LA MEMORIA
È L’AVVENIRE
DEL PASSATO
recensione al libro di Gianni
Palagonia:
L’AQUILA
E
LA PIOVRA
di
Daniela Zini
Questo libro si rivolge a chi sa cosa significhi combattere
mafiosi e terroristi, per conto di governanti indifferenti e, talvolta,
complici.
“Un grazie a Gianni Palagonia e al piacere di
rileggerlo!”
“Errare humanum est, perseverare
autem diabolicum, et tertia non datur.”
In
altri termini, se fate degli sbagli, vedete di non ripeterli più di due volte,
non vi è una terza possibilità…
Se
sbagliare è, infatti, parte della natura umana, una reiterazione dello sbaglio non
si può intendere come una attenuante di responsabilità, al contrario, un mezzo
per apprendere dalla esperienza.
Un
avvertimento, quello di Seneca, di cui avremmo dovuto fare tesoro entrambi…
¿Quién
sabe?
Scherzo,
naturalmente!
Destabilizzante,
sconcertante, ma di lettura piacevole!
Io
non sapevo come convenisse presentare questo libro, perché il mio commento
avrebbe potuto, fortemente, variare in funzione del cappello che avessi scelto
di adottare: quello dello scrittore o quello del lettore. Dopo una matura
riflessione, mi appare più appropriato abbandonare – senza dimenticarlo
completamente – il cappello dello scrittore a vantaggio di quello del lettore,
perché lo scrittore in me non può che essere irritato dal Fantasma letterario,
che riposa su una certa conoscenza, perfino, una conoscenza certa, dei luoghi
che hanno ispirato l’Autore per costruire le composte narrazioni e i compositi
dialoghi.
Roma,
3 aprile 2016
Daniela
Zini
ALBANIA
il Vaso di Pandora?
“All over the
Balkans, there is an association between highway robbery and revolutionary
idealism which the Westerner finds disconcerting, but which is an inevitable
consequence of the Turkish conquest.”
Rebecca West, Black
Lamb and Grey Falcon: a Record of a ]ou mey through Yougoslavia in 1937, London 1943
Tirana, Piazza Scanderbeg
n un Paese come
l’Albania, in cui la stabilità politica ed economica resta di una estrema
fragilità, la costrizione esterna − che si tratti di quella esercitata dall’Unione
Europea, per migliorare il funzionamento delle istituzioni, o di quella imposta
dal Fondo Monetario Internazionale [International Monetary Fund, IMF], in materia di
stabilizzazione macroeconomica, – è divenuta, dagli inizi degli anni 2000, un
elemento sempre più decisivo della evoluzione del Paese.
Secondo l’opinione
di militari albanesi come di diversi attori internazionali, questa pressione,
legittimata dal progetto di integrazione, sempre più a lungo termine, alle
strutture euro-atlantiche, non può allentarsi, se non a rischio di ingenerare
nuove tensioni politiche e, soprattutto, una nuova regressione economica.
Tuttavia, su questo piano, a dispetto degli aiuti finanziari esterni, in
particolare quelli provenienti dall’Unione
Europea [UE] e dalla Banca Mondiale [World Bank, WB], la cui efficacia continua a suscitare – in
modo minore rispetto agli anni 1990 – un certo numero di riserve, le cifre
malcelano una stagnazione economica, di cui testimonia, per contro, il livello
di vita sempre molto basso della popolazione.
L’Albania non è
così cool
“Ora
guardo all’Albania, un Paese in crescita, candidato a entrare nell’Unione
Europea, un Paese da cui ancora si parte per raggiungere l’altra sponda dell’Adriatico,
ma ora rispetto al passato sempre più spesso per studiare. Per studiare e per
poi tornare in patria, tanto all’Italia è rimasto davvero poco da offrire.”
Questa Albania NON è vera!
L’Albania NON è Tirana, Valona e Durazzo, dai bar chic e dai call-centers italiani; Albania è, anche, altre città, ridotte,
letteralmente, alla miseria per mancati investimenti e amministrazioni
corrotte.
Non esiste il miracolo albanese e chi lo afferma
mente, sapendo di mentire!
Il rapporto
dell’United Nations Development Programme
[UNDP], intitolato Millennium
Development Goals in Albania [http://www.un.org.al/subindex.php?faqe=details&id=13&mnu=14],
sulla situazione economico-sociale dell’Albania, vista in prospettiva fino al
2015, asseriva che il Paese avrebbe dovuto affrontare difficili sfide per la
stabilità, dopo l’uscita dalla crisi economica.
E, secondo l’Agenzia Nova:
“Tirana, 11 mar 12:20 - [Agenzia Nova]
- Il tasso di disoccupazione in Albania è cresciuto alla fine del 2015, salendo
di 0,2 punti percentuali rispetto al terzo trimestre dello scorso anno,
attestandosi a 17,7 per cento: lo rivela il sondaggio condotto dall’Istituto
delle statistiche albanese [Instat]. Secondo i dati, il numero degli occupati è
di 1.071.053 persone, mentre quello dei disoccupati dell’età fra 15 e 64 anni è
di 230.747 persone. Altissimo invece il tasso di disoccupazione, 32,2 per
cento, fra i giovani dell’età fra 15 e 29 anni. Rispetto al quarto trimestre
del 2014, il numero degli occupati è salito di 31.717 persone, mentre quello
dei disoccupati di 3.340 persone. Rispetto al terzo trimestre del 2015, invece,
gli occupati sono cresciuti di 7.361 unità, mentre il numero dei disoccupati di
4.466 persone.” [http://www.agenzianova.com/a/0/1313982/2016-03-11/albania-tasso-disoccupazione-in-crescita-alla-fine-del-2015-sale-al-17-7-per-cento]
L’emigrazione
non si è, mai, fermata!
Nell’ultimo
decennio, molti imprenditori italiani hanno deciso di delocalizzare in Albania,
spinti dal miraggio di maggiori profitti, in totale assenza di sindacati e di
diritti per i lavoratori, conseguendo un notevole livello di radicamento nel
mondo albanese con circa 400 piccole e medie imprese attive, soprattutto, nel
manifatturiero, nelle costruzioni e nei servizi, tra cui spiccano gruppi industriali
medio-grandi [Italcementi, Coca-Cola Albania, Intesa San Paolo e CONAD], che
operano, prevalentemente, lungo la costa adriatica e nella parte occidentale
del Paese.
