà fare
una gran brutta vita. Vi saranno sempre poliziotti intorno a lui…”
Il vecchio
ascolta, con volto inespressivo.
“Ma
potrebbe anche darsi che riescano a prenderlo.”,
prosegue
l’agente.
“Vi è una
taglia sulla sua testa e cento dollari possono fare gola a molta gente.
Allora cosa
sarà di Bill?
I giudici
non saranno clementi…
Sarebbe
diverso se si consegnasse spontaneamente. Avrebbe un processo regolare e gli
concederebbero tutte le attenuanti…”
Il vecchio
rimane ancora muto, senza tradire i suoi pensieri.
“È tardi.”,
conclude
Jim Trent,
“Se avete
un letto in più, andrei a dormire…”
Nonostante
il sorriso disarmante, non si illude: la luna sta per spuntare, sa benissimo
quale sorte lo attenda. Invece, improvvisamente, il vecchio apre le braccia,
come arrendendosi:
“Mandate le
carte allo sceriffo di Louisville. Il ragazzo andrà là a consegnarsi.”
L’agente speciale
n. 26 al quale, un secolo fa, toccò l’onore di scrivere il primo capitolo della
storia della più celebre polizia del mondo, non era davvero uno di quei
personaggi esaltati dai films
hollywoodiani; ma anche i suoi poteri erano una gracile larva di quelli,
pressochè illimitati, che i suoi successori avrebbero ottenuto soltanto due
decenni dopo.
Nel 1913,
gli agenti federali dovevano limitarsi a compiere semplici indagini, senza
altra risorsa che la loro intraprendenza. Potevano intervenire in non più di
tre o quattro casi di infrazione alla legge e, sempre, a condizione che il reo
avesse varcato i confini di uno Stato per rifugiarsi in un altro.
Come
abbiamo osservato nella storia di Jim Trent, non erano autorizzati a portare
armi, neppure quando dovevano affrontare i banditi più pericolosi.
Theodore Roosevelt [1858-1919]
Ma vi è di
più: non potevano effettuare arresti. Scoperto il loro uomo, dovevano
segnalarlo alla polizia locale e, non sempre, questa interveniva con la
prontezza necessaria, seppure accettava di intervenire. Ma anche per giungere a
quei limitatissimi poteri che consentirono al Bureau of Investigation di intervenire contro Bill Howard, erano
occorsi dodici anni di lotte continue da parte del presidente Theodore
Roosevelt e dei suoi procuratori generali contro i governatori degli Stati e
contro lo stesso Congresso.
Theodore
Roosevelt, eletto nel 1900, aveva portato alla Casa Bianca la ferma intenzione
di stroncare la corruzione che corrodeva, a ogni livello, la vita sociale e
politica degli Stati Uniti.
Nei primi
anni, la sua crociata rimase, tuttavia, puramente ideologica, perché – cosa che
a noi, oggi, può sembrare abbastanza strana – il presidente, massimo potere
esecutivo, non disponeva di alcun organo di polizia per assicurare il rispetto
delle sue leggi.
Nella vita
quotidiana, le leggi, emanate dal governatore di un qualsiasi Stato, e, perfino,
quelle assolutamente arbitrarie degli sceriffi del West, avevano un valore maggiore
rispetto a quelle firmate dal presidente e approvate dal Congresso. Uno degli
aspetti più appariscenti del malgoverno erano allora i cosiddetti “furti di terre”.
Dopo la colonizzazione dell’Ovest, erano state assegnate ai pionieri enormi
estensioni di territorio; ma il demanio conservava la proprietà di circa 40
milioni di acri, per lo più foreste, amministrati da un apposito ente
governativo, il General Land Office.
Ethan Allen Hitchcock [1798-1835]
Nel 1904,
il segretario degli interni, Ethan Allen Hitchcock sospettò che qualcosa non
funzionasse e sollecitò una inchiesta al Dipartimento di Giustizia.
Il
procuratore generale, non avendo un proprio organo di polizia, affidò
l’incarico agli agenti del servizio segreto del Dipartimento del Tesoro, un
corpo speciale creato per perseguire i falsari.
Uno di
quegli agenti era Lawrence Richey, il quale, più tardi, sarebbe divenuto
segretario del presidente Herbert Hoover.
