“He who controls the past controls the future.
He who controls the present controls the past.”
George Orwell, 1984
SOCIETA’ SEGRETE
“In politics, nothing happens by
accident. If it happens, you can bet it was planned that way.”
Franklin D. Roosevelt
Hier
était le début, demain sera peut-être la fin, mais quelque part entre les deux,
nous sommes devenus les meilleurs Amis du monde...
a Lazzaro DIA
per ringraziarlo di aver segnato la
mia Vita e di averne condiviso un breve tratto…
Vi sono giorni memorabili nelle nostre Vite, in
cui incontriamo Esseri che ci fanno fremere come ci fa fremere una bella
Poesia, Esseri la cui stretta di mano è colma di tacita comprensione e il cui
carattere generoso dona alle nostre Anime, desiderose e impazienti, una Pace
meravigliosa.
Forse, non le abbiamo, mai, viste, prima, e non
attraverseranno, mai più, il sentiero della nostra Vita; ma l’influsso della
loro Umanità è un balsamo versato sul nostro malcontento, di cui sentiamo l’effetto
benefico, come l’oceano avverte la corrente di montagna, che dà refrigerio alle
sue acque salate.
Lazzaro DIA è stato questo, nella mia Vita, e
molto di più…
Noi non possiamo raccontare il momento preciso in
cui si forma una Amicizia… ma, sapere che vi sia un Essere, da qualche parte,
dal quale ci sentiamo compresi, nonostante le distanze o i pensieri inespressi,
fa di questa Terra un giardino.
Oggi, mi sono trovata a ripensare ai
rami secchi che, in Passato, ho asportato dalla mia Vita, quelle persone che
credevo punti saldissimi, ma con le quali il rapporto si era, irrimediabilmente,
incrinato. Con alcune vi è stato un dialogo finale, con altre si è,
semplicemente, abbassata la saracinesca e sono rimaste là, nel limbo delle
amarezze irrisolte.
A volte la paura di rinnovarci ci porta a mantenere rapporti, che logorano: non
riusciamo a stabilire la priorità tra tutte le cose
che dobbiamo fare, siamo frastornati e ansiosi, svuotati, alle prese con una
sequela incessante di problemi. Quando il Mondo esterno con le sue richieste e
i suoi doveri ci schiaccia è perché non siamo capaci di scremare gli impegni
essenziali, fonte di benessere, da quelli superflui o incongrui: andiamo avanti
per inerzia, senza la spinta di desideri vivi, pulsanti.
Apprendiamo
dal contadino, che pota i rami secchi e danneggiati, sfoltisce la chioma nella
parte centrale per favorire il soleggiamento dei rami più interni e la loro
fioritura.
“La Natura non fa nulla di inutile.”,
diceva
Aristotele.
L’Uomo,
al contrario, ha la capacità di costruire e conservare sovrastrutture superflue
e dannose: che si tratti di relazioni esaurite, di abitudini sbagliate o di
modi di pensare inattuali, tende a non disfarsi di nulla perché ha paura di
rinnovarsi.
Non
nego che sia difficile, tremendamente difficile, cancellare dal proprio
quotidiano Qualcuno o qualcosa che ne faceva parte in modo totalizzante e
assoluto.
Sintetizzando
brutalmente, sfrondiamo la nostra Vita dai rami secchi... è questa la strategia
per uscire dalle secche...
Prendere delle decisioni non è mai
facile, perché decidere vuol dire prendere una strada ben precisa,
abbandonandone un’altra.
Ogni strada porta in una direzione e,
molte volte, tornare indietro non è quasi mai possibile, quindi, prendere una
decisione vuole dire avere delle conseguenze, scegliersi, indirettamente, una
serie di avvenimenti e fare in modo che altri non si avverino mai.
A volte, non è facile decidere, perché
le decisioni non riguardano solo noi, ma anche una parte di Esseri che ci
circondano. Le conseguenze che noi decidiamo, indirettamente, di subire,
coinvolgono, inevitabilmente, anche il Destino di chi ci è vicino, per un
motivo o per l’altro. Allora, le decisioni si fanno più complicate, le
variabili in gioco sono molte di più e propendere per una scelta o per l’altra
diventa più complicato. Più il tempo passa e più le variabili in gioco
aumentano, piccoli dettagli ci vengono in mente e divengono importanti, aspetti
che, subito, non appaiono evidenti si affacciano nella nostra mente, rendendo
il tutto sempre più confusionario.
Tuttavia, bisogna decidere, la Vita è
fatta di decisioni.
Io sono convinta che ognuno di noi
sappia, esattamente, che decisione arriverà a prendere, perché il subconscio ci
conosce meglio di quanto la nostra mente ci sembra suggerire, ma il complicato
è fare emergere questa consapevolezza. Non a caso, chi ci ascolta sa,
perfettamente, quale sarà la decisione che noi prenderemo, anche quando siamo
nel pallone e la decisione sembra un monte da scalare.
Metabolizzare quella consapevolezza
interiore, che agli Altri sembra pressoché evidente, non è dilettevole!
Pensare poco porta a conclusioni
affrettate, molto spesso, avventate e rischiose; ma pensare troppo è
altrettanto inutile, perché ci si tormenta per nulla, senza arrivare a una
decisione migliore.
Io credo che l’importante sia
scegliere sulla base della motivazione che si ritiene la più giusta, essere
convinti delle proprie scelte e proseguire la propria strada, a testa alta,
prendendo, sempre, le cose migliori da ogni piccolo aspetto. Non è ciò che
facciamo, di tanto in tanto, che conta, ma le nostre azioni costanti.
E qual è la causa di qualsiasi azione?
Che cosa, alla fine, determina ciò che
diveniamo e dove andiamo nella Vita?
La risposta è: le nostre decisioni.
Io non torno indietro.
Ho fatto due conti. Non di soldi, ma
di tempo, di anni, l’unica risorsa critica. Ho pensato che la mia Vita mi
piace, esattamente, così com’è. Di tanto in tanto, mi volgo indietro, guardo a
quello che ero. Con tenerezza, ma senza rimpianti.
Mi vedo giovane donna con i miei
sogni, le mie sconfitte…
Ma va bene così.
Il Domani non mi spaventa.
L’Oggi neppure.
Ho lasciato dietro tutte le paure.
Quello che penso, dico, faccio non ha
alcun particolare valore o significato.
Morirò comunque.
Ma, proprio qui, è la forza della
Vita.
Ha significato proprio perché non ha scopo.
Vi sono Volti e Voci che mi ispirano,
mi sfidano, mi pungolano e mi spronano a elevarmi per avanzare nella Vita e
contribuire a far avanzare le cose.
Sono un sano contagio, una magnifica
emulazione, talvolta, una intimidazione… tanto sono nobili.
Sono dei preziosi “carburanti”, quando
la speranza negli Uomini o nelle circostanze potrebbe indurmi ad alzare le
braccia.
Alcuni di questi Volti e di queste
Voci hanno versato il proprio sangue per aprirci la via alla Libertà, alla
Democrazia e alla Giustizia.
A loro dico: Grazie!
In nome del loro sacrificio, noi
dovremmo avere la ricerca della Libertà, della Democrazia e della Giustizia
dell’Uomo esigente.
Io ammiro questi Spiriti brillanti e
impegnati che, con il loro esempio, partecipano a strutturare il mio modo di
pensare il Mondo.
Possano questi Spiriti essere dei
venti sotto le vele delle nostre lotte per accedere alla Libertà, alla
Democrazia e alla Giustizia nel nostro Paese.
Chi si appresterà a prendere il
testimone?
La nostra generazione può scegliere di
scuotere il giogo, che la mantiene nella serena rassegnazione o nella
ammirazione passiva, per decidere di divenire protagonista della propria
Storia.
Vi sono tante terre di Libertà, di
Democrazia e di Giustizia da conquistare o da riprendere.
A
chi sostiene che tanto non cambierà mai nulla, vorrei dire:
“Il problema siamo tutti noi che non
facciamo nulla.
Stabiliamo una presenza costante o avremo
una costante violenza.
Meglio provare e non riuscire che non
riuscire a provare!”
Noi abbiamo una responsabilità di
fronte alle generazioni che ci hanno preceduto e di fronte alle generazioni che
ci seguiranno.
D
Quando io ti amavo tanto da poterne morire…
Daniela Zini
Quando io ti amavo tanto da poterne
morire,
Quando io mettevo l’impeto e l’arrendevolezza sotto il tuo tetto,
Quando io gioivo senza sorridere e soffrivo senza piangere,
Perché intorno a te regnasse un clima costante.
Quando la mia calma, ostinata e fiera insensatezza
Ti confondeva con l’intero universo
Al punto che il mio spirito ti vedeva scuro o chiaro
Al mutare delle stagioni.
Io sentivo già che dovevo guarire
Dalla scelta dolceamara del tuo essere senza fuoco.
Io spiavo l’istante in cui si vede esaurire
L’incanto sacro di aver avuto quel che si vuole.
Io volevo vedere tutto, conoscere tutto.
Non solo sognarlo!
Sapere tutto degli esseri e delle cose,
Della terra e degli astri.
Sapere la causa di questo amore
Che mi fa sola al mondo.
Tu non avevi la mia sete, tu non avevi la mia fame,
Ma io, io lavoravo al desiderio di dimenticare!
Io non cesserò di contemplare su di te,
Che mi fosti più maestoso di un tempio e di un dio,
L’arbitrario declino del sole dei tuoi occhi
E
la placida fine della mia fede!
“Non troverai mai la
Verità, se non sei disposto
ad accettare anche ciò che non ti aspettavi.”
Eraclito
Vogliamo davvero la Verità?
Ci interessa sul serio sapere cosa accadde,
chi tirò i fili, chi mosse i burattini, chi mise la cartapesta a nascondere il
profilo di uomini e cose?
Vogliamo bere l’amaro calice fino in fondo?
La Verità è un sentiero impervio e
imprevedibile.
Non procede in linea retta.
Sono di più le curve.
Non è visibile all’inizio della strada.
Si staglia dopo l’ultimo tornante.
E sorprende.
La Verità è contraria al pregiudizio, alle
tesi precostituite, alla versione dei fatti, cucinata per i ciechi.
Non si presta alla partigianeria.
Non gioca nella squadra di nessuno.
Non si lascia brandire come un’arma.