Lo sfruttamento
della manodopera a basso costo è una triste realtà in Albania!
Come scrive
Fatos Lubonja:
“La
politica albanese cerca di manipolare i cittadini attraverso i media
internazionali, sfruttando le debolezze di persone che per stare meglio hanno
bisogno di autocompiacersi, spesso all’interno di quel complesso di inferiorità
che cerca conferme nell’attenzione degli stranieri. Il tutto anche per vendere
all’estero questa realtà come una sorta di paradiso e per fare poi di questi
articoli e reportage la superficie su cui invitare i cittadini a specchiarsi.
Nonché per legittimare il potere e gli autori di un paradiso che in realtà è un
inferno. In questo modo, chi non può contare sull’indipendenza di pensiero,
rimane suggestionato dall’autorevolezza degli stranieri, riconoscendo nel
proprio Paese paradiso e inferno nello stesso tempo; passando dall’uno
all’altro senza riuscire a capire né dove stia l’inganno, né di chi sia opera.
Tale
manipolazione, in particolare con i media italiani, è pesantemente in atto da
qualche tempo. Non molto tempo fa, a Bari, due giornalisti mi hanno fatto
quella che più che una domanda era un’affermazione: “Potrebbe cortesemente
illustrarci questo miracolo albanese: ora non sono più gli albanesi a lasciare
il Paese ma gli italiani ad andare in Albania”. Chiaramente rimasi basito. Mi
venne in mente il film di Amelio di due-tre anni fa che finisce con il
protagonista italiano che trova lavoro in Albania. Allora ho fatto notare ai
giornalisti che forse avevano preso troppo sul serio l’ironia del regista,
incentrata sulla difficile situazione italiana. Ma non molto tempo dopo ho
visto un’intera pagina di Repubblica sullo stesso tema, con l’intervista ad un
albanese di successo, rientrato in patria per aprirvi un call center. Ancora,
una giornalista di Rai 2 non tardò a piombare un giorno a casa mia, dicendomi
di essere venuta per immortalare l’Albania in cui da qualche tempo facevano
ritorno gli albanesi, e ora anche gli italiani. Alla domanda su chi fossero
queste imprese italiane che avevano da prima cercato e poi avuto cotanta
fortuna in Albania, non seppe che nominare il caso del famoso call center. Come
se quel lavoro dove i ragazzi sono rinchiusi come i polli nelle incubatrici, a
fare telefonate assurde per otto ore al giorno e due-trecento euro al mese,
avesse qualcosa anche di minimamente dignitoso.
Trovo
che sia normale, anzi simpatico, che ci siano italiani dimentichi del razzismo
che ancora oggi impregna il giudizio sull’Albania, ma un maggiore senso della
realtà è dovuto e questi giornalisti non possono permettersi di raggirare i
loro connazionali, senza considerare, per giunta, che forse sono loro stessi ad
essere manipolati per abbindolare gli albanesi.”
L’Albania propriamente detta è uno Stato popolato da circa 2,8 milioni di
abitanti; ma vivono circa 7 milioni di albanofoni in Montenegro e in Macedonia,
senza contare le importanti diaspore in Turchia e in Italia. L’Albania è uno
degli Stati la cui popolazione ha più sofferto della transizione dell’ex-blocco
comunista verso la Democrazia. Nel 1990, festeggiammo, in anticipo, la
fine del secolo, una specie di mattatatoio, e inaugurammo il nuovo Millennio. Ed
è agli inizi degli anni 1990 che la eccezionale
crisi economica sprofonda gli strati popolari in una estrema miseria,
provocando un esodo massivo verso l’Occidente e, in particolare, verso l’Italia.
Questo esodo ha favorito il traffico di migranti, lucrativo per le criminalità
albanese e italiana. Dalla caduta del comunismo, nel 1991, l’Albania è,
infatti, uno dei principali Paesi, che alimentano la tratta di bambini negli
Stati europei vicini. I bambini tra i 4 e i 7 anni sono, particolarmente, quotati,
perché sono quelli che riescono a raggranellare più danaro. E i trafficanti
arrivano, anche, ad “affittare” neonati per le mendicanti. Si calcola che,
almeno, 3mila bambini albanesi siano stati portati, in Grecia e in Italia, per
chiedere l’elemosina.
Nell’ottobre del
1999, la Direzione
Investigativa Antimafia [DIA] pubblicava un Rapporto sulle
diverse forme di criminalità organizzata gestite da comunità straniere in
Italia. All’interno del rapporto veniva evidenziato, in modo chiaro, come
la presenza di un gran numero di cittadini extracomunitari clandestini o
irregolarmente presenti nel nostro Paese giocasse a tutto favore della
criminalità organizzata straniera, in quanto la precarietà della condizione di
tali persone, spesso, senza legami, senza conoscenza di usi, costumi e lingua,
alla ricerca disperata della sopravvivenza, li rendeva facile preda delle
organizzazioni criminali. Sul tema specifico dell’accattonaggio, gli
osservatori della DIA affermavano che
i criminali dediti allo sfruttamento dei minori per l’accattonaggio e delle
donne per la prostituzione fossero veri e propri schiavisti.
“I piccoli
vengono in genere
ceduti ai trafficanti dalle famiglie e diventano schiavi: vengono tenuti a
gruppi in tuguri, nutriti al minimo, e vestiti di stracci, un po’ per risparmio
e molto per attirare la pietà e, quindi, l’elemosina. Se alla fine della
giornata non hanno raccolto il minimo previsto, sono minacce, percosse,
torture. Alcuni bambini mangiano e vestono meglio: sono quelli destinati ai
pedofili.”
Altre informazioni di un certo rilievo provengono dalla Relazione sul traffico di esseri umani,
approvata dalla Commissione parlamentare
d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni similari,
il 5 dicembre 2000.
“L’accattonaggio rappresenta un mercato illecito nel quale
sono sfruttati soprattutto i minori di origine slava e albanese, provenienti da
famiglie molto numerose ed estremamente disagiate. La lettura di rassegne
stampa specifiche sull’argomento, ha permesso al Comitato di constatare come
costantemente il ruolo dello sfruttatore sia rivestito da persone della stessa
cittadinanza dei bambini sfruttati [albanesi, slavi, rumeni]. Questi ultimi,
privati dei loro elementari diritti, costretti a vivere molto spesso all’interno
di baracche situate nelle periferie delle città, questi piccoli bambini sono
costretti all’esercizio dell’accattonaggio nelle stazioni delle grandi città o
agli incroci di strade particolarmente trafficate.
