LETTERA APERTA
ai consumati consumatori di Social Networks…
esibizionisti, voyeuristi, hacktivisti, hackers, crackers, spie, fantasmi,
agenti segreti, spettri…
È LECITO SPIARE?
di
Daniela Zini
a
Babuschka, mia Nonna
Sovente,
molte Donne, Amiche e non, mi chiedono:
“È
difficile essere Donna e sola?”
In
un passato, neppure tanto remoto, una Donna non sposata e senza figli non aveva
status, era considerata un essere monco, incompleto, irrealizzato. Oggi, tutti
gli psicologi, i guru, i filosofi e anche i giornali femminili ripetono a
oltranza che per trovare la persona giusta e sedurre un Uomo ogni Donna
dovrebbe apprendere a stare bene da sola e a vivere da sola, felicemente.
È
un concetto che viene talmente ripetuto che anche
la Donna più sprovveduta conosce... e qualcuno trova il tempo di farvi,
perfino, dell’ironia... o considera con pesante scetticismo.
Io so perfettamente che quando
si dice a una Donna di vivere la propria vita in serenità da sola e abituarsi a
vivere da sola, in autonomia e con indipendenza, si rischia di farla infuriare,
di farla soffrire e di farla preoccupare.
Avete, mai, fatto caso che gli
Uomini si godono, con grande piacere, la propria solitudine, ne sono orgogliosi
e, molto spesso, la difendono con le unghie e con i denti?
Avete, mai, fatto caso che gli
Uomini amano stare da soli, perché si sentono liberi di vivere la propria vita
come preferiscono e sperimentare, in totale libertà, le proprie avventure
sentimentali, le proprie passioni, le proprie sfide professionali?
Non vi dà da pensare tutto ciò?
E allora perché io non dovrei
poter vivere con piacere e anche con entusiasmo il fatto di essere sola?
Vi è un forte pregiudizio nella
nostra società: un Uomo solo, autonomo e indipendente è un “figo”; mentre una Donna
sola, autonoma e indipendente deve avere, necessariamente, qualche “magagna”
sotto sotto...
Ebbene la mia “magagna” è
SCRIVERE...
Sono, semplicemente, uno
scrittore, cui accade di essere Donna...
Desiderare legami forti e di
valore con Altri è naturale... e, allo stesso modo, desiderare l’indipendenza e
l’autonomia, vale a dire la capacità di vivere da sola, di cavarsela da sola e
di essere felice da sola...
È stata mia Nonna a insegnarmi
il coraggio.
Quando le sue Amiche le
chiedevano se fossi fidanzata, lei rispondeva:
“No, mia nipote è diversa. Non
tutte le scelte vanno bene per tutti.”
Ancora, oggi mi sento così...
diversa.
Certo, conservo l’ideale dell’incontro
della mia Vita, ma proprio per questo non lo voglio a tutti i costi...
Sulla
scrivania della mia camera da letto, le cui finestre si aprono su una grande
villa, vi è il dossier del mio testamento letterario.
Di
tanto in tanto, vi scivolo, al suo interno, un nuovo foglio…
Tra
il vero testamento e questo libro non vi sarà una grande differenza. In un
testamento si dispone come debba essere suddiviso quanto si lascia. Nel mio testamento
vi è, anche, ciò che la Vita mi ha indotto a pensare, ciò che ho avuto
desiderio di dire in certi momenti. Invecchiando, a poco a poco, si prende
coscienza di un dovere. All’inizio si resiste, perché sembra presuntuoso… e,
poi, ritorna, con insistenza, dentro di sé, una vocina che esorta:
“Prima
di lasciarci, dicci ciò che tu sai.”
Se, oggi, io non soggiacessi a questo appello,
avrei la sensazione di sotterrare il talento di una esistenza. Non i meriti
della mia persona, naturalmente; ma ciò che le circostanze della Vita, nelle
quali sono stata sospinta, mi hanno fatto comprendere, sovente, dopo molte
resistenze. Tutte le difficoltà, le esitazioni e le rinunce, sperimentate da
uno scrittore non si spiegano, come si crede, abitualmente, in termini di
sterilità o di angoscia davanti al foglio bianco. Sono metafore da non prendere
in senso letterale: non danno conto della realtà infinitamente più complessa
del processo di creazione letteraria. Nella maggior parte dei casi, se lo
scrittore non riesce a portare a termine il suo progetto – io intendo il grande
scrittore – non è perché non può scrivere, ma perché non vuole farlo che a
certe condizioni che si è imposte.
