“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

martedì 7 marzo 2017

LETTERA APERTA ai consumati consumatori di Social Networks… esibizionisti, voyeuristi, hacktivisti, hackers, crackers, spie, fantasmi, agenti segreti, spettri… È LECITO SPIARE? di Daniela Zini




LETTERA APERTA
ai consumati consumatori di Social Networks… esibizionisti, voyeuristi, hacktivisti, hackers, crackers, spie, fantasmi, agenti segreti, spettri…

È LECITO SPIARE?



di
Daniela Zini

a Babuschka, mia Nonna

Sovente, molte Donne, Amiche e non, mi chiedono:
“È difficile essere Donna e sola?”
In un passato, neppure tanto remoto, una Donna non sposata e senza figli non aveva status, era considerata un essere monco, incompleto, irrealizzato. Oggi, tutti gli psicologi, i guru, i filosofi e anche i giornali femminili ripetono a oltranza che per trovare la persona giusta e sedurre un Uomo ogni Donna dovrebbe apprendere a stare bene da sola e a vivere da sola, felicemente.
È un concetto che viene talmente ripetuto che anche la Donna più sprovveduta conosce... e qualcuno trova il tempo di farvi, perfino, dell’ironia... o considera con pesante scetticismo.
Io so perfettamente che quando si dice a una Donna di vivere la propria vita in serenità da sola e abituarsi a vivere da sola, in autonomia e con indipendenza, si rischia di farla infuriare, di farla soffrire e di farla preoccupare.
Avete, mai, fatto caso che gli Uomini si godono, con grande piacere, la propria solitudine, ne sono orgogliosi e, molto spesso, la difendono con le unghie e con i denti?
Avete, mai, fatto caso che gli Uomini amano stare da soli, perché si sentono liberi di vivere la propria vita come preferiscono e sperimentare, in totale libertà, le proprie avventure sentimentali, le proprie passioni, le proprie sfide professionali?
Non vi dà da pensare tutto ciò?
E allora perché io non dovrei poter vivere con piacere e anche con entusiasmo il fatto di essere sola?
Vi è un forte pregiudizio nella nostra società: un Uomo solo, autonomo e indipendente è un “figo”; mentre una Donna sola, autonoma e indipendente deve avere, necessariamente, qualche “magagna” sotto sotto...
Ebbene la mia “magagna” è SCRIVERE...
Sono, semplicemente, uno scrittore, cui accade di essere Donna...
Desiderare legami forti e di valore con Altri è naturale... e, allo stesso modo, desiderare l’indipendenza e l’autonomia, vale a dire la capacità di vivere da sola, di cavarsela da sola e di essere felice da sola...
È stata mia Nonna a insegnarmi il coraggio.
Quando le sue Amiche le chiedevano se fossi fidanzata, lei rispondeva:
“No, mia nipote è diversa. Non tutte le scelte vanno bene per tutti.”
Ancora, oggi mi sento così... diversa.
Certo, conservo l’ideale dell’incontro della mia Vita, ma proprio per questo non lo voglio a tutti i costi...
Sulla scrivania della mia camera da letto, le cui finestre si aprono su una grande villa, vi è il dossier del mio testamento letterario.
Di tanto in tanto, vi scivolo, al suo interno, un nuovo foglio…