Il loro compito è quello di guadagnare quotidianamente una
determinata somma, richiedendo un’elemosina ai passanti ovvero cercando di
attuare nei loro confronti il furto del portafoglio, della borsa o di un
oggetto di particolare valore. Il mancato raggiungimento della somma
prestabilita, così come qualsiasi tentativo di fuga o di ribellione ai propri
sfruttatori, viene punito in maniera violenta, in modo tale che il reo ed i
suoi compagni capiscano il senso della sanzione e abbandonino qualsiasi
tentativo di ricerca della libertà. Probabili sono le possibilità che questi
minori, oltre ad essere oggetto di compravendita o di scambi tra diversi
sfruttatori, siano sottoposti ad abusi sessuali e, con il passare degli anni,
impiegati all’interno di altri mercati illeciti nello svolgimento di attività
criminali più evolute. Indagini svolte dal Comando Regionale Carabinieri della
Regione Basilicata hanno avuto modo di accertare che i minori sono utilizzati
per finalità legate alle adozioni illegali. Nel corso del 1998 e 1999, infatti,
sono stati liberati sette bambini albanesi e un bambino bielorusso oggetto di
questo turpe traffico”.
L’AQUILA E LA PIOVRA di Gianni
Palagonia è il primo libro dedicato a questo soggetto, che tratta di cose
terribili con la serietà e il pudore che si impongono. Una occasione di riflessione
per ribadire, con forza, la importanza di procedere sulla strada
dell’affermazione dei diritti e del rispetto della diversità, di quei principi
di eguaglianza e di dignità politica e sociale, sanciti dalla nostra
Costituzione.
Quando una
cultura dominante, utilizzata da una istituzione o da un potere, serve una
verità prestabilita, il rischio è di mantenere, sotto il moggio, i mille e un
misfatto, commessi sotto il mantello delle verità ufficiali.
Resta agli “Eretici”
la cura di sbullonare le Verità troppo scomode, di riferire i fatti e di ridare
un nome e una traccia ai “Capri Espiatori”.
Nel quadro proposto nelle pagine seguenti mi sono
limitata solo a inserire alcune informazioni, che ritenevo utili alla
comprensione del Paese.
Non preoccupatevi di me, di
ciò che io sono stata, di ciò che io sono o di ciò che io sarò.
Io non sono che un Essere
Umano tra i miliardi di Esseri Umani che popolano questo pianeta Terra.
Poco importa il mio nome, il
mio colore della pelle, la mia religione, la mia statura, il mio peso, il mio
sesso…
Io non sono che un cartello
indicatore!
Abbiate, vi prego, la saggezza di seguire la direzione senza attardarvi.
E, se la direzione, che è
data da questo libro, vi entusiasma e vi fa desiderare di fare parte degli
“Eretici”, allora siate i benvenuti!
Comunque sia, ricordatevi
che la direzione è saggia e giusta!
Se voi la sperimenterete
sinceramente, la troverete.
Ora, sta a voi seguire il
cammino e a me spigolare alcuni dei più sorprendenti passi di questo Mirabilis Liber…
“Il
comandante dell’aereo ci informò che eravamo prossimi all’atterraggio e che la
temperatura a Tirana era di circa 35 gradi, ringraziandoci a nome della
Compagnia per aver volato con la Belle Air. L’ultima virata di 90 gradi mi
permise di avvistare a sinistra una montagna bellissima, circondata da una
fitta foresta. Lì non si vedevano palazzi ma esclusivamente quelle che mi erano
parse finora strane cupole grigie. Ora riuscivo a distinguerle bene. Niente
dischi volanti: quelli non erano altro che bunker. Bunker, bunker dappertutto:
uno spettacolo inquietante. Stavamo sorvolando a bassa quota l’ultimo tratto
prima di atterrare e continuavo a vedere bunker a perdita d’occhio. A che
diavolo serve tutta questa roba? Mi chiedevo.”
Parlare di un Paese
povero non è esatto. Il prezzo del metro quadrato è considerevole in città e
tutto si acquista in cash. Le vetture
lussuose sono numerose e, anche, rubate. Hanno un costo, perché la lunga catena
di collusioni e di complicità, necessarie per passare le frontiere e
falsificare i documenti, sottintende un
do ut des. Questo do ut des non è
appannaggio esclusivo di questo Paese, esiste in tutti i Paesi che sono usciti
dal comunismo e, se si guarda da vicino, le nostre democrazie occidentali non
hanno lezioni da dare.
“Oltre
al pericolo, lo spettacolo era quello di un contrasto incredibile: gente
talmente povera da andare a piedi, mentre ai lati del nostro mezzo sfrecciavano
auto costosissime come Hammer, Ferrari, Audi, Porsche, BMW, Mercedes, e
addirittura una Bentley. La maggior parte erano Mercedes perché, a dire di
Matteo, erano le auto con le sospensioni più forti per sopportare strade, che,
in alcuni punti, erano poco più che mulattiere. La cosa più strana era che alla
guida di queste auto costosissime c’erano anche ragazzi in apparenza appena
maggiorenni. “Ma dove li prendono i soldi per mantenere auto di lusso?”
“Droga,
armi, riciclaggio o sfruttamento della prostituzione. La maggior parte delle
macchine di grossa cilindrata sono rubate in Italia, Germania, Svizzera.
Lasciano ancora le targhe originali, oppure vanno in giro senza targa. Molte
auto sono acquistate regolarmente, ma con soldi sporchi. In genere a bordo ci
sono figli di politici o imprenditori che non si sa come hanno fatto i soldi,
anche se si può immaginare.”
Nel pensiero
occidentale i Balcani sono sempre stati visti come “la brutta appendice” dell’Europa,
una regione dove le tensioni etniche e i conflitti sono endemici.
