“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

domenica 18 ottobre 2015

SOCIETA' SEGRETE I. LA CAMORRA 4. I RIFIUTI TOSSICI IN CAMPANIA PRIMA PARTE IL TRIANGOLO DELLA MORTE di Daniela Zini



“He who controls the past controls the future.

He who controls the present controls the past.”

George Orwell, 1984
SOCIETA’ SEGRETE


“In politics, nothing happens by accident. If it happens, you can bet it was planned that way.”
Franklin D. Roosevelt

Hier était le début, demain sera peut-être la fin, mais quelque part entre les deux, nous sommes devenus les meilleurs Amis du monde...


a Lazzaro DIA
per ringraziarlo di aver segnato la mia Vita e di averne condiviso un breve tratto…



Vi sono giorni memorabili nelle nostre Vite, in cui incontriamo Esseri che ci fanno fremere come ci fa fremere una bella Poesia, Esseri la cui stretta di mano è colma di tacita comprensione e il cui carattere generoso dona alle nostre Anime, desiderose e impazienti, una Pace meravigliosa.
Forse, non le abbiamo, mai, viste, prima, e non attraverseranno, mai più, il sentiero della nostra Vita; ma l’influsso della loro Umanità è un balsamo versato sul nostro malcontento, di cui sentiamo l’effetto benefico, come l’oceano avverte la corrente di montagna, che dà refrigerio alle sue acque salate.
Lazzaro DIA è stato questo, nella mia Vita, e molto di più…
Noi non possiamo raccontare il momento preciso in cui si forma una Amicizia… ma, sapere che vi sia un Essere, da qualche parte, dal quale ci sentiamo compresi, nonostante le distanze o i pensieri inespressi, fa di questa Terra un giardino.
Oggi, mi sono trovata a ripensare ai rami secchi che, in Passato, ho asportato dalla mia Vita, quelle persone che credevo punti saldissimi, ma con le quali il rapporto si era, irrimediabilmente, incrinato. Con alcune vi è stato un dialogo finale, con altre si è, semplicemente, abbassata la saracinesca e sono rimaste là, nel limbo delle amarezze irrisolte.
A volte la paura di rinnovarci ci porta a mantenere rapporti, che logorano: non riusciamo a stabilire la priorità tra tutte le cose che dobbiamo fare, siamo frastornati e ansiosi, svuotati, alle prese con una sequela incessante di problemi. Quando il Mondo esterno con le sue richieste e i suoi doveri ci schiaccia è perché non siamo capaci di scremare gli impegni essenziali, fonte di benessere, da quelli superflui o incongrui: andiamo avanti per inerzia, senza la spinta di desideri vivi, pulsanti.
Apprendiamo dal contadino, che pota i rami secchi e danneggiati, sfoltisce la chioma nella parte centrale per favorire il soleggiamento dei rami più interni e la loro fioritura.
“La Natura non fa nulla di inutile.”,
diceva Aristotele.
L’Uomo, al contrario, ha la capacità di costruire e conservare sovrastrutture superflue e dannose: che si tratti di relazioni esaurite, di abitudini sbagliate o di modi di pensare inattuali, tende a non disfarsi di nulla perché ha paura di rinnovarsi.
Non nego che sia difficile, tremendamente difficile, cancellare dal proprio quotidiano Qualcuno o qualcosa che ne faceva parte in modo totalizzante e assoluto.
Sintetizzando brutalmente, sfrondiamo la nostra Vita dai rami secchi... è questa la strategia per uscire dalle secche...
Prendere delle decisioni non è mai facile, perché decidere vuol dire prendere una strada ben precisa, abbandonandone un’altra.
Ogni strada porta in una direzione e, molte volte, tornare indietro non è quasi mai possibile, quindi, prendere una decisione vuole dire avere delle conseguenze, scegliersi, indirettamente, una serie di avvenimenti e fare in modo che altri non si avverino mai.
A volte, non è facile decidere, perché le decisioni non riguardano solo noi, ma anche una parte di Esseri che ci circondano. Le conseguenze che noi decidiamo, indirettamente, di subire, coinvolgono, inevitabilmente, anche il Destino di chi ci è vicino, per un motivo o per l’altro. Allora, le decisioni si fanno più complicate, le variabili in gioco sono molte di più e propendere per una scelta o per l’altra diventa più complicato. Più il tempo passa e più le variabili in gioco aumentano, piccoli dettagli ci vengono in mente e divengono importanti, aspetti che, subito, non appaiono evidenti si affacciano nella nostra mente, rendendo il tutto sempre più confusionario.
Tuttavia, bisogna decidere, la Vita è fatta di decisioni.
Io sono convinta che ognuno di noi sappia, esattamente, che decisione arriverà a prendere, perché il subconscio ci conosce meglio di quanto la nostra mente ci sembra suggerire, ma il complicato è fare emergere questa consapevolezza. Non a caso, chi ci ascolta sa, perfettamente, quale sarà la decisione che noi prenderemo, anche quando siamo nel pallone e la decisione sembra un monte da scalare.
Metabolizzare quella consapevolezza interiore, che agli Altri sembra pressoché evidente, non è dilettevole!
Pensare poco porta a conclusioni affrettate, molto spesso, avventate e rischiose; ma pensare troppo è altrettanto inutile, perché ci si tormenta per nulla, senza arrivare a una decisione migliore.
Io credo che l’importante sia scegliere sulla base della motivazione che si ritiene la più giusta, essere convinti delle proprie scelte e proseguire la propria strada, a testa alta, prendendo, sempre, le cose migliori da ogni piccolo aspetto. Non è ciò che facciamo, di tanto in tanto, che conta, ma le nostre azioni costanti.
E qual è la causa di qualsiasi azione?
Che cosa, alla fine, determina ciò che diveniamo e dove andiamo nella Vita?
La risposta è: le nostre decisioni.

Io non torno indietro.
Ho fatto due conti. Non di soldi, ma di tempo, di anni, l’unica risorsa critica. Ho pensato che la mia Vita mi piace, esattamente, così com’è. Di tanto in tanto, mi volgo indietro, guardo a quello che ero. Con tenerezza, ma senza rimpianti.
Mi vedo giovane donna con i miei sogni, le mie sconfitte…
Ma va bene così.
Il Domani non mi spaventa.
L’Oggi neppure.
Ho lasciato dietro tutte le paure.
Quello che penso, dico, faccio non ha alcun particolare valore o significato.
Morirò comunque.
Ma, proprio qui, è la forza della Vita.
Ha significato proprio perché non ha scopo.

Vi sono Volti e Voci che mi ispirano, mi sfidano, mi pungolano e mi spronano a elevarmi per avanzare nella Vita e contribuire a far avanzare le cose.
Sono un sano contagio, una magnifica emulazione, talvolta, una intimidazione… tanto sono nobili.
Sono dei preziosi “carburanti”, quando la speranza negli Uomini o nelle circostanze potrebbe indurmi ad alzare le braccia.  
Alcuni di questi Volti e di queste Voci hanno versato il proprio sangue per aprirci la via alla Libertà, alla Democrazia e alla Giustizia.
A loro dico: Grazie!
In nome del loro sacrificio, noi dovremmo avere la ricerca della Libertà, della Democrazia e della Giustizia dell’Uomo esigente.
Io ammiro questi Spiriti brillanti e impegnati che, con il loro esempio, partecipano a strutturare il mio modo di pensare il Mondo.
Possano questi Spiriti essere dei venti sotto le vele delle nostre lotte per accedere alla Libertà, alla Democrazia e alla Giustizia nel nostro Paese.
Chi si appresterà a prendere il testimone?
La nostra generazione può scegliere di scuotere il giogo, che la mantiene nella serena rassegnazione o nella ammirazione passiva, per decidere di divenire protagonista della propria Storia.
Vi sono tante terre di Libertà, di Democrazia e di Giustizia da conquistare o da riprendere.
A chi sostiene che tanto non cambierà mai nulla, vorrei dire:
“Il problema siamo tutti noi che non facciamo nulla.
Stabiliamo una presenza costante o avremo una costante violenza.
Meglio provare e non riuscire che non riuscire a provare!”
Noi abbiamo una responsabilità di fronte alle generazioni che ci hanno preceduto e di fronte alle generazioni che ci seguiranno.

D


Quando io ti amavo tanto da poterne morire…
Daniela Zini

Quando io ti amavo tanto da poterne morire,
Quando io mettevo l’impeto e l’arrendevolezza sotto il tuo tetto,
Quando io gioivo senza sorridere e soffrivo senza piangere,
Perché intorno a te regnasse un clima costante.

Quando la mia calma, ostinata e fiera insensatezza
Ti confondeva con l’intero universo
Al punto che il mio spirito ti vedeva scuro o chiaro
Al mutare delle stagioni.

Io sentivo già che dovevo guarire
Dalla scelta dolceamara del tuo essere senza fuoco.
Io spiavo l’istante in cui si vede esaurire
L’incanto sacro di aver avuto quel che si vuole.

Io volevo vedere tutto, conoscere tutto.
Non solo sognarlo!
Sapere tutto degli esseri e delle cose,
Della terra e degli astri.

Sapere la causa di questo amore
Che mi fa sola al mondo.
Tu non avevi la mia sete, tu non avevi la mia fame,
Ma io, io lavoravo al desiderio di dimenticare!

Io non cesserò di contemplare su di te,
Che mi fosti più maestoso di un tempio e di un dio,
L’arbitrario declino del sole dei tuoi occhi
E la placida fine della mia fede!





“Non troverai  mai la Verità, se non sei disposto 
ad accettare anche ciò che non ti aspettavi.”

Eraclito


Vogliamo davvero la Verità?
Ci interessa sul serio sapere cosa accadde, chi tirò i fili, chi mosse i burattini, chi mise la cartapesta a nascondere il profilo di uomini e cose?
Vogliamo bere l’amaro calice fino in fondo?
La Verità è un sentiero impervio e imprevedibile.
Non procede in linea retta.
Sono di più le curve.
Non è visibile all’inizio della strada.
Si staglia dopo l’ultimo tornante.
E sorprende.
La Verità è contraria al pregiudizio, alle tesi precostituite, alla versione dei fatti, cucinata per i ciechi.
Non si presta alla partigianeria.
Non gioca nella squadra di nessuno.
Non si lascia brandire come un’arma.
A livelli differenti, cozza come un pugno sullo stomaco.
La Verità presuppone la pazienza dell’ascolto, il sapere ricominciare quando il masso dei dati fin là raccolti torna a valle e devi ricominciare di nuovo.
E’ una fatica di Sisifo.
E’ ingrata.
Non premia.
Bevi.
Bevi questo calice fino in fondo.
Arriva alla fine e accetta.
Accetta te stesso, accetta il dolore, accetta gli Altri.
Solo alla fine sarai libero.
Libero dal dolore, libero per sentire ancora la vita che ti scorre nelle vene.
Urla.
Strepita.
Liberati.
E se non puoi, pensa di potere.
Vi è un momento in cui le parole si consumano e il silenzio inizia a raccontare...