A livelli differenti, cozza come un pugno
sullo stomaco.
La Verità presuppone la pazienza dell’ascolto,
il sapere ricominciare quando il masso dei dati fin là raccolti torna a valle e
devi ricominciare di nuovo.
E’ una fatica di Sisifo.
E’ ingrata.
Non premia.
Bevi.
Bevi questo calice fino in fondo.
Arriva
alla fine e accetta.
Accetta
te stesso, accetta il dolore, accetta gli Altri.
Solo
alla fine sarai libero.
Libero
dal dolore, libero per sentire ancora la vita che ti scorre nelle vene.
Urla.
Strepita.
Liberati.
E se
non puoi, pensa di potere.
Vi è un momento in cui le parole si
consumano e il silenzio inizia a raccontare...
Crediamo, veramente, di conoscere tutto ciò
che accade sul nostro pianeta?
Gli uomini che occupano uno spazio di primo
piano sulla scena politica dispongono di un potere reale?
Il mondo degli affari è viziato da società segrete?
Molti sostengono che potenti personaggi
esercitino un controllo assoluto su tutti gli eventi mondiali.
È il problema essenziale che tratteremo in
questa inchiesta, dove si dimostra, attraverso una serie di esempi
stupefacenti, che la sorte delle Nazioni dipende, sovente, dalla volontà di
gruppi di uomini che non hanno alcuna funzione ufficiale. Si tratta di società
segrete, veri cripto-governi, che reggono la nostra sorte a insaputa di tutti.
La loro esistenza non può essere avvertita che quando un fatto imprevisto li
obbliga ad agire alla luce del sole.
Circa due anni e
mezzo prima del suo assassinio, il 27 aprile 1961, John Fitzgerald Kennedy
tenne ai rappresentanti della stampa, riuniti presso l’Hotel Waldorf-Astoria di
New York, un discorso incentrato sulla analisi e sul pericolo della Guerra
Fredda [http://www.youtube.com/watch?v=PFMbYifiXI4],
tuttavia, alcuni suoi passaggi, sembrano alludere, non alla sfida acerrima
contro l’Unione Sovietica, ma a qualcosa di altro di più oscuro e di più
pericoloso.
“[…] La
stessa parola “segretezza” è ripugnante in una società libera e aperta; e noi, come popolo, siamo intimamente e
storicamente contrari alle società
segrete, ai giuramenti segreti e
alle procedure segrete. Abbiamo deciso,
molto tempo fa, che i pericoli di
un eccessivo e ingiustificato occultamento di fatti pertinenti
superino, di gran lunga, i pericoli che
vengono invocati a giustificazione. […]”
La storia è costellata di enigmi intorno
alle società segrete, che si tratti di potenti organizzazioni economiche,
sociali, politiche o di clubs privati
riservati a una élite.
Pressoché tutte le civiltà sono state, in
un’epoca o in un’altra, il rifugio di queste società dell’ombra: riunioni
dietro porte chiuse, divieto di rivelare ciò che si dice all’esterno, sospetto
a ogni gesto o parola di uno dei membri...
Il mistero di cui le società segrete si
ammantano non è avulso dall’interesse che suscitano appena se ne parli.
E se si cercasse di squarciare questo
mistero?
Che ne è della sedicente influenza delle
società segrete attraverso la storia?
Sono state, sono così potenti come si
pretende?
Vi è motivo di temerle?
Tante domande alla partenza di una
appassionante incursione nel cuore delle società segrete più celebri della
storia.
In questo reportage, solidamente documentato, penetreremo all’interno delle
società segrete più conosciute, riassumendone la storia, descrivendone i riti
di iniziazione, i segni e il linguaggio, che sono loro propri.
Se le voci che circondano le società
segrete, rispondono, in parte, alla sete di meraviglioso, che ci viene dalla
nostra infanzia, contribuiscono, troppo sovente, ad assumere un pensiero non
critico, che degenera, facilmente, in paranoia.
Dedicare una inchiesta alle società segrete
in un mondo, in cui la cultura del segreto [di Stato, scientifico, nucleare,
ecc.] viene, incessantemente, a ricordarci che, in quanto semplici cittadini,
noi restiamo fuori degli arcani di una conoscenza superiore, cui solo gli “eletti”
[capi di Stato, militari, diplomatici, spie, ecc.] possono accedere, mi è
sembrata una idea luminosa e illuminante.
Non sono, certo, la prima, tuttavia, i miei
predecessori sono stati, sovente, credibili, ma discutibili, perché, occorrendo
un inizio di cui non si aveva prova, questo è stato, sovente, su un continente
scomparso o su un disco volante.
Una delle numerose tesi ricorrenti sulle
società segrete è che
le suddette società segrete funzionino come le nostre società “reali”, di cui
rappresentano dei doppi sovversivi, critici, inaccessibili, ma anche necessari
per controbilanciare l’ordine mondiale, governato dai poteri temporali,
sensatamente trasparenti, perché eletti secondo principi democratici.
Scrive Georg Simmel:
“Le
società segrete sono, per così dire, delle repliche in miniatura del “mondo
ufficiale”, al quale resistono e si oppongono.”
L’inizio delle società segrete si perde,
necessariamente, nella rarefazione delle tracce di un passato sempre più
lontano: Grecia, Egitto dei faraoni neri, Sumer e, forse, oltre…
“In
principio era il buio.”
Sarebbe stato più comodo iniziare dalla
fine, giacché le società stesse sono alla ricerca delle loro origini.
“Poi fu
la luce.”
Allorché si ergeva nella direzione da cui
veniva la luce, l’uomo era in contatto con il divino e le difficoltà materiali
della vita, che, forse, formavano, allora, una unica cosa, ma che sarebbero
divenute, con la nascita del verbo e il risveglio dell’uomo alla parola, i
due poli della sua esistenza.
Nessuno sa quanto tempo l’uomo sia vissuto
al riparo del dubbio neppure se ne sia stato, mai, abitato.
Ma che la sua prima parola sia stata un
inno alla natura o una espressione del suo bisogno alimentare… ben presto, l’uomo
iniziò a tentare di condividere le proprie idee con i suoi fratelli e, ben
presto, i più sottili di questi concetti richiesero più che parole: la
trasmissione dell’esperienza e, dunque, l’iniziazione.
È possibile che le prime iniziazioni
abbiano riguardato il modo di sopravvivere nella divina natura circostante. O
che abbiano trasmesso la certezza di un mondo spirituale nascosto dietro la
materia.
Nell’Antichità, i culti misterici si
svilupparono e conobbero un grande favore nel mondo greco-romano.
In seguito, il Medioevo, teatro di guerre
di religione, dette vita ai misteriosi Templari.
Nel Rinascimento, le società segrete
assunsero tutta un’altra dimensione con il leggendario ordine dei Rosa-Croce e,
soprattutto, con la nascita della Massoneria.
Il XIX secolo segna, ancora, un’altra
svolta: la proliferazione delle società segrete, che hanno, come corollario,
legittimazioni, prestiti sempre più diversificati e una attrattiva per la
razionalità scientifica.
Il periodo contemporaneo è segnato da una
moltiplicazione di società segrete, in particolare nell’era di Internet, con
possibili derive settarie a apocalittiche.
La storia delle società segrete ha una
importante influenza sulla storia. Esiste una versione ufficiale della storia,
versione detta esoterica, che tiene conto delle società segrete, perché sono,
sovente, uscite dall’ombra.
Ma ciò che questa storia non dice sono le
ragioni segrete dei loro interventi.
E, per comprenderle, è alla storia
esoterica che bisognerà interessarsi.
Queste società segrete sono, profondamente,
legate alla magia, a partire dai documenti più antichi in nostro possesso.
Vi farò la grazia, tuttavia, di farne ricadere
la colpa, come è, sovente, il caso, sui massoni, sui sionisti o su Satana.
Andrò, subito, al cuore del problema,
esprimendomi senza ambage, senza temere di affrontare i sistemi criminali,
basati sul controllo, il potere e la manipolazione.
Un nuovo modo di considerare il mondo in
cui viviamo!
SOCIETA’
SEGRETE
I.
LA CAMORRA
1.
LA CAMORRA
di
Daniela Zini
SOCIETA’
SEGRETE
I.
LA CAMORRA
2. L’ANNORATA
SOCIETA’
di
Daniela Zini
SOCIETA’
SEGRETE
II.
LA MAFIA
1.
LA MAFIA AL CUORE DELLO STATO
di
Daniela Zini
SOCIETA’
SEGRETE
II.
LA MAFIA
2.
LA ONORATA SOCIETA’
di
Daniela Zini
SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
3. LA QUADRUPLICE INTESA
Stato-Mafia-Vaticano Massoneria - Parte Prima -
di Daniela Zini
SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
3. LA QUADRUPLICE INTESA
Stato-Mafia-Vaticano Massoneria - Parte Seconda -
di Daniela Zini
SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
4. MAMMA COMANDA PICCIOTTO VA E FA’
di Daniela Zini
SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
5. TURIDDU 65 ANNI DOPO
di Daniela Zini
SOCIETA’ SEGRETE
III. I SAMURAI
1. LA SPADA E IL CILIEGIO
di Daniela Zini
SOCIETA’ SEGRETE
III. I SAMURAI
2. IL LEGGENDARIO SACRIFICIO
DEI 47 RONIN IN ONORE DEL DAIMYO DI AKO, ASANO TAKUMI NO KAMI NAGANORI
di Daniela Zini
SOCIETA’ SEGRETE
III. I SAMURAI
3. CHANOYU, L’ARTE DEL TE’
di Daniela Zini
SOCIETA’ SEGRETE
IV. L’ORDINE SOVRANO DEI CAVALIERI DEL TEMPIO
1. IL PROCESSO DEI CAVALIERI DEL TEMPIO
di Daniela Zini
I.
LA CAMORRA
“Quando aprimmo la cisterna il liquido bruciava
ogni cosa, al contatto le plastiche friggevano. Abbiamo scaricato milioni di
tonnellate di rifiuti
tossici ovunque possibile. Non ho mai messo un telo di
protezione, non ho mai
avuto un controllo, pagavamo
e vincevamo sempre noi”.