Tra il vero testamento e questo libro non vi sarà una grande differenza. In un testamento si dispone come debba essere suddiviso quanto si lascia. Nel mio testamento vi è, anche, ciò che la Vita mi ha indotto a pensare, ciò che ho avuto desiderio di dire in certi momenti. Invecchiando, a poco a poco, si prende coscienza di un dovere. All’inizio si resiste, perché sembra presuntuoso… e, poi, ritorna, con insistenza, dentro di sé, una vocina che esorta:
“Prima di lasciarci, dicci ciò che tu sai.”
Se, oggi, io non soggiacessi a questo appello, avrei la sensazione di sotterrare il talento di una esistenza. Non i meriti della mia persona, naturalmente; ma ciò che le circostanze della Vita, nelle quali sono stata sospinta, mi hanno fatto comprendere, sovente, dopo molte resistenze. Tutte le difficoltà, le esitazioni e le rinunce, sperimentate da uno scrittore non si spiegano, come si crede, abitualmente, in termini di sterilità o di angoscia davanti al foglio bianco. Sono metafore da non prendere in senso letterale: non danno conto della realtà infinitamente più complessa del processo di creazione letteraria. Nella maggior parte dei casi, se lo scrittore non riesce a portare a termine il suo progetto – io intendo il grande scrittore – non è perché non può scrivere, ma perché non vuole farlo che a certe condizioni che si è imposte.
Non si inaridisce di impotenza, ma si soffoca di eccesso di esigenze!
Non diamo, mai, per scontata la libertà di espressione; è l’avvilente silenzio che dobbiamo, al contrario, dare per scontato!
Come ammonisce Fernand Dumont:
Les censeurs existent toujours, même s’ils ont changé de costume et si leur autorité se réclame d’autres justifications. Toutes les Sociétés, quels que soient leur forme et leur visage, mettent en scène des vérités et des idéaux et rejettent dans les coulisses ce qu’il est gênant d’éclairer. Toutes les sociétés pratiquent la censure; ce n’est pas parce que le temps de M. Duplessis est révolu que nous en voilà délivrés. Les clichés se sont renouvelés, mais il ne fait pas bon, pas plus aujourd’hui qu’autrefois, de s’attaquer à certains lieux communs. Il est des questions dont il n’est pas convenable de parler; il est des opinions qu’il est dangereux de contester. Là où il y a des privilèges, là aussi travaille la censure. Le blocage des institutions, le silence pudique sur les nouvelles formes de pauvreté et d’injustice s’expliquent sans doute par l’insuffisance des moyens mis en œuvre, mais aussi par la dissimulation des intérêts. On n’atteint pas la lucidité sans effraction. 
Un passaggio de La Folle Journée ou Le Mariage de Figaro di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, scritto più di due secoli fa, ci dà un’idea della realtà di questa nuova censura che si presenta sotto l’apparenza della libertà:
On me dit que, pendant ma retraite économique, il s’est établi dans Madrid un système de liberté sur la vente des productions, qui s’étend même à celles de la presse; et que, pourvu que je ne parle en mes écrits ni de l’autorité, ni du culte, ni de la politique, ni de la morale, ni des gens en place, ni des corps en crédit, ni de l’opéra, ni des autres spectacles, ni de personne qui tienne à quelque chose, je puis tout imprimer librement, sous l’inspection de deux ou trois censeurs. 
  Avec deux lignes d’écriture d’un homme,

