BUON TERZO TWITTERANNIVERSARIO A ME!
QUARTO POTERE
“Lei si
preoccupa di quello che pensa la gente? Su questo argomento posso illuminarla,
io sono un’autorità su come far pensare la gente. Ci sono i giornali per
esempio, sono proprietario di molti giornali da New York a San Francisco.”
ai
Miei Magnifici Quattro Amici Invisibili
“Here’s to the crazy ones. The misfits. The rebels.
The troublemakers. The round pegs in the square holes. The ones who see things
differently. They’re not fond of rules. And they have no respect for the status
quo. You can quote them, disagree with them, glorify or vilify them. About the
only thing you can’t do is ignore them. Because they change things. They push
the human race forward. And while some may see them as the crazy ones, we see
genius. Because the people who are crazy enough to think they can change the
world, are the ones who do.”
“Dedicato ai folli, agli
anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane, a tutti coloro che vedono le cose
in modo diverso. Costoro non amano le regole, specie i regolamenti, e non hanno
alcun rispetto per lo status quo. Potete citarli, essere in disaccordo con
loro, potete glorificarli o denigrarli, ma l’unica cosa che non potrete mai
fare è ignorarli, perché riescono a cambiare le cose, perché fanno progredire l’Umanità.
E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio. Perché
solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo
cambiano davvero.”
Steve Jobs
DOV’E’ IL QUARTO POTERE?
LA VERITA’
E’ COSI’ INEFFABILE?
di
Daniela Zini
La
pratica del giornalismo è oscurata dallo sviluppo dei media, nati dalle nuove
tecnologie.
È il
risvolto di Internet!
Vi sono
tante fonti di notizie quanti individui nei social
networks e più informatori “dilettanti” che professionisti dell’informazione.
I veri
giornalisti debbono rivedere al rialzo i criteri di esigenza della loro professione.
Il
giornalista non milita che per valori universali.
Il
giornalista è un attore, ma non è un attore politico, nel senso comune del
termine, quantunque il suo ruolo sociale abbia un impatto politico.
I
valori che formano lo zoccolo della sua azione professionale sono i valori dell’universalismo:
la Pace, la Democrazia, la Libertà, la Solidarietà, la Eguaglianza, la Educazione,
i Diritti dell’Uomo, i Diritti della Donna, i Diritti dell’Infanzia, il Progresso
Sociale.
I suoi
scritti contribuiscono, dunque, alle trasformazioni sociali e politiche.
Se
milita in nome di questi valori universali, il giornalista non milita, mai, in
favore di interessi categoriali, settoriali, individuali o partigiani.
Se non
cade nella confusione dei generi, se abdica alla sua libertà, compromette il
credito di fiducia che i lettori attribuiscono alla sua indipendenza.
Se
aderisce a un partito – ciò che è un suo diritto di cittadino – deve rifiutarsi
di mettere la sua funzione al servizio del suo partito e, in particolare, di ritrasmettere,
nel suo giornale, le prese di posizione del suo partito.
Le carte editoriali impediscono
le derive, escludendo, in particolare, che un giornalista, membro di un partito
o di un sindacato, possa intervenire nel trattamento di informazioni relative a
quel partito o a quel sindacato.
Il giornalismo di opinione non fa
eccezione alla regola.
Accade,
sovente, che il giornalista, “visionario” militante dei valori umanisti e
individualisti, sia portato a opporsi apertamente a poteri che li beffano o li
negano.
E paghi,
a volte, con la vita!
Ma,
anche nei casi di tensioni estreme, non saprebbe liberarsi dalle regole
deontologiche che gli impongono di rispettare tutte le convinzioni, tutte le confessioni,
tutte le forme di espressione, anche quelle che pretendono di imbavagliare le
sue.
Il
giornalista militante, legato ai valori universali mette, in particolare, un
punto di onore a dare la parola ai suoi avversari e a dare prova di tolleranza
nei loro riguardi, nelle sue analisi e nei suoi commenti.
“La
moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto.”
Il
giornalista – come Pompea Silla, la seconda moglie di Cesare, ripudiata per una
semplice “chiacchiera” di adulterio – deve essere al di sopra di ogni sospetto.