 Crediamo, veramente, di conoscere tutto ciò che accade sul nostro pianeta?
Gli uomini che occupano uno spazio di primo piano sulla scena politica dispongono di un potere reale?
Il mondo degli affari è viziato da società segrete?
Molti sostengono che potenti personaggi esercitino un controllo assoluto su tutti gli eventi mondiali.
È il problema essenziale che tratteremo in questa inchiesta, dove si dimostra, attraverso una serie di esempi stupefacenti, che la sorte delle Nazioni dipende, sovente, dalla volontà di gruppi di uomini che non hanno alcuna funzione ufficiale. Si tratta di società segrete, veri cripto-governi, che reggono la nostra sorte a insaputa di tutti. La loro esistenza non può essere avvertita che quando un fatto imprevisto li obbliga ad agire alla luce del sole.
Circa due anni e mezzo prima del suo assassinio, il 27 aprile 1961, John Fitzgerald Kennedy tenne ai rappresentanti della stampa, riuniti presso l’Hotel Waldorf-Astoria di New York, un discorso incentrato sulla analisi e sul pericolo della Guerra Fredda [http://www.youtube.com/watch?v=PFMbYifiXI4][1], tuttavia, alcuni suoi passaggi, sembrano alludere, non alla sfida acerrima contro l’Unione Sovietica, ma a qualcosa di altro di più oscuro e di più pericoloso.
“[…] La stessa parola “segretezza” è ripugnante in una società libera e aperta; e noi, come popolo, siamo intimamente e storicamente contrari alle società segrete, ai giuramenti segreti e alle procedure segrete. Abbiamo deciso, molto tempo fa, che i pericoli di un eccessivo e ingiustificato occultamento di fatti pertinenti superino, di gran lunga, i pericoli che vengono invocati a giustificazione. […]”
La storia è costellata di enigmi intorno alle società segrete, che si tratti di potenti organizzazioni economiche, sociali, politiche o di clubs privati riservati a una élite.  
Pressoché tutte le civiltà sono state, in un’epoca o in un’altra, il rifugio di queste società dell’ombra: riunioni dietro porte chiuse, divieto di rivelare ciò che si dice all’esterno, sospetto a ogni gesto o parola di uno dei membri...
Il mistero di cui le società segrete si ammantano non è avulso dall’interesse che suscitano appena se ne parli.
E se si cercasse di squarciare questo mistero?
Che ne è della sedicente influenza delle società segrete attraverso la storia?
Sono state, sono così potenti come si pretende?
Vi è motivo di temerle?
Tante domande alla partenza di una appassionante incursione nel cuore delle società segrete più celebri della storia.
In questo reportage, solidamente documentato, penetreremo all’interno delle società segrete più conosciute, riassumendone la storia, descrivendone i riti di iniziazione, i segni e il linguaggio, che sono loro propri.
Se le voci che circondano le società segrete, rispondono, in parte, alla sete di meraviglioso, che ci viene dalla nostra infanzia, contribuiscono, troppo sovente, ad assumere un pensiero non critico, che degenera, facilmente, in paranoia.  
Dedicare una inchiesta alle società segrete in un mondo, in cui la cultura del segreto [di Stato, scientifico, nucleare, ecc.] viene, incessantemente, a ricordarci che, in quanto semplici cittadini, noi restiamo fuori degli arcani di una conoscenza superiore, cui solo gli “eletti” [capi di Stato, militari, diplomatici, spie, ecc.] possono accedere, mi è sembrata una idea luminosa e illuminante.
Non sono, certo, la prima, tuttavia, i miei predecessori sono stati, sovente, credibili, ma discutibili, perché, occorrendo un inizio di cui non si aveva prova, questo è stato, sovente, su un continente scomparso o su un disco volante.
Una delle numerose tesi ricorrenti sulle società segrete è che le suddette società segrete funzionino come le nostre società “reali”, di cui rappresentano dei doppi sovversivi, critici, inaccessibili, ma anche necessari per controbilanciare l’ordine mondiale, governato dai poteri temporali, sensatamente trasparenti, perché eletti secondo principi democratici.
Scrive Georg Simmel:
“Le società segrete sono, per così dire, delle repliche in miniatura del “mondo ufficiale”, al quale resistono e si oppongono.”
L’inizio delle società segrete si perde, necessariamente, nella rarefazione delle tracce di un passato sempre più lontano: Grecia, Egitto dei faraoni neri, Sumer e, forse, oltre…
“In principio era il buio.”
Sarebbe stato più comodo iniziare dalla fine, giacché le società stesse sono alla ricerca delle loro origini.
“Poi fu la luce.”
Allorché si ergeva nella direzione da cui veniva la luce, l’uomo era in contatto con il divino e le difficoltà materiali della vita, che, forse, formavano, allora, una unica cosa, ma che sarebbero divenute, con la nascita del verbo e il risveglio dell’uomo alla parola, i due  poli della sua esistenza. 
Nessuno sa quanto tempo l’uomo sia vissuto al riparo del dubbio neppure se ne sia stato, mai, abitato.
Ma che la sua prima parola sia stata un inno alla natura o una espressione del suo bisogno alimentare… ben presto, l’uomo iniziò a tentare di condividere le proprie idee con i suoi fratelli e, ben presto, i più sottili di questi concetti richiesero più che parole: la trasmissione dell’esperienza e, dunque, l’iniziazione.
È possibile che le prime iniziazioni abbiano riguardato il modo di sopravvivere nella divina natura circostante. O che abbiano trasmesso la certezza di un mondo spirituale nascosto dietro la materia.
Nell’Antichità, i culti misterici si svilupparono e conobbero un grande favore nel mondo greco-romano.
In seguito, il Medioevo, teatro di guerre di religione, dette vita ai misteriosi Templari.
Nel Rinascimento, le società segrete assunsero tutta un’altra dimensione con il leggendario ordine dei Rosa-Croce e, soprattutto, con la nascita della Massoneria.
Il XIX secolo segna, ancora, un’altra svolta: la proliferazione delle società segrete, che hanno, come corollario, legittimazioni, prestiti sempre più diversificati e una attrattiva per la razionalità scientifica. 
Il periodo contemporaneo è segnato da una moltiplicazione di società segrete, in particolare nell’era di Internet, con possibili derive settarie a apocalittiche.
La storia delle società segrete ha una importante influenza sulla storia. Esiste una versione ufficiale della storia, versione detta esoterica, che tiene conto delle società segrete, perché sono, sovente, uscite dall’ombra.
Ma ciò che questa storia non dice sono le ragioni segrete dei loro interventi.
E, per comprenderle, è alla storia esoterica che bisognerà interessarsi.
Queste società segrete sono, profondamente, legate alla magia, a partire dai documenti più antichi in nostro possesso.
Vi farò la grazia, tuttavia, di farne ricadere la colpa, come è, sovente, il caso, sui massoni, sui sionisti o su Satana.
Andrò, subito, al cuore del problema, esprimendomi senza ambage, senza temere di affrontare i sistemi criminali, basati sul controllo, il potere e la manipolazione. 
Un nuovo modo di considerare il mondo in cui viviamo! 





 
SOCIETA’ SEGRETE
I. LA CAMORRA
1. LA CAMORRA
di Daniela Zini

SOCIETA’ SEGRETE
I. LA CAMORRA
2. L’ANNORATA SOCIETA’
di Daniela Zini

SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
1. LA MAFIA AL CUORE DELLO STATO
di Daniela Zini

SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
2. LA ONORATA SOCIETA’
di Daniela Zini

SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
3. LA QUADRUPLICE INTESA
Stato-Mafia-Vaticano Massoneria - Parte Prima -
di Daniela Zini

SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
3. LA QUADRUPLICE INTESA
Stato-Mafia-Vaticano Massoneria - Parte Seconda -
di Daniela Zini

SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
4. MAMMA COMANDA PICCIOTTO VA E FA’
di Daniela Zini

SOCIETA’ SEGRETE
II. LA MAFIA
5. TURIDDU 65 ANNI DOPO
di Daniela Zini

SOCIETA’ SEGRETE
III. I SAMURAI
1. LA SPADA E IL CILIEGIO
di Daniela Zini

SOCIETA’ SEGRETE
III. I SAMURAI
2. IL LEGGENDARIO SACRIFICIO DEI 47 RONIN IN ONORE DEL DAIMYO DI AKO, ASANO TAKUMI NO KAMI NAGANORI
di Daniela Zini

SOCIETA’ SEGRETE
III. I SAMURAI
3. CHANOYU, L’ARTE DEL TE’
di Daniela Zini

SOCIETA’ SEGRETE
IV. L’ORDINE SOVRANO DEI CAVALIERI DEL TEMPIO
1. IL PROCESSO DEI CAVALIERI DEL TEMPIO
di Daniela Zini



I.                            LA CAMORRA
“Quando aprimmo la cisterna il liquido bruciava ogni cosa, al contatto le plastiche friggevano. Abbiamo scaricato milioni di tonnellate di rifiuti tossici ovunque possibile. Non ho mai messo un telo di protezione, non ho mai avuto un controllo, pagavamo e vincevamo sempre noi”.
Gaetano Vassallo
ministro dei rifiuti del clan dei Casalesi[2]
 



 Federico Bisceglia [1971-2015]

In memoria del magistrato Federico Bisceglia, impegnato nella lotta alle Ecomafie in Campania e in Lombardia e morto, a 43 anni, in un incidente – dalle dinamiche, ancora, poco chiare – avvenuto, la notte tra il 28 febbraio e il primo marzo di questo anno, sull’autostrada A3, Napoli-Salerno-Reggio Calabria, nei pressi dello svincolo tra Frascinetto e Castrovillari. 



3. I RIFIUTI TOSSICI IN CAMPANIA
Prima Parte: Il Triangolo della Morte
di
Daniela Zini



Il Triangolo della Morte indica un’area facente amministrativamente parte della Campania, compresa tra i comuni di Acerra, Nola e Marigliano, divenuta famosa per il forte aumento della mortalità per cancro della Popolazione locale, principalmente dovuto allo smaltimento illegale di rifiuti tossici da parte della Camorra, provenienti, primariamente, dalle regioni industrializzate del Nord-Italia. La definizione viene utilizzata, nell’agosto 2004, dalla prestigiosa rivista scientifica internazionale, The Lancet Oncology, che pubblicò uno studio di Kathryn Senior e Alfredo Mazza dal titolo: Italian “Triangle of death” linked to waste crisis [Il “Triangolo della morte” italiano collegato alla crisi dei rifiuti].