Gaetano
Vassallo,
ministro
dei rifiuti del clan dei
Casalesi
Federico
Bisceglia [1971-2015]
In memoria
del magistrato Federico Bisceglia, impegnato nella lotta alle Ecomafie in
Campania e in Lombardia e morto, a 43 anni, in un incidente – dalle dinamiche,
ancora, poco chiare – avvenuto, la notte tra il 28 febbraio e il primo marzo di
questo anno, sull’autostrada A3, Napoli-Salerno-Reggio Calabria, nei pressi
dello svincolo tra Frascinetto e Castrovillari.
3. I RIFIUTI TOSSICI IN CAMPANIA
Prima Parte: Il Triangolo della Morte
di
Daniela Zini
Il Triangolo della Morte indica un’area facente amministrativamente
parte della Campania, compresa tra i comuni di Acerra, Nola e Marigliano,
divenuta famosa per il forte aumento della mortalità per cancro della
Popolazione locale, principalmente dovuto allo smaltimento illegale di rifiuti
tossici da parte della Camorra, provenienti, primariamente, dalle regioni
industrializzate del Nord-Italia. La definizione viene utilizzata, nell’agosto
2004, dalla prestigiosa rivista scientifica internazionale, The Lancet Oncology, che
pubblicò uno studio di Kathryn Senior e Alfredo Mazza dal titolo: Italian “Triangle
of death” linked to waste crisis [Il “Triangolo della morte” italiano
collegato alla crisi dei rifiuti].
“E
dopo tutto fu diverso.”
John Shirley
“La città di Leonia rifà se stessa tutti i
giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava
con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti,
estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi,
ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello di apparecchio.
Sul marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i
resti della Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi
di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori,
materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti,
servizi di porcellana: più che dalle cose che vengono fabbricate vendute
comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono
buttate via per far posto alle nuove.
[…] Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai
nessuno se lo chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città
s’espande, e gli immondezzai devono arretrare più lontano; l’imponenza del
gettito aumenta e le cataste s’innalzano, si stratificano, si dispiegano su un
perimetro più vasto. Aggiungi che più l’arte di Leonia eccelle nel fabbricare
nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo,
alle intemperie, a fermentazioni e combustioni. È una fortezza di rimasugli
indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro
di montagne.
[…] Più ne cresce l’altezza, più aumenta il pericolo delle
frane: basta un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli
dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d’anni
trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano
tentava di respingere, mescolato con quello delle città limitrofe, finalmente
monde: un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa, cancellerà ogni
traccia della metropoli sempre vestita a nuovo.
Italo Calvino, Le
città invisibili
Dall’avvento
mediatico del terrorismo islamico il crimine organizzato è meno represso. Per
un classico effetto di vaso comunicante, l’11 settembre 2001, ha segnato l’avvento
di una crisi criminale importante.
Da
allora, infatti, le polizie dei Paesi sviluppati sono monopolizzate dalla lotta
contro la corrente jihadista globale.
A ogni
attentato, cospicue forze di polizia, che sono impegnate, particolarmente, nella
criminalità organizzata debbono braccare, all’istante e a lungo, i terroristi.
Ora,
una legge criminologica mostra che, appena una attività criminale non è più
repressa, tende a esplodere.
Negli
Stati Uniti, dal 2001, la polizia bracca i terroristi, in tutto il Paese; la
pressione sulle gangs americane si è,
dunque, immediatamente, allentata. Vi è stato, di conseguenza, dal 2002, un
aumento importante degli omicidi dovuti alle street gangs.
In
Europa, secondo Europol, il numero di bande organizzate, operanti in seno all’Unione
Europea, era passato da 3mila, nel 2001, a 4mila, nel 2002, vale a dire più di
40mila criminali in totale.
Vi si apprendeva
che, tra il 2009 e il 2011, era stato
realizzato uno studio dal comando dell’US
Navy di Napoli, al fine di valutare il rischio corso dai soldati americani,
che andavano a vivere in Campania, a causa della presenza di rifiuti tossici [http://www.cnic.navy.mil/content/dam/cnic/cnreurafswa/pdfs/Water/CARNEY%20PARK_CCR%20CY13_FINAL_21MAY14_Italian%20translationJUN2014.pdf,
http://www.lettera43.it/cronaca/rapporto-usa-l-acqua-campana-e-inquinata_43675113623.htm].
Vi era, fortemente, raccomandato di non utilizzare che acqua minerale per bere,
cucinare e anche lavarsi i denti, perché l’acqua era contaminata e vi si trovavano
numerose tracce di sostanze cancerogene, di cui tracce di uranio.
Gli americani
ne concludevano:
“Nessuna
zona è sicura, neppure il centro di Napoli.”
Naturalmente
le autorità pubbliche locali non avrebbero trovato utile avvertire la
popolazione su questo genere di problemi…
“Bevi
Napoli e poi muori? Per Carmine Schiavone, cugino del padrino Sandokan, la Camorra
ha sistematicamente inquinato le falde acquifere della Campania con milioni di
tonnellate di rifiuti tossici: “Non solo Casal di Principe, ma anche i paesi
vicini sono stati avvelenati. Gli abitanti rischiano di morire tutti di cancro,
avranno forse vent’anni di vita.”
La profezia
del boss pentito risale al 1997 ed è rimasta segreta fino a due settimane fa.
Nelle cittadine tra Napoli e Caserta da mesi la gente scende in piazza,
denunciando una vera epidemia di tumori. La chiamano “Terra dei Fuochi”, perché
i roghi di immondizia non si fermano mai.
Ma le
parole nefaste del camorrista trovano più di un riscontro nell’unico grande
studio esistente sugli effetti delle discariche clandestine. Lo ha realizzato
il comando dell’Us Navy di Napoli: oltre due anni di esami, costati 30 milioni
di dollari, per capire quanto fosse pericoloso vivere in Campania per i
militari americani e le loro famiglie. Dal 2009 al 2011 è stata scandagliata un’area
di oltre mille chilometri quadrati, analizzando aria, acqua, terreno di 543
case e dieci basi statunitensi alla ricerca di 214 sostanze nocive. Le
conclusioni sono state rese note da diversi mesi e sostanzialmente ignorate
dalle autorità italiane. L’analisi del dossier completo di questa ricerca però
offre la sola diagnosi completa dei mali, con risultati sconvolgenti.” [http://espresso.repubblica.it/inchieste/2013/11/13/news/bevi-napoli-e-poi-muori-1.141086]
La
gestione dei rifiuti è una delle attività più lucrative della Camorra.
‘O
sistema – nome che le è dato dai suoi membri in Campania – accorda,
regolarmente, la sua economia. Si adegua alla evoluzione capitalistica generale
e si orienta verso settori, in cui il valore può, ancora, crearsi alquanto facilmente.
Al di là delle attività “tradizionali” – traffico di armi, estorsione,
contrabbando, traffico di droghe o, anche, traffico di esseri umani, anche se
questo mercato, particolarmente lucrativo è, soprattutto, gestito dalla ‘Ndrangheta
– sono, sovente, i mercati “pubblici” a essere ambiti.
Così, a
seguito del terremoto del 1980, che fece circa 3mila morti, le imprese
camorriste presero danaro per ricostruire, ma i lavori non si completarono mai.
Il
meccanismo in se stesso è abbastanza semplice in questo genere di attribuzione
di affari pubblici ad attori privati.
Si
tratta di un bell’esempio di fusione economico-statale.
La
gestione delle catastrofi, che si fa con carattere di urgenza, è un settore
economico molto apprezzato. Dal punto di vista capitalistico, infatti, una
catastrofe può essere una buona notizia, in quanto offre opportunità lucrative.
Verso
la fine degli anni 1980, su un fondale poroso tra amministrazione locale e Camorra,
la gestione dei rifiuti diviene un affare più che privato.
Vi è carenza
di discariche pubbliche – non sono abbastanza redditizie – e la quantità di
rifiuti prodotta è in crescita.
È, così,
che alcune imprese, create ad hoc, sono
subentrate. E nella gestione del territorio il legale e l’illegale non si
oppongono, la frontiera tra economia ufficiale ed economia sotterranea è, sempre,
molto vaga: il capitale resta capitale.
Carmine
Schiavone, ex-boss pentito del clan dei Casalesi, in una audizione davanti
alla commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti [seduta del
martedì 7 ottobre 1997], ricorda come il suo clan avesse il “dominio” su più lavori “pubblici”, quali la
costruzione di autostrade. Diverse imprese legali, legate al sistema,
lavoravano, in Campania, per conto di Italstrade S.p.A., una oppportunità per
gestire i terreni in tutta libertà.
Nello
studio Italian “Triangle of death”
linked to waste crisis [Il “Triangolo della morte” italiano
collegato alla crisi dei rifiuti], realizzato da Alfredo Mazza
sulla mortalità per cancro e le malformazioni genetiche, tra il 1994 e il 2002,
e pubblicato, nel 2004, dalla prestigiosa rivista scientifica internazionale The Lancet Oncology [http://www.thelancet.com/pdfs/journals/lanonc/PIIS147020450401561X.pdf,
http://www.epicentro.iss.it/focus/discariche/Rifiuti.pdf,
https://www.youtube.com/watch?v=RWdeCsD8m0s,
https://www.youtube.com/watch?v=JlgqXLVjZ1s,
http://www.nytimes.com/2014/01/30/world/europe/beneath-southern-italy-a-deadly-mob-legacy.html?hp&_r=1,
“Sebbene
le cifre dei casi di cancro e dei rispettivi decessi rilevati nell’area intorno
a Nola siano generalmente inferiori rispetto all’Italia settentrionale, la
tendenza all’aumento della mortalità sta colmando questa differenza di cifre.
Inoltre è davvero preoccupante l’aumento dei decessi per cancro al fegato,
leucemia e linfoma.”
Causa
principale, ovvia ma non troppo, di questo incremento di mortalità è lo
smaltimento illegale di rifiuti tossici, in modo particolare quelli provenienti
dal Nord Italia, da parte della Camorra, come affermato, anche, dall’ex-presidente
della Repubblica Giorgio Napolitano, a Napoli, il 4 giugno 2008, durante la cerimonia di intitolazione di una sala dell’Università
degli Studi Suor Orsola Benincasa al cronista ucciso dalla Camorra, nel 1985,
Giancarlo Siani:
Una ulteriore
conferma per attribuire la provenienza dei rifiuti tossici al Nord Italia era arrivata
dalla presenza nelle campagne campane e nel sangue degli abitanti delle zone
colpite, di alte percentuali di PBC,
prodotti da industrie assenti in Campania.