La sua
responsabilità sociale esige che la sua integrità professionale non possa essere
messa in dubbio. Questa esigenza include non solo il rispetto della vita
privata, il rispetto della dignità degli individui, il rifiuto di metodi
sleali, il rifiuto di promuovere interessi privati contrari all’interesse
generale, ma anche il divieto di ogni connivenza e di ogni compromesso.
È mettere
in alto la barra del giornalismo professionista, ma è ciò che fa la grandezza
della professione giornalistica, almeno secondo Seneca:
“Magnam
fortunam magnus animus decet, qui, nisi se ad illam extulit et altior stetit,
illam quoque infra ad terram deducit; magni autem animi proprium est placidum
esse tranquillumque et iniurias atque offensiones superne despicere.”
“A una grande fortuna si addice un animo
grande, poiché, se l’animo non si innalza fino ad essa e non la domina, scende
al contrario al di sotto di essa. Ma è proprio di un animo grande essere sereno
e tranquillo e guardare dall’alto le ingiurie e le offese.”
- PARTE TERZA -
THEODORE ROOSEVELT LI CHIAMÒ
“RASTRELLATORI DI LETAME”
MA DIVENNERO IL QUARTO
POTERE
Alcune famose “penne”
contribuirono, divulgando quelle che “Teddy” definiva “pubbliche vergogne”, a
far varare salutari riforme sociali, che portarono un ventata di Giustizia in
certi settori della vita pubblica della Nazione, inquinati dalla malavita. La
stampa doveva, poi, assumere una importanza sempre maggiore per gli americani,
fino a ricoprire un ruolo prestigioso.
Lettera
aperta ai giornalisti italiani
Lettera aperta di un cane sciolto in nome
della libertà di abbaiare
di Daniela Zini
Dov’è il Quarto Potere? La Verità è così
ineffabile?
Parte
Prima
di Daniela Zini
Dov’è il Quarto Potere? La Verità è così
ineffabile?
Parte
Seconda
di Daniela Zini
Quando
la menzogna si traveste da Verità
La
fabbrica della verità mediatica tra menzogna e verosimiglianza
di
Daniela Zini
“La libertà di stampa è garantita solo
a coloro che ne possiedono una.”
Abbott Joseph Liebling
Si
racconta che Theodore Roosevelt sedesse, una mattina del 1906, davanti a una
abbondante colazione a base di salsicce, sfogliando un libro fresco di stampa.
L’autore,
Upton Sinclair, non era tra i suoi preferiti e il presidente girava
svogliatamente, le pagine del suo romanzo, The
Jungle [La Giungla], che descriveva le malsane condizioni di lavoro, cui
erano costretti gli operai dei macelli di Chicago, quando, la sua attenzione si
soffermò sul seguente passo:
“Vi erano
vecchi salumi spediti indietro dall’Europa dove nessuno li aveva voluti: erano
bianchi e ammuffiti e venivano adulterati con acido borico e glicerina e poi
riconfezionati per essere venduti in America. In altri locali, vi era anche
carne ammassata in grandi mucchi: dai tetti pieni di fessure gocciolava acqua e
i topi vi correvano sopra. Questi locali erano molto bui e non si riusciva a
vedere bene ma se uno avesse passato una mano su quei mucchi di carne l’avrebbe
ritratta piena di sterco di topi. In effetti, i roditori erano un vero
problema, così gli operai mettevano in giro dei pezzi di pane avvelenato per
ammazzarli. I topi morivano e topi, carne e pane avvelenato andavano a finire
nello stesso impasto.”
Upton Sinclair
“Teddy”,
che era rimasto relativamente indifferente quando aveva letto dell’alta
percentuale di tubercolosi tra gli addetti alla lavorazione delle carni; questa volta, esplose in una ben diversa
reazione. Gridando di essere stato avvelenato, balzò in piedi e si affrettò a
rovesciare il contenuto del piatto fuori della finestra.
Da
allora, sembra che Roosevelt fosse divenuto vegetariano.
La
storia, di per sé abbastanza divertente, ha, tuttavia, un epilogo serio.
Quello
stesso anno, il presidente appoggiò e fece votare al Congresso, una legge
contro le sofisticazioni alimentari, il Pure
Food and Drug Act, provvedimento che, del resto, i consumatori, allarmati dalle
analisi effettuate da alcuni coscienziosi funzionari, richiedevano, già, da alcuni
anni.