Non si inaridisce di impotenza, ma si soffoca di eccesso
di esigenze!
Non diamo, mai, per scontata la libertà di
espressione; è l’avvilente silenzio che dobbiamo, al contrario, dare per
scontato!
Come ammonisce Fernand
Dumont:
“Les censeurs existent
toujours, même s’ils ont changé de costume et si leur autorité se réclame d’autres
justifications. Toutes les Sociétés, quels que soient leur forme et leur
visage, mettent en scène des vérités et des idéaux et rejettent dans les
coulisses ce qu’il est gênant d’éclairer. Toutes les sociétés pratiquent la
censure; ce n’est pas parce que le temps de M. Duplessis est révolu que nous en
voilà délivrés. Les clichés se sont renouvelés, mais il ne fait pas bon, pas
plus aujourd’hui qu’autrefois, de s’attaquer à certains lieux communs. Il est
des questions dont il n’est pas convenable de parler; il est des opinions qu’il
est dangereux de contester. Là où il y a des privilèges, là aussi travaille la
censure. Le blocage des institutions, le silence pudique sur les nouvelles
formes de pauvreté et d’injustice s’expliquent sans doute par l’insuffisance
des moyens mis en œuvre, mais aussi par la dissimulation des intérêts. On n’atteint pas la lucidité sans effraction.”
Un passaggio de La
Folle Journée ou Le Mariage de Figaro di Pierre-Augustin
Caron de Beaumarchais,
scritto più di due secoli fa, ci dà un’idea della realtà di questa nuova
censura che si presenta sotto l’apparenza della libertà:
“On me dit que, pendant ma
retraite économique, il s’est établi dans Madrid un système de liberté sur la
vente des productions, qui s’étend même à celles de la presse; et que, pourvu
que je ne parle en mes écrits ni de l’autorité, ni du culte, ni de la
politique, ni de la morale, ni des gens en place, ni des corps en crédit, ni de
l’opéra, ni des autres spectacles, ni de personne qui tienne à quelque chose,
je puis tout imprimer librement, sous l’inspection de deux ou trois censeurs.”
“Avec deux lignes d’écriture d’un homme,
on peut faire le procès du
plus innocent.”
cardinale Armand-Jean du Plessis de Richelieu
Il
titolo di questa lettera aperta è, volutamente, provocatorio, ma la domanda si
pone, dopo le rivelazioni dell’ex-agente della CIA, Edward Snowden, che, in una intervista rilasciata, il 9 giugno
2013, rivelava di essere l’informatore del Guardian
e del Washington Post e spiegava perché
avesse iniziato a scaricare, di nascosto,
i documenti top secret dell’NSA, il 12 aprile 2012, e avesse contattato,
nei mesi successivi, i giornalisti Glenn Greenwald e Laura Poitras [https://www.theguardian.com/world/video/2013/jun/09/nsa-whistleblower-edward-snowden-interview-video, https://www.youtube.com/watch?v=0hLjuVyIIrs, http://video.repubblica.it/dossier/datagate/l-intervista-integrale-del-guardian-a-snowden--ecco-perche-ho-parlato/131518/130025]:
“Avevo una vita comoda, ragazza, lavoro e
carriera. Ma ho deciso di sacrificare tutto perché non avevo la coscienza a
posto nel permettere che il governo USA distruggesse ogni privacy, libertà
della rete, e diritti fondamentali delle persone in tutto il mondo.”
In questo inizio di millennio, in cui i nostri
valori democratici sono stati, violentemente, attaccati, è pressoché
sistematico il riferimento alla famosa frase di Voltaire:
“Je ne suis pas d’accord avec ce
que vous dites, mais je me battrai jusqu’à la mort pour que vous puissiez le
dire.”
Una frase importante per
quello che rappresenta sul piano della DEMOCRAZIA…
Peccato che Voltaire non
abbia MAI né scritto né pronunciato questa frase!
Chi gli ha attribuito
questa citazione si richiama a una lettera del 6 febbraio 1770, nella quale il
castellano di Ferney si sarebbe rivolto a un certo abate Le Riche in questi
termini:
“Monsieur l’abbé, je déteste ce que vous écrivez, mais je donnerai ma
vie pour que vous puissiez continuer à écrire.”