 “E dopo tutto fu diverso.”
John Shirley

“La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello di apparecchio.
Sul marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose che vengono fabbricate vendute comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove.
[…] Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città s’espande, e gli immondezzai devono arretrare più lontano; l’imponenza del gettito aumenta e le cataste s’innalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto. Aggiungi che più l’arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e combustioni. È una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne.
[…] Più ne cresce l’altezza, più aumenta il pericolo delle frane: basta un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d’anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo.
Italo Calvino, Le città invisibili

 
Dall’avvento mediatico del terrorismo islamico il crimine organizzato è meno represso. Per un classico effetto di vaso comunicante, l’11 settembre 2001, ha segnato l’avvento di una crisi criminale importante.
Da allora, infatti, le polizie dei Paesi sviluppati sono monopolizzate dalla lotta contro la corrente jihadista globale.
A ogni attentato, cospicue forze di polizia, che sono impegnate, particolarmente, nella criminalità organizzata debbono braccare, all’istante e a lungo, i terroristi.
Ora, una legge criminologica mostra che, appena una attività criminale non è più repressa, tende a esplodere.
Negli Stati Uniti, dal 2001, la polizia bracca i terroristi, in tutto il Paese; la pressione sulle gangs americane si è, dunque, immediatamente, allentata. Vi è stato, di conseguenza, dal 2002, un aumento importante degli omicidi dovuti alle street gangs.
In Europa, secondo Europol, il numero di bande organizzate, operanti in seno all’Unione Europea, era passato da 3mila, nel 2001, a 4mila, nel 2002, vale a dire più di 40mila criminali in totale.

Vi si apprendeva che, tra il 2009 e il 2011,  era stato realizzato uno studio dal comando dell’US Navy di Napoli, al fine di valutare il rischio corso dai soldati americani, che andavano a vivere in Campania, a causa della presenza di rifiuti tossici [http://www.cnic.navy.mil/content/dam/cnic/cnreurafswa/pdfs/Water/CARNEY%20PARK_CCR%20CY13_FINAL_21MAY14_Italian%20translationJUN2014.pdf, http://www.lettera43.it/cronaca/rapporto-usa-l-acqua-campana-e-inquinata_43675113623.htm]. Vi era, fortemente, raccomandato di non utilizzare che acqua minerale per bere, cucinare e anche lavarsi i denti, perché l’acqua era contaminata e vi si trovavano numerose tracce di sostanze cancerogene, di cui tracce di uranio.
Gli americani ne concludevano:
“Nessuna zona è sicura, neppure il centro di Napoli.”
Naturalmente le autorità pubbliche locali non avrebbero trovato utile avvertire la popolazione su questo genere di problemi…

“Bevi Napoli e poi muori? Per Carmine Schiavone, cugino del padrino Sandokan, la Camorra ha sistematicamente inquinato le falde acquifere della Campania con milioni di tonnellate di rifiuti tossici: “Non solo Casal di Principe, ma anche i paesi vicini sono stati avvelenati. Gli abitanti rischiano di morire tutti di cancro, avranno forse vent’anni di vita.”
La profezia del boss pentito risale al 1997 ed è rimasta segreta fino a due settimane fa. Nelle cittadine tra Napoli e Caserta da mesi la gente scende in piazza, denunciando una vera epidemia di tumori. La chiamano “Terra dei Fuochi”, perché i roghi di immondizia non si fermano mai.
Ma le parole nefaste del camorrista trovano più di un riscontro nell’unico grande studio esistente sugli effetti delle discariche clandestine. Lo ha realizzato il comando dell’Us Navy di Napoli: oltre due anni di esami, costati 30 milioni di dollari, per capire quanto fosse pericoloso vivere in Campania per i militari americani e le loro famiglie. Dal 2009 al 2011 è stata scandagliata un’area di oltre mille chilometri quadrati, analizzando aria, acqua, terreno di 543 case e dieci basi statunitensi alla ricerca di 214 sostanze nocive. Le conclusioni sono state rese note da diversi mesi e sostanzialmente ignorate dalle autorità italiane. L’analisi del dossier completo di questa ricerca però offre la sola diagnosi completa dei mali, con risultati sconvolgenti.” [http://espresso.repubblica.it/inchieste/2013/11/13/news/bevi-napoli-e-poi-muori-1.141086]

La gestione dei rifiuti è una delle attività più lucrative della Camorra.
‘O sistema – nome che le è dato dai suoi membri in Campania – accorda, regolarmente, la sua economia. Si adegua alla evoluzione capitalistica generale e si orienta verso settori, in cui il valore può, ancora, crearsi alquanto facilmente. Al di là delle attività “tradizionali” – traffico di armi, estorsione, contrabbando, traffico di droghe o, anche, traffico di esseri umani, anche se questo mercato, particolarmente lucrativo è, soprattutto, gestito dalla ‘Ndrangheta – sono, sovente, i mercati “pubblici” a essere ambiti.
Così, a seguito del terremoto del 1980, che fece circa 3mila morti, le imprese camorriste presero danaro per ricostruire, ma i lavori non si completarono mai.
Il meccanismo in se stesso è abbastanza semplice in questo genere di attribuzione di affari pubblici ad attori privati.
Si tratta di un bell’esempio di fusione economico-statale.
La gestione delle catastrofi, che si fa con carattere di urgenza, è un settore economico molto apprezzato. Dal punto di vista capitalistico, infatti, una catastrofe può essere una buona notizia, in quanto offre opportunità lucrative.
Verso la fine degli anni 1980, su un fondale poroso tra amministrazione locale e Camorra, la gestione dei rifiuti diviene un affare più che privato.
Vi è carenza di discariche pubbliche – non sono abbastanza redditizie – e la quantità di rifiuti prodotta è in crescita.
È, così, che alcune imprese, create ad hoc, sono subentrate. E nella gestione del territorio il legale e l’illegale non si oppongono, la frontiera tra economia ufficiale ed economia sotterranea è, sempre, molto vaga: il capitale resta capitale. 
Carmine Schiavone, ex-boss pentito del clan dei Casalesi, in una audizione davanti alla commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti [seduta del martedì 7 ottobre 1997], ricorda come il suo clan avesse il “dominio” su più lavori “pubblici”, quali la costruzione di autostrade. Diverse imprese legali, legate al sistema, lavoravano, in Campania, per conto di Italstrade S.p.A., una oppportunità per gestire i terreni in tutta libertà.
Nello studio Italian “Triangle of death” linked to waste crisis [Il “Triangolo della morte” italiano collegato alla crisi dei rifiuti], realizzato da Alfredo Mazza sulla mortalità per cancro e le malformazioni genetiche, tra il 1994 e il 2002, e pubblicato, nel 2004, dalla prestigiosa rivista scientifica internazionale The Lancet Oncology [http://www.thelancet.com/pdfs/journals/lanonc/PIIS147020450401561X.pdf, http://www.epicentro.iss.it/focus/discariche/Rifiuti.pdf, https://www.youtube.com/watch?v=RWdeCsD8m0s, https://www.youtube.com/watch?v=JlgqXLVjZ1s, http://www.nytimes.com/2014/01/30/world/europe/beneath-southern-italy-a-deadly-mob-legacy.html?hp&_r=1,
“Sebbene le cifre dei casi di cancro e dei rispettivi decessi rilevati nell’area intorno a Nola siano generalmente inferiori rispetto all’Italia settentrionale, la tendenza all’aumento della mortalità sta colmando questa differenza di cifre. Inoltre è davvero preoccupante l’aumento dei decessi per cancro al fegato, leucemia e linfoma.”
Causa principale, ovvia ma non troppo, di questo incremento di mortalità è lo smaltimento illegale di rifiuti tossici, in modo particolare quelli provenienti dal Nord Italia, da parte della Camorra, come affermato, anche, dall’ex-presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, a Napoli, il 4 giugno 2008, durante la cerimonia di intitolazione di una sala dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa al cronista ucciso dalla Camorra, nel 1985, Giancarlo Siani:
“È assolutamente accertato anche in sede parlamentare sistematici trasferimenti di rifiuti tossici, altamente pericolosi da industrie del Nord in territorio campano, con l’attiva cogestione da parte della Camorra. [http://it.reuters.com/article/topNews/idITMOL46179120080604]
Una ulteriore conferma per attribuire la provenienza dei rifiuti tossici al Nord Italia era arrivata dalla presenza nelle campagne campane e nel sangue degli abitanti delle zone colpite, di alte percentuali di PBC[3], prodotti da industrie assenti in Campania. 
 
Il Tempo: Dottore, esattamente che cosa è successo dopo?
Alfredo Mazza: La prima reazione è stata che la mia città, Nola, è stata tappezzata di manifesti che dicevano che era tutto falso.
Il Tempo: E chi li aveva messi?
Alfredo Mazza: Il sindaco, che tra l’altro è anche medico. Ma lo capisco.
Il Tempo: Come? Lo capisce?
Alfredo Mazza: Aveva paura che scattasse il panico.
Il Tempo: E poi?
Alfredo Mazza: E poi è iniziata una campagna sistematica. Le ASL locali hanno continuato a dire che lo studio era sbagliato, era troppo approssimativo, pur essendo dati del Registro Tumori.
Il Tempo: E la Regione?
Alfredo Mazza: Nulla, ha sempre fatto finta di nulla.
Il Tempo: Ora però ha avviato un monitoraggio sull’uomo.
Alfredo Mazza: Ha detto bene: ora. Nel 2007, tre anni dopo. Tra l’altro è un monitoraggio che coinvolge un campione ridotto, appena 700 persone, non si arriva a mille. Ma quello che è più grave è altro.
Il Tempo: E cosa?
Alfredo Mazza: È la totale incompetenza che alberga in ogni struttura regionale. Penso all’Arpac, l’azienda per la protezione ambientale campana, latitante nel problema rifiuti e disastro ambientale. E così è stato in ogni altra istituzione di controllo sanitario ed ambientale, dove ci hanno messo sempre e soltanto amici, amici degli amici, amici degli amici degli amici.
Il Tempo: Ma chi li ha messi?
Alfredo Mazza: Chi governa.
Il Tempo: Vabbè, non esageri.
Alfredo Mazza: E va bene, esagero. Se non erano amici erano parenti. Comunque incompetenti.
Il Tempo: E la magistratura?
Alfredo Mazza: Niente nemmeno loro. O meglio, la Procura di Nola non ha mai sottovalutato. Le altre sì. Consideri che abbiamo presentato denunce in tutte le Procure della Campania. Niente.
Il Tempo: Nessuno si è mosso?
Alfredo Mazza: La Camorra sì. Ha continuato a sversare di tutto. E la notte bruciavano. Colonne di fumo che vedevano tutti. Chiamavamo la polizia, i carabinieri. Niente, non si muoveva nessuno. E nelle analisi ha cominciato a venire fuori di tutto. Forse hanno buttato lì dentro anche i fanghi di Seveso, abbiamo trovato anche lo xilene nelle falde acquifere, anche scorie nucleari probabilmente sanitarie. Un disastro.
Il Tempo: E lei ha continuato a denunciare?
Alfredo Mazza: Non ci siamo mai fermati. Nel frattempo – sa, sono un ricercatore e con la ricerca in Italia non si mangia – ho vinto il concorso in ospedale poi ho fatto domanda di comando in Protezione Civile. Mi avevano accettato per il mio curriculum, e mi hanno detto che mi prendevano e mi assegnavano al loro dipartimento sanitario. Poi all’ultimo stadio mi hanno chiamato e mi hanno detto testualmente: “Ma lei è l’autore del “Triangolo della Morte”? Non sa quanti soldi abbiamo speso per far fronte alle sue tesi.”
Il Tempo: Risultato?
Alfredo Mazza: Non ho abiurato. Sono di Nola, il paese di Giordano Bruno, e gliel’ho detto: piuttosto mi faccio bruciare vivo.
Il Tempo: Poi è arrivato lo studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che confermava tutto.
Alfredo Mazza: Esatto, anche Bertolaso poi ha confermato. Guardi, adesso comincia l’altra grande emergenza, quella sanitaria. Si abbatterà sulle casse sanitarie regionali una valanga immensa di persone che chiederanno le cure per le malattie dovute al disastro rifiuti. E sarà una nuova catastrofe.
Il Tempo, Ho denunciato tutto e mi hanno fatto fuori dalla Protezione Civile, 19 gennaio 2008 [http://straker-61.blogspot.it/2008/02/esempio-di-onest-punita-articolo-di.html#.ViD1qW4t2l]