Il principe
Klemens von Metternich, che, in una nota inviata, il 2 agosto 1847, al conte Moritz
Joseph von Dietrichstein, scrisse la famosa e controversa frase:
“La
parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la
lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari
tendono ad imprimerle”,
riteneva
che i Balcani non facessero parte dell’Europa:
“L’Asia
inizia dalla Landstrasse.”,
la strada che
iniziava da Vienna con direzione verso Sud-Est e verso l’Ungheria. Ma l’Albania,
nonostante la cattiva opinione, è costituita da molte persone oneste, che,
avendo perduto speranza nel loro Paese, sono andate a lavorare all’estero,
temporaneamente o definitivamente, legalmente o illegalmente.
“Ma…
gente onesta ce n’è in Albania?”
“Scherzi?
L’80% della popolazione è gente bravissima che vive di duro lavoro, regolare o
meno. Ci sono anche quelli che sono partiti dal niente e lavorando sodo si sono
fatti una posizione. Magnifiche persone, vedrai. L’albanese, poi, ha un cuore
grande, una dignità e un amor proprio che non hai idea. Il problema è quel 20%
di canaglie che hanno rovinato una Nazione intera.”
“Un
po’ come succede in Italia con mafia, camorra e ndrangheta…”
Una parte non
trascurabile dell’élite intellettuale
fugge dal Paese a flusso continuo da dieci anni. E lo sviluppo del Paese ne
soffre notevolmente.
“Purtroppo
c’è anche di peggio. Le ragazze, senza soldi per studiare o non preparate a
dovere, superano gli esami in cambio di prestazioni sessuali. Intendiamoci, non
tutti i docenti sono di questa specie, ma c’è chi si approfitta delle più
deboli, magari senza un padre o un fratello in grado di difenderle, oppure di
ragazze provenienti dai villaggi sperduti che, per non tornare a vivere nella
solita miseria, preferiscono rimanere il più a lungo possibile a Tirana, che
sembra offrire una libertà sconosciuta. Molti studenti hanno affiancato le
ragazze che si sono ribellate a questo sistema, aiutandole a trovare il
coraggio di denunciare i professori corrotti, ma gli illustri dirigenti delle
università albanesi ai quali è stata chiesta una spiegazione hanno minimizzato,
e del resto anche i media hanno dato poca importanza alla denuncia studentesca.
Abbiamo provato a coinvolgere i professori onesti nella battaglia per la
legalità, ma nessuno di loro si è schierato accanto a noi donne per sostenerci
con la scusa che hanno paura di perdere il posto di lavoro. I Decani man mano
ci stanno isolando non rinnovandoci il contratto annuale di supplenza. Ma noi
non faremo un passo indietro. Solo le donne possono cambiare questa Nazione.
Siamo state e siamo ancora emarginate dagli uomini, ma pian piano stiamo
creandoci i nostri spazi. Certo restiamo anni luce indietro rispetto agli
standard europei perché qui è difficile farsi ascoltare, ma prima o poi
qualcosa dovrà pur cambiare!”
Gli albanesi
sono, sempre, molto accoglienti; seppure, sovente, non abbiano nulla, vi
offrono tutto.
“Nel
frattempo era tornata la luce. Mentre ero seduto sul divano, osservai con
quanta cura fosse arredata quella piccola casa. La donna accese la TV ed era
sintonizzata su un canale italiano, che mi fece dimenticare per un attimo di
essere in un altro Paese. Sul muro, in bella mostra, era appeso un quadretto
con una scritta sempre in italiano:
La
casa dell’Albanese è di Dio e dell’ospite.
All’ospite
si deve fare onore offrendo il pane, il sale e il cuore.
Quella
scritta mi fece capire che la cortesia di Genoveffa non era solo un fatto
personale, ma legata a un costume ben radicato nel Paese. Poco dopo arrivarono
la figlia e la sorella della signora, e anche loro mi diedero il benvenuto in
perfetto italiano. Erano entrambe sorridenti e gentili, provai la bella
sensazione di stare in famiglia.”
Molto spesso, la
cooperazione internazionale nasce e si svolge senza tenere in giusto conto le caratteristiche
storiche e strutturali del Paese partner
e dei suoi territori, regioni, distretti e municipalità e tale sottovalutazione
incide sulla efficacia di progetti a breve, medio e lungo termine.
“Per
il cittadino albanese lo stato è irrimediabilmente fallito. La gente non lo
percepisce, lo sente distante e incapace di risolvere i propri problemi. L’albanese
ripone le proprie speranze al di là dei confini nazionali, anzi molti sperano
che il Paese possa essere governato attraverso la figura di un protettorato
internazionale.”
Dalla ideologia
comunista l’Albania è passata, senza alcuna transizione, alla ideologia
ultracapitalista più sfrenata, dove libertà individuale significa, per molti, il
diritto di fare tutto e qualsiasi cosa per e pur di arricchirsi. L’Albania è un
Paese straziato da un passato terribile, da cinquanta anni di un sistema
aberrante e mostruoso, che non ha risparmiato nessuno e che ha segnato ognuno,
in modo irrimediabile, insinuando terrore e delazione fino all’interno delle stesse
pareti domestiche.
Un Paese,
sempre, alla ricerca dei propri morti… 48 campi di internamento, dagli 80 ai
100mila prigionieri politici, internati o relegati!
“Aliaj
diventò improvvisamente serio quando raccontò che nel 1974 uno dei suoi quattro
amici era stato sorpreso a canticchiare una canzone di Al Bano. Non aveva
voluto rivelare come e dove aveva imparato i testi e il motivo di quella
canzone, né svelare il nascondiglio della radio. Per questo, dopo l’inutile
tortura era stato fucilato. Tutti i civili scoperti ad ascoltare radio
occidentali, o semplicemente sospettati di farlo, venivano condannati per
cospirazione e complotto contro il regime. La maggior parte veniva mandata a
scontare la pena, mai inferiore ai 10 anni, nelle famigerate prigioni di Rubik
e di Spaç dove i detenuti erano messi
ai lavori forzati nelle miniere di cromo. Lì venivano mandati anche gli
intellettuali dissidenti e i politici epurati con l’accusa di revisionismo.”
Più di quindici anni
fa, gli albanesi erano scesi in piazza contro il comunismo gridando a
squarciagola:
“Vogliamo
l’Albania in Europa.”
Da allora l’Europa
è l’obiettivo maggiore di tutti i Governi che si sono susseguiti; ma,
nonostante ciò, la classe politica locale non si è mostrata all’altezza e il “grande
sogno” è continuato a rimanere lontano.