Lawrence Richey, Herbert Hoover e Harlan Stone
Nel West,
Richey e i suoi colleghi scoprirono una situazione perfino incredibile.
Le terre
demaniali erano state occupate, a volte, da organizzatissime bande in combutta
con le autorità locali. In altri casi, esisteva perfino un regolare atto di
vendita del General Land Office; ma
centinaia di migliaia di acri erano stati ceduti a prezzi così bassi, da non
raggiungere neppure il dieci per cento di quello che l’acquirente poteva
ricavare soltanto dal primo taglio di alberi. In questa lucrosa speculazione si
era inserito un giro intricato di interessi politici. L’indagine portò
all’incriminazione di numerose persone per “cospirazione nel defraudare gli Stati Uniti
di terre demaniali”. Tra gli accusati figuravano, anche, un senatore,
John Hipple Mitchell [1835-1905], e un deputato, John Newton Williamson
[1855-1943], ambedue repubblicani dell’Oregon. Processati dinanzi alla Corte
Federale dello Stato – un feudo del partito democratico – i due uomini politici
furono riconosciuti colpevoli e condannati. In seguito, una inchiesta ordinata
da George Woodward Wickersham [1858-1936], procuratore generale del presidente
William Howard Taft [1857-1930], rivelò che la “crociata contro la corruzione”
si era, purtroppo, risolta in una prova sconcertante di quanto fossero viziati,
perfino, gli organi incaricati di amministrare la Giustizia. Francis Joseph Heney
[1859-1937], procuratore della Corte Federale dell’Oregon – negli Stati Uniti,
tutti i procuratori, da quelli distrettuali a quello generale, venivano e
vengono, tuttora, eletti, pertanto, la loro carica è prettamente politica – si
era rivolto a un investigatore privato, William John Burns [1861-1932], per
conoscere le opinioni politiche dei cittadini proposti come membri della giuria
popolare e scegliere i candidati più avversi agli imputati.
William
John Burns [1861-1932]
Francis
Joseph Heney [1859-1937]
Nel
fascicolo ingiallito della inchiesta Wickersham si trova, ancora oggi, un
appunto autografo di Burns, sul quale, accanto ai nomi proposti per la giuria,
si leggono annotazioni come queste:
“Socialista,
anti-Mitchell.”;
“Condannerebbe
anche Cristo.”;
“Vedrebbe
volentieri Mitchell impiccato.”.
Di fatto,
la giuria popolare risultò, interamente, composta da democratici e socialisti e
da repubblicani della corrente contraria a Mitchell. Sei anni dopo, la Corte
Suprema riaprì il processo: Williamson fu assolto con formula piena; ma il
senatore Mitchell, nel frattempo, era morto, in carcere. A Washington, sebbene
non fossero, ancora, conosciuti né la reale gravità dei “furti di terre” né lo sconcertante
retroscena del processo, l’incriminazione dei due parlamentari produsse sul
Congresso una penosa impressione. I numerosi oppositori dell’Amministrazione
Roosevelt stigmatizzarono come un grave abuso l’avere impiegato agenti del
Dipartimento del Tesoro per compiti che esulavano dalle loro competenze; e gli
uomini del Servizio Segreto furono definiti “spie”, di cui il governo si
serviva contro gli avversari politici. Questa diffusa ostilità determinò il
rigetto della richiesta, avanzata, nel 1907, dal nuovo procuratore generale,
Charles Joseph Bonaparte [1851-1921], il quale aveva
proposto al Congresso la costituzione di un “corpo esecutivo” alle dirette
dipendenze del suo dipartimento, sottolineando che “un Dipartimento di Giustizia
senza alcuna forza di polizia permanente, in qualche forma sotto il suo
controllo, senza dubbio, non può dirsi pienamente attrezzato per svolgere il
suo compito”.
William
Howard Taft [1857-1930]
Charles Joseph Bonaparte [1851-1921]
Al contrario,
il 27 maggio 1908, il Congresso approvò uno speciale emendamento per proibire a
qualunque organo esecutivo, Dipartimento di Giustizia compreso, di servirsi
degli agenti segreti del Dipartimento del Tesoro.
Ciò irritò,
profondamente, il presidente Roosevelt, le cui buone intenzioni nel condurre a
fondo la campagna moralizzatrice erano assolutamente fuori discussione.