L’episodio
serve anche a rammentare che, in massima parte, le riforme che si riuscirono a
realizzare durante la presidenza di Theodore Roosevelt furono dovute proprio al
lavoro di uomini come Upton Sinclair, giornalisti e scrittori, che lo stesso
Roosevelt, in un momento di collera, aveva bollato di muckrakers [https://www.youtube.com/watch?v=y9_FbPwfUe4],
rastrellatori di letame.
L’epiteto derivava da The pilgrim’s
progress from this world to that which
is to come [Il viaggio del pellegrino da questo mondo a quello venturo] di John
Bunyan – che narra di un tale così innamorato del proprio rastrello da
rifiutare la corona dei cieli pur di poter continuare a rimestare con il
rastrello tra le immonde cose terrene – e stava a indicare tutta quella
generazione di ricercatori e divulgatori di “pubbliche vergogne”, che
costituivano la promessa mancata dell’America ai suoi cittadini.
In un
Paese, che, nei trenta anni compresi tra il 1870 e il 1900, aveva visto
raddoppiare la sua popolazione, con un proporzionale e favoloso aumento della
ricchezza nazionale, proliferavano piaghe indegne di una Nazione civile:
vergognoso sfruttamento del lavoro delle donne e dei bambini, moltiplicarsi
degli slums urbani – veri e propri
serbatoi di piaghe sociali, quali la delinquenza, l’alcolismo e la prostituzione,
e di malattie fisiche, quali la tubercolosi, la sifilide e la malaria – corruzione
del sistema politico, larga percentuale di analfabetismo, concentrazione di
immense ricchezze nelle mani di pochi; quando ampi settori del Paese erano,
letteralmente, alla fame, mentre le schiere dei reietti e dei diseredati divenivano,
ogni giorno, più folte.
Già fin
dagli ultimi decenni del secolo XIX, economisti, quali come Henry George e
Thornstein Veblen avevano, aspramente, criticato le anomalie del sistema
economico americano.
Jacob Riis
Intorno
al 1890, Jacob Riis, un immigrato danese che, quale redattore di cronaca nera
del giornale The Sun, aveva acquisito
una eccezionale competenza in materia, aveva iniziato la pubblicazione di una
serie di impressionanti pamphlets, nei quali veniva, realisticamente,
descritto l’inferno senza aria, senza luce e senza acqua delle case nei ghetti
degli immigrati.
Joseph Lincoln Steffens
Ma fu
soltanto verso gli albori del nuovo secolo, quando riviste a grande diffusione,
quali McClure’s, Cosmopolitan, Collier’s, Everybody’s, iniziarono ad accettare
nelle loro pagine questi argomenti, che lo scandalo di una America molto meno
idilliaca e molto meno democratica di quanto ciascuno avesse immaginato,
esplose, creando eccezionale sensazione.
La
serie più violenta di articoli fu scritta da colui che può venire considerato
la figura dominante tra i muckrakers,
Joseph Lincoln Steffens e che, più tardi, fu raccolta sotto il titolo di The shame of the cities [La vergogna delle
città]. Steffens, prendendo in esame città come Pittsburgh, Filadelfia,
Minneapolis, St. Louis, ne metteva in luce la costante corruzione, che
caratterizzava le loro amministrazioni municipali: ovunque la violazione della
legge era elevata a sistema per la corruzione degli uomini politici; per l’appalto
dei pubblici servizi, ridotto a una burla in quanto deciso in anticipo sulla base
di criteri estranei alle gare; per l’inerzia della polizia, complice in
prospere attività illegali.
David Graham Phillips
Ben
oltre la critica della politica locale osò spingersi David Graham Phillips nel
suo The Treason of Senate [Il Tradimento
del Senato] nel quale venivano documentati i legami di dipendenza tra i
senatori e i loro padroni appartenenti al mondo del business.
Nel
1904, Ida Tarbell usciva con una inchiesta, History
of the Standard Oil Company [Storia della Standard Oil Company], che
rendeva di pubblico dominio i sistemi monopolistici usati dalla compagnia per
schiacciare la concorrenza, per guadagnarsi il favore dei politici, per
procedere allo sfruttamento più spietato delle risorse naturali.