Incalzato dall’interesse della stampa estera, nel 2007, il Dipartimento della Protezione Civile commissionava all’Istituto Superiore di Sanità [ISS], al Consiglio Nazionale delle Ricerche [CNR], e all’Organizzazione Mondiale della Sanità [OMS] una ricerca, che veniva condotta con la collaborazione dell’Osservatorio Epidemiologico Regionale della Campania e dell’Agenzia Regionale per l’Ambiente della Campania [ARPAC] [http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_dossier.wp?contentId=DOS14955, http://www.iss.it/binary/itef/cont/view.1190959279.htm]. I dati offerti dall’organizzazione dell’ONU erano, quantomeno, sconcertanti e sconfortanti: nell’area compresa tra Villa Literno, Marcianise e Acerra, l’incremento di malattie oncologiche, nell’ultimo decennio, era tanto evidente quanto preoccupante. Lo studio, infatti, che aveva applicato elaborate tecniche statistiche, comprensive di una stima degli intervalli di confidenza associati a ciascuna stima di mortalità, grazie a una analisi bayesiana, evidenziava che “i risultati mostrano che in alcuni comuni vi è un’incidenza consistentemente e significativamente maggiore per alcune delle malattie prese in considerazione, incluso il cancro dello stomaco, dei reni, del fegato e del polmone e per malformazioni congenite uro-genitali e cardiovascolari. Il maggior numero di casi è stato rilevato in un’area compresa tra le due province, dove si è a conoscenza di molte attività di trattamento illegale di rifiuti.”
Le due province erano, ovviamente, quella napoletana e quella casertana. Se non bastasse, i numeri parlavano ancora più chiaro: la mortalità nei comuni più esposti era del 9% in più rispetto alla media per gli uomini e del 12% per le donne. Alla luce della suddivisione in cinque fasce del territorio analizzato, per un totale di 196 comuni, si era verificato un costante trend positivo, nel passaggio da una fascia a impatto ambientale minore a quella superiore, nella manifestazione dei carcinomi: per il tumore del polmone (2% uomini), del fegato (4% uomini, 7% donne), dello stomaco (5% uomini). All’aumento della mortalità, inoltre, andava aggiunto anche l’incremento delle malformazioni congenite, come si legge sul sito dell’OMS: nelle zone più esposte, dell’83%, per quanto riguarda il sistema nervoso centrale e l’apparato urogenitale, e il 98% per quanto concerne il palato-labbra.
La relazione evidenziava, altresì, che “le zone a maggior rischio identificate negli studi sulla mortalità e sulle malformazioni congenite in buona parte si sovrappongono e sono interessate dalla presenza di discariche e siti di abbandono incontrollato di rifiuti”, ma sosteneva che è comunque difficile stabilire se la corrispondenza dei numerosi eccessi con la possibile occorrenza di esposizioni legate allo smaltimento dei rifiuti sia di natura causale e, nel caso, stimare l’entità di tale impatto” [http://www.salutepubblica.net/news/166-il-tringolo-della-morte.html].
La presenza di pericolose sostanze inquinanti, come la diossina, in particolare nella zona di Acerra, è comunque accertata, oltre che per le attività illecite di smaltimento dei rifiuti, anche in relazione all’attività della Montefibre S.p.A.[4], e, già, nel 1987, un decreto del Ministero dell’Ambiente definiva Acerra territorio “ad elevato rischio di crisi ambientale” .
Nel 1997, Carmine Schiavone aveva pronunciato la sentenza senza appello, che avrebbe dovuto riguardare tanti centri del Casertano:
“Gli abitanti di paesi come Casapesenna, Casal di Principe, Castel Volturno e così via, avranno, forse, venti anni di vita.”
Ma la combustione e l’interramento dei rifiuti non sono le uniche attività di questo settore. Il rifiuto è di per sé una merce. È riciclabile sotto forma di compost agricolo o diretto verso i cementifici. È, allora, sovente, reintegrato nel circuito economico attraverso “veri falsi” documenti.
Questo trattamento dei rifiuti tossici si fa a prezzi molto competitivi, la Camorra se ne sbarazza a un costo minimo.
Schiavone racconta, a esempio, come all’inizio degli anni 1990, delle discariche, come quelle gestite dalla Di.fra.Bi. o da Cipriano Chianese, pagassero il clan Calabresi per seppellire rifuti tossici nelle discariche illegali e guadagnare, così, in rendimento: un gioco economico che, in qualche modo, “accontenta tutti”.
Anche la gestione dei rifiuti è, dunque, una merce!
La parte astratta di questo servizio-merce, vale a dire il suo valore, in quanto quantità di lavoro socialmente necessaria incorporata a questo servizio, domina la parte concreta, l’utilità, l’efficacia, di questo servizio. Parimenti, quando i rifiuti divengono, a loro volta,  merce. Se la Camorra ha prezzi competitivi, è ben evidente che la quantità di lavoro che il servizio richiede è minimo, in altri termini, si sbarazza, molto velocemente, dei rifiuti, al fine di trarne il massimo profitto.
Dal punto di vista capitalistico, il rifiuto è come il danaro: non ha odore!
In una società in crisi permanente di sovrapproduzione, che vi è di meglio per creare valore del settore dei rifiuti?
Dal testo dell’audizione dell’ottobre del 1997 [http://www.camera.it/_bicamerali/rifiuti/resoconti/Documento_unificato.pdf], che l’ex-affiliato dei Casalesi ha tenuto davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo di rifiuti, desecretato, il 31 ottobre 2013, dalla presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, emerge una fitta rete di relazioni, a cavallo tra il 1980 e il 1990.
“Si tratta della prima volta che la Presidenza della Camera – senza che questo sia richiesto dalla magistratura – decide di rendere pubblico un documento formato da commissioni di inchiesta che in passato lo avevano classificato come segreto.”,
aveva sottolineato la presidente della Camera dei Deputati.
“Lo dovevamo in primo luogo ai cittadini delle zone della Campania devastate da una catastrofe ambientale cosciente e premeditata: cittadini che oggi hanno tutto il diritto di conoscere quali crimini siano stati commessi ai loro danni per poter esigere la riparazione possibile.”
Ma chi secretò gli interessi della filiera o gli interessi dei cittadini?
In una lunga intervista del 16 gennaio 2014, al giornale Der Spiegel [http://www.spiegel.de/international/europe/anger-rises-in-italy-over-toxic-waste-dumps-from-the-mafia-a-943630.html] Carmine Schiavone affermava che fu l’ex-presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ministro dell’interno dal 1996 al 1998, nel governo Prodi, a secretare le sue deposizioni sul traffico di rifiuti tossici che coinvolgevano, perfino, il fratello di Silvio Berlusconi, Paolo, quale capo di una azienda del Nord, protagonista dei suoi traffici.

“All of the information in his possession, Schiavone says, was provided to national anti-Mafia officials in the 1990s. The name of a Milan-based intermediary firm, which played a key role in the north-south waste transfer, was also included in the documents. “But that part of my testimony was classified by King Giorgio,” he says.
King Giorgio? “Napolitano, who was interior minister at the time.” And who was behind the company in Milan? “One of the partners,” Schiavone says, “was PB -- Paolo Berlusconi.” Paolo Berlusconi is the vice president of the football club AC Milan and brother of four-time Prime Minister Silvio Berlusconi. Was he really a participant in the Mafia’s trade in toxic and nuclear waste? Schiavone has publicly said as much, but Paolo Berlusconi calls his claims a “fairy tale.”

Sono parole che mettono i brividi quelle pronunciate da Carmine Schiavone. Della proposta di interrare fusti tossici, ne aveva parlato con il cugino boss e con un altro esponente di spicco dei Casalesi, che erano nell’affare con dei signori di Arezzo, Firenze, Milano e Genova”.
“Chianese, aveva introdotto Cerci in circoli culturali ad Arezzo, a Milano, dove aveva fatto le sue amicizie. Attraverso questi circoli culturali entrò automaticamente in un gruppo di persone che gestiva rifiuti tossici. Lavorava a Milano, Arezzo, Pistoia, Massa Carrara, Santa Croce sull’Arno, La Spezia. Cerci si trovava molto bene con un signore che si chiama Licio Gelli.”
Ma quale tipo rifiuti tossici venivano interrati?
In quelle discariche, arrivava di tutto.
“Fusti contenenti tuolene[5], ovvero rifiuti provenienti da fabbriche della zona di Arezzo: si trattava di residui di pitture. Vi erano molte sostanze tossiche, come fanghi industriali, rifiuti di lavorazione di tutte le specie, tra cui quelli provenienti da concerie. Vi era inoltre qualche camion che veniva dall’estero”.