“La
proibizione di impiegare gli uomini del Servizio Segreto arrecherà un grave
danno al Governo, nel suo sforzo di prevenire e punire i crimini.”,
dichiarò al
presidente del Senato, quando ancora sperava in un rigetto della decisione, già
presa dall’altro ramo del Parlamento. E aggiunse:
“Non vi è
protesta più stupida di questa contro le “spie”. Soltanto i criminali hanno
ragione di temere i nostri agenti!”
Intanto il New
York Times scriveva:
“I deputati
sono divenuti, per quanto contro volere, gli strumenti dei “ladri di terre”. I
senatori sono, debitamente, ammoniti…”
Ciò
nonostante, anche il Senato passò l’emendamento. Poco dopo, come attesta negli
archivi dell’FBI un rapporto
dell’agente speciale James G. Findlay [https://www2.fbi.gov/libref/historic/history/historic_doc/findlay.htm],
“il
presidente Roosevelt diede a Bonaparte istruzioni di creare in seno al
Dipartimento di Giustizia un servizio investigativo sottoposto a nessun altro
Dipartimento o ufficio, che dovrà riferire a nessun altro che al procuratore
generale”.
Charles
Joseph Bonaparte sottopose il progetto organizzativo a Theodore Roosevelt, il
26 luglio 1908; ma, intanto, il mandato presidenziale stava per scadere e tutto
lasciava prevedere che le prossime elezioni determinassero un completo
capovolgimento politico, con l’avvento al potere dei repubblicani; di
conseguenza, nessuno si preoccupò seriamente di realizzare l’iniziativa.
Dalle urne
risultò vincitore William Howard Taft, che nominò, subito, un nuovo procuratore
generale, nella persona di George Woodward Wickersham [1858-1936]. Questi, il 4
marzo 1909, appena dodici giorni dopo l’insediamento di Taft alla Casa Bianca,
costituì il Bureau of Investigation,
apportando solo lievi modifiche allo schema approntato dal suo predecessore.
Purtroppo i
primi quattro anni del nuovo organismo furono dedicati, pressochè
esclusivamente, all’inchiesta sul caso Mitchell-Williamson, cui ho,
precedentemente, accennato. Conseguentemente, la polizia federale iniziò a
funzionare, sia pure ancora molto stentatamente; ma già con i criteri organizzativi
che avrebbero portato ai suoi successivi trionfi, soltanto il primo gennaio del
1913, quando Alexander Bruce Bielaski fu chiamato a sostituire Stanley
Wellington Finch [1872-1951], il primo direttore del Bureau.
George
Woodward Wickersham [1858-1936]
Nel 1914,
gli Stati Uniti attraversano uno dei momenti più critici della loro storia.
Nel
travaglio della nascente civiltà industriale, i delitti si moltiplicano e,
indice molto più preoccupante, continua ad aumentare la percentuale di quelli
rimasti impuniti.
Alexander Bruce
Bielaski, ora, ha ai suoi ordini 219 agenti, con i quali si sforza di
combattere i “pesci grossi” della criminalità; ma, in molte città, gli sceriffi
e i procuratori distrettuali, eletti con l’appoggio di maneggioni senza scrupoli,
non si preoccupano neppure di nascondere la loro lucrosa connivenza con i
dittatori locali del dollaro.
In zone
sempre più vaste l’unica legge rispettata è quella imposta dalla rivoltella e
dal ricatto.
A Colorado
Springs, l’agente federale Joe Ball – come sempre negli archivi e nei rapporti
dell’FBI, il nome è convenzionale –
si presenta al procuratore distrettuale, a conclusione di pazienti indagini, svolte
tra ostacoli e omertà di ogni genere.
“Chiedo un
mandato di arresto per John Bullwater.”,
dice.
“Perché
mai?”,
replica il
magistrato, fingendosi stupito.
“Johnny è
una persona rispettabilissima. La nostra città gli deve molto.”
“È il
mandante di una serie di omicidi, che sono serviti ad assicurargli la proprietà
di molte miniere della zona.”,
replica il G-Man.
“Siete in
errore: si è, sempre, trattato di disgrazie.”,
assicura il
procuratore.
“Ho
indagato io personalmente su tutti quegli incidenti.”