Ida Tarbell
Ida Tarbell
Anche
nel settore della narrativa ben presto le voci dei romanzieri si unirono a
quelle dei muckrakers, che scrivevano
sulla stampa periodica o esprimendosi in pamphlets.
The Titan [Il Titano] e The Financier [Il Finanziere] di
Theodore Dreiser raccontano i torbidi intrighi dai quali traevano vita e
potenza le grandi società; The Octopus [La
Piovra] e The Pit [La Fossa] di
Frank Norris, attaccarono la speculazione sui grani e i sistemi delle grandi compagnie
ferroviarie. A essi si aggiunge il citato e ancora più violento libro di Upton
Sinclair.
Jack
London, che, già, aveva acquistato notorietà con alcuni romanzi a sfondo
sociale, può essere annoverato nella schiera dei muckrakers per il suo The
Road [La Strada], che descrive la vita dei bums americani.
Nel contempo,
innumerevoli società umanitarie erano sorte per alleviare con attività di
beneficenza le sofferenze inflitte a quella enorme maggioranza di persone che,
in un contesto sociale così ingiusto, il destino aveva dichiarato perdenti. Il
periodo del loro massimo splendore fu, peraltro, relativamente breve, perché
non ci volle molto a capire che la strada giusta per rimediare alle piaghe
sociali era quella politica delle riforme e non quella del tozzo di pane da
gettare a pochi infelici.
Molte
furono le richieste espresse in questo senso dal movimento progressista: dalla
modificazione del sistema di elezioni dei senatori, che doveva avvenire in modo
diretto e non più tramite il filtro corruttore di parlamenti statali, all’istituzione
del suffragio femminile, dalla necessità di controlli governativi in materia di
banche, ferrovie, pubbliche finanze, disciplina del lavoro, al rafforzamento
dei poteri dell’esecutivo.
Larga parte
di queste istanze era anacronistica e, del resto, troppo grande era il potere
dei “maneggioni della politica”, per vedersi sottratti i punti che erano la
chiave di volta del loro malgoverno.
Nondimeno,
in alcuni Stati, retti da governatori progressisti, il New Jersey con Woodrow
Wilson e il Wisconsin con Robert La Follette, passarono provvedimenti molto
avanzati come la destituzione dei funzionari dimostratisi indegni delle cariche
cui erano stati eletti, il voto segreto, la regolamentazione delle tariffe
ferroviarie, la revisione del sistema di tassazione.
Riforme
di grande importanza fecero il loro ingresso anche nell’ambito della politica
municipale. Nel tentativo di separare l’elemento corruttore della politica dai
problemi dell’amministrazione cittadina, ebbero vita speciali commissioni
preposte ai singoli settori. Si introdusse, inoltre, la figura del city manager ovvero una sorta di
responsabile tecnico della buona gestione municipale. In tale modo, anche in
città tradizionalmente corrotte, quali New York, problemi come il risanamento
degli slums vennero, per qualche
tempo, seriamente affrontati.
Diversamente
andarono le cose nell’ambito della politica nazionale. Ad assumere il ruolo di
difensore della corrente progressista, della quale i muckrakers erano stati gli organi propulsori non vennero chiamati
uomini di sicura fede riformista, quali un William Bryan o un Robert La
Follette.
Quando,
infatti, nel 1901, il presidente William McKinley
venne assassinato da un anarchico originario della Polonia, Leon Czolgosz,
salì, alla Casa Bianca, il vicepresidente Theodore Roosevelt, sostanzialmente
un conservatore, come ampiamente dimostrato dai suoi precedenti politici; ma
che circostanze esterne costrinsero ad assumere l’abito del progressista.
Gli
elementi che premettero in tale senso furono: il fatto che il movimento
progressista, nei primi anni del 1900, era, ormai, divenuto una corrente cui
era molto difficile opporsi; il desiderio di tagliare la strada al movimento
socialista che, in quegli anni, andava organizzandosi e, soprattutto, il timore
di quanto potesse uscire dalle penne dei muckrakers,
se appena gliene fosse stata data l’occasione.