 Carmine Schiavone
Lunaset intervista Carmine Schiavone, 3 settembre 2013 [https://www.youtube.com/watch?v=JxsuGn41ieo,  https://www.youtube.com/watch?v=gLNr0naE5HE]
Antonio DI Pietro interroga Carmine Schiavone, 27 gennaio 2014  [https://www.youtube.com/watch?v=CDSOqPKiaPo]

I rifiuti tossici e nocivi venivano occultati attraverso imprese del clan in scavi abusivi e la gestione di questo business riusciva a garantire al clan “un compenso di 7-10 milioni [di lire, ndr] l’ettaro”.
Secondo le sue conoscenze i rifiuti radioattivi “dovrebbero trovarsi in un terreno sul quale oggi ci sono le bufale e su cui non cresce più erba.
Fanghi nucleari arrivavano su camions provenienti dalla Germania.
“Dalla Germania arrivavano camion che trasportavano fanghi nuclerari.”
Ma i camions venivano anche dall’Italia:
“Da Massa Carrara, da Genova, da La Spezia, da Milano. So che da quest’ultima c’erano delle grosse società che raccoglievano rifiuti, anche dall’estero, rifiuti che poi venivano smaltiti al Sud.”
Nel business del traffico dei rifiuti, secondo il pentito, erano coinvolte Mafia, ‘Ndrangheta e Sacra Corona Unita. L’ex-collaboratore di giustizia aveva fatto anche i nomi di persone che avrebbero gestito, insieme a esponenti della Camorra, il traffico di rifiuti verso le province di Lecce e Brindisi.
“Il sistema era unico, dalla Sicilia alla Campania. Anche in Calabria era lo stesso: non è che lì rifiutassero i soldi. Che poteva importargli, a loro, se la gente moriva o non moriva? L’essenziale era il business. So per esperienza che, fino al 1991, per la zona del Sud, fino alle Puglie, era tutta infettata da rifiuti tossici provenienti da tutta Europa e non solo dall’Italia.”
La Camorra non era, dunque, la sola ad avere avuto la presenza di spirito economico di fare danaro sui rifiuti, come riferiva Schiavone. Un sistema che sarebbe stato adottato “nel Salento, ma sentivo anche parlare delle province di Bari e di Foggia”.
“Tutti clans, tutte le associazioni criminali, erano interessate, perché si parla di decine di miliardi l’anno. Di più, vi sono coloro che gestiscono questa attività e vi trovano i loro vantaggi personali al di fuori del clan; tutti lo facevano, anche io mi occupavo di terreni e avevo un vantaggio perché acquistavo io stesso i terreni.”
E l’ex-boss aveva fornito l’elenco completo degli automezzi – con targhe e nomi degli autisti – utilizzati tra la fine degli 1980 e l’inizio degli anni 1990.
In relazione alle navi dei veleni, Schiavone riferisce:
“So che c’erano navi e che qualcuna è stata affondata nel Mediterraneo, però sono ricordi sbiaditi. Ricordo che una volta si parlò di una nave che portava rifiuti speciali e tossici, scorie nucleari, che venne affondata sulle coste tra la Calabria e la Campania.”  
Schiavone[6] è morto, lo scorso 22 febbraio, proprio mentre stava collaborando con la DDA di Reggio Calabria e stava fornendo informazioni precise sullo smaltimento dei rifiuti tossici in Calabria.
Il rifiuto è un valore che si valorizza anche se ciò rientra nel campo di una tendenza suicidaria.
Per la Camorra o qualsiasi altra multinazionale, più vi sono dei rifiuti, meglio è.
I rifiuti partecipano alla crescita economica.
È la legge del business, ‘o sistema, l’individualismo a oltranza.
Un meccanismo più che una struttura, perché si tratta di una moltitudine di clans sprofondati in un regime di concorrenza.
Per comprendere il tipo di individuo che ciò può produrre, la dice lunga una discussione registrata tra due camorristi a proposito del seppellimento di rifiuti. Uno dei due sembra preoccupato all’idea di inquinare falde freatiche, che contaminano, così, l’acqua del rubinetto, ma l’altro replica:
“E che cazzo te ne fotte, tu bevi l’acqua minerale!”,
Ecco ciò che è l’uomo nuovo condizionato dall’economia.
È, anche, contro ciò che Schiavone dice di essersi rivoltato:
“Se mi sono pentito, è perché a un dato momento io ho preso coscienza che alcune persone, come i miei cugini, non avevano più alcun valore. Erano divenuti bestie che non vivevano che per il danaro.”[7]

Da che parte sto, forse, lo avrete compreso.
E da che parte dovremmo stare, sarebbe logico.
Ma il DIO-DANARO rende ciechi i suoi sudditi.
Ciò è il risultato di una società economica sottosviluppata, nella quale tutto è entrato nella sfera dei beni economici. È, così, che l’ultima fase del progresso del capitalismo appare sotto la forma ben visibile, seppure incappucciata, della Grande Faucheuse.
La colpa è, oggi, sovente, rigettata su alcuni, come se il processo di accumulazione materiale nella società capitalistica fosse una semplice pulsione antropologica e transtorica: gli onesti, da un lato e i disonesti, dall’altro.  

Non sto, in alcun modo, difendendo la Camorra; ma non si deve dimenticare che la Camorra non è, infine, che una parte integrante di una società consumistica, che produce i rifiuti in massa e si trova nella incapacità di gestire questa sovrapproduzione in un modo “valido”, ciò che sarebbe difficilmente redditizio e non risponderebbe più alle esigenze essenziali di questa società basata sulla logica del valore.
E, del resto, se i rifiuti non fossero più eliminati, reintegrati o interrati nel Sud della penisola italiana, lo sarebbero altrove.
Come il capitale, i flussi di rifiuti tossici non hanno frontiere.
Di più, per rompere con le visioni idealiste del ruolo dello Stato in questo processo, è sufficiente ricordare che da capitalisti rigorosi, gli uomini della Camorra hanno affiancato le istituzioni.
Schiavone presentava del resto il clan dei Casalesi come un “clan di Stato”:
“Ma tu puoi pensare che possa esistere Mafia, Camorra, ‘Ndrangheta senza l’appoggio delle istituzioni dello Stato? Rimarrebbero banditi di strada. […] In tutti i 106 comuni della provincia di Caserta noi facevamo i sindaci, di qualunque colore fossero. Io, ad sempio, avevo la zona di Villa Literno e sono stato io a far eleggere il sindaco. Prima il sindaco era socialista e noi eravamo democristiani. […] A Frignano avevamo i comunisti. A noi importava non il colore, ma solo i soldi. “. 
Si dilunga in un aneddoto, il collaboratore di giustizia:  
“A Villa Literno ho “fatto” io stesso l’Amministrazione comunale. Abbiamo candidato determinate persone al di fuori di ogni sospetto […] ed abbiamo fatto eleggere dieci consiglieri.”
Sedici anni più tardi, ricordando che vi sono alcuni uomini giusti in seno alle istituzioni, non tiene un discorso più ottimistico sul mondo politico:
“Si potrebbe anche distruggere la Mafia ma non distruggeranno mai niente perché ci sono forti interessi a livello economico, a livello elettorale; noi spostavamo tra i 70.000 e gli 80.000 voti che stabiliscono la differenza tra un partito ed un altro.”
I rifiuti non sono che i residui di un moulin à discipline che si riempie senza tregua di grano.  
La critica più diffusa punta il dito sugli uomini della Camorra e sugli uomini della Politica loro complici, quali responsabili di tutti i mali della regione.
Ciò che si dimentica è che la gestione dei rifiuti non avviene che a valle della loro produzione e, di conseguenza, anche questi rifiuti non sono che un sintomo dell’economia che li produce. Sulla questione dei rifiuti, è, dunque, sul “come”, che poniamo, sempre,  l’accento; mentre ci dovrebbe, egualmente, saltare agli occhi il “perché”.  
Perché questi rifiuti?
È ponendo questa domanda che si comprende perché appare così poco nella polemica attuale, perché porla riporta molto semplicemente  a rimettere in causa la società consumistica nella sua totalità.
È, dunque, più facile per gli attori economici, che vogliono sopravvivere in questo mondo, denunciare alcuni responsabili sulla base di criteri morali, anziché pensare a guardare la società che li ha prodotti.
Questa capacità così diffusa a non osservare che una parte del problema ha per causa la conoscenza scientifica separata.
Educati nella falsificazione generale del reale, è divenuto difficile per gli esperti e per gli uditori della grande impresa di disinformazione di prendere in conto l’interdipendenza delle cose e il loro movimento unitario.
A livello dell’analisi ecologica, non vi è che da vedere come Jared Mason Diamond, nel suo best-seller Effondrement [http://icdd.mytinkuy.com/publication/file/202/Effondrement.pdf], rispettato da una gran parte della comunità scientifica, riesca a fare un colpo da maestro-falsificatore, insistendo sulle cause demografiche dell’ecocidio al fine di meglio mascherarne le cause economiche.
La dinamica stessa del capitalismo è quella dell’obsolescenza programmata delle merci. Il sistema è, sempre, obbligato a produrre di più per continuare a creare valore, creazione che diviene sempre più limitata – donde la tendenza estensiva di questa economia verso l’occupazione totale della vita sociale – proporzionalmente alla crescita delle forze produttive alienate.
Per sua stessa natura, il capitalismo, fondato sulla logica del valore, è destinato a produrre sempre più rifiuti. Man mano che si sovrappongono gli strati geologici delle merci, si sovrappongono, in realtà, gli strati geologici dei rifiuti. È l’economia che trasforma il mondo in mondo dell’economia, i rifiuti e la loro gestione divengono loro stessi merci. E gli uomini della Camorra da buoni homines oeconomici si sono ben adattati al mondo della merce che li ha prodotti.
Il risanamento del “Triangolo della Morte”, della regione intera e di tutto il Sud italiano è indispensabile, a breve termine, se si vuole che questa parte del mondo sia uno spazio, sul quale sia, ancora, possibile sopravvivere e non una delle sempre più numerose zone sacrificate. Ma si deve diffidare quando la stessa società consumistica vuole curare i mali che ha provocato. Si deve diffidare di una nuova gestione burocratica del problema, fingendo la “razionalizzazione”, mentre questa “razionalizzazione” si basa su categorie di una economia in guerra contro l’umano che l’ha creata.
La maggior parte delle soluzioni previste da esperti di questo sistema sono conservatrici: attaccano qualche metastasi senza cercare di combattere le cause stesse del tumore.
Fintanto che vi saranno merci prodotte in massa, fintanto che la logica del valore sarà all’opera, vi saranno rifiuti tossici e la Campania – come il resto del Pianeta – sarà malata.
Il problema posto è il problema stesso della possibilità materiale di esistenza del mondo che persegue una tale logica.
Per fermare di produrre rifiuti tossici, si dovrebbe – a esempio – chiudere le fabbriche. Ma a queste parole, molti griderebbero allo scandalo:
“E il lavoro?”
Ciò causerebbe la disoccupazione!”
Sì, ma è meglio una occupazione che produce morte o una Terra vivibile?
È meglio accumulare masse enormi di metalli pesanti al fine di servire la crescita economica o ripensare l’esistenza con categorie che non rispondano al solo bisogno del mantenimento del regno dell’economia?
Si deve continuare a mantenere i “Signori” dell’Industria, della Petrolchimica e della Camorra o immaginare un mondo, in cui gli uomini abbiano il tempo di apprendere a fare giardinaggio in strada e a cucinare per i bambini della Sanità, di Caserta e dei quartieri spagnoli?
Il genere di reazione che porta a preferire la prima scelta alla seconda non può essere scatenato che attraverso una lunga formazione di umani ai bisogni del totalitarismo economico che debbono servire. I riformisti più convinti diranno che la gestione ragionevole dei rifiuti potrebbe creare lavoro. Ma in questo ragionamento di superficie, si è, già, dimenticato che questi rifiuti hanno creato “lavoro” alla Camorra e che se questa deriva è stata possibile è perché lo Stato è venuto meno per sottomissione o per corruzione.
E se non è stato possibile ieri, come immaginare che lo sia, oggi, che gli Stati indebitati sono agli ordini degli esperti del capitale?
Questa domanda di lavoro e dei rifiuti rivela una assurdità fondamentale della società del lavoro-merce: questi rifiuti sono stati prodotti da industrie, che producono lavoro; la gestione di questi rifiuti produce, a sua volta, lavoro; nella corsa al lavoro, sarebbe, dunque, logico produrre più rifiuti ancora.
Oggi, è proprio la frenesia del lavoro, in quanto fine dell’esistenza umana, che provoca la fine dell’esistenza umana.
Il cane non si morde più la coda ma si mangia dal “culo”!
Per vedere l’assurdità di questo movimento canino, nel quale si è perduta la nostra società malata, è sufficiente guardare come il consigliere regionale del PSE, Corrado Gabriele[8], il 14 novembre 2013, avesse richiesto l’intervento della magistratura per chiedere “di accertare se non sia il caso di verificare gli estremi della violazione dell’articolo 658 del Codice Penale e vietare l’uscita in edicola di domani delle copie” de l’Espresso, che creava allarme sull’acqua napoletana contaminata.
Le sue argomentazioni la dicono lunga sul mondo che ci circonda!
Secondo Corrado Gabriele si poteva configurare il reato di procurato allarme per “il danno all’economia campana e soprattutto il danno psicologico per milioni di cittadini napoletani e campani che oltre a subire le conseguenze dei rifiuti seppelliti in Campania devono vivere nel terrore di utilizzare l’acqua e i prodotti agricoli della nostra terra” [http://www.secoloditalia.it/2013/11/compagni-contro-compagni-linchiesta-choc-dellespresso-su-napoli-fa-infuriare-la-sinistra/].
Insomma, era meglio che la popolazione continuasse a lavorare e a consumare senza porsi domande anziché allarmarsi di fronte al disastro?
Che cosa è più importante l’economia regionale o la Popolazione campana?
Corrado Gabriele invitava, poi, i lettori a boicottare il giornale perché “è assurdo che si faccia una campagna contro l’immagine della nostra città nel mondo.” [http://espresso.repubblica.it/attualita/2013/11/14/news/sequestrate-l-espresso-la-nostra-inchiesta-fa-paura-1.141160].
In effetti, ai nostri giorni, in un regime internazionale di metropoli in concorrenza, perdere dei punti a livello di immagine, è perdere investitori e rischiare il macello come un cattivo cavallo da corsa.
Corrado Gabriele proponeva, dunque ai lettori, di non acquistare il giornale e di “destinare il prezzo di copertina agli aiuti umanitari che l’ONG Save The Children sta promuovendo per i bambini delle Filippine rimasti senza casa e senza famiglia, inviando un sms al 45509”.