Se l’esistenza di questa
missiva è stata appurata, la frase non vi figura e neppure l’idea.
È quella che si chiama una
citazione apocrifa, non autentica.
La paternità di questa
massima va ascritta, infatti, all’inglese Evelyn Beatrice Hall che, in un
libro, The Friends of Voltaire, pubblicato, nel 1906, sotto lo pseudonimo di
Stephen G. Tallentyre, la utilizza per riassumere il pensiero voltairiano:
“I disapprove of what you say, but I will defend to the
death your right to say I.”
Nel 1994, Charles Wirz, direttore dell’Institut et Musée Voltaire di Ginevra,
rammentava come Evelyn Beatrice Hall avesse, a torto, riportato, tra
virgolette, questa citazione in due opere dedicate all’autore di Candide e avesse, poi, riconosciuto la
citazione come sua, in una lettera del 9 maggio 1939, pubblicata, nel 1943, nel
tomo LVIII [58] sotto il titolo Voltaire
never said it [pagg. 534-535] della rivista Modern language notes, the Johns Hopkins Press, 1943, Baltimore:
“The phrase “I disapprove of what you say, but I will
defend to the death your right to say it” which you have found in my book
Voltaire in His Letters is my own
expression and should not have been put in inverted commas. Please accept my apologies for
having, quite unintentionally, misled you into thinking I was quoting a
sentence used by Voltaire [or anyone else but myself].”
Le parole “my own” sono state sottolineate,
personalmente, dalla stessa Evelyn Beatrice Hall nella stessa lettera. In ogni
caso, che fosse dovuta alla imperizia
dell’autrice o dell’editore, la citazione fu, rapidamente, tradotta in francese
prima di conoscere il successo che tutti conosciamo.
Ma Voltaire ha difeso la
LIBERTA’ DI ESPRESSIONE, la DEMOCRAZIA?
Voltaire disprezzava il
Popolo e non era democratico.
Sarà meglio citarlo!
In Questions
sur l’Encyclopédie, Voltaire scrive:
“ La multitude des bêtes brutes appelées hommes, comparée avec le petit
nombre de ceux qui pensent, est au moins dans la proportion de cent à un chez
beaucoup de Nations.”
E da vecchio sarà anche più
selettivo:
“Le genre humain pensant, c’est-à-dire la
cent-millième partie du genre humain tout au plus.”
Per
Voltaire:
“Ce monde-ci [il faut que j’en convienne] est un composé de fripons, de
fanatiques et d’imbéciles, parmi lesquels il y a un petit troupeau séparé qu’on
appelle la bonne compagnie; ce petit troupeau étant riche, bien élevé,
instruit, poli, est comme la fleur du genre humain; c’est pour lui que les
plaisirs honnêtes sont faits.”
A Mme Marie-Anne de Vichy-Chamrond vanterà
“le plaisir noble de se sentir d’une autre
nature que les sots”.
Sì, di
un’altra natura!
“Le peuple est entre l’homme et la bête.”
Le
cose sono nette:
“Nous n’avons de compatriotes que les philosophes, le reste n’existe
pas.”
Nel 1736, non esita a
scrivere a Nicolas-Claude Thiérot:
“Il faut mentir comme un diable, non pas timidement, non pas pour un
temps, mais hardiment et toujours.”
E a Charles-Augustin de Ferriol
d’Argental:
“Il y aurait de la folie à être martyr de la vérité.”
L’elitismo di Voltaire è
chiaro, ma giova ricordare, qui, anche, il caso La Beaumelle.
Quali erano i torti di Laurent
Angliviel de la Beaumelle, al quale Voltaire non perdonava l’audacia di avere
giudicato ossequioso il suo Siècle de Louis XIV?
Laurent
Angliviel de la Beaumelle aveva avuto l’indecenza di criticare, severamente, Voltaire,
sottolineando il suo status di uomo di lettere, lautamente, sussidiato
da Federico II di Prussia e la sua indulgenza verso la revoca dell’Editto di
Nantes. Per avere “contrariato” Voltaire, lo scrittore protestante fu rinchiuso
nella Bastille, per sei mesi, nel 1753. Liberato, l’anno successivo,
vide rifiutarsi da Guillaume-Chrétien de Lamoignon de
Malesherbe, direttore
della Librairie, l’autorizzazione di fondare un giornale e, perfino, di
stampare alcunché contro Voltaire, a sua difesa. Rassegnato, La Beaumelle, che
sarebbe stato imprigionato, una seconda volta, dal 1756 al 1757, replicò:
“Il me semble qu’on craint Voltaire encore plus qu’on ne le méprise.”