Il
Tempo: Dottore, esattamente che cosa è successo dopo?
Alfredo
Mazza: La prima reazione è stata che la mia città, Nola, è stata tappezzata di
manifesti che dicevano che era tutto falso.
Il
Tempo: E chi li aveva messi?
Alfredo
Mazza: Il sindaco, che tra l’altro è anche medico. Ma lo capisco.
Il
Tempo: Come? Lo capisce?
Alfredo
Mazza: Aveva paura che scattasse il panico.
Il
Tempo: E poi?
Alfredo
Mazza: E poi è iniziata una campagna sistematica. Le ASL locali hanno
continuato a dire che lo studio era sbagliato, era troppo approssimativo, pur
essendo dati del Registro Tumori.
Il
Tempo: E la Regione?
Alfredo
Mazza: Nulla, ha sempre fatto finta di nulla.
Il
Tempo: Ora però ha avviato un monitoraggio sull’uomo.
Alfredo
Mazza: Ha detto bene: ora. Nel 2007, tre anni dopo. Tra l’altro è un
monitoraggio che coinvolge un campione ridotto, appena 700 persone, non si
arriva a mille. Ma quello che è più grave è altro.
Il
Tempo: E cosa?
Alfredo
Mazza: È la totale incompetenza che alberga in ogni struttura regionale. Penso
all’Arpac, l’azienda per la protezione ambientale campana, latitante nel
problema rifiuti e disastro ambientale. E così è stato in ogni altra
istituzione di controllo sanitario ed ambientale, dove ci hanno messo sempre e
soltanto amici, amici degli amici, amici degli amici degli amici.
Il
Tempo: Ma chi li ha messi?
Alfredo
Mazza: Chi governa.
Il
Tempo: Vabbè, non esageri.
Alfredo
Mazza: E va bene, esagero. Se non erano amici erano parenti. Comunque
incompetenti.
Il
Tempo: E la magistratura?
Alfredo
Mazza: Niente nemmeno loro. O meglio, la Procura di Nola non ha mai
sottovalutato. Le altre sì. Consideri che abbiamo presentato denunce in tutte
le Procure della Campania. Niente.
Il
Tempo: Nessuno si è mosso?
Alfredo
Mazza: La Camorra sì. Ha continuato a sversare di tutto. E la notte bruciavano.
Colonne di fumo che vedevano tutti. Chiamavamo la polizia, i carabinieri.
Niente, non si muoveva nessuno. E nelle analisi ha cominciato a venire fuori di
tutto. Forse hanno buttato lì dentro anche i fanghi di Seveso, abbiamo trovato
anche lo xilene nelle falde acquifere, anche scorie nucleari probabilmente
sanitarie. Un disastro.
Il
Tempo: E lei ha continuato a denunciare?
Alfredo
Mazza: Non ci siamo mai fermati. Nel frattempo – sa, sono un ricercatore e con
la ricerca in Italia non si mangia – ho vinto il concorso in ospedale poi ho
fatto domanda di comando in Protezione Civile. Mi avevano accettato per il mio
curriculum, e mi hanno detto che mi prendevano e mi assegnavano al loro
dipartimento sanitario. Poi all’ultimo stadio mi hanno chiamato e mi hanno
detto testualmente: “Ma lei è l’autore del “Triangolo della Morte”? Non sa
quanti soldi abbiamo speso per far fronte alle sue tesi.”
Il
Tempo: Risultato?
Alfredo
Mazza: Non ho abiurato. Sono di Nola, il paese di Giordano Bruno, e gliel’ho
detto: piuttosto mi faccio bruciare vivo.
Il
Tempo: Poi è arrivato lo studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che confermava
tutto.
Alfredo
Mazza: Esatto, anche Bertolaso poi ha confermato. Guardi, adesso comincia l’altra
grande emergenza, quella sanitaria. Si abbatterà sulle casse sanitarie
regionali una valanga immensa di persone che chiederanno le cure per le malattie
dovute al disastro rifiuti. E sarà una nuova catastrofe.
Incalzato
dall’interesse della stampa estera, nel 2007, il Dipartimento della Protezione
Civile commissionava all’Istituto Superiore di Sanità [ISS], al Consiglio
Nazionale delle Ricerche [CNR], e all’Organizzazione Mondiale della Sanità
[OMS] una ricerca, che veniva condotta con la collaborazione dell’Osservatorio
Epidemiologico Regionale della Campania e dell’Agenzia Regionale per l’Ambiente
della Campania [ARPAC] [http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_dossier.wp?contentId=DOS14955,
http://www.iss.it/binary/itef/cont/view.1190959279.htm].
I dati offerti dall’organizzazione dell’ONU erano, quantomeno, sconcertanti e
sconfortanti: nell’area compresa tra Villa Literno, Marcianise e Acerra,
l’incremento di malattie oncologiche, nell’ultimo decennio, era tanto evidente
quanto preoccupante. Lo studio, infatti, che aveva applicato elaborate tecniche
statistiche, comprensive di una stima degli intervalli di confidenza associati
a ciascuna stima di mortalità, grazie a una analisi bayesiana, evidenziava che “i
risultati mostrano che in alcuni comuni vi è un’incidenza consistentemente e
significativamente maggiore per alcune delle malattie prese in considerazione,
incluso il cancro dello stomaco, dei reni, del fegato e del polmone e per
malformazioni congenite uro-genitali e cardiovascolari. Il maggior numero di
casi è stato rilevato in un’area compresa tra le due province, dove si è a
conoscenza di molte attività di trattamento illegale di rifiuti.”
Le due
province erano, ovviamente, quella napoletana e quella casertana. Se non
bastasse, i numeri parlavano ancora più chiaro: la mortalità nei comuni più
esposti era del 9% in più rispetto alla media per gli uomini e del 12% per le
donne. Alla luce della suddivisione in cinque fasce del territorio analizzato,
per un totale di 196 comuni, si era verificato un costante trend positivo, nel passaggio da una fascia a impatto ambientale
minore a quella superiore, nella manifestazione dei carcinomi: per il tumore
del polmone (2% uomini), del fegato (4% uomini, 7% donne), dello stomaco (5%
uomini). All’aumento della mortalità, inoltre, andava aggiunto anche
l’incremento delle malformazioni congenite, come si legge sul sito dell’OMS:
nelle zone più esposte, dell’83%, per quanto riguarda il sistema nervoso centrale
e l’apparato urogenitale, e il 98% per quanto concerne il palato-labbra.
La
relazione evidenziava, altresì, che “le
zone a maggior rischio identificate negli studi sulla mortalità e sulle
malformazioni congenite in buona parte si sovrappongono e sono interessate
dalla presenza di discariche e siti di abbandono incontrollato di rifiuti”,
ma sosteneva che “è comunque
difficile stabilire se la corrispondenza dei numerosi eccessi con la possibile
occorrenza di esposizioni legate allo smaltimento dei rifiuti sia di natura
causale e, nel caso, stimare l’entità di tale impatto” [http://www.salutepubblica.net/news/166-il-tringolo-della-morte.html].
La
presenza di pericolose sostanze inquinanti, come la diossina, in particolare
nella zona di Acerra, è comunque accertata, oltre che per le
attività illecite di smaltimento dei rifiuti, anche in relazione all’attività
della Montefibre S.p.A.,
e, già, nel 1987, un decreto del Ministero dell’Ambiente definiva Acerra territorio
“ad elevato rischio di crisi
ambientale” .
Nel
1997, Carmine Schiavone aveva pronunciato la sentenza senza appello, che
avrebbe dovuto riguardare tanti centri del Casertano:
“Gli
abitanti di paesi come Casapesenna, Casal di Principe, Castel Volturno e così
via, avranno, forse, venti anni di vita.”
Ma la
combustione e l’interramento dei rifiuti non sono le uniche attività di questo settore.
Il rifiuto è di per sé una merce. È riciclabile sotto forma di compost agricolo
o diretto verso i cementifici. È, allora, sovente, reintegrato nel circuito
economico attraverso “veri falsi” documenti.
Questo
trattamento dei rifiuti tossici si fa a prezzi molto competitivi, la Camorra se
ne sbarazza a un costo minimo.
Schiavone
racconta, a esempio, come all’inizio degli anni 1990, delle discariche, come
quelle gestite dalla Di.fra.Bi. o da Cipriano Chianese, pagassero il clan Calabresi per seppellire rifuti
tossici nelle discariche illegali e guadagnare, così, in rendimento: un gioco
economico che, in qualche modo, “accontenta tutti”.
Anche la
gestione dei rifiuti è, dunque, una merce!
La
parte astratta di questo servizio-merce,
vale a dire il suo valore, in quanto quantità di lavoro socialmente necessaria
incorporata a questo servizio, domina la parte concreta, l’utilità, l’efficacia,
di questo servizio. Parimenti, quando i rifiuti divengono, a loro volta, merce. Se la Camorra ha prezzi competitivi, è ben
evidente che la quantità di lavoro
che il servizio richiede è minimo, in altri termini, si sbarazza, molto
velocemente, dei rifiuti, al fine di trarne il massimo profitto.
Dal
punto di vista capitalistico, il rifiuto è come il danaro: non ha odore!
In una
società in crisi permanente di sovrapproduzione, che vi è di meglio per creare
valore del settore dei rifiuti?
Dal
testo dell’audizione dell’ottobre del 1997 [http://www.camera.it/_bicamerali/rifiuti/resoconti/Documento_unificato.pdf],
che l’ex-affiliato dei Casalesi ha tenuto davanti alla commissione parlamentare
d’inchiesta sul ciclo di rifiuti, desecretato, il 31 ottobre 2013, dalla
presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, emerge una fitta rete di relazioni, a
cavallo tra il 1980 e il 1990.
“Si
tratta della prima volta che la Presidenza della Camera – senza che questo sia
richiesto dalla magistratura – decide di rendere pubblico un documento formato
da commissioni di inchiesta che in passato lo avevano classificato come
segreto.”,
aveva
sottolineato la presidente della Camera dei Deputati.