on peut faire le procès du plus innocent.

cardinale Armand-Jean du Plessis de Richelieu

Il titolo di questa lettera aperta è, volutamente, provocatorio, ma la domanda si pone, dopo le rivelazioni dell’ex-agente della CIA, Edward Snowden, che, in una intervista rilasciata, il 9 giugno 2013, rivelava di essere l’informatore del Guardian e del Washington Post e spiegava perché avesse iniziato  a scaricare, di nascosto, i documenti top secret dell’NSA, il 12 aprile 2012, e avesse contattato, nei mesi successivi, i giornalisti Glenn Greenwald e Laura Poitras [https://www.theguardian.com/world/video/2013/jun/09/nsa-whistleblower-edward-snowden-interview-video, https://www.youtube.com/watch?v=0hLjuVyIIrs, http://video.repubblica.it/dossier/datagate/l-intervista-integrale-del-guardian-a-snowden--ecco-perche-ho-parlato/131518/130025]:
“Avevo una vita comoda, ragazza, lavoro e carriera. Ma ho deciso di sacrificare tutto perché non avevo la coscienza a posto nel permettere che il governo USA distruggesse ogni privacy, libertà della rete, e diritti fondamentali delle persone in tutto il mondo.”
In questo inizio di millennio, in cui i nostri valori democratici sono stati, violentemente, attaccati, è pressoché sistematico il riferimento alla famosa frase di Voltaire:
“Je ne suis pas d’accord avec ce que vous dites, mais je me battrai jusqu’à la mort pour que vous puissiez le dire.
Una frase importante per quello che rappresenta sul piano della DEMOCRAZIA…
Peccato che Voltaire non abbia MAI né scritto né pronunciato questa frase!
Chi gli ha attribuito questa citazione si richiama a una lettera del 6 febbraio 1770, nella quale il castellano di Ferney si sarebbe rivolto a un certo abate Le Riche in questi termini:
Monsieur l’abbé, je déteste ce que vous écrivez, mais je donnerai ma vie pour que vous puissiez continuer à écrire.
Se l’esistenza di questa missiva è stata appurata, la frase non vi figura e neppure l’idea.
È quella che si chiama una citazione apocrifa, non autentica.
La paternità di questa massima va ascritta, infatti, all’inglese Evelyn Beatrice Hall che, in un libro, The Friends of Voltaire, pubblicato, nel 1906, sotto lo pseudonimo di Stephen G. Tallentyre, la utilizza per riassumere il pensiero voltairiano:
I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say I.”
Nel 1994, Charles Wirz, direttore dell’Institut et Musée Voltaire di Ginevra, rammentava come Evelyn Beatrice Hall avesse, a torto, riportato, tra virgolette, questa citazione in due opere dedicate all’autore di Candide e avesse, poi, riconosciuto la citazione come sua, in una lettera del 9 maggio 1939, pubblicata, nel 1943, nel tomo LVIII [58] sotto il titolo Voltaire never said it [pagg. 534-535] della rivista Modern language notes, the Johns Hopkins Press, 1943, Baltimore:
“The phrase “I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say it” which you have found in my book Voltaire in His Letters is my own expression and should not have been put in inverted commas. Please accept my apologies for having, quite unintentionally, misled you into thinking I was quoting a sentence used by Voltaire [or anyone else but myself].”
Le parole “my own” sono state sottolineate, personalmente, dalla stessa Evelyn Beatrice Hall nella stessa lettera. In ogni caso, che fosse dovuta alla imperizia dell’autrice o dell’editore, la citazione fu, rapidamente, tradotta in francese prima di conoscere il successo che tutti conosciamo.
Ma Voltaire ha difeso la LIBERTA’ DI ESPRESSIONE, la DEMOCRAZIA?
Voltaire disprezzava il Popolo e non era democratico.
Sarà meglio citarlo!
In Questions sur l’Encyclopédie, Voltaire scrive:
La multitude des bêtes brutes appelées hommes, comparée avec le petit nombre de ceux qui pensent, est au moins dans la proportion de cent à un chez beaucoup de Nations.
E da vecchio sarà anche più selettivo:
“Le genre humain pensant, c’est-à-dire la cent-millième partie du genre humain tout au plus.
Per Voltaire:
Ce monde-ci [il faut que j’en convienne] est un composé de fripons, de fanatiques et d’imbéciles, parmi lesquels il y a un petit troupeau séparé qu’on appelle la bonne compagnie; ce petit troupeau étant riche, bien élevé, instruit, poli, est comme la fleur du genre humain; c’est pour lui que les plaisirs honnêtes sont faits.
A Mme Marie-Anne de Vichy-Chamrond vanterà le plaisir noble de se sentir d’une autre nature que les sots.
Sì, di un’altra natura!