Secondo
lo storico Claude Lauriol, La Beaumelle, allora ventisettenne, “a beaucoup souffert de sa détention, physiquement et moralement”.
Sicuramente, Voltaire
sogghignerebbe nel vedersi, oggi, trasformato in militante appassionato della
libertà di espressione, pronto a battersi fino alla morte, lui che scriveva al
duca Louis-François-Armand
de Vignerot du Plessis de Richelieu:
“Nous avions besoin autrefois qu’on encourageât la
littérature, et aujourd’hui il faut avouer que nous avons besoin qu’on la
réprime.”
In Francia, la libertà di espressione figura nella Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen del 1789, che ha valore costituzionale.
L’articolo 11 dispone, infatti, che “La libre communication des pensées et des opinions est un des droits les
plus précieux de l’homme: tout citoyen peut donc parler, écrire, imprimer
librement”,
ma una restrizione è, immediatamente, apportata a questo principio, dopo una virgola: “sauf à répondre de l’abus de cette liberté dans les cas déterminés par
la loi.”.
Diversamente, gli Stati
Uniti non hanno, MAI, aggiunto una virgola al loro freedom of
speech, garantito dal primo emendamento della
Costituzione.
Questo principio ha
una consacrazione internazionale nella Conferenza Interamericana sui Problemi
della Guerra e la Pace di Chapultepec
[21 febbraio – 8 marzo 1945], dove è stabilito che “nessuna società può essere libera senza libertà di espressione e di
stampa” e che l’esercizio di questa libertà non è garantito “dalle autorità politiche, ma è un
inalienabile diritto popolare”, quindi, il 10 dicembre 1948, nella Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani, adottata dall’Assemblea Generale
dell’ONU:
“Ogni
individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il
diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare,
ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza
riguardo a frontiere.” [articolo 19]
In poche parole l’essenziale è detto: la libertà di opinione
e la libertà di espressione sono alla base stessa dello Stato di diritto.
Uno Stato di diritto laico e civico. Laico perché la diversità
delle credenze, delle ideologie che oppongono i Popoli e gli individui non
fanno ostacolo all’universalismo dei diritti. Civico perché la libera
espressione delle opinioni e delle idee costituisce la condizione
indispensabile all’esercizio dei diritti del cittadino. Sono questi principi
che enunceranno, con più precisione, l’articolo 10 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà
Fondamentali, firmata a Roma, il 4 novembre 1950, e l’articolo 29
del Patto Internazionale relativo ai
Diritti Civili e Politici, concluso a New York, il 16 dicembre
1966.
Nel
1997, la Conferenza Generale dell’UNESCO
adotta una risoluzione che condanna i crimini contro i giornalisti. Questa
risoluzione mira a sensibilizzare i governi e le organizzazioni internazionali
e regionali a questo riguardo e tenta, dunque, di combattere la cultura
dell’impunità. Nei due terzi dei casi gli assassini, infatti, non sono neppure
identificati e non lo saranno, probabilmente, mai. In numerosi Paesi,
l’assassinio è divenuto il mezzo più facile, il più economico e il più efficace
per far tacere i giornalisti “scomodi” e più gli assassini se ne tirano fuori,
più si accelera la spirale della morte.
Il 23
dicembre 2006, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotta la Risoluzione
1738 sulla
protezione dei giornalisti durante i conflitti armati.
Il 12 marzo 2008, Reporters sans Frontières lancia la prima Giornata Mondiale contro la
Cyber-censura, allo
scopo di denunciare la censura dei governi sulla rete.
Il diritto di dare e di ricevere le informazioni è accordato
dal citato articolo 19 a
“ogni individuo”. Tuttavia, queste informazioni che circolano, oggi, al di
sopra delle frontiere sono divenute
merce. Hanno un costo e possono
essere fonte di guadagno. Cercarle e darle è riservato a chi ne ha i mezzi
economici. E, riceverle, ai privilegiati della divisione del mondo.