Oggi, l’Albania
sembra una Brutta Addormentata nell’attesa che il Principe torni dai giochi
della guerra e la baci.
Oggi, la
bruttina malvestita, talvolta, affamata, abituata a tristi vicende – le tre “M”
del transito faticoso: Mafia, Miseria e Malessere – cerca una cosa chiamata
Europa.
Premessa necessaria
per avviare le trattative sull’adesione, il 12 giugno 2006, l’Albania ha siglato l’Accordo di Stabilizzazione e
Associazione [ASA] – ratificato dal Parlamento Europeo, il 6 ottobre 2006, ed
entrato in vigore, il 1° aprile 2009 – con l’Unione
Europea, che si era impegnata, in occasione del Vertice UE-Balcani Occidentali
di Salonicco del 21 giugno 2003 [http://www.asgi.it/wp-content/uploads/public/accordo.tra.la.comunta.europea.e.la.repubblica.di.albania.di.facilitazione.del.rilascio.dei.visti.pdf],
a offrire un avvenire a tutta questa regione in seno allo spazio comunitario, divenendo,
così, il terzo Paese dei Balcani Occidentali, dopo la Croazia e la Macedonia, a
garantire a Bruxelles profonde riforme.
Per Bruxelles, gli obiettivi erano due:
-
contrastare i diversi traffici, nei quali le reti
albanesi erano implicate in modo accertato;
- premunirsi contro una immigrazione clandestina, di cui
una parte proveniva o transitava per il territorio albanese, la cui porosità la
inquietava costantemente.
Nel suo discorso, Sali Berisha aveva definito la firma
dell’ASA: “un grande passo verso la realizzazione del sogno degli Albanesi
di ritornare nella loro famiglia europea. Ritornare, perché il secolo scorso ha
riservato alla mia Nazione disgregazioni ingiuste, occupazioni, razzismo,
pulizia etnica e una feroce dittatura che la hanno totalmente isolata dall’Europa”.
Consapevole di giocare
la sua ultima carta politica di fronte a una opinione pubblica senza grande
illusione sulle sue élites dirigenti,
Sali Berisha sapeva, anche, che il compito di condurre una lotta senza quartiere alla corruzione e al crimine
organizzato fosse quantomeno titanico e rappresentasse un test decisivo della capacità del suo Paese a trovare le forze
necessarie per accettare una tale sfida, ma di importanza primaria agli occhi
dei suoi partners internazionali.
“Sono
consapevole che firmiamo questo Accordo mentre nella vostra memoria e in quella
dei cittadini dei vostri Paesi si trovano ancora notizie, immagini ed eventi
non piacevoli provenienti dall’Albania; e mentre la sindrome della stanchezza
da allargamento dell’UE è una realtà. Ma io sono oggi qui per garantire a voi,
ai vostri Governi e alle vostre Nazioni che la criminalità organizzata e il
sistema della corruzione in Albania si stanno sgretolando rapidamente e che l’Albania
sarà uno dei Paesi più sicuri nella regione balcanica.”
Due mesi prima, il
Governo si era affrettato a far votare una legge che legalizzava circa 200mila abitazioni
edificate abusive, ritenendo fosse urgente mettere fine a una situazione
giuridicamente e socialmente inestricabile.
“All’improvviso,
come oasi nel deserto, vidi apparire parchi ben curati, grandi piazze, centri
commerciali e bellissimi palazzi dipinti a tinte vivaci, forse con l’intento di
far dimenticare i colori tristi dei casermoni che ricordavano l’epoca
comunista. Un palazzo verde mi colpì più di tutti, perché sulla facciata erano
state disegnate frecce di colore giallo. Matteo mi disse che le frecce
indicavano la direzione d’uscita della città, e quella era stata un’idea del
pittore Edi Rama, l’attuale sindaco di Tirana.”
Nell’aprile del
2006, il Governo aveva, anche, nominato una commissione di inchiesta sulla
costruzione di una tangenziale – dopo averne ordinato la sospensione dei lavori,
avviati dal municipio, prima delle elezioni del luglio del 2005 – che, secondo
lo stesso Governo, presentavano alcune irregolarità che rimandavano a Edi Rama.
“Il peggio è anche che uno dei due autisti
faceva parte della commissione elettorale come rappresentante del Ministro,
alle elezioni politiche del 2005. E, nonostante i suoi precedenti penali,
questo bandito si sposta in tutta Europa, grazie ad un visto tedesco che gli ha
fatto avere il Ministro. Lo sanno tutti al Governo, ma fanno finta di niente: o
perché ognuno di loro ha i suoi scheletri nell’armadio o perché ora si deve
votare per il nuovo Sindaco della capitale e il Ministro si è candidato per
questa carica, nella speranza di rifarsi una verginità politica con un nuovo
ruolo. La precedente campagna elettorale del Ministro è stata pagata con i
soldi provenienti dal traffico di droga e favorita con l’inganno orchestrato da
media compiacenti. In TV mostravano sale piene di elettori appassionati. In
realtà chiudevano fabbriche e costringevano gli operai a riempire le sale dove
si svolgevano i convegni. Li portavano con i pulman e se qualcuno si rifiutava,
veniva licenziato oppure gli creavano tanti di quei problemi, che lo
costringevano ad andare via dalla fabbrica.”
Misure più
spettacolari, perfino più demagogiche, erano state adottate quali la creazione
di numeri di telefono gratuiti per i cittadini, ansiosi di denunciare un caso
di corruzione; l’interdizione di non impiegare più di un membro di una stessa
famiglia nei servizi delle dogane; il divieto, per tre anni, dell’utilizzo di
barche a motore – che fu l’occasione di un nuovo braccio di ferro con
l’opposizione – al fine di diminuire i traffici di ogni genere per via
marittima, in particolare con l’Italia e la Grecia.
Tutti i Paesi
hanno un ambiente criminale. Limitati sono, tuttavia, i Paesi che hanno
originato una autentica Mafia, una società segreta permanente, con un rituale di
iniziazione, una legge del silenzio e un reclutamento clanico. Ma se la
siciliana Cosa Nostra, la Triade cinese e la Yakuza giapponese sono note, si conosce, al contrario, male, la
nuova e molto pericolosa Mafia albanese, quale opera nei feudi dell’Albania,
della Macedonia e del Kosovo, in Europa e nella stessa America del Nord. E,
tuttavia, la Mafia albanese controlla più del 70% del mercato dell’eroina in
Svizzera, in Austria, in Germania e nei Paesi scandinavi.