Le peuple est entre l’homme et la bête.
Le cose sono nette:
Nous n’avons de compatriotes que les philosophes, le reste n’existe pas.
Nel 1736, non esita a scrivere a Nicolas-Claude Thiérot:
Il faut mentir comme un diable, non pas timidement, non pas pour un temps, mais hardiment et toujours.
E a Charles-Augustin de Ferriol d’Argental:
Il y aurait de la folie à être martyr de la vérité.
L’elitismo di Voltaire è chiaro, ma giova ricordare, qui, anche, il caso La Beaumelle.
Quali erano i torti di Laurent Angliviel de la Beaumelle, al quale Voltaire non perdonava l’audacia di avere giudicato ossequioso il suo Siècle de Louis XIV?
Laurent Angliviel de la Beaumelle aveva avuto l’indecenza di criticare, severamente, Voltaire, sottolineando il suo status di uomo di lettere, lautamente, sussidiato da Federico II di Prussia e la sua indulgenza verso la revoca dell’Editto di Nantes. Per avere “contrariato” Voltaire, lo scrittore protestante fu rinchiuso nella Bastille, per sei mesi, nel 1753. Liberato, l’anno successivo, vide rifiutarsi da Guillaume-Chrétien de Lamoignon de Malesherbe, direttore della Librairie, l’autorizzazione di fondare un giornale e, perfino, di stampare alcunché contro Voltaire, a sua difesa. Rassegnato, La Beaumelle, che sarebbe stato imprigionato, una seconda volta, dal 1756 al 1757, replicò:
Il me semble qu’on craint Voltaire encore plus qu’on ne le méprise.
Secondo lo storico Claude Lauriol, La Beaumelle, allora ventisettenne, a beaucoup souffert de sa détention, physiquement et moralement.
Sicuramente, Voltaire sogghignerebbe nel vedersi, oggi, trasformato in militante appassionato della libertà di espressione, pronto a battersi fino alla morte, lui che scriveva al duca Louis-François-Armand de Vignerot du Plessis de Richelieu:
Nous avions besoin autrefois qu’on encourageât la littérature, et aujourd’hui il faut avouer que nous avons besoin qu’on la réprime.
In Francia, la libertà di espressione figura nella Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen del 1789, che ha valore costituzionale. L’articolo 11 dispone, infatti, che “La libre communication des pensées et des opinions est un des droits les plus précieux de l’homme:  tout citoyen peut donc parler, écrire, imprimer librement, ma una restrizione è, immediatamente, apportata  a questo principio, dopo una virgola: “sauf à répondre de l’abus de cette liberté dans les cas déterminés par la loi..
Diversamente, gli Stati Uniti non hanno, MAI, aggiunto una virgola al loro freedom of speech,  garantito dal primo emendamento della Costituzione.  
Questo principio ha una consacrazione internazionale nella Conferenza Interamericana sui Problemi della Guerra e la Pace di Chapultepec [21 febbraio – 8 marzo 1945], dove è stabilito che nessuna società può essere libera senza libertà di espressione e di stampa” e che l’esercizio di questa libertà non è garantito dalle autorità politiche, ma è un inalienabile diritto popolare”, quindi, il 10 dicembre 1948, nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU:
“Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.” [articolo 19]
In poche parole l’essenziale è detto: la libertà di opinione e la libertà di espressione sono alla base stessa dello Stato di diritto.
Uno Stato di diritto laico e civico. Laico perché la diversità delle credenze, delle ideologie che oppongono i Popoli e gli individui non fanno ostacolo all’universalismo dei diritti. Civico perché la libera espressione delle opinioni e delle idee costituisce la condizione indispensabile all’esercizio dei diritti del cittadino. Sono questi principi che enunceranno, con più precisione, l’articolo 10 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, firmata a Roma, il 4 novembre 1950, e l’articolo 29 del Patto Internazionale relativo ai Diritti Civili e Politici, concluso a New York, il 16 dicembre 1966.
Nel 1997, la Conferenza Generale dell’UNESCO adotta una risoluzione che condanna i crimini contro i giornalisti. Questa risoluzione mira a sensibilizzare i governi e le organizzazioni internazionali e regionali a questo riguardo e tenta, dunque, di combattere la cultura dell’impunità. Nei due terzi dei casi gli assassini, infatti, non sono neppure identificati e non lo saranno, probabilmente, mai. In numerosi Paesi, l’assassinio è divenuto il mezzo più facile, il più economico e il più efficace per far tacere i giornalisti “scomodi” e più gli assassini se ne tirano fuori, più si accelera la spirale della morte. 