Gentile direttore, ho letto tutta la sua inchiesta – complimenti ai giornalisti – e buona parte del rapporto della Tetra Tech.
Ho risposto in queste 48 ore dalla uscita del suo giornale a migliaia di persone che in parte hanno criticato la mia scelta di presentare la denuncia, in parte i titoli di copertina. In tutto sono oltre 100mila le persone che hanno interagito con la mia iniziativa in rete e, come saprà, gli edicolanti napoletani hanno esaurito le copie di vendita del settimanale. 
Il “pugno nello stomaco” dunque è stato assestato, ma io penso che purtroppo i postumi saranno lunghi e dolorosi; molto più efficaci quelli che alimenteranno i detrattori della nostra città e molto meno saranno invece – uso di nuovo il purtroppo – le reazioni del fare delle istituzioni e dell’opinione pubblica, che invece immagino lei aveva previsto. 
Sarei lieto di poter avere un confronto con Lei a Napoli, magari davanti ad un bicchiere d’acqua di rubinetto, in forma pubblica o privata, come Lei desidera, le assicuro che nessun “pugno” le sarà restituito.
Con stima
Saluti, Corrado Gabriele

Secca la replica de l’Espresso:

Gentile Gabriele,
il nostro unico scopo era risvegliare un’opinione pubblica e amministrazioni che ci sembrano assuefatte a una situazione intollerabile: sono pronto a fare con il mio giornale tutto ciò che è necessario per aiutarvi nella vostra difficile impresa.
Naturalmente anche a bere acqua del rubinetto e a mangiare mozzarella di bufala insieme con lei: organizzi pure.
A presto
Bm
Fin qui Gabriele. Ma che cosa dicono in sostanza le lettere di protesta? Quali ne sono i punti cardne? In sostanza, che da centocinquant’anni non si perde occasione per denigrare Napoli; che la Padania è ben più avvelenata della Campania; che se la situazione della Terra dei Fuochi è quella che è ciò si deve a imprese del Nord che lì hanno seppellito i loro veleni; che denunce come quella dell’Espresso costituiscono un colpo mortale al turismo e all’economia; che se tutto è veleno va a finire che nulla è veleno. Che la copertina era ingenerosa con una città che non è solo Camorra e “munnezza” e che dunque non merita generalizzazioni scandalistiche.
Infine – ecco la stilettata più dolorosa – che da un napoletano come me proprio non se lo aspettavano…
Non è facile immaginare il sentimento che si prova in casi come questi. Da napoletano tengo molto alla mia terra, da italiano mi indigna che imprese del Nord d’Italia e d’Europa utilizzino la Campania per scaricare i loro rifiuti tossici e velenosi: gli imprenditori si ingrassano, la Camorra fa affari e i cittadini si ammalano. Va avanti così da trent’anni e nessuna autorità è riuscita finora a fermare un oltraggio insopportabile. Noto piuttosto che, nonostante il coraggio e l’impegno di comitati associazioni e siti web e grandi manifestazioni di piazza, stanno montando parallelamente anche la sottovalutazione del problema in nome del no a ogni allarmismo [“che uccide più dei veleni”, scrive qualcuno] e una deleteria filosofia dell’assuefazione, certo non nuova alla cultura del Sud, il cui scopo è dimostrare che non c’è niente da fare e che la cosa migliore sia seppellire la verità assieme ai veleni sotto una pietra di omertà e silenzio. Sempre che il problema non li tocchi direttamente e da vicino [vedi il caso delle discariche nella stagione della crisi dei rifiuti degli anni scorsi].
Ma chiudere gli occhi, fare finta di niente, tacere la verità o raccontarne solo una fettina non fa che aiutare imprenditori cinici, criminali mafiosi e politici inetti, non assolve i responsabili e purtroppo non guarisce chi si è già ammalato di inquinamento. Non aiuta nemmeno quell’imprenditore di Salerno che addebita a “l’Espresso” ottanta chili di mozzarelle non vendute. Reazione comprensibile, ma miope: così non si elimina il problema di colture inquinate, ma lo si rinvia. Meglio sarebbe pretendere dalle autorità una mappatura rigorosa zona per zona e il divieto di pascolo e coltivazione nelle aree più a rischio e da bonificare. Né serve confrontarsi con la Padania avvelenata [alla quale abbiamo peraltro dedicato decine di articoli, come testimonia l’archivio dell’Espresso]: non sono in ballo primati negativi, e misere classifiche non valgono a sanare il disastro che c’è.
Inoltre il documento, riassunto nell’inchiesta ma che ora potrete leggere nella sua interezza [qui la versione integrale], consegnato dai militari americani alle autorità campane, non si limita a dimostrare scientificamente ciò che tutti sapevano e molti tacevano, ma aggiunge elementi nuovi e inquietanti sulla situazione nella città di Napoli: apprendere che, se fonti e sorgenti della regione sono purissime, il 57 per cento dell’acqua che esce dai rubinetti di molte zone del centro di Napoli non è pulita al cento per cento impone a noi una copertina. E alle autorità di mettere da parte minacce, diffide e richieste milionarie [il sindaco De Magistris ha chiesto un miliardo di euro di danni] e di andare a verificare i risultati, lanciare una campagna di analisi, investire per rimettere a posto la rete idrica.
Comprendo naturalmente le tante perplessità sulla copertina, molti amici e conoscenti che stimo me le hanno esternate, ma è volutamente provocatoria e “tosta”: se dal 1985 la Campania si è trasformata in una discarica a cielo aperto gestita da criminali e a disposizione di chiunque volesse disfarsi di rifiuti tossici e pericolosi; se le confessioni di pentiti vari hanno svelato una realtà che ugualmente ha continuato a riprodursi tale e quale anno dopo anno; se la Terra dei Fuochi continua a bruciare nonostante denunce inchieste e Gomorra varie, ho pensato allora che solo un pugno nello stomaco potesse aiutare a riportare tutti alla tragica realtà e a comportarsi di conseguenza. Perché la cosa più importante non è aver paura di raccontare la verità – che cosa deve cercare di fare un giornale se non questo? – ma pretendere che chi ne ha il potere fermi lo scempio.
Vorrei che la Terra dei Fuochi non bruciasse più, che l’acqua di tutti i rubinetti di Napoli diventasse potabile al cento per cento, che carne e latticini fossero sani e commestibili. Perché se può esserci il rischio che “tutto è avvelenato” significhi che nulla è avvelenato, anche il silenzio e l’omertà possono tradursi in una assoluzione generale. Che però non ha il potere bonificare terreni, emissioni, acque. Non possiamo più permettercelo.

La crisi permanente del capitalismo, nella quale noi siamo entrati è anche la crisi permanente dei rifiuti tossici, crisi generalizzata di cui si inizia a comprendere la vera misura.
La presa di coscienza è partita dal basso, in Campania, vale a dire dai diseredati, che hanno compreso che non era più possibile sopravvivere in una discarica.
Quando sempre più membri della propria famiglia contraggono il cancro, quando il proprio figlio o quello del suo vicino nasce con una malformazione, quando ci si rende conto che la terra agricola dei nonno non è più capace di produrre una mela che non sia avvelenata, non vi è bisogno di esperti per prendere coscienza del problema. 
Le soluzioni esistono, anche se, dopo anni di addomesticamento alla società industriale di consumo di massa, non si realizzeranno senza non poca fatica. 
 