Che una Mafia sia invisibile non significa che non esista!
Si deve qui, chiaramente, distinguere una entità terrorista – il cui
funzionamento è clandestino, ma le azioni [attentati, etc.] sensazionali – da una
società criminale, le cui attività sono esse stesse di una totale e duratura discrezione.
Quali paesini sono, in apparenza, più calmi, più tranquilli di quelli della
Sicilia Occidentale, Corleone in testa?
Interrogarsi, dunque, sulle circostanze che portino una società clanica,
fondata su valori di onore e di vendetta, a ingenerare una Mafia, è più che
legittimo. Perché questa evoluzione non è “fatale” – la Corsica lo conferma – e
neppure frequente. L’immagine botanica di quei semi incistati, sepolti, per
decenni, nel deserto, e che un acquazzone è sufficiente a far fiorire, nell’arco
di una sola notte, permette di illustrare un siffatto brusco sussulto.
Ma, nel caso dell’Albania, qual è la genesi di questa “fioritura”
criminale?
Negli anni 1970 e 1980, i malviventi albanesi lavorano, il più sovente,
per i mafiosi, italiani, newyorchesi, turchi, etc. In pochi anni, tuttavia, una
serie di eventi di apparenza eteroclita si coniugano negli Stati Uniti e nei
Balcani e spingono i “gregari” albanesi a “emanciparsi” e a mettersi in proprio.
Così, quando, alla
fine degli anni 1980, la Storia si imballa, per una volta, nei Balcani – repressione in Kosovo, frammentazione della Jugoslavia post-Tito, guerra
in Bosnia-Erzegovina – e tutto ciò alle porte dell’Albania, questa stessa in
pieno disgelo, per tutti i criminali di tutte le comunità della regione, le
opportunità sono sconfinate: traffico di migranti, di armi, di prostitute, di
stupefacenti, di vetture rubate, etc. Ma nessun ambiente criminale si sviluppa
tanto né si organizza meglio di quello albanese. Nel traffico dell’eroina, le
cose vanno così velocemente che gli albanesi contendono, ben presto, la loro posizione dominante ai turchi. Il passaggio
del testimone, già osservato nell’America Latina, dagli indeboliti cartelli
colombiani ai loro omologhi messicani, si opera anche nel Sud-Est dell’Europa,
a spese dei turchi e a profitto delle “famiglie” albanesi, ormai strutturate e
ricche.
Ricche di dollari, ma anche di risorse umane!
Con la caduta del potere comunista, si
assiste, in Albania e, più particolarmente, nel Nord
montagnoso del Paese, dove sopravvive grazie all’isolamento costante del Paese
per tutto il XX secolo – in modo si potrebbe dire chimicamente puro – la
società clanica, rispettosa di ancestrali tradizioni di onore e di vendetta,
a una rinascita
improvvisa e brutale di queste antiche tradizioni. Per buona parte delle Mafie, queste leggi
sono implicite, trasmesse oralmente, ma, in Albania, riposano su una struttura familiare clanica, retta da un codice d’onore o Kanun, che, ispirato dai sultani ottomani, si pronuncia su una dozzina di campi
della vita quotidiana ed è in
vendita nelle edicole.
“Le riconciliazioni tra le famiglie sono molto rare. Nell’ottica
del Kanun il perdono è visto come un segno di vigliaccheria, e di scarso
rispetto per l’ucciso. Per poter perdonare a quei livelli non bastano dei bravi
mediatori, ci vogliono motivazioni forti come quelle religiose. Sappiamo che
una famiglia è riuscita a perdonare chi gli aveva ucciso il figlio, ma in quel
caso la fede è stata determinante. Purtroppo tra questa gente la fede cristiana
è il più delle volte sepolta sotto costumi e superstizioni arcaiche, come la
credenza nei poteri magici.”
La società tradizionale albanese è, da lunga
data, affascinata dalle armi da fuoco.
“Il vanto che ha un allevatore del suo gregge e quella del
collezionista che rimira i suoi pezzi più belli non sono nulla in confronto all’orgoglio
che prova l’albanese dinanzi alle sue armi. Sono il guardiano del suo focolare,
l’oggetto della sua ammirazione. Gli assicurano una gloria luminosa.”,
scriveva un viaggiatore inglese nei Balcani intorno al 1880.
E, nel 1928, lo
scrittore e giornalista austriaco Joseph Roth, durante la sua visita in
Albania, descrivendo la vita di una famiglia segregata in casa a causa della
vendetta e la buona accoglienza che riservava, concludeva il suo articolo con
queste parole:
“È meglio un buon poliziotto che una buona
accoglienza!”
Come, sovente, nelle Mafie, il tratto arcaico non ostacola una grande
capacità a adeguarsi alle tecniche più moderne dei mercati mondiali. La Mafia albanese è una Mafia di primo piano, dalla organizzazione agile,
flessibile ed evoluta. Una Mafia, la cui attività va crescendo nella sua base
numero uno in Europa, l’Italia.
Il 9 aprile 1992, l’ex-cardiologo personale di Enver Hoxha, Sali
Berisha, era arrivato al potere. Aveva purgato, implacabilmente, esercito,
polizia e servizi speciali di tutti i numerosi fanatici del defunto regime
stalinista. In pochi mesi, i due terzi dei quadri – soprattutto giovani
ufficiali - della Drejtoria e Sigurimit të
Shtetit, nota comunemente come SIGURIMI, la GHEPEÙ locale, si erano ritrovati in strada senza un soldo.
Ma non a lungo!
Le “famiglie” mafiose erano ben disposte a pagarli, lautamente, per
organizzare i loro centri di comando e di comunicazione e addestrare i loro “soldati”
a una ferrea disciplina militare. In possesso dei dossiers della defunta polizia segreta di Enver Hoxha, questi
ex-sigurimisti sarebbero stati, anche, molto utili nel ricattare i politici e i
funzionari del nuovo sistema.