“Lo
dovevamo in primo luogo ai cittadini delle zone della Campania devastate da una
catastrofe ambientale cosciente e premeditata: cittadini che oggi hanno tutto
il diritto di conoscere quali crimini siano stati commessi ai loro danni per
poter esigere la riparazione possibile.”
Ma chi
secretò gli interessi della filiera o gli interessi dei cittadini?
“All of the information in his possession, Schiavone
says, was provided to national anti-Mafia officials in the 1990s. The name of a
Milan-based intermediary firm, which played a key role in the north-south waste
transfer, was also included in the documents. “But that part of my testimony was
classified by King Giorgio,” he says.
King Giorgio? “Napolitano, who was interior minister
at the time.” And who was behind the company in Milan? “One of the partners,” Schiavone says,
“was PB -- Paolo Berlusconi.” Paolo Berlusconi is the vice president of the
football club AC Milan and brother of four-time Prime Minister Silvio
Berlusconi. Was he really a participant in the Mafia’s trade in toxic and
nuclear waste? Schiavone has publicly said as much, but Paolo Berlusconi calls
his claims a “fairy tale.”
Sono
parole che mettono i brividi quelle pronunciate da Carmine Schiavone. Della
proposta di interrare fusti tossici, ne aveva parlato con il cugino boss e con un altro esponente di spicco
dei Casalesi, che erano nell’affare “con dei signori di Arezzo, Firenze, Milano e
Genova”.
“Chianese, aveva introdotto Cerci in circoli
culturali ad Arezzo, a Milano, dove aveva fatto le sue amicizie. Attraverso
questi circoli culturali entrò automaticamente in un gruppo di persone che
gestiva rifiuti tossici. Lavorava a Milano, Arezzo, Pistoia, Massa Carrara,
Santa Croce sull’Arno, La Spezia. Cerci si trovava molto bene con un signore
che si chiama Licio Gelli.”
Ma quale tipo rifiuti tossici venivano interrati?
In
quelle discariche, arrivava di tutto.
“Fusti contenenti tuolene, ovvero rifiuti provenienti da fabbriche della
zona di Arezzo: si trattava di residui di pitture. Vi erano molte sostanze
tossiche, come fanghi industriali, rifiuti di lavorazione di tutte le specie,
tra cui quelli provenienti da concerie. Vi era inoltre qualche camion che
veniva dall’estero”.
Carmine Schiavone
I
rifiuti tossici e nocivi venivano occultati attraverso imprese del clan in scavi abusivi e la gestione di
questo business riusciva a garantire
al clan “un compenso di 7-10 milioni [di
lire, ndr] l’ettaro”.
Secondo
le sue conoscenze i rifiuti radioattivi “dovrebbero trovarsi in un terreno sul quale
oggi ci sono le bufale e su cui non cresce più erba”.
Fanghi
nucleari arrivavano su camions
provenienti dalla Germania.
“Dalla
Germania arrivavano camion che trasportavano fanghi nuclerari.”
Ma i camions venivano anche dall’Italia:
“Da
Massa Carrara, da Genova, da La Spezia, da Milano. So che da quest’ultima
c’erano delle grosse società che raccoglievano rifiuti, anche dall’estero,
rifiuti che poi venivano smaltiti al Sud.”
Nel business del traffico dei rifiuti,
secondo il pentito, erano coinvolte Mafia, ‘Ndrangheta e Sacra Corona Unita.
L’ex-collaboratore di giustizia aveva fatto anche i nomi di persone che
avrebbero gestito, insieme a esponenti della Camorra, il traffico di rifiuti
verso le province di Lecce e Brindisi.
“Il
sistema era unico, dalla Sicilia alla Campania. Anche in Calabria era lo
stesso: non è che lì rifiutassero i soldi. Che poteva importargli, a loro, se
la gente moriva o non moriva? L’essenziale era il business. So per esperienza
che, fino al 1991, per la zona del Sud, fino alle Puglie, era tutta infettata
da rifiuti tossici provenienti da tutta Europa e non solo dall’Italia.”
La
Camorra non era, dunque, la sola ad avere avuto la presenza di spirito
economico di fare danaro sui rifiuti, come riferiva Schiavone. Un sistema che
sarebbe stato adottato “nel Salento, ma sentivo anche parlare delle
province di Bari e di Foggia”.
“Tutti
clans, tutte le associazioni criminali, erano interessate, perché si parla di decine
di miliardi l’anno. Di più, vi sono coloro che gestiscono questa attività e vi
trovano i loro vantaggi personali al di fuori del clan; tutti lo facevano,
anche io mi occupavo di terreni e avevo un vantaggio perché acquistavo io
stesso i terreni.”
E l’ex-boss aveva fornito l’elenco completo
degli automezzi – con targhe e nomi degli autisti – utilizzati tra la fine
degli 1980 e l’inizio degli anni 1990.
In
relazione alle navi dei veleni, Schiavone riferisce:
“So che
c’erano navi e che qualcuna è stata affondata nel Mediterraneo, però sono
ricordi sbiaditi. Ricordo che una volta si parlò di una nave che portava
rifiuti speciali e tossici, scorie nucleari, che venne affondata sulle coste
tra la Calabria e la Campania.”
Schiavone
è morto, lo scorso 22 febbraio, proprio mentre stava collaborando con la DDA di
Reggio Calabria e stava fornendo informazioni precise sullo smaltimento dei
rifiuti tossici in Calabria.
Il rifiuto
è un valore che si valorizza anche se ciò rientra nel campo di una tendenza
suicidaria.
Per la
Camorra o qualsiasi altra multinazionale, più vi sono dei rifiuti, meglio è.
I
rifiuti partecipano alla crescita economica.
È la
legge del business, ‘o sistema,
l’individualismo a oltranza.
Un
meccanismo più che una struttura, perché si tratta di una moltitudine di clans sprofondati in un regime di
concorrenza.
Per comprendere
il tipo di individuo che ciò può produrre, la dice lunga una discussione
registrata tra due camorristi a proposito del seppellimento di rifiuti. Uno dei
due sembra preoccupato all’idea di inquinare falde freatiche, che contaminano,
così, l’acqua del rubinetto, ma l’altro replica:
“E che cazzo te ne fotte, tu bevi l’acqua
minerale!”,
Ecco ciò
che è l’uomo nuovo condizionato dall’economia.
È,
anche, contro ciò che Schiavone dice di essersi rivoltato:
“Se mi
sono pentito, è perché a un dato momento io ho preso coscienza che alcune
persone, come i miei cugini, non avevano più alcun valore. Erano divenuti
bestie che non vivevano che per il danaro.”
Da che parte sto, forse, lo avrete
compreso.
E da
che parte dovremmo stare, sarebbe logico.
Ma il DIO-DANARO
rende ciechi i suoi sudditi.
Ciò è
il risultato di una società economica sottosviluppata, nella quale tutto è
entrato nella sfera dei beni economici. È, così, che l’ultima fase del
progresso del capitalismo appare sotto la forma ben visibile, seppure incappucciata,
della Grande Faucheuse.
La colpa
è, oggi, sovente, rigettata su alcuni, come se il processo di accumulazione
materiale nella società capitalistica fosse una semplice pulsione antropologica e
transtorica: gli onesti, da un lato e i disonesti, dall’altro.
Non sto,
in alcun modo, difendendo la Camorra; ma non si deve dimenticare che la Camorra
non è, infine, che una parte integrante di una società consumistica, che
produce i rifiuti in massa e si trova nella incapacità di gestire questa sovrapproduzione
in un modo “valido”, ciò che sarebbe difficilmente redditizio e non
risponderebbe più alle esigenze essenziali di questa società basata sulla
logica del valore.
E, del
resto, se i rifiuti non fossero più eliminati, reintegrati o interrati nel Sud
della penisola italiana, lo sarebbero altrove.
Come il
capitale, i flussi di rifiuti tossici non hanno frontiere.
Di più,
per rompere con le visioni idealiste del ruolo dello Stato in questo processo,
è sufficiente ricordare che da capitalisti rigorosi, gli uomini della Camorra hanno
affiancato le istituzioni.
Schiavone
presentava del resto il clan dei
Casalesi come un “clan di Stato”:
“Ma tu
puoi pensare che possa esistere Mafia, Camorra, ‘Ndrangheta senza l’appoggio
delle istituzioni dello Stato? Rimarrebbero banditi di strada. […] In tutti i
106 comuni della provincia di Caserta noi facevamo i sindaci, di qualunque
colore fossero. Io, ad sempio, avevo la zona di Villa Literno e sono stato io a
far eleggere il sindaco. Prima il sindaco era socialista e noi eravamo
democristiani. […] A Frignano avevamo i comunisti. A noi importava non il
colore, ma solo i soldi. “.
Si
dilunga in un aneddoto, il collaboratore di giustizia:
“A
Villa Literno ho “fatto” io stesso l’Amministrazione comunale. Abbiamo
candidato determinate persone al di fuori di ogni sospetto […] ed abbiamo fatto
eleggere dieci consiglieri.”
Sedici
anni più tardi, ricordando che vi sono alcuni uomini giusti in seno alle
istituzioni, non tiene un discorso più ottimistico sul mondo politico:
“Si potrebbe anche distruggere la Mafia ma non
distruggeranno mai niente perché ci sono forti interessi a livello economico, a
livello elettorale; noi spostavamo tra i 70.000 e gli 80.000 voti che
stabiliscono la differenza tra un partito ed un altro.”
I rifiuti non sono che i residui di un moulin à
discipline che si riempie senza tregua di grano.
La
critica più diffusa punta il dito sugli uomini della Camorra e sugli uomini
della Politica loro complici, quali responsabili di tutti i mali della regione.
Ciò che
si dimentica è che la gestione dei rifiuti non avviene che a valle della loro
produzione e, di conseguenza, anche questi rifiuti non sono che un sintomo dell’economia
che li produce. Sulla questione dei rifiuti, è, dunque, sul “come”, che poniamo,
sempre, l’accento; mentre ci dovrebbe,
egualmente, saltare agli occhi il “perché”.
Perché
questi rifiuti?
È
ponendo questa domanda che si comprende perché appare così poco nella polemica
attuale, perché porla riporta molto semplicemente a rimettere in causa la società consumistica nella
sua totalità.
È,
dunque, più facile per gli attori economici, che vogliono sopravvivere in
questo mondo, denunciare alcuni responsabili sulla base di criteri morali,
anziché pensare a guardare la società che li ha prodotti.