In primo luogo, un piano alternativo di risanamento generale è necessario e indispensabile. Se non si fa, la Campania firma molto semplicemente la sua condanna a morte…
In secondo luogo, ma allo stesso tempo – altrimenti il primo lavoro non servirebbe a niente a lungo termine – si deve combattere ciò che provoca questa situazione, vale a dire lottare contro la logica del valore e mirare allo smantellamento ragionato di ogni produzione commerciale.
Per evitare la sua morte programmata, la Campania – e tutto il Sud dell’Italia – non ha altra scelta che un cambiamento radicale, è la sua sola prospettiva realistica e auspicabile.
È, dunque, di un movimento antieconomico – ciò che vuole, egualmente, dire anticamorrista – che la regione ha bisogno per uscire dal suo dramma e questo movimento ha, già, qualche radice su cui poter crescere. 


Dopo la crisi finanziaria del 2008, il termine capitalismo è divenuto una parola sconcia.
È facile comprenderne il perché.
Questo modo di pensare orientato a breve termine e al profitto personale, che ha condotto alla crisi e alla recessione che ne è seguita, ha, egualmente, alimentato la lunga lista di tragedie umane: migliaia di lavoratori morti nel crollo di fabbriche abusive; un crescente divario di reddito, laddove un miliardo di persone riesce a malapena a sopravvivere con meno di un dollare al giorno, i pericoli del cambiamento climatico che minacciano l’approviggionamento delle derrate alientari essenziali.
Alcuni attribuiscono la colpa di questi problemi al “capitalismo”, arrivando a condannarlo in quanto, intrensicamente privo di etica.
Il capitalismo è tutt’altro che perfetto, esattamente come qualsiasi altro sistema.
Il problema non è il capitalismo in sé; il problema sono quei capitalisti che si concentrano unicamente sul Presente senza preoccuparsi dell’Avvenire.
Il cuore del problema è il seguente: il capitalismo è buono nella misura in cui i capitalisti sono buoni.
Perché un sistema sia sostenibile – politico, governativo, sociale o economico – è necessario che i suoi leaders abbiano un senso etico fortemente radicato.
Il Forum Economico Mondiale dello scorso anno si è aperto con un messaggio di papa Francesco I, trasmesso dal cardinale ghanese Peter Turkson. Il papa ha implorato i leaders economici mondiali di far sì che la ricchezza sia al servizio dell’umanità, non che la asservisca”.
È questa l’essenza del capitalismo etico.

 

Daniela Zini
Copyright © 18 ottobre 2015 ADZ


[1] President John F. Kennedy
Waldorf-Astoria Hotel, New York City
April 27, 1961
Mr. Chairman, ladies and gentlemen:
I appreciate very much your generous invitation to be here tonight.
You bear heavy responsibilities these days and an article I read some time ago reminded me of how particularly heavily the burdens of present day events bear upon your profession.
You may remember that in 1851 the New York Herald Tribune under the sponsorship and publishing of Horace Greeley, employed as its London correspondent an obscure journalist by the name of Karl Marx.
We are told that foreign correspondent Marx, stone broke, and with a family ill and undernourished, constantly appealed to Greeley and managing editor Charles Dana for an increase in his munificent salary of $5 per instalment, a salary which he and Engels ungratefully labelled as the “lousiest petty bourgeois cheating.”
But when all his financial appeals were refused, Marx looked around for other means of livelihood and fame, eventually terminating his relationship with the Tribune and devoting his talents full time to the cause that would bequeath the world the seeds of Leninism, Stalinism, revolution and the cold war.
If only this capitalistic New York newspaper had treated him more kindly; if only Marx had remained a foreign correspondent, history might have been different. And I hope all publishers will bear this lesson in mind the next time they receive a poverty-stricken appeal for a small increase in the expense account from an obscure newspaper man.
I have selected as the title of my remarks tonight “The President and the Press.” Some may suggest that this would be more naturally worded “The President Versus the Press.” But those are not my sentiments tonight.
It is true, however, that when a well-known diplomat from another country demanded recently that our State Department repudiate certain newspaper attacks on his colleague it was unnecessary for us to reply that this Administration was not responsible for the press, for the press had already made it clear that it was not responsible for this Administration.
Nevertheless, my purpose here tonight is not to deliver the usual assault on the so-called one party press. On the contrary, in recent months I have rarely heard any complaints about political bias in the press except from a few Republicans. Nor is it my purpose tonight to discuss or defend the televising of Presidential press conferences. I think it is highly beneficial to have some 20,000,000 Americans regularly sit in on these conferences to observe, if I may say so, the incisive, the intelligent and the courteous qualities displayed by your Washington correspondents.
Nor, finally, are these remarks intended to examine the proper degree of privacy which the press should allow to any President and his family.
If in the last few months your White House reporters and photographers have been attending church services with regularity, that has surely done them no harm.
On the other hand, I realize that your staff and wire service photographers may be complaining that they do not enjoy the same green privileges at the local golf courses that they once did.
It is true that my predecessor did not object as I do to pictures of one’s golfing skill in action. But neither on the other hand did he ever bean a Secret Service man.
My topic tonight is a more sober one of concern to publishers as well as editors.
I want to talk about our common responsibilities in the face of a common danger. The events of recent weeks may have helped to illuminate that challenge for some; but the dimensions of its threat have loomed large on the horizon for many years. Whatever our hopes may be for the future - for reducing this threat or living with it - there is no escaping either the gravity or the totality of its challenge to our survival and to our security - a challenge that confronts us in unaccustomed ways in every sphere of human activity.
This deadly challenge imposes upon our society two requirements of direct concern both to the press and to the President - two requirements that may seem almost contradictory in tone, but which must be reconciled and fulfilled if we are to meet this national peril. I refer, first, to the need for a far greater public information; and, second, to the need for far greater official secrecy.

I
The very word “secrecy” is repugnant in a free and open society; and we are as a people inherently and historically opposed to secret societies, to secret oaths and to secret proceedings. We decided long ago that the dangers of excessive and unwarranted concealment of pertinent facts far outweighed the dangers which are cited to justify it. Even today, there is little value in opposing the threat of a closed society by imitating its arbitrary restrictions. Even today, there is little value in insuring the survival of our nation if our traditions do not survive with it. And there is very grave danger that an announced need for increased security will be seized upon by those anxious to expand its meaning to the very limits of official censorship and concealment. That I do not intend to permit to the extent that it is in my control. And no official of my Administration, whether his rank is high or low, civilian or military, should interpret my words here tonight as an excuse to censor the news, to stifle dissent, to cover up our mistakes or to withhold from the press and the public the facts they deserve to know.
But I do ask every publisher, every editor, and every newsman in the nation to reexamine his own standards, and to recognize the nature of our country’s peril. In time of war, the government and the press have customarily joined in an effort based largely on self-discipline, to prevent unauthorized disclosures to the enemy. In time of “clear and present danger,” the courts have held that even the privileged rights of the First Amendment must yield to the public’s need for national security.
Today no war has been declared - and however fierce the struggle may be, it may never be declared in the traditional fashion. Our way of life is under attack. Those who make themselves our enemy are advancing around the globe. The survival of our friends is in danger. And yet no war has been declared, no borders have been crossed by marching troops, no missiles have been fired.
If the press is awaiting a declaration of war before it imposes the self-discipline of combat conditions, then I can only say that no war ever posed a greater threat to our security. If you are awaiting a finding of “clear and present danger,” then I can only say that the danger has never been more clear and its presence has never been more imminent.
It requires a change in outlook, a change in tactics, a change in missions - by the government, by the people, by every businessman or labor leader, and by every newspaper. For we are opposed around the world by a monolithic and ruthless conspiracy that relies primarily on covert means for expanding its sphere of influence - on infiltration instead of invasion, on subversion instead of elections, on intimidation instead of free choice, on guerrillas by night instead of armies by day. It is a system which has conscripted vast human and material resources into the building of a tightly knit, highly efficient machine that combines military, diplomatic, intelligence, economic, scientific and political operations.
Its preparations are concealed, not published. Its mistakes are buried, not headlined. Its dissenters are silenced, not praised. No expenditure is questioned, no rumor is printed, no secret is revealed. It conducts the Cold War, in short, with a war-time discipline no democracy would ever hope or wish to match.
Nevertheless, every democracy recognizes the necessary restraints of national security - and the question remains whether those restraints need to be more strictly observed if we are to oppose this kind of attack as well as outright invasion.
For the facts of the matter are that this nation’s foes have openly boasted of acquiring through our newspapers information they would otherwise hire agents to acquire through theft, bribery or espionage; that details of this nation’s covert preparations to counter the enemy’s covert operations have been available to every newspaper reader, friend and foe alike; that the size, the strength, the location and the nature of our forces and weapons, and our plans and strategy for their use, have all been pinpointed in the press and other news media to a degree sufficient to satisfy any foreign power; and that, in at least in one case, the publication of details concerning a secret mechanism whereby satellites were followed required its alteration at the expense of considerable time and money.
The newspapers which printed these stories were loyal, patriotic, responsible and well-meaning. Had we been engaged in open warfare, they undoubtedly would not have published such items. But in the absence of open warfare, they recognized only the tests of journalism and not the tests of national security. And my question tonight is whether additional tests should not now be adopted.
The question is for you alone to answer. No public official should answer it for you. No governmental plan should impose its restraints against your will. But I would be failing in my duty to the nation, in considering all of the responsibilities that we now bear and all of the means at hand to meet those responsibilities, if I did not commend this problem to your attention, and urge its thoughtful consideration.
On many earlier occasions, I have said - and your newspapers have constantly said - that these are times that appeal to every citizen’s sense of sacrifice and self-discipline. They call out to every citizen to weigh his rights and comforts against his obligations to the common good. I cannot now believe that those citizens who serve in the newspaper business consider themselves exempt from that appeal.
I have no intention of establishing a new Office of War Information to govern the flow of news. I am not suggesting any new forms of censorship or any new types of security classifications. I have no easy answer to the dilemma that I have posed, and would not seek to impose it if I had one. But I am asking the members of the newspaper profession and the industry in this country to re-examine their own responsibilities, to consider the degree and the nature of the present danger, and to heed the duty of self-restraint which that danger imposes upon us all.
Every newspaper now asks itself, with respect to every story: “Is it news?” All I suggest is that you add the question: “Is it in the interest of the national security?” And I hope that every group in America - unions and businessmen and public officials at every level - will ask the same question of their endeavors, and subject their actions to the same exacting tests.
And should the press of America consider and recommend the voluntary assumption of specific new steps or machinery, I can assure you that we will cooperate whole-heartedly with those recommendations.
Perhaps there will be no recommendations. Perhaps there is no answer to the dilemma faced by a free and open society in a cold and secret war. In times of peace, any discussion of this subject, and any action that results, are both painful and without precedent. But this is a time of peace and peril which knows no precedent in history.