Le tecniche più moderne aprono nuovi spazi. Ciascuno, munito
della sua tastiera e del suo schermo, può comunicare con il mondo.
Ma non si tratta di una illusione?
Quanti uomini dispongono di strumenti materiali e
intellettuali che permettono di accedere a queste nuove forme di comunicazione?
L’eguaglianza, apparentemente, conquistata non rafforza la ineguaglianza?
La Giornata Mondiale della Libertà di Stampa è nata, ventiquattro
anni fa, grazie a un gruppo di giornalisti riuniti a Windhoek, in Namibia. La
Dichiarazione di Windhoek era un appello alla lotta per la difesa dei principi
fondamentali della libertà di espressione enunciati dall’articolo 19. Era anche
il segnale di un cambiamento nel mondo intero. Ventiquattro anni dopo, se il
paesaggio mediatico si è completamente trasformato, il nostro obiettivo resta
lo stesso: promuovere la libertà di espressione, fondamento della dignità umana
e pietra angolare della DEMOCRAZIA.
La nostra epoca presenta un grande paradosso. Da un lato, le
nuove tecnologie e i nuovi media ci offrono possibilità di espressione senza
precedenti. Un numero crescente di individui può comunicare informazioni e
scambiare idee nei diversi Paesi e da un Paese all’altro. Questo permette di sviluppare la creatività,
di costruire società sane e di associare tutti a nuove forme di dialogo. Dall’altro
lato, nuove minacce si profilano. Coniugate in un contesto di cambiamenti
rapidi, con forme di restrizione più antiche, rappresentano formidabili sfide
per la libertà di espressione. Nuove misure destinate a bloccare, filtrare o a
censurare l’informazione sono prese, ogni giorno. Queste minacce rivestono forme
diverse, ma si presentano tutte come violazioni di un diritto fondamentale dell’essere
umano.
È la DEMOCRAZIA che è, qui, in gioco perché per agire si
deve, innanzitutto, sapere.
Nulla è casuale in politica!
Facebook non è una ZONA DI NON-DIRITTO.
Facebook è un Social Network,
che offre a ciascuno la possibilità di esprimere il proprio punto di vista su
un particolare soggetto e a tutti di replicare, formulando dei commenti.
Il
mio obiettivo è molto umile.
Senza avere la pretesa di potere cambiare il mondo
– cosa non impossibile! – io cerco di dare voce a chi non
ha voce.
Conoscete il proverbio:
“Tant que les lions n’auront pas leurs propres historiens, les histoires de
chasse continueront de glorifier le chasseur.”
Io
voglio raccontare la storia dal punto di vista dei leoni.
Non
basta dichiararci difensori della libertà di espressione per proteggerla, noi,
rappresentanti di media indipendenti, alternativi e cittadini!
Se
il terrorismo tenta, oggi, di minacciare l’idea stessa di libertà di espressione,
questa è, anche, attaccata quotidianamente da politiche di soffocamento.
Giornali
indipendenti muoiono, ogni giorno, nella indifferenza generale.
Per comprendere la portata e i disegni che presiedono
alle leggi liberticide, si deve esaminare non solo il loro contesto di
adozione, ma anche quello della loro applicazione. Quando la legge, che mira a
proteggere i cittadini, divaga – e non è un caso! – è segno che l’azione legislativa
è stata traviata a profitto di poteri paralleli allo Stato di diritto.
Ciò al fine di consegnare l’economia del Paese alla
finanza internazionale, che specula su tutti i mercati, compreso quello degli esseri
umani, ridotti allo status di
produttori-consumatori delle multinazionali, nonché di eterni debitori di chi crea
moneta ex nihilo, trasformandola in
debito ad vitam æternam per un
profitto della stessa portata.
Gli alchimisti del disastro non hanno patria, ma si
soddisfano di più nazionalità, per loro stessi e per le piccole mani che
producono al costo più basso.
Il nemico della casta finanziaria è lo Stato con i
suoi limiti giuridici e geografici, vale a dire la politica in ciò che ha di
più legittimo.