Questa
capacità così diffusa a non osservare che una parte del problema ha per causa
la conoscenza scientifica separata.
Educati
nella falsificazione generale del reale, è divenuto difficile per gli esperti e
per gli uditori della grande impresa di disinformazione di prendere in conto l’interdipendenza
delle cose e il loro movimento unitario.
A
livello dell’analisi ecologica, non vi è che da vedere come Jared Mason Diamond,
nel suo best-seller Effondrement [http://icdd.mytinkuy.com/publication/file/202/Effondrement.pdf], rispettato da una gran parte della
comunità scientifica, riesca a fare un colpo da maestro-falsificatore,
insistendo sulle cause demografiche dell’ecocidio al fine di meglio mascherarne
le cause economiche.
La
dinamica stessa del capitalismo è quella dell’obsolescenza programmata delle
merci. Il sistema è, sempre, obbligato a produrre di più per continuare a
creare valore, creazione che diviene sempre più limitata – donde la tendenza
estensiva di questa economia verso l’occupazione totale della vita sociale – proporzionalmente
alla crescita delle forze produttive alienate.
Per sua
stessa natura, il capitalismo, fondato sulla logica del valore, è destinato a
produrre sempre più rifiuti. Man mano che si sovrappongono gli strati geologici
delle merci, si sovrappongono, in realtà, gli strati geologici dei rifiuti. È l’economia
che trasforma il mondo in mondo dell’economia, i rifiuti e la loro gestione
divengono loro stessi merci. E gli uomini della Camorra da buoni homines
oeconomici si sono ben adattati al mondo della merce che li ha prodotti.
Il
risanamento del “Triangolo della Morte”, della regione intera e di tutto il Sud
italiano è indispensabile, a breve termine, se si vuole che questa parte del
mondo sia uno spazio, sul quale sia, ancora, possibile sopravvivere e non una
delle sempre più numerose zone sacrificate. Ma si deve diffidare quando la stessa
società consumistica vuole curare i mali che ha provocato. Si deve diffidare di
una nuova gestione burocratica del problema, fingendo la “razionalizzazione”,
mentre questa “razionalizzazione” si basa su categorie di una economia in
guerra contro l’umano che l’ha creata.
La
maggior parte delle soluzioni previste da esperti di questo sistema sono conservatrici: attaccano qualche
metastasi senza cercare di combattere le cause stesse del tumore.
Fintanto
che vi saranno merci prodotte in massa, fintanto che la logica del valore sarà
all’opera, vi saranno rifiuti tossici e la Campania – come il resto del Pianeta
– sarà malata.
Il
problema posto è il problema stesso della possibilità materiale di esistenza
del mondo che persegue una tale logica.
Per
fermare di produrre rifiuti tossici, si dovrebbe – a esempio – chiudere le fabbriche.
Ma a queste parole, molti griderebbero allo scandalo:
“E il
lavoro?”
Ciò
causerebbe la disoccupazione!”
Sì, ma è
meglio una occupazione che produce morte o una Terra vivibile?
È
meglio accumulare masse enormi di metalli pesanti al fine di servire la
crescita economica o ripensare l’esistenza con categorie che non rispondano al
solo bisogno del mantenimento del regno dell’economia?
Si deve
continuare a mantenere i “Signori” dell’Industria, della Petrolchimica e della
Camorra o immaginare un mondo, in cui gli uomini abbiano il tempo di apprendere
a fare giardinaggio in strada e a cucinare per i bambini della Sanità, di
Caserta e dei quartieri spagnoli?
Il
genere di reazione che porta a preferire la prima scelta alla seconda non può
essere scatenato che attraverso una lunga formazione di umani ai bisogni del
totalitarismo economico che debbono servire. I riformisti più convinti diranno
che la gestione ragionevole dei rifiuti potrebbe creare lavoro. Ma in questo
ragionamento di superficie, si è, già, dimenticato che questi rifiuti hanno
creato “lavoro” alla Camorra e che se questa deriva è stata possibile è perché
lo Stato è venuto meno per sottomissione o per corruzione.
E se
non è stato possibile ieri, come immaginare che lo sia, oggi, che gli Stati
indebitati sono agli ordini degli esperti del capitale?
Questa
domanda di lavoro e dei rifiuti rivela una assurdità fondamentale della società
del lavoro-merce: questi rifiuti sono stati prodotti da industrie, che producono
lavoro; la gestione di questi rifiuti produce, a sua volta, lavoro; nella corsa
al lavoro, sarebbe, dunque, logico produrre più rifiuti ancora.
Oggi, è
proprio la frenesia del lavoro, in quanto fine dell’esistenza umana, che
provoca la fine dell’esistenza umana.
Il cane
non si morde più la coda ma si mangia dal “culo”!
Per
vedere l’assurdità di questo movimento canino, nel quale si è perduta la nostra
società malata, è sufficiente guardare come il consigliere regionale del PSE,
Corrado Gabriele,
il 14 novembre 2013, avesse richiesto l’intervento della magistratura per
chiedere “di accertare se non sia il caso di verificare gli estremi della
violazione dell’articolo 658 del Codice Penale e vietare l’uscita in edicola di
domani delle copie” de l’Espresso,
che creava allarme sull’acqua napoletana contaminata.
Le sue
argomentazioni la dicono lunga sul mondo che ci circonda!
Insomma,
era meglio che la popolazione continuasse a lavorare e a consumare senza porsi
domande anziché allarmarsi di fronte al disastro?
Che
cosa è più importante l’economia regionale o la Popolazione campana?
In
effetti, ai nostri giorni, in un regime internazionale di metropoli in
concorrenza, perdere dei punti a livello di immagine, è perdere investitori e
rischiare il macello come un cattivo cavallo da corsa.
Corrado
Gabriele proponeva, dunque ai lettori, di non acquistare il giornale e di “destinare
il prezzo di copertina agli aiuti umanitari che l’ONG Save The Children
sta promuovendo per i bambini delle Filippine rimasti senza casa e senza famiglia, inviando un
sms al 45509”.
Gentile direttore, ho letto tutta la sua
inchiesta – complimenti ai giornalisti – e buona parte del rapporto della Tetra
Tech.
Ho risposto in queste 48 ore dalla uscita
del suo giornale a migliaia di persone che in parte hanno criticato la mia
scelta di presentare la denuncia, in parte i titoli di copertina. In tutto
sono oltre 100mila le persone che hanno interagito con la mia iniziativa in
rete e, come saprà, gli edicolanti napoletani hanno esaurito le copie di
vendita del settimanale.
Il “pugno nello stomaco” dunque è stato
assestato, ma io penso che purtroppo i postumi saranno lunghi e dolorosi; molto
più efficaci quelli che alimenteranno i detrattori della nostra città e molto
meno saranno invece – uso di nuovo il purtroppo – le reazioni del fare delle
istituzioni e dell’opinione pubblica, che invece immagino lei aveva previsto.
Sarei lieto di poter avere un confronto con
Lei a Napoli, magari davanti ad un bicchiere d’acqua di rubinetto, in forma
pubblica o privata, come Lei desidera, le assicuro che nessun “pugno” le sarà
restituito.
Con stima
Saluti, Corrado Gabriele
Secca
la replica de l’Espresso:
Gentile Gabriele,
il nostro unico scopo era risvegliare un’opinione
pubblica e amministrazioni che ci sembrano assuefatte a una situazione
intollerabile: sono pronto a fare con il mio giornale tutto ciò che è
necessario per aiutarvi nella vostra difficile impresa.
Naturalmente anche a bere acqua
del rubinetto e a mangiare mozzarella di bufala insieme con lei: organizzi
pure.
A presto
Bm
Fin qui
Gabriele. Ma che cosa dicono in sostanza le lettere di protesta? Quali ne sono
i punti cardne? In sostanza, che da centocinquant’anni non si perde occasione
per denigrare Napoli; che la Padania è ben più avvelenata della Campania; che
se la situazione della Terra dei Fuochi è quella che è ciò si deve a imprese
del Nord che lì hanno seppellito i loro veleni; che denunce come quella dell’Espresso
costituiscono un colpo mortale al turismo e all’economia; che se tutto è veleno
va a finire che nulla è veleno. Che la copertina era ingenerosa con una città
che non è solo Camorra e “munnezza” e che dunque non merita generalizzazioni
scandalistiche.
Infine –
ecco la stilettata più dolorosa – che da un napoletano come me proprio non se
lo aspettavano…
Non è
facile immaginare il sentimento che si prova in casi come questi. Da napoletano
tengo molto alla mia terra, da italiano mi indigna che imprese del Nord d’Italia
e d’Europa utilizzino la Campania per scaricare i loro rifiuti tossici e
velenosi: gli imprenditori si ingrassano, la Camorra fa affari e i cittadini si
ammalano. Va avanti così da trent’anni e nessuna autorità è riuscita finora a
fermare un oltraggio insopportabile. Noto piuttosto che, nonostante il coraggio
e l’impegno di comitati associazioni e siti web e grandi manifestazioni di
piazza, stanno montando parallelamente anche la sottovalutazione del problema
in nome del no a ogni allarmismo [“che uccide più dei veleni”, scrive qualcuno]
e una deleteria filosofia dell’assuefazione, certo non nuova alla cultura del
Sud, il cui scopo è dimostrare che non c’è niente da fare e che la cosa migliore
sia seppellire la verità assieme ai veleni sotto una pietra di omertà e
silenzio. Sempre che il problema non li tocchi direttamente e da vicino [vedi
il caso delle discariche nella stagione della crisi dei rifiuti degli anni
scorsi].
Ma chiudere gli occhi, fare finta di niente, tacere la verità o raccontarne
solo una fettina non fa che aiutare imprenditori cinici, criminali mafiosi e
politici inetti, non assolve i responsabili e purtroppo non guarisce chi si è
già ammalato di inquinamento. Non aiuta nemmeno quell’imprenditore di Salerno
che addebita a “l’Espresso” ottanta chili di mozzarelle non vendute. Reazione
comprensibile, ma miope: così non si elimina il problema di colture inquinate,
ma lo si rinvia. Meglio sarebbe pretendere dalle autorità una mappatura
rigorosa zona per zona e il divieto di pascolo e coltivazione nelle aree più a
rischio e da bonificare. Né serve confrontarsi con la Padania avvelenata [alla
quale abbiamo peraltro dedicato decine di articoli, come testimonia l’archivio
dell’Espresso]: non sono in ballo primati negativi, e misere classifiche non
valgono a sanare il disastro che c’è.