II
It is the unprecedented nature of this challenge that also gives rise to your second obligation - an obligation which I share. And that is our obligation to inform and alert the American people - to make certain that they possess all the facts that they need, and understand them as well - the perils, the prospects, the purposes of our program and the choices that we face.
No President should fear public scrutiny of his program. For from that scrutiny comes understanding; and from that understanding comes support or opposition. And both are necessary. I am not asking your newspapers to support the Administration, but I am asking your help in the tremendous task of informing and alerting the American people. For I have complete confidence in the response and dedication of our citizens whenever they are fully informed.
I not only could not stifle controversy among your readers - I welcome it. This Administration intends to be candid about its errors; for as a wise man once said: “An error does not become a mistake until you refuse to correct it.” We intend to accept full responsibility for our errors; and we expect you to point them out when we miss them.
Without debate, without criticism, no Administration and no country can succeed - and no republic can survive. That is why the Athenian lawmaker Solon decreed it a crime for any citizen to shrink from controversy. And that is why our press was protected by the First Amendment - the only business in America specifically protected by the Constitution - not primarily to amuse and entertain, not to emphasize the trivial and the sentimental, not to simply “give the public what it wants” - but to inform, to arouse, to reflect, to state our dangers and our opportunities, to indicate our crises and our choices, to lead, mold, educate and sometimes even anger public opinion.
This means greater coverage and analysis of international news - for it is no longer far away and foreign but close at hand and local. It means greater attention to improved understanding of the news as well as improved transmission. And it means, finally, that government at all levels, must meet its obligation to provide you with the fullest possible information outside the narrowest limits of national security - and we intend to do it.

III
It was early in the Seventeenth Century that Francis Bacon remarked on three recent inventions already transforming the world: the compass, gunpowder and the printing press. Now the links between the nations first forged by the compass have made us all citizens of the world, the hopes and threats of one becoming the hopes and threats of us all. In that one world’s efforts to live together, the evolution of gunpowder to its ultimate limit has warned mankind of the terrible consequences of failure.
And so it is to the printing press - to the recorder of man’s deeds, the keeper of his conscience, the courier of his news - that we look for strength and assistance, confident that with your help man will be what he was born to be: free and independent.
http://www.youtube.com/watch?v=AKhUbOxM2ik

[2] “Io [Gaetano Vassallo, ndr] ho visto tutta la schifezza che abbiamo sputato nella terra. Una volta scaricammo fanghi, liquidi che erano scarti di lavorazione di un’industria farmaceutica. Poco dopo i ratti si sono estinti, sono spariti.”
Immagini dall’orrore.
“Mi vergogno, avrei dovuto pentirmi prima.”
Lo fa nell’aprile del 2008.
“Avevo paura. Quando il killer Giuseppe Setola è uscito su Castel Volturno ha cominciato a fare i morti. Un componente del clan mi disse che non era controllabile. Così mi sono pentito. Non ce la facevo più. Ho cambiato vita, allo Stato ho consegnato tutte le mie ricchezze.”
In quell’anno, Setola aveva eliminato anche Michele Orsi [primo giugno 2008], imprenditore che aveva iniziato a fare dichiarazioni ai pubblici ministeri.
“Sergio e Michele Orsi erano legati al clan. Prima dell’omocidio di Michele avevo detto agli inquirenti che sia Sergio che Michele erano stati designati perché non avevano mantenuto gli accordi con la Camorra. Il clan gli aveva fatto la cartella. Dovevano morire e il clan mantiene gli impegni. Gli Orsi avevano tanti amici, funzionari, imprenditori, erano in rapporti anche con un magistrato.”
Una organizzazione criminale che ha risolto la crisi dei rifiuti toscana prima, della provincia di Roma, poi, e offerto soluzioni economiche alle imprese del Nord, agli impianti che dovevano smaltire.
Vassallo ricorda l’inizio di questo horror di distruzione, morte e terra stuprata.
“Ha iniziato mio padre, non sapeva neanche scrivere. Le carte le compilavano gli amici sul comune. Teneva la cava di pozzolana, rimanevano grosse buche. Un conoscente gli ha suggerito di buttarci i rifiuti. In quel periodo io facevo l’agente di polizia penitenziaria, l’ausiliare, mi sono congedato nel 1980, l’anno della strage di Bologna. Tornai a casa.”
La struttura organizzativa era molto semplice.
“C’erano le società commerciali che si occupavano dell’intermediazione e del trasporto tutte controllate da Gaetano Cerci, camorrista, nipote del boss Francesco Bidognetti, che aveva la società Ecologia 89. Poi c’erano tre imprenditori, io, Luca Avorio e Cipriano Chianese che avevamo le discariche.”
Vassallo continua:
“Utilizzavamo le certificazioni che avevamo, anche se le discariche erano esaurite. I rifiuti ufficialmente venivano smaltiti nei nostri impianti, ma finivano nei campi, sotto la Nola-Villa Literno, nei terreni incolti, in altre cave. Tutto senza controllo.”
La rete era estesa. Vassallo ricorda un’altra presenza costante in questo affare: la Massoneria.
“Gaetano Cerci andava a casa di Licio Gelli, mi spiegò che Gelli era un procacciatore di imprenditori del Nord che potevano inviarci i rifiuti.”
Nel 2006, la Procura della Repubblica di Napoli chiese addirittura l’arresto di Licio Gelli.
“I rapporti preferenziali tra Gaetano Cerci e Licio Gelli appaiono poi assolutamente certi, essendo riferiti da Schiavone, De Simone, la Torre, Quadrano, Di Dona, sia de relato che per scienza diretta.”
Ma Gelli da quella indagine ne è uscì pulito.
L’avvocato e imprenditore Cipriano Chianese, sotto processo per disastro ambientale e collusione con i clans, “è stato l’ideatore dell’organizzazione. Aveva conoscenze importanti, era amico di un generale dei carabinieri. A Chianese lo Stato ha preso solo una parte dei beni, molti soldi li ha macchiati”. 

[3] I policlorobifenili sono composti chimici dotati di una grande stabilità che li rende difficilmente degradabili, acuendo l’effetto di bioaccumulazione negli organismi viventi. Da studi epidemiologici delle vie respiratorie e cardiovascolari è risultato che i PCB vengono assorbiti, sotto forma di vapori, attraverso l’apparato respiratorio e, per contatto, attraverso la cute. È stato, inoltre, riscontrato anche un possibile assorbimento per via gastroenterica, a seguito di ingestione accidentale o per la presenza dei composti nella catena alimentare. I composti contenenti PBC sono considerati per la loro tossicità nei confronti dell’uomo e dell’ambiente, tra gli inquinanti più pericolosi. 

[4] Tra gli artefici dell’avvelenamento delle terre campane e, in particolare, della zona di Acerra, vi sono, anche, l’inquinamento e le scorie prodotte e smaltite illegalmente dallo stabilimento della Montefibre della stessa Acerra.

[5] Il toluene [noto anche come toluolo, nome IUPAC metilbenzene] è un liquido volatile e incolore dall’odore caratteristico. La sua formula bruta è C7H8, il suo numero CAS è 108-88-3. È la materia prima di partenza per la sintesi del 2,4,6-trinitrotoluene [l’esplosivo noto anche come tritolo o TNT], nonché di molti altri composti chimici, tra i quali l’acido benzoico [usato come conservante], il fenolo, il benzene, il caprolattame e la saccarina [secondo il metodo Remsen-Fahlberg]. Viene, altresì, usato come mezzo di contrasto in microscopia.
Il toluene è un idrocarburo aromatico; viene usato come solvente in sostituzione del più tossico benzene, cui somiglia sotto molti aspetti. È, anche, contenuto nella benzina.
Il toluene è, principalmente, usato come sostituto del benzene, sia come reattivo sia come solvente. Come tale viene impiegato per sciogliere resine, grassi, oli, vernici, colle, coloranti e molti altri composti.
Il toluene danneggia i nervi, i reni e, probabilmente, anche il fegato. L’inalazione dei suoi vapori produce sintomi di stanchezza, nausea, confusione, disturbi alla coordinazione dei movimenti e può portare alla perdita di coscienza.
Un contatto regolare può produrre un’intossicazione dagli effetti euforizzanti e insufficienza midollare con conseguente anemia aplastica. I vapori di toluene hanno un effetto narcotico a carico degli organi respiratori e sono irritanti per gli occhi; sono, anche, possibili in alcune persone manifestazioni allergiche.
Il toluene deve essere conservato in ambienti molto ben aerati.
Anche in piccole quantità, benché non sia solubile in acqua, il toluene è considerato un inquinante delle acque [WKG 2]. È facilmente biodegradabile.
La miscela dei suoi vapori con l’aria in percentuali comprese tra l’1,2% ed l’8% è esplosiva.

[6] Quando Carmine Schiavone iniziò a collaborare, le sue deposizioni furono determinanti per il maxiblitz, che portò a 136 arresti di affiliati al clan, operazione da cui derivò il processo Spartacus. Al termine del processo furono condannati il cugino Francesco Schiavone detto Sandokan, Michele Zagaria e Francesco Bidognetti, ritenuti la cupola del clan. Con loro furono condannate altre 30 persone.
Nel 2013, Schiavone rilasciò alcune interviste, in cui, per la prima volta, pubblicamente, ricostruiva gli accordi tra clans dei Casalesi e pezzi della politica e dell’imprenditoria per lo sversamento illegale di rifiuti pericolosi in Campania. Notizie che aveva, in buona parte, già, fornito all’autorità giudiziaria, tra il 1993 e il 1997. 

[7] TV Luna, 31 octobre 2013 [https://www.youtube.com/watch?v=dM0YVyACokM]
 
[8] “Quattro anni e tre mesi per Corrado Gabriele, l’ex-assessore regionale campano al Lavoro dal 2005 al 2010 nella giunta guidata da Antonio Bassolino, attualmente consigliere regionale del Pd. Gabriele è stato condannato anche al pagamento di una provvisionale di 10mila euro a testa alle vittime che si sono costituite parte civile, assistite dall’avvocato Elena Coccia. Il politico era imputato di quattro diversi casi di violenza sessuale nei confronti di due ragazze, una delle quali minorenne all’epoca dei fatti, accaduti tra il 1999 e il 2005. Si tratta delle due figlie di primo letto dell’ex-compagna di Gabriele, eletto l’anno scorso in consiglio regionale nelle fila dei democratici, dopo una lunga militanza in Rifondazione Comunista.” [http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/04/28/abusi-sessuali-condannato-a-quattro-anni-il-consigliere-pd-corrado-gabriele/107643/]

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