E, alla fine del 1992, la Mafia albanese era, ormai, allineata e in
assetto di combattimento, pronta a invadere il “mercato” europeo. E disponeva,
non dimentichiamolo, di basi accreditate nell’America del Nord. Intatta, ancora
invisibile, non aveva tardato a riaprire la rotta Sud dei Balcani.
“Dritor fece rientro in Albania nel 1993, con l’idea di
aprire il più grande negozio di computer di Tirana. In effetti mise in piedi
una bella struttura con i soldi guadagnati in Italia e quelli che gli aveva
regalato l’ufficiale del SISDE. Quell’attività era, di fatto, la sua copertura.
Infatti, nel frattempo era stato reclutato dallo SHISH. Nel 1994 Ferrara arrivò
a Tirana con un aereo Falcon dei servizi segreti, per svolgere indagini su un
traffico di titoli tra l’Italia e l’Albania e chiese l’aiuto di Dritor per
svolgere accertamenti senza metterne a conoscenza lo stesso SHISH, di cui
evidentemente le autorità italiane non si fidavano. A collaborare con l’ufficiale
italiano c’era anche il direttore generale di una Banca albanese, costituita quasi
interamente con capitale italiano.
Il Direttore [un italiano, si chiamava Panca o qualcosa
del genere] aveva scoperto cose sconcertanti che aveva comunicato segretamente
a Ferrara, il quale si era precipitato a Tirana per verificare l’attendibilità
di quelle notizie. Pare che in un folto gruppo di imprese albanesi e italiane,
alcune già costituite ed altre in fase di costituzione, stessero confluendo
troppi soldi di origine sospetta. I soldi provenivano da finanziatori italiani
che in quel modo riciclavano il frutto di evasioni fiscali, appalti pilotati,
falsi in bilancio e cose del genere. Questi intrallazzi avvenivano sotto la
supervisione di un Generale del SISDE in pensione, appartenente a una loggia massonica
in cui risultavano iscritti anche membri di una famigerata banda criminale
romana oltre a faccendieri e mercenari legati ad ambienti politici. Il Generale
aveva lavorato con la copertura di “addetto militare” presso l’Ambasciata
italiana di Bruxelles ed era esperto di movimenti finanziari. Ma la cosa più
eclatante erano le prove dell’esistenza di fondi neri dei servizi segreti
italiani e di un grande partito che gestiva un vero e proprio tesoro in nero
destinato al finanziamento illegale.”
Che
fosse per accrescere il suo PIL o per corteggiare l’Unione Europea, l’Albania
ha accettato, per anni, i rifiuti dei suoi vicini europei, accumulandone più di
quanti ne potesse assorbire.
“Sono
voci che stiamo verificando. Ma quando le voci girano insistentemente, di
solito c’è un fondo di verità. Abbiamo saputo che Bashkim è entrato a pieno
titolo nel business dei rifiuti tossici, prestandosi ai favori delle mafie
italiane che hanno aperto discariche nel nostro Paese, trasportando di tutto.
Successivamente, rendendosi conto che i rifiuti facevano guadagnare più della
droga, Bashkim si è messo in proprio aprendo società per lo smaltimento di
veleni che in Italia non sanno più dove nascondere. Tonnellate e tonnellate di
rifiuti tossici sono arrivate sin dal 2002, contravvenendo ai dettami delle
Nazioni Unite che tentavano di evitare che i Paesi poveri diventassero le
discariche dei Paesi ricchi.”
“Ma
cosa trasportano?”
“Di
tutto, Gianni, dai rifiuti normali, alle medicine scadute, olio di sentina,
batterie al piombo, rifiuti elettronici, residui di olio, smalti, vernici,
solventi ecc. Prova a dare uno sguardo alle relazioni dell’Ispra [Istituto
superiore per la ricerca e la protezione ambientale] oppure leggi cosa dice
l’European Police Office [Agenzia finaziaria alla lotta al crimine dell’Unione
Europea, meglio conosciuta come Europol]. Gianni per certi aspetti, l’Albania è
diventata da moltissimi anni la ventunesima regione italiana… al di là di
questo, devi sapere che ultimamente si parla anche della futura installazione
in Albania di termovalorizzatori e di una centrale nucleare che in Italia
nessuno vuole. Vedrai, Gianni, ci faranno diventare la pattumiera italiana ed
europea. I problemi dei rifiuti li risolveranno qui, legalmente o
illegalmente.”
Nel novembre del
2011, il Parlamento ha votato una legge molto controversa, che ha trasformato
il Paese nella principale discarica d’Europa. L’obiettivo di Tirana era,
all’epoca, di fare del trattamento dei rifiuti solidi uno dei più importanti
settori dell’economia, sperando, così, di rafforzare la situazione economica
dell’Albania e attirare nuovi investimenti. L’Albania non aveva le capacità di
trattare i propri rifiuti, le numerose discariche selvagge di Tirana possono
testimoniarlo. Il capo dell’esecutivo dell’epoca, Sali
Berisha, aveva, allora, relativizzato, sostenendo che i rifiuti
importati non fossero pericolosi. Ma i timori degli albanesi che il Governo avesse
ceduto alle pressioni della Mafia italiana, che controlla il business dei rifiuti, sono ben descritti
in un tweet dell’attuale premier, ma leader dell’opposizione socialista, nel 2011, Edi Rama:
“L’Albania
è come una casa che ha aperto le sue porte alle immondizie dei vicini.”
Edi Rama aveva
denunciato il rischio che rappresentava una tale legge:
“Importare rifiuti degli altri Paesi
quando le strade dell’Albania sono coperte di più di un milione di tonnellate
di rifiuti, è una vera catastrofe e un tradimento nazionale.”
Nel settembre
del 2013, la prima misura presa da Edi Rama fu di abrogare questa legge.
“I rifiuti non entreranno più in
Albania fintanto cha l’Albania non sarà in grado di raccogliere e riciclare i rifiuti
prodotti nel Paese.”,
aveva dichiarato
dinanzi al Parlamento.
Nonostante
questo improvviso mutamento legislativo, sembrerebbe che il Paese faccia ancora
fatica a fare applicare la legge e a mettere in essere i dispositivi di
controlli necessari alle frontiere. Oggi, i contadini del Nord del Paese
dominano questo mercato. Si sono riciclati all’interno per sfuggire alla
miseria rurale.
Ma è sufficiente
per sopravvivere?