Così,
con molte parole e pochi fatti, Theodore Roosevelt convinse il popolo che era
lui il campione del progressismo.
In
realtà, tutta la sua politica interna può essere definita un capolavoro di
equilibrismo tra la vocazione di lasciare le cose immutate e il desiderio di
sollevare la massima attenzione intorno a problemi, la cui risoluzione, ben
raramente, lo vide seriamente impegnato.
Disse
di voler combattere in una occasione i trusts
ed effettivamente in una occasione fece ingoiare una amara pillola a J. P.
Morgan,
ma si volle, poi, perdere in sottigliezze sulla quantità di bene e di male in
essi contenuta.
E il
risultato fu che, allo scadere della sua seconda presidenza, i trusts erano più floridi che mai.
Nel
campo del lavoro Roosevelt svolse una attività di mediazione durante il grande
sciopero dei lavoratori del carbone del 1903; ma perse, poi, una infinità di
altre occasioni e, certamente, nessuno più di lui mostrò più aperta ostilità
per uomini, quali William Bryan ed Eugene Debs che erano gli unici seriamente
interessati a risolvere, in termini di equità, le questioni tra capitale e
maestranze.
Durante
il suo secondo mandato presidenziale Theodore Roosevelt volse la sua attenzione
ai superprofitti delle compagnie ferroviarie e, nel 1906, si ebbe lo Hepburn Act, che autorizzava una
commissione a fissare delle tariffe massime. Il provvedimento, peraltro, era
monco e non tanto perché alle compagnie era stato dato di appellarsi di fronte
alle corti federali, quanto perché la commissione non aveva il potere di indagare
quali fossero i costi reali delle compagnie.
Theodore Roosevelt
Più
sincera fu la preoccupazione del presidente – “quel maledetto cow boy” come ebbe a chiamarlo Mark
Hanna – circa la messa in opera di meccanismi legislativi, che proteggessero il
Paese dal dissennato sfruttamento, di cui era stato vittima negli ultimi
lustri.
Leggi
contro il disboscamento istituzionale dei parchi nazionali, programmi per la
regolazione del corso dei fiumi e per l’irrigazione, furono misure varate
efficientemente in breve volgere di tempo.
A ben
guardare, dunque, il progressismo, durante l’era di Theodore Roosevelt, non
fece dei sensazionali passi in avanti.
Vero è,
tuttavia, che, durante la sua presidenza, fu tenuta viva nella Nazione la
coscienza di problemi che il destino avrebbe consegnato a un altro Roosevelt da
risolvere.
Imponente,
in ogni modo, il contributo prestato dai muckrakers,
con i quali doveva prendere il via una tradizione di grande giornalismo, che
non avrebbe trovato paragone in nessun altro Paese.
Fu l’inizio
di quello che qualcuno, attribuendo un senso diverso all’espressione, avrebbe,
più tardi, chiamato il Quarto Potere.
Daniela Zini
Copyright © 17 novembre 2014 ADZ

Nel 61 a.C.,
Pompea Silla fu protagonista di un clamoroso scandalo. La notte tra il 4 e il 5
dicembre, si celebravano le feste dedicate alla Bona Dea, interdette agli uomini e officiate da sole donne. I riti, quell’anno, si svolgevano
in casa di Cesare, pontefice massimo e neoeletto pretore.
Clodio,
che era amante della moglie di Cesare, Pompea Silla, decise di intrufolarsi
nella casa.
Cicerone
ne parla, così, in una lettera all’amico Tito Pomponio Attico:
“Publio Clodio, figlio di
Appio, è stato colto in casa di Gaio Cesare, mentre si compiva il sacrificio
rituale per il popolo, in abito da donna, ed è riuscito a fuggire via solo per
l’aiuto di una servetta; grave scandalo; sono sicuro che anche tu ne sarai
indignato.”
L’indomani,
in tutta Roma, non si parlava d’altro. Cesare ripudiò Pompea. Tuttavia nel
processo che seguì, citato come testimone rifiutò di deporre contro Clodio, e
si dichiarò convinto della innocenza della moglie. Quando i giudici gli
chiesero perché avesse, allora, divorziato, rispose con la celebre frase,
divenuta poi proverbiale:
“La moglie di Cesare deve essere al di
sopra di ogni sospetto.”
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