“Non vi
sembra alquanto strana questa catena di disgrazie, che, in poco più di due anni,
hanno colpito, esclusivamente, i più ricchi minatori?
E non vi
sembra strano che ogni disgrazia abbia portato altro oro e altro argento
proprio alle casse di Bullwater?”
“Ogni caso
è stato accuratamente indagato da me e dal nostro sceriffo.”,
assicura,
ancora, il procuratore distrettuale.
“E sempre è
stato accertato che i decessi sono avvenuti per cause puramente accidentali. I
minatori sono esposti più di ogni altro ai rischi di incidenti sul lavoro.
Quanto a Bullwater, è stato molto generoso, offrendo alle vedove e agli orfani
dei minatori morti di rilevare le miniere abbandonate…”
“Ha
costretto le vedove a vendere per quattro soldi proprietà di immenso valore,
per il timore di altri omicidi!”,
tuona Joe
Ball.
“Moderate
le vostre parole!”,
intima il
magistrato.
“Non avete
alcuna prova per sostenere le vostre infami accuse.”
“Invece io ho
le prove!”,
replica, con
veemenza, l’agente federale.
“Ho
rinvenuto il corpo di Dan O’Bryant, il minatore che, tre settimane fa, è
affogato “per disgrazia” nel Sawatch River. È crivellato di proiettili. E un
testimone dichiara di avere visto gli uomini di Bullwater ammazzarlo, prima di
buttarlo nel fiume.”
“Quando è
così, devo consultarmi con lo sceriffo. Attendetemi qui.”,
conclude il
procuratore distrettuale.
Torna, poco
dopo, con il capo della polizia locale, al quale Joe Ball comunica la sua
recente scoperta.
Improvvisamente,
il procuratore ordina:
“Sceriffo,
perquisite questo uomo!”
Due sgherri
immobilizzano l’agente.
Lo sceriffo
gli trova in tasca una pistola.
“Dunque
andavate in giro armato!”,
grida il
procuratore distrettuale.
“Voi che vi
permettete di accusare gli innocenti, avete commesso una gravissima infrazione
al regolamento, che vi impedisce di essere armato in servizio; e avete commesso
un reato contro la legge di questo Stato, che punisce severamente il porto di armi
abusivo.”
“Questa
pistola non è mia. Non ne ho mai avuta una!”,
protesta
Joe Ball.
“Mi è stata
messa in tasca dai vostri uomini!”
“Vi
dichiaro in arresto!”,
tronca il
procuratore distrettuale. Prima che il G-Man
venga rimesso in libertà, viene fatto sparire il cadavere di Dan O’Bryant,
l’unica prova contro Bullwater e viene fatto egualmente “sparire” l’unico testimone.
Ma a Joe
Ball è andata bene!
Nel Dakota,
un altro G-Man muore in circostanze
molto sospette; il referto del medico legale, tuttavia, parla di collasso
cardiaco. Bielaski non riesce neppure a ottenere dal procuratore distrettuale
il permesso di fare eseguire una autopsia. In seguito allo sconcertante
episodio, il capo dell’FBI affronta,
con molta decisione, James Clark McReynolds [1862-1946], il quale ha sostituito
Wickersham come procuratore generale.
“Un organo
di polizia speciale, alle dirette dipendenze del Governo,”,
protesta il
direttore del Bureau,
“non può
limitarsi a dare la caccia ai ladri di galline!
La nostra
esistenza può essere, realmente, utile, solo se ci verranno dati poteri
eccezionali, che ci consentano di colpire senza timori i grossi criminali,
soprattutto quando siano protetti dai politicanti…”
James
Clark McReynolds [1862-1946]
Thomas
Watt Gregory [1861-1933]
È proprio questo che molti non vogliono.
Quando
McReynolds, stanco di essere pungolato dal suo collaboratore, si decide
controvoglia a presentare al Senato alcuni emendamenti allo statuto del Bureau of Investigation, viene,
immediatamente, “silurato” e sostituito con Thomas Watt Gregory [1861-1933].
Alexander
Bruce Bielaski riesce a conservare il posto solo grazie alla protezione del
presidente Taft.
Sono ancora
lontanissimi i tempi in cui dalle imprese dell’FBI i soggettisti di Hollywood ricaveranno una fonte inesauribile
di ispirazione…
Daniela Zini
Copyright © 17 maggio 2016 ADZ
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