Il guadagno
mensile di questo lavoro illegale ammonta, in genere, a 100 euro pro capite. Non sarebbero meno di 700mila
tonnellate i rifiuti che sono stati importati in Albania dall’estero, nel corso
degli ultimi anni. Numerose industrie importatrici di rifiuti aggirano la legge
facendoli passare sotto la denominazione di materie prime.
“In Italia ritenevamo che Bashkim fosse uno dei più potenti trafficanti di
droga ed armi dei Balcani, per giunta legato alle famiglie della “ndrangheta” calabrese. Inoltre pare che in Albania
fosse ben inserito negli appalti pubblici, grazie agli appoggi delle
istituzioni che, nel suo caso, non applicavano le norme antiriciclaggio. La
richiesta precisa da Roma era quella di scoprire innanzitutto l’utenza
telefonica del trafficante. Ai servizi di informazione risultava che l’uomo si
recava spesso in Italia dove si incontrava con il titolare della COOFISH, una
società che gestiva a livello nazionale la commercializzazione e distribuzione
di pesce congelato. Pare che la nave/officina utilizzata da questa società
italiana e il peschereccio di proprietà di Bashkim si incontrassero al largo,
dove avveniva il passaggio della droga in un modo che aveva dell’incredibile.
Il pesce pescato dagli albanesi veniva passato ai pescherecci italiani insieme
alla droga. Nel tempo del ritorno sulla costa italiana, i marinai nascondevano
la droga avvolta in appositi sacchetti nella pancia di pesci di media
grandezza, soprattutto calamari e totani. Dopo averlo congelato, portavano il
pesce nei porti di Ancona, Bari e Gioia Tauro. Di fatto, la parte superiore di
ogni cassetta di pesce congelato era formata da pesci della stessa specie ma
privi di droga, in modo da nascondere quelli “ripieni”
che si trovavano sotto, e superare
eventuali controlli della capitaneria di Porto e dell’ASL.”
Esiste un legame stretto tra i gruppi criminali
albano-kosovari e la ‘Ndrangheta.
Questi gruppi si occupano, in larga parte, di traffico di stupefacenti, dalla importazione
alla grande distribuzione, senza impegnarsi nelle attività di spaccio in strada
e beneficiano, in Albania, di referenti e di “coperture”, utili sia per fare uscire le
droghe dal loro Paese, sia per fare entrare i proventi di questo traffico nel
loro Paese.
Quanto al traffico di organi, messo in essere dai leaders kosovari – che fu denunciato dal Rapporto presentato da
Dick Marty, il 16 dicembre 2010, al Consiglio d’Europa [http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Dick-Marty-il-Kosovo-davanti-al-Consiglio-d-Europa-85730]
ed è stato oggetto di numerose smentite ufficiali –, è stato confermato dal
procuratore americano Clint Williamson, nel 2014, [http://balkans.courriers.info/article16529.html].
E, in un’intervista del 6 novembre 2014, l’ex-procuratore britannico della Missione
Eulex, Maria Bamieh, denunciava che “le persone che sono attualmente
alla missione europea Eulex e che gestiscono Eulex da Bruxelles tentano più di
coprire gli affari anziché scoprirli” [http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/EULEX-lo-scandalo-corruzione-156961,
http://www.eunews.it/2014/10/30/la-missione-di-giustizia-ue-in-kosovo-al-centro-di-accuse-di-corruzione/24248].
Al termine di questo inventario non esaustivo, la Mafia albanese sembra
avere fatto nell’ultimo decennio un salto di qualità, diversificando le sue
attività e acquisendo un certo savoir-faire nelle “relazioni internazionali”. Si può, ragionevolmente, prevedere che la criminalità albanese raggiunga,
presto, il club privé delle Mafie
storiche, nel senso generale del termine, le quali costituiscono un vero “soggetto politico organizzato”. Questa Mafia è in linea con i conflitti geopolitici
permanenti in questa regione, che, paradossalmente, possono servirle di base e
di motore per la conquista di nuovi territori.
L’Albania
che Gianni Palagonia vi presenta, un Paese selvaggio e misterioso, capace del
meglio come del peggio, simile ai suoi vicini, che vivono tutti sulle vestigia
di una grandezza passata reale o immaginaria, può essere più o meno erronea,
perfino parziale, ma del resto, vi è una sola realtà?
Ancora una volta, un grazie a Gianni Palagonia e
al piacere di rileggerlo!
Daniela
Zini
Copyright © 3 aprile 2016 ADZ
Il 30 dicembre scorso, il premier Matteo Renzi ha incontrato, a Tirana, il suo omologo
albanese, Edi Rama, che ha invitato a delocalizzare le attività produttive a
Sud dell’Adriatico:
La politica del nuovo Governo ha dato poche risposte
chiare e risolutive. La povertà crescente, la disoccupazione, la
corruzione, l’ingiustizia sociale, il clientelismo, la corruzione non sono
state affrontate dal Governo, ma solamente nascoste tramite un efficace make-up
televisivo. Fatti di cui i Media
italiani non parlano, forse, per non turbare l’idilliaca rappresentazione
dell’Eldorado albanese.
Agli inizi degli anni 1980, la comunità albanese insediata negli Stati
Uniti – all’epoca di 200/300mila persone – non racchiude che piccole bande poco
organizzate, dedite a furti, racket, hold-up, spaccio in strada. Alcuni
giovani albanesi, più ambiziosi, si mettono a frequentare Little ltaly e finiscono per essere reclutati dai “soldati” delle
famiglie Gambino, Lucchese e Genovese come “fattorini” o killers. Segno di fiducia inaudito, Zef J. Mustafa,
originario dell’Albania Meridionale, diviene, perfino, nella sua giovinezza
l’autista di Frank “Frankie Loc” Lo Cascio.
Durante la dittatura comunista, che è durata per
circa cinquanta anni, la vendetta era stata dominata ed era quasi scomparsa. Ma
solo in apparenza, perché era, sempre, là, annidata nell’ombra, mentre su scala
nazionale un’altra vendetta sistematica, quella di un regime verso i suoi
avversari reali o immaginari, diveniva la norma.
Con l’apertura dei dossiers del regime comunista, vengono portati alla luce e
pubblicati i documenti che dimostrano i rapporti ventennali tra la Camorra
napoletana e il SIGURIMI.
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