Inoltre
il documento, riassunto nell’inchiesta ma che ora potrete leggere nella sua
interezza [qui la versione integrale], consegnato dai
militari americani alle autorità campane, non si limita a dimostrare
scientificamente ciò che tutti sapevano e molti tacevano, ma aggiunge elementi
nuovi e inquietanti sulla situazione nella città di Napoli: apprendere che, se
fonti e sorgenti della regione sono purissime, il 57 per cento dell’acqua che
esce dai rubinetti di molte zone del centro di Napoli non è pulita al cento per
cento impone a noi una copertina. E alle autorità di mettere da parte minacce,
diffide e richieste milionarie [il sindaco De Magistris ha chiesto un miliardo di euro
di danni] e di andare a verificare i risultati, lanciare una
campagna di analisi, investire per rimettere a posto la rete idrica.
Comprendo
naturalmente le tante perplessità sulla copertina, molti amici e conoscenti che
stimo me le hanno esternate, ma è volutamente provocatoria e “tosta”: se dal
1985 la Campania si è trasformata in una discarica a cielo aperto gestita da
criminali e a disposizione di chiunque volesse disfarsi di rifiuti tossici e
pericolosi; se le confessioni di pentiti vari hanno svelato una realtà che
ugualmente ha continuato a riprodursi tale e quale anno dopo anno; se la Terra
dei Fuochi continua a bruciare nonostante denunce inchieste e Gomorra varie, ho
pensato allora che solo un pugno nello stomaco potesse aiutare a riportare
tutti alla tragica realtà e a comportarsi di conseguenza. Perché la cosa più
importante non è aver paura di raccontare la verità – che cosa deve cercare di
fare un giornale se non questo? – ma pretendere che chi ne ha il potere fermi
lo scempio.
Vorrei
che la Terra dei Fuochi non bruciasse più, che l’acqua di tutti i rubinetti di
Napoli diventasse potabile al cento per cento, che carne e latticini fossero
sani e commestibili. Perché se può esserci il rischio che “tutto è avvelenato”
significhi che nulla è avvelenato, anche il silenzio e l’omertà possono
tradursi in una assoluzione generale. Che però non ha il potere bonificare
terreni, emissioni, acque. Non possiamo più permettercelo.
La
crisi permanente del capitalismo, nella quale noi siamo entrati è anche la
crisi permanente dei rifiuti tossici, crisi generalizzata di cui si inizia a
comprendere la vera misura.
La
presa di coscienza è partita dal basso, in Campania, vale a dire dai diseredati,
che hanno compreso che non era più possibile sopravvivere in una discarica.
Quando
sempre più membri della propria famiglia contraggono il cancro, quando il
proprio figlio o quello del suo vicino nasce con una malformazione, quando ci si
rende conto che la terra agricola dei nonno non è più capace di produrre una
mela che non sia avvelenata, non vi è bisogno di esperti per prendere coscienza
del problema.
Le
soluzioni esistono, anche se, dopo anni di addomesticamento alla società
industriale di consumo di massa, non si realizzeranno senza non poca fatica.
In
primo luogo, un piano alternativo di risanamento generale è necessario e
indispensabile. Se non si fa, la Campania firma molto semplicemente la sua
condanna a morte…
In
secondo luogo, ma allo stesso tempo – altrimenti il primo lavoro non servirebbe
a niente a lungo termine – si deve combattere ciò che provoca questa
situazione, vale a dire lottare contro la logica del valore e mirare allo
smantellamento ragionato di ogni produzione commerciale.
Per
evitare la sua morte programmata, la Campania – e tutto il Sud dell’Italia –
non ha altra scelta che un cambiamento radicale, è la sua sola prospettiva
realistica e auspicabile.
È,
dunque, di un movimento antieconomico – ciò che vuole, egualmente, dire
anticamorrista – che la regione ha bisogno per uscire dal suo dramma e questo
movimento ha, già, qualche radice su cui poter crescere.
Dopo la
crisi finanziaria del 2008, il termine capitalismo è divenuto una parola sconcia.
È
facile comprenderne il perché.
Questo
modo di pensare orientato a breve termine e al profitto personale, che ha
condotto alla crisi e alla recessione che ne è seguita, ha, egualmente, alimentato
la lunga lista di tragedie umane: migliaia di lavoratori morti nel crollo di
fabbriche abusive; un crescente divario di reddito, laddove un miliardo di
persone riesce a malapena a sopravvivere con meno di un dollare al giorno, i
pericoli del cambiamento climatico che minacciano l’approviggionamento delle
derrate alientari essenziali.
Alcuni
attribuiscono la colpa di questi problemi al “capitalismo”, arrivando a
condannarlo in quanto, intrensicamente privo di etica.
Il
capitalismo è tutt’altro che perfetto, esattamente come qualsiasi altro
sistema.
Il
problema non è il capitalismo in sé; il problema sono quei capitalisti che si concentrano
unicamente sul Presente senza preoccuparsi dell’Avvenire.
Il
cuore del problema è il seguente: il capitalismo è buono nella misura in cui i
capitalisti sono buoni.
Perché
un sistema sia sostenibile – politico, governativo, sociale o economico – è
necessario che i suoi leaders abbiano
un senso etico fortemente radicato.
Il Forum
Economico Mondiale dello scorso anno si è aperto con un messaggio di papa
Francesco I, trasmesso dal cardinale ghanese Peter Turkson. Il papa ha
implorato i leaders economici
mondiali “di far sì che la ricchezza sia al servizio dell’umanità, non
che la asservisca”.
È
questa l’essenza del capitalismo etico.
Daniela
Zini
Copyright © 18 ottobre 2015 ADZ
President John F.
Kennedy
Waldorf-Astoria Hotel, New York City
April 27, 1961
Mr. Chairman,
ladies and gentlemen:
I appreciate very
much your generous invitation to be here tonight.
You bear heavy
responsibilities these days and an article I read some time ago reminded me of
how particularly heavily the burdens of present day events bear upon your
profession.
You may remember
that in 1851 the New York Herald Tribune under
the sponsorship and publishing of Horace Greeley, employed as its London correspondent an
obscure journalist by the name of Karl Marx.
We are told that
foreign correspondent Marx, stone broke, and with a family ill and
undernourished, constantly appealed to Greeley
and managing editor Charles Dana for an increase in his munificent salary of $5
per instalment, a salary which he and Engels ungratefully labelled as the
“lousiest petty bourgeois cheating.”
But when all his
financial appeals were refused, Marx looked around for other means of livelihood
and fame, eventually terminating his relationship with the Tribune and devoting
his talents full time to the cause that would bequeath the world the seeds of
Leninism, Stalinism, revolution and the cold war.
If only this
capitalistic New York
newspaper had treated him more kindly; if only Marx had remained a foreign
correspondent, history might have been different. And I hope all publishers
will bear this lesson in mind the next time they receive a poverty-stricken
appeal for a small increase in the expense account from an obscure newspaper
man.
I have selected as
the title of my remarks tonight “The President and the Press.” Some may suggest
that this would be more naturally worded “The President Versus the Press.” But
those are not my sentiments tonight.
It is true,
however, that when a well-known diplomat from another country demanded recently
that our State Department repudiate certain newspaper attacks on his colleague
it was unnecessary for us to reply that this Administration was not responsible
for the press, for the press had already made it clear that it was not
responsible for this Administration.
Nevertheless, my
purpose here tonight is not to deliver the usual assault on the so-called one
party press. On the contrary, in recent months I have rarely heard any
complaints about political bias in the press except from a few Republicans. Nor
is it my purpose tonight to discuss or defend the televising of Presidential
press conferences. I think it is highly beneficial to have some 20,000,000 Americans
regularly sit in on these conferences to observe, if I may say so, the
incisive, the intelligent and the courteous qualities displayed by your Washington
correspondents.
Nor, finally, are
these remarks intended to examine the proper degree of privacy which the press
should allow to any President and his family.
If in the last few
months your White House reporters and photographers have been attending church
services with regularity, that has surely done them no harm.
On the other hand,
I realize that your staff and wire service photographers may be complaining
that they do not enjoy the same green privileges at the local golf courses that
they once did.
It is true that my
predecessor did not object as I do to pictures of one’s golfing skill in action.
But neither on the other hand did he ever bean a Secret Service man.
My topic tonight is
a more sober one of concern to publishers as well as editors.
I want to talk
about our common responsibilities in the face of a common danger. The events of
recent weeks may have helped to illuminate that challenge for some; but the
dimensions of its threat have loomed large on the horizon for many years.
Whatever our hopes may be for the future - for reducing this threat or living
with it - there is no escaping either the gravity or the totality of its
challenge to our survival and to our security - a challenge that confronts us
in unaccustomed ways in every sphere of human activity.
This deadly
challenge imposes upon our society two requirements of direct concern both to
the press and to the President - two requirements that may seem almost
contradictory in tone, but which must be reconciled and fulfilled if we are to
meet this national peril. I refer, first, to the need for a far greater public
information; and, second, to the need for far greater official secrecy.
I
The very word
“secrecy” is repugnant in a free and open society; and we are as a people
inherently and historically opposed to secret societies, to secret oaths and to
secret proceedings. We decided long ago that the dangers of excessive and
unwarranted concealment of pertinent facts far outweighed the dangers which are
cited to justify it. Even today, there is little value in opposing the threat
of a closed society by imitating its arbitrary restrictions. Even today, there
is little value in insuring the survival of our nation if our traditions do not
survive with it. And there is very grave danger that an announced need for
increased security will be seized upon by those anxious to expand its meaning to
the very limits of official censorship and concealment. That I do not intend to
permit to the extent that it is in my control. And no official of my
Administration, whether his rank is high or low, civilian or military, should
interpret my words here tonight as an excuse to censor the news, to stifle
dissent, to cover up our mistakes or to withhold from the press and the public
the facts they deserve to know.
But I do ask every
publisher, every editor, and every newsman in the nation to reexamine his own
standards, and to recognize the nature of our country’s peril. In time of war,
the government and the press have customarily joined in an effort based largely
on self-discipline, to prevent unauthorized disclosures to the enemy. In time
of “clear and present danger,” the courts have held that even the privileged
rights of the First Amendment must yield to the public’s need for national
security.