Il 23 dicembre 2006, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotta la Risoluzione 1738 sulla protezione dei giornalisti durante i conflitti armati.
Il 12 marzo 2008, Reporters sans Frontières lancia la prima Giornata Mondiale contro la Cyber-censura, allo scopo di denunciare la censura dei governi sulla rete.
Il diritto di dare e di ricevere le informazioni è accordato dal citato articolo 19 a “ogni individuo”. Tuttavia, queste informazioni che circolano, oggi, al di sopra delle frontiere sono divenute merce. Hanno un costo e possono essere fonte di guadagno. Cercarle e darle è riservato a chi ne ha i mezzi economici. E, riceverle, ai privilegiati della divisione del mondo.
Le tecniche più moderne aprono nuovi spazi. Ciascuno, munito della sua tastiera e del suo schermo, può comunicare con il mondo.
Ma non si tratta di una illusione? 
Quanti uomini dispongono di strumenti materiali e intellettuali che permettono di accedere a queste nuove forme di comunicazione?
L’eguaglianza, apparentemente, conquistata non rafforza la ineguaglianza?
La Giornata Mondiale della Libertà di Stampa è nata, ventiquattro anni fa, grazie a un gruppo di giornalisti riuniti a Windhoek, in Namibia. La Dichiarazione di Windhoek era un appello alla lotta per la difesa dei principi fondamentali della libertà di espressione enunciati dall’articolo 19. Era anche il segnale di un cambiamento nel mondo intero. Ventiquattro anni dopo, se il paesaggio mediatico si è completamente trasformato, il nostro obiettivo resta lo stesso: promuovere la libertà di espressione, fondamento della dignità umana e pietra angolare della DEMOCRAZIA.
La nostra epoca presenta un grande paradosso. Da un lato, le nuove tecnologie e i nuovi media ci offrono possibilità di espressione senza precedenti. Un numero crescente di individui può comunicare informazioni e scambiare idee nei diversi Paesi e da un Paese all’altro.  Questo permette di sviluppare la creatività, di costruire società sane e di associare tutti a nuove forme di dialogo. Dall’altro lato, nuove minacce si profilano. Coniugate in un contesto di cambiamenti rapidi, con forme di restrizione più antiche, rappresentano formidabili sfide per la libertà di espressione. Nuove misure destinate a bloccare, filtrare o a censurare l’informazione sono prese, ogni giorno. Queste minacce rivestono forme diverse, ma si presentano tutte come violazioni di un diritto fondamentale dell’essere umano.
È la DEMOCRAZIA che è, qui, in gioco perché per agire si deve, innanzitutto, sapere.
Nulla è casuale in politica!
Facebook non è una ZONA DI NON-DIRITTO.
Facebook è un Social Network, che offre a ciascuno la possibilità di esprimere il proprio punto di vista su un particolare soggetto e a tutti di replicare, formulando dei commenti. 
Il mio obiettivo è molto umile.
Senza avere la pretesa di potere cambiare il mondo – cosa non impossibile! – io cerco di dare voce a chi non ha voce.
Conoscete il proverbio:
Tant que les lions n’auront pas leurs propres historiens, les histoires de chasse continueront de glorifier le chasseur.
Io voglio raccontare la storia dal punto di vista dei leoni.
Non basta dichiararci difensori della libertà di espressione per proteggerla, noi, rappresentanti di media indipendenti, alternativi e cittadini!
Se il terrorismo tenta, oggi, di minacciare l’idea stessa di libertà di espressione, questa è, anche, attaccata quotidianamente da politiche di soffocamento.
Giornali indipendenti muoiono, ogni giorno, nella indifferenza generale.
Per comprendere la portata e i disegni che presiedono alle leggi liberticide, si deve esaminare non solo il loro contesto di adozione, ma anche quello della loro applicazione. Quando la legge, che mira a proteggere i cittadini, divaga – e non è un caso! – è segno che l’azione legislativa è stata traviata a profitto di poteri paralleli allo Stato di diritto.
Ciò al fine di consegnare l’economia del Paese alla finanza internazionale, che specula su tutti i mercati, compreso quello degli esseri umani, ridotti allo status di produttori-consumatori delle multinazionali, nonché di eterni debitori di chi crea moneta ex nihilo, trasformandola in debito ad vitam æternam per un profitto della stessa portata.
Gli alchimisti del disastro non hanno patria, ma si soddisfano di più nazionalità, per loro stessi e per le piccole mani che producono al costo più basso.   