Lo Stato, illuminato, forte dei suoi valori, unificato
da un diritto egalitario, costituisce un bastione contro la privatizzazione
della sua sfera e l’accaparramento da parte di un potere esogeno. Sarà al primo
punto di un vasto progetto di smantellamento di Stati sovrani per potere, senza
il limite di un ordine economico, disporre delle persone e delle risorse. Si
tratta di asservire a una élite i
cittadini, ridotti allo stato di sudditi economici sfruttati a piacimento e spossessati
di istituzioni politiche e giuridiche legittime. Le istituzioni
antidemocratiche, consolidate da lunga data, pilotate dall’alta finanza, e le
multinazionali, partecipano a questo grande progetto. La discriminazione
positiva iscritta nella legge mira a servire questo vasto piano di
annichilimento, non solo delle Nazioni, ma soprattutto degli Stati politici in
sé, che hanno bisogno di frontiere per definire le loro giurisdizioni e
proteggere i loro cittadini. La distruzione degli Stati procede dalla creazione
e dalla estensione di zone di non-diritto, territoriali e giuridiche. Per “libanizzare”
uno Stato, si deve, innanzitutto, sabotare il diritto egalitario, estrarre le
comunità dal comune, definire, strategicamente, il campo degli oppressori e le
fazioni delle vittime.
Le leggi liberticide procedono da un diritto parallelo
antigiuridico, che contraddice, formalmente, i principi della libertà e della eguaglianza,
i loro effetti distruttori sono completati da politiche pubbliche stupide e infamanti. I committenti hanno interesse che la
frattura sociale resti aperta o meglio che la guerra civile la spunti sugli
autoctoni disarmati dalla legge. È più facile manipolare a proprio piacimento
dei cretini incolti; da qui, l’interesse di mettere al potere legale dei
politici dello stesso livello.
La frammentazione dell’Italia partecipa della sua
dissoluzione in un tutto europeizzato, poi, mondializzato, a beneficio
dell’ordine giuridico e apolitico voluto dall’alta finanza che tiene il sistema
economico mondiale.
Nelle società contemporanee, lo Stato, il cui ruolo è
proteggere l’individuo, si è trasformato da Stato di diritto in Stato securitario.
Ne risultano uno scadimento della libertà [lo Stato sa meglio del Popolo
ciò che a quest’ultimo conviene] e l’instaurazione di un pensiero unico.
Questa tendenza a restringere la libertà di
espressione in nome dell’interesse generale non rischia di trasformarsi in uno strumento
politico al fine di ridurre ogni opposizione al silenzio?
Niall Ferguson per il quale lo sviluppo dell’Occidente
riposava sullo Stato di diritto e il rispetto delle fondamentali, aveva già
segnalato la tendenza degli Stati a compromettere i pilastri della nostra civiltà in nome della sicurezza
e della preservazione delle situazioni acquisite e vi ravvisava un indizio
di degenerazione delle nostre società.
Si sente, sovente, dire dalle persone dotate di “buon
senso” che solo chi ha qualcosa da rimproverarsi ha qualcosa da nascondere.
Vi fu un tempo in cui la stessa pena di morte rientrava
nel “buon senso”, proprio come il divieto alle donne di votare o la negazione agli
amerindi e ai neri degli stessi diritti dei loro colonizzatori.
In una DEMOCRAZIA, spetta all’accusa portare le prove
della colpevolezza dei sospetti, non ai sospetti portare le prove della loro
innocenza. Il problema degli attacchi alla vita privata è eminentemente
politico, perfino ideologico. Vi sono molti modi per attentare alla vita
privata di un individuo e, anche, chi non avesse nulla da nascondere potrebbe
farne le spese, per riprendere la famosa definizione della vita privata di
Louis Brandeis, avvocato e membro della Corte Suprema degli Stati Uniti, alla
fine del XIX secolo:
“The protection guaranteed by the amendments is much broader in scope. The
makers of our Constitution undertook to secure conditions favorable to the
pursuit of happiness. They recognized the significance of man's spiritual
nature, of his feelings and of his intellect. They knew that only a part of the
pain, pleasure and satisfactions of life are to be found in material things.
They sought to protect Americans in their beliefs, their thoughts, their
emotions and their sensations. They conferred, as against the government, the
right to be let alone – the most comprehensive of rights and the right most
valued by civilized men. To protect, that right, every unjustifiable intrusion
by the government upon the privacy of the individual, whatever the means
employed, must be deemed a violation of the Fourth Amendment.”
Quando si cerca, si trova, sempre!
Il primo argomento avanzato per giustificare le
politiche e i mezzi di sorveglianza, è l’argomento della sicurezza. Sarebbe,
dunque, per il nostro bene accettare il sacrificio della nostra vita privata e,
se ci opponessimo, avremmo qualcosa da nascondere.
Sia!
Dobbiamo, dunque, aspettarci che si applichi la stessa
logica a tutti i contesti?
Permettetemi una osservazione dettata dal buon senso.
Secondo la logica di chi pensa che solo chi abbia qualcosa da rimproverarsi
avrebbe qualcosa da nascondere, si dovrebbero installare telecamere all’interno
delle nostre case, delle nostre auto, perfino sui nostri abiti?
È dimostrato, infatti, che lo spazio più criminogeno,
vale a dire dove si commettono più delitti nelle nostre città, non sia la
strada, ma la nostra casa e, soprattutto, la nostra camera da letto.
È là che si consumano le violenze coniugali, i casi di
incesto, di stupro, di maltrattamento infantile.
È là che vi sono migliaia di vittime reali, non
ipotetiche.
Essere dotati di telecamere che filmano, in
permanenza, tutto ciò che si vive renderebbe più facile l’identificazione dei
ladri, degli stupratori, dei criminali. E nella misura in cui la maggior parte
degli atti di pedofilia hanno luogo all’interno della cerchia familiare e sono,
sovente, un padre, uno zio, un nonno, un allenatore, un prete, un insegnante,
perfino una madre, il migliore modo per combattere la pedofilia sarebbe di
attrezzare tutti i bambini, le camere, le palestre e le canoniche di telecamere.
Dovremmo, allora, in nome della violazione di tutta
una serie di valori sociali incontestabili – il diritto alla vita, alla
famiglia, alla protezione dell’infanzia, etc. – accettare l’installazione di
telecamere di sorveglianza nelle nostre camere da letto?
Se fossimo coerenti, dovremmo dire di sì e se ci
opponessimo, avremmo, necessariamente, qualcosa da nascondere.
Il 4 dicembre 2012, i giudici della Corte
Costituzionale accoglievano il ricorso presentato dall’ex-presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano contro la procura di Palermo:
“La
Corte Costituzionale in accoglimento del ricorso per conflitto proposto dal
Presidente della Repubblica ha dichiarato che non spettava alla Procura della
Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza
della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni
telefoniche del Presidente della Repubblica, captate nell’ambito del
procedimento penale n. 11609/08 e neppure spettava di omettere di chiederne al
giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271, 3 comma, c.p.p. e
con modalità idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa
comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti.”
Queste questioni ci riconducono alla nostra nozione di
vita privata e, poiché noi non abbiamo nulla da nascondere, noi accettiamo,
senza troppi problemi, Facebook, blogs, Pass Navigo, GPS,
cellulari, carte blu.
Ma le informazioni diffuse su Internet o altrove
possono essere recuperate a nostra insaputa, da operatori sia pubblici sia
privati, siamo, veramente, sicuri di prendere decisioni con cognizione di
causa.
Ne dubito fortemente!
Fino a che punto uno Stato può estendere i poteri di
sorveglianza dell’autorità pubblica e, di conseguenza, ridurre la protezione
della vita privata dei suoi cittadini?
La Svezia e la Norvegia hanno rifiutato di sacrificare
la libertà sull’altare della sicurezza.
Gli Stati Uniti hanno fatto la scelta opposta.
Ma
voi cosa pensate delle rivelazioni circa il programma PRISM, che ha permesso all’FBI
e alla NSA di accedere alle
conversazioni private degli utenti di Facebook,
Google, Microsoft, Yahoo!, Skype, etc.?
Siete
preoccupati all’dea di una tale sorveglianza?
Pensate
di restringere o modificare l’utilizzo di questi siti?
O
si tratta, secondo voi – che, dopotutto non avete nulla da rimproverarvi e,
dunque, da nascondere – di qualcosa di normale per siti americani soggetti alle
leggi e al governo degli Stati Uniti?
Vi
lascio la parola perché possiate commentare.
Daniela Zini
Copyright © 7 marzo 2017 ADZ
La libertà di espressione è una libertà fondamentale,
uno dei pilastri della DEMOCRAZIA. A questo titolo, è garantita dall’articolo
21 della nostra Costituzione:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il
proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad
autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto
motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge
sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme
che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non
sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro
della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria,
che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia
all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore
successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere
generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli
spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge
stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.”
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