Today no war has
been declared - and however fierce the struggle may be, it may never be
declared in the traditional fashion. Our way of life is under attack. Those who
make themselves our enemy are advancing around the globe. The survival of our
friends is in danger. And yet no war has been declared, no borders have been
crossed by marching troops, no missiles have been fired.
If the press is
awaiting a declaration of war before it imposes the self-discipline of combat
conditions, then I can only say that no war ever posed a greater threat to our
security. If you are awaiting a finding of “clear and present danger,” then I
can only say that the danger has never been more clear and its presence has
never been more imminent.
It requires a
change in outlook, a change in tactics, a change in missions - by the
government, by the people, by every businessman or labor leader, and by every
newspaper. For we are opposed around the world by a monolithic and ruthless
conspiracy that relies primarily on covert means for expanding its sphere of
influence - on infiltration instead of invasion, on subversion instead of
elections, on intimidation instead of free choice, on guerrillas by night
instead of armies by day. It is a system which has conscripted vast human and
material resources into the building of a tightly knit, highly efficient
machine that combines military, diplomatic, intelligence, economic, scientific
and political operations.
Its preparations
are concealed, not published. Its mistakes are buried, not headlined. Its
dissenters are silenced, not praised. No expenditure is questioned, no rumor is
printed, no secret is revealed. It conducts the Cold War, in short, with a
war-time discipline no democracy would ever hope or wish to match.
Nevertheless, every
democracy recognizes the necessary restraints of national security - and the
question remains whether those restraints need to be more strictly observed if
we are to oppose this kind of attack as well as outright invasion.
For the facts of
the matter are that this nation’s foes have openly boasted of acquiring through
our newspapers information they would otherwise hire agents to acquire through
theft, bribery or espionage; that details of this nation’s covert preparations
to counter the enemy’s covert operations have been available to every newspaper
reader, friend and foe alike; that the size, the strength, the location and the
nature of our forces and weapons, and our plans and strategy for their use,
have all been pinpointed in the press and other news media to a degree
sufficient to satisfy any foreign power; and that, in at least in one case, the
publication of details concerning a secret mechanism whereby satellites were
followed required its alteration at the expense of considerable time and money.
The newspapers
which printed these stories were loyal, patriotic, responsible and
well-meaning. Had we been engaged in open warfare, they undoubtedly would not
have published such items. But in the absence of open warfare, they recognized
only the tests of journalism and not the tests of national security. And my
question tonight is whether additional tests should not now be adopted.
The question is for
you alone to answer. No public official should answer it for you. No
governmental plan should impose its restraints against your will. But I would
be failing in my duty to the nation, in considering all of the responsibilities
that we now bear and all of the means at hand to meet those responsibilities,
if I did not commend this problem to your attention, and urge its thoughtful
consideration.
On many earlier
occasions, I have said - and your newspapers have constantly said - that these
are times that appeal to every citizen’s sense of sacrifice and
self-discipline. They call out to every citizen to weigh his rights and
comforts against his obligations to the common good. I cannot now believe that
those citizens who serve in the newspaper business consider themselves exempt
from that appeal.
I have no intention
of establishing a new Office of War Information to govern the flow of news. I
am not suggesting any new forms of censorship or any new types of security
classifications. I have no easy answer to the dilemma that I have posed, and
would not seek to impose it if I had one. But I am asking the members of the
newspaper profession and the industry in this country to re-examine their own
responsibilities, to consider the degree and the nature of the present danger,
and to heed the duty of self-restraint which that danger imposes upon us all.
Every newspaper now
asks itself, with respect to every story: “Is it news?” All I suggest is that
you add the question: “Is it in the interest of the national security?” And I
hope that every group in America
- unions and businessmen and public officials at every level - will ask the
same question of their endeavors, and subject their actions to the same
exacting tests.
And should the
press of America
consider and recommend the voluntary assumption of specific new steps or
machinery, I can assure you that we will cooperate whole-heartedly with those
recommendations.
Perhaps there will
be no recommendations. Perhaps there is no answer to the dilemma faced by a
free and open society in a cold and secret war. In times of peace, any
discussion of this subject, and any action that results, are both painful and
without precedent. But this is a time of peace and peril which knows no
precedent in history.
II
It is the
unprecedented nature of this challenge that also gives rise to your second
obligation - an obligation which I share. And that is our obligation to inform
and alert the American people - to make certain that they possess all the facts
that they need, and understand them as well - the perils, the prospects, the
purposes of our program and the choices that we face.
No President should
fear public scrutiny of his program. For from that scrutiny comes
understanding; and from that understanding comes support or opposition. And
both are necessary. I am not asking your newspapers to support the
Administration, but I am asking your help in the tremendous task of informing
and alerting the American people. For I have complete confidence in the
response and dedication of our citizens whenever they are fully informed.
I not only could
not stifle controversy among your readers - I welcome it. This Administration
intends to be candid about its errors; for as a wise man once said: “An error
does not become a mistake until you refuse to correct it.” We intend to accept
full responsibility for our errors; and we expect you to point them out when we
miss them.
Without debate,
without criticism, no Administration and no country can succeed - and no
republic can survive. That is why the Athenian lawmaker Solon decreed it a
crime for any citizen to shrink from controversy. And that is why our press was
protected by the First Amendment - the only business in America specifically
protected by the Constitution - not primarily to amuse and entertain, not to
emphasize the trivial and the sentimental, not to simply “give the public what
it wants” - but to inform, to arouse, to reflect, to state our dangers and our
opportunities, to indicate our crises and our choices, to lead, mold, educate
and sometimes even anger public opinion.
This means greater
coverage and analysis of international news - for it is no longer far away and
foreign but close at hand and local. It means greater attention to improved
understanding of the news as well as improved transmission. And it means,
finally, that government at all levels, must meet its obligation to provide you
with the fullest possible information outside the narrowest limits of national
security - and we intend to do it.
III
It was early in the
Seventeenth Century that Francis Bacon remarked on three recent inventions
already transforming the world: the compass, gunpowder and the printing press.
Now the links between the nations first forged by the compass have made us all
citizens of the world, the hopes and threats of one becoming the hopes and
threats of us all. In that one world’s efforts to live together, the evolution
of gunpowder to its ultimate limit has warned mankind of the terrible
consequences of failure.
And so it is to the
printing press - to the recorder of man’s deeds, the keeper of his conscience,
the courier of his news - that we look for strength and assistance, confident
that with your help man will be what he was born to be: free and independent.
http://www.youtube.com/watch?v=AKhUbOxM2ik
I policlorobifenili
sono composti chimici dotati di una grande stabilità che li rende
difficilmente degradabili, acuendo l’effetto di bioaccumulazione negli
organismi viventi. Da studi epidemiologici delle vie respiratorie e
cardiovascolari è risultato che i PCB vengono assorbiti, sotto forma di vapori,
attraverso l’apparato respiratorio e, per contatto, attraverso la cute. È
stato, inoltre, riscontrato anche un possibile assorbimento per via
gastroenterica, a seguito di ingestione accidentale o per la presenza dei
composti nella catena alimentare. I composti contenenti PBC sono considerati
per la loro tossicità nei confronti dell’uomo e dell’ambiente, tra gli
inquinanti più pericolosi.
Tra gli artefici dell’avvelenamento delle
terre campane e, in particolare, della zona di Acerra, vi sono, anche,
l’inquinamento e le scorie prodotte e smaltite illegalmente dallo stabilimento
della Montefibre della stessa Acerra.
Il toluene
[noto anche come toluolo, nome
IUPAC metilbenzene] è un liquido
volatile e incolore dall’odore caratteristico. La sua formula bruta è C7H8,
il suo numero CAS è 108-88-3. È la materia prima di partenza per la sintesi del
2,4,6-trinitrotoluene [l’esplosivo noto anche
come tritolo o TNT], nonché di molti altri composti chimici, tra
i quali l’acido benzoico [usato come conservante], il fenolo,
il benzene, il caprolattame e la saccarina [secondo il
metodo Remsen-Fahlberg]. Viene, altresì, usato come mezzo di contrasto in microscopia.
Il toluene è un idrocarburo aromatico;
viene usato come solvente in sostituzione del più tossico benzene, cui somiglia
sotto molti aspetti. È, anche, contenuto nella benzina.
Il toluene è, principalmente, usato come
sostituto del benzene, sia come reattivo sia come solvente. Come tale viene
impiegato per sciogliere resine, grassi, oli, vernici, colle, coloranti e molti
altri composti.
Il toluene danneggia i nervi, i reni e,
probabilmente, anche il fegato. L’inalazione dei suoi vapori produce sintomi di
stanchezza, nausea, confusione, disturbi alla coordinazione dei movimenti e può
portare alla perdita di coscienza.
Un contatto regolare può produrre
un’intossicazione dagli effetti euforizzanti e insufficienza midollare con
conseguente anemia aplastica. I vapori di toluene hanno un effetto narcotico a
carico degli organi respiratori e sono irritanti per gli occhi; sono, anche,
possibili in alcune persone manifestazioni allergiche.
Il toluene deve essere conservato in
ambienti molto ben aerati.
Anche in piccole quantità, benché non sia
solubile in acqua, il toluene è considerato un inquinante delle acque [WKG 2].
È facilmente biodegradabile.
La miscela dei suoi vapori con l’aria in
percentuali comprese tra l’1,2% ed l’8% è esplosiva.
Quando Carmine Schiavone iniziò a collaborare, le sue deposizioni furono determinanti per il maxiblitz, che portò a 136 arresti di
affiliati al clan, operazione da cui
derivò il processo Spartacus. Al termine del processo furono condannati il
cugino Francesco Schiavone detto Sandokan, Michele Zagaria e Francesco
Bidognetti, ritenuti la cupola del clan.
Con loro furono condannate altre 30 persone.
Nel 2013, Schiavone rilasciò alcune
interviste, in cui, per la prima volta, pubblicamente, ricostruiva gli accordi
tra clans dei Casalesi e pezzi della politica
e dell’imprenditoria per lo sversamento illegale di rifiuti pericolosi in
Campania. Notizie che aveva, in buona parte, già, fornito all’autorità
giudiziaria, tra il 1993 e il 1997.
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