Il nemico della casta finanziaria è lo Stato con i suoi limiti giuridici e geografici, vale a dire la politica in ciò che ha di più legittimo.
Lo Stato, illuminato, forte dei suoi valori, unificato da un diritto egalitario, costituisce un bastione contro la privatizzazione della sua sfera e l’accaparramento da parte di un potere esogeno. Sarà al primo punto di un vasto progetto di smantellamento di Stati sovrani per potere, senza il limite di un ordine economico, disporre delle persone e delle risorse. Si tratta di asservire a una élite i cittadini, ridotti allo stato di sudditi economici sfruttati a piacimento e spossessati di istituzioni politiche e giuridiche legittime. Le istituzioni antidemocratiche, consolidate da lunga data, pilotate dall’alta finanza, e le multinazionali, partecipano a questo grande progetto. La discriminazione positiva iscritta nella legge mira a servire questo vasto piano di annichilimento, non solo delle Nazioni, ma soprattutto degli Stati politici in sé, che hanno bisogno di frontiere per definire le loro giurisdizioni e proteggere i loro cittadini. La distruzione degli Stati procede dalla creazione e dalla estensione di zone di non-diritto, territoriali e giuridiche. Per “libanizzare” uno Stato, si deve, innanzitutto, sabotare il diritto egalitario, estrarre le comunità dal comune, definire, strategicamente, il campo degli oppressori e le fazioni delle vittime.
Le leggi liberticide procedono da un diritto parallelo antigiuridico, che contraddice, formalmente, i principi della libertà e della eguaglianza, i loro effetti distruttori sono completati da politiche pubbliche stupide e infamanti. I committenti hanno interesse che la frattura sociale resti aperta o meglio che la guerra civile la spunti sugli autoctoni disarmati dalla legge. È più facile manipolare a proprio piacimento dei cretini incolti; da qui, l’interesse di mettere al potere legale dei politici dello stesso livello.  
La frammentazione dell’Italia partecipa della sua dissoluzione in un tutto europeizzato, poi, mondializzato, a beneficio dell’ordine giuridico e apolitico voluto dall’alta finanza che tiene il sistema economico mondiale.
Nelle società contemporanee, lo Stato, il cui ruolo è proteggere l’individuo, si è trasformato da Stato di diritto in Stato securitario.
Ne risultano uno scadimento  della libertà [lo Stato sa meglio del Popolo ciò che a quest’ultimo conviene] e l’instaurazione di un pensiero unico.
Questa tendenza a restringere la libertà di espressione in nome dell’interesse generale non rischia di trasformarsi in uno strumento politico al fine di ridurre ogni opposizione al silenzio?
Niall Ferguson per il quale lo sviluppo dell’Occidente riposava sullo Stato di diritto e il rispetto delle fondamentali, aveva già segnalato la tendenza degli Stati a compromettere i  pilastri della nostra civiltà in nome della sicurezza e della preservazione delle situazioni acquisite e vi ravvisava un indizio di  degenerazione delle nostre società.
Si sente, sovente, dire dalle persone dotate di “buon senso” che solo chi ha qualcosa da rimproverarsi ha qualcosa da nascondere.
Vi fu un tempo in cui la stessa pena di morte rientrava nel “buon senso”, proprio come il divieto alle donne di votare o la negazione agli amerindi e ai neri degli stessi diritti dei loro colonizzatori.
In una DEMOCRAZIA, spetta all’accusa portare le prove della colpevolezza dei sospetti, non ai sospetti portare le prove della loro innocenza. Il problema degli attacchi alla vita privata è eminentemente politico, perfino ideologico. Vi sono molti modi per attentare alla vita privata di un individuo e, anche, chi non avesse nulla da nascondere potrebbe farne le spese, per riprendere la famosa definizione della vita privata di Louis Brandeis, avvocato e membro della Corte Suprema degli Stati Uniti, alla fine del XIX secolo: 
 The protection guaranteed by the amendments is much broader in scope. The makers of our Constitution undertook to secure conditions favorable to the pursuit of happiness. They recognized the significance of man's spiritual nature, of his feelings and of his intellect. They knew that only a part of the pain, pleasure and satisfactions of life are to be found in material things. They sought to protect Americans in their beliefs, their thoughts, their emotions and their sensations. They conferred, as against the government, the right to be let alone – the most comprehensive of rights and the right most valued by civilized men. To protect, that right, every unjustifiable intrusion by the government upon the privacy of the individual, whatever the means employed, must be deemed a violation of the Fourth Amendment.”
Quando si cerca, si trova, sempre! 
Il primo argomento avanzato per giustificare le politiche e i mezzi di sorveglianza, è l’argomento della sicurezza. Sarebbe, dunque, per il nostro bene accettare il sacrificio della nostra vita privata e, se ci opponessimo, avremmo qualcosa da nascondere.
Sia!
Dobbiamo, dunque, aspettarci che si applichi la stessa logica a tutti i contesti?
Permettetemi una osservazione dettata dal buon senso. Secondo la logica di chi pensa che solo chi abbia qualcosa da rimproverarsi avrebbe qualcosa da nascondere, si dovrebbero installare telecamere all’interno delle nostre case, delle nostre auto, perfino sui nostri abiti?
È dimostrato, infatti, che lo spazio più criminogeno, vale a dire dove si commettono più delitti nelle nostre città, non sia la strada, ma la nostra casa e, soprattutto, la nostra camera da letto.
È là che si consumano le violenze coniugali, i casi di incesto, di stupro, di maltrattamento infantile.
È là che vi sono migliaia di vittime reali, non ipotetiche.
Essere dotati di telecamere che filmano, in permanenza, tutto ciò che si vive renderebbe più facile l’identificazione dei ladri, degli stupratori, dei criminali. E nella misura in cui la maggior parte degli atti di pedofilia hanno luogo all’interno della cerchia familiare e sono, sovente, un padre, uno zio, un nonno, un allenatore, un prete, un insegnante, perfino una madre, il migliore modo per combattere la pedofilia sarebbe di attrezzare tutti i bambini, le camere, le palestre e le canoniche di telecamere.
Dovremmo, allora, in nome della violazione di tutta una serie di valori sociali incontestabili – il diritto alla vita, alla famiglia, alla protezione dell’infanzia, etc. – accettare l’installazione di telecamere di sorveglianza nelle nostre camere da letto? 
Se fossimo coerenti, dovremmo dire di sì e se ci opponessimo, avremmo, necessariamente, qualcosa da nascondere.
Il  4 dicembre 2012, i giudici della Corte Costituzionale accoglievano il ricorso presentato dall’ex-presidente della Repubblica Giorgio Napolitano contro la procura di Palermo:
“La Corte Costituzionale in accoglimento del ricorso per conflitto proposto dal Presidente della Repubblica ha dichiarato che non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, captate nell’ambito del procedimento penale n. 11609/08 e neppure spettava di omettere di chiederne al giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271, 3 comma, c.p.p. e con modalità idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti.”
Queste questioni ci riconducono alla nostra nozione di vita privata e, poiché noi non abbiamo nulla da nascondere, noi accettiamo, senza troppi problemi, Facebook, blogs, Pass Navigo, GPS, cellulari, carte blu.
Ma le informazioni diffuse su Internet o altrove possono essere recuperate a nostra insaputa, da operatori sia pubblici sia privati, siamo, veramente, sicuri di prendere decisioni con cognizione di causa.
Ne dubito fortemente!
Fino a che punto uno Stato può estendere i poteri di sorveglianza dell’autorità pubblica e, di conseguenza, ridurre la protezione della vita privata dei suoi cittadini?
La Svezia e la Norvegia hanno rifiutato di sacrificare la libertà sull’altare della sicurezza.
Gli Stati Uniti hanno fatto la scelta opposta.
Ma voi cosa pensate delle rivelazioni circa il programma PRISM, che ha permesso all’FBI e alla NSA di accedere alle conversazioni private degli utenti di Facebook, Google, Microsoft, Yahoo!, Skype, etc.?
Siete preoccupati all’dea di una tale sorveglianza?
Pensate di restringere o modificare l’utilizzo di questi siti?
O si tratta, secondo voi – che, dopotutto non avete nulla da rimproverarvi e, dunque, da nascondere – di qualcosa di normale per siti americani soggetti alle leggi e al governo degli Stati Uniti?
Vi lascio la parola perché possiate commentare.


Daniela Zini
Copyright © 7 marzo 2017 ADZ
 
 
La libertà di espressione è una libertà fondamentale, uno dei pilastri della DEMOCRAZIA. A questo titolo, è garantita dall’articolo 21 della nostra Costituzione